Master Universitario di II livello GECA - Gestione e Controllo dell’Ambiente: economia circolare e management efficiente delle risorse.
Anno Accademico
2018/2019
Valorizzare gli aggregati riciclati:
come l’economia circolare può
prendere forma
Autore
Ing. Francesca Albano
Tutor Scientifico
Dott. Andrea SbandatiTutor Aziendale –
AVR S.p.A.1
INDICE
1.
INTRODUZIONE ... 2
Le motivazioni del lavoro ... 2
2.
INQUADRAMENTO GENERALE ... 4
La gestione dei rifiuti ... 4
La crisi delle risorse ... 4
3.
IL CONTESTO DEL LAVORO ... 7
Il rifiuto da spazzamento stradale ... 7
3.1.1. Definizione ... 7
3.1.2. Raccolta differenziata e rifiuto da spazzamento stradale ... 7
3.1.3. Riciclaggio e rifiuto da spazzamento stradale ... 12
L’impianto di soil-washing della piattaforma AVR S.p.A. ... 15
3.2.1. Decrizione dell’unità di trattamento (Linea 1) ... 15
3.2.2. I prodotti recuperati dalla Linea 1 ... 18
3.2.3. Considerazioni conclusive in merito al prodotto recuperato ... 21
4.
LE PREMESSE ALLE SOLUZIONI ... 22
Il contesto normativo ... 22
4.1.1. La disciplina End of Waste ... 22
4.1.2. I recenti sviluppi normativi ... 24
4.1.3. Il Green Public Procurement e i Criteri Minimi ambientali ... 25
Il contesto culturale: materiale vergine vs materiale da recupero ... 28
4.2.1. Diffidenza e scarsa conoscenza del prodotto da recupero ... 28
4.2.2. Le criticità causate dall’attività estrattiva ... 29
5.
LE SOLUZIONI PER LA VALORIZZAZIONE DEGLI AGGREGATI
RICICLATI ... 32
La produzione di asfalto a freddo in sacchi ... 33
La produzione di blocchi di calcestruzzo tipo Lego ... 35
La produzione di calcestruzzo per impieghi strutturali ... 41
Deposito a lungo termine... 47
6.
CONCLUSIONI ... 49
BIBLIOGRAFIA ... 52
2
1. INTRODUZIONE
Le motivazioni del lavoro
Il presente lavoro nasce dall’esigenza della società AVR S.p.A. di valutare l’implementazione di un progetto di economia circolare a partire dai prodotti derivanti dal processo di trattamento e recupero dei residui di pulizia stradale e altri rifiuti non pericolosi, gestiti con tecnologia
soil-washing all’interno della linea 1, presso la piattaforma di Guidonia Montecelio (RM).
Questi prodotti, regolamentati dell’art. 184 ter (Cessazione della qualifica di rifiuto) del D.Lgs. 152/06 o Codice dell’ambiente, sono degli inerti, più propriamente aggregati, distinti per dimensione granulometrica, con caratteristiche merceologiche conformi alle normative tecniche di settore relative ai materiali da costruzione, corredati quindi di dichiarazione di prestazione (DoP) e marcati CE.
Possiedono dunque tutte le carte in regola per poter essere adoperati come materia prima seconda nel confezionamento di miscele a base cementizia o bituminosa (calcestruzzo e asfalto) impiegate per le opere edilizie ed infrastrutturali, ma nonostante ciò il loro mercato è ancora debole, in particolar modo nell’area geografica in cui vengono prodotti (Roma e zone limitrofe) e da cui non possono allontanarsi, risultando altrimenti antieconomico e ambientalmente insostenibile il loro trasporto oltre certe distanze.
Si pone quindi l’esigenza di capire quali sono le opportunità da cogliere e gli ostacoli da superare affinché questi materiali, ormai così preziosi visti gli scenari di esaurimento delle risorse che si descriveranno più avanti, possano trovare nuova vita alimentando nuovi cicli produttivi in ottica di economia circolare.
Questa attività porterebbe vantaggi economici sia all’impianto, che potrebbe vendere i suoi prodotti ad un prezzo maggiore di quello attuale, utilizzando quei ricavi per proporre un prezzo di conferimento del rifiuto in ingresso più basso, sia quindi alle pubbliche amministrazioni e di riflesso ai suoi cittadini, che risparmierebbero sui costi di gestione dei rifiuti.
Contestualmente ci sarebbero vantaggi ambientali quali l’incentivazione al recupero dei rifiuti, riducendo il conferimento in discarica, e il contributo alla riduzione dell’uso di materia prima vergine.
Si parte con l’affrontare la questione della gestione dei rifiuti e la crisi delle risorse (capitolo 1); si passa poi al contesto in cui ci si trova a lavorare, definendo il rifiuto da spazzamento stradale (dal punto di vista qualitativo, quantitativo e normativo) e l’attività di soil-washing dell’impianto AVR S.p.A. di Guidonia Montecelio (capitolo 2) per definire, a conclusione del capitolo, la problematica a cui questo studio cerca una soluzione; si fanno alcune premesse alle
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soluzioni descrivendo il contesto normativo e culturale, per evidenziare i primi punti di forza e di debolezza della questione (capitolo 3); si propongono le soluzioni valutandole dal punto di vista tecnico ed economico (capitolo 4) e infine si traggono le conclusioni (capitolo 5).
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2. INQUADRAMENTO GENERALE
La gestione dei rifiuti
La direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE ha introdotto il principio fondamentale della gerarchia dei rifiuti, secondo la quale la gestione degli stessi deve seguire il seguente ordine di priorità:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio;
d) recupero (ad esempio il recupero energetico); e) smaltimento.
Tale principio è confluito nella normativa nazionale all’art. 179 del D.lgs. 152/2006 (Codice dell’Ambiente, detto anche Testo Unico Ambientale, TUA).
A luglio 2018 è entrato in vigore il “pacchetto economia circolare”, che consta di quattro direttive che modificano sei precedenti, tra cui si specifica la 2018/851/UE di modifica alla direttiva quadro sui rifiuti e la 2018/850/UE di modifica alla 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, le cui prescrizioni devono essere recepite da parte degli stati membri entro luglio 2020. Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, la direttiva UE 851/2018 specifica che: “gli Stati devono ricorrere a strumenti economici ed altre misure per incentivare l’applicazione della gerarchia, come ad esempio tasse e restrizioni per il collocamento in discarica; utilizzo delle migliori tecniche disponibili per il trattamento dei rifiuti; incentivi economici per le autorità locali e regionali, volti anche ad intensificare i regimi di raccolta differenziata, evitando nel contempo di sostenere il collocamento in discarica.”
Contestualmente, si pongono nuovi e più ambiziosi obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani: 55% entro il 2020, 60% entro il 2030 e 65% entro il 2035, mentre con la direttiva 850/2018/UE si pone un freno allo smaltimento in discarica, che entro il 2035 non potrà superare il 10 % del totale degli urbani prodotti (per peso).
La crisi delle risorse
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Da quanto emerge dall’ultimo documento pubblicato dall’International Resource Panel1 [1] dal 1970 l’uso mondiale delle risorse è più che triplicato, raggiungendo 92 miliardi di tonnellate nel 2017, mentre la produttività di materia non è aumentata negli ultimi 20 anni.
Se si continuasse ad agire secondo gli attuali modelli di business, le proiezioni dell’IRP dimostrano che nel 2060 l’uso delle risorse sarà di 190 miliardi di tonnellate, provocando degli impatti che eccederanno i limiti del pianeta e metteranno in pericolo il benessere dell’umanità. Al contrario, se si adottassero modelli sostenibili per l’uso e la gestione delle risorse si potrebbe ridurre l’estrazione del 25%, mitigare gli impatti negativi e far crescere l’economia dell’8% entro il 2060.
Tra le materie prime maggiormente sfruttate negli ultimi 50 anni, come dimostra il grafico in fig. 1, spiccano i minerali non metallici, in particolar modo sabbia e ghiaia, impiegati principalmente nel settore delle costruzioni come inerti per la formulazione di miscele a base cementizia e bituminosa, rispettivamente calcestruzzo e asfalto.
Figura 1:Global material extraction, four main material categories, 1970-2017, million tons. Fonte: UNEP & IRP, 2018.
1 L’International Resource Panel (IRP) è un gruppo di 40 esperti scientifici lanciato dall’UNEP (United Nations
Environment Programme-programma ONU per l’Ambiente-), con competenze in materia di gestione delle risorse, che investiga le principali criticità legate al loro uso, a livello globale, e sviluppa soluzioni pratiche per i governi, l’industria e la società.
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Per poter gestire in modo più sostenibile rifiuti e risorse occorre da un lato minimizzare gli scarti, massimizzando quindi il recupero di materia, quella stessa che occorre per ridurre il consumo di nuove risorse, ormai in esaurimento. Si devono mettere in atto i principi dell’economia circolare, che secondo la definizione che ne fa la Ellen McArthur Foundation2, è un’economia pensata per potersi rigenerare da sola, rivalorizzando i flussi dei materiali.
2 La Ellen McArthur Foundation è un’organizzazione senza scopo di lucro nata nel 2010 per accelerare la
transizione verso l’economia circolare. I suoi ambiti di intervento sono l’educazione, il governo dei paesi, l’economia e la comunicazione.
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3. IL CONTESTO DEL LAVORO
Il rifiuto da spazzamento stradale
3.1.1. Definizione
L’attività di spazzamento delle strade rientra, ai sensi dell’art. 183 del Codice dell’ambiente (D. lgs. 152/06), nella “gestione integrata dei rifiuti”, viene gestita dal servizio di Igiene urbana delle Pubbliche Amministrazioni ed è definita come la “modalità di raccolta dei rifiuti
mediante operazione di pulizia delle strade, aree pubbliche e aree private ad uso pubblico escluse le operazioni di sgombero della neve dalla sede stradale e sue pertinenze, effettuate al solo scopo di garantire la loro fruibilità e la sicurezza del transito”. Ai sensi dell’art. 184,
comma 2, lett. c, tali rifiuti sono dunque classificati come urbani, rientrano nella categoria 20 dei CER3: “Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata” e sono identificati con il codice 20 03 03: “Residui della pulizia stradale”.
La composizione merceologica di tale rifiuto è estremamente variabile a seconda del periodo dell’anno e dell’ambito territoriale nel quale viene raccolto. Nonostante ciò la sua composizione media comprende generalmente materiale inerte, frazione organica e altre frazioni riciclabili come materie plastiche e metalli, originate dal littering.
Il rifiuto da spazzamento stradale costituisce, secondo le stime dell’ISPRA, circa lo 0,8% in media sul totale dei rifiuti urbani prodotti e se opportunamente trattato, può costituire una fonte di nuove risorse, ma ad oggi in Italia il suo effettivo recupero non è in linea con le sue potenzialità.
3.1.2. Raccolta differenziata e rifiuto da spazzamento stradale
Con il D.M. del 26 maggio 2016 “Linee guida per il calcolo della percentuale di raccolta
differenziata dei rifiuti urbani”, il rifiuto da spazzamento stradale raccolto separatamente se
avviato a recupero, può essere considerato differenziato, diversamente da quanto accadeva con la precedente metodologia elaborata dall’ISPRA, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di RD (Raccolta Differenziata), stabiliti dall’art. 205 del D.Lgs. 152/2006 (35% entro il 2006, 45% entro il 2008 e 65% entro il 2012 in ogni ambito territoriale ottimale, se costituito, ovvero in ogni comune).
3 Il CER (Codice Europeo dei Rifiuti) è una sequenza numerica composta da 6 cifre volta ad identificare un rifiuto,
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Secondo quanto si evince dall’ultimo Rapporto sui rifiuti urbani dell’ISPRA [2] e come riportato nel seguente grafico, il raggiungimento dell’obiettivo, ad eccezione di alcune aree del nostro Paese, è ancora lontano, nonostante il cambio della metodologia di calcolo.
Figura 2: Andamento della Raccolta Differenziata (RD) dei rifiuti urbani per area geografica, dal 2015 al 2017. Fonte dati: ISPRA, 2018.
Il mancato raggiungimento dell’obiettivo di RD impone alle Autorità di governo del territorio una rimodulazione incrementale del tributo in discarica, come specificato nel comma 3 dell’art. 205 TUA: “Nel caso in cui, a livello di ambito territoriale ottimale se costituito, ovvero in ogni
comune, non siano conseguiti gli obiettivi minimi previsti dal presente articolo, è applicata un'addizionale del 20 per cento al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dei comuni che non abbiano raggiunto le percentuali previste […] di raccolta differenziata raggiunte nei singoli comuni.”
L’addizionale è dovuta alle Regioni e alimenta uno specifico fondo regionale destinato a finanziare: gli interventi di prevenzione alla produzione di rifiuti, previsti dai piani regionali; gli incentivi per l’acquisto di prodotti e materiali riciclati; il cofinanziamento degli impianti e attività di informazione ai cittadini in materia di prevenzione e di raccolta differenziata [3]. Per incentivare ulteriormente la RD, la normativa statale prevede anche un regime di rimodulazione decrementale del tributo di conferimento in discarica, che si riduce al crescere del superamento del livello minimo di RD imposto dalla normativa statale.
5 8 ,6 % 4 3 ,8 % 3 3 ,6 % 4 7 ,5 % 6 4 ,2 % 4 8 ,6 % 3 7 ,6 % 5 2 ,6 % 6 6 ,2 % 5 1 ,8 % 4 1 ,9 % 5 5 ,5 % 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% 30,0% 35,0% 40,0% 45,0% 50,0% 55,0% 60,0% 65,0% 70,0% N O R D C E N T R O S U D I T A L I A A N D A M E N TO R D P E R A R E A G E O G R A FI C A 2015 2016 2017 OBIETTIVO 2012
9 Superamento del livello di RD
rispetto alla normativa statale Riduzione del tributo
da 0,01% fino alla percentuale
inferiore al 10% 30%
˃ 10% 40%
˃ 15% 50%
˃ 20% 60%
˃ 25% 70%
Tabella 1: Riduzione del tributo del conferimento in discarica in funzione dell'aumento del livello di RD.
Pur non essendo previsti analoghi obblighi a livello europeo (come anticipato, nella recente direttiva 2018/851/UE sui rifiuti, a livello europeo sono stati fissati target di riciclaggio e non di RD), gli obiettivi nazionali rappresentano un mezzo per rispondere alla gerarchia di gestione dei rifiuti, favorendone il riciclo e penalizzando il conferimento in discarica. La direttiva sui rifiuti ribadisce, nei considerando, che “al fine di evitare un trattamento dei rifiuti che relega
le risorse ai livelli inferiori della gerarchia dei rifiuti, di aumentare i tassi di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, di consentire un riciclaggio di elevata qualità e di promuovere l’impiego di materie prime secondarie di qualità, gli Stati membri dovrebbero garantire un maggiore rispetto dell’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti […]”.
Tornando al rifiuto da spazzamento stradale, studi di settore [2] [4] ci dicono che la frazione avviata a recupero costituisce l’1,9 % del totale della Raccolta Differenziata fatta in Italia (dato del 2017), con importanti differenze tra nord e centro-sud del Paese.
10 Figura 3: RD totale e quota parte di rifiuto da spazzamento avviato a recupero, distinta per macro-area
geografica. Fonte: rielaborazione dati ISPRA, 2018.
Non in tutte le Regioni si effettua la raccolta differenziata del rifiuto da spazzamento stradale e le differenze tra i quantitativi raccolti, a parità di popolazione regionale, sono notevoli (vedi ad esempio Veneto e Sicilia).
Regione Spazzamento stradale a recupero (ton) Spazzamento stradale a recupero (kg/ab.*anno) Piemonte 23.078,50 5,3 Valle d\'Aosta - - Lombardia 116.011,86 11,6 Trentino-Alto Adige 5.633,32 5,3 Veneto 36.699,48 7,5 Friuli-Venezia Giulia 4.320,68 3,6 Liguria 3.632,03 2,3 Emilia-Romagna 48.018,30 10,8
Toscana (no SI, GR, AR) 7.553,21 2,0
Umbria 15.575,39 17,6 Marche 8.682,86 5,7 Lazio (solo RM) 2.263,20 0,4 Abruzzo 3.483,58 2,6 Molise 2,08 - Campania 21.547,72 3,7 Puglia 9.217,74 2,3 RD TOTALE 16.430.000 ton 76% 11% 13% SPAZZAMENTO A RECUEPERO (RD) 1,9%
Alcuni dati sullo spazzamento stradale a recupero
anno 2017
11 Basilicata - - Calabria - - Sicilia 553,08 0,1 Sardegna 5.011,53 3,0 ITALIA 311.284,55 5,1
Tabella 2: Quantità di spazzamento stradale avviato a recupero per regione, valori totali e pro capite. Fonte dati: ISPRA, 2018.
Guardando la diffusione di questa buona pratica tra in Comuni distinti per macro-area geografica, si evidenzia ancora una volta la differenza tra le Regioni del nord e quelle del centro-sud.
Tabella 3:Percentuale dei Comuni che hanno effettuato la RD dello spazzamento stradale sul totale dei Comuni italiani. (Percentuali calcolate rispetto al numero dei Comuni di cui si dispone del dato disaggregato). Fonte dati: ISPRA, 2018.
Per via della scarsa diffusione della raccolta separata del rifiuto da spazzamento stradale (da avviare poi a recupero), si ritiene che la quantificazione dei suoi volumi di produzione sia sottostimata rispetto alla realtà: secondo l’ISPRA il rifiuto da spazzamento costituisce lo 0,8% del totale dei Rifiuti Urbani.
I dati più attendibili sono quelli raccolti presso i principali impianti di recupero operanti sul territorio nazionale e sono relativi a un quantitativo totale di rifiuti complessivamente trattato pari a oltre 2,5 Mt dal 2004 ad oggi. Su questa base, si stima una produzione media di rifiuto da spazzamento di 17-22 kg/abitante*anno4 e considerando una popolazione di circa 61 milioni di abitanti, la produzione potenziale sarebbe pari a circa 1,03-1,34 Mt all’anno, di cui solo un quarto attualmente viene avviato a recupero (5,1 kg/abitante*anno).
Il resto viene conferito principalmente in discarica senza alcun tipo di pretrattamento, benché questo sia obbligatorio per legge e le tecnologie per il trattamento siano disponibili ed efficienti, con un tasso di recupero che può superare il 90% del rifiuto conferito. Le recenti Linee Guida 145/2016 ISPRA riportanti i “Criteri tecnici per stabilire quando il trattamento non è
necessario ai fini dello smaltimento dei rifiuti in discarica ai sensi dell’art. 48, della Legge del 28 dicembre 2015, n. 221” stabiliscono per i rifiuti da spazzamento stradale la necessità di
ricorrere a pretrattamento, prima del conferimento in discarica, quando il contenuto percentuale
4 Dati ASSOREM, ASSociazione REcupero di Materia
Nord Centro Sud Italia
Spazzamento stradale a
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di materiale organico putrescibile sia superiore al 15% (incluso il quantitativo presente nel sottovaglio <20 mm). Tuttavia, da un’analisi svolta da Ecocentro Tecnologie Ambientali relativa al trattamento di un quantitativo di oltre 2,5 Mt di rifiuti da spazzamento stradale raccolte tra il 2004 e il 2017, il contenuto medio percentuale in peso di materiali organici putrescibili riscontrato è risultato di circa il 31%5, ovvero più del doppio del limite massimo consentito per legge per il conferimento tal quale in discarica.
Il ricorso alla discarica in alcune situazioni può rappresentare l’unica soluzione possibile per lo smaltimento del rifiuto da spazzamento stradale, considerata la diffusione disomogenea degli impianti a livello nazionale.
Figura 4:Impianti di trattamento per il rifiuto da spazzamento stradale per macro-aree geografiche in Italia, anno 2017.
Pertanto in alcuni casi può accadere che il conferimento in discarica possa risultare più conveniente rispetto all’avvio a recupero, per via della distanza degli impianti dalle aree in cui viene raccolto il rifiuto.
L’apertura di nuovi impianti di trattamento sarebbe auspicabile, ma il presupposto fondamentale affinché ciò avvenga è la quantificazione certa dei volumi di rifiuto prodotti.
3.1.3. Riciclaggio e rifiuto da spazzamento stradale
I tecnici dell’impianto AVR S.p.A. di Guidonia, che trattano questa frazione dal maggio del 2016, hanno riscontrato come non tutti i bandi di gara per l’appalto del servizio di trattamento del CER 20 03 03 siano rivolti specificatamente a quegli impianti che, come il loro, effettuano effettivamente il recupero, classificato ai sensi dell’all. C alla parte IV del TUA come R5:
5 Dati forniti da Ecocentro Tecnologie Ambientali relativamente agli 8 impianti da lei progettati, realizzati e in
funzione dal 2004. 0 2 4 6 8 10 12 14 NORD CENTRO SUD
13 Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche (attività di recupero di materia inerte). In
alcuni casi si chiamano a partecipare anche quegli impianti dotati di autorizzazione all’operazione di recupero R12: Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate
da R1 a R11, che può comprendere operazioni preliminari all’effettivo recupero come cernite,
frammentazione e triturazione, ma che di fatto non dà alcuna garanzia circa l’effettivo recupero di materia successivo. Questi ultimi non sono in grado, come gli impianti che effettuano l’operazione R5, di emettere la Dichiarazione di recuperabilità, quel documento richiesto dagli Enti più attenti e aggiornati, che serve come prova dell’effettivo recupero del rifiuto da spazzamento stradale, ai fini dell’inserimento nel calcolo della percentuale di Raccolta Differenziata.
Inoltre, uno studio di ARPA Lombardia (regione in cui nel 2016 è stato raccolto oltre la metà di tutto lo “spazzamento avviato a recupero”) afferma che l’effettivo recupero, ossia il materiale recuperato come inerte e ammendanti, è poco superiore al 40% del totale dei rifiuti da spazzamento strade raccolti in regione.
A questo non contribuisce la metodologia di calcolo della percentuale di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani fino ad oggi adottata dall’Italia a seguito del recepimento della direttiva comunitaria 2008/98/CE, che ha inizialmente fissato un target del 50% al 2020 da applicarsi almeno ai rifiuti di “carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai
nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici”. Nella prima relazione sul monitoraggio dei target effettuata dagli
Stati membri nel 2013, l’Italia aveva comunicato di aver scelto la seconda metodologia (sulle quattro definite dalla decisione 2001/753/UE): “percentuale di riciclaggio di rifiuti domestici e
simili costituiti da carta, metalli, plastica e vetro e altri singoli flussi di rifiuti domestici e simili”, con l’estensione dell’applicazione della stessa al legno e alla frazione organica.
Con l’emanazione della direttiva 2018/851/UE che modifica la 2008/98/CE, i nuovi target di riciclaggio non considerano specifiche frazioni merceologiche ma si applicano all’intero ammontare dei rifiuti urbani. Ne conseguirebbe che non sia più prevista una scelta tra più opzioni, ma che venga adottata la metodologia 4: “percentuale di riciclaggio dei rifiuti urbani” [5], anche se nella decisione di esecuzione 1004/2019/UE non se ne fa riferimento.
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Figura 5:Percentuali di riciclaggio ottenute dalle simulazioni di calcolo secondo le metodologie 2 e 4. Fonte: ISPRA, 2018.
Tuttavia, come ci spiega un responsabile dell’ISPRA, nonostante questo nuovo indirizzo dell’UE, spetta al MATTM (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) l’eventuale decisione sul cambio della metodologia, ma di fatto riuscire a calcolare l’effettivo riciclaggio su tutti i rifiuti urbani, compreso lo spazzamento avviato a recupero, risulta difficile per mancanza di informazioni certe, come avviene nel caso delle operazioni R12 o R13 (messa in riserva) dove non è dichiarato l’effettivo recupero.
Dunque, bene aver incluso il rifiuto da spazzamento stradale avviato a
recupero nel conteggio della percentuale di RD, perché questo dovrebbe
incentivare le Pubbliche Amministrazioni a raccoglierlo separatamente, ma
occorrerebbe poi verificare che sia effettivamente recuperato, per permettere,
qualora ci fosse un cambio nella metodologia di calcolo della percentuale di
riciclaggio, di contribuire al raggiungimento degli obiettivi imposti dall’UE e
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L’impianto di soil-washing della piattaforma AVR S.p.A.
3.2.1. Decrizione dell’unità di trattamento (Linea 1)
La società AVR S.p.A. è autorizzata ai sensi dell’art. artt. 208 e 269 del D. Lgs. 152/06 e s. m. i. e degli artt. 15 e 16 della L. R. 27/98 all’esercizio di un impianto per il trattamento ed il recupero dei residui di pulizia stradale e altri rifiuti non pericolosi in localita’ Martellona nel Comune di Guidonia Montecelio (RM) a partire dal 2016.
Nella prima unità di trattamento (Linea 1) la tecnologia impiantistica impiegata è quella del
soil-washing, largamente diffusa per il trattamento ex-situ dei terreni inquinati provenienti da
attività di bonifica, viene in questo caso adoperata per la rimozione dei contaminanti dai residui di pulizia stradale.
L’impianto è capace di trattare in completa automazione diverse tipologie di rifiuti non pericolosi e di ricavarne materie prime differenziate e di qualità, certificate CE e conformi alla normativa dell’Unione Europea.
Codice CER
Descrizione Quantità
(ton/anno)
Operazioni di gestione
Linea 1 19 08 02 Rifiuti dall’eliminazione delle sabbie
34.640 R5: Recupero di materiali riciclati (sabbia, ghiaino e ghiaietto), certificati CE e conformi al DM 186/06, mediante operazioni di separazione granulometrica e lavaggio.
R13: Messa in riserva dei rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).
20 03 03 Residui della pulizia stradale 20 03 06 Rifiuti dalla pulizia delle
fognature (solo caditoie stradali)
Tabella 4: Tipi e quantitativi di rifiuti autorizzati in ingresso e relative operazioni di gestione.
Fonte: Determina dirigenziale 6129 del 31/10/2014 recante l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto AVR S.p.A. di Guidonia Montecelio (RM)
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L’impianto è suddiviso nelle seguenti parti principali:
• Sezione di ricezione e stoccaggio: qui i rifiuti vengono conferiti direttamente con autospazzatrici o in alternativa con automezzi provvisti di cassoni a tenuta. In essa vengono scaricati e da essa vengono alimentate le successive fasi di trattamento con l’ausilio di macchine operatrici.
• Sezione di separazione e vagliatura: qui sono eliminati preliminarmente i rifiuti grossolani e leggeri mediante il passaggio da un vaglio stellare che consente di separare anche l’eventuale frazione inorganica adesa a foglie e rifiuti misti, quali lattine, bottiglie, plastica in genere.
• Sezione di lavaggio e separazione granulometrica: qui avviene la separazione degli inerti di granulometria superiore a 2 mm (ghiaino e ghiaietto) inviati ai rispettivi box di stoccaggio, dalla restante frazione di dimensione inferiore che, trascinata dall’acqua, viene inviata ad una successiva fase di lavaggio per la separazione, tramite idrociclone e unità di separazione a spirali, delle sabbie dal limo.
• Sezione di trattamento acque di lavaggio e disidratazione fanghi.
Figura 6:Stralcio della planimetria della piattaforma AVR S.p.A. di Guidonia rappresentante la LINEA 1 per il trattamento dei rifiuti con tecnologia soil-washing.
La sezione di lavaggio e separazione granulometrica è il cuore dell’impianto in quanto è qui che avviene il vero processo di recupero di materia prima seconda (parte retinata in rosso nella Figura 1).
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Il lavatore in controcorrente è costituito da un tamburo rotante all’interno del quale sono posti in serie tre coni vaglianti a diametro crescente; il materiale viene vagliato e contemporaneamente lavato grazie ad un flusso d’acqua in controcorrente rispetto al flusso del materiale. Questo sistema consente di separare quattro frazioni: quella avente diametro fino a 20 mm, costituita da frazione organica, sabbia, ghiaino e ghiaietto e quella con diametro superiore a 20 mm che costituisce lo scarto. Ghiaino e ghiaietto così lavati e separati, vengono convogliati in vasche di raccolta di capacità utile pari a 120 mc per il ghiaino e 90 mc per il ghiaietto e qui stoccati in attesa dell’uscita dall’impianto come prodotti. La frazione più fine continua il suo percorso passando per un sistema di idrocicloni che sfrutta i differenti pesi specifici di sabbia e organico per la loro separazione: la sabbia più pesante precipita all’interno del flusso idrico e dopo una fase di vibro-asciugatura viene convogliata nella vasca di raccolta di capacità utile pari a 115 mc per poi uscire anch’essa come prodotto; la frazione organica restante viene compattata e privata dell’acqua in eccesso per poi essere smaltita come CER 19 12 12.
18 Figura 8: Particolare della vasca di stoccaggio della sabbia, con idrocicloni sullo sfondo.
Nel 2018 l’impianto ha ottenuto i seguenti risultati in termini di produzione di materiali inerti recuperati dal rifiuto in ingresso:
Tabella 5: La produzione di inerti presso l'impianto AVR S.p.A. di Guidonia, quantitativi assoluti e percentuali rispetto al rifiuto in ingresso, dati 2018.
3.2.2. I prodotti recuperati dalla Linea 1
I prodotti ottenuti possono alimentare nuovi cicli produttivi legati al settore delle costruzioni e sono dunque disciplinati dal Regolamento UE n. 305/2011 sui Prodotti da Costruzione (CPR),
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che fissa condizioni armonizzate per la loro commercializzazione, recepito in Italia dal D.lgs. 106/2017.
Il Regolamento UE n. 305/2011 prevede che un prodotto, per poter essere immesso sul mercato dei prodotti da costruzione nell’Unione Europea ed ottenere quindi la marcatura CE6 deve essere corredato di una Dichiarazione di Prestazione (DoP), concetto chiave della CPR, documento compilato dal produttore, che accompagna il prodotto e che include principalmente:
1. Il riferimento del prodotto o codice di identificazione.
2. Il sistema di valutazione e verifica della costanza della prestazione del prodotto. 3. L’uso o gli usi previsti del prodotto.
4. La prestazione dichiarata.
In merito al secondo punto, definito anche Sistema di Attestazione della Conformità (SAC), si adotta il Sistema 2+, necessario per quegli impieghi in cui si richiede un elevato livello di sicurezza (come le costruzioni), che prevede:
• l’esecuzione di prove iniziali di tipo a carico del produttore;
• l’attuazione di un sistema di controllo di produzione di fabbrica (Factory Production Control o FPC) in coerenza con la norma EN ISO 9000, a carico del produttore; • l’esecuzione di prove di caratterizzazione dei prodotti secondo un programma di
verifiche prestabilite, a carico del produttore;
• la certificazione del sistema FPC da parte di un organismo notificato indipendente; • la sorveglianza continua da parte di un organismo notificato indipendente.
Una volta redatta la DoP il fabbricante può apporre la marcatura CE sul prodotto.
I prodotti marcati CE commercializzati dalla AVR S.p.A. sono di seguito meglio descritti:
Denominazione e descrizione del materiale riciclato
Norme tecniche di conformità
Sabbia (0,063-2 mm):
Materiale naturale o riciclato originato da operazioni di recupero spazzamento stradale, bonifiche, rispristino ambientale e altri rifiuti di origine inorganica.
UNI EN 12620: Aggregati per calcestruzzo. UNI EN 13043: Aggregati per miscele bituminose e trattamenti superficiali per strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico.
UNI EN 13139: Aggregati per malte.
6 La marcatura CE è obbligatoria per legge ai fini della commercializzazione, all’interno dell’UE, di quei prodotti
per i quali esiste una norma armonizzata che ne definisce il sistema di attestazione della conformità (a specifiche tecniche o norme), che comprende l’insieme delle verifiche e dei controlli da effettuare sul prodotto e le responsabilità in capo al produttore e all’eventuale organismo notificato.
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UNI EN 13242: Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nelle costruzioni di strade.
Ghiaino (2-8 mm):
Materiale naturale o riciclato originato da operazioni di recupero spazzamento stradale, bonifiche, rispristino ambientale e altri rifiuti di origine inorganica.
UNI EN 12620: Aggregati per calcestruzzo UNI EN 13043: Aggregati per miscele bituminose e trattamenti superficiali per strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico.
UNI EN 13242: Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nelle costruzioni di strade.
Ghiaietto (8-20 mm):
Materiale naturale o riciclato originato da operazioni di recupero spazzamento stradale, bonifiche, rispristino ambientale e altri rifiuti di origine inorganica.
UNI EN 12620: Aggregati per calcestruzzo UNI EN 13043: Aggregati per miscele bituminose e trattamenti superficiali per strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico.
UNI EN 13242: Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nelle costruzioni di strade.
Tabella 6: Materiali riciclati prodotti in impianto e norme tecniche di riferimento.
Insieme alle verifiche di conformità alle norme UNI, che ne specificano i requisiti tecnici per relativi settori di utilizzo, i materiali vengono sottoposti alla caratterizzazione ambientale. In particolare, rispetto ai valori limite dei test di cessione di cui all’allegato 3 del DM 186/06 (che modifica il DM 5/2/98) e rispetto alle caratteristiche che devono avere gli aggregati riciclati per poter essere iscritti nel “Repertorio del Riciclaggio” (con particolare riferimento alla UNI EN 13242) secondo quanto prescritto dalla Circolare Ministeriale n. 5205 del 2005 recante indirizzi in merito alle “Indicazioni per l’operatività nel settore edile, stradale e ambientale ai sensi del decreto ministeriale 8 maggio 2003, n. 203” (armonizzata nell’ambito di intervento del Piano d’Azione per il Green Public Procurement -GPP-).
L’insieme dei succitati adempimenti consente alla tecnologia impiantistica implementata presso la Linea 1, della piattaforma AVR di Guidonia, di essere in linea con quanto stabilito dall’art. 184-ter del TUA, in seguito al recepimento della direttiva “quadro sui rifiuti” 2008/98/CE, in base al quale (comma 1): “Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a
un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
21 a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.
Questo ha permesso alla piattaforma di essere autorizzata nel 2016, da parte della Provincia, all’attività di recupero secondo il criterio del “caso per caso”, in quanto il tipo di rifiuto non era annoverato né nell’elenco di quelli assoggettabili alle procedure semplificate di cui al DM 5/2/98 “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di
recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs 5 febbraio 1997, n.22”, né oggetto di un
decreto End of Waste.
Da allora per le autorizzazioni “caso per caso” ci sono state diverse evoluzioni normative, che meglio si approfondiranno nel capitolo seguente.
3.2.3. Considerazioni conclusive in merito al prodotto recuperato
Il conto economico dell’impianto non considera i ricavi provenienti dalla vendita del materiale inerte selezionato, che attualmente viene venduto sul mercato al miglior offerente. Tuttavia si pensa che questo materiale abbia le potenzialità di apportare un valore aggiunto ancora maggiore all’impianto, se opportunamente reimpiegato in cicli produttivi innovativi, gestiti dalla stessa AVR S.p.A.. I maggiori ricavi che si spera di ottenere, potrebbero compensare i costi dello smaltimento degli scarti, affetti da un’incertezza legata alla qualità del rifiuto in ingresso, e conseguentemente contribuire ad una riduzione del prezzo al cancello, rendendo il conferimento presso questo tipo di impianti più competitivo, quindi incentivando le amministrazioni a privilegiare chi effettua attività R5.
Il lavoro decritto di seguito indaga sulle soluzioni alternative di valorizzazione
del materiale inerte, tali da innescare un processo di economia circolare vera che
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4. LE PREMESSE ALLE SOLUZIONI
Il contesto normativo
4.1.1. La disciplina End of Waste
La direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, modificata dalla direttiva 2018/851/UE, introduce all’art. 6 la disciplina in merito alla Cessazione della qualifica di rifiuto, detta anche End of
Waste. La norma comunitaria è stata recepita dall’ordinamento italiano ed è confluita nell’art.
184-ter del D.lgs. 152/06.
L’articolo 6 della direttiva definisce quali sono le condizioni necessarie per la cessazione della qualifica di rifiuto e stabilisce in che modo, ossia quali organi di governo e con quali strumenti, possono essere definiti i criteri dettagliati per l’applicazione di queste condizioni, secondo un ordine gerarchico. Secondo la prima versione dell’art. 6, spetta dapprima alla Commissione stabilire i criteri End of Waste secondo una determinata procedura di regolamentazione; in mancanza di ciò, gli Stati membri possono decidere caso per caso e notificarlo alla Commissione. L’art. 6, dopo le modifiche apportate nel 2018, specifica invece che spetta sempre prima alla Commissione adottare gli atti di esecuzione per stabilire questi criteri; in mancanza di questi, gli Stati membri possono a loro volta stabilirli e dovranno notificarli alla Commissione; e in ultimo, laddove non siano stabiliti né a livello di Unione né a livello nazionale, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al
fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali, senza che tali decisioni
debbano essere notificate alla Commissione.
L’art. 184-ter sulla Cessazione della qualifica di rifiuto, stabilisce al comma 2, che in mancanza di criteri definiti a livello comunitario, i criteri del comma 1 sono adottati […] caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente […], detti anche Decreti End of Waste (EoW). Al comma 3 specifica inoltre che in attesa dell’adozione di tali decreti, continuano ad applicarsi le disposizioni per il recupero semplificato dettate dai decreti del Ministro dell’ambiente emanati in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.
Ne risulta che, se un’impresa richiede l’autorizzazione per l’esercizio di un’attività di recupero di rifiuti capace di produrre materia prima seconda, che non rientra nell’elenco dei decreti succitati e per la quale non sia ancora stato emanato un decreto EoW, possa vedersela negare, come spesso si è verificato negli ultimi anni.
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Un caso che ha suscitato particolare clamore, è quello del consorzio Contarina, che in partnership con Fater, ha richiesto l’autorizzazione per un impianto innovativo di recupero di materia dai prodotti assorbenti, primo nel suo genere a livello mondiale. Di seguito si schematizza l’iter del caso:
- Agosto 2016: La Regione Veneto nega l’autorizzazione ordinaria al riciclo sostenendo che i parametri per poter applicare la disciplina dell’End of Waste devono essere stabiliti a livello comunitario (con Regolamento) o dal Ministero dell’Ambiente italiano (con Decreto), dunque, come è accaduto anche in altre Regioni, afferma di non avere la titolarità (inoltre l’attività non è menzionata nell’elenco delle procedure semplificate del 1998).
- Dicembre 2016: dopo il ricorso di Contarina, viene emessa dal TAR del Veneto una sentenza nella quale si richiama la circolare di chiarimenti del Ministero dell’Ambiente n. 10045 del 01/07/2016. Nella circolare viene ricordato che: “in via residuale, le
Regioni – o gli Enti da queste individuati – possono, in sede di rilascio dell’autorizzazione prevista agli articoli 208, 209 e 211, e quindi anche in regime di autorizzazione integrata ambientale (Aia), definire criteri End of Waste previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma I dell’articolo 184-ter, rispetto a rifiuti che non sono stati oggetto di regolamentazione dei succitati regolamenti comunitari o decreti ministeriali. Quindi le Regioni, in via residuale, sono competenti
al rilascio di autorizzazioni secondo i criteri EoW.
- Febbraio 2018: l’interpretazione del Ministero dell’Ambiente non viene accettata dal Consiglio di Stato che con la sentenza n. 1229 del 28/02/2018 ribalta la situazione affermando che, l’approvazione di nuove modalità di gestione dei rifiuti che rientrano nel campo dell’End of Waste, non è stata riconosciuta alle Regioni nel nostro ordinamento.
- Luglio 2019: viene emesso il Decreto del Ministero dell’Ambiente che stabilisce la cessazione della qualifica di rifiuto per i prodotti derivanti dal processo di trattamento e recupero dei prodotti assorbenti per l’igiene personale (Decreto End of Waste).
A partire dalla sentenza del Consiglio di Stato i rilasci di nuove autorizzazioni, i rinnovi e le modifiche sostanziali a quelle già approvate, tra cui quelli relativi agli impianti di soil-washing, rischiano di rimanere bloccati in attesa dell’emanazione dei Decreti EoW. Negli ultimi 6 anni sono stati pubblicati solo due decreti End of Waste; dei 17 decreti in istruttoria solo uno (quello del polverino da pneumatici fuori uso), dopo 4 anni, è in fase finale; un paio sono, dopo anni di trafila, in avanzata lavorazione e per la gran parte di queste filiere di rifiuti l’iter non è nemmeno
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iniziato. Per il rifiuto da spazzamento stradale l’iter è fermo alla fase 3, coincidente con la richiesta di parere formale ad ISPRA.
4.1.2. I recenti sviluppi normativi
Per far fronte a questa situazione, il Governo ha emanato la Legge n. 55 del 14 giugno 2019 recante la “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” (noto come decreto Sblocca Cantieri). Il provvedimento contiene la modifica al comma 3 dell’art. 184-ter del Codice dell’ambiente che stabilisce che, in attesa che vengano adottati uno o più decreti EoW, le autorità competenti, come le Regioni o altri Enti da essa individuati, potranno concedere singole autorizzazioni per il recupero dei rifiuti basandosi sui criteri indicati nei provvedimenti che disciplinano il recupero semplificato dei rifiuti (DM 5/2/1998; DM 161/2002; DM 269/2005).
Tuttavia, questa misura dello Sblocca Cantieri in materia di cessazione della qualifica di rifiuto non apporta soluzioni alla situazione, si limita a salvaguardare le attività di recupero dei rifiuti soggetti ad autorizzazione semplificata e non incide positivamente sulle altre autorizzazioni, tra cui anche quelle per le attività di recupero di aggregati dai rifiuti da spazzamento stradale. L’ultimo aggiornamento (3/11/2019) vede l’emanazione della Legge 128/2019, il cui art. 14-bis modifica ed integra la disciplina relativa alla cessazione della qualifica di rifiuto contenuta nell’art. 184-ter, superando il blocco alle autorizzazioni al recupero dei rifiuti creato dalle precedenti disposizioni.
La presente normativa consente l’operatività delle autorizzazioni regionali caso per caso, in base ai nuovi criteri comunitari (direttiva 2018/851/UE), facendo salve le autorizzazioni esistenti e permettendo alle Regioni di rilasciarne di nuove, su cui lo Stato può effettuare un controllo a campione. Altra importante novità è la creazione presso il Ministero dell’Ambiente di una task force per i decreti ministeriali caso per caso e la realizzazione di una banca dati nazionale (Registro nazionale) sulle autorizzazioni che vengono rilasciate e quelle che man mano dovranno adeguarsi in fase di rinnovo e riesame.
In conclusione, si può affermare che si è raggiunto un compromesso, che i passi verso la transizione ad una economia circolare si stanno mettendo, ma che certamente la vera svolta si avrà quando saranno emanati tutti i Decreti End of Waste per quelle attività di effettivo recupero di materia supportati da una valida tecnologia.
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4.1.3. Il Green Public Procurement e i Criteri Minimi ambientali
Con la Comunicazione della Commissione Europea COM (2003) 302: “Politica integrata dei
prodotti, sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale” si fissa l’obiettivo di incoraggiare
gli Stati membri a dotarsi di piani d’azione accessibili al pubblico per l’integrazione delle esigenze ambientali negli appalti pubblici. La CE dice che i piani non saranno giuridicamente vincolanti, ma serviranno a dare impulso politico alle iniziative di sensibilizzazione e al processo di attuazione delle misure utili per favorire una maggiore considerazione degli aspetti ambientali negli appalti pubblici.
Il Ministero dell’Ambiente ha accolto questa indicazione e in ottemperanza al comma 1126, art. 1 della Legge n.296/2006 (Finanziaria 2007), ha elaborato, attraverso un ampio processo di consultazione con enti locali e parti interessate, altri Ministeri competenti (Economia e Finanze e Sviluppo Economico), enti e strutture tecniche di supporto (CONSIP, ENEA, ISPRA, ARPA), il “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione”
(PAN GPP).
Sul sito internet del MATTM si legge che: il PAN GPP fornisce un quadro generale sul Green Public Procurement, definisce gli obiettivi nazionali, identifica le categorie di beni, servizi e lavori di intervento prioritarie per gli impatti ambientali e i volumi di spesa sulle quali definire i “Criteri Ambientali Minimi” (CAM).
Detta inoltre specifiche prescrizioni per gli enti pubblici, che sono chiamati a:
• effettuare un'analisi dei propri fabbisogni con l'obiettivo di razionalizzare i consumi e favorire il decoupling (la dissociazione tra sviluppo economico e degrado ambientale);
• identificare le funzioni competenti per l'attuazione del GPP coinvolte nel processo d'acquisto;
• redigere uno specifico programma interno per implementare le azioni in ambito GPP. In particolare invita Province e Comuni a promuovere interventi di efficienza energetica presso gli edifici scolastici di competenza.
Il PAN GPP prevede infine un monitoraggio annuale per verificarne l’applicazione, con relativa analisi dei benefici ambientali ottenuti e delle azioni di formazione e divulgazione da svolgere sul territorio nazionale.
Si tratta dunque di uno strumento di politica ambientale che intende favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale attraverso la leva della domanda pubblica.
I Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono i requisiti ambientali, definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti ad individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio
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migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato. La loro applicazione consente di diffondere le tecnologie ed i prodotti ambientalmente preferibili, producendo un effetto leva sul mercato, in quanto induce gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle rinnovate richieste della P.A.
In Italia i CAM sono stati resi obbligatori, prima che in tutti gli altri Stati membri, grazie all’art. 18 della legge n. 221/2015 e all’art. 34 del D.lgs. 50/2016 (modificato dal D.lgs. 56/2017)
“Codice degli appalti”. In quest’ultimo è stata confermata l’obbligatorietà dell’inserimento dei
CAM nei bandi di gara, prevendendo un minimo del 50% fino al 100% del valore base d’asta, in relazione alle diverse categorie di appalto.
I Decreti ministeriali per l’adozione dei CAM adottati fino ad ora sono 17, tra cui si evidenziano il CAM arredo urbano adottato con il DM 5/2/2015 recante “Acquisto di articoli per l’arredo
urbano” ed il CAM edilizia adottato con il DM 11/10/2017 recante “Affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici”. Entrambi possono contribuire, in diversa misura, all’incentivazione dell’impiego
degli aggregati da riciclo per la produzione di miscele a base cementizia (malta e calcestruzzo) sostenibili.
Occorre fare una premessa: l’aggregato riciclato dal recupero del rifiuto da spazzamento stradale non gode di particolare fama, esso infatti non è contemplato nelle norme tecniche di settore come la UNI 11104:2016 (contenente le disposizioni complementari per l’applicazione nazionale della UNI EN 206:2014 recante “Calcestruzzo-Specificazione, prestazione,
produzione e conformità”) e le Norme Tecniche delle Costruzioni (NTC 2018, che raggruppano
i criteri di verifica della sicurezza per tutte le tecnologie costruttive, inclusa la certificazione dei materiali e le specifiche sulle caratteristiche del calcestruzzo). In esse infatti si fa riferimento all’aggregato riciclato come di quel materiale risultante dalla lavorazione di materiale
inorganico precedentemente utilizzato nella costruzione (UNI EN 206) o al materiale da riciclo originato dalle macerie della demolizione di edifici (NTC 2018), specificandone le percentuali
massime di reimpiego nelle miscele di calcestruzzo.
Nonostante ciò, all’atto pratico, l’aggregato da rifiuto stradale ha prestazioni tecniche sovrapponibili, in relazione al campo di impiego (per questo può ottenere la marcatura CE) a quelle dell’aggregato da costruzione e demolizione (C&D) e caratteristiche qualitative più costanti e anche migliori, in quanto materiale a tutti gli effetti naturale (se non per la presenza di lievi impurità).
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Dunque, supponendo di assimilare l’aggregato da recupero del rifiuto da spazzamento stradale a quello da costruzione e demolizione, si analizzano i CAM citati in precedenza e in che misura questi contribuiscono all’impiego degli aggregati riciclati.
Il CAM ARREDO URBANO non fornisce alcun contributo, in quanto non contempla il calcestruzzo non strutturale come materiale premiante nella fornitura di manufatti destinati all’arredo urbano, favorendo altri materiali da riciclo come il legno o la plastica. Al contrario si potrebbe includere il calcestruzzo con aggregato riciclato nel CAM, in quanto materiale facilmente plasmabile, durevole e solido, che trova comunemente largo impiego nella realizzazione di manufatti per l’arredo urbano, grazie alla sua capacità di assolvere contemporaneamente una funzione estetica e di sicurezza.
Figura 7: Esempi di dissuasori antiterrorismo a forma di Lego. Fonte: Eurobeton, https://www.eurobeton.it/dissuasori-antiterrorismo-city-art-solutions
Nel CAM EDILIZIA si fa esplicito riferimento al calcestruzzo impiegato nel progetto, che deve essere prodotto con un contenuto minimo di materiale riciclato (secco) del 5% sul totale del peso del prodotto (inteso come somma delle singole componenti). Considerando che l’aggregato costituisce circa l’80% della somma dei pesi delle singole componenti e che le norme tecniche consentirebbero, per un aggregato di buona qualità impiegato in un calcestruzzo strutturale normale, con classe di resistenza a compressione alta (≤ C45/55), un impiego fino al 20%, il contributo di questo CAM è riduttivo.
Un nuovo CAM, attualmente in corso di adozione, molto importante ai fini del reimpiego degli aggregati riciclati, è quello relativo ai “Servizi di progettazione e lavori per la nuova
28 costruzione e manutenzione di strade”, detto più semplicemente il CAM STRADE. Questo
provvedimento consentirebbe di dare un importante sbocco agli aggregati riciclati, sia per la dimensione delle opere infrastrutturali, sia per la possibilità di utilizzare materiali di qualità inferiore (o percepita tale) a quelli naturali per impieghi non prettamente strutturali, come riempimenti e sottofondi.
In ultimo, sempre in tema di GPP, va segnalato il DM n. 203/2003 che stabilisce che il fabbisogno annuale di manufatti e beni (appartenenti a ciascuna categoria di prodotto definita da un elenco predisposto e aggiornato annualmente con decreto di natura non regolamentare) di enti pubblici e società a prevalente capitale pubblico, anche di gestione dei servizi, deve essere coperto almeno per il 30%, per ciascuna categoria, da manufatti e beni ottenuti con materiale riciclato. Questo decreto, anche se risulta in vigore, per motivi tecnici e procedurali, (come ad esempio la mancanza della definizione del processo che avrebbe portato al raggiungimento dell’obiettivo, i controlli o le sanzioni applicabili [6]) non ha raggiunto i risultati sperati, ma il Ministero dell’Ambiente auspica che le disposizioni del PAN GPP potranno consentire l’armonizzazione dei principi in esso contenuti con quelli del Green Public Procurement.
Conseguente al DM 203/2003 è la Circolare del Ministero dell’Ambiente n.5205/2005 recante indirizzi in merito alle “Indicazioni per l’operatività nel settore edile, stradale e ambientale
[…]” che stabilisce nei relativi allegati le caratteristiche che gli aggregati riciclati devono avere
per essere iscritti nel “Repertorio del Riciclaggio”, in particolare con riferimento ai materiali conformi alla EN 13242 (Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nelle costruzioni di strade).
Il contesto culturale: materiale vergine vs materiale da recupero
4.2.1. Diffidenza e scarsa conoscenza del prodotto da recupero
L’impiego dei materiali risultanti da un processo di recupero dei rifiuti al posto dei materiali vergini è ancora oggi poco sviluppato, spesso per un atteggiamento di diffidenza da parte degli utilizzatori.
Nonostante gli aggregati da recupero, lavati e selezionati grazie ad una tecnologia avanzata e ormai collaudata, esprimano delle caratteristiche prestazionali a volte anche migliori rispetto ai materiali vergini, certificate a valle di un processo di verifica stringente (marcatura CE), non in tutti i mercati trovano facile sbocco.
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Questa situazione può essere in parte spiegata dalla reticenza, da parte dei potenziali utilizzatori, nell’impiegare dei materiali provenienti dai rifiuti per le possibili implicazioni di natura sia legale (come il traffico illecito di rifiuti) che tecnica (ad esempio la mancata accettazione dei materiali da parte dei direttori lavori delle opere). Occorre distinguere la corretta attività di riciclaggio, che porta alla produzione di aggregati di qualità (R5), da attività in cui i rifiuti vengono impiegati tal quali o dopo semplici trattamenti di riduzione volumetrica o di vagliatura (che possono rientrare nell’R12). Questa distinzione non è nemmeno chiara alle Pubbliche Amministrazioni, nei cui bandi per la gestione dei rifiuti a volte non si fa distinzione tra l’attività R5 ed R12, equiparando le due e non agevolando chi recupera effettivamente materia.
Anche gli strumenti tecnici, come i Capitolati d’appalto, non sono aggiornati rispetto alle norme europee armonizzate di settore, dove non esiste più una distinzione tra aggregati in base alla loro origine, ma in base alle loro caratteristiche (dichiarate dalla marcatura CE).
Inoltre, non in tutti i prezziari delle opere edili è presente la voce “aggregati riciclati” (ad oggi sono ancora poche le Camere di Commercio che si sono aggiornate).
Dunque, per far fronte alla diffidenza nell’uso degli aggregati provenienti da attività di recupero dei rifiuti occorre lavorare su un’adeguata informazione nei confronti di tutti i portatori di interesse, in merito in primis a quali sono le caratteristiche che un’attività di recupero effettivo deve avere e poi a quelle dei materiali e delle procedure di controllo da applicare, supportata da una “ufficializzazione” di questi prodotti negli strumenti tecnici (capitolati, listini prezzi).
4.2.2. Le criticità causate dall’attività estrattiva
Come evidenziato da Legambiente [7] la pressione dell’attività umana sull’ambiente e nello specifico quella esercitata per l’estrazione di sabbia e ghiaia dalle cave attive in Italia è ancora molto alta. Nel suo ultimo rapporto sulle cave vengono messi in luce diversi dati interessanti e utili anche a capire l’importanza, ancora non pienamente compresa, dell’utilizzo degli aggregati riciclati per l’innovazione e la transizione verso l’economia circolare.
L’estrazione di sabbia e ghiaia impiegati nel settore delle costruzioni rappresenta, secondo quanto si legge nel rapporto, il 61% di tutti i materiali cavati in Italia.
30 Figura 9: Ripartizione delle cave per gruppi di materiali estratti. Fonte dati: Legambiente 2017.
A governare un settore così delicato per gli impatti e gli interessi è a livello nazionale un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927, con indicazioni chiaramente improntate a un approccio allo sviluppo dell’attività oggi datato e che non tiene in alcun modo conto degli impatti provocati al territorio. Mentre a livello regionale le Leggi risultano indietro rispetto ad un’idea di moderna gestione del settore, compatibile con il paesaggio e l’ambiente.
Un chiaro esempio di inadeguatezza della normativa è dimostrato dai canoni di concessione imposti alle cave, troppo bassi in relazione alle quantità rilevanti che vengono estratte, risultando in una differenza spropositata tra il volume d’affari generato dal settore e le entrate degli enti pubblici. L’incidenza media in Italia delle entrate derivanti dai canoni rispetto al prezzo di vendita di sabbia e ghiaia è del 2,3%, ma le differenze tra le regioni possono essere anche notevoli.
Nel Lazio, dove abbiamo un’incidenza del l’1,5% la Regione ricava 500 mila euro contro oltre 33 milioni del volume d’affari con i prezzi di vendita. La situazione della regione, tra l’altro, mostra una serie di criticità, evidenziate da situazioni come quella nella zona tra Ponte Galeria e Malagrotta (all’interno del Comune di Roma) dove il territorio collinare sta scomparendo per via dell’intensa estrazione di sabbia e ghiaia.
In Puglia si chiedono addirittura pochi centesimi di euro, che incidono per lo 0,4% sui prezzi di vendita, nonostante la regione sia ai primi posti per quantità di materiale lapideo estratto e per numero di cave.
60,90% 6,70% 0,10% 25,50% 5,40% 1,50% 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00% Sabbia e ghiaia Pietre ornamentali Torba Calcare Argilla Gesso
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Questo fattore, unito ad un prezzo di vendita degli aggregati da costruzione molto basso nelle stesse regioni, non favorisce l’impulso della commercializzazione degli aggregati da riciclo.
Prezzi di mercato degli inerti in alcune regioni di riferimento [€/ton], al netto di IVA e franco cava
Canone di concessione per l’estrazione da cava [€/mc] sabbia (0,063 - 2 mm) ghiaino (2 - 8 mm) ghiaietto (8 - 20 mm) media LAZIO 7,5 11,5 11,5 8,1 0,3 PUGLIA 8,0 7,5 7,5 7,7 0,08* TOSCANA 15,0 13,7 9,0 12,6 0,5 LOMBARDIA 16,0 14,0 13,2 14,4 0,7
Tabella 7:Prezzi di listino degli aggregati in alcune regioni di riferimento e relativi canoni di concessione. Fonte dati: listini prezzi di alcune cave e Legambiente 2016.
Per uscire da questa situazione di grandi guadagni privati e di rilevanti impatti nel paesaggio, a fronte di canoni irrisori, occorre introdurre in tutta Italia canoni di concessione ben più alti, come quelli applicati ad esempio in Gran Bretagna, dove sono pari ad almeno il 20% del prezzo di vendita. Quello che è accaduto in tutti i Paesi membri, a seguito dell’aumento contestuale dei canoni per l’estrazione e delle tariffe per il conferimento in discarica degli inerti, è stato il volano per la riorganizzazione e modernizzazione del settore verso il riciclo.
Se si operasse seguendo il loro esempio, si potrebbe ridurre il numero di cave ed i quantitativi estratti, a fronte di un incremento dell’utilizzo di aggregati riciclati, oggi disponibili, certificati e con prestazioni del tutto equivalenti agli inerti naturali.
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5. LE SOLUZIONI PER LA VALORIZZAZIONE DEGLI AGGREGATI
RICICLATI
Come anticipato nei precedenti capitoli, le possibilità di impiego degli aggregati prodotti a seguito del recupero del rifiuto da spazzamento stradale attraverso la tecnologia del
soil-washing, riguardano la produzione di miscele a base cementizia (malta e calcestruzzo) e
bituminosa (asfalti) utilizzati nel settore delle costruzioni e delle infrastrutture.
Il calcestruzzo è un materiale composito, ottenuto impastando, secondo precise proporzioni (mix design) cemento (legante idraulico, che esprime le sue capacità leganti a contatto con l’acqua grazie al processo di idratazione), aggregati di diversa granulometria (inerti, che non partecipazione alle reazioni che avvengono nella miscela, ma che ne costituiscono lo scheletro portante), acqua e che raggiunge consistenze litoidi a seguito delle fasi di presa e indurimento. Il conglomerato bituminoso (asfalto) è una miscela di aggregati di diversa granulometria, cemento, bitume (legante principale) e acqua, impastati anch’essi secondo un determinato mix design, che si compatta attraverso un’operazione meccanica di compressione. Esistono asfalti definiti “a caldo” impastati con bitume e stesi a temperature che vanno dai 130° ai 150°C impiegati per la realizzazione degli strati di base, binder (o strato di collegamento) e strato di usura e asfalti “a freddo”, generalmente confezionati in sacchi da 25 kg, impiegati per il riempimento delle buche come soluzione manutentiva economica e rapida.
Queste miscele vengono normalmente prodotte presso gli impianti di betonaggio (calcestruzzo) e gli impianti di produzione dell’asfalto, per poi essere trasportati fino al cantiere di destinazione rispettivamente per mezzo di autobetoniere e camion a cassone ribaltabile. Con particolare riferimento alla fornitura del calcestruzzo, le "Linee Guida sul Calcestruzzo Preconfezionato", edite dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, stabiliscono che in base alle condizioni ambientali e a meno che non vengano impiegati additivi ritardanti di presa, il calcestruzzo deve essere messo in opera entro 2 ore dal momento in cui è stata introdotta l’acqua nella miscela, che coincide con il carico dell’autobetoniera, in quanto oltre tale lasso di tempo il materiale perde la sua lavorabilità. Secondo le valutazioni condotte dall’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) le imprese devono approvvigionarsi da fornitori presenti entro un raggio massimo di percorrenza dei mezzi di 30-40 km, dall’impianto al cantiere.
Una soluzione innovativa che va incontro anche a questa esigenza è rappresentata dagli impianti mobili di miscelazione, come quello messo a punto dalla società BLEND PLANTS. L’impianto consente la produzione di calcestruzzo, misti cementati e asfalto a freddo direttamente in
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cantiere, mantenendo separate le materie prime e dosandole in totale automazione grazie ad un computer a bordo (dove impostare il mix design della miscela) e un’unità di controllo elettronica (con sensori che monitorano la produzione ed il flusso) per poi impastarle in una coclea miscelatrice.
Rispetto alle soluzioni tradizionali (impianto di betonaggio e trasporto della miscela sul cantiere tramite autobetoniera), l’impianto mobile consente:
• la riduzione dello spreco di miscela, in quanto si mescola solo il necessario;
• una maggiore versatilità di impiego, grazie alla possibilità di produrre miscele di diverso tipo con uno stesso impianto (diverse classi di calcestruzzo nello stesso cantiere o miscele diverse in cantieri diversi) e di modulare la velocità di scarico (lento con gru o veloce);
• un maggiore trasporto utile rispetto ad una comune autobetoniera, in quanto l’impianto pesa il 50% in meno e può trasportare fino a 2,5 mc di miscela resa in più;
• una pulizia più facile e con consumi d’acqua ottimizzati: per lavare il mescolatore occorrono gli stessi litri d’acqua impiegati di solito dalle autobetoniere per lavare solo i canali di scarico;
• la riduzione dei costi di gestione (consumo carburante, usura pneumatici, manutenzione generale) rispetto alle autobetoniere e delle emissioni di CO₂.
L’impianto mobile automatizzato rappresenta quindi il primo tassello utile alla valorizzazione degli inerti in ottica di economia circolare, perché attraverso l’innovazione unisce vantaggio economico ed ambientale.
Di seguito si analizzeranno, da un punto di vista tecnico ed economico, tre proposte di valorizzazione degli inerti: la produzione di conglomerato bituminoso a freddo (asfalto a freddo) in sacchi da 25 kg; la produzione di blocchi di calcestruzzo tipo Lego e la produzione di calcestruzzo fresco e pronto all’uso.
In aggiunta a queste si presenterà una quarta soluzione, del tutto diversa dalle precedenti, ma che vuole destare l’attenzione sulla problematica dell’esaurimento delle risorse, in particolare di sabbia e ghiaia, largamente impiegate nelle costruzioni.
La produzione di asfalto a freddo in sacchi
La formulazione dell’asfalto a freddo prevede il seguente mix design relativo ad 1 mc di miscela:
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• 40% sabbia
• 20 kg/mc di cemento classe 32,5 (classe di resistenza) • 120 l/mc di emulsione bituminosa
• 20 l/mc massimo di acqua
La densità della miscela è pari a 1,7 t/mc e considerando che l’asfalto a freddo viene usualmente commercializzato in sacchi da 25 kg, con 1 mc di miscela si possono produrre 68 sacchetti. Per poter stimare quanti sacchetti occorre produrre, si è fatto dapprima riferimento ai quantitativi acquistati dalla stessa AVR S.p.A., che opera anche nel campo della gestione e manutenzione stradale.
Figura 10:Asfalto a freddo per la riparazione delle buche.
Nel 2018 la società ha acquistato 16.000 sacchi da 25 kg per un totale di 400 tonnellate di miscela, equivalenti a 235 mc. Considerando che la capacità produttiva dell’impianto mobile può variare da un minimo di 5 ad un massimo di 70 mc/h e ipotizzando di impostare la velocità minima, i 235 mc si finirebbero di produrre dopo 47 ore di funzionamento dell’impianto (meno di 6 giorni lavorativi se si pensa di tenere acceso l’impianto 8 ore al giorno).
Quindi investire in un impianto mobile per la sola produzione di asfalto a freddo in sacchi per le esigenze interne all’azienda non conviene.
Si è quindi condotto un altro tipo di ragionamento: si ipotizza di far lavorare l’impianto solo 1 ora per la produzione di asfalto a freddo (impiegando il resto del tempo per altre miscele, considerata la versatilità di questa tecnologia), alla velocità di 5mc/h. Questo porta alla produzione di 340 sacchi al giorno, che possono essere confezionati in pallets da 60 sacchi cad., quindi si producono 5 pallets e mezzo al giorno. Considerando di far lavorare l’impianto 250