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Fra due diocesi: l'organizzazione della cura d'anime nel castello di "Poggiobonizzo" (dalla fondazione alla distruzione del 1270)

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Storia e Civiltà

TESI DI LAUREA

Fra due diocesi: l’organizzazione della cura d’anime

nel castello di “Poggiobonizzo”

(dalla fondazione alla distruzione del 1270)

Candidato Relatore

Valentina Squarzolo Prof. Mauro Ronzani

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Indice

Introduzione

Capitolo I

Prima di Poggiobonizzo: il monastero di S. Michele e la Pieve di Santa Maria

Confini di diocesi, l’intreccio di tre vescovati

Il ruolo di San Michele nella fondazione del castrum

La lotta tra il monastero e la pieve di Santa Maria

La compravendita di beni dentro e fuori Poggiobonizzo

Funzioni pubbliche del monastero

La gestione delle chiese minori: la tutela dei monaci su Santa Croce e San Pietro

Chiese minori e contrade

Capitolo II

Il legame con Siena, un’alleanza politica ed ecclesiastica

I privilegi papali per i vescovi senesi

Sant’Agnese ovvero un’omonimia di comodo

Una chiesa senese sul poggio di Bonizzo. Fonti documentarie e scavi archeologici su Sant’Agnese

La contrada di Talciona e la chiesa di Santo Stefano

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Capitolo III

Una diocesi defraudata

La traslazione di San Giovanni dal borgo di Marturi al castrum di Bonizzo

La chiesa di San Giovanni Battista, ovvero due diocesi per un comune

Ipotesi sulla convivenza tra diocesi

1203 il lodo di Ogerius

La distruzione delle fonti battesimali di Sant’Agnese. Finisce la diarchia vescovile

Excursus

1. Ospedali e ordini religiosi

Ospedali e xenodochi: una rapida ricostruzione

Il convento di San Lucchese

2. Districtus o contado?

Una ricostruzione dell’espansione territoriale di Poggiobonizzo

Conclusioni: Poggiobonizzo, una possibile sede vescovile

Appendice documentaria

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Introduzione

La presente tesi nasce dall’idea di continuare il percorso di studio intrapreso due anni fa per il conseguimento del titolo di laurea triennale; il mio primo lavoro Poggiobonizzo. Dalla nascita

alla distruzione cercava di riunire in un unico corpus la bibliografia relativa alla breve ma

travagliata vita del comune autonomo di Poggibonsi tra XII e XIII secolo. Questo elaborato si prefigge un obbiettivo ulteriore: ricostruire, anche se solo parzialmente, le vicende politiche e religiose che furono al centro della vita di Poggiobonizzo tramite le fonti documentarie.

L’originale archivio del comune è andato quasi del tutto distrutto dopo l’assedio e la distruzione ad opera dei fiorentini nel 1270: alcune carte in parte mutile si trovano nell’Archivio di Stato di Firenze nel fondo “Poggibonsi comune”. Per ottenere una ricostruzione più accurata si è scelto di inserire non solo la documentazione di parte senese proveniente dal Caleffo Vecchio, ma di utilizzare anche le carte del monastero di San Michele di Marturi raccolte nel fondo diplomatico “Ospedale di San Giovanni detto Bonifacio” presso l’Archivio di Stato di Firenze. Oltre alle fonti documentarie si è fatto riferimento ai lavori di scavo e ricerca archeologica che sono stati portati avanti sul sito di Poggibonsi dal professor Marco Valenti dell’Università di Siena, in particolare nella ricerca di conferme sull’urbanistica e sulla collocazione degli edifici di culto e palazzi del potere. Per delineare i confini delle tre diocesi (Firenze, Siena e Volterra) che intrecciano i loro confini nella zona della Valdelsa in esame, oltre alla documentazione sovra citata, si è utilizzato il lavoro di mappatura delle pievi di confine della diocesi volterrana fatto da Stefano Mori della Società storica della Valdelsa che ho tentato, almeno in parte, di trasferire sulla cartina presente nel primo capitolo.

Nella ricostruzione dell’impatto di una così peculiare situazione dovuta all’intreccio di più diocesi e alla presenza piuttosto massiccia di un monastero all’interno della vita pubblica di

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Poggibonsi si è cercato di tenere conto delle indicazioni, anche secondarie, presenti nella documentazione disponibile; permangono tuttavia varie zone d’ombra in merito su cui si possono azzardare solo speculazioni basate sui casi analoghi. Parlando di analogie per la situazione di Poggibonsi nell’area della Tuscia gli unici casi certi di comuni suddivisi tra diocesi diverse si registrano solo nell’area amiatina1.

Riguardo alla struttura del lavoro i criteri scelti per la divisione in capitoli e paragrafi sono sostanzialmente due. Alla suddivisione cronologica degli eventi abbiamo affiancato un’ideale suddivisone topografica: partendo dagli enti esistenti prima della fondazione di Poggiobonizzo, ci siamo avvicinati al centro del castrum, cercando di ricostruire la posizione e l’edificazione all’interno della cinta muraria delle due chiese di San Giovanni Battista e Santa Agnese, e ipotizzando le loro funzioni all’interno della vita pubblica del Comune prima e durante fase podestarile. Entriamo poi nel vero nucleo della vita cittadina, delineando dove possibile le contrade, e utilizzando alcune menzioni contenute nei documenti rimasti al monastero di San Michele, per immaginare e ricostruire per sommi capi la gestione e l’ubicazione di quelle che chiamiamo le chiese minori o le chiese di contrada, il vero primo impatto per gli abitanti del comune con la fede e l’aggregazione sociale.

I due excursus finali sono stati inseriti per presentare l’esame di due casi specifici che in parte esulano dal corpus della tesi: la presenza e la gestione di strutture per il ricovero e la cura dei viaggiatori che transitavano lungo la via Francigena, e la nascita e lo sviluppo della presenza degli ordini minori a Poggibonsi. L’ultimo excursus esamina brevemente il percorso d’espansione del controllo del comune sul territorio circostante; il districtus e la sua

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Nello spacifico si registrano casi di convivenza tra chiese gestite dalla diocesi di Chiusi e chiese dipendenti dal monastero di San Salvatore a Casteldelpiano e Seggiano a partire dall’XI secolo. Queste forme di convivenza sopravvissero sino all’età moderna a causa dell’isolamento dell’area. In L’organizzazione ecclesiastica

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espansione che, se Poggiobonizzo fosse sopravvissuto alla pressione fiorentina, si sarebbe verificata ai danni degli altri comuni di medie dimensioni dell’area.

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Capitolo I

Prima di Poggiobonizzo: il monastero di San Michele e la pieve di Santa Maria

Prima dell’edificazione del castrum ad opera di Guido Guerra II nel 1156, il centro abitato più vicino all’ubicazione medievale di Poggibonsi era il borgo di Marturi. L’abitato sorgeva nelle immediate vicinanze del monastero di San Michele, la cui storia documentaria risale alla fine del X secolo. Posto sin dalle origini sotto l’autorità imperiale e marchionale2, il monastero aveva proprietà fondiarie nell’area che si estendevano a nord lungo sino a S. Pietro in Bossolo di Tavernelle lungo la Val di Pesa, a ovest verso Certaldo e San Gimignano seguendo il corso del torrente Foci, a est sino ai pivieri di Papaiano3 e Talciona e a sud sino a La Rocchetta e Megognano. La badia di Marturi deteneva il possesso del colle su cui Guido Guerra avrebbe dato inizio all’edificazione del castrum di Poggiobonizzo, dunque in prima battuta deteneva i diritti ecclesiastici sugli abitanti del nuovo centro.

In un area di confine tra tre diverse diocesi il monastero, benché dotato di molta autonomia, rappresentava assieme alla pieve di Santa Maria una delle propaggini verso sud della diocesi fiorentina che andava ad incunearsi tra San Gimignano ed i pivieri posti sulla riva ovest del fiume Elsa sotto il controllo di Volterra, e i centri posti più a sud in cui era forte la presenza della diocesi senese. Il piviere di Santa Maria si configura come l’altro baluardo della diocesi fiorentina nell’area di Marturi. L’ubicazione della pieve medievale coincide attualmente con quella della Collegiata di Santa Maria Assunta di Poggibonsi; i pesanti lavori sulla struttura originaria hanno però alterato gran parte delle caratteristiche peculiari della pieve a cominciare

2

Carta del Diplomatico Bonifacio del 998, luglio 25. Ugo Marchese di Tuscia dota il monastero di beni fondiari e delinea le linee guida per la comunità di monaci benedettini.

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In merito al possesso della chiesa di S. Andrea di Papaiano il monastero dovette affrontare una lunga sequela di atti giudiziari proseguiti fino al XIII secolo.

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dall’orientamento della chiesa, che verosimilmente aveva l’ingresso posto dove attualmente si trova l’abside con un orientamento longitudinale lungo l’asse est-ovest.

La riorganizzazione ecclesiastica avvenuta tra XI e XII secolo assunse nel territorio di Marturi i caratteri di una “riconquista e rifondazione” dell’intero plebato grazie alla distanza dall’influenza diretta del vescovo di Firenze e alla presenza sul territorio dei un ben radicato monastero regio come San Michele. Grazie alle carte dei numerosi procedimenti giudiziari che a partire dall’XI secolo coinvolsero pieve e badia, sappiamo che non solo Santa Maria era un polo religioso in grado di rivaleggiare con il monastero nella cura delle anime e nella riscossione delle decime, ma che i pievani avevano un’influenza molto forte anche sulle altre chiese dell’area, tanto da scontrarsi con gli abati per la scelta dei parroci da insediarvi. Nell’area di Poggiobonizzo la pieve vantava diritti nella cura delle anime e nella gestione delle feste religiose nei terreni posti in piano lungo il corso dell’Elsa, che erano discretamente popolati prima della costruzione del nuovo centro fortificato a monte. Lo spopolamento del bacino di fedeli della pieve nei decenni successivi all’edificazione del castrum porterà il pievano di Santa Maria ad intraprendere nuove azioni giudiziarie, per mantenere alcune prerogative ecclesiastiche in mano alla pieve a discapito delle chiese di nuova fondazione nel comune. L’esistenza di una comunità canonicale legata a Santa Maria è precedente al 1174, data in cui alcuni canonici compaiono in una vertenza con il monastero4; fino al concilio lateranense del 1123 erano verosimilmente i canonici della pieve ad occuparsi della cura delle anime nelle chiese locali dal momento che ciò era precluso ai monaci.

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Cartina del contado del comune di Poggibonsi con i luoghi di culto divisi per le diocesi di appartenenza. Tratta da Il territorio di Poggiobonizzo tra XI e XIV secolo di M. G. Ravenni

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Confini di diocesi, l’intreccio di tre vescovati

Come già si è potuto intuire dalla presentazione dei due enti religiosi antecedenti a Poggiobonizzo, l’area in cui il nuovo comune venne a formarsi era una terra di confini non solo politici, ma anche ecclesiastici. Il vescovo di Volterra estendeva la propria autorità sul

pieviere di San Gimignano lungo il corso del fiume Elsa fino al torrente Foci. I confini del territorio del comune, dati dal Botro Bacchereto5, erano attraversati dal confine

della diocesi che proseguiva lungo il vettore dato da S. Maria a Casagliola e dalla canonica dei santi Pietro e Leonardo a Casaglia. Anche il territorio di Stuppio era attraversato dal confine che riuniva alla diocesi volterrana il piviere di Castello. I confini della diocesi volterrana nella Valdelsa, ed in generale lungo tutto il perimetro posto a diretto contatto con l’area senese6 , erano presidiati da un buon numero di pievi con lo scopo di prevenire o almeno arginare il fenomeno dello spostamento dei fedeli verso la diocesi senese.

Firenze occupava da nord verso sud la riva orientale dell’Elsa, estendendo di molto il controllo nell’area grazie al monastero di San Michele e alla pieve di Santa Maria, che rappresentavano un baluardo contro l’insidiosa avanzata da sud di Siena. Il contado fiorentino e quello senese avevano come linea di confine un tratto del corso del torrente Staggia, come venne stabilito ufficialmente nel 1203 con il Lodo di Ogerius7. La diocesi senese puntava ad estendere il suo

controllo in quest’area di confine per togliere non solo fedeli alle diocesi rivali, ma anche le preziose risorse derivanti dal passaggio della via Francigena. Come già avvenuto per il confine con Volterra, Siena scelse di utilizzare nell’area un approccio morbido, realizzato mediante la

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in merito al confine tra San Gimignano e Poggibonsi si veda la carta del 1209, agosto 10 dal “Libro bianco di San Gimignano”

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S. Mori nel suo censimento delle pievi volterrane riporta che ben 34 su 55 pievi erano poste lungo i confini della diocesi stessa

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fondazione di più chiese omonime8 molto vicine alle pievi già presenti ed utilizzare l’ambiguità volutamente creata tra le varie pievi per estendere il proprio controllo sul territorio. La labilità dei confini dei distretti ecclesiastici diede vita a realtà in cui convivevano a strettissimo contatto comunità divise tra due chiese di riferimento diverse, come nei casi citati dal Mori per il confine tra i contadi di San Gimignano e Poggibonsi o come avverrà all’interno dello stesso comune.

Questa permeabilità delle diocesi nelle aree marginali rappresentava una situazione comune nella Tuscia; decisamente non comune era invece il caso di centri urbani di medie dimensioni che al loro interno avevano chiese di diocesi diverse, come nel caso di Poggiobonizzo: casi simili sono registrati nell’area amiatina e poterono con il tempo finire per dare vita a nuove diocesi indipendenti.

Il ruolo di San Michele nella fondazione del castrum

Come abbiamo già visto il monastero di San Michele era il proprietario del colle su cui venne edificato Poggiobonizzo. Nel 1156 il monastero vendette parte del colle al conte Guido Guerra che si era fatto promotore presso i senesi per l’edificazione di un nuovo castrum nell’area di Marturi. La vendita non dovette essere gradita a tutti i monaci, dal momento che il 6 ottobre 11869 l’abate Rolando presentò istanza ai giudici della curia di re Enrico VI per annullare la permuta di alcuni terreni posti sul colle fatta dal suo predecessore con il conte, ma non sembra che l’abate sia riuscito a smuovere una situazione oramai già consolidata.

In compenso l’abbazia diede presto il via ed un intensa serie di compravendite e affitti di terreni, orti e case posti all’interno della cinta muraria del castrum o immediatamente nelle vicinanze della porta San Michele. La pratica di affittare appezzamenti di medie e piccole

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In particolare va citata la pieve di Sant’Agnese in Chianti che crea disguidi perché omonima della chiesa sorta all’interno del castrum.

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dimensioni nel contado comunale è da ricondursi alla rapida espansione della popolazione del nuovo centro, che portò ad una messa a coltura di aree prima non utilizzate; questa suddivisione in piccole proprietà sopravviverà anche alla caduta del castrum, come si può vedere dall’estimo del 131810. Tra i vari atti spicca quello datato 10 marzo 115911 con cui Bernardino di Giovanni vende all’abate Ranieri “duo sestaria de terra que est sita Podio Bonizi” ; il bene comprende anche un edificio di cui non sono dati usi specifici e tutte le pertinenze del caso. Cronologicamente siamo davanti al più antico atto di compravendita in cui il monastero è direttamente coinvolto a pochissimi anni dalla fondazione del nuovo centro abitato; il numero di questi atti va progressivamente aumentando fino alla fine del secolo. In una prima fase i beni sotto diretto o indiretto controllo dei monaci di Marturi si concentrano nelle immediate vicinanze di Porta San Michele, nell’area che presumibilmente era occupata dai coloni provenienti da Marturi e dunque più attratti dall’orbita religiosa di San Michele. Vedremo più avanti di ricostruire un’ipotetica proprietà fondiaria del monastero dentro e fuori le mura di Poggibonsi, utilizzando la documentazione rimasta nell’archivio dei monaci.

La lotta tra il monastero e la pieve di Santa Maria

Come abbiamo visto la fondazione di Poggiobonizzo nella primavera del 1156 diede il via ad una serie di rivalità tra i principali enti religiosi per ottenere la cura delle anime tra le mura del nuovo centro. Prima di addentrarci in ricostruzioni sulla vita politica e religiosa all’interno del comune si rende necessario affrontare la spinosa questione del controllo delle chiese minori che tenne impegnati per lungo periodo sia i monaci di San Michele sia i canonici di Santa Maria.

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Estimo della Comunità di Poggibonsi 1318, in M. Rinaldi Ricerche di vita.

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Utilizzando gli elenchi delle decime per gli anni 1274-1280, M. G. Ravenni ricostruisce le relazioni tra chiese suffraganee e San Michele12, che risultano essere: San Pietro a Megognano, San Martino a Luco, San Bartolomeo a Pino e la canonica di Sant’Andrea a Papaiano. Per la canonica di Papaiano, in particolare, la documentazione in possesso del monastero risulta essere particolarmente corposa a causa di una lunga serie di procedimenti giudiziari con cui i monaci riuscirono a ottenere il controllo totale della canonica solo dopo una lunga battaglia legale con i canonici di Santa Maria. Altre chiese suffraganee che presumibilmente, sulla base di alcuni elementi architettonici e di riscontri nelle fonti posteriori, erano già presenti nell’area di Poggibonsi tra IX e XII secolo, erano le chiese di Staggia, Lecchi, Cedda, Padule, Pian De Campi, San Fabiano e Talciona. Già dall’elenco delle chiese poste sotto il controllo o del monastero o della pieve si nota come il numero di suffraganee presenti nel districtus prima o attorno al XII secolo sia molto alto se paragonato ad altre aree della Tuscia nello stesso periodo. Si può ipotizzare che l’espansione demografica nell’area della Valdelsa in cui sorse Poggiobonizzo sia iniziata prima della nuova fondazione, che poté quindi beneficiare fin da subito di un ampio bacino di coloni e di campagne popolose. Al marzo del 1108 risale invece la composizione della lite per il possesso di alcuni terreni nell’area di Poggobonizzo lungo la riva del fiume Elsa, che si risolse a favore dei canonici. Uno scontro molto acceso si ebbe anche per il controllo delle due chiese di S. Croce e San Martino di Luco e dell’ospedale di Calcinaia. Il pievano affermò che erano “sui iuris”, nonostante le pretese contrarie dell’abate13; la controversia venne risolta nel 1174 assieme alla complicata gestione dei pagamenti delle decime: alcuni possedimenti della pieve dovevano versare le decime ai monaci e viceversa pur restando nella piena disponibilità dell’ente che ne

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Si può ragionevolmente supporre che l’elenco delle suffraganee di fine XIII secolo rispecchi in parte la situazione ante Poggiobonizzo, prendendo come spunto la lista delle chiese presentata da M. G. Ravenni si è cercato di ricostruire l’ingresso nell’orbita del monastero di ogni chiesa citata. I dati sono tratti dal già citato Il

territorio di Poggiobonizzo tra XI e XIV secolo pp. 32

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deteneva il possesso. Mentre il Davidshon ritiene che l’origine di questa lunga serie di azioni legali sia da imputare ad un generale impoverimento del monastero, che dunque si sarebbe trovato in una situazione di estremo bisogno a causa della distruzione del castello di Marturi nell’estate del 1115, l’ipotesi avanzata da Della Valle Haimovici14 sembra più coerente con il quadro di crescita demografica dell’area che abbiamo già tratteggiato e che portò ad un aumento delle chiese sufraganee. In un quadro di crescita demografica e con la rapida ascesa del nuovo centro di Poggiobonizzo, è logico che i due grandi poli religiosi antecedenti al nuovo abitato siano entrati in competizione per ottenere nuovi beni e mantenere o rafforzare i propri privilegi.

La compravendita dei beni dentro e fuori le mura

1159-1209 1210-1234 1235-1263 acquisto 3 1 donazione 2 1 fitto 6 3 permuta 1 1 vendita 1

Tabella 1 documenti relativi ai beni del monastero di San Michele a Marturi nell’area del castrum di Poggio Bonizzo

Se già abbiamo esaminato gli interessi del monastero di San Michele al momento della fondazione del castrum di Poggiobonizzo, è utile continuare con un’analisi sul lungo periodo

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In riferimento alle cause dello scontro pieve-monastero si veda La vita economica della Badia di San Michele

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degli interessi immobiliari e fondiari veicolati dallo stesso monastero su tutto l’arco di tempo in cui il comune di Poggiobonizzo ebbe vita autonoma.

Per avere un quadro generale delle variazioni delle tipologie di atti conservati nel fondo Bonifacio si è scelto di realizzare la tabella sovrastante, suddividendo in tre grandi periodi il secolo che va dalla fondazione alla distruzione di Poggiobonizzo. Questi tre periodi non hanno la stessa estensione; ripercorrono le tre fasi di vita del comune, dai primi anni della fondazione passando per il periodo di espansione sino ai difficili anni che videro crescere la pressione fiorentina. Nella costruzione della tabella si è scelto anche di non fare una distinzione netta tra gli atti stipulati dal monastero con privati e quelli stipulati tra soli privati usando i monaci come garanzia; questa differenziazione verrà fatta nel corso dell’analisi dei dati.

La prima fase copre un arco temporale di cinquant’anni, dal 1159 al 1209, che corrisponde alla fase dell’edificazione e della prima espansione del castrum. Dei dieci atti relativi a beni immobili del monastero, solo due di questi documenti riportano di transazioni tra privati15; i restanti otto hanno tutti il monastero nella persona dell’abate come soggetto coinvolto. La maggioranza dei documenti, bei sei, sono contratti di livello o affitti di terreni/edifici posti all’interno o nelle immediate vicinanza del centro abitato. Si tratta di beni già in possesso dei monaci che, sfruttando l’aumento della popolazione, offrono ai nuovi abitanti del castrum terreni edificabili o edifici già presenti in cui poter vivere e tenere bottega. Le acquisizioni, in questa fase, rappresentano meno della metà degli atti; tra queste si segnala una donazione di privati16 riportata in una carta mutila, con cui il monastero entra in possesso di un podere nel disctrictus e di un altro edificio interno alla cinta muraria.

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Dipl. Bonifacio 1172, marzo 9. Baroncino, Sorbitelda, Aldibrandino e Coletta vendono un casolare a Martino. Dipl. Bonifacio 1205, gennaio 3. Lambone di Piero vende la metà di una casa posta in Poggiobonizzo a Veraccino di Martinello.

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Dipl. Bonifacio ultimi anni del XII, carta mutila. Donazione fatta al monastero di un podere nel districtus di Poggiobonizzo e di metà di una casa posta all’interno del castrum.

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Nel secondo periodo preso in esame, il ventennio 1210-1234, abbiamo a disposizione un totale di sette carte suddivise in un numero maggiore di tipologie rispetto ai documenti del cinquantennio precedente. Tra gli atti conservati soltanto due sono relativi a negozi giuridici tra privati, gli altri cinque documenti hanno sempre il monastero o l’abate come interlocutore. Il numero dei contratti d’affitto si dimezza rispetto al periodo precedente, e anche le acquisizioni subiscono una decisa flessione. Abbiamo la prima permuta nel 1225 in un atto tra privati17 con cui Ridolfino cede una casa in Poggiobonizzo vicina alla porta di S. Maria (dunque nel quartiere senese) a Tancredi, in cambio di altri beni di questi a Cusona. Di poco precedente è anche il primo documento di vendita, sempre tra privati, del febbraio 122418, con cui viene venduta la metà di una casa in località Vinzanese.

Nell’ultimo periodo preso in esame, i quasi trent’anni che vanno dal 1235 al 1263, la documentazione relativa ai beni immobliari del monastero si fa sempre più rarefatta. Di contro aumentano i documenti relativi alle dispute giudiziarie con cui i monaci cercarono di riottenere alcuni loro beni finiti in mani di privati19, o con cui cercarono di ottenere risarcimenti per i danni subiti a seguito dell’assedio fiorentino del 1257. Il monastero avrebbe perso gran parte delle proprie entrate dopo la conquista e la parziale distruzione di Poggiobonizzo ad opera di Firenze nell’estate del 1257: come riportato in due documenti distinti, i monaci riferiscono di aver subito danni diretti e indiretti e di versare ora in uno stato di miseria20.

L’instabilità politica, il passaggio di eserciti nell’area sono due fattori che certamente hanno determinato un cambiamento nella gestione dei beni del monastero. La presenza di privati che

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Dipl. Bonifacio 1125, settembre 20.

18

Dipl. Bonifacio 1124, febbraio 24.

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In particolare possiamo seguire con i due documenti Dipl. Bonifacio 1257, maggio 13 e 1258, agosto 27 gli sforzi dei monaci nella causa contro Iacopo di Iolio e il figlio Folco che si erano appropriati di beni del monastero approfittando della situazione di incertezza politica. La battaglia legale termina con una vittoria del monastero, grazie all’intervento del Podestà di Firenze, nel luglio del 1259. Dipl. Bonifacio 1259, luglio 8.

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cercano di appropriarsi dei beni ecclesiastici può far supporre che il prestigio e il controllo dei monaci sul loro patrimonio si fossero allentati nell’ultimo trentennio di vita autonoma del Comune. Anche la presenza sempre più frequente di notai professionisti può aver ridotto il numero di documenti giunti sino a noi: i privati utilizzano sempre meno il monastero per conservare l’originale degli atti e anche i monaci possono aver sentito meno pressante la necessità di avere una propria copia della documentazione di gestione patrimoniale minuta.

Funzioni pubbliche del monastero e della pieve

Nell’analizzare il ruolo del monastero nelle fasi di fondazione e costruzione del castrum e nel cercare di dipingere un quadro dei beni fondiari che erano sotto il controllo dei monaci di San Michele, appare evidente come la badia di Marturi abbia avuto un’influenza decisiva sul nuovo centro abitato di Poggiobonizzo. Oltre al già esaminato peso economico e religioso il monastero divenne presto uno dei perni della vita politica del comune, insieme con la pieve di S. Maria.

Proprio nella pieve sono redatti i documenti copiati nel Caleffo Vecchio relativi al passaggio di proprietà del terreno del podium tra il conte Guido Guerra e il comune di Siena21 e, presumibilmente, anche il giuramento solenne che segue di pochi giorni la cessione avrà avuto luogo all’interno della stessa Santa Maria. Il monastero ha però un peso preponderante: gli atti più solenni sono redatti all’interno della chiesa di San Michele, come ad esempio gli accordi relativi alla pace con Firenze del giugno 123522, in cui il podestà in carica e tutti i cittadini in assemblea si riuniscono all’interno del monastero in una fase estremamente delicata della vita

21

C. V. 1156, aprile 4.

22

Nello specifico si tratta di tre documenti relativi allo scioglimento della Lega con Siena e alla negoziazione autonoma dei due comuni di una pace con Firenze. C.V. 1235, 8 giugno il comune di Poggibonsi nomina un suo legato per dare mandato a Siena di concludere una pace separata con Firenze. C.V. 1235, 12 giugno il podestà di Poggibonsi Raniero di Gualtiero e il popolo conferiscono al sindaco Visconti Ruggerutti facoltà di sciogliere la lega con Siena. C. V. 1235, giugno 20. Siena e Poggibonsi sciolgono vicendevolmente la Lega.

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comunale. Un altro riferimento ad un’adunanza della popolazione all’interno della chiesa del monastero si ha nello stesso anno nel documento del 7 agosto 1235, in cui sono indicati anche i nomi di tutte le principali cariche pubbliche del Comune.

Ciò che rimane dell’archivio comunale non aiuta a definire in modo chiaro il ruolo del monastero nelle vicende politiche; la carta mutila del novembre 123123 non riporta indicazioni su dove avvengano le riunioni pubbliche, mentre il documento del 125624 fa già riferimento all’esistenza di un palazzo comunale adibito alle funzioni pubbliche. Sul quando sia stato realizzato uno spazio separato per le riunioni politiche non si hanno date certe; in base alla documentazione raccolta possiamo datare l’edificazione di un palazzo comunale, poi divenuto podestarile, in un lasso di tempo che va dagli anni ’30 agli anni ’50 del XIII secolo. Prima di questo passaggio la documentazione solenne veniva rogata all’interno del monastero di San Michele o nella pieve di Santa Maria senza particolari preferenze per l’una o l’altra sede.

Chiese minori e contrade, un’ipotesi

Nel suo Un castrum sul poggio di Bonizzo, Salvini parla del popolamento di Poggiobonizzo come antesignano rispetto alle successive fondazioni di terre nuove da parte del comune di Firenze25. Le contrade del nuovo insediamento e la loro posizione all’interno della cerchia muraria sono state oggetto di numerosi studi e ipotesi da parte degli storici. Il numero esatto dei popoli varia in alcuni autori da nove a sette26; sappiamo per certo che vi erano una contrada di abitanti provenienti da Siena e altre di Talciona, di Marturi, Papaiano, Camaldo,

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Dipl. Comune 1231, novembre 5.

24

Dipl. Comune 1256, febbraio 15. Si tratta di un pagamento per una carica podestarile dell’anno precedente

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E. Salvini Un castrum sul poggio di Bonizzo, il riferimento specifico a Poggiobonizzo come caso di terra nova si trova a pagina 71 del testo già citato.

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Pratelli ne cita nove ma riesce a individuarne in modo certo soltanto sette, Davidshon non fa riferimenti specifici mentre Salvini ne riconosce otto.

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Gavignano e Santa Agnese. Salvini ipotizza anche la presenza di abitanti originari di San Lorenzo in Campi.

Ora tutte queste contrade avranno avuto, come avveniva per i casi analoghi di popolamento, una propria chiesa di riferimento, figlia di una delle chiese madri del loro borgo d’origine. Se per la contrada senese la chiesa in questione era quella dedicata a Santa Agnese sotto diretto controllo del vescovo di Siena, per il gruppo di abitanti provenienti da Marturi è lecito immaginare che la chiesa di riferimento fosse la già presente pieve di Santa Maria che venne a tal proposito inglobata nella cerchia muraria. Restano dunque dalle cinque alle sei contrade per cui vanno trovate tracce di chiese locali costruite per servire gli abitanti.

Per la contrada dei camaldolesi sappiamo, da fonti successive alla distruzione di Poggiobonizzo, che la chiesa di riferimento per gli abitanti era intitolata a Santa Maria di Camaldo e che, dopo la fine dell’esperienza di vita autonoma del comune, sui suoi resti o nelle immediate vicinanze del sito in cui sorse, venne edificato il convento dei frati minori intitolato a San Lucchese27.

Un’altra contrada di cui è stato possibile trovare notizia nelle fonti documentarie è quella di Talciona. La chiesa di riferimento era intitolata a Santo Stefano e la sua gestione era condivisa tra i canonici della pieve di Talciona e i monaci di San Michele di Marturi. Vedremo nello specifico la documentazione relativa a Santo Stefano nel secondo capitolo.

Le chiese minori: la tutela dei monaci su Santa Croce e San Pietro

Sul tema delle chiese minori esistenti all’interno dell’abitato di Poggibonizzo, uno sprazzo di luce ci viene dall’analisi di tre carte conservate all’interno dell’archivio dei monaci di San

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Per il convento di San Lucchese si veda l’omonimo excursus. L’intitolazione della chiesa appare negli atti del convegno Gli ordini mendicanti in Valdelsa nella nota a pagina 157.

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Michele: nei tre documenti in questione sono indicate due chiese già esistenti, Santa Croce e San Pietro di Meugnano, la cui gestione viene affidata all’abate del monastero di Marturi.

La prima chiesa che incontriamo nella documentazione è San Pietro di Meugnano, in una carta datata 3 giugno 1234 e rogata in San Gimignano28, con la quale i tre patroni della suddetta chiesa, i fratelli Bernardino e Alfio di Lapo assieme a Gerardo di Ranuccio, eleggono come loro procuratore l’abate del monastero di San Michele, Benno, affinché proceda nella scelta di un rettore per la chiesa. Sfortunatamente non disponiamo di altre fonti documentarie relative a San Pietro. La piccola chiesa compare brevemente nel volume trentadue dell’opera più tarda del Cantini in cui si fa riferimento ai diritti che su di essa poteva continuare a vantare il monastero sino al XV secolo circa. La scelta di passare da un patronato privato alla gestione dei monaci può forse essere dovuta alla lontananza dei tre patroni privati dal castrum; la scelta di redigere il documento non in loco ma nella rivale San Gimignano potrebbe essere indice del luogo in cui risiedevano o comunque avevano i loro interessi principali Bernardino, Alfio e Gerardo. Non si sa come sia stata edificata la chiesa e le vicende che la portarono ad avere quasi alla metà del XIII secolo una gestione sotto il controllo di privati sono oscure. Non sappiamo se sia nata come una chiesa di contrada poi passata in mani di privati o se si tratti di una fondazione voluta da una o più famiglie come espressione di una particolare devozione al santo o in ricordo delle origini.

Le fonti sono leggermente più numerose per l’altra chiesa minore che finisce sempre nel corso del XII secolo sotto la tutela dei monaci marturiensi: sulla chiesa di Santa Croce abbiamo due distinti documenti del febbraio 1248 e dell’agosto 125429. Nel primo documento l’abate del monastero, sempre il Benno che abbiamo trovato nel documento relativo alla gestione di San Pietro, elegge rettore di Santa Croce il presbiter Giovanni che giura di tenere una condotta

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Dilp. Bonifacio 1234, giugno 3. La stessa chiesa è citata anche dal Cantini in Legislazione toscana, tomo 32 pag. 20.

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appropriata al suo ruolo e di sottostare alle indicazioni dei monaci di San Michele. Nella documentazione precedente non è rimasta traccia di quando e come il monastero abbia acquisito il diritto di scegliere i rettori per la chiesa, né si hanno notizie sulla sua fondazione ad opera degli stessi monaci o di privati. Il rapporto tra monastero e rettore non risulta scevro da incomprensioni.

Il secondo documento redatto sei anni dopo mostra tutte le difficoltà della gestione da parte del nuovo abate Bruno, che cerca in ogni modo di imporre la sua autorità sul cappellano di Santa Croce, lo stesso Giovanni nominato dall’abate precedente. Oltre al mancato rispetto dell’autorità del monastero, Giovanni viene accusato anche di non aver dato ai monaci il ricavato della vendita di alcuni beni fatta in precedenza; il denaro ottenuto sarebbe rimasto nelle mani del prete senza che questi ne avesse il diritto. Non ho trovato nella documentazione successiva altri riferimenti alla chiesa o al presbiter Giovanni; non possiamo quindi sapere come sia avvenuta la risoluzione della lite e se il cappellano ribelle sia stato ricondotto all’obbedienza o allontanato dalla chiesa.

Questi due esempi di gestione monastica delle chiese minori interne al castrum mettono in luce innanzitutto la grande autorevolezza e, in un certo senso, popolarità degli abati di Marturi all’interno dell’abitato, dal momento che essi sono scelti anche nei casi di gestione da parte di laici come procuratori per le decisioni più delicate come quella della nomina di un nuovo curato. Emergono inoltre le difficoltà legate alla gestione pratica di questi piccoli organismi, sulla carta completamente dipendenti dal monastero. Il caso del presbiter Giovanni apre una finestra molto interessante sulla gestione diretta delle chiese minori, che non comprendeva solamente la nomina del curato, ma anche la presa in carico di tutta una serie di spese e guadagni legati alle chiese attorno a cui si potevano creare contenziosi legali e, forse, anche rivendicazioni di una maggiore autonomia da parte dei rettori.

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Capitolo II

Il legame con Siena, un’alleanza politica ed ecclesiastica

Come abbiamo visto, l’area su cui venne edificato Poggiobonizzo era non solo posta all’intersezione di tre diverse diocesi, ma era anche strategica dal punto di vista politico ed economico. Lo spostamento del tratto della via Francigena nella Valdelsa determinò un ulteriore incremento degli interessi senesi nell’area: il Comune di Siena trovò un utile alleato per la sua politica di espansione nel conte Guido Guerra che era riuscito ad ottenere il possesso del poggio di Bonizzo tramite alcune operazioni di compra vendita con l’abate di San Michele30.

Nella documentazione presente nel Caleffo Vecchio è subito evidente la forte impronta politica e religiosa che i senesi intendono dare alla nuova fondazione. Il privilegio papale del 21 luglio 1155 del pontefice Adriano IV31 spiana la strada all’edificazione all’interno del futuro castrum di una chiesa posta sotto il controllo della diocesi senese; i due documenti del 4

30

I passaggi di proprietà del colle sono almeno tre, e prevedono il frazionamento della proprietà in ottavi. Nello specifico abbiamo un primo atto di vendita/permuta del terreno tra l’abate di San Michele Ranieri e il conte Guido Guerra. Le due permute del 29 marzo 1156 (Dipl. Bonifacio 1156 marzo 29) mostrano come i beni comitali e quelli del monastero vengano scambiati almeno due volte prima di finire nelle mani di Guido Guerra; nella prima permuta il conte lascia al monastero un appezzamento di terreno interno al borgo di Marturi, nel secondo documento il terreno su cui venne poi a sorgere Poggiobonizzo viene ceduto dall’abate Ranieri in cambio di un appezzamento della medesima estensione posto in piano tra la strada e la pieve di Marturi. Nel passaggio del podium dalle mani di Guido Guerra al comune di Siena il terreno viene suddiviso in ottavi di cui uno resta nelle mani del conte, e della sua discendenza, con il divieto di venderlo o alienarlo ai fiorentini o ad altri nemici di Siena C. V. 1156 aprile 4.

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aprile 115632 indicano non solo le condizioni della cessione del terreno al comune senese, ma raccolgono anche una lista di nomi di abitanti del futuro comune che giurano fedeltà a Siena, non solo offrendo aiuto militare in caso di scontri armati, ma accettando l’autorità del suo vescovo all’interno del nuovo abitato. I diritti ecclesiastici dei senesi sono acquisiti con la compravendita del terreno di Podium Bonitii che era pochi anni prima passato da bene fondiario del monastero, e dunque sotto l’amministrazione ecclesiastica fiorentina esercitata dai monaci, a proprietà di un privato che né aveva formalmente donato una parte alla Sede Apostolica. Gli intricati passaggi di proprietà ed il frazionamento della stessa in ottavi hanno quasi certamente lo scopo di confondere le acque e rendere particolarmente difficoltoso ai fiorentini e al loro vescovo l’onere di rivendicare diritti sul nuovo centro destinato sin dalle origini a divenire una preziosa testa di ponte senese in un area strategica come la Valdelsa.

I privilegi papali per i vescovi senesi

Uno dei fattori che sarà determinante nei primi decenni di vita di Poggiobonizzo per determinare il successo dell’operazione politica senese, è il favore che i vescovi di Siena riuscirono ad ottenere presso la corte pontificia. Il secondo importante fattore che determina la presenza di più documenti in un lasso di tempo tutto sommato breve è dato dalle campagne militari che coinvolsero Firenze e Siena: tregue e accordi presi dalle parti potevano determinare lo spostamento dei confini delle diocesi in un’area che, come abbiamo già visto, presentava una situazione ecclesiastica di non facile ricomposizione.

Il privilegio del 21 luglio 1155 concesso da Adriano IV33 apre la strada per una formale espansione della diocesi senese a danno di quella fiorentina. In particolare, esso conferma in modo inequivocabile il possesso del terreno donato da Guido Guerra al vescovo di Siena

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I documenti in questione sono rispettivamente C. V. 1156 del 4 aprile (pagine 7-8) e C.V. 1156 sempre in data 4 aprile (pagine 19-20).

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Ranieri e legittima la costruzione di una chiesa intitolata a Sant’Agnese: “in fundo quam dilectus filus noster nobilis vir Guido comes in Monte Bonizi beato Petro et nobis…dignoscitur concessisse, liceat tibi ecclesiam construhere et constructam sine contradictione aliqua consacrare, clericos quoque in ea iuxta tue voluntatis arbitrium ponere et libere ordinare”. A Ranieri e ad i suoi successori sulla cattedra vescovile di Siena venne concesso il controllo della nuova fondazione e il diritto di scegliere e ordinare i religiosi che vi avrebbero prestato servizio. La data del documento, redatto a pochissima distanza dagli atti di donazione fatti da Guido Guerra al Comune di Siena, mostra come tutta l’operazione sia stata il frutto di un’attenta pianificazione in cui venne coinvolta sin dai primi stadi la corte pontificia.

I diritti acquisiti nel 1155 vengono confermati nell’estate del 1176 dal nuovo pontefice Alessandro III34. In merito all’appartenenza territoriale del castrum alla diocesi fiorentina si leggono queste parole riferite al predecessore: “levi et vano errore ductus, quod locus ille in episcopatu Florentino consistit”. L’originaria continuità territoriale e gli originari diritti dei vescovi di Firenze sul podium, già ignorati nel documento precedente, vengono messi in secondo piano a favore delle rivendicazioni senesi che si basavano sulle donazioni del 1155. Il tema dell’errata attribuzione di Poggiobonizzo alla diocesi di Firenze compare per la prima volta in questo documento; è una formula destinata ad essere ricorrente nella documentazione successiva, quando le pressioni dei vescovi fiorentini divennero più forti nel tentativo di riottenere i diritti ecclesiastici che originariamente erano in loro possesso.

Un altro dettaglio interessante è relativo al fatto che in un accordo del 1175 tra il Comune di Siena e quello di Firenze35 per la gestione di Poggiobonizzo, compare per la prima volta nella

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C. V. 1176, giugno 22. In merito alle richieste dei fiorentini di veder riconosciuti i propri diritti pregressi sul podium il testo riporta: “levi et vano errore ductus, ea considerazione fecisse dignoscitur, quod locus ille in episcopatu Florentino consistit”.

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documentazione un riferimento alla presenza di una chiesa sotto il controllo del vescovo fiorentino all’interno del castrum; è lecito supporre che, a seguito di un così evidente avvicinamento di Firenze, i vescovi di Siena abbiano ritenuto necessario ottenere un nuovo documento che mettesse per iscritto l’estensione dei propri diritti nell’area per tutelarsi dalle rivendicazioni dei rivali.

Nel maggio del 117836, a seguito degli accordi di pace tra Firenze e Siena, le linee di confine della diocesi senese furono ridisegnate dal papa Alessandro III. Per quanto riguarda l’area oggetto del nostro interesse il documento riporta: “vallem senese et stratam Pocis et plebem Sancte Agnetis in Podiobonizi cum populo eidem plebi et rebus aliis assignatis”. Il corso del torrente Foci torna ad essere la linea di confine non solo politica, ma anche religiosa all’interno della Valdelsa. L’assegnazione della pieve con tutte le sue pertinenze e il controllo sul populus dei fedeli rappresenta una concessione più limitata rispetto ai documenti precedenti. I vescovi di Siena perdono il controllo esclusivo di Poggiobonizzo, anche se nel documento non viene mai fatto alcun cenno in modo esplicito, poiché viene sottaciuta e in parte accettata la compresenza all’interno dell’abitato di chiese poste sotto il controllo dei fiorentini. In due anni era già iniziata l’attività di “erosione” dell’egemonia senese da parte del clero fiorentino, che aveva visto riconosciuto il proprio diritto ad avere un proprio luogo di culto.

Una nuova conferma dei diritti ecclesiastici su Santa Agnese di Poggiobonizzo si ha nel gennaio 1187 con il pontefice Clemente III37. Il vescovo Gonteramo, probabilmente a causa delle crescenti pressioni di Firenze nell’area, richiede un’ulteriore conferma dei beni concessi ai suoi predecessori. Clemente III decide di tener conto delle decisioni del suo predecessore Alessandro III e di riassegnare la chiesa ai vescovi di Siena, “non obstante retractatione quam

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C. V. 1178, maggio 17.

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prefatus predecessor noster Adrianus, super hoc levi et vano errore ductus, ea consideratione fecisse dignosciutur, quod locus ille in episcopatu Florentino consist”. La decisione di rendere a Gonteramo la completa gestione della chiesa e dei canonici è motivata non solo dalla documentazione precedente, che il papa afferma aver studiato con molta attenzione, ma anche dal legame profondo del clero di Poggiobonizzo con la sede vescovile senese a discapito di quella fiorentina a cui era stato riassegnato.

Sant’Agnese ovvero un’omonimia di comodo

Il fatto che la prima chiesa di matrice senese sorta all’interno del nuovo centro abbia preso il nome di Sant’Agnese non è certamente frutto del caso o della semplice devozione popolare, quanto il risultato di una pratica estremamente comune nei pivieri posti in aree di frontiera della diocesi senese. L’omonimia con una o più pievi poste a distanza relativamente breve permetteva di creare scientemente confusione e errori nella documentazione, così da estendere i diritti acquisiti su una singola pieve anche alla chiesa omonima posta in un’altra località. In alcuni documenti è possibile capire di quale chiesa si stia parlando utilizzando le descrizioni delle pertinenze o alcuni toponimi, ma già all’epoca casi di scambio di chiese erano comuni nella documentazione ufficiale.

Questo intricato sistema di omonimie diviene un vero e proprio labirinto quando ad oggi si vanno a ricercare informazioni. La scelta del nome della santa protettrice di Siena rispecchia l’abitudine, utilizzata anche dalla diocesi di Firenze a Marturi prima e a Poggiobonizzo dopo, di utilizzare il proprio santo patrono come “marchio di fabbrica38” nella consacrazione di pievi in aree di recente acquisizione o in luoghi in cui si insediavano coloni provenienti dalla madrepatria per ripopolare centri entrati nell’orbita senese.

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È quasi ridondante ricordare che nel caso di chiese fiorentine uno dei nomi più utilizzati sia quello di San Giovanni Battista.

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Una chiesa senese sul poggio di Bonizzo. Fonti documentarie e scavi

archeologici su Sant’Agnese

La prima fonte documentaria che ci riporta notizie riguardo alla presenza di una chiesa fondata sotto la spinta del vescovo di Siena è il documento del Caleffo Vecchio del 115639, si fa riferimento ad una chiesa senza nome (e probabilmente a più di una sul lungo periodo) da edificarsi nella contrada senese all’interno delle mura. Gli abitanti del nuovo centro si impegnano inoltre a rispettare e preservare tutte le chiese senesi presenti nel contado e a non avere atteggiamenti ostili nei confronti del vescovo di Siena. Nello specifico le basi per l’edificazione di quella che sarà Santa Agnese sono descritte con queste parole: “ecclesia vel ecclesias quam seneses vel alius per eos in praedicta parte constituent et earum iura vel parrochiales consuetudines custodiam et observabo, et si aliquis contra predictam ecclesiam vel ecclesias aliqua sinistrum mollitus fuerint, per bonam fidem et sine fraude adiuvabo, in his precipue personis et in eorum successori bus que causa habitandi ad predictum castellum venerit de senesi episcopatu”40 . La chiesa nasce quindi in concomitanza con il centro abitato, mirando sin dalla sua fondazione ad egemonizzare la vita religiosa e pubblica del castrum.

Per trovare nuovi riferimenti nelle fonti dobbiamo fare un salto temporale di quasi vent’anni sino ai patti tra Firenze e Siena per la gestione di Poggibonsi del 22 marzo del 117541. Nel suddividere la gestione ecclesiastica interna al centro abitato tra i due vescovati di Siena e Firenze viene descritta la chiesa di Santa Agnese assieme alle sue pertinenze: la chiesa risulta essere affiancata da un cimitero, caratteristica che le altre chiese presenti al momento della redazione del documento non sembrano avere, da un chiostro e da una casa destinata ad accogliere gli ecclesiastici che vi officiavano. La risoluzione del 1175 lascia Santa Agnese

39

C.V. 1156 aprile 4, è il giuramento di fedeltà degli uomini di Poggiobonizzo al comune di Siena.

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Vedi nota precedente.

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sotto il controllo della diocesi senese, ma apre la strada alla costruzione di nuovi luoghi di culto sotto l’egemonia fiorentina, come vedremo meglio nel prossimo capitolo.

La situazione del 1175 ha vita breve. Già l’anno successivo i senesi ottengono dal pontefice Alessandro III la conferma della loro piena giurisdizione sulla pieve42; tre anni dopo lo stesso pontefice dà luogo ad una revisione dei confini della loro diocesi in cui compare anche la chiesa di Poggiobonizzo43: il pievato di Santa Agnese, e per estensione Poggiobonizzo, torna in totale mano senese: “et plebem Sancte Agnetis in Podiobonizi cum populo eidem plebi et rebus aliis assignatis”. Sappiamo dunque che la chiesa aveva già un sul populus, una contrada a cui faceva capo che con molta probabilità era quella formata dagli immigrati provenienti dai territori senesi e che si erano insediati nei pressi della porta di Santa Maria per riscuotere il pedaggio della via Francigena.

La documentazione su Sant’Agnese presenta a questo punto una lacuna che, dalle vicende degli anni ’70 del XII secolo, porta ad uno dei documenti più interessanti tra quelli presi in esame: il Lodo di Ogerius del 120344, con cui si tenta di risolvere la questione giurisdizionale che coinvolge le due chiese principali all’interno dell’abitato. Sotto diretto controllo della

42

C. V. 1176, giugno 22. Alessandro III conferma i diritti del vescovo di Siena sulla pieve di Santa Agnese.

43

C. V. 1178,

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C. V. 1203, giugno 4.

Il podestà di Poggiobonizzo, Ogerio, pone fine con una sentenza arbitrale alle liti tra Firenze e Siena delimitandone le rispettive giurisdizioni: “item ecclesiam de novo hedificatam in castro Podii Bonizi pro ecclesia Sancte Agnetis et pro priore de Talciona et canonica senesi fiaciat esse et monari pro plebe Sancte Marie de Podiobonizi et pro episcopatu fiorentino et sub ea sicut alie ecclesiae que sunti in Podiobonizi de fiorentino episcopatu honorantur sub praedicta plebem… non hedificent nec hedificare faciant aliquam ecclesiam in Podiobonizi pro se aut pro plebe Sancte Agnetis… vel pro aliqua ecclesia senensis episcopatu aut pro ipso episcopatu… Item ea omina que florentinis in castro Podiobonizio et eius adpendiis per carta concessa sunt a senesibus”.

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diocesi di Siena risultano esserci le due chiese di Sant’Agnese e la chiesa della contrada di Talciona dedicata a S. Stefano45.

Il lodo arbitrale riporta la risoluzione decisa dal podestà di Poggibonsi Ogerius, con l’aiuto di quattro arbitri, il podestà decide di bloccare la situazione all’interno del comune, imponendo alla parte senese un blocco delle nuove costruzioni. Il vero danno per la chiesa derivò dall’obbligo di smantellare i fonti battesimali, che erano presenti sin dall’edificazione ed erano stati il vero elemento di vantaggio sui rivali dell’altra chiesa interna al castrum e appartenente alla diocesi di Firenze. La perdita dei fonti battesimali si rivelò pesantissima sul piano del prestigio di Sant’Agnese: non potendo più amministrare il battesimo al suo interno la comunità dei fedeli dovette necessariamente ridursi, mentre i nuovi nati entrarono a far parte della diocesi di Firenze rimasta l’unica, oltre alla pieve di Santa Maria, a poter offrire il primo sacramento. Il lodo arbitrale del 1203 si dimostrò sul lungo periodo svantaggioso per i senesi; il divieto di edificare nuovi luoghi di culto e di acquisire altri beni immobili all’interno del castrum, non era infatti esteso alle chiese appartenenti alla diocesi fiorentina, che poterono beneficiare della forzata immobilità dei rivali per insediarsi in modo più radicato e capillare.

La contrada di Talciona e la chiesa di Santo Stefano

La presenza di famiglie originarie di Talciona tra i primi abitanti fatti insediare a Poggiobonizzo è data per certa da tutti gli studi e le ricostruzioni precendenti; le fonti documentarie confermano questa ipotesi. Come abbiamo ricostruito nel capitolo precedente, la canonica di Talciona risulta essere una delle chiese suffraganee del monastero di San Michele tra IX e XII secolo; con la nascita di una contrada talcionense i canonici di Santa Maria di Marturi si muovono sin dai primi anni per ottenere un accordo vantaggioso per la gestione della nuova chiesa di riferimento all’interno dell’abitato. Un documento fondamentale per

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gettare luce sulla gestione delle chiese di contrada ed in particolare delle chiese sotto influenza senese è quello datato 14 giugno 118846, che riporta gli accordi sulla gestione del clero per il nuovo edificio religioso. Veniamo a sapere che la chiesa di riferimento per i talcionesi a Poggiobonizzo è intitolata a Santo Stefano, la scelta dei religiosi che vi officiano è demandata ai canonici di Talciona, ma l’investitura ecclesiastica spetta al proposto di Santa Maria. Il Pratelli47 fa riferimento ad accordi simili fatti con le contrade dei senesi e di San Genesio, ma non sono state trovate fonti documentarie a sostegno di tale teoria. Per l’ubicazione della chiesa di Santo Stefano occorre cercare di identificare all’interno del castrum l’area destinata agli abitanti originari di Talciona. La ricostruzione di Salvini48 pare essere la più verosimile in mancanza di altre fonti certe: sulla base della posizione delle famiglie originarie di Siena e seguendo l’esempio di altri casi di popolamento in cui le contrade erano posizionate in prossimità della prima porta d’accesso al centro rispetto all’abitato d’origine, possiamo supporre che i talcionesi avessero costruito le loro abitazioni e la loro chiesa nel settore sud-est del castrum.

Ipotesi sulla funzione della chiesa senese e sul suo impatto sulla vita pubblica

Ricostruire l’impatto della più grande delle chiese senesi, Sant’Agnese, all’interno del castrum di Poggiobonizzo non è semplice: la documentazione comunale è quasi interamente perduta così come è perduto l’archivio dei canonici. Possiamo desumere l’importanza nelle prime fasi dello sviluppo del nuovo centro, dal fatto che la chiesa si dota molto presto, se non dalla sua prima costruzione, dei fonti battesimali essenziali per creare un forte legame con la comunità e sottrarre parte dell’amministrazione dei sacramenti alla pieve di Santa Maria e al monastero. Il favore degli abitanti per Sant’Agnese cresce con il tempo, quando la chiesa, almeno prima

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C. V. 1188, giugno 14.

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Il riferimento è a pagina 77 del già citato Storia di Poggibonsi.

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degli anni ’70 del XII secolo, si dota sia di un cimitero sia di una casa a sé stante per ospitare i canonici che vi officiavano.

Per quanto riguarda l’impatto sulla vita assembleare non possiamo sbilanciarci in merito all’utilizzo per le prime assemblee cittadine prima della creazione degli spazi appositi all’interno della città. Non sembra che la chiesa abbia mai svolto tale funzione, tutti i documenti comunali rimasti sono redatti nella pieve di Santa Maria49. Dal 1257 compare tra i luoghi possibili dove rogare un documento il Palazzo del Comune50 . Credo sia lecito ipotizzare che il grosso della funzione pubblica di Sant’Agnese sia decaduto già dal 1203, quando la chiesa viene privata dei fonti battesimali e viene vietata la costruzione di nuovi luoghi di culto sotto controllo senese. Il Pratelli indica come centro della vita politica interna al castrum la chiesa di Sant’Antonio a cui fece seguito il monastero autonomo, ma non né ho trovato menzione nelle fonti o in altri autori.

Dal punto di vista degli scavi archeologici la campagna di scavo del 1997/1999 sul colle di Poggibonsi ha portato alla luce i resti di una chiesa di grandi dimensioni, la cui collocazione suggerisce possa trattarsi di Sant’Agnese51. La chiesa, negli ultimi anni di vita autonoma del comune, era dotata di una campanile e presentava una struttura a tre navate con un’abside quadrangolare per un’estensione totale di 18x48 metri. Dagli scavi è emerso che la chiesa ebbe almeno tre distinte fasi evolutive. La prima fase permette di datare la costruzione del primo impianto dell’edificio ai primi anni successivi alla fondazione di Poggiobonizzo,

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Anche le decisioni giudiziarie erano prese all’interno della Pieve come si può vedere dal documento Dipl. Bonifacio 1211, gennaio 27. Riporta la condanna in contumacia per reati finanziari da parte del giudice Riccolino.

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La prima dicitura in tal senso compare in Dipl. Bonifacio nel documento 1257, maggio 13 in cui i monaci di San Michele chiedono al giudice Ildebrando e al Comune di non privare il monastero dei propri beni in occasione della causa tra monastero e Iacopo del fu Iolio.

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R. Francovich, C. Tronti, M. Valenti, Il caso di Poggio Bonizio (Poggibonsi, Siena): da castello di fondazione

signorile a “quasi città”. Parallelismi e differenze nell’Italia centro-settentrionale, in Academia Edu pp. 232 e

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coerentemente a quanto riportano le fonti documentali su Sant’Agnese. La pianta della chiesa ricalca in modo molto fedele quella che era la struttura della Pieve di Santa Maria di Marturi52; non sappiamo se le due chiese si siano influenzate vicendevolmente nel corso degli anni tanto da modificare entrambe la propria struttura originaria, o se la somiglianza con Santa Maria sia stata voluta sin dal principio per sottrarre fedeli e prestigio alla pieve.

Dalla ricostruzione del centro abitato tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo sappiamo che antistante alla chiesa di Sant’Agnese si trovava una piazza di grandi dimensioni che presumibilmente fungeva da luogo di raccolta e ritrovo per gli abitanti del quartiere senese e, in caso di funzioni solenni, di tutta la popolazione.

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La pieve di Santa Maria venne demolita nel corso del XIX secolo, ma si sono conservati alcuni disegni e descrizioni della struttura precedenti alla demolizione.

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Ricostruzione in pianta dell’abitato di Poggiobonizzo tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. In particolare si nota l’imponente chiesa di Sant’Agnese ad est vicino ad una delle strade principali del centro. L’immagine è tratta da R. Francovich, C. Tronti, M. Valenti, Il caso di Poggio Bonizio (Poggibonsi, Siena): da castello di

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Capitolo III

Una diocesi defraudata

Dall’analisi delle fonti documentarie fatta nei capitoli precedenti, è emerso come l’area su cui venne edificato Poggiobonizzo fosse non solo di proprietà del monastero di San Michele di Marturi, ma ricadesse sul piano ecclesiastico all’interno dei confini della diocesi di Firenze.

I documenti che permettono di ricostruire i passaggi di proprietà del colle, unitamente al primo dei privilegi papali del 1155, mostrano come Siena si sia impadronita di un’area che storicamente era al di fuori dei confini diocesani. Venne a crearsi una vera e propria enclave senese in una posizione strategica della Valdelsa, che aveva tutte le caratteristiche di una futura testa di ponte per una “risalita” senese lungo il corso del fiume. La presenza a poca distanza dal nuovo centro di una pieve, Santa Maria, e di un monastero, San Michele, posti sotto formale controllo del vescovo di Firenze rese la situazione complessa sin dai primi anni di vita del castrum.

La traslazione di San Giovanni dal borgo di Marturi al castrum di Bonizzo

Nella documentazione che abbiamo esaminato la prima menzione della presenza di una chiesa sotto controllo del vescovo di Firenze interna al castrum si ha nel marzo del 117553, con gli accordi tra Firenze e Siena per la gestione di Poggiobonizzo successivi alla fine delle ostilità dovute al tentativo fiorentino di distruggere il nuovo centro sul nascere.

La chiesa intitolata a San Giovanni Battista era già presente nel borgo vecchio di Marturi, ma aveva subito un danno importante sia nel numero dei fedeli sia nella quota riscossa mediante il

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pagamento delle decime a seguito del trasferimento degli abitanti nel nuovo centro. Nella documentazione viene fatto riferimento a dei beni immobili interni al castrum appartenenti a San Giovanni di Marturi e su cui, con ogni probabilità, si andò a edificare l’omonima chiesa posta sempre sotto il controllo della diocesi fiorentina.

La chiesa di San Giovanni Battista, ovvero due diocesi per un comune

La presenza di una chiesa fiorentina all’interno della cerchia muraria di Poggiobonizzo non ha lasciato tante tracce documentarie come nel caso della senese Sant’Agnese. Sulla posizione del nuovo edificio possiamo solo ipotizzare che, essendo ufficialmente uno “spostamento” della chiesa di Marturi all’interno del nuovo castrum, la chiesa sia stata edificata nella contrada dei marturiensi.

Con ogni probabilità il nuovo edificio venne provvisto di fonti battesimali, così da attirare i fedeli che in precedenza potevano rivolgersi solo a Sant’Agnese per ricevere i sacramenti. Non si hanno notizie di un cimitero o di un’area riservata alle sepolture; ma è possibile che, seguendo una prassi comune, i fedeli si siano fatti tumulare nelle immediate vicinanze della stessa chiesa, anche in mancanza di chiare indicazioni nelle fonti documentarie.

I dati archeologici non sono esaustivi come nel caso di Sant’Agnese, ma possiamo collocare la chiesa nel settore nord-ovest dell’abitato dove sono stati individuati i resti di un edificio religioso di grandi dimensioni. In modo speculare alla chiesa senese, anche San Giovanni pare avesse una grande piazza su cui affacciarsi e che, presumibilmente, era utilizzata per le funzioni più solenni54.

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R. Francovich, C. Tronti, M. Valenti, Il caso di Poggio Bonizio (Poggibonsi, Siena): da castello di fondazione

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Ipotesi sulla convivenza tra diocesi

Le fonti documentarie non riportano episodi specifici o contenziosi giuridici sorti tra i canonici di Sant’Agnese e quelli di San Giovanni. Nel tentativo di ricostruire la vita pubblica e religiosa di Poggiobonizzo possiamo solo affidarci a ipotesi ricostruttive e cercare qualche spunto dalle fonti provenienti da San Michele o dalla documentazione del Caleffo Vecchio.

Sappiamo quasi per certo che nessuna delle due chiese principali del castrum riuscì ad imporsi come punto di riferimento stabile per le funzioni legate alla vita pubblica. Le prime riunioni del comune ebbero luogo o nella chiesa di San Michele o nella pieve di Santa Maria; in seguito con la costruzione di spazi appositi per le assemblee cittadine il peso delle chiese locali divenne più marginale e riservato ad occasioni straordinarie. Si può immaginare una situazione di “parità” o quasi tra le chiese senesi e quelle fiorentine interne al castrum: entrambe le chiese principali erano dotate di fonti battesimali e di aree per la sepoltura, ma non erano in grado di calamitare in modo significativo la popolazione. La presenza di Sant’Agnese sin dai primi anni di vita dell’insediamento, la menzione di un’area cimiteriale esclusiva per i suoi fedeli fanno presupporre che tra le due diocesi le preferenze dei fedeli dovettero essere, almeno in una prima fase, per la chiesa senese che poteva offrire più servizi rispetto a San Giovanni.

Il lodo di Ogerius del 1203

La compresenza di due diocesi all’interno dello stesso comune subisce un deciso cambiamento a favore di Firenze nell’estate del 1203 con il lodo del podestà Ogerius. Il podestà era affiancato da quattro arbitri Parisius, Lotterengus, Bonacursus e Arnulfus, nel tentativo di stabilire un confine duraturo tra le due città rivali. Oltre alla spartizione di vari centri in Valdelsa e nell’area aretina si cercò di mettere ordine anche nella gestione ecclesiastica di Poggiobonizzo. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, il lodo del 1203 diede origine ad un profondo cambiamento nella gestione ecclesiastica e nella vita pubblica del comune.

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Abbiamo già analizzato le conseguenze di questo documento sulle chiese facenti capo alla diocesi di Siena; cercheremo adesso di capire cosa venne a significare per le altre poste sotto l’egida dei vescovi fiorentini.

Il dato più importante che emerge dalla lettura dell’arbitrato è l’ammissione della possibilità di costruire chiese dipendenti dalla diocesi di Firenze all’interno delle mura dell’abitato di Poggiobonizzo; nella documentazione precedente l’unica chiesa interna alle mura del castrum sottoposta al controllo del vescovo di Firenze era la già citata San Giovanni Battista, la cui sede era stata spostata dal borgo di Marturi nel 1175. Con il lodo le chiese fiorentine hanno la possibilità di moltiplicarsi e concorrere in modo più capillare all’opera di sottrazione dei fedeli, e delle risorse, alle controparti senesi. Sfortunatamente non si sono conservate altre fonti documentarie coeve in grado di mostrarci se, e soprattutto quanto, la diocesi fiorentina poté beneficiare di queste condizioni edificando nuovi luoghi di culto. Possiamo ipotizzare che a questa fase possa risalire in qualche modo un embrione del futuro monastero di Sant’Andrea individuato da M. Valenti nelle sue campagne di scavo nel sito di Poggiobonizzo.

La distruzione del fonte battesimale di Sant’Agnese. Finisce la diarchia vescovile

Con il lodo di Ogerius e la conseguente distruzione del fonte battesimale di Sant’Agnese possiamo considerare conclusa la fase di diarchia vescovile all’interno di Poggiobonizzo. Nei successivi sessant’anni di vita autonoma del comune le chiese senesi non riuscirono a riottenere il prestigio e il peso nella vita pubblica di cui avevano goduto nel primo periodo di vita del castrum.

Sul piano politico il comune continuò ad orbitare di preferenza nell’area di Siena, formando leghe in funzione anti fiorentina nel 122155 con Siena e nel 122856 con Siena, Pistoia e Pisa

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C.V. 1221, luglio 10. Lega tra Poggiobonizzo e Siena contro Firenze. C. V. 1221, luglio 10-13. Giuramento degli uomini di Poggiobonizzo

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