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Realizzazione di una reference a banda larga per spettroscopia pump-probe

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Academic year: 2021

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Relazione di Laboratorio

Gianmarco Pierantozzi, Luca Longetti

(2)

Indice

1 Introduzione all’Esperimento 2

1.1 La tecnica Pump & Probe . . . 2

1.2 FSRS . . . 3

1.3 Probe e misura . . . 4

1.4 Monocromatore come strumento d’analisi . . . 6

1.4.1 Grating . . . 7

1.5 CCD . . . 10

1.5.1 Tempo di acquisizione . . . 11

1.5.2 Applicazione all’esperimento. . . 11

2 Calibrazione dello spettrometro 13 2.1 Definizione dei parametri . . . 13

2.2 Calibrazione . . . 16

2.2.1 Offset e Gain-adjust . . . 17

2.2.2 Altri parametri . . . 18

2.3 Verifica con lampada a mercurio . . . 21

3 Caratterizzazione del bianco 22 3.1 Generazione del bianco . . . 22

3.2 Reference . . . 24

(3)

Capitolo 1

Introduzione all’Esperimento

L’esperienza di Laboratorio è stata svolta nell’ambito del progetto di ricerca Femtoscopy [1] , per cui non si può prescindere dall’ambientare l’attività svolta nell’esperimento, per meglio comprendere ciò che si è fatto, le motivazioni e le finalità.

In tale progetto si vuole studiare l’evoluzione di sistemi fisici tra due configu-razioni di equilibrio: si tratta quindi di configuconfigu-razioni di nuclei atomici che differiscono di pochi ångström, per cui il tempo di evoluzione è dell’ordine di 100f s e per studiare cosa accade in questi istanti si deve poter risolvere tempo-ralmente in questa scala. Si utilizza quindi un laser al femtosecondo (10−15s) come strumento d’indagine secondo la tecnica della FSRS.

Nello specifico in questo laboratorio sono state studiate molecole biologiche (e.g. stato transiente di emoglobina legata - non legata) ed effetti di picoacu-stica.

1.1

La tecnica Pump & Probe

La tecnica consiste nel far interagire il campione con due campi distinti: con il primo si innesca la transizione del sistema (pump), mentre con il secondo opportunamente ritardato nel tempo si sonda la risposta del campione (pro-be). Si ripete la misura modulando il ritardo tra le due interazioni, ottenendo così uno scanning temporale dell’evoluzione del processo e quindi la conoscenza delle fasi intermedie della transizione.

Il pump, nel caso dell’emoglobina come per la picoacustica, si realizza facil-mente con un impulso laser piccato sulla frequenza di risonanza del processo, in modo tale da eccitare il sistema e far partire la fase transiente.

Come rendere efficiente il probe è invece più complesso, in quanto è fortemen-te legato alla fisica del sisfortemen-tema da studiare. Per la misura dello stato duranfortemen-te l’evoluzione si ricorre alla spettroscopia Raman stimolata.

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1.2

FSRS

La Femtosecond Stimulated Raman Spectroscopy è una tecnica spettro-scopica innovativa in quanto permette di studiare in tempo reale la dinamica di sistemi in evoluzione. È ideale per lo studio della dinamica di reazioni chimiche. La spettroscopia Raman è un ottimo strumento d’indagine per la struttura molecolare di un sistema. Essa permette l’analisi della struttura vibrazionale del campione, consentendo di risalire alla disposizione dei nuclei legati e quindi alla struttura atomica della molecola in studio. L’efficienza dell’effetto Raman spontaneo è però troppo bassa perché si possa avere un’elevata risoluzione temporale, essendo spontaneo il decadimento delle righe Stokes. Se si cerca invece la diseccitazione stimolata dei livelli virtuali ‘bagnando’ il campione con un impulso policromatico (Raman Probe) che includa le frequenze Raman nello stesso tempo in cui sopraggiunge l’impulso Raman (Raman Pump), si ottengono delle prestazioni di gran lunga migliori: si arriva ad una risoluzione temporale di circa 50f s (ordine dei periodi di vibrazione) ed una risoluzione spettrale dell’ordine di 10cm−1. [4]

La tecnica richiede quindi 2 impulsi per realizzare Spettroscopia Raman Sti-molata al femtosecondo: un primo impulso, il Raman Pump è la luce incidente che sarà diffusa per effetto Raman, lontana in frequenza da risonanze e assor-bimenti. Tale impulso si realizza stringendo in frequenza l’impulso di 800nm del laser per avere un’alta risoluzione spettrale. Ciò comporta di conseguenza una dilatazione della durata dell’impulso Raman, che sembrerebbe far perdere la risoluzione temporale. Il Raman probe, detto anche ‘bianco’ in quanto ha uno spettro molto largo che si osserva come luce bianca nel visibile, è proprio l’impulso di probe della tecnica Pump & Probe che va a sondare il campione per ottenere misure della sua configurazione vibrazionale.

L’importanza della stimolazione dell’effetto Raman sta nel fatto che l’im-pulso di probe è sì largo in frequenza, ma proprio per questo può essere piccato temporalmente in modo da avere un’alta risoluzione temporale1 , oltre che ad un’efficienza migliorata di più di un ordine di grandezza grazie all’emissione stimolata. [4] Ecco dunque chiaro come due impulsi sono necessari per un’alta risoluzione sia in tempo che in frequenza, che non si otterrebbe se si avesse un solo impulso per la fase probe dell’esperimento, come enunciato dal principio di indeterminazione di Heisenberg.

1

Il principale disturbo alla brevità di tale impulso è dato dal chirping indotto dal passaggio di un impulso largo in frequenza in lenti rifrangenti, che consiste nel ritardare le lunghezze d’onda tra loro. Difficile è correggerlo, per cui si compensa tale allargamento temporale restringendo il più possibile l’impulso di Pump (pompa attinica, cfr cap. 1.3) in modo da avere comunque una buona risoluzione temporale.

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(a) Spettri dei due impulsi: a sinistra il Ra-man pump piccato in frequenza per avere al-ta risoluzione spettrale; l’altro è il Raman probe dopo aver attraversato il campione. Si notino gli extrapicchi sullo spettro relativi alle righe Stokes.

(b) Diagramma del ‘timing’ dell’espe-rimento. La pompa attinica è l’im-pulso di pump dell’esperimento che innesca la reazione; gli ultimi due so-no relativi all’FSRS. Si so-noti che il ri-tardo è calcolato sul Raman probe, stretto temporalmente; molto dilata-to è il Raman pump in conseguenza della stretta banda in frequenza. Figura 1.1: Diagrammi illustrativi del FSRS e degli impulsi utilizzati [4].

1.3

Probe e misura

L’impulso di probe nel caso si adotti la tecnica FSRS per studiare il campione è detto gergalmente bianco in quanto è un impulso molto largo in frequenze. Se il Raman pump cade nel NIR, il probe dovrà avere uno spettro che si trova nella finestra del Visibile, motivo del suo nome. Questo tipo di impulso deve avere uno spettro il più possibile omogeneo per stimolare in egual modo tutte le righe Stokes che si possono avere per effetto Raman, ma al contempo deve essere luce coerente e collimata per poter realizzare la sovrapposizione spaziale e temporale dei fasci Raman di pump e di probe sul campione. Solo un fascio laser ha queste caratteristiche, ma come ben noto è monocromatico. Per trasformare un impulso da monocromatico a largo spettro ci si serve degli effetti di ottica nonlineare: mediante un cristallo di Titanio-Zaffiro su cui incide il laser a 800nm si ottiene un segnale con spettro molto vicino a quello desiderato. Nei seguenti capitoli si studieranno le caratteristiche spettrali del bianco ottenuto.

Questo impulso incide sul campione in studio nello stesso tempo della pom-pa Raman, come si vede in figura1.1b. Questa sovrapposizione permette l’e-missione stimolata dei modi Stokes eccitati dall’impulso Raman, per cui lo spettro che si ottiene dopo il campione è dello stesso profilo di quello in figura

1.1a. Ciò che ci interessa ai fini della misura della configurazione vibrazionale del campione sono gli extrapicchi che si notano sul profilo del bianco: vediamo come metterli in evidenza.

Mediante un chopper si alterna il segnale di Raman pump incidente sul campione, in modo tale da avere effetto Raman vibrazionale (e quindi le righe

(6)

Stokes) una volta ogni due. Si acquisiscono quindi sia lo spettro del probe senza pompa Raman, sia lo spettro da misurare (probe con extrapicchi). Lo spettro di guadagno Raman si calcola come il rapporto tra il segnale di probe con la pompa Raman attiva (pump-on) sul segnale senza Raman (pump-off ):

RAM AN GAIN = (P robe)pump−on (P robe)pump−of f

Figura 1.2: Spettro di guadagno del processo Raman. Si esprimono i picchi in funzione della loro distanza in cm−1dalla frequenza della Raman pump.

Ecco come si ottengono le energie delle varie righe Stokes che caratterizzano la particolare configurazione molecolare del campione. Non si è invece interessati all’ampiezza assoluta di tali righe, in quanto è importante conoscere la distanza in energia tra in suddetti modi vibrazionali.

Se si vuole migliorare la precisione di quanto appena misurato, si può lavo-rare sulla variabilità del bianco, fenomeno intrinseco alla modalità di genera-zione: si hanno variazioni significative su scale inferiori al secondo che durante la misura portano ad un calcolo del Raman Gain che può essere errato. Per risolvere questo problema si ricorre ad una reference del segnale di pro-be con la quale si normalizza ogni singolo spettro. Ciò si realizza in pratica splittando il fascio del bianco e facendolo incidere nel monocromatore senza passare per il campione. La misura dovrà avvenire su una porzione di CCD adiacente ma distinta da quella in cui cade lo spettro del segnale (si veda al par. 1.5.2). La misura del Raman Gain sarà quindi:

RAM AN GAIN = (P robe/Ref erence)pump−on

(P robe/Ref erence)pump−of f (1.1) È banale che se non ci fosse variabilità del bianco tra un impulso ed un altro, l’argomento Reference si eliderebbe in quanto identico sia nella configurazione Pump-on che in quella Pump-off.

Le immagini da acquisire per ogni misura diventano quindi 4, il doppio rispetto alla configurazione che non utilizza reference, raddoppiando così il tempo di una singola misura; in compenso migliora la stabilità del segnale misurato.

(7)

1.4

Monocromatore come strumento d’analisi

Lo studio dello spettro del fascio di Probe dopo che ha attraversato il campione si fa tramite uno spettrometro, facilmente ottenibile da un monocromatore, come vedremo. Lo strumento utilizzato è un Princeton Instruments modello Acton Spectra pro 2500i.

Il monocromatore è un dispositivo ottico che scompone un fascio di luce policromatica in più fasci monocromatici dispersi in angolo che sono selezionati da una fenditura posta sul piano focale in uscita dallo strumento. Si ottiene quindi un fascio monocromatico partendo da uno spettro più ampio.

Se al posto della fenditura in uscita si utilizza uno strumento di acquisizione (una CCD nel nostro caso) si ha modo di studiare le intensità in funzione della frequenza (spettro).

Il monocromatore è composto da tre elementi fondamentali: • Fenditura d’ingresso

• Specchi concavi che convergono sulle aperture • Grating come elemento diffrattore

Figura 1.3: Schema ottico del monocromatore in configurazione Spettrografo

La luce policromatica in ingresso, focalizzata sulla fenditura, entra nel di-spositivo, viene riflessa e collimata da uno specchio concavo sull’elemento dif-frattore, il quale la disperde in angolo in funzione della lunghezza d’onda. Se la fenditura è laterale, uno specchio a 45◦ devia il fascio sullo specchio. Tali fasci vengono poi focalizzati sul piano focale del secondo specchio che si trova sulla fenditura d’uscita. Questa permette il passaggio di una piccola porzione della luce dispersa in angolo: per date inclinazioni dell’elemento diffrattore corrispondono in uscita dal monocromatore fasci di luce con precise lunghezze d’onda2. Si è riusciti quindi ad isolare le componenti spettrali di un generico fascio policromatico. La corrispondenza angolo - lunghezza d’onda si ricava dalla fisica dell’elemento diffrattore che vedremo nel capitolo seguente.

2

(8)

Sostituendo la fenditura in uscita con una CCD si può studiare una porzione di spettro con una sola acquisizione: si ha quindi uno spettrgrafo.

1.4.1 Grating

Il Diffraction Grating è il reticolo di diffrazione, cioè un insieme di strisce pa-rallele ed equispaziate generate incidendo altrettante righe su di una superficie riflettente (o diversamente, rifrangente).

Figura 1.4: Pittura del funzio-namento di un grating in rifles-sione: il fascio incidente viene in parte riflesso (ordine 0) e in parte disperso, ai vari ordini di diffrazione.

Figura 1.5: Schema della so-vrapposizione delle onde genera-te da ogni singola riga (in figu-ra di una sola lunghezza d’on-da). La loro sovrapposizione de-termina l’angolo dell’ordine di diffrazione.

Grating diffrattore. Un fascio incidente viene diffuso da ogni singola riga, che è una sorgente. Si ha luce solo nei punti di interferenza costruttiva, che sono dipendenti dalla

lunghezza d’onda. Si ha quindi la dispersione dello spettro.

Il funzionamento del grating come elemento diffrattore in grado di disper-dere lo spettro di un fascio è basato sul principio di Huygens-Fresnel3 e sull’in-terferenza: il fascio di luce incidente sul reticolo viene riflesso da ogni singolo elemento, che è considerato come sorgente puntiforme di campo elettroma-gnetico. Quindi le righe del grating sono tante sorgenti di onde identiche che generano interferenza. Il risultato finale è la convoluzione di due effetti: dif-frazione e interferenza.

La singola riga riflette come sorgente puntiforme di grandezza paragonabile alla lunghezza d’onda incidente, per cui genera una figura di diffrazione. Il reticolo come insieme di sorgenti puntiformi porta alla naturale interferenza della medesima onda sferica generata da ogni riga.

3

Principio di Huygens-Fresnel: Ogni elemento dΣ di un fronte d’onda Σ si può considerare formalmente come una sorgente secondaria di onde sferiche in fase con la primaria e di ampiezza proporzionale a quella dell’onda primaria e all’area dΣ. La perturbazione prodotta in un punto dello spazio si può sempre ottenere come sovrapposizione di tutte le onde sferiche secondarie che raggiungono quel punto. [2]

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(a) Schema di onda piana attraver-so due fenditure larghe b e distanti h. Lo schema geometrico è lo stes-so nel castes-so in cui al posto delle fen-diture ci siano elementi riflettenti, come nel caso del grating.

(b) Pattern di diffrazione alla Fraunhpofer (cioè di onda piana) per due fenditure. All’aumentare del numero di righe N si osserva l’abbassamento dei minimi e il restringimento della larghezza del mas-simo, come prevedibile dal pattern di interferenza (cfr. figura1.6b).

Figura 1.6: Immagini rappresentative di come piccole superfici riflettenti (o fenditure, se si è in trasmissione) generano il caratteristico pattern di convoluzione di interferenza e diffrazione. [3].

Per un reticolo di N fenditure larghe b e distanti h, l’intensità relativa del campo elettromagnetico di vettore d’onda k sul punto p che sottende un angolo θ dalla normale al centro del reticolo è data dall’equazione del reticolo

I Iθ=0 =     sin kb 2 sin(θ)  kb 2 sin(θ)     2    sin  Nkh 2 sin(θ)  N sin kh 2 sin(θ)      2 I Iθ=0 = sin(β) β 2  sin(N γ) N sin(γ) 2 (1.2) dove β = kb 2 sin(θ) , γ = kh 2 sin(θ).

Si noti come il primo termine sia dovuto al fenomeno della diffrazione della singola riga del reticolo, mentre il secondo all’interferenza delle N righe.

Dalla (1.2) si ricava che l’interferenza costruttiva si ha solo quando è sod-disfatta la relazione

h sin(θ) = mλ con m ∈ N .

La variabile m rappresenta l’ordine di diffrazione: per m = 0 (cioè per θ = 0) si ha la normale riflessione, per m > 0 si hanno gli ordini successivi di diffrazione. Per cui la posizione angolare del massimo per gli ordini successivi è funzione della lunghezza d’onda, e perciò per m > 0 si ha dispersione in lunghezza d’onda: θm= arcsin  mλ h − sin(θinc)  (1.3) Altri parametri che caratterizzano un reticolo sono:

• Dispersione angolare ∆θ ∆λ =

m h cos(θ)

(10)

(a) Più fenditure (b) Frange d’interferenza per 5 e 20 fenditure convolute con il pattern di diffrazione della singola riga. Confrontato con la figura 1.6b si nota come i massimi si stringono ed i minimi aumentano in numero (ci sono N minimi tra due massimi) e diminuiscono d’intensità all’aumentare delle righe N .

Figura 1.7: Immagine del pattern di un reticolo con numero crescente di righe. Si passa dalle due righe di fig.1.6aalle N righe di un grating. Notare come sono più evidenti i massimi corrispondenti agli ordini di diffrazione di una sola lunghezza d’onda. [3].

• Free Spectral Range4 λ

m • Risoluzione5 λ m

h

Una versione più efficiente di reticolo è costituita da un insieme di linee riflettenti incise a ‘dente di sega’ in modo da formare tutte lo stesso angolo rispetto alla superficie macroscopica del reticolo: l’angolo di blaze (da cui il nome di Blazed Grating)(Figura ??). La differenza di cammino ottico generata dalla disposizione geometrica delle superfici induce lo spostamento dei massimi d’interferenza a bassi angoli, per cui la convoluzione col profilo della diffrazione da sorgente puntiforme porta ad avere una maggiore efficienza al primo ordine e non all’ordine zero di diffrazione. L’ottimizzazione è ovviamente per una determinata lunghezza d’onda, motivo per cui bisogna scegliere il reticolo opportuno per lo studio richiesto, insieme al numero di righe N che determinerà il potere disperdente.

4

l’intervallo massimo in lunghezza d’onda per il quale non si ha sovrapposizione di ordini differenti

5

(11)

Figura 1.8: Schema ottico di un grating blazed : si vede come il primo ordine (per una data lunghezza d’onda) sia molto più vicino alla normale rispetto ad un reticolo piatto.

Il monocromatore utilizzato ha a disposizione 3 blazed gratings ottimizzati per lunghezze d’onda nel vicino IR, rispettivamente da 300, 600 e 1200 righe per millimetro ciascuno.

1.5

CCD

La CCD (dall’inglese Charge-Coupled Device) consiste in un circuito inte-grato formato da una griglia di elementi semiconduttori (photosite) in grado di accumulare una carica elettrica proporzionale all’intensità della radiazione elettromagnetica che li colpisce. Questi elementi sono accoppiati (coupled) in modo che ognuno di essi, sollecitato da un impulso elettrico, possa trasferire la propria carica ad un altro elemento adiacente.

È esattamente quello che serve per la misura dello spettro diffuso dal mono-cromatore: permette di misurare indirettamente l’intensità di ogni singola riga spettrale.

Figura 1.9: Rappresentazione pittorica del funzionamento di alcuni pixel (in rosso), elementi base della CCD

Ciò che ci interessa ai fini della presente esperienza è il meccanismo di ac-quisizione di una CCD; trascureremo quindi i dettagli su come il dispositivo converte fotoni in elettroni e le sue caratteristiche strutturali.

(12)

la matrice di pixel che compongono la CCD contiene l’informazione sulla di-stribuzione dell’intensità luminosa sulla superficie sotto forma di elettroni, il cui numero (proporzionale all’intensità) andrà misurato per ogni pixel. Queste cariche si è detto che possono muoversi nei pixel adiacenti, mentre non possono essere spostate perpendicolarmente alla superficie per motivi strutturali: l’ac-quisizione delle cariche elettriche può essere fatta quindi solamente al bordo del dispositivo. Ecco quindi l’importanza del coupling dei pixel tra loro, che ci consentirà di far scorrere le cariche da uno all’altro fino all’estremità del dispositivo.

(a) Pixel con la propria ca-rica, corrispondente ai fo-toni che l’hanno illumina-to.

(b) Si porta il supporto me-tallico dei due pixel alla stesso potenziale, in modo da far fluire le cariche.

(c) La carica del pixel cen-trale si è così spostata sul pixel alla sua destra.

Figura 1.10: Diagramma illustrativo del timing dello spostamento delle cariche di ogni pixel attraverso la CCD.

L’acquisizione della carica di ogni pixel avviene mediante un buffer che ha la capacità di tanti pixel quanti sono quelli di un array della CCD. Il processo si divide quindi in due fasi: spostamento dell’ultimo vettore di cariche sul buffer e spostamento di un vettore in basso, al posto del precedente appena acquisito. I dati nel buffer vengono quindi convertiti in formato digitale e memorizzati. Al termine del processo di acquisizione si provvederà ad unire le informazioni per ricostruire in digitale l’intensità letta dalla CCD.

1.5.1 Tempo di acquisizione

Queste operazioni richiedono un tempo che è legato all’elettronica di acqui-sizione e allo spostamento delle cariche all’interno della CCD, determinando quindi dei limiti strutturali del dispositivo.

Se l’esperimento richiede (come nel nostro caso) la misura ad una frequenza superiore a quella dell’acquisizione del dispositivo, si può dividere la matrice di pixel in più stringhe e limitare l’illuminazione ad una sola di queste strisce, così da limitare la superficie di acquisizione ad un numero minore di righe per ogni ciclo ed aumentare così la velocità di elaborazione e quindi la frequenza di misura.

1.5.2 Applicazione all’esperimento

La CCD in dotazione è una Princeton Instruments modello pixis 100 excelon, con 100 righe e 1340 colonne. Essa è raffreddata a −80◦C grazie ad una cella Peltier per minimizzare il noise di background che disturba le misure.

(13)

Figura 1.11: Esempio di co-me suddividere l’area del-la CCD in due sezioni, di cui una sola è illumi-nata. Si noti l’elettroni-ca di acquisizione in fondo all’immagine.

Per poter fare misure alla stessa frequenza del laser si dovrebbe lavorare ad 1kHz, ma il tempo minimo perché l’apparato sia pronto per una nuova misura (considerando anche i tempi dei software) è molto oltre 1ms. Per cui, per poter sfruttare le potenzialità del laser e diminuire i tempi di misura a parità di cicli si deve ridurre ad 1/5 il periodo di acquisizione: si suddivide la CCD in 5 stri-sce di pixel, le quali slitteranno di una posizione ad ogni ciclo di acquisizione, sincronizzate col clock del laser. Se la striscia illuminata è la prima in alto, la raccolta dati di questa si avrà dopo 5 cicli di acquisizione, poiché nel frattempo l’informazione rimane immagazzinata nel dispositivo. Non è necessario che sia la prima striscia ad essere illuminata (le superiori resteranno sempre pulite), l’importante è che il fascio incidente illumini con precisione una sola striscia, altrimenti si sovrappongono più misure.

Il fatto che il risultato della misura sia mediato dal software su centinaia di rilevamenti fa sì che non sia rilevante quale delle cinque strisce sia illuminata. Se si utilizza la tecnica del FSRS con una reference oltre al segnale, si è detto in precedenza che i due spettri generati dallo spettrometro relativamente ai due fasci dovranno incidere su due strisce di pixel adiacenti, in modo tale da permettere al software di operare secondo l’equazione (1.1). Ciò richiede un’accurata operazione di focalizzazione ed allineamento che sarà descritta successivamente.

Si hanno quindi tutti gli strumenti necessari per procedere con la Spettroscopia Raman Stimolata al Femtosecondo.

(14)

Capitolo 2

Calibrazione dello spettrometro

2.1

Definizione dei parametri

Nell’introduzione teorica abbiamo ricavato la funzione che collega l’angolo di diffrazione alla lunghezza d’onda della radiazione incidente considerando solo il reticolo. Nel caso di una struttura complessa come quella dello spettrometro si è visto che il fascio entrante non viene soltanto diffratto dal reticolo, ma viene anche riflesso dagli specchi. Inoltre si deve tenere conto delle eventuali correzioni necessarie a causa di imprecisioni nel posizionamento della CCD. Per la calibrazione è necessario quindi costruire un modello teorico del mo-nocromatore definendo i parametri che influiscono sull’output. Riportiamo schematicamente in figura 2.1la struttura interna dello strumento.

Il fascio entrante dalla fenditura ES viene collimato sul reticolo dallo spec-chio concavo M1. Il reticolo è ruotato in modo in che il suo asse formi un angolo ψ rispetto all’asse dello spettrometro. L’angolo ψ si può far variare mediante un motorino meccanico pilotato dal programma di acquisizione dati. I fasci diffratti nelle diverse direzioni vengono infine raccolti e focalizzati dallo specchio M2 sul piano della CCD.

Sia λc la lunghezza d’onda della componente che viene diffratta in modo da illuminare il centro della CCD, e γ l’angolo tra il fascio incidente e la compo-nente λc del fascio uscente: dunque γ + ξ è l’angolo tra il fascio incidente e la

generica componente λ0 del fascio diffratto Gli ultimi angoli da definire sono quelli riferiti all’asse del reticolo: α quello del raggio incidente e β0 quello della componente λ0 del raggio diffratto.

(15)

Figura 2.1: Struttura interna del monocromatore. Proporzioni non reali.

Si ricorda che γ va considerato come un parametro fisso dello strumento; ψ è variabile, ma una volta selezionata una posizione è definito anch’esso; ξ dipende dalla λ0 considerata.

Per trovare la legge che collega λ0 agli angoli sopra definiti, e quindi la lun-ghezza d’onda corrispondente a determinati pixel della CCD, si deve ragionare sulla differenza di cammino ottico tra fascio diffratto da una linea del reticolo e quella successiva e trovare dov’è che si ha interferenza costruttiva.

Figura 2.2: Differenza di cam-mini ottici per un fascio diffuso da due punti differenti (le diver-se linee del reticolo). Gli angoli α e β0sono gli stessi della figura

(16)

Come si può vedere in figura, la differenza di cammino ottico è L0 − L = h cos(θ) − h sin(θ0), ma confrontando anche con la figura 2.1si può notare che θ0 è uguale ad α = −(ψ −γ2), e θ è il complementare di β0 = ψ +γ2 + ξ; quindi imponendo interferenza costruttiva si ottiene la legge di diffrazione:

λ0= h m h sinψ −γ 2  + sinψ +γ 2 + ξ i (2.1) .

Definendo gli altri due parametri f la lunghezza focale degli specchi, e δ l’inclinazione della CCD rispetto all’asse orizzontale, si può trovare la relazione di questi parametri con l’angolo ξ:

tan(ξ) = nx cos(δ)

f + nx sin(δ) (2.2) dove n è l’indice del pixel e x la sua larghezza.

Sostituendo la2.2nella 2.1otteniamo una legge con la quale prevedere la lun-ghezza d’onda rivelata dall’n-esimo pixel una volta fissati i parametri specifici dello spettrometro (γ, δ e f ). Sono dunque questi i parametri su cui agire per calibrare l’output dello strumento.

La relazione 2.1 si semplifica considerevolmente se calcolata per λ0 = λc

(cioè per ξ = 0): tramite le note formule per il seno della somma di due angoli, otteniamo (in approssimazione di piccoli angoli):

λc=  2h mcos γ 2  sin(ψ) = G sin ψ ' Gψ (2.3) ossia la relazione lineare che consente di calibrare la rotazione del reticolo in funzione della lunghezza d’onda centrata sulla CCD. Tuttavia, poiché si tratta di un reticolo blazed, quando il reticolo è nella posizione orizzontale di riposo (ψ = 0) non si ha l’ordine 0 di diffrazione (λc= 0) in quanto l’asse ottico non coincide con l’asse del reticolo (cfr. Normal to Groove face e Grating Normal in figura??).

Naturalmente, per far sì che le righe osservate non si allarghino troppo oltre la loro larghezza naturale, è necessario che il campo venga ben focalizzato al-l’ingresso del monocromatore1.

Supponendo di avere un fascio focalizzato esattamente in un punto (quindi trascurando allargamenti), quando si modifica la direzione del campo entrante, il primo specchio lo collima in una direzione diversa e quindi cambia l’angolo di incidenza sul reticolo e di conseguenza anche la lunghezza d’onda che compare al centro della CCD.

Lo spostamento dell’asse ottico in ingresso genera quindi un errore sistematico

1

E’ evidente, osservando la figura2.1, che se in ES ci sono due sorgenti spazialmente se-parate, il fascio viene collimato dallo specchio M1 in due direzioni diverse, e quindi le compo-nenti alla stessa lunghezza d’onda dei due raggi finiscono su diversi punti del monocromatore. Da qui deriva l’allargamento di riga.

(17)

che si corregge semplicemente aggiungendo un Offset ψ0 alla 2.3, da calibrare

ogni volta che si sposta la sorgente o l’asse ottico prima della fenditura. ψ = Gλc+ ψ0 (2.4)

2.2

Calibrazione

Il programma (Matlab) di acquisizione dati richiede in input una lunghez-za d’onda per pilotare il reticolo in modo che la componente spettrale alla lunghezza d’onda indicata vada ad incidere al centro della CCD (quella che abbiamo chiamato λc). Una volta effettuata l’acquisizione dello spettro (cfr. sezione1.5), viene dato in output il grafico del numero di conteggi in funzione della lunghezza d’onda mediato su 200 acquisizioni:

Figura 2.3: Esempio di riga spettrale con scala molto dilatata: in ascissa le lunghezze d’onda, in ordinata il numero di conteggi mediato su 200 acquisizioni (così per tutte le figure). La scala è ingrandita e per questo sono riportati solo pochi pixel della CCD. In realtà sono raffigurate due curve, una in verde e una in blu, corrispondenti al fatto che il programma di acquisizione considera alternatamente un conteggio per il pump off e uno per il pump on, calcolando le due medie separatamente. In tutta la fase di calibrazione, non c’è ovviamente differenza tra i due casi, e le curve sono pressoché sovrapposte.

La procedura di calibrazione consiste innanzitutto nell’impostare i parame-tri (Offset e Gain-Adjust) della relazione2.4, in modo che la lunghezza d’onda λc cada effettivamente al centro della CCD e, in secondo luogo, nel definire

il rapporto di conversione tra pixel e lunghezza d’onda per avere uno spettro corretto, rapporto che non è lineare e dipende dai tre parametri f , δ, γ . (Cfr. sez.2.1).

Per entrambe le fasi di calibrazione è stata utilizzata una lampada al neon, di cui sono state scelte le due righe d’emissione più intense, di frequenza[5]:

λ1 = 585.249 (2.5)

λ2 = 640.225

Il fatto di usare una sorgente non collimata come una lampada non consente l’uso di una lente per focalizzare il fascio in una regione quasi puntiforme ed evitare così un eccessivo allargamento di riga. Si è quindi obbligati a restringere

(18)

il più possibile la fenditura di ingresso nel monocromatore. D’altra parte si deve considerare l’effetto di diffrazione della fenditura, che comincia a comparire quando l’apertura è delle dimensioni della lunghezza d’onda e che si manifesta con la comparsa di piccole gobbe ai lati dei vari picchi dello spettro.

Per tutta la durata dell’esperienza si è riusciti (eventualmente stringendo o allargando la fenditura) a mantenere la larghezza a mezza altezza delle righe nell’ordine di 2 pixel, escludendo così effetti di diffrazione.

Nella calibrazione si è tenuto conto della diversa risoluzione dei tre reti-coli (essendo il potere risolutivo di un reticolo proporzionale al passo), che determina l’incertezza sulla lunghezza d’onda misurata. Essa è stata stimata approssimativamente dai grafici, guardando la differenza di lunghezza d’onda corrispondente a due pixel contigui2, come riportato nella seguente figura.

Reticolo ∆λ (righe/mm) (nm)

1200 ' 0.03 600 ' 0.07 300 ' 0.12

Tabella 2.1: Incertezze stimate per ogni reticolo.

Figura 2.4: Metodo grafico per la determinazione dell’incertez-za sulla lunghezdell’incertez-za d’onda in let-tura (nm in ascissa). Il confine del pixel si riconosce come ango-lo della linea spezzata. In questo caso il reticolo usato è quello con 300 righe/mm.

2.2.1 Offset e Gain-adjust

Prima di tutto dunque bisogna calibrare i parametri della relazione2.3. Si noti che nella descrizione dei parametri effettuata nella sezione 2.1si è con-siderato solo un reticolo alla volta, trascurando la struttura triangolare della torretta porta-reticoli (cfr. figura ??), per cui per ognuno dei tre reticoli si considerava 0 l’angolo di riposo. In seguito dovremo tener conto nel program-ma di acquisizione che l’angolo è una variabile continua della posizione della torretta triangolare. Inoltre nel programma in Matlab le relazioni non sono espresse in angoli, ma in numeri adimensionali che per ovvi motivi si presume siano proporzionali all’angolo. Infatti, a posteriori, si è riscontrato che i valori di G per i tre reticoli in linea di massima sono simili tra loro, mentre quelli di

2

Per variazioni di posizione così piccole, dell’ordine di un pixel, possiamo considerare lineare la relazione tra ∆n e ∆λ, e quindi indipendente da λ.

(19)

ψ0sono incrementati di una costante comune, vista la simmetria della torretta:

reticolo (righe/mm) Offset Gain-Adjust

1200 242 1004130

600 1536268 1003580 300 3072295 1004290

Per la calibrazione, prima si inserisce in input la frequenza λ0 = 0 nm e si

modifica l’Offset fino a quando non si vede comparire l’ordine 0 di diffrazione esattamente al centro della CCD (nei limiti dell’incertezza stimata per ogni reticolo); poi si seleziona una delle due lunghezze d’onda 2.5 e si calibra allo stesso modo G; infine per aumentare l’accuratezza si verifica che anche l’altra lunghezza d’onda compaia al centro quando richiesto.

Riportiamo in figura2.5gli esempi di output a calibrazione effettutata del reticolo con 600 righe/mm, con entrambe le lunghezze d’onda.

Una verifica importante di quanto previsto sulla dipendenza dell’Offset dalla direzione del fascio entrante è stata fatta osservando che spostando la posizione della sorgente, e quindi modificando la direzione del fascio entrante, le lunghezze d’onda in output (di cui abbiamo controllato l’ordine 0, λ1 e λ2)

risultano traslate dello stesso valore ∆λ, cioè è necessario cambiare il parametro di Offset, ma non il fattore di proporzionalità G. L’Offset non va calibrato una volta per tutte, ma prima di ogni esperimento, una volta fissato il cammino ottico (tramite due pinhole).

2.2.2 Altri parametri

Per gli altri tre parametri, che riguardano la conversione tra pixel della CCD e lunghezze d’onda, la procedura più precisa di calibrazione consiste nel confron-tare l’intensità di uno spettro conosciuto con le intensità dello stesso spettro misurate pixel per pixel. Si utilizza un set di m lunghezze d’onda λi tabulate

con le rispettive intensità relative Ireli, e tramite la relazione (2.1), che tiene conto dei parametri del monocromatore, si può prevedere l’intensità incidente sull’n-esimo pixel della CCD, per un certo angolo ψ del reticolo:

Iψ(λ0(n; ψ; f, γ, δ)) = I0+ m X i=0 Irelie −(λ0(n)−λi)2 2σ2 (2.6)

dove σ è la larghezza dei picchi osservata in output. La minimizzazione degli scarti quadratici tra valore atteso secondo questa formula e valore misurato consente di trovare i valori esatti dei parametri.

Per brevità tuttavia abbiamo proceduto senza il confronto delle intensità per ogni pixel e considerando soltanto la corretta posizione dei picchi fonda-mentali dello spettro 2.5, misurandoli però per diversi angoli di incidenza sul reticolo, ruotandolo cioè in modo che le due lunghezze d’onda comparissero

(20)

Figura 2.5: Calibrazione Offset e Gain-Adjust per reticolo 600 righe/mm: in alto λ1, al

(21)

vicino al bordo della CCD, una volta a destra e una a sinistra3.

Questa operazione permette di verificare contemporaneamente se la calibra-zione di Offset, Gain-Adjust e fattore pixel-lunghezza d’onda è stata fatta correttamente.

Naturalmente va considerato che mentre il parametro δ deve essere lo stesso per tutti e tre i reticoli (l’inclinazione della CCD rimane invariata), l’angolo γ e la focale f dipendono dalla rotazione del reticolo, quindi hanno valori diversi per i tre grating. Una volta fissati i tre valori per un reticolo, negli altri si è lasciato δ invariato.

Riportiamo anche in questo caso alcuni grafici che mostrano le lunghezze d’onda a calibrazione effettuata (figura 2.6).

Figura 2.6: Calibrazione ∆λ per reticolo 1200 ri-ghe/mm. In alto mono-cromatore centrato su λ = 600.00 n, ingrandimen-to della porzione di sini-stra dello spettro. In bas-so, monocromatore centra-to su λ = 570.00 nm, in-grandimento della porzione destra.

Si è agito tenendo conto che variare δ o γ comporta uno slittamento di tutte le frequenze verso destra o verso sinistra, mentre aumentando o diminuendo la lunghezza focale f si restringe o si allarga la scala dello spettro. Cio è facilmente visibile dalla figura 2.1 e dalle formule descritte nella sezione 2.1: aumentando f , ad esempio, diminuisce l’angolo ξ , e quindi si comunica al programma di scrivere, in corrispondenza dello stesso pixel, una lunghezza d’onda più vicina a λc; se invece si aumenta il valore di γ, tutte le frequenze

vengono focalizzate più a sinistra, compresa λc (infatti la calibrazione di γ

dovrebbe essere compresa in quella del Gain-Adjust, come si vede dalla 2.3

-3

Anche in questo caso si è dovuto tenere conto delle differenze tra i reticoli: quello da 300 righe/mm proietta sulla CCD un intervallo di frequenze di circa 130 nm, quello da 600 righe/mm un intervallo all’incirca di 80 nm, e il terzo di 40 nm.

(22)

per questo motivo si è cercato di modificare poco questo parametro). Infine δ, che se positivo come in figura, implica che i raggi focalizzati a destra di λc

incidano più vicini al centro della CCD, quelli a sinistra più lontano (λcrimane

invariata in questo caso).

2.3

Verifica con lampada a mercurio

Per rendere quantitativamente più precisa l’operazione di calibrazione, si è eseguita una verifica con una lampada al mercurio.

In questo caso abbiamo selezionato cinque frequenze di emissione conosciute e abbiamo controllato che l’output fosse corretto, sia centrando il monocromatore su queste frequenze, sia facendole incidere sul bordo della CCD.

Riportiamo in tabella2.2le misure effettuate, con le relative lunghezze d’onda teoriche. λ(nm) λmis (nm) ∆λ (nm) 404.66 404.64 ± 0.03 0.02 407.78 404.77 ± 0.03 0.01 435.83 435.80 ± 0.03 0.03 576.96 576.95 ± 0.03 0.01 579.06 579.07 ± 0.03 0.01 λ(nm) λmis(nm) ∆λ (nm) 404.66 404.60 ± 0.07 0.06 407.78 404.70 ± 0.07 0.08 435.83 435.85 ± 0.07 0.02 576.96 576.95 ± 0.07 0.01 579.06 579.05 ± 0.07 0.01 λ(nm) λmis (nm) ∆λ (nm) 404.66 404.80 ± 0.12 0.14 407.78 404.95 ± 0.12 0.17 435.83 435.75 ± 0.12 0.8 576.96 576.90 ± 0.12 0.6 579.06 579.00 ± 0.12 0.6

Tabella 2.2: Confronto fra valori attesi e misurati (al bordo sinistro della CCD): la colonna destra riporta lo scarto tra valore teorico e sperimentale. Si noti come tutte le misure siano compatibili, entro 1 errore di misura. In ordine il reticolo da 1200, 600 e 300 righe/mm.

Come si vede, gli errori risultano confrontabili con l’incertezza stimata a seconda del reticolo (vedere tab.2.1), più grandi per il reticolo 300 e più piccole per il 1200, per cui la calibrazione si può considerare ottimale4.

4Per quanto riguarda il lato destro e il centro della CCD ci siamo limitati a controllare

(23)

Capitolo 3

Caratterizzazione del bianco

La seconda parte dell’esperienza consiste nel preparare la strumentazione ot-tica per ottenere il fascio di probe (figura 3.1) con relativa reference e nel caratterizzare lo spettro del segnale appena generato.

Si utilizza un laser a 800 ± 28nm con impulsi di 50f s di 3, 6mJ e una frequenza di ripetizione di 1kHz. [6]

3.1

Generazione del bianco

L’impulso di bianco si genera dall’impulso monocromatico del laser tramite effetti di ottica nonlineare al terzo ordine. La procedura seguita fa riferimento allo schema ottico in figura 3.1.

Il fascio laser viene diviso da un beam-splitter non simmetrico (la linea trat-teggiata è il fascio trasmesso, che servirà come Raman pump) e il fascio riflesso attraversa una delay line (nell’ambito di questa esperienza non sarà di alcuna utilità, ma nell’esperimento è importante modulare il ritardo tra pompa atti-nica e Raman probe).

Il bianco è generato dal cristallo in Titanio-Zaffiro grazie alla sua alta non-linearità ( χ(3) ): da una luce monocromatica si ottiene una banda continua di

frequenze, dal rosso al blu, con intensità spettrale (che sarà caratterizzata in seguito) legata alla casualità del Phase-matching che si realizza nel cristallo. Il fascio laser, prima di incidere sul cristallo, passa per un pinhole (PH) che riduce le dimensioni dello spot luminoso, poi viene ridotto di intensità dall’at-tenuatore (A) per evitare che l’elevata potenza rovini il cristallo. La lente L, cui precede un ulteriore pinhole, focalizza il fascio laser collimato sul cristal-lo, in maniera tale da concentrare l’energia del fascio ed innescare il processo nonlineare (che essendo a soglia richiede potenze molto alte). Lo specchio con-cavo M raccoglie l’impulso di bianco così prodotto e lo collima su M1, che lo indirizza tramite M2 sull’asse ottico che precede il monocromatore. Degli altri elementi ottici, i pinhole successivi servono per fissare l’asse ottico del mono-cromatore (altrimenti ad ogni minimo spostamento si deve ricalibrare l’Offset; cfr. sezione 2.1) e la lente finale L1 focalizza sulla fenditura ES del monocro-matore.

(24)

Figura 3.1: Porzione di banco ottico in pianta dedicata alla generazione del fascio di probe.

M, per studiarne lo spettro in trasmissione (o talvolta in riflessione, ma con una configurazione ottica differente): la luce successiva al campione è il Ra-man probe.

Descritto il materiale ed il percorso del fascio, si illustrano le fasi da seguire per generare il bianco.

Il primo passo consiste nello stabilire l’asse ottico attraverso i due pinhole PH1 e PH2 e quindi, fissato questo, calibrare nuovamente l’Offset. Come accennato nella sezione 2.2.1, non è necessario ricalibrare anche Gain-Adjust. Per fare ciò si utilizza il fascio del laser attenuato (senza ancora interporre il cristallo nonlineare) che passa per il filtro passabanda F con una finestra spettrale di 800±10 nm.: una linea stretta è necessaria per verificare la corretat focalizza-zione del fascio sulla fenditura. Il filtro verrà ovviamente rimosso per il seguito dell’esperienza. L’allineamento dell’asse ottico in PH1 e PH2 si realizza con la seguente strategia: dapprima si centra il fascio in PH1 (chiuso completamente) regolando l’inclinazione dello specchio M1; poi aprendo completamente PH1 e chiudendo PH2 si centra il fascio nel secondo pinhole mediante lo specchio M2. Si itera il procedimento fino a che il fascio non passa perfettamente al centro dei due pinhole.

A questo punto si regola la centratura del fuoco della lente L1. Si porta il fuoco sull’asse che passa esattamente per il centro della fenditura agendo sul-la posizione orizzontale delsul-la lente: si alsul-larga sul-la fenditura per fissare sul-la scasul-la di visualizzazione dei conteggi, in modo da poter massimizzare l’intensità nel prossimo passo; poi si stringe la fenditura e si regolano la posizione e l’inclina-zione della lente cercando di massimizzare l’ampiezza della riga osservata. Ora che l’asse perpendicolare alla fenditura è stato individuato, tenendo chiusa la

(25)

fenditura e muovendo avanti o indietro la lente si massimizza l’intensità finché il fuoco non è esattamente sul piano della fenditura.

Purtroppo una focalizzazione perfetta non si riesce ad ottenere a causa dell’aberrazione cromatica1, ma utilizzando un doppietto acromatico (una len-te con due strati di densità diverse e quindi indici di rifrazione differenti) si riescono a focalizzare meglio anche le parti marginali dello spettro.

In figura3.4viene mostrato l’output che si ottiene a calibrazione e focaliz-zazione effettuata.

3.2

Reference

Si è accennato nel paragrafo 1.3all’opportunità di affiancare al fascio di pro-be, sia per il caso di pompa Raman attiva che inattiva, una reference, cioè un fascio gemello a quello che incide sul campione come probe ma che non lo attraversa, da utilizzarsi come riferimento per la normalizzazione in modo da eliminare le eventuali fluttuazioni di intensità delle componenti spettrali, intrinseche alla generazione del continuo. Per ottenere ciò è importante che la reference venga acquisita contemporaneamente al fascio di probe.

Finora il programma di acquisizione considerava un impulso del laser come pump on e il successivo come pump off ; ora si tratta di affiancare sulla CCD ad entrambi i fasci la rispettiva reference. In questa esperienza, non essendoci il campione da analizzare, i due fasci evidentemente coincidono, quindi quello che ci interessa è soltanto la sistemazione dell’ottica necessaria a far incidere sulla CCD due fasci contemporaneamente, uno sulla stringa di pixel sopra a quella dell’altro. Nel momento in cui sarà posizionato il campione da analiz-zare nel cammino del fascio di probe ed un fascio di Raman pump inciderà su di esso, si potranno fare misure di guadagno Raman.

Si inserisce tra i due pinhole PH1 e PH2 un beam splitter posizionato a 45◦ in verticale e, appena sopra il fascio riflesso, uno specchio che indirizza quello che sarà il fascio di reference all’ingresso del monocromatore, come in figura.

Figura 3.2: Sezione verticale del banco ottico dedicato alla reference. Le proporzioni non sono reali, in quanto i due fasci sono mantenuti il più possibile paralleli e vicini.

1

A causa della variazione dell’indice di rifrazione, il fuoco della lente dipende dalla fre-quenza del campo.L’effetto non è trascurabile quando, come in questo caso, si considera uno spettro esteso su tutta la scala del visibile.

(26)

A questo punto si cerca di focalizzare entrambi i fasci. Si è usato per questo compito il programma SpectraPro, che permette di visualizzare direttamente l’imaging della CCD. Per utilizzare questa funzionalità abbiamo però dovuto cambiare la modalità di acquisizione: invece che una stringa di pixel alla volta, si vuole osservare infatti tutta la CCD contemporaneamente2.

Controllando l’imaging (figura3.3) e parallelamente modificando l’inclinazione dello specchio M e della lente L in figura 3.2, si cerca di rendere i fasci tanto sottili quanto possibile3. Si è ottenuta una larghezza trasversale dello spettro all’incirca di 10 pixel, come visibile in figura. Non si è riusciti ad allineare perfettamente i due spettri, forse a causa dell’inclinazione della CCD , o più probabilmente per il fatto che i due fasci non attraversano la lente esattamen-te paralleli e quindi è impossibile una focalizzazione ideale per entrambe le direzioni.

Figura 3.3: Imaging della CCD illuminata dai due fasci. Le frequenze sono da leggersi al rovescio di come riportato: rosso a sinistra e blu a destra (non è stata invertita la scala al momento dell’acquisizione). Quella più intensa (in basso) è la reference, cioè il fascio riflesso dal BS (che ha riflettività maggiore della trasmittività). L’asse orizzontale dei pixel è già convertito in lunghezze d’onda, e ad ogni pixel riportato in ordinata corrispondono in realtà due pixel reali.

Perfezionata la focalizzazione, bisogna spostare i due fasci in modo che il-luminino due stringhe contigue (da 20 pixel ciascuna4); l’acquisizione procede come prima, sincronizzata con il laser. Per evitare però che una delle due stringhe (quella in alto), dopo 1 ms venga illuminata dal successivo impulso

2In questo modo si perde la coincidenza con l’impulso laser, perché, come avevamo visto

nella sezione1.5, solo acquisendo una stringa alla volta la lettura può essere effettuata in un tempo inferiore ad 1 ms (il periodo del laser). Quindi dopo che la CCD è stata illuminata, lo schermo gira sulla ruota portafiltri e chiude l’ingresso nel monocromatore fintantoché i dati non sono stati immagazzinati, per poi riaprirsi in attesa del successivo treno di impulsi.

3Il doppietto acromatico risolve i problemi di aberrazione acromatica del fascio che giace

sul suo asse ottico. Il fascio di reference entra invece con una certa inclinazione nel doppietto che, seppur piccola, induce una sfocatura delle lunghezze d’onda marginali allo spettro: si è cercato di massimizzare la focalizzazione dello spettro della reference intorno ai 500 nm.

4In realtà, se necessario si può lavorare anche con stringhe da 25 pixel ciascuna, riuscendo

(27)

del laser, sovrascrivendo così le informazioni, è necessario inserire un chopper con frequenza di 500 Hz davanti al cristallo nonlineare, che faccia passare un impulso ogni 2ms: in questo modo quando il laser inciderà nuovamente sulla CCD, le due stringhe precedenti saranno già state trasportate in basso rispetto alla zona illuminata (o già immagazzinate se la zona illuminata è in fondo alla CCD).

Per posizionare correttamente i fasci sulle rispettive stringhe di pixel, siamo tornati a lavorare con il programma in Matlab. Le linee verde e blu sul grafico degli spettri λ vs I corrispondono all’acquisizione di due stringhe adiacenti; nell’interfaccia sono riportati come pump on e pump off, ma in realtà nel-l’attuale configurazione con il chopper e il doppio fascio entrante si tratta del probe e della sua reference5. Si ferma quindi uno dei due fasci e, regolando l’inclinazione verticale dello specchio M, si centra lo spettro del fascio libero minimizzando i conteggi corrisponenti al fascio bloccato. Si fa ciò perché gli eventuali conteggi in eccesso sono dovuti al fatto che il fascio non incide per-fettamente all’interno di una sola stringa ma invade quella vicina. Il risultato della centratura viene mostrato in figura 3.4.

Figura 3.4: Spettro del bianco generato da effetti nonlineari nel cristallo diTitanio-Zaffiro: TiAl2O3. In blu lo spettro del fascio di probe, in verde i conteggi della stringa (di reference)

non illuminata. Questi ultimi conteggi sono dell’ordine di 800, compreso il background (che consiste di circa 640 conteggi), trascurabili rispetto a quelli del fascio non bloccato, dell’ordine di 104.

Nella figura seguente (3.5) riportiamo l’ingrandimento dei conteggi della stringa non illuminata, che mostra come la minimizzazione non sia perfetta, in quanto rimangono sempre dei conteggi, soprattutto verso il rosso, nonostante sia già stato sottratto il background; questi conteggi sono comunque poco

5

Si dovrà successivamente modificare il programma in modo da rinominare in questo ordine i quattro fasci immagazzinati in successione (i primi due illuminano la CCD contem-poraneamente, e lo stesso - 2 ms dopo - gli altri due, ma l’acquisizione avviene uno ad uno, al passo di 1 ms): pump on, reference, pump off, reference.

(28)

significativi se confrontati con l’ordine di grandezza del fascio libero, cioè circa 102/104.

Figura 3.5: Conteggi in eccedenza sulla stringa adiacente a quella illuminata (uno dei due fasci è stato bloccato). Il background è già sottratto.

3.3

Stabilità del bianco

Per concludere, nella figura3.6riportiamo lo spettro del fascio di probe e della sua reference, una volta ultimati il posizionamento verticale e la focalizzazione.

Figura 3.6: Spettri dei due fasci di bianco che incidono contemporaneamente su due stringhe contigue della CCD.

Nell’ultima figura sono riportati gli errori relativi dello spettro dei fasci di probe e di reference in blu e verde, e del loro rapporto in viola (il rapporto

(29)

è calcolato come media dei rapporti di ogni singola acquisizione, non come rapporto dei due valori medi).

Poiché il beam splitter interviene dopo la generazione del bianco, i due fasci che incidono contemporaneamente sulla CCD hanno per definizione lo stesso spettro, quindi ci si aspetta che le fluttuazioni sul rapporto tra probe e reference dovute alla variabilità del bianco siano nulle. Dovrebbero rimanere solo le fluttuazioni dovute al readout noise ed allo shot noise, ineliminabili perché rispettivamente legate all’elettronica di acquisizione ed intrinseche alla natura della luce. Queste fluttuazioni sono rappresentate in figura dalla curva teorica gialla6 .

Figura 3.7: In blu e verde gli scarti relativi (sulla media di 200 conteggi) del fascio di probe e della reference; in viola gli scarti del loro rapporto; le linee rossa, azzurra e gialla sono i rispettivi scarti teorici calcolati tenendo conto del Read-Out noise elettronico e della fluttuazione poissoniana della luce (vedi nota).

Effettivamente nella maggior parte dello spettro la curva viola ha un an-damento molto vicino a quello teorico (la differenza è dell’ordine dell’uno per mille), e in più come previsto si cancellano le oscillazioni che sono presenti nelle curve blu e verde, cioè le fluttuazioni dello spettro del bianco.

Tuttavia in figura3.7 si nota la presenza di un forte picco intorno ai 400 nm, molto più grande della risalita che si osserva nella curva teorica (dovuta al fatto che in quella zona le intensità sono molto basse - centinaia di conteggi - per cui l’errore relativo poissoniano cresce considerevolmente). Per spiegare questo picco non basta quindi considerare lo shot noise, che è compreso nella

6

Lo shot noise fotonico è legato alla natura quantizzata dei fotoni: ogni fotone che arriva sul detector è un evento indipendente dagli altri e quindi il numero per unità di tempo di fotoni incidenti fluttua seguendo una statistica poissoniana. Considerato anche il rumore do-vuto alla lettura elettronica, che risulta in una costante indipendente dal numero di conteggi, in totale l’errore relativo minimo sul singolo spettro - in rosso e blu - è

∆I = p(Read − Out)

2+ ∆I P oisson

I =

p(Read − Out)2+ I

I

, dove I è il numero di conteggi. L’errore sul rapporto tra i due spettri la curva in giallo -si trova propagando gli errori sui -singoli fasci.

(30)

curva teorica; nè è lecito considerarlo una spia della tipica variabilità del bian-co (specie nelle bian-code), poichè bian-come già detto qualsiasi fluttuazione tipica del fascio dovrebbe scomparire facendo il rapporto dello spettro con se stesso.

Prima di ulteriori verifiche, senza le quali è inutile spingersi in congetture, si può ipotizzare che l’effetto sia dovuto allo sconfinamento di uno dei due fasci sulla stringa di pixel corrispondente alla precedente o alla successiva ac-quisizione. Ciò è compatibile con l’immagine della CCD 3.3, dove avevamo evidenziato la difficoltà di focalizzare in modo perfettamente parallelo i due spettri: nel blu (parte destra dell’immagine - le lunghezze d’onda sono inverti-te) è quindi plausibile che il fascio in alto vada a finire nella stringa superiore e quello in basso in quella inferiore. Inoltre dal grafico 3.5 si può riscontrare che i conteggi in eccesso sono confrontabili con l’intensità del bianco intorno ai 400 nm (dell’ordine del centinaio), per cui l’effetto di sforamento, se c’è, dà un contributo rilevante alla variabilità del rapporto tra i due segnali.

Tuttavia il problema resta circoscritto alla regione del blu, cioè sulla coda del-lo spettro del bianco, dove la bassa intensità non permetterebbe comunque di utilizzare questa sezione di frequenze per gli scopi dell’esperimento.

(31)

Bibliografia

[1] http : //f emtoscopy.phys.uniroma1.it/f emtoscopy/ [2] http : //it.wikipedia.org/

[3] Fowles G.R., 1975, Introduction to modern optics, Dover publications, 2nd ed.

[4] McCamant D.W., 2004, Rev. Sci. Instrum., Vol. 75, No. 11 pag. 4971 [5] http : //www.astrosurf.com/buil/us/spe2/hresol4.htm

[6] Pontecorvo E. et al, 2011, Optic Express, 19, 1107, Femtosecond stimulated Raman spectrometer in the 320-520nm range

Ringraziamenti

Si ringraziano per la pazienza con cui hanno risposto alle nostre questioni Carino Ferrante ed Emanuele Pontecorvo del laboratorio Femtoscopy.

Figura

Figura 1.3: Schema ottico del monocromatore in configurazione Spettrografo
Figura 1.4: Pittura del funzio- funzio-namento di un grating in  rifles-sione: il fascio incidente viene in parte riflesso (ordine 0) e in parte disperso, ai vari ordini di diffrazione.
Figura 1.7: Immagine del pattern di un reticolo con numero crescente di righe. Si passa dalle due righe di fig
Figura 1.9: Rappresentazione pittorica del funzionamento di alcuni pixel (in rosso), elementi base della CCD
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