Indice
Riassunto
Capitolo 1. Introduzione
Capitolo 2. Descrizione del bacino del torrente Melacce
2.1 Lineamenti di geografia fisica 2.2 Lineamenti morfologici 2.3 Caratteri climatici 2.4 Idrografia
2.5 Lineamenti di stratigrafia e tettonica 2.6 Assetto tettonico-stratigrafico 2.7 Lineamenti idrogeologici 2.8 Bilancio idrogeologico
Capitolo 3. Finalità dello studio
Capitolo 4. Metodi di studio applicati
4.1 Indice di funzionalità fluviale, I.F.F. 4.2 Indice biotico esteso, I.B.E.
4.3 Determinazione di microrganismi indicatori: Escherichia coli
4.4 Metodo di valutazione della tossicità tramite la Daphnia Magna 4.5 Valutazione della tossicità tramite il Vibrio Fischeri
4.6 Metodi di analisi chimica applicati Capitolo 5. Descrizione delle fasi di monitoraggio
5.1 Prima fase di campionamento 5.2 Seconda fase di campionamento 5.3 Terza fase di campionamento 5.4 Quarta fase di campionamento
5.5 Tabella riassuntiva dei dati raccolti durante le quattro fasi di monitoraggio
Capitolo 6. Elaborazione dei dati
6.1 Classificazione delle acque secondo Langelier Ludwig: diagramma LL 6.2 Applicazione del profilo di diversità (Patil e Taillie, 1979)
6.3 Analisi della rete trofica del torrente Melacce
Capitolo 7. Elaborazione statistica dei dati raccolti durante i monitoraggi svolti dall’anno 2003 al 2005 lungo i corsi d’acqua Melacce, Trasubbie ed Ombrone
7.1 Applicazione della PCA per verificare eventuali andamenti temporali e per la distinzione tra stazioni
7.2 Elaborazione tramite la PCA per individuare i parametri che caratterizzano le diverse acque
Capitolo 8. Conclusioni
8.1 Cause della ridotta biodiversità nella comunità dei macroinvertebrati del torrente
Melacce
8.2 Considerazioni sul metodo dell’I.B.E.
8.3 Risultati dell’applicazione della PCA ai dati raccolti in attuazione della Legge 152/’99 su Melacce, Trasubbie ed Ombrone
8.4 Definizione dei parametri che caratterizzano le acque
8.5 Esiste una relazione tra quanto verificato con l’elaborazione PCA e la composizione della comunità dei macroinvertebrati bentonici?
Appendici. 1 Valori di riferimento per alcuni parametri fisici e chimici delle acque correnti.
2 Verifica della risposta del kit per la misurazione dell’alcalinità usato sul posto al momento del campionamento, al fine di distinguere la variabilità strumentale da
quella ambientale.
3 Tabella di dati chimici, fisici e biologici, del fiume Ombrone, raccolti negli anni 2002, 2003, 2004, 2005.
4 Tabelle di dati chimici, fisici e biologici del torrente Melacce, relativi agli anni 2002, 2003, 2004, 2005.
5 Tabelle di dati chimici, fisici, biologici, del torrente Trasubbie, relativi agli anni 2002, 2003, 2004.
6 Approfondimento relativo al test di tossicità acuta svolto sulla Daphnia Magna. 7 Matrice dei dati elaborati con il metodo statistico delle Componenti Principali. 8 “….quello che si poteva fare …e che non è stato fatto…”
Al documento è allegato un file dal nome “Cartografia” che contiene le carte, che vengono richiamate nel testo:
mappa 1, Carta morfologica dei bacini idrografici dei torrenti Melacce e Trasubbie mappa 2, Carta morfologica del bacino idrografico del torrente Melacce
mappa 3, Carta geologica del bacino idrografico del torrente Melacce mappa 4, Carta topografica del bacino idrografico del torrente Melacce mappa 5, Carta dell’uso del suolo del bacino idrografico del torrente Melacce
Sono allegati anche i file “Foto” e “Ortofotrografie” contenenti immagini del torrente.
Riassunto
(Tesi di Laurea di Ilaria Berretti in S. Ambientali dal titolo:
“Monitoraggio del torrente Melacce al fine di motivare la ridotta biodiversità osservata nella comunità dei macroinvertebrati bentonici. “
Relatore Prof. Santangelo)
In applicazione del Decreto Lgs. n°152 del 1999 è compito delle A.R.P.A. svolgere il monitoraggio delle acque superficiali, con l’obbiettivo di verificare la qualità di tali risorse. Questo è il caso del torrente Melacce che viene costantemente controllato dal Dipartimento A.R.P.A.T. di Grosseto, si tratta, infatti, di un torrente che scorre nella Maremma toscana, nella Provincia di Grosseto, e nello specifico nel territorio comunale di Campagnatico, corso d’acqua importante in quanto affluente di sinistra del fiume Ombrone. Gli obbiettivi di questo lavoro sono quelli di motivare la scarsa biodiversità nella comunità dei macroinvertebrati bentonici, osservata durante i monitoraggi svolti negli anni scorsi dall’A.R.P.A.T. di Grosseto, e in termini più generali, di verificare la “qualità” dei metodi di studio indicati dalla Legge n°152 per le acque superficiali, tutto tramite la raccolta di dati sul torrente e della loro elaborazione. Il bacino idrografico del torrente (della superficie di circa 80 km2) è un ambiente di media-alta collina dove non si trovano centri abitati importanti ma poderi sparsi, dove vengono svolte prevalentemente l’attività zootecnica ed agricola. Geologicamente le rocce affioranti sono molto giovani e, quindi, molto soggette ai fenomeni erosivi, questo soprattutto nella parte più a valle del bacino dove affiorano rocce sedimentarie facenti parte del Complesso Neoautoctono (sedimentazione di materiale lacustre e marino), andando più a monte, invece, affiorano le rocce del Complesso Ligure (prevalentemente argille), infine nella parte ancora più a monte del bacino idrogeologico, dove sono raggiunte le quote altimetriche maggiori, è presente il Complesso Toscano con in particolare la Scaglia Toscana, composta da marne, argille e carbonati, ed il Macigno (arenaria). Il profilo longitudinale del torrente è piuttosto accentuato in quanto le quote variano da 40 m a 1000 m sul livello del mare; dal punto di vista climatico il bacino è collocato nella zona climatica mediterranea, più nello specifico in quella tirrenica, con temperature medie annue di 13°-14° C, precipitazioni medie annue comprese tra 800 mm e 1100 mm, e con in generale, una prevalenza di clima caldo umido e freddo umido. Fondamentale per comprendere le caratteristiche idriche del torrente è la permeabilità dei terreni affioranti, alla luce delle altre caratteristiche geografiche, questa è abbastanza scarsa dati i litotipi affioranti; una piccola infiltrazione è a valle ma è di poca importanza per la ridotta superficie dei bacini di alimentazione, un’altra avviene dove presente il Macigno, tanto è vero che nel punto in cui la linea topografica interseca quella piezometrica dell’acquifero del Macigno si ha una sorgente di acqua che garantisce, da questo punto in poi del torrente, acqua in qualsiasi momento dell’anno, cosa non possibile nella parte più a monte del corso d’acqua. Altre caratteristiche importanti per studiare il Melacce riguardano la presenza di un precipitato che ricopre i ciottoli cementificandoli tra loro e con il letto del torrente e l’assenza nell’alveo di materia organica di grandi dimensioni e delle relative strutture di ritenzione. Date queste caratteristiche e gli obbiettivi fissati, lo studio è stato organizzato su tre punti di monitoraggio nei quali è stata campionata acqua usata poi in laboratorio per le analisi chimiche e tossicologiche (saggio su Daphnia Magna e Vibrio Fisheri), e dove è stato svolto l’I.B.E. e l’I.F.F.; tutto questo con cadenza praticamente stagionale per la durata complessiva di un anno. I dati, così raccolti, sono stati elaborati in vario modo al fine di trarne più informazioni possibili: l’acqua è stata classificata chimicamente tramite il diagramma di Langelier Ludwig, la comunità di mecroinvertebrati, invece, è stata analizzata tramite il Profilo di Diversità ed attraverso lo studio della catena trofica del torrente; inoltre è stata applicata l’analisi statistica con il metodo delle Componenti Principali ai dati relativi ai monitoraggi svolti dall’A.R.P.A.T, negli anni dal 2003 al 2005, sul Melacce, Trasubbie e su due stazioni sul fiume Ombrone. Quest’ultima elaborazione è stata svolta al fine di verificare quali sono realmente i parametri significativi alla caratterizzazione di ciascuna stazione, e per verificare se le acque dei due tributari, Melacce e Trasubbie, modificano quelle del fiume Ombrone. La fase autunnale, la prima dello studio, è stata
quella più difficoltosa in quanto contemporanea ad un periodo di forti piogge, e quindi piene per il torrente, questo ha reso difficile sia il campionamento sia il calcolo dell’I.B.E. Quest’ultimo, infatti, è stato determinato solo per il punto 2 (corrispondente al MAS 046), e non per gli altri punti in quanto la comunità dei macroinvertebrati era stata “spazzata via” dalle ondate di piena che si sono susseguite. Questo unico valore dell’indice è stato ritenuto buono perché in linea con quelli calcolati da sempre in quella stazione dall’A.R.P.A.T, cosa non possibile per gli altri che non hanno dati vecchi da usare come confronto. Dai dati sulle analisi chimiche dell’acqua non risultano grosse differenze con quelle relative ai precedenti monitoraggi, assenza di tossicità acuta nei confronti del crostaceo, ed è confermato il rispetto dei limiti per il conteggio delle colonie di E. coli. L’I.B.E. nel punto 2 è risultato essere della classe •, mentre l’I.F.F. (per un totale di sette schede) è risultato, complessivamente, di buono livello. In questa fase dello studio è stato prelevato un campione del precipitato che ricopre il substrato del torrente per le analisi chimiche, dalle quali è risultato essere costituito prevalentemente da carbonato. La successiva fase, quella invernale, non ha mostrato grosse differenze da quella autunnale, buona qualità dell’acqua con valori di carbonati e solfati un po’ elevati, assenza di tossicità nei confronti della D. Magna e del V. Fisheri, e microbiologicamente pura. L’I.B.E. è stato calcolato per tutti e tre i punti ed è risultato essere, da monte a valle, sempre di • classe, mostrando continuamente una comunità molto semplificata. L’I.F.F. non è stato determinato in quanto inapplicabile nei periodi invernali ed estivi per l’assenza di folta vegetazione, che rende quindi poco significativa la sua applicazione, a maggior ragione poi del fatto che non ci sono state modifiche dell’ambiente fluviale. La terza fase, quella primaverile, non ha mostrato differenze rispetto alle altre, stesse caratteristiche chimiche e biologiche dell’acqua, l’I.B.E. è risultato essere, da monte a valle, di • classe, sempre calcolato su una comunità molto semplice. Come previsto è stato calcolato anche l’I.F.F. che, nel complesso, è risultato essere buono, cioè, come per la volta precedente questo indice testimonia di un ambiente fluviale in buono stato. Ultima fase, quella estiva, non ha introdotto novità, dalle analisi chimica dell’acqua non è stato evidenziato nessun nuovo aspetto, così anche per il saggio di tossicità acuta e per l’analisi microbiologica degli E. coli. La comunità osservata tramite l’I.B.E è quella di sempre, ridotto il numero complessivo degli organismi e pochi taxa, il risultato finale per i tre punti è stato di • classe. I dati chimici sulla composizione dell’acqua campionata sono stati usati per la sua classificazione secondo il diagramma LL, dal quale è risultato trattarsi, anche se non in modo netto, di un’acqua Cl-SO4-acalina, in accordo con la geologia del bacino. Dalle schede dell’I.B.E. è stato possibile calcolare il Profilo di Diversità delle comunità osservate, in ogni caso ha sottolineato, come ci si poteva aspettare, la loro semplicità attraverso una linea sempre schiacciata verso il basso. Inoltre sempre a partire dai dati dell’indice biotico è stata verificata la formazione della catena trofica dei macroinvertebrati bentonici, che si è mostrata non essere ben organizzata, certi livelli sono stati anche assenti, e non vengono rispettate le proporzioni tra le quantità tra i vari livelli, mostrando sotto un altro punto di vista ancora la semplicità della comunità studiata. Sono stati poi elaborati statisticamente con il metodo delle Componenti Principali i dati raccolti negli anni 2003, 2004, 2005 nelle stazioni di controllo A.R.P.A.T sul Melacce, Trasubbie e su due punti dell’Ombrone; questo con lo scopo di verificare se esiste una variabilità temporale dei dati, se le acque dei due immissari modificano quelle dell’Ombrone e per verificare quali sono i parametri che realmente caratterizzano le acque dei tre corsi. I dati analizzati sono di tipo chimico, più il conteggio degli E. coli, ottenuti con cadenza mensile nelle quattro stazioni, queste sono state così scelte per la disponibilità dei dati, essendo punti di monitoraggio A.R.P.A.T, e tra quelle dell’Ombrone le due sono state considerate perché una a monte e l’altra a valle dall’unione del fiume con i due tributari.
Conclusioni:
attraverso il lavoro svolto è stata confermata la semplicità della comunità dei macroinvertebrati presente sul torrente Melacce, e la non coerenza di questa osservazione con le altre di tipo chimico,
fisico e biologico, che testimoniano, infatti, di un ambiente in “buono stato”; la comunità verificata può essere definita di “incompleta colonizzazione”(da I.B.E, Ghetti, 1997). La ridotta biodiversità può derivare dalla concomitanza di una serie di fattori che hanno tutti spinto verso la semplificazione della comunità, quali: 1)morfologia del torrente, 2)non rispetto del “River Continuum Concept”, 3)regime torrentizio, 4)presenza del precipitato e 5)ridotta quantità della materia organica.
1) La morfologia del torrente è molto particolare, infatti, la portata di acqua è costante tutto l’anno solo nella parte più a valle, è probabile quindi che la brevità del tratto di torrente con portata tutto l’anno non permetta lo sviluppo completo della comunità.
2) Il torrente non presenta una diversificazione del suo ambiente come previsto dal “River Continuum Concept”, in quanto non si verifica la tipica successione di ecosistemi fluviali da monte a valle che favoriscono lo sviluppo delle popolazioni di organismi oggetto dell’I.B.E, in sostanza, quindi, sul Melacce c’è un’uniformità dell’ambiente fluviale che ha selezionato fortemente i taxa. 3) Il regime torrentizio comporta forti oscillazioni nelle portate di acqua, le ondate di piena sono molto frequenti ed è sufficiente un breve periodo di pioggia perché il torrente raccolga molta acqua, generando un alveo di piena di dimensioni molto maggiori rispetto a quello di morbida. Le piene dilavano il substrato portando via, quindi, i macroinvertebrati e la ricolonizzazione richiede molto tempo. Al contrario nel periodo estivo il torrente ha una portata molto contenuta che limita lo sviluppo della comunità.
4) Con le ondate di piena viene sollevato e ridistribuito lungo il torrente il materiale che poi cementifica i ciottoli al substrato e tra di loro, questo modifica il micro-habiotat dei macroinvertebrati che così vengono selezionati, infatti riescono a sopravvivere a questo inquinante solo gli organismi meno sensibili a tale alterazione. Questo materiale, infatti, non è un precipitato chimico, in quanto non si osservano variazioni di ph o di altre proprietà che possono essere responsabili della sua formazione.
5) L’assenza delle strutture di ritenzione, e quindi del mancato trattenimento della materia organica di grandi dimensioni, limita lo sviluppo delle comunità in quanto viene così a mancare la massa organica che sta alla base della rete trofica di questi organismi. La ridotta presenza della materia organica può essere dovuta anche alla lontananza della vegetazione arborea ai lati del torrente, causa la grande differenza nelle dimensioni l’alveo di piena e quello di morbida, che impedisce la caduta della vegetazione in acqua.
In definitiva a selezionare i macroinvertebrati è l’insieme di una serie di fattori che tendono tutti ad uniformare l’ambiente del torrente; è da segnalare che la comunità “attesa” per i torrenti è comunque diversa da quella dei fiumi ben sviluppati, ma in questo caso la comunità osservata è comunque molto più semplice di quella “attesa” (di difficile definizione data l’enorme variabilità ambientale), anche tenendo conto, quindi, del regime torrentizio.
L’Indice Biotico Esteso è un indice e come tale è stato ideato per poter essere applicato a tutti i corsi d’acqua superficiali, questo riduce la “qualità” del dato finale in quanto ad una stessa classe possono corrispondere situazioni molto diverse (si pensi soltanto alla differenza tra fiume e torrente). L’Indice quindi tende a classificare l’enorme e complessa variabilità ambientale, senza distinguerla tra quella di origine naturale e/o antropica, in poche classi, quindi dal significato molto limitato. Altre osservazioni al metodo sono:
- i giudizi di qualità espressi tramite l’I.B.E. non aggiungono informazioni utili rispetto ai tradizionali controlli chimici e microbiologici
- l’I.B.E. non è un metodo quantitativo
- nell’I.B.E. gli organismi vengono riconosciuti a livelli superiori della specie, è noto, però, che specie dello stesso genere mostrano sensibilità diverse all’inquinamento
- nei vari periodi dell’anno le comunità variano in relazione ai cicli vitali degli organismi, l’indice non tiene conto di questi cambiamenti naturali di composizione
- …….qual’ è la comunità attesa e su quali basi è stata definita?…..Come è stata costruita la comunità di riferimento in relazione alla quale vengono confrontate le comunità osservate nella
realtà?…. L’Indice “misura” l’allontanamento tra la comunità reale da quella ottimale, ma su quali basi quest’ultima è stata definita?….è possibile “costringere” l’enorme variabilità ambientale in un’unica comunità “attesa”??……..
La matrice di dati elaborata tramite la PCA ha mostrato come non esiste un andamento temporale delle misurazioni svolte sulle acque, questo sia in termini di anni che di stagione. Al contrario studiando la distribuzione dei punti si osserva una loro particolare collocazione: quelli ottenuti sull’Ombrone, sia per la stazione 2 che per la 3, sono concentrati a sinistra, nel centro si trovano quelli avuti sul Melacce, mentre a destra si trovano i punti relativi al Trasubbie. Questo particolare distribuzione dei dati sul piano è indice che l’acqua dell’Ombrone non è modificata da quelle del Melacce e Trasubbie, in caso contrario, infatti, i punti O2 ed O3 sarebbero separati, in quanto rappresentano il “prima” ed il “dopo” dell’unione con i due tributari. Altra osservazione è che, essendo la durezza ed i solfati a contribuire maggiormente alla varianza espressa dalla componente 1, l’Ombrone ed il Trasubbie sono quelli che più risentono di questi parametri essendo collocati all’estremità della distribuzione. Dall’elaborazione svolta sulla matrice completa si nota come siano durezza, conducibilità, solfati ed azoto ammoniacale i parametri responsabili della varianza espressa dalla componente 1 e 2, che insieme spiegano circa il 42% della varianza totale. Quindi è stata applicata la PCA a questi 4 parametri, dopo aver aggiunto a questi quello degli E. coli, per confermare la loro importanza rispetto agli altri. La distribuzione così ottenuta non è molto diversa da quella ottenuta in precedenza, a significare che tra i parametri considerati ci sono alcuni o anche uno soltanto che hanno poca varianza, facendo così rimanere vicini i punti nella rappresentazione grafica. Allora ne sono stati esclusi due, ammoniaca ed E. coli, che contribuivano con poca varianza, come mostrato dalle tabelle; quindi è stata nuovamente applicata la PCA ai parametri rimasti, durezza, conducibilità e concentrazione di solfati. Così è stato ottenuto un forte allontanamento tra i punti sul piano, spiegando il 95% di varianza, confermando che sono questi i parametri che diversificano le acque. Quindi, secondo questo ragionamento, al fine di caratterizzare le acque in questione basta misurare conducibilità, durezza, e concentrazione in solfati, anziché i 14 parametri attualmente stimati, con un notevole risparmio di energie. Molto difficile è l’individuazione della relazione, se esiste, tra i risultati della PCA con la comunità dei macroinvertebrati, l’unica osservazione è che le tre stazioni presentano acque diverse, e che sono le stazioni collocate ai lati della distribuzione ottenuta dalla PCA ad avere comunità di macroinvertebrati migliori.
1. Introduzione
Negli anni trascorsi il miracolo economico, la crescita produttiva, l’obbiettivo “benessere”, hanno contraddistinto il contesto socio-economico italiano, mentre la tutela ambientale rimase estranea a questa cultura, a livello di tutte le componenti sociali; le conseguenze ambientali di tutto ciò sono state l’inquinamento delle acque, dell’aria, del suolo, una rapidissima urbanizzazione…che hanno modificato irreversibilmente l’ambiente. In particolare la legislazione sulla tutela delle acque consisteva nella legge Merli del 1976 che, però, non portò a risultati significativi, a causa dei limiti che conteneva, l’attenzione, infatti, era rivolta solo agli scarichi anziché al corpo ricettore, era basata, poi, sulla concentrazione degli inquinanti senza tener conto di un fattore fondamentale, quale la portata dello scarico. Si trattava cioè di una legge basata su un obbiettivo utilitaristico, in quanto prendeva in considerazione solo uno dei comparti presenti nei fiumi, l’acqua, anziché basarsi sulla tutela ecologica e quindi complessiva dell’“organismo fiume”. La legge Merli, quindi, non riuscì ad impedire l’inquinamento dell’acqua, i danni provocati dalle ruspe, il taglio della vegetazione, la perdita della diversità ambientale, le rettifiche, le cementificazioni, che hanno modificato irrimediabilmente gli ambienti fluviali. Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n°152 del 1999, che ha sostituito l’inadeguata legge Merli del 1976, è cambiata l’impostazione gestionale dei sistemi fluviali, a favore dello studio sulle relazioni tra i diversi comparti di un fiume, passando, cioè, da una visione puntuale ad una più complessiva. I metodi di indagine impiegati, nella valutazione della qualità dei corsi d’acqua, riflettono la cultura di un certo momento storico, così, con l’entrata in vigore della Legge n°152, il monitoraggio chimico e biologico dei corsi d’acqua non si avvale soltanto delle “normali” analisi chimiche, tipiche della vecchia norma, ma anche dell’Indice Biotico Esteso, dell’Indice di Funzionalità Fluviale, delle analisi tossicologiche, dei test di crescita algale, di mutagenicità, di teratogenesi, di test su batteri bioluminescenti…., svolti su acqua, ma anche su sedimenti ed acqua di lavaggio o interna ai sedimenti stessi, ed è proprio dalla combinazione di questi che si può definire lo Stato Ambientale dei corsi d’acqua. Nonostante le nuove metodologie lo studio del funzionamento ecologico dei fiumi è molto complesso, in quanto rispetta la legge del “caos deterministico”, cioè è un sistema sufficientemente caotico, perché non prevedibile, e, al tempo stesso, sufficientemente deterministico, per il rispetto di precise leggi della natura; a complicare ulteriormente il loro studio, c’è la biodiversità, che riveste un ruolo d'importanza fondamentale in questo tipo di ecosistemi. La diversità fluviale è rappresentata soprattutto dall’eterogeneità del substrato, abitato dai macroinvertebrati, tanto più grande è, quanto maggiore è il numero di specie e di individui che possono convivere nell’ambiente, e quindi tanto migliore sarà la risposta alle variazioni ambientali del corso d’acqua, questo attraverso modifiche del carico organico, una migliore capacità di autodepurazione, garantendo, cioè, un maggiore stabilità del sistema fluviale. Questo si verifica anche nel caso di un inquinamento, la biodiversità si modifica, per l’alterazione del substrato, attraverso la selezione delle specie e la riduzione del numero degli individui, cui segue una serie a cascata di alterazioni negative dell’intero ecosistema. Per questi motivi la biodiversità è un aspetto complesso e fondamentale dello studio dei corsi d’acqua, essendo direttamente dipendente dal loro stato di salute. Da quanto detto sopra risulta evidente la difficoltà dell’applicazione del Decreto Legislativo n°152, nel suo vero spirito, alle acque superficiali trattandosi di sistemi idro-bio-geologici complessi; il presente studio si propone di applicare queste metodiche al torrente Melacce tentando di dare una spiegazione alla scarsa biodiversità, in termini di macroinvertebrati bentonici rilevata dal monitoraggio svolto dall’A.R.P.A.T, e di verificare se le informazione fornite delle metodiche indicate della Legge sono sufficienti per verificare lo Stato Ambientale delle acque superficiali. Il Torrente Melacce si trova nella Toscana meridionale, in provincia di Grosseto ed è tributario di sinistra del fiume Ombrone prima che questo sfoci nell’ampia pianura di Grosseto, il suo bacino idrologico ha un’estensione di circa 80 Km2 , è caratterizzato prevalentemente da un regime di tipo torrentizio dovuto sia ad un profilo longitudinale abbastanza accentuato (forti pendenze soprattutto
nella parte a monte), sia ai litotipi affioranti prevalentemente argillosi che al carattere pluviometrico della zona. Dai dati raccolti in passato è emersa una composizione della comunità dei macroinvertebrati bentonici piuttosto scarsa, tanto è vero che il livello di I.B.E. non ha mai superato la • classe, condizione molto diversa da quella che ci si poteva aspettare sulla base delle analisi chimiche, tossicologiche, microbiologiche e dall’I.F.F. svolte sul corso d’acqua. La comunità dei macroinvertebrati risulta scarsa sia nella quantità del numero degli individui, sia nella qualità degli organismi trovati, questo non è giustificabile con le buone, nel complesso, condizioni ambientali del torrente; la spiegazione del fenomeno osservato, è, probabilmente, da ricercare nelle particolari caratteristiche morfologiche del torrente. Come termine di confronto per meglio evidenziare eventuali anomalie è stato considerato il torrente Trasubbie, questo infatti è contiguo al Melacce, ubicato a Sud di esso, è affluente di sinistra dell’Ombrone e presenta un bacino idrologico con caratteristiche litologiche, idrologiche assai simili a quello in oggetto con la differenza che il Trasubbie ha un livello stabile di I.B.E. di •- • classe. Lo scopo, quindi, di questo lavoro è quello di dare una spiegazione alla scarsa biodiversità osservata, e quindi di verificarne indirettamente lo Stato Ambientale, osservazione non ammissibile con i risultati delle altre analisi, ma, forse, correlabile alle proprietà geologiche, idriche e biologiche del torrente. Lo studio consiste in un inquadramento idrogeologico del corso d’acqua e di un suo monitoraggio chimico e biologico attraverso tre stazioni di controllo ubicate lungo il fiume nelle quali vengono prelevati i campioni di acqua (al fine di verificarne la qualità chimica e biologica), dove al momento del campionamento sono svolte delle misurazioni (alcalinità, ossigeno disciolto, ph, temperatura di acqua ed aria), e nelle stazioni viene poi svolto il metodo dell’Indice Biotico Esteso, e nel tratto di torrente che comprende i tre punti viene applicato l’Indice di Funzionalità Fluviale. Il monitoraggio ha la durata complessiva di un anno, in particolare i campionamenti hanno cadenza pressoché stagionale; i dati raccolti sono poi oggetto di diverse elaborazioni (classificazione chimica dell’acqua attraverso il diagramma LL, la creazione del Profilo di diversità biologica, lo studio della catena trofica e l’analisi statistica con il metodo delle PCA), al fine di trarne più informazioni possibili. Un obbiettivo, indiretto dello studio, è anche quello di osservare i pregi ed i difetti delle metodologie applicate, che sono quelle indicate della Legge n°152 del 1999 per il monitoraggio delle acqua superficiali, e di individuare, quindi, il tipo di informazione che queste ci danno, con particolare attenzione verso l’I.B.E.
2. Descrizione del bacino idrografico del torrente Melacce
2.1 Lineamenti di geografia fisica
Il bacino idrologico del Torrente Melacce (vedere carta 2 dal file “Cartografia”) è situato nella Toscana meridionale, Provincia di Grosseto, a Sud-Ovest del complesso vulcanico del Monte Amiata, si estende su una superficie di circa 80 Km2 ed è caratterizzato da un paesaggio di media, alta collina. E’ parte integrante del bacino del fiume Ombrone e ne costituisce uno degli ultimi tributari di sinistra prima che questi, entrando nella pianura di Grosseto, perda energia ed assuma il tipico aspetto meandriforme. La maggiore parte dell’area del bacino è caratterizzata da bassa densità demografica, infatti, le unità poderali sono sparse nel territorio e solo al bordo Nord ed Est sono localizzati i piccoli borghi di origine mediovale di Cinigiano, Castiglioncello Bandini, Stribugliano. Questi paesi sono stati edificati nella zona collinare dell’entroterra grossetano a quote variabili tra 300 e 700m, la loro ubicazione fu necessaria al fine di fuggire dall’aria insalubre presente nell’allora palude di Grosseto. Non esistono, all’interno del bacino, attività industriali particolarmente significative e l’attività predominante è quella agricola e zootecnica. Da segnalare che nel limitrofo bacino idrografico del torrente Trasubbie si era sviluppata fino al 1954 la coltivazione mineraria della lignite dal giacimento di Baccinello – Cana (vedere carta 1 dal file “Cartografia”).
2.2 Lineamenti morfologici
La litologia, l’acclività dei versanti e l’azione dinamica degli agenti esogeni sono i principali elementi che modellano la morfologia di un territorio. L’area oggetto di studio presenta caratteri di una regione geologicamente giovane e come tale sottoposta ad una forte azione erosiva che tende a riequilibrare la sua morfologia fino a portarla ad un profilo di equilibrio di minima energia. Tale azione riequilibratrice è favorita anche dalla litologia prevalentemente argillosa, argillosa-sabbiosa dei terreni affioranti. Dove sono presenti in affioramento terreni competenti, quindi difficilmente degradabili, di tipo carbonatico e arenaceo, la morfologia assume un carattere tendenzialmente montuoso: tali caratteri sono riscontrabili sul bordo N - NE del bacino e all’esterno di esso nella zona di Monte Labbro e dei Monti di Castell’Azzara. Le quote variano da oltre 1000m nella zona di Monte Aquilaia, estremità orientale del bacino, a circa 40 m nella zona di confluenza con il fiume Ombrone. La maggior parte dell’area presenta caratteri prevalentemente di tipo collinare con altitudini comprese tra 200 e 600m, meno frequenti sono le altitudini fra 600 e 1000 m.
2.3 Caratteri climatici
L’area rientra nel più ampio quadro climatico della Regione Tirrenica che può essere schematizzato, nel suo ciclo stagionale, come segue (Gusparri et Al.):
l’autunno è caratterizzato dal ritiro dell’anticiclone delle Azzorre, che aveva dato stabilità e bel tempo per tutto il periodo estivo e lascia il campo libero al rapido susseguirsi delle perturbazioni atlantiche, queste giungono per lo più “invecchiate” sul Mediterraneo ma, qui, riacquistano energia e provocano abbondanti piogge. Frequenti sono anche le depressioni mediterranee che prendono origine per lo più nella parte occidentale del bacino, o nelle regioni dell’Africa settentrionale. L’insieme di questi processi fa dell’autunno la stagione più piovosa di tutto l’anno. L’inverno risulta caratterizzato da elevata variabilità per l’alternarsi dell’anticiclone russo-siberiano, portatore di cielo sereno con temperature piuttosto rigide, e di depressioni mediterranee, che possono dare luogo a venti sciroccali con innalzamento delle temperature e arrivo delle piogge. Un’altra tipica situazione meteorologica che si verifica frequentemente nelle seconda metà dell’inverno è quella legata all’arrivo di fronti freddi che penetrano dalla valle del Rodano e attraverso il golfo di Genova
10 che interessano direttamente con abbondanti piogge e venti di maestrale la Toscana meridionale. La primavera si manifesta con due periodi distinti, il primo è molto simile a quello invernale ed il secondo con l’arrivo dell’anticiclone delle Azzorre è più simile a quello estivo. L’estate è dominata dall’anticiclone delle Azzorre con condizioni di cielo sereno e mancanza di venti dominanti ad esclusione delle brezze lungo le coste. A causa del notevole riscaldamento del suolo si possono produrre formazioni di nubi cumuliformi con possibili precipitazioni a carattere temporalesco soprattutto nelle zone interne. In funzione della piovosità e delle temperature medie annue si può stabilire (De Martonne) il tipo di clima che varia da caldo umido a caldo secco fino a freddo umido, segue fig 2.3.1, che mostra l’applicazione di tale definizione al bacino del torrente in studio.
Fig. 2.3.1, Climogramma (Barazzuoli et Al. 1993)
Tra i principali elementi che caratterizzano il clima di una regione vengono analizzate le seguenti variabili: l’eliofania e la radiazione solare globale, la temperatura e la piovosità. Per eliofania e radiazione solare globale si intende rispettivamente la durata del soleggiamento e l’intensità della radiazione solare. Le fig 2.3.2 e 2.3.3 presentano i dati relativi alla stazione di Grosseto rilevati nell’arco di 23 anni di misure (Barazzuoli et Al. 1993), i due grafici hanno regimi molto simili con minimo invernale in dicembre ed un massimo estivo in luglio.
La combinazione dei valori di temperatura dell’aria e di piovosità porta a definire un indice di aridità medio mensile espresso, secondo De Martonne (1926), da:
Ia = 12 p/ (t+10)
Dove p e t sono, rispettivamente, le precipitazioni (in mm) e le temperature (in °C) medie mensili.
I valori di tale indice, calcolati per ogni mese relativamente al periodo di riferimento (nel caso specifico 1951-1980) ed opportunamente diagrammati insieme alla temperatura ed alla piovosità, consentono una prima caratterizzazione climatica, definendo, per ogni località, periodi dell’anno così
sintetizzabili: 1) caldo umido; 2) caldo secco; 3) freddo secco;
I dati termometrici sono relativi al periodo 1951-1980 (De Martonne) sono riferiti alle stazioni prossime al bacino oggetto di studio, la temperatura media annua varia da 13 °C a Cana a 13,8 °C a Cinigiano, quelle mensili raggiungono i valori massimi in luglio ed agosto, i valori minimi in gennaio (Barazzuoli et Al.), quanto detto è rappresentato nella tabella 2.3.4
Stazioni Gen [°C] Feb [°C] Mar [°C] [Apr] [°C] Mag [°C] Giu [°C] Lug [°C] Ago [°C] Set [°C] Ott [°C] Nov [°C] Dic [°C] Anno [°C] Cinigiano (324 m) 5,8 6,6 8,7 11,8 15,9 19,7 22,7 22,6 19,4 14,8 10,1 6,8 13,8 Cana (502 m) 5,2 6,3 7,9 10,8 14,8 18,4 21,7 21,7 18,4 14,4 9,7 6,5 13,0
Tabella 2.3.4, Tabella delle temperature medie annue nelle località di Cana e Cinigiano (del periodo 1951-1980)
Per la stesura di una carta delle isoterme è stato necessario integrare le stazioni esistenti con altre, il cui valore di temperatura media annua viene calcolato tramite equazione di rette di regressione che definiscono la correlazione fra la temperatura media e l’altitudine, la carta delle isoterme per il basso bacino dell’Ombrone è rappresentata nella figura 2.3.5 che segue (Barazzuoli et Al.).
Fig. 2.3.5, Carta delle temperature medie annue della Toscana meridionale (relativi al periodo 1951-1980.)
Il bacino del torrente Melacce è coperto dalla isoterma media annuale compresa fra 14°C e 15°C. La scarsa escursione di temperatura media annua fra la parte alta e bassa del bacino, malgrado il notevole dislivello esistente, è dovuta essenzialmente all’azione mitigatrice del mare. I dati pluviometrici relativi al periodo 1951-1980 (Barazzuoli et Al.) mostrano valori medi annuali alla stazione di Cinigiano di 711 mm e 1092 mm alla stazione di Cana, il regime pluviometrico è
caratterizzato da un minimo estivo, che cade di norma in luglio ed un massimo autunnale in novembre, vedere le figure 2.3.6 e 2.3.7 che seguono.
Stazioni Gen [mm] Feb [mm] Mar [mm] [Apr] [mm] Mag [mm] Giu [mm] Lug [mm] Ago [mm] Set [mm] Ott [mm] Nov [mm] Dic [mm] Anno [mm] Cinigiano (324 m) 60,2 77,1 52,9 58,1 47,0 40,3 25,0 35,5 59,5 81,6 97,6 76,8 711,6 Cana (502 m) 111,3 11,3 93,7 89,7 73,0 56,5 33,7 55,7 81,8 117,5 152,0 116,5 1092,7
Tabella 2.3.6, Precipitazioni medie annuali registrate nelle stazioni di Cana e Cinigiano (dati del periodo 1951-1980)
Fig. 2.3.7, Carta delle precipitazioni medie annue della Toscana meridionale (valori medi relativi al periodo 1951-1980), equidistanza delle isoiete: 100 mm.
La carta delle isoiete è stata elaborata integrando le stazioni esistenti con altre, il cui valore di piovosità media annua viene calcolato tramite equazione di rette di regressione che definiscono la correlazione fra la piovosità media annua e l’altitudine (fig 2.3.7), il bacino del torrente Melacce ricade tra l’isoieta 800 e 1100 mm di pioggia media annuo.
2.4 Idrografia
L’elemento idrografico più importante è costituito dal fiume Ombrone, il torrente Melacce, oggetto dello studio, ed il Trasubbie, preso come termine di confronto, sono tributari di sinistra dell’Ombrone. E’ evidente il diverso comportamento dell’Ombrone a Nord e a Sud di Campagnatico: a Nord presenta andamento abbastanza rettilineo con brusco cambiamento di direzione nei pressi di Paganico, passando da un orientamento NS ad OE. Tali variazioni, che si ritrovano anche più a Nord, sembrano testimonianze superficiali di discontinuità tettoniche a livello
13 regionale. Nel tratto a Sud di Campagnatico il fiume scorre in un ampia valle di depositi alluvionali, con andamento sinuoso e talvolta meandriforme, fino all’altezza di Istia d’Ombrone; qui taglia, quella che probabilmente era una soglia naturale e sfocia nell’ampia pianura di Grosseto. All’inizio di questa ampia valle alluvionale il torrente Melacce si getta nell’Ombrone. Il torrente presenta un materasso alluvionale di scarsa entità ed un profilo longitudinale molto accentuato, come mostra la figura 2.4.1 riportata di seguito.
0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 0 5000 10000 15000 20000 25000
Distanza progressiva dalla sorgente [m]
Quota s.l.m. [m]
torrente Melacce torrente Trasubbie
Fig. 2.4.1, Profili longitudinali dei torrenti Melacce e Trasubbie
Il reticolo idrografico nella sua parte più a monte è di tipo prevalentemente dendritico, caratteristico del tipo litologico argilloso dominante. Il torrente Trasubbie, ha un bacino idrografico più ampio, circa il doppio di quello del Melacce, ma presenta caratteristiche geo-morfologiche e climatologiche molto simili.
2.5 Lineamenti di stratigrafia e tettonica
La storia geologica dell’area di studio è parte integrante di quella più ampia legata all’orogenesi alpina, in particolar modo è legata alla genesi dell’Appennino settentrionale. Tutto ha inizio circa 200-225 M.A. fa con l’apertura da Est verso Ovest di un grande golfo che spaccò il supercontinente Pangea (raggruppamento di tutti i continenti) in due parti: quella settentrionale chiamata Laurasia e quella meridionale chiamata Gondwana, come mostra la figura 2.5.1
Fig. 2.5.1, Apertura del supercontinente Pangea (Aubouin et Al. 1980)
Circa 140 M.A. di anni fa si creò un’altra enorme frattura che progredendo da Sud verso Nord produsse, dapprima l’apertura dell’Atlantico meridionale con la separazione dell’America del Sud dall’Africa, poi l’apertura dell’Atlantico centrale (circa 100 M.A.), infine interessò anche la parte settentrionale con la separazione del Nord-America dal continente Euroasiatico. Questa situazione geodinamica produsse dei movimenti rotatori verso Nord-Ovest per l’America del Sud e verso Nord-Est per l’Africa; entrarono, così in collisione l’America del Sud con l’America del Nord e l’Africa con l’Euroasia. Tale situazione sta alla base dell’orogenesi alpina, cioè della formazione di tutte le più imponenti catene montuose attuali che vanno dalla cintura pacifico-americana alla catena euroasiatica. All’interno di questo sistema ci sono stati fenomeni traslativi di entità minore che hanno inciso profondamente nella geodinamica “locale”, ad esempio durante la propagazione verso Nord della grande frattura atlantica si produsse come effetto secondario la oceanizzazione del mediterraneo con la formazione di due bacini: quello ligure-piemontese a Occidente e quello Caucasico-pontico a Oriente, descritto sotto dalla figura 2.5.2 (Abbate et Al. 1988)
L’apertura del bacino ligure-piemontese portò ad identificare per la prima volta i margini europei a Nord-Ovest e quelli africani a Sud-Est, quest’ultimo margine diventerà poi, sede della futura catena appenninica. Il bacino ligure-piemontese, che si identifica nella sua parte settentrionale con le attuali omonime zone aveva direzione NE-SO e raggiunse, nel giurassico superiore una larghezza di alcune centinaia di Km. I vari bacini, che così si vennero a creare, si differenziarono fra loro sia per diversità di sedimentazione che per la successiva evoluzione tettonica. Si ebbero così bacini di sedimentazione dove si formarono i cosiddetti flysch liguri (per flysch si intende un complesso di terreni per lo più detritico, costituito da sequenze gradate che hanno una velocità di sedimentazione molto più rapida dei normali processi di sedimentazione) localizzati nell’estrema parte occidentale ed altri posti più ad oriente dove si depositarono la formazioni del “Complesso Toscano”. Entrambi questi due complessi sono caratterizzati da litotipi che testimoniano situazioni paleogeografiche di cicli di sedimentazione pressoché completi. Il dominio ligure inizia con rocce basiche o ultrabasiche della crosta oceanica e continua con litotipi via via di mare sempre meno profondo fino ai flysch arenaci, mentre il dominio toscano inizia con una ingressione marina (deposizioni arenacee-conglomeratiche evaporitiche) e man mano che il mare si approfondisce si ha deposizione di dolomia e calcari fino a diaspri (mare profondo), poi vi è una regressione marina con deposizione di litotipi di mare sempre più superficiale fino a deposizione di siltiti e marne con intercalazioni di letti calcarei (Scaglia Toscana) e di arenarie (denominate Macigno). Successivamente i due complessi, a
Fig. 2.5.2, Modalità di apertura dell’area mediterranea. Spiegazione delle sigle:
Af - Placca africana Ca - Atlantico centrale I - Spagna
P e L - Bacino ligure – piemontese D e H - Bacino dinarico - ellenico Po e C - Bacino caucasico - pontico.
causa di forze orogenetiche venutesi a creare per la collisione fra la placca europea e quella africana, subirono una traslazione verso oriente con sradicamento quasi totale dal bacino di sedimentazione e posizionamento a grandi linee nei luoghi dove si ritrovano attualmente. Alla fase compressiva, artefice principale della traslazione dei complessi, seguì un ciclo marino pressoché completo chiamato “Complesso Neoautoctono”. Si iniziò con una fase distensiva che portò alla sedimentazione, dapprima di depositi lacustri (conglomerati marne e marne sabbiose con intercalazioni di lignite) e marino-lagunari (conglomerati, arenarie, argille e depositi evaporatici spinti fino alla deposizione di salgemma), poi di depositi marini (argille prevalenti, marne, calcari marnosi), infine di depositi detritici di regressione marina (sabbie, arenarie, calcari-detritico-organogeni). L’ultima fase di sedimentazione, quella attuale, è di tipo prevalentemente fluviolacustre, rappresentata da sabbie, argille, livelli di argille-torbose e conglomerati presente soprattutto lungo la fascia costiera. L’ultimo atto della storia orogenetica della Toscana meridionale è costituito dalla messa in posto di numerosi corpi magmatici che talvolta hanno raggiunto anche la superficie terrestre; tale fenomeno ha portato ad un generalizzato sollevamento della regione creando così, un forte “ringiovanimento” della morfologia con accentuazione del carattere erosivo.
Fig. 2.3.5, Assetto tettonico dei principali complessi geologici
La figura 2.5.3 (ENEL, 1995) mostra lo schema stratigrafico-tettonico di come attualmente si ritrovano sovrapposte le varie formazioni, con evidenziate le principali superfici tettoniche che sono localizzate fra il Basamento ed il Complesso Toscano e fra il Complesso Toscano ed il Complesso Ligure, al tetto del Complesso Ligure è presente una superficie di trasgressione marina che fa da passaggio al Complesso Neoautoctono.
2.6 Assetto tettonico-stratigrafico
Il bacino idrologico del torrente Melacce è caratterizzato, per gran parte della sua estensione, da formazioni di tipo prevalentemente argilloso (vedere carta 3 del file “Cartografia”), nella parte valliva affiorano terreni del Complesso Neoautoctono, mentre nella parte alta della testata predominano i terreni del complesso del Flysch Ligure, si ritrovano anche affioramenti del
•
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…
•-Complesso Neoautoctono‚-Complesso Liguride (complesso alloctono in facies di flysch)
ƒ-Complesso Toscano „-Basamento …-Corpo Magmatico.
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•-Complesso Neoautoctono‚-Complesso Liguride (complesso alloctono in facies di flysch)
ƒ-Complesso Toscano
„-Basamento
Complesso Toscano, con le sue formazioni più alte nella serie (Scaglia Toscana e Macigno), nella zona tra i paesi di Castiglioncello Bandini e Stribugliano; un piccolo affioramento di Macigno è situato anche in prossimità del fondo valle del torrente Melacce, quest’ultimo potrebbe ricoprire un ruolo determinante nel contesto di questo studio. Il Complesso Toscano è presente con i soli terreni della fase finale di questo ciclo di sedimentazione, in questa fase regressiva marina è avvenuta la sedimentazione delle arenarie di tipo Macigno e delle marne, argilliti e calcari marnosi della formazione denominata Scaglia Toscana; l’arenaria Macigno è costituita da una sabbia quarzoso-feldspatica a cemento calcareo ne viene indicata di seguito la sua composizione media: quarzo 40%, feldspati 30%, calcite 5% e fillosilicati ed altri minerali 25% (Cipriani et Al.). Spesso è stata interessata dai convogli idrotermali mineralizzanti, prevalentemente a solfuri misti, che hanno caratterizzato tutta la Toscana meridionale durante il periodo minerogenetico che ha portato alla formazione dei giacimenti minerari delle Colline Metallifere e del monte Amiata. Il Complesso Ligure è rappresentato nel bacino con le seguenti formazioni: “Argille con calcari palombini”, “Unità delle argille e calcari”, “Formazione di Santa Fiora” e “Flysch calcareo marnoso di Monteverdi”; le varie formazioni presentano un notevole grado di caoticità dovuto principalmente alla traslazione che hanno subito dal bacino di sedimentazione a quello dove si ritrovano attualmente. Nel suo insieme il complesso è costituito da marne, calcari marnosi, marne argillose, intercalazioni calcaree più o meno silicee e arenarie, la parte argillosa e marnosa è prevalente sugli altri litotipi; questi sono in sovrapposizione tettonica sul Complesso Toscano. Il Complesso Neoautoctono è presente principalmente con i sedimenti lacustri di base della cosiddetta “serie lignitifera”, nella parte del fondovalle si ritrovano litotipi argillosi e sabbiosi del Pliocene e la modesta coltre ciottolosa e sabbiosa delle alluvioni del torrente depositatasi in età recente. La figura 2.6.1 (Lazzarotto et Al. 1993) che segue mostra la geologia appena descritta
Fig. 2.6.1, I domini paleogeografici del bacino ligure-piemontese
2.7 Lineamenti idrogeologici
L’area oggetto di studio viene identificata con il bacino morfologico del torrente Melacce. Il bacino morfologico è abbastanza coincidente con quello geologico in quanto la maggior parte dei terreni affioranti presenta circuiti idrogeologici superficiali o sub superficiali sempre appartenenti allo stesso bacino, è’ presente, comunque, tra i punti 1 e 2 di campionamento (vedere Carta 3 dal file “Cartografia”) un affioramento della formazione arenacea denominata Macigno, questa è sede di un acquifero di medio-bassa permeabilità, con caratteristiche chimico-fisiche assai interessanti legate ad una circolazione più profonda che può coinvolgere anche più bacini diversi; infatti, in prossimità di questo affioramento, il torrente Melacce presenta durante tutto l’anno un certo deflusso, testimonianza di un’emergenza di un acquifero profondo.
Per permeabilità si intende la proprietà di una roccia a lasciarsi attraversare da un fluido senza che questo cambi le sue caratteristiche strutturali (Manzoni), la maggior parte dei terreni affioranti nel bacino presenta caratteristiche di permeabilità assai scarsa infatti i terreni affioranti, appartenenti per lo più al Complesso Neogenico ed al Complesso fliscioide, sono caratterizzati da un’elevata componente argillosa che ne riduce notevolmente la permeabilità esistono, però, all’interno di essi, bancate calcaree, intercalazioni arenacee e/o conglomeratiche che possono essere sede di locali acquiferi di modesta entità. Nei depositi marini e lacustri del Complesso Neoautoctono gli orizzonti sabbiosi e conglomeratici spesso sovrapposti a terreni scarsamente permeabili, quali argille e marne, costituiscono livelli acquiferi di una qualche importanza, ma in molti casi questi serbatoi restano solo allo stato potenziale per la limitata estensione dei bacini di alimentazione, in questa stessa situazione si trova anche l’acquifero ospitato nelle alluvioni di fondo valle, prima che il torrente confluisca nel fiume Ombrone. Il complesso toscano è presente con le due formazioni della Scaglia Toscana e del Macigno, di cui la Scaglia Toscana è da considerarsi impermeabile, mentre quella arenacea del Macigno è dotata di un buon grado di porosità e di mediocre permeabilità legata soprattutto alla sua fratturazione. Queste caratteristiche legate al fatto che presenta una buona continuità areale ed un elevato spessore e che verso il basso ha quasi sempre presente un letto impermeabile costituito dalla Scaglia Toscana, fanno sì che tale formazione sia sede di un buon acquifero. Sorgenti legate ad essa, nella Toscana meridionale presentano portate dell’ordine di qualche l/sec ed un carico salino assai variabile spesso utilizzate come acque potabili, altre volte la lisciviazione di zone mineralizzate o circuiti idrogeologici profondi le rendono inutilizzabili. Nella tabella 2.8.1 allegata viene presentata una schematizzazione delle formazioni affioranti nell’area del bacino idrografico con le loro principali caratteristiche litologiche ed indicazione del loro grado di permeabilità.
legenda Descrizione litologica Permeabilità
A: depositi continentali e fluviali B: detriti; cumuli di frana
Alta: acquiferi di scarsa
importanza per l’esiguo spessore del letto alluvionale Depositi marino-continentali della fascia
costiera: alluvioni terrazzate costituite da
sabbie, conglomerati, arenarie e argille (3 ordini di terrazzi alluvionali sono stati riconosciuti: tra 75:100m, a 50 e a 25m s.l.m.).
Mediocre
Complesso neoautoctono: Sabbie gialle,
conglomerati, calcareniti e arenarie
Buona: acquiferi di scarsa
importanza per l’esiguità dell’affioramento
Complesso neoautoctono: Argille azzurre con
rare intercalazioni di marne, calcari marnosi, sabbie argillose e lenti di ciottoli immersi nell’argilla. Frequenti cristalli di gesso.
Impermeabile
Complesso neoautoctono: successione
lignitifera- conglomerato poligenico in matrice sabbiosa, argille con lignite, conglomerati e arenarie, argille e calcari di acqua dolce.
Impermeabile per la rilevante
matrice argillosa
Complesso ligure: argilla, argilla siltosa e
marne con intercalazione di calcari silicei detti “Palombini”.
Impermeabile: i livelli
carbonatici possono ospitare dei mediocri acquicluidi
Complesso ligure: formazione di Santa Fiora-
arenarie, calcareniti, siltiti, calcari, calcari marnosi e marne.
Molto bassa: gli strati
arenaceo-carbonatici possono ospitare dei mediocri
acquicluidi A B
q
P2 P1m
1 C1 C4Complesso toscano: arenaria tipo
“Macigno”stratificata con gradazione dei clasti; più grossi alla base e più piccoli alla testa.
Mediocre: acquifero di un
certo interesse regionale.
Complesso toscano: “Scaglia toscana”-
argilloscisti, marne, calcareniti e calcari marnosi.
Impermeabile: elevata
componente argillosa.
Tabella 2.8.1, Caratteristiche litologiche di permeabilità nei terreni affioranti nel bacino del torrente Melacce
2.9 Bilancio idrogeologico
L’equazione generale del bilancio idrologico di un bacino può essere espressa dalla seguente relazione P = E + R + I , descritta graficamente dalla figura 2.9.1 sottostante (Custodio et Al. 1983)
Fig. 2.9.1, Schema generale del ciclo naturale del ciclo dell’acqua nelle aree continentali
con P si identificano le precipitazioni medio/annue che cadono sull’intero bacino, siano esse pioggia o neve, sono misurate tramite appositi apparecchi detti pluviometri o pluviografi, se registratori, e l’elaborazione di tali misure avviene, prima estrapolandole a tutto il territorio tramite una funzione di correlazione piovosità/quota e poi costruendo la carta delle isoiete, quella relativa al caso studio è la seguente figura 2.9.2
O
Con E si intende l’evapotraspirazione, una variabile che tiene conto dell’evaporazione diretta dal suolo, da superfici acquose, laghi, fiumi, mare ..., e della traspirazione della copertura vegetale; viene distinta in potenziale ed reale, quella potenziale rappresenta il massimo valore che può assumere tale parametro in quanto suppone una disponibilità infinita di acqua nel suolo per tutto l’anno, mentre quella reale tiene conto dei periodi di siccità in cui non vi è disponibilità di acqua nel suolo, sotto è riportata la carta dei valori medi annui di evapotraspirazione per la zona in studio, figura 2.9.3
Fig. 2.9.2, Carta delle precipitazioni medie annue della Toscana meridionale (valori medi relativi al periodo 1951 – 80); 1 – Spartiacque morfologico 2 – Fasce altimetriche (valori espressi in m s.l.m.) 3 – Isoiete (valori espressi in mm)
Fig. 2.9.3, Carta dell’evapotraspirazione reale media annua della Toscana meridionale (valori medi relativi al periodo 1951-1980):
1 – Spartiacque morfologico
2 – Fasce altimetriche (valori espressi in m s.l.m.)
3 – Isolinee (valori espressi in mm, equidistanza 12,5 mm)
Con R si intende la parte delle precipitazioni che contribuisce al ruscellamento superficiale, cioè quella quantità di acqua che sotto l’azione della forza di gravità scorre sulla superficie terrestre formando il reticolo idrografico (rivoli, torrenti, fiumi).
Con I si intende la parte di precipitazioni che penetra più o meno in profondità nel suolo e dà luogo a alle cosiddette falde acquifere. Tali volumi di acqua si muovono nei terreni veicolati dalla forza di gravità e dalla permeabilità delle formazioni interessate, in certi casi queste acque ritornano in superficie contribuendo al circuito idrologico superficiale (I superficiale), in altri casi penetrano in profondità partecipando a circuiti idrogeologici regionali (I efficace), quest’ultimi vanno a costituire la cosiddetta riserva idrica di una zona e possono partecipare a circolazioni su bacini idrologici diversi da quelli di infiltrazione. Per il bacino del torrente Melacce è stato tentato un bilancio idrologico pur non essendo disponibili misure dirette di portata sul torrente stesso (non esiste stazione idrometrica o idrometrografa a chiusura del bacino).
Dalla carta delle isoiete (fig 2.9.2) si può attribuire una piovosità media di 850 mm/anno (cioè di 0,85 m/anno) per tutto il bacino del torrente Melacce (superficie di 82 km2 o 8,2 * 107 m2), ottenendo così un P di:
P = 0,85 m/anno * 8,2 * 107 m2 = 6,97 * 107 m3/anno
Dalla carta dell’evapotraspirazione reale media annua (fig. 2.9.3) si osserva un valore medio annuale di 550 mm/anno (o anche di 5,5 * 10-1 m/anno) dando un valore di E pari a:
E = 5,5 * 10-1 m/anno * 8,2 * 107 m2 = 4,51 * 107 m3/anno
Quindi la quota di precipitazioni che rimane per il ruscellamento superficiale e l’infiltrazione (detta anche eccedenza idrica) è pari a:
R + I = P – E = 6,97 * 107 m3/anno - 4,51 * 107 m3/anno = 2,47 * 107 m3/anno (o 7,8 * 102 l/sec) Vista la scarsissima permeabilità dei terreni affioranti si può ritenere che il bacino idrografico possa coincidere con quello idrogeologico, fanno eccezione le alluvioni di fondo valle e la formazione del Macigno; le alluvioni del fondo valle presentano una elevata permeabilità ma l’infiltrazione e la circolazione che supportano è di scarsa entità. La sola formazione del Macigno potrebbe contribuire ad una infiltrazione profonda e quindi ad un circuito idrogeologico più complesso. Tale formazione, però, ha un’estensione limitata all’interno del bacino valutata in circa 4 Km2, ed attribuendo un grado di infiltrazione del 25% a tale formazione, si può ritenere che il quantitativo massimo di acqua che può infiltrarsi sia di circa
0,85 m/anno * 25% * 4 * 106 m2 = 8,5 * 105 m3/anno (o circa 27 l/sec)
L’affioramento del Macigno presente sull’alveo del torrente in prossimità dei punti di campionamento rappresenta quindi un punto di emergenza della falda idrica ospitata nella stessa formazione, il contributo di tale emergenza è difficilmente quantizzabile ma è indubbio la sua importanza per il torrente, poiché il torrente da tale punto ha sempre presenza di acqua. Se l’infiltrazione a monte dovesse emergere tutta nei punti di campionamento (affioramento del Macigno), in base a questo semplice calcolo, si stima una flusso continuo per l’intero anno di circa 27 l/s. La totalità del deflusso inteso come ruscellamento superficiale + infiltrazione definisce l’eccedenza idrica, precedentemente stimata in 7,8 * 102 l/sec, di cui segue una carta, figura 2.9.4
Quindi la portata calcolata come infiltrazione del Macigno o come eccedenza idrica (numericamente differenti) è molto diversa da quella stimata, in modo molto approssimativo, in campagna di circa 230 l/sec; questo significa che l’acqua che scorre nel torrente proviene da circuiti idrogeologici complessi.. E’ probabile, allora, che l’emergenza, ovvero dove la piezometrica interseca la quota di terreno in corrispondenza dell’affioramento del Macigno, sia tutta acqua che si infiltra a monte dove emerge il Macigno, ed acqua che proviene da circuiti idrogeologici profondi e complessi. Quanto detto sopra, assieme alle condizioni pluviometriche della zona, caratterizza il regime del torrente Melacce, presentando, quindi, brevi periodi di piena valutabili per confronto con analoghi bacini della Toscana meridionale in 60 - 80 giorni/anno e lunghi periodi di siccità, e solo la parte terminale del torrente presenta un deflusso per tutto l’arco dell’anno legato alla circolazione descritta in precedenza.
Fig. 2.9.4, Carta dell’eccedenza idrica media annua della Toscana meridionale (valori medi relativi al periodo 1951 – 80):
1 – Spartiacque morfologico
2 – Fasce altimetriche (valori espressi in m s.l.m.) 3 – Isolinee (valori espressi in mm)
3. Motivazione dello studio in riferimento al monitoraggio chimico e biologico svolto sul torrente Melacce nell’anno 2004 e 2005.
Il Decreto Legislativo n°152/99 affida all’A.R.P.A. il compito di monitorare i corsi d’acqua superficiali, nel caso del torrente Melacce è, quindi, il dipartimento di Grosseto ad occuparsene, attraverso una stazione fissa di monitoraggio (vedi fig3.2) collocata in prossimità della strada provinciale SP17 Voltina per Cinigiano al km 12,8 dopo il podere Cavalli, posta a circa 16,6 km a valle ovvero 2,7 km prima dell’immissione del torrente nel fiume Ombrone.
Fig 3.1, torrente Melacce
Fig 3.2, tratto del torrente dove è collocato il punto di monitoraggio A.R.P.A.T (punto
corrispondente alla stazione 2 dello studio) L’ubicazione della stazione di monitoraggio è stata scelta sulla base della vicinanza con il punto
d’immissione del torrente nel fiume Ombrone, qui, infatti, l’acqua ha ormai tutte le caratteristiche relative al tipo di ambiente fluviale attraversato, ed, inoltre, proprietà non da meno, è un luogo di facile accesso. Questo punto corrisponde alla stazione di monitoraggio 2 usata nello studio del torrente. Le proprietà chimiche misurate, con cadenza mensile sono ph (unità di ph), conducibilità (µS/cm a 20°), ossigeno disciolto (mg/l O2), solidi sospesi (mg/l), B.O.D.5 (mg/l O2), C.O.D. (mg/l O2), fosforo totale (mg/l), fosfati (mg/l), azoto totale (mg/l), ammoniaca (mg/l), nitrati (mg/l N), cloruri (mg/l), solfati (mg/l), durezza (mg/l CaCO3), arsenico (µg/l), cadmio (µg/l), cromo totale (µg/l), mercurio (µg/l), nichel (µg/l), piombo (µg/l), rame (µg/l), zinco (µg/l), viene poi anche fatto
il conteggio degli Escherichia coli (U.F.C./100ml), viene svolto il saggio di tossicità (su batteri bioluminescenti e Daphnia Magna), mentre per il biomonitoraggio sono calcolati l’Indice Biotico Esteso e l’Indice di Funzionalità Fluviale, quest’ultimi con cadenza trimestrale. Le tecniche analitiche impiegate sono quelle potenziometrica (ph), il conduttimetro (conducibilità), spettrofotometria UV-VIS (fosfati, C.O.D., ammoniaca, azoto ammoniacale), colorimetria (B.O.D.5, fosforo, azoto totale), cromatografia a scambio ionico (nitrati, cloruri, solfati, azoto nitrico), spettrofotometria di emissione al plasma (arsenico, cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, rame, zinco).
I dati raccolti nel 2004 (nell’appendice 4 sono riportati i dati ottenuti negli anni dal 2002 al 2005 sui campioni prelevati nel torrente Melacce) sono quelli di seguito riportati, mancano quelli relativi ai metalli, in quanto non importanti per le finalità dello studio e perché sono sempre stati presenti in concentrazioni al di sotto dei limiti di legge.
2004 Azoto tot (mg/l) Ammoniaca (mg/l) Nitrati (mg/l N) Cloruri (mg/l) Solfati (mg/l) Escherichia coli (U.F.C./100ml) Tossicità (% immobilità) 1 1,1 0,03 1 63 171 8 15 2 1 0,02 0,6 62 166 24 0 3 1 0,03 0,5 60 167 25 0 4 1,3 0,03 0,5 58 160 4 0 5 1 0,03 0,6 58 163 130 0 6 1,4 0,03 0,7 55 176 15 0 7 0,33 1,1 133 46 0 8 1,2 30 150 4 0 9 3 46 148 10 5 10 1,9 55 171 18 0 11 1,9 58 185 5 0
Nel corso del 2004 l’I.B.E. è stato svolto, con cadenza trimestrale, nella solita stazione di monitoraggio, i risultati ottenuti testimoniano di una scarsa comunità di macroinvertebrati bentonici, i dettagli sono contenuti in una tabella riportata di seguito.
2004 Ph Durezza (mg/l CaCO3) Conducibilità (•S/cm) C.O.D. (mg/l O2) B.O.D.5 (mg/l O2) O2 disciolto (mg/l O2) S.S.T. (mg/l) Fosforo tot (mg/l) 1 8,16 297 1040 <6 1 9,9 1,8 <0,05 2 7,48 430 824 <5 0,8 9 2,2 <0,05 3 7,88 454 966 <4,8 0,7 7,1 2 <0,05 4 7,98 377 518 <5 0,6 9,44 4 <0,05 5 8,03 398 716 <1,4 2 8,8 2,6 <0,05 6 7,86 372 663 <17,5 1,8 8,8 4,2 <0,05 7 8,21 491 662 <5 0,5 9,4 1 <0,05 8 7,95 347 610 <5 1,6 9,7 3,6 <0,05 9 7,95 389 724 <6,8 0,5 9,9 4,2 <0,05 10 7,66 440 921 <5 2,2 10,9 1 <0,05 11 8 432 729 <5 1,4 8,7 1,2 <0,05
2004 1 Trimestre 2 Trimestre 3 Trimestre 4 Trimestre I.B.E. 7 5 6 6 Classe • • • •
Colore giallo arancione arancione arancione
Seguono i risultati delle analisi svolte su campioni di acqua prelevati sempre nello stesso punto di monitoraggio ubicato lungo il torrente Melacce, relativi all’anno 2005 e dalla cadenza mensile:
2005 Ph Conducibilità (•S/cm) O2 disciolto (mg/l O2) S.S.T. (mg/l) B.O.D.5 (mg/l O2) C.O.D. (mg/l O2) Fosforo tot (mg/l) 1 7,8 1087 8,1 3,8 0,7 <6 0,009 2 7,8 987 7,7 2,4 3 <6 0,005 3 7,7 1060 10 3,6 1,5 <6 0,043 4 7,7 896 10,1 1 0,5 <6 0,005 5 7,8 711 9,6 1 0,6 <6 0,005 6 8,4 830 10,4 3,4 0,5 <6 0,005 7 8,01 634 11,3 2,4 1,2 <6 0,05 8 11,3 640 7,87 2 1 <6 0,05 2005 Fosfati (mg/l) Azoto tot (mg/l) Ammoniaca (mg/l) Nitrati (mg/l N) Cloruri (mg/l) Solfati (mg/l) Durezza (mg/l CaCO3) Escherichia coli (U.F.C/100ml) 1 <0,001 0,9 0,013 0,7 85 190 413 68 2 <0,003 1,1 0,006 0,7 62 177 433 80 3 <0,011 1,2 0,004 0,8 60 172 358 150 4 <0,003 1,8 0,004 1,4 51 149 384 12 5 <0,001 2,1 0,004 1,7 51 155 332 9 6 <0,001 1,8 0,031 1,9 52 159 372 1 7 <0,05 2,4 0,02 2,4 62 193 381 24 8 <0,05 2,3 0,02 2,3 53 165 464 36
I dati ottenuti applicando il metodo I.B.E. durante l’anno 2005, dalla cadenza trimestrale, sono nella tabella che segue e sono in perfetta coerenza con quelli ottenuti nel passato; come nel 2004 nei campioni viene, anche verificata la tossicità acuta nei confronti della Daphnia Magna, il saggio, come l’anno precedente, ha sempre dato il risultato negativo. Tabella riassuntiva dei valori ottenuti di I.B.E. del torrente Melacce per l’anno 2005:
2005 1 Trimestre 2 Trimestre 3 Trimestre 4 Trimestre I.B.E. 6 6 7 7 Classe • • • •
Si può osservare come l’I.B.E. testimonia di un ambiente dalla scarsa biodiversità, mai, infatti, è stata superata la • classe, cosa inaspettata se si considerano le analisi chimiche dell’acqua; al contrario del torrente Trasubbie che raggiunge sempre una seconda classe, talvolta anche la prima, nonostante abbia una qualità chimica dell’acqua (per la visione completa dei dati chimici vedere appendice 5) molto vicina a quella del Melacce. I dati di I.B.E. del Trasubbie raccolti nel 2004 e parte del 2005 sono quelli riportati nelle successive tabelle:
2004 1 Trimestre 2 Trimestre 3 Trimestre 4 Trimestre I.B.E. 8 9 8 9 Classe • • • •
Colore verde verde verde verde
2005 1 Trimestre 2 Trimestre 3 Trimestre 4 Trimestre I.B.E. 10 9 Classe • •
Colore azzurro verde
Alla luce di questi dati si può quindi concludere che l’acqua del torrente Melacce è di buona qualità; soltanto la conducibilità e la durezza risultano leggermente elevate, questo può indicare che si tratta di un’acqua (vedere appendice 1) inquinata o con probabile ingressione marina, tipica di zone calcaree e di grandi bacini, come proprio in questo caso. Nonostante questo si tratta di una buona composizione chimica che viene mantenuta tutto l’anno, cioè l’acqua non risente dell’alternanza stagionale, la tossicità è assente, ha una buona condizione microbiologica, mentre dal livello di I.B.E. si attribuisce al torrente uno stato di qualità ambientale di un corso d’acqua “molto inquinato o comunque alterato”, in piena contraddizione con quanto risulta dagli altri dati. Inoltre, osservazione molto importante, è da sottolineare che questa condizione è tale da molto tempo, praticamente da sempre, da quando, cioè, viene applicata la Legge n°152 del 1999 che impone il monitoraggio dei corsi d’acqua. La comunità animale su cui si basa l’Indice Biotico Esteso è quella dei macroinvertebrati bentonici, come plecotteri, tricotteri, efemerotteri, coleotteri, ditteri, crostacei.., organismi con diversa tolleranza all’inquinamento, che abitano sul letto dei corsi d’acqua, ed in particolare sotto le rocce, dai cicli vitali sufficientemente lunghi per integrare così nel tempo gli effetti delle alterazioni ambientali, nel caso del torrente in studio questa comunità è composta da un numero molto limitato di individui e da taxa noti per la loro, relativa, tolleranza all’inquinamento ambientale. Per esempio nelle comunità campionate raramente sono stati osservati plecotteri, che rappresentano il gruppo con maggiore sensibilità alle alterazioni ambientali, e per quanto riguarda gli efemerottei, gruppo che segue i plecotteri per sensibilità, è stato osservato il
Baetis, o altri organismi che però il metodo mette al livello dei tricotteri per tolleranza alle
alterazioni; in definitiva quindi la comunità campionata testimonia, sulla base del metodo I.B.E., un ambiente inquinato i cui effetti hanno portato ad una modifica della comunità dei macroinvertebrati. Questi organismi, infatti, possono aver subito l’inquinamento dell’acqua e/o l’alterazione del substrato sul quale vivono (venendo così selezionati), ma in questo caso dalle analisi chimiche non risulta esserci un’alterazione significativa della qualità dell’acqua, infatti si possono osservare soltanto valori leggermente elevati di conducibilità e durezza, se confrontati con quelli del Trasubbie (vedere appendice 5); l’altra possibilità, quella del substrato, che è più probabile, data la particolare unione dei ciottoli, tra loro e con il fondo, tramite un materiale di natura sconosciuta, ed assente nel torrente preso come termine di confronto. Di certo anche la brevità del tratto di torrente con portata presente tutto l’anno può incidere sulla comunità, in quanto la popolazione non ha lo