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Montesquieu, Tutte le opere (1721-1754). Testo francese a fronte, a cura di Domenico Felice, Bompiani, Milano, «Il pensiero occidentale», 2014, CCLI-2689 pp.

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Montesquieu, Tutte le opere (1721-1754). Testo francese a fronte, a cura di Domenico Felice, Bompiani, Milano, «Il pensiero occidentale», 2014, CCLI-2689 pp.

Montesquieu, per riprendere un’efficace espressione coniata da Voltaire, «è un autore che pensa sempre, e fa pensare». Una visione d’insieme della sua riflessione – che tanta influenza ha esercitato ed esercita sul dibattito politico e culturale – è offerta dalla pubblicazione di Tutte le opere (1721-1754), sotto la direzione di Domenico Felice, uno tra i maggiori specialisti del pensiero montesquieiano, già curatore, nella stessa collana edita da Bompiani, del Dizionario filosofico di Voltaire (2013).

L’imponente volume raccoglie, in una nuova traduzione riccamente annotata e corredata del testo originale a fronte, tutte le opere che il Président diede alle stampe nel corso della sua vita: le Lettere persiane (1721), Il Tempio di Cnido (1725), le Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza (1734), il Dialogo tra Silla ed Eucrate (1745), Lo spirito delle leggi (1748), la Difesa dello spirito delle leggi e il Lisimaco (1754). Nonostante la maggior parte di queste opere fosse già disponibile in traduzione italiana, talvolta di ottima fattura (come ad esempio l’edizione Rizzoli dello Spirito delle leggi commentata da Robert Derathé), l’impresa editoriale coordinata da Felice sembra apportare elementi di originalità non irrilevanti per l’approfondimento del dibattito italiano sulla figura di Montesquieu. In primo luogo, è opportuno segnalare come il presente volume rappresenti il primo pannello di un più ampio trittico: a esso faranno infatti seguito altri due tomi, dedicati rispettivamente agli scritti postumi e alla corrispondenza, che consentiranno al lettore italiano di disporre per la prima volta – per di più in un’edizione economica alla portata del grande pubblico – dell’intero corpus dell’opera di Charles-Louis de Secondat. In secondo luogo, la lettura “incrociata” di scritti appartenenti non solo a fasi diverse della riflessione di Montesquieu, ma anche a registri narrativi distanti tra loro (si spazia infatti dal romanzo epistolare al poema in prosa, dal trattato politico alla fiction historique), consente di far emergere una visione del suo pensiero ben più sfaccettata e complessa rispetto a quella che è andata affermandosi nella vulgata storiografica.

Ancor oggi, nell’immaginario collettivo, Montesquieu è innanzitutto l’autore della moderna teoria della separazione dei poteri e il suo nome è evocato ogni qual volta si voglia denunciare un conflitto d’interessi, ossia l’eccessiva concentrazione di potere in una o poche mani. Una simile immagine, benché veritiera, è inevitabilmente stereotipata e riduttiva, come mostra convincentemente Domenico Felice nella lunga Introduzione che apre il volume (pp. VII-CXXXV). Questo corposo testo, già pubblicato in una prima versione come monografia autonoma (Introduzione a Montesquieu, CLUEB, Bologna, 2013), dispiega dinnanzi agli occhi del lettore la genesi della teoria politica di Montesquieu. Si tratta di una teoria compiuta ma, coerentemente con gli ideali illuministici, non sistematica, incentrata sull’idea che la dimensione politica si fondi inevitabilmente su un irriducibile dualismo tra oppressione e libertà. Da qui una visione del mondo complessa e ricca di sfumature: pur credendo fermamente nella democrazia e nella sovranità del popolo, Montesquieu mantiene una visione antropologica estremamente realista, sorretta dal suo costante interesse sociologico per l’esistenza umana nelle diverse culture e nelle diversi fasi della storia (basti pensare all’esempio di Roma). La democrazia, in altre parole, non è mai per lui una conquista definitiva, ma un meccanismo delicato e complesso, da maneggiare con cura e dedizione per poter mettere i cittadini al riparo da qualunque forma di prevaricazione, compresa quella operata dalla massa popolare stessa.

Alla ricostruzione “interna” del pensiero di Montesquieu e della sua evoluzione fanno inoltre da contrappunto alcune interessanti considerazioni sulla sua ricezione nella modernità. Queste riflessioni – approfondite in un altro recente lavoro di Felice che si può considerare una sorta di pendant a quanto qui scritto (Montesquieu e i suoi lettori, Mimesis, Milano-Udine, 2014) – fanno emergere l’influenza determinante, ma non sempre riconosciuta, che Montesquieu ha esercitato sull’intera tradizione filosofico-politica occidentale: «Tra tutti i moderni egli è forse l’autore più “sfruttato” dai filosofi successivi, ma nei cui confronti meno frequentemente e meno esplicitamente ci si è sentiti in dovere di riconoscere il proprio debito» (p. CXXX). Il presente volume, in conclusione, può sicuramente contribuire a far tramontare definitivamente un simile pregiudizio, mettendo al contrario in luce – per riprendere un’altra celebre citazione, questa volta di Hannah Arendt – come «non vi è un solo evento rilevante, nella nostra storia recente, che non possa rientrare nello schema di intuizioni tracciato da Montesquieu». [M. Me.]

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