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Analisi morfometrica della costa ligure tramite Gis

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Interfacoltà

Agraria-Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in

Scienze Ambientali

Tesi di Laurea

(TESI etd-05122005-002903)

Analisi morfometrica della costa ligure tramite Gis

Candidata Terrinoni Stefania

Relatore: Prof. P. R. Federici

Data di Laurea 30-05-2005 (a.a. 2004-2005)

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Ringrazio il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, in particolare il Dott. Matteo Spagnolo per la preziosa collaborazione fornita alla realizzazione di questo studio.

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Indice

Introduzione ………. 4 Capitolo 1 Analisi morfografica delle coste alte in Liguria

§ 1.1 Tipi morfo-sedimentologici in Liguria……….. 8 § 1.2 Coste alte rocciose………. 11 § 1.3 Cause di instabilità costiera e dissesti geomorfologici dei

versanti liguri………. 14

Capitolo 2 Analisi quantitativa delle coste alte

§ 2. 1 Studio morfometrico……….. 23 § 2. 2 Stabilità della falesia………. 27 § 2. 3 Indici morfometrici: Indice di Frastagliatura e

Frequenza di Frastagliatura………. 29

§ 2. 4 Esempio di applicazione degli indici morfometrici (Indice di

Frastagliatura e Frequenza di Frastagliatura) ad un tratto

di litorale ligure……….... 33

Capitolo 3 Metodologia elaborata per il calcolo degli indici

morfometrici su tratti discreti della costa ligure di levante tramite analisi GIS

§ 3.1 I Sistemi Informativi Geografici (GIS) ….….….….….….….……... 36 § 3.2 Creazione della polyline oggetto dello studio del presente

lavoro: digitalizzazione dei raster della costa del levante ligure….. 39

§ 3.3 Calcolo dell’Indice di frastagliatura per tratti discreti

della costa del levante ligure…….….….….….….….……….. 45

§ 3.4 Analisi statistica delle tabelle di dati ottenute per ciascun tema... 50 § 3.5 Calcolo della Frequenza di frastagliatura per i tratti

discreti di costa individuati dal tema 100 e dal tema 1500………… 54

Capitolo 4 Correlazione dei dati morfometrici con il parametro esposizione

§ 4.1 Calcolo dell’esposizione dei settori di costa tramite GIS………….. 63 4.1.1 Metodologia elaborata per il tema 100………. 63 4.1.2 Metodologia elaborata per il tema 1500………... 69 § 4.2 Confronto degli indici morfometrici con i risultati

ottenuti dal calcolo dell’Azimuth per ogni tema:

definizione dei caratteri meteomarini……… 78

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Capitolo 5 Correlazione dei dati morfometrici con il parametro litologia

§ 5. 1 Storia geologica della Liguria centro-orientale………... 83 § 5.2 Creazione della carta litologica georeferenziata per la

linea di costa oggetto dell’analisi morfometrica……… 85

§ 5.3 Correlazione fra Indice di frastagliatura e tipi litologici………….. 88

Conclusioni ……..……..……..……..……..……..……..………. 93 Bibliografia ……..……..……..……..……..……..……..……..………... 99

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Introduzione

L’area oggetto del presente lavoro coincide con un tratto molto ampio del litorale ligure, compreso tra la foce del fiume Magra ed il comune di Arenzano, primo paese dopo la città di Genova, ed esteso per circa 262 km.

Scopo dello studio è dare una caratterizzazione morfometrica di tratti del litorale roccioso della Liguria. È un lavoro prettamente sperimentale derivato dalla necessità di elaborare un metodo standard per il calcolo degli indici morfometrici, usufruendo delle potenzialità offerte oggi dal Sistema Informativo Geografico (GIS).

L’attenzione è stata quindi focalizzata sull’equilibrio morfologico delle coste liguri e sulla loro evoluzione in rapporto alle condizioni meteomarine ed alle caratteristiche litologiche dei corpi rocciosi presenti lungo il tratto di costa analizzato. Infatti una costa alta è il risultato dell’interazione nel tempo tra una massa d’acqua ed una massa rocciosa, ed il profilo planimetrico della linea di riva, quindi, testimonia il livello di adattamento ed i meccanismi prevalenti di evoluzione del litorale.

La morfologia costiera è legata indubbiamente alle caratteristiche litologiche delle diverse formazioni e all’azione del moto ondoso, il quale è determinato dal vento che trasmette una parte della sua energia alla superficie marina con conseguenze diverse a seconda che i flutti arrivino sulla spiaggia o interessino una zona di costa alta, ma in realtà l’argomento è assai più complesso.

Infatti è importante capire come lo studio delle coste alte equivalga ad analizzare le risposte sviluppate nel tempo dalle superfici costiere, in questo caso i versanti e le falesie, ad una serie di eventi a scala regionale e globale, quali la tettonica, l’eustatismo ed il clima.

Tutto questo porta a definire la costa alta una forma instabile e mutevole del paesaggio, al contrario dell’opinione diffusa in passato che le vedeva considerate forme conservative ed inattaccabili dagli eventi morfodinamici

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normali, tanto che erano ritenute a rischio solo per crolli o per innalzamento del livello del mare.

Infatti prima della Legge Galasso (L. n. 431/85) erano spesso considerate aree ideali per la realizzazione di complessi insediativi e produttivi, ed il fattore antropico in molti casi ha influito su quella che poteva essere l’evoluzione naturale del litorale.

La geomorfologia è in grado di studiare quantitativamente la dinamica della costa rocciosa, tramite dei parametri che consentono di definire numericamente la costa.

La stabilità della falesia può essere determinata dall’Indice di Stabilità (Is) e dall’Indice di Frangenza (Ib), prendendo in considerazione alcuni parametri geometrici, quali angoli, profondità e altezze, insieme ai parametri geotecnici dell’ammasso roccioso e ad alcune caratteristiche delle onde.

Comunque nella realtà si possono presentare casistiche molto più complesse che richiedono, quindi, indagini geologiche specialistiche, in merito alla scistosità, alla massività e alla stratificazione delle diverse formazioni, oltre alle informazioni sulle strutture tettoniche, sulle superfici di sovrapposizione delle varie unità e sulla presenza di affioramenti a franapoggio.

Lo studio quantitativo della morfologia delle coste rocciose è stato approfondito in un lavoro eseguito nell’ambito del Progetto di Ricerca MURST “Dinamica e caratteri geoambientali degli spazi costieri”, Esempi di

caratterizzazione morfometrica di tratti del litorale roccioso della Puglia

(Mastronuzzi, Palmentola, Sansò, 1996). Questo introduce in letteratura due parametri possibili per descrivere sinteticamente ed in termini numerici il profilo planimetrico della linea di riva: l’Indice di frastagliatura e la Frequenza di frastagliatura.

Questi parametri consentono di definire l’andamento di un tratto di litorale e di valutarne la situazione evolutiva. Infatti litorali che si contraddistinguono per valori bassi di tali indici sono in sostanziale equilibrio con le attuali condizioni meteomarine, mentre i tratti costieri che presentano valori elevati indicano le condizioni di disequilibrio.

Da queste considerazioni nasce il presente lavoro di carattere sperimentale.

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Il poter calcolare tali indici tramite il sistema informatico, ha permesso di estendere l’analisi ad un tratto di litorale molto ampio, rappresentato appunto dall’intera riviera ligure di Levante.

Inoltre l’analisi si è potuta dedicare a tratti discreti di costa di distanza euclidea molto piccola. Infatti lo studio morfometrico è riuscito a dare buoni risultati spezzando la linea di costa in settori di lunghezza in linea d’aria uguali, addirittura ogni 100 m.

Ho utilizzato come base topografica dati raster in scala 1:10.000 della Cartografia Tecnica Regionale, che mi hanno consentito di digitalizzare la linea di costa oggetto dello studio.

Nel modello dei dati di un GIS gli attributi sono l’elemento più importante, infatti una semplice applicazione per cartografia ha l’obiettivo principale di riprodurre su carta delle informazioni, mentre un GIS ha il suo obiettivo principale nell’analisi dei dati. L’utente di un GIS non ha solo il bisogno di restituire una carta, ma deve rappresentare un tematismo, cioè retinare la carta in funzione di uno specifico tema che vuole essere l’obiettivo dello studio in questione.

Gli attributi vengono memorizzati in un database geografico, e partendo da queste informazioni si possono creare nuovi livelli informativi, che associno i dati in maniera da identificare relazioni prima non chiaramente visibili. Questa è definita come la capacità di compiere operazioni di analisi spaziale.

Ecco quindi come un GIS permette oggi di compiere sofisticate analisi di tipo ambientale e scientifico.

La creazione di due temi in particolare associati alla linea di costa presa in esame è stato l’obiettivo principale di questa tesi. Per giungere a questo, però, è stato necessario elaborare una metodologia standard di calcolo, accuratamente descritta nel testo, supportata da una analisi di tipo statistico.

I due temi a cui mi riferisco sono il “tema 100.shp” ed il “tema 1500.shp”, temi lineari che spezzano la linea di costa in tanti settori, ognuno riferito ad un tratto di litorale di lunghezza euclidea identica.

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Gli attributi associati a questi due temi presentano i risultati dell’analisi morfometrica, ovvero i valori calcolati di Indice di Frastagliatura e Frequenza di Frastagliatura.

Ho cercato quindi di correlare i dati ottenuti a due parametri ritenuti fondamentali. Il primo è dato dal fattore esposizione, che indica l’angolo che ogni settore di costa forma rispetto al nord geografico ed è rappresentativo delle direzioni da cui possono provenire i venti in grado di produrre agitazioni del mare significative. Il secondo è il fattore litologico, che fornisce versanti morbidi o aspri a seconda delle formazioni presenti.

Bisogna comunque considerare come in uno studio di morfologia costiera i parametri in gioco possano essere diversi e influisca la contemporaneità dell’interazione. Inoltre nella zona di studio i processi antropici hanno spesso determinato l’evoluzione del litorale, rappresentando agenti morfogenetici attivi ed efficaci.

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Capitolo 1

Analisi morfografica delle coste alte in Liguria

§ 1.1 Tipi morfo-sedimentologici in Liguria.

Il litorale della Regione Liguria compreso fra la foce del torrente Parmignola, al confine con la Toscana, e la dorsale montuosa che chiude a ovest la bassa valle del fiume Roia, si sviluppa per circa 345 Km.

Uno studio effettuato dall’ENEA1 fornisce una nuova e dettagliata classificazione di tipi morfologici per rappresentare la distribuzione geografica dei tipi costieri lungo tutto il litorale italiano tramite supporto informatico GIS (Geographic Information System).

La costa ligure risulta prevalentemente di tipo alto (fig. 1) con la presenza della costa a falesia e della costa articolata, che rappresentano rispettivamente il 37,8% e il 38,2% dello sviluppo complessivo del litorale (tab. 1). La prima, secondo l’Enea, è caratterizzata da pareti subverticali o strette falcature di spiaggia, comunemente in “ghiaia”, che individuano il contatto terra-mare, mentre gli apporti solidi provengono da corsi d’acqua ad alto gradiente e da accumuli di frana e crollo della parete; la costa articolata si delinea dai rilievi montuosi o collinari affacciati direttamente sul mare e il contatto terra-mare è eventualmente rappresentato da seni di spiaggia comunemente in ghiaia.

In corrispondenza del Golfo di La Spezia la costa risulta classificata come “costa di golfo”, in quanto la riva, in costa alta, non è esposta ai marosi del mare aperto, e la protezione dinamica naturale è spesso incrementata dalla presenza di moli e dighe foranee.

Si hanno solo brevi tratti di costa bassa come la costa di litorale stretto, soprattutto nel litorale di ponente, la costa a “piana di conoide” in corrispondenza della foce del fiume Entella e a sud della foce del fiume Magra un breve tratto di costa di litorale dritto.

1

Progetto “Il Mediterraneo Difesa del Mare e delle Coste” intrapreso dall’ENEA (Ente per le nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente) all’interno di un accordo di programma con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.

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Tabella 1 Morfotipi presenti in Liguria

Si evidenzia inoltre una netta distinzione fra il litorale di ponente e levante. Nel ponente esistono golfi e insenature di arco maggiore e profondità batimetrica minore rispetto a quanto si verifica nel levante, in cui la pendenza del fondale marino dalla battigia fino all’isobata dei 5 m si mantiene estremamente elevata con una punta massima nei pressi di Voltri a ovest di Genova.

Figura 1 Morfotipi presenti in Liguria

Già da questo breve studio è chiara la “configurazione morfologica” a costa rocciosa, risultante dal “processo morfogenetico principale”, del litorale ligure. Secondo una proposta di inquadramento morfodescrittivo di Cortemiglia2 l’analisi del modellamento costiero deve infatti essere affrontata come sistema aperto, attraversato da flussi di materia ed energia determinati da varie forze

2

Sezione Geologica del Dipartimento di Scienze della Terra- Università di Genova.

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endogene ed esogene, ma altresì come sistema dinamico, in grado di raggiungere condizioni di equilibrio momentaneo in funzione del tempo. Tale caratteristica è determinata dal fatto che gli agenti endogeni e quelli esogeni non si equilibrano nel tempo e nello spazio. I primi a vasto raggio d’azione e considerevole durata temporale producono effetti e modificazioni di carattere generale, mentre gli agenti esogeni si esplicano con effetti a distribuzione spaziale più localizzata in quanto di natura sostanzialmente morfoclimatica. Consegue da ciò il motivo che induce Cortemiglia a definire come processo morfogenetico principale gli effetti a macroscala temporale generati dalle forze interne, distinto dal processo morfogenetico secondario che si manifesta su microscala temporale; introduce quindi una doppia terminologia per distinguere le forme generate dai due processi, proponendo il termine di “configurazione morfologica” per quelle derivate dal processo principale e “assetto morfologico” per le forme prodotte dal processo morfogenetico secondario.

La configurazione costiera a falesia non viene quindi ritenuta come una forma a genesi marina, ma rappresenta il risultato dell’azione combinata dei vari agenti endogeni, inoltre risulta determinante nella sua evoluzione la formazione litologica, strutturale e sedimentologica delle litofacies lapidee presenti.

L’azione degli agenti esogeni (in questo caso mi riferisco all’azione dell’atmosfera, dell’idrosfera e della biosfera, trascurando per ovvie ragioni di latitudine l’azione della criosfera) si manifesta sulla configurazione morfologica a costa rocciosa con lo stato o di stabilizzazione o di erosione. Il processo morfogenetico secondario condiziona quindi lo stato di equilibrio del sistema litorale roccioso, portando alla formazione di spiagge-tasca, spiagge falcate, falesie stabilizzate, falesie morte, nel caso in cui prevalgano effetti trasporto-deposizionali, mentre si generano falesie vive interessate da arretramenti per crollo nel caso in cui dominino gli effetti erosivi.

Occorre però non dimenticare, come spesso accade nel fare le classificazioni, l’effetto a diversificabilitá spaziale del sistema costiero, che nello stesso tratto di litorale può presentare tratti a costa rocciosa e a costa deposita, per quel che

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riguarda il processo morfogenetico principale, ciascuno dei quali può a sua volta essere soggetto o a effetti erosivi o a condizioni trasporto-deposizionali. Il litorale ligure è un evidente esempio di costa rocciosa con tratti in assetto erosivo e tratti in assetto trasporto-deposizionale, inoltre si riconoscono anche limitate zone a conformazione deposita (fig. 1) in corrispondenza di fiumi importanti, come testimoniano la piana dell’Entella e la piana di Albenga; infatti in questi due casi le zone fociali si sono evolute da semplici depositi di materiale di apporto fluviale a vere e proprie piane costiere con tratti veri e propri di morfologia a costa deposita.

Come testimoniato dalle percentuali in tab. 1 i tratti a morfologia con costa rocciosa dominano sugli altri, pertanto nel seguente paragrafo di inquadramento descrittivo delle coste liguri verranno prese in considerazione le sole coste a configurazione morfologica rocciosa.

§ 1.2 Coste alte rocciose.

Cortemiglia delinea due punti fondamentali per riconoscere una costa alta rocciosa: la pendenza della fascia prelitorale-battigia (fig. 2) superiore a 25° e nello stesso tempo un’altezza superiore a 2 m della parete rocciosa della superficie d’attacco dell’ondazione.

Figura 2 Zonazione geomorfologica generale delle aree costiere (Cfr CORTEMIGLIA G. C., Proposta

di inquadramento morfodescrittivo delle coste rocciose, Mem. Acc. Lunig. Sc., Vol LXIV – LXV, 1994-95.)

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Questo tipo di costa può raggiungere addirittura la verticalità (fig. 3), con pareti strapiombanti a mare. Proprio per questo motivo all’interno della categoria è possibile distinguere le falesie in senso stretto, con valori di pendenza tra i 55° e i 90°, dalle falesie in senso lato, con valori tra 25° e 55°.

Nella falesia in senso stretto la parete raccorda il tetto di falesia, verso l’alto, alla piattaforma rocciosa d’abrasione, verso il basso (fig. 4), che può essere più o meno completamente in posizione sottomarina.

Figura 3 L’alta falesia dell’isola di Palmaria (Portovenere)

Il livello medio del mare, che si può

collocare in posizione uguale o superiore al raccordo tra la parete e la piattaforma, è responsabile delle azioni di scalzamento alla

base della falesia e del fenomeno di arretramento per crollo da sostegno mancante, la cui velocità dipende dalla resistenza e dalla struttura della roccia.

I materiali provenienti da questo scalzamento vanno a costituire dapprima la “falesia di crollo” alla base della parete, successivamente vengono trasportati dal moto ondoso verso il largo andando ad alimentare la piattaforma costrutta (fig. 4).

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La parete di falesia è interessata, a seconda delle rocce presenti, da vari fenomeni erosivi imputati all’azione diretta del mare.

Se le rocce sono ad esempio quelle carbonatiche si sviluppa all’altezza del livello medio del mare un intaglio di varia dimensione e profondità chiamato solco di battente (fig. 4)

Il processo di dissoluzione, che contribuisce alla formazione di questo incavo, può essere inoltre favorito dalla presenza sulla roccia di impianti fitocenotici, soprattutto algali.

Comunque le cause che portano alla genesi del solco di battente possono essere anche altre, ne è testimonianza la presenza di questo anche in falesie di rocce non carbonatiche.

Si ritiene che possano quindi intervenire anche altri fenomeni quali: l’aloclastismo, dovuto alla pressione causata dalla cristallizzazione dei sali marini nei pori e nelle fratture delle rocce ignee e metamorfiche; l’abrasione, prodotta dall’azione meccanica contro la roccia del materiale trasportato dal mare; l’azione idrolitica dell’acqua sui minerali silicati, soprattutto nelle argille.

Figura 4 Falesia in senso stretto (Cfr CORTEMIGLIA G. C., Proposta di inquadramento morfodescrittivo

delle coste rocciose, Mem. Acc. Lunig. Sc., Vol LXIV – LXV, 1994-95.)

Per quel che riguarda invece la falesia in senso lato occorre precisare che avendo una pendenza minore, compresa tra i 25° e 55°, la fascia litorale evolve come un bacino versante e viene quindi indicata con il termine di

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versante, mentre la superficie rocciosa esposta all’azione del mare (fascia prelitorale-battigia) viene chiamata berma rocciosa d’erosione.

Sono state quindi discusse le componenti delle coste alte rocciose in modo sistemico, analizzando sia l’aspetto fisiografico che l’assetto morfodinamico, consentendoci così di ricavare una descrizione dei diversi morfotipi che caratterizzano questa tipologia di coste.

§ 1.3 Cause di instabilità costiera e dissesti geomorfologici dei versanti liguri.

Le spiagge liguri non sono state interessate dal fenomeno dell’erosione fino al 1800, anzi in quel periodo (fine della “Piccola Età Glaciale”) hanno raggiunto la loro massima estensione.

Una delle prime grosse modificazioni che portò all’inversione di tendenza fu la costruzione dei primi cantieri per la linea ferroviaria costiera, che ridusse direttamente la superficie delle spiagge e inoltre portò alla realizzazione di ingenti opere di difesa costituite in genere da scogliere radenti, che turbarono le dinamiche meteomarine e innescarono un processo di effetto a catena di un’opera per far fronte all’erosione provocata da un’altra.

Dopo la seconda guerra mondiale la situazione è peggiorata a causa del forte prelievo di inerti dai principali bacini liguri, che ha considerevolmente ridotto il trasporto di materiali verso le spiagge, ed anche a causa dello sviluppo del turismo, con la conseguente espansione dei centri abitati e la realizzazione dei primi porti turistici (la loro locazione non sufficientemente ponderata ha accentuato in molti casi l’erosione del litorale sottoflutto).

Spesso per far fronte all’erosione di una singola spiaggia si costruivano difese, quali scogliere aderenti e pennelli, in modo disordinato, non tenendo conto del bilancio sedimentario dell’intera unità fisiografica. Questo è dovuto in molti casi ad una gestione frammentata fra più soggetti con competenze amministrative non rispettose dei confini fisiografici. Può capitare ad esempio che Autorità di bacino a livello nazionale, Autorità di bacino interregionale, Autorità di bacino regionale e Autorità di bacino pilota si ripartiscano vari tratti di una stessa unità fisiografica.

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Oggi in Liguria le zone più critiche e più vulnerabili all’erosione sono riscontrabili tra Capo Mele e Capo Noli, tra Varazze ed Arenzano e a sud della foce del fiume Entella.

Ciò è quanto risulta dalla Mappa dell’Italia a rischio di erosione dedotta sulla base dei dati tratti dall’Atlante delle Spiagge del C.N.R.3 integrati con successive indagini svolte in questi anni sui litorali.

Da questi lavori emerge come spesso l’attenzione degli studiosi si sia focalizzata sulle coste basse. Nel caso di coste alte rocciose, come è stato descritto nel secondo paragrafo, la situazione di instabilità è più grave dato che l’azione erosiva del mare è accentuata dalla struttura della roccia presente, dalla morfologia dei fondali e dalle condizioni meteomarine.

La presenza di pareti verticali e di alti fondali al piede di queste facilita lo scalzamento alla base della falesia e i conseguenti crolli ed arretramenti.

In regioni come quella ligure, in cui lo spazio disponibile tra le catene montuose ed il mare è spesso troppo poco o addirittura assente, le opere di protezione si sono rese necessarie per salvaguardare talora proprio gli insediamenti abitativi. Queste producono però effetti negativi. Infatti una colata di cemento o un’opera aderente volta alla protezione della falesia genera una sottrazione di materiale sedimentario al mare e alle spiagge interessate; mentre le opere trasversali o parallele alla costa creano comunque ostacoli al flusso di sedimenti, di cui vengono private le spiagge sottoflutto. Inoltre le scogliere parallele possono chiudere bracci di mare e non consentire il ricambio di acqua, alterando così l’ecosistema marino.

I dati in tabella 2 sono quelli presentati nella “Relazione sullo stato dell’ambiente del Ministero dell’Ambiente 1992”. Risulta che su uno sviluppo litorale di 7500 km in Italia, 4250 sono di coste alte e rocciose, mentre solo 3250 km sono formati da spiagge. Di queste solo poco più del 50% sono spiagge naturalmente stabili, in quanto emerge che il 32% sia in erosione e il 10% sia stato reso stabile da opere di protezione.

3

L’Atlante delle Spiagge Italiane, di cui il prof. Fierro è il curatore, consiste in 108 fogli in scala 1:100000 in cui vengono sintetizzate le ricerche finanziate dal CNR e dal MURST nel periodo 1985-1997.

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Le criticità più acute si evidenziano in Molise e Basilicata, mentre al contrario la Sardegna, con scarse opere di difesa e pochi problemi di erosione, è la regione con lo scenario più sereno.

Tabella 2 Quadro dello stato dei litorali italiani suddivisi in regioni geografiche e amministrative (Mastronuzzi G., 1995)

Per la Regione Liguria sono indicati i km di costa interessati da opere portuali e banchine che rappresentano ben il 18% del suo litorale, percentuale

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significativa confrontata con gli altri dati che appaiono in tabella, è infatti uno dei maggior valori assieme a quello corrispondente per il Friuli Venezia Giulia. Uno studio svolto dall’Università di Genova (Ferrari , Bozzano , Fierro, 2002) mette in relazione diretta le opere di difesa presenti sul litorale con le variazioni della linea di riva. Come analisi è stato scelto il settore di costa tra Portofino e Punta Mesco per le sue caratteristiche geomorfologiche peculiari e per l’elevato grado di antropizzazione presente.

Vi è infatti alternanza di coste rocciose, spiagge a tasca (come quelle di Zoagli e Bonassola) e spiagge alluvionali come quelle di Chiavari, Sestri Levante e Riva Trigoso. Vi si trovano inoltre porti turistici di notevoli dimensioni come i porti di Chiavari e Lavagna che costituiscono le sponde armate della foce del fiume Entella.

È emerso che in alcuni Comuni l’incidenza delle opere di difesa che insistono sul litorale è notevole (fig. 5) e che la maggior presenza di queste è direttamente proporzionale al manifestarsi dell’erosione,come nel caso di Chiavari dove le strutture a mare presenti non sempre risultano efficaci.

Figura 5 Rapporto tra lo sviluppo lineare delle opere di difesa e la costa deposita

Le difese aderenti, le più utilizzate in passato, si sviluppano complessivamente su 3,5 km in costa alta e 2,8 km in costa deposita, indicando come spesso l’attenzione fosse rivolta alla protezione dei manufatti.

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Le difese trasversali sono collocate nei tratti di litorale esteso dove domina il trasporto laterale e lo studio conferma ancora una volta come effetto indesiderato l’impoverimento delle spiagge sottoflutto.

Le difese parallele, presenti sia quelle emerse che quelle soffolte, possono (come a Moneglia e Framura) inoltre innescare problemi alla spiaggia sommersa a causa della riflessione e della rifrazione del moto ondoso.

Con questo non voglio certo affermare che le opere di difesa siano solamente nocive all’equilibrio del litorale, ma sulla base delle esperienze passate bisogna analizzare quale sia il miglior compromesso per il successo dell’intervento. Nell’area di studio ad esempio i migliori risultati si sono ottenuti con difese trasversali associate a cospicui ripascimenti oppure in aree con particolare morfologia, quale una piana inserita tra due promontori rocciosi, anche solo con un semplice ripascimento.

Per avere una visione più completa delle condizioni geomorfologiche del litorale della regione ligure occorre prendere in considerazione ancora un importante aspetto riguardante i suoi versanti.

Ricordando che è quasi totalmente costituita da un territorio collinare e montano non si può non trattare il fenomeno dell’instabilità. I movimenti franosi interessano ampie zone della Liguria, generando gravi ripercussioni sulla conservazione del suolo.

Alla base dei dissesti geomorfologici non ci sono solo fattori naturali, come le complesse condizioni geologiche e climatiche, ma negli ultimi decenni hanno assunto un peso sempre più rilevante i fattori antropici. Questi si possono identificare con la deforestazione, le attività agricole, i terrazzamenti dei pendii per la coltivazione, l’abbandono delle terre da parte dei contadini, l’espansione delle città e lo sviluppo della rete viaria.

Ad esempio prendendo in considerazione l’area delle “Cinque Terre” rappresentata in fig. 6, una lunga striscia di costa approssimativamente di 20 km, emerge con chiarezza in quale stato riversano i pendii e si può facilmente dedurre come le condizioni di equilibrio in quest’area terrazzata dipendano dal graduale abbandono delle coltivazioni, fenomeno già in atto alla fine del secolo scorso.

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Questa condizione ha portato all’evoluzione ed alla riattivazione di canaloni di frana principali, come evidenziato dalla carta geomorfologica del versante di Volastra in fig. 7 (Cfr. BRANDOLINI P., TERRANOVA R., Esempi di dissesti

geomorfologici dei versanti liguri e loro riflessi sulla conservazione del suolo, Mem. Acc.

Lunig. Sc., Vol. LXIV-LXV, 1994-95).

Figura 6 Mappa del grado di conservazione dell’area terrazzata delle Cinque Terre

(BRANDOLINI P., A gis supported analysis of the agrarian terraced coastal landascape, 2002)

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Qui si notano tre canaloni di frana attivi, di cui il più imponente si sviluppa sino alla isoipsa dei 330 m proprio sotto l’abitato di Volastra. Al piede di questo, intorno ai 100 m di quota, si è formato un conoide detritico che apporta direttamente i materiali di frana sulla strada pedonale di collegamento tra Corniglia e Manarola, alimentando inoltre la spiaggia sottostante.

Figura 7 Carta geomorfologica del versante di Volastra: 1. Pareti, nicchie di distacco, superfici di scivolamento denudate o parzialmente coperte da coltri sottili; 2. Coltri detritiche sistemate a terrazze, ora abbandonate; 3. Terrazze coltivate a vigneti e uliveti, in condizioni di stabilità; 4. Spiagge ciottolose; 5. Conoidi detritici; 6. Cigli di distacco attivi in roccia; 7. Cigli di distacco quiescenti in roccia; 8. Orli di terrazzi; 9. erosione concentrata; 10. Spiagge in erosione; 11. Falesia viva. Nel riquadro, schema geologico: Complesso di Canetolo (A); Macigno (B).

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Un’altra causa di movimenti franosi è stata l’apertura di cave per estrarre materiale lapideo, calcareo ed arenaceo, per le costruzioni delle città e delle opere a mare.

Questo è il caso riguardante, ad esempio, la Collina delle Grazie, nel Golfo del Tigullio (Cfr. BRANDOLINI P., TERRANOVA R., Esempi di dissesti geomorfologici dei

versanti liguri e loro riflessi sulla conservazione del suolo, Mem. Acc. Lunig. Sc., Vol.

LXIV-LXV, 1994-95).

Qui già le condizioni geologiche naturali, giaciture a franapoggio verso il mare degli strati del Flysch del Monte Antola, predisponevano al verificarsi di movimenti franosi, ma l’intervento dell’uomo, unito pure all’azione dei mari di scirocco e libeccio con il loro scalzamento alla base della falesia, è stato assolutamente determinante.

La falesia viva che si sviluppa per circa 3 km nel territorio comunale di Chiavari, esattamente tra il limite occidentale della piana costiera del fiume Entella e il comune di Zoagli, è infatti interessata da grossi fenomeni di arretramento e da vistose frane in roccia di crollo e scivolamento (fig. 8).

Figura 8 Versante della collina delle Grazie. Compaiono la parete di cava abbandonata e la frana (A), un’altra frana più a sinistra (B) denominata frana della Liggia con cigli di distacco attivi ( denti pieni). In basso si osserva la falesia viva scolpita dal moto ondoso.

Altri esempi di dissesti geomorfologici riguardanti il territorio ligure sono quelli causati dall’inserimento della via Aurelia su versanti a volte troppo

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ripidi, quale il caso di Capo Mele, oppure l’insediamento di grandi complessi residenziali turistici che ha spesso compromesso vaste coperture vegetali, creando problemi idrogeologici e condizioni di instabilità.

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Capitolo 2

Analisi quantitativa delle coste alte.

§ 2. 1 Studio morfometrico.

La geomorfologia, come le altre scienze, deve essere in grado di descrivere le forme esattamente come sono, superando i risultati provvisori ottenuti nella fase interpretativa.

Quindi oltre ad usare una appropriata terminologia, in grado di indicare con chiarezza gli elementi significativi dell’osservazione, deve fornire delle misure che aggiungano alla descrizione semplice le indicazioni per un inquadramento regionale e stabiliscano degli esatti rapporti spaziali.

È proprio questa analisi quantitativa a costituire un motivo di progresso. Infatti l’indicazione delle metodologie seguite nell’effettuare le misure e dei margini di errore porta al raggiungimento di dati obiettivi.

Dati misurabili si possono ottenere da carte topografiche, fotografie aeree, fotografie in genere e da immagini da satellite in scala; ognuna di queste dunque può essere una buona fonte per uno studio morfometrico.

Scegliendo ed elaborando le misure più significative è possibile ricavare dati sintetici che permettano, in una ricerca, di fare rapidi confronti ed inoltre di trovare relazioni matematiche fra grandezze diverse con lo scopo di approfondire i problemi di interpretazione.

In geomorfologia costiera ed in particolare in uno studio delle coste rocciose, occorre in prima analisi considerare come queste non siano, al contrario dell’opinione che si è diffusa, forme conservative del paesaggio costiero, ma siano destinate a mutare nel tempo, anche se con una dinamica lenta. Poi si potranno così introdurre i parametri morfometrici necessari per descrivere la loro linea di evoluzione, e consentire una caratterizzazione numerica della costa.

Nell’analizzare le trasformazioni di una costa alta è necessario parlare di “velocità media”, calcolandola su tempi lunghi.

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Bisogna però tenere in considerazione il fatto che anche questi valori medi sono destinati a mutare a causa delle variazioni del clima, ben documentate dagli studi di paleoclimatologia, a causa delle variazioni di natura glacioeustatica del livello del mare ed inoltre per i movimenti verticali di natura tettonica del settore costiero.

Quanto appena esposto definisce la dinamica della falesia, riassunta in fig. 9. Comunque non si possono trascurare, nel studiare l’evoluzione di una costa alta, gli effetti prodotti dagli interventi antropici. Prima della Legge Galasso (L. n. 431/85) questa tipologia di costa era infatti ritenuta ideale per la costruzione di complessi insediativi e produttivi, proprio a causa della lenta dinamica che la caratterizza.

Figura 9 Dinamica della falesia (Cfr. CAROBENE L., Coste marine rocciose,Quaderni Habitat, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2004)

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Questo ha portato alla cementificazione e alla costruzione di opere di protezione, con profonde modificazioni del paesaggio.

Le conseguenze di questi interventi sono spesso percepibili in zone anche molto lontane dal luogo in cui essi sono stati realizzati e diviene indispensabile studiarne il comportamento e definire i fattori che vanno ad influire sulla dinamica naturale.

Gli studi compiuti hanno permesso di delineare tre stadi di sviluppo fondamentali nell’evoluzione di una falesia: falesia attiva, falesia inattiva e falesia fossile (fig. 10, Cfr. CAROBENE L., Coste marine rocciose,Quaderni Habitat, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2004)

La falesia attiva è esposta sia ai processi subaerei che a quelli marini, pertanto è soggetta ad un arretramento continuo nel tempo fornendo i detriti all’ambiente marino.

L’inclinazione della parete dipende dall’omogeneità delle rocce presenti e dal rapporto che si crea fra erosione subaerea ed erosione marina.

La falesia inattiva ha la base protetta da depositi di piede di versante, quali falde detritiche, coni alluvionali e frane. Mancando l’azione del mare, la parete viene rimodellata dai soli processi subaerei e tende ad arrotondarsi diminuendo la sua inclinazione.

Infine la falesia fossile è già da molto tempo soggetta alla sola erosione subaerea, a causa di un sollevamento tettonico o di un abbassamento eustatico. È incisa dai corsi d’acqua responsabili della deposizione di conoidi alluvionali alla sua base.

Occorre tener presente che la definizione del concetto di attività delle forme è comunque molto problematica in geomorfologia, in quanto le proposte di classificazione, necessarie per poter produrre documenti ben dettagliati in cartografia, presentano spesso problemi in merito alla valutazione pratica di tale parametro.

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La velocità e l’intensità con cui i vari processi morfogenetici si manifestano, rendono alquanto arbitraria ogni tipo di classificazione: per quel che riguarda la prima è facilmente intuibile come la casistica intermedia fra i fenomeni con lenta evoluzione (“creep” in roccia) e quelli ad evoluzione istantanea (i crolli) sia infinita; la stessa cosa è rilevabile per i diversi livelli di intensità, passando da fenomeni quasi inavvertibili (dissoluzione carsica) ad eventi molto severi (eruzione vulcanica).

Figura 10 Evoluzione delle falesie

Inoltre va aggiunto come tali parametri nell’ambito di ogni singolo processo possano variare nel tempo e nello spazio, spesso anche sensibilmente.

Nonostante questi problemi connessi con la definizione del concetto teorico di attività, bisogna sottolineare la notevole importanza che nel campo della geomorfologia assume poter stabilire lo stato dei fenomeni e lo studio della loro evoluzione. Si possono generare nel tempo situazioni di pericolosità, è quindi necessario poter delineare uno scenario dell’evoluzione futura del territorio, interpretando e collocando cronologicamente i processi morfogenetici.

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Situazioni di pericolo interessano in molti casi la dinamica della falesia. È necessario quindi capire quali parametri siano in grado di quantizzare l’arretramento della costa. Nel prossimo paragrafo saranno esposti i parametri in gioco per definire la stabilità della falesia, successivamente verranno introdotti i parametri che ci consentiranno di dare una caratterizzazione morfometrica della costa alta, l’indice di frastagliatura e la frequenza di frastagliatura.

§ 2. 2 Stabilità della falesia.

Nell’esaminare la dinamica di una falesia è possibile introdurre due indici che ci consentono di determinare i meccanismi attraverso i quali si può realizzare la sua evoluzione, rappresentando anche dati molto utili per una classificazione: l’Indice di Stabilità (Is) e l’Indice di Frangenza (Ib).

Considerando che la parete è il risultato dell’interazione fra processi marini e terrestri, in uno studio evolutivo la sua stabilità dipenderà sia dai parametri geotecnici dell’ammasso roccioso che dalla pressione delle onde alla quale è sottoposto il litorale durante le tempeste. La stabilità in funzione delle caratteristiche fisico-meccaniche del corpo lapideo costituente la falesia è rappresentata dall’Indice di Stabilità Is, mentre gli effetti dell’onda sono dati dall’Indice di Frangenza Ib.

Il primo è calcolato dal rapporto fra l’altezza effettiva e l’altezza critica di una falesia (Is = H/Hc), mentre il secondo dal rapporto fra la profondità al piede della falesia e la locale massima profondità di frangenza delle onde (Ib = D/Db) (fig. 11).

L’altezza critica Hc può essere rappresentata da una formula generale (Mastronuzzi, Palmentola, Sansò, 1992) di questo tipo:

Hc = 4c’/γ [ senθcosφ / 1-cos (θ-φ)]

dove c’= coesione della roccia; γ = peso specifico della roccia;

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φ = angolo di attrito interno della roccia; θ = pendenza della parete.

Se la parete è subverticale, l’altezza critica è data da:

Hc = 4c’/γ tg (45+φ/2).

Figura 11 Elementi geotecnici e geometrici di una falesia(Cfr. CAROBENE L., Coste marine

rocciose,Quaderni Habitat, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2004)

Is ha valori compresi tra 0 e 1. Se Is = 1 la falesia è instabile, l’arretramento è forte e vi è pericolo di frane; se Is ≈ 0 al contrario la falesia è stabile, l’arretramento è scarso e non sussistono situazioni di pericolo.

La profondità di frangenza Db può essere correlata invece con l’altezza dell’onda al largo (Ho) e la lunghezza al largo (Lo), attraverso la seguente relazione:

Db = 0.25 [(Ho/Lo) / Ho].

In base a questo l’Indice di Frangenza può assumere i seguenti valori: Ib ≤1, che corrisponde a massime pressioni dell’onda sulla falesia comportando

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erosione, cavitazione, assenza di spiaggia, formazione della piattaforma marina; Ib >1, nel caso in cui l’erosione meccanica sia scarsa o nulla; infine una parete con Ib = 0 è protetta dall’azione delle onde da una spiaggia al suo piede.

La realtà comunque spesso presenta situazioni più complesse e molto differenti fra loro. Queste possono richiedere indagini geologiche specialistiche in merito ad alcuni punti, quali: la struttura delle rocce presenti alla spalle della falesia; la tettonica quaternaria; la geometria della stratificazione litologica ed in particolare la giacitura della superficie di separazione tra due corpi rocciosi; l’analisi della permeabilità e dell’alterazione della roccia; considerazioni sullo stato di copertura vegetale ed infine ricerche morfologiche dettagliate per riconoscere movimenti rotazionali del substrato o movimenti gravitativi profondi.

§ 2. 3 Indici morfometrici: Indice di Frastagliatura e Frequenza di

Frastagliatura.

Uno studio eseguito nell’ambito del Progetto di Ricerca MURST, “Dinamica e caratteri geoambientali degli spazi costieri” (responsabile nazionale prof. Fierro; responsabile dell’unità operativa prof. Palmentola), nel voler caratterizzare quantitativamente i litorali rocciosi, mette in relazione il profilo planimetrico della linea di riva con i meccanismi prevalenti nella sua evoluzione; ciò viene riassunto sinteticamente con l’ausilio di due parametri: l’Indice di Frastagliatura e la Frequenza di Frastagliatura.

Il primo viene calcolato tramite il rapporto fra lo sviluppo lineare della linea di riva (L) e la lunghezza in linea d’aria (D) del tratto di costa considerata: If = L/D.

In ragione di questo tratti di litorale rettilineo vengono espressi da un valore di If prossimo all’unità; mentre al crescere delle irregolarità aumenta progressivamente il valore di tale indice.

Correlando questi risultati con la dinamica evolutiva del litorale, valori bassi di Indice di Frastagliatura corrispondono a tratti di costa in sostanziale equilibrio

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con le attuali condizioni meteomarine. Mentre valori elevati indicano le situazioni di disequilibrio, che tenderanno ad evolversi in modi e tempi risultanti dall’interazione fra l’azione del moto ondoso e la resistenza delle rocce presenti sulla parete.

La Frequenza di Frastagliatura è invece fissata dal rapporto tra il numero di tratti rettilinei in cui può essere spezzata la linea di riva e la lunghezza complessiva del tratto di litorale considerato: ff = n/L.

Figura 12 Esempi di caratterizzazione morfometrica delle coste rocciose della Puglia Adriatica

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Dai risultati dello studio viene messo in evidenza come coste regolari e con bassi valori di ff corrispondano a falesie costituite da rocce tenere, che tendono ad evolvere rapidamente (fig. 12a); mentre dove si riscontrano maggiori irregolarità e valori alti di ff le pareti sono modellate in litotipi tenaci, questi anche se presentano un’elevata resistenza possono infatti presentare localmente linee di fatturazione (fig. 12b, 12c).

Questi due parametri sono stati utilizzati in una ricerca sulla dinamica delle coste rocciose della Puglia Adriatica (Maracchione, Mastronuzzi, Sansò, Sergio, Walsh, 2001). Come area da analizzare è stato scelto il litorale compreso tra Monopoli e Mola di Bari, perché ritenuto rappresentativo degli aspetti litologici, morfologici ed evolutivi delle coste appunto pugliesi. L’area, esattamente, rappresenta il bordo orientale della costa delle Murge (fig. 13). Dal punto di vista morfologico questa regione costiera si presenta con una serie di superfici subpianeggianti disposte a gradinata parallelamente alla linea di riva; queste sono raccordate da scarpate localmente incise dalla rete idrografica. Tutto ciò testimonia l’abrasione del mare a successive fasi di stazionamento a partire dal Pleistocene medio.

Figura 13 Area oggetto della ricerca: a – unità carbonatiche dell’avampaese; b – unità della catena; c – unità dell’avanfossa e coperture plio-pleistoceniche; d – fronte della coltre alloctona

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La piattaforma continentale si sviluppa per circa 25 km ed il suo margine esterno raggiunge una profondità di 172 m. Comunque entro i primi 15/20 m si presentano spesso degli accumuli di materiale crollato, talora colonizzati dal coralligeno. Infatti in quest’area si alternano fino a circa 40 m di profondità colonizzazioni di coralligeno ed ampie praterie a Posidonia oceanica e

Cymodocea nodosa.

Questo tratto di litorale vede in affioramento principalmente due litotipi: calcari e calcareniti. I primi si presentano con elevati valori di resistenza a compressione e a trazione, però mostrano alla scala dell’ammasso roccioso una evidente fratturazione, che comporta linee di debolezza lungo le quali l’acqua percola e provoca l’ampliamento delle stesse. Ciò può portare persino al ribaltamento della parete con la conseguente formazione di un’insenatura (Mastronuzzi et al.,1992) (fig. 14).

Le calcareniti, al contrario, hanno valori alquanto bassi di resistenza sia a compressione che a trazione, inoltre mostrano una elevata porosità che gli conferisce uno scarso grado di cementazione. Nonostante queste caratteristiche, determinano spesso arretramenti della linea di costa omogenei e paragonabili con i tratti di litorale a calcari, proprio a causa della netta ed intensa fratturazione di questi ultimi.

Riassumendo dunque i tratti in calcare, molto tenaci alla scala del campione, risultano molto più condizionati dalla struttura.

Figura 14 Meccanismo di arretramento della falesia nel tratto esaminato: A) presenza di fratture parallele o perpendicolari alla linea di costa; B) progressivo allargamento delle fratture; C) frana per ribaltamento

Questa analisi litologica e strutturale delle rocce mette in evidenza quindi una ragione di instabilità, bisogna però aggiungere gli effetti considerevoli prodotti dall’azione del mare alla base della falesia (0<Is<1 e Ib<1). Infatti ai

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ribaltamenti delle pareti causati dalle fratture parallele alla linea di riva, occorre sommare i crolli causati dallo scalzamento alla base dato dall’azione del moto ondoso; infatti quando il valore del carico supera quello della resistenza, la volta di cavità alla base della falesia crolla.

A conferma di ciò spesso i tratti di litorale in condizioni di equilibrio corrispondono a falesie protette al piede naturalmente o in conseguenza di un crollo.

I risultati di questa ricerca registrano una certa corrispondenza fra l’andamento planimetrico della linea di riva e lo stato di evoluzione della costa: i tratti con alto grado di frastagliatura (valori elevati di If e ff) corrispondono infatti a zone in cui i processi di arretramento sono molto intensi, che sono quindi in una situazione di basso grado evolutivo, lontano dall’equilibrio con le condizioni meteomarine; mentre la conformazione quasi rettilinea (valori bassi di If e ff) della linea di costa è spesso indice di maturità evolutiva, cioè corrisponde ad un fenomeno di arretramento che ha raggiunto una fase già molto avanzata.

§ 2. 4 Esempio di applicazione degli indici morfometrici (Indice di

Frastagliatura e Frequenza di Frastagliatura) ad un tratto di litorale ligure.

Presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa una tesi di laurea (STEFANI S., Studio geomorfologico della costa compresa tra P.ta

Moneglia e Zoagli) ha affrontato l’analisi quantitativa tramite l’uso degli indici

morfometrici.

Lo studio si rivolge al tratto di costa compreso tra P.ta Portofino e P.ta Moneglia, suddiviso in 4 Unità Fisiografiche (fig. 15).

Come base cartografica è stata utilizzata la carta geomorfologica in scala 1:10.000, su cui sono stati misurati i parametri indispensabili a calcolare l’Indice di Frastagliatura e la Frequenza di Frastagliatura (tab. 3).

I dati permettono di dividere la costa in costa ad alta curvatura, con valori di If >1,7, e media curvatura, 1,3< If <1,7; inoltre si ripartiscono due classi principali in base alla frequenza di frastagliatura: costa ad alta frastagliatura, ff >15 Dv/km, e costa a bassa frastagliatura, ff <15 Dv/km.

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L’unità 1, compresa tra P.ta Portofino e P.ta Sestri, presenta il maggior indice di frastagliatura; la litologia di questo tratto di litorale è in grado di interpretare questo valore, infatti il promontorio di Portofino è costituito dai conglomerati, che con la loro buona tenacità hanno portato all’interruzione della linearità della costa interessata dai calcari della Val Lavagna, con la formazione appunto del promontorio.

Figura 15 Carta dell’area oggetto di studio

Al contrario l’unità 4 (P.ta Baffe – P.ta Moneglia) ha un’elevata frequenza di frastagliatura, causata da una maggiore alternanza, all’interno della formazione, di strati a differente erodibilità.

È molto interessante notare, analizzando i risultati di questo studio, come i tratti classificati ad alta curvatura manifestino una bassa frastagliatura, mentre i tratti a media curvatura possiedano sempre una maggior frastagliatura.

Occorre inoltre precisare che il metodo utilizzato considera le spiagge come litorali rocciosi in equilibrio con le condizioni meteomarine, e non in quanto

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tali. Ma anche ricalcolando gli indici,omettendo i tratti di spiaggia, si commette un errore dovuto al non tenere in considerazione un tratto di litorale.

Tabella 3 Parametri morfometrici calcolati per i tratti di costa dell’area oggetto di studio Unità fisiografica L (km) D (km) n If ff (divisioni/km) 1 29,14 13,55 215 2,15 7,38 2 3,61 2,45 39 1,47 10,80 3 4,91 3,50 48 1,40 9,77 4 2,96 2,27 56 1,30 18,92

Quindi entrambi i sistemi sono in difetto; probabilmente è necessario non tralasciare i tratti di spiaggia, ma considerarli nella dovuta maniera, ad esempio assegnando a questi valori diversi a seconda che la spiaggia sia in stato di arretramento, avanzamento o stabile.

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Capitolo 3

Metodologia elaborata per il calcolo degli indici morfometrici su tratti discreti della costa ligure di levante tramite analisi GIS.

§ 3.1 I Sistemi Informativi Geografici (GIS).

La disponibilità di sistemi informatici per elaborare i dati territoriali permette oggi di pianificare interventi in modo efficace, consentendo di organizzare le informazioni provenienti dai diversi settori di studio nella gestione del territorio e dell’ambiente.

Documenti che singolarmente non erano in grado di rendere efficaci i modelli di gestione ambientale e di previsione del rischio, ora grazie al Sistema Informativo Geografico (GIS) possono offrire delle risposte precise e dettagliate in tempi molto rapidi e a costi molto bassi.

Questo nuovo modo di lavorare introduce però nuove problematiche come ad esempio rendere operativi i dati tra loro: la difficoltà è data dalla provenienza di questi, in quanto le fonti dei dati territoriali sono spesso strutturate in modi differenti e questo rende complessa la progettazione, la realizzazione e l’esercizio dei sistemi. Inoltre bisogna sottolineare la necessità di aggiornare continuamente i dati su cui lavora il sistema informatico, in modo che rispecchino l’evoluzione della realtà; ciò richiede l’utilizzo di opportuni modelli che assicurino una sorta di cooperazione tra le varie sorgenti dei dati. Il rilevamento, il posizionamento e le telecomunicazioni sono le tre grandi componenti a cui l’informazione territoriale deve fare riferimento e la grossa sfida ora da superare è integrare correttamente questi elementi.

I nuovi metodi e le nuove tecniche di rappresentazione hanno determinato profonde modificazioni negli aspetti qualitativi dell’informazione, ma soprattutto hanno aperto nuovi scenari applicativi.

La necessità sempre maggiore di informazione spaziale e di strumenti adeguati per analizzarla ha determinato, solo di recente, il passaggio dalla tradizionale rappresentazione cartacea alla cartografia digitale e l’utilizzo dei sistemi informativi geografici come strumenti di mappatura e di elaborazione. Oggi la

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fotografia aerea e le immagini da satellite rendono possibile osservare come il territorio evolve nel tempo, seguendo i processi di desertificazione, di erosione della costa, l’evolversi degli incendi forestali, delle alluvioni e dei sistemi climatici. Quindi la cartografia non è più “istantanea”, ma permette una visione dinamica dell’informazione.

Occorre ricordare però che i dati digitali vengono codificati in pixel, quindi come elementi pittorici, e non come punti, linee ed aree; pertanto è nata le necessità di creare nuovi strumenti per riportare queste matrici numeriche in immagini.

Le applicazioni esistenti del GIS spaziano in diversi settori: ambiente e territorio, turismo, telecomunicazioni, logistica e trasporti, urbanistica, energia e servizi, protezione civile e così via. Questo perché è una tecnologia in grado di rispondere ai diversi bisogni informativi, collocandosi nell’ampio segmento dell’informazione geografica.

Per poter gestire le informazioni spaziali mediante un GIS è indispensabile che la rappresentazione dei dati sia sganciata dalla realtà fisica, utilizzando un “modello dei dati” ampio, ma sufficientemente elastico in modo da poterlo adattare alle diverse combinazioni che occorrono nella realtà.

La semplice rappresentazione geometrica viene implementata con tutte le informazioni riguardanti le mutue relazioni spaziali tra i diversi elementi. Oltre alla geometria e topologia dei dati vengono inseriti nel modello gli attributi, cioè dei dati descrittivi dei singoli oggetti reali.

Questo è il modello fisico, basato su strutture di dati di tipo relazionale, utilizzato da un sistema informativo geografico.

Una delle caratteristiche fondamentali di un GIS è la sua capacità di georeferenziare i dati, cioè di assegnare le coordinate spaziali reali ad ogni elemento. Ogni oggetto viene infatti memorizzato con le coordinate relative al sistema di riferimento in cui è situato nelle reali dimensioni e non in scala. Questa diventa pertanto soltanto un parametro utile a definire il grado di accuratezza e la risoluzione delle informazioni grafiche: una scala minore ha infatti una minor densità di rappresentazione.

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Le forme in cui i dati in un GIS si presentano sono tre: dati spaziali (punti, linee, poligoni), tabelle e immagini. Inoltre si può fare un’ulteriore classificazione in due tipi di modelli di dati: dati vettoriali e dati raster.

I primi sono dati geometrici memorizzati attraverso le coordinate dei punti significativi degli elementi stessi: come ad esempio memorizzare un cerchio tramite le coordinate del suo centro e la misura del suo raggio.

I dati raster vengono invece memorizzati tramite la creazione di una griglia in cui ad ogni cella viene assegnato un valore alfanumerico che ne rappresenta un attributo. Questi valori possono rappresentare sia fenomeni naturali o antropici che il risultato ottenuto con metodi di analisi dalla unione di più informazioni (la risultante della combinazione di temperatura, direzione del vento, tipo di copertura vegetale).

I dati vettoriali provengono dalla digitalizzazione manuale di mappe, dai rilievi topografici con strumenti di campagna, dai CAD (Computer Aided Design), dai GPS (Global Positioning Systems).

I dati raster invece sono quelli prodotti dagli scanner, dai programmi di interpretazione di immagini come quelli usati per le immagini da satellite. Gli standard di trasferimento più comuni per questo ultimo formato di dati, allo scopo di permettere il dialogo dei dati fra i diversi settori, sono: TIFF, RLC, LAN, BIP, GRASS e GRID. Questi sono utilizzati nei diversi campi di applicazione.

Nello studio morfometrico delle coste liguri, oggetto del presente lavoro, ho utilizzato come fonte di dati i raster georeferenziati in scala 1:10000 della Carta Tecnica Regionale (C.T.R.) della Liguria in formato TIFF.

Partendo dai dati contenuti in un database geografico un GIS è in grado di creare nuovi livelli informativi, mettendo insieme i dati in modo da definire relazioni prima non chiaramente visibili. Questa analisi effettuata con la sovrapposizione di più livelli informativi è chiamata “funzione di overlay”. Il risultato della sovrapposizione non è solo visuale, ma soprattutto a livello degli attributi, che in corrispondenza degli stessi elementi devono essere riportati da un livello informativo all’altro.

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Le tre categorie principali di sovrapposizione sono: punti su poligoni, linee su poligoni e poligoni su poligoni. Questi operatori permettono sofisticate analisi nel settore scientifico e ambientale grazie alla possibilità di poter sovrapporre diverse carte come quelle riportanti dati geologici, dati sull’acclività, sulla fratturazione delle rocce e sulla copertura vegetale, riuscendo così a poter localizzare ad esempio zone a rischio di dissesto.

Proprio per tutte queste potenzialità oggi sono molte le applicazioni GIS esistenti e previste. Per quel che riguarda la gestione delle aree costiere è importante sottolineare come un sistema GIS sia in grado di coordinare e razionalizzare le varie attività previste da una gestione integrata, allo scopo di invertire uno sviluppo insostenibile diffuso nelle zone costiere di Europa, come sancito dal programma GIZC (Gestione Integrata delle Zone Costiere) della Commissione europea.

§ 3.2 Creazione della polyline oggetto dello studio del presente lavoro:

digitalizzazione dei raster della costa del levante ligure.

La costa ligure presa in esame per il presente studio morfometrico si estende per circa 262 km, dal confine con la regione Toscana fino al comune di Arenzano, primo paese dopo la città di Genova. Per analizzare questa lunga linea di litorale sono stati utilizzati 25 raster georeferenziati della C.T.R. in scala 1:10.000.

Utilizzando il desktop GIS “ArcView GIS” della ESRI ho aperto i diversi files

.tif relativi alla base topografica attraverso una “Vista” (view), che in ArcView

rappresenta il documento che consente di lavorare con i dati geografici. .

Nella Vista i files appaiono come “Temi” (themes) puntuali, lineari, poligonali, o figure. Ad ogni Tema è comunemente associata una tabella di attributi ,e una legenda. L’interfaccia grafica della vista consente di accedere a tutte le operazioni per la gestione dei temi (fig. 16).

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Figura 16 Raster 248160 della C.T.R. aperto come tema (legenda nella colonna a sinistra) in una Vista di ArcView

Per ottenere un profilo molto dettagliato della linea di costa ho scelto di visualizzare i diversi files topografici alla scala 1:2500, ed ho proceduto alla digitalizzazione mantenendo questa scala.

Per la digitalizzazione ho anzitutto creato un nuovo tema lineare (shapefile) e l’ho alla aggiunto alla vista, quindi, dopo averlo editato, ho cercato di seguire, il più fedelmente possibile, la linea di costa così come visibile sulle varie carte topografica della Regione Liguria. Questo nuovo tema appare nella colonna di sinistra come 248160.shp (fig. 17), infatti il suo formato è chiamato “shapefile”, formato che registra dati geografici e attributi. Nella tabella degli attributi di questo nuovo tema (attribute table) compare il campo “Shape” che visualizza il tipo di geometria degli elementi geografici, in questo caso polilinea, e ne memorizza le coordinate.

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Figura 17 Aggiunta del tema 248160.shp, che rappresenta la linea di costa. In questa figura la vista è in scala 1:15000 per permettere la visione completa di tutta la linea digitalizzata per questo primo raster.

Lavorando in questo modo per ciascuno dei 25 raster ho ottenuto ventisei shapefile; per comodità ho denominato ciascuno di questo con il codice a sei cifre identificativo del raster da cui è partita la mia digitalizzazione.

Io ho scelto di attenermi il più fedelmente possibile al profilo della linea di costa attuale, comprensivo quindi delle più imponenti opere a mare di origine antropica. Questa scelta mi è stata dettata dalle fonti dei dati a me a disposizione, infatti per poter ricostruire il profilo “naturale” non potevo disporre di dati in formato digitale, avrei dovuto rifarmi a cartine storiche, queste però ovviamente sono disponibili solo in forma cartacea.

I problemi più grossi li ho riscontrati nei tratti di La Spezia e Genova, dove per la presenza dei loro porti di imponenti dimensioni mi è stato praticamente impossibile poter ricostruire una linea di costa non antropizzata (fig. 18 e 19). Dove invece mi trovavo di fronte a pennelli isolati o a piccoli porticcioli turistici, mi è stato possibile trascurarli nel mio lavoro di digitalizzazione.

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Figura 18 Raster 213160: esempio di un tratto del porto di Genova. La linea di digitalizzazione, 213160.shp, segue fedelmente la linea di costa così come appare

L’operazione successiva è stata unire tutti e 25 gli shapefiles per ottenere un’unica polilinea. Infatti aprendo in un’unica Vista ciascuno di essi, riordinandoli correttamente al fine di ottenere il profilo lineare del litorale che si estende dalla bocca del Magra ad Arenzano, ho dovuto unire i Temi insieme, utilizzando l’estensione “Geoprocessing” di ArcView.

A questo punto però il nuovo tema creato, da me denominato “levante. shp”, si presentava costituito da più oggetti geografici, infatti aprendo la tabella degli attributi apparivano più righe (record), che rappresentano l’unità base dei dati. Con esattezza il tema “levante. shp” era formato da 25 polilinee. Individuando le intersezioni di queste, ingrandendo opportunamente la Vista di volta in volta, ed utilizzando il menù contestuale, ho potuto usufruire della funzione “Enable General Snapping” e dell’ “Union features” per unire ciascuna polilinea alla successiva, così da creare un tema costituito da un unico oggetto.

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Figura 19 Raster 248070: porto di La Spezia

Il risultato è lo “shapefile” Levante in figura 20.

La sua tabella degli attributi presenta un’unica polilinea nel campo “Shape”, ho aggiunto il campo Lunghezza e con il bottone di calcolo presente nella barra degli strumenti ho ottenuto la misura di questa, ovvero 262471 m (fig. 21).

Figura 21 Tabella degli attributi del file Levante. shp

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Figura 20 Creazione di un’unica polilinea levante. shp

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§ 3.3 Calcolo dell’Indice di frastagliatura per tratti discreti della costa del

levante ligure.

L’Indice di frastagliatura (If) per un tratto di costa è dato dal rapporto tra la lunghezza del litorale L e la lunghezza in linea d’aria (lunghezza euclidea) D tra il punto iniziale e quello finale del litorale analizzato (If = L/D).

Nell’elaborare una metodologia di calcolo tramite GIS ho scelto di dividere la linea di costa oggetto del mio studio in tratti discreti individuati dai punti che sottendono la distanza D impostata. Ad esempio scegliendo di dividere la polilinea ogni 2000 m in linea d’aria (D = 2000), si ottengono 75 “settori”, oggetto dello studio morfometrico, ben distinti in figura 22 attraverso i punti del tema 2000. shp.

Figura 22 Divisione della polilinea Levante in tratti discreti tramite un tema di punti che sottendono una distanza D impostata: nell’esempio D = 2000 m

Ho dovuto impostare il lavoro utilizzando ogni volta misure differenti di D, per poter a posteriori stabilire quale fosse la distanza che mi permettesse di evidenziare la più alta variabilità nei valori di indice di frastagliatura e che

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quindi mi permettesse di individuare tratti di costa con caratteristiche nettamente differenti. . Ho quindi scelto una serie di valori da D = 100 a D = 2000 ogni 100 m, per un totale di venti valori di D.

Premesso questo, ora entrerò nella descrizione della procedura utilizzata per il calcolo tramite il software ArcView GIS.

La prima cosa da fare è stata quindi quella di spezzare la linea di costa in tratti di lunghezza in linea d’aria uguali. Per fare questo è stato utilizzata una specifica estensione creata all’interno di un Progetto (project), cioè semplicemente un file dove ArcView registra tutti i documenti di un’applicazione, denominato “spliteuclidea. apr”. All’interno di questo progetto, nella relativa vista, ho aggiunto il tema “Levante. shp” e selezionando la polilinea ho lanciato l’estensione per spezzare la linea di costa in tratti uguali. Di fatto questa estensione crea un nuovo tema di punti equidistanziati in linea d’aria e collocati lungo la linea di costa dove questa dovrebbe interrompersi. Un’ulteriore estensione P/PL Tools (“Point and Polyline Tools”) mi permette in seguito di spezzare la linea di costa all’altezza di questi punti, creando quindi un nuovo file lineare con tante linee ognuna riferita ad un tratto di costa di lunghezza euclidea identica.

Descrivendo ad esempio il procedimento utilizzato nel caso in cui D = 2000 si ottiene a questo punto la Vista di fig. 22.

Aggiungendo il nuovo tema, da me denominato “Tema 2000. shp”, alla Vista dell’esempio precedente, ed aprendo la relativa tabella degli attributi, si può notare come nel campo “Shape” appaiano più record, che identificano appunto le varie polilinee in cui è stata divisa la linea di partenza, Levante, secondo i punti. Per differenziare ciascun “settore” è stato aggiunto inoltre il campo LineID, che associa un numero in ordine crescente a ciascuna polilinea (fig. 23).

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Figura 23 Aggiunta del tema “tema 2000. shp” alla Vista dell’esempio di figura 22. È visibile anche la sua tabella degli attributi

A questo punto ho aggiunto alla tabella di questo nuovo tema il campo “Lunghezza” (Length), e ho misurato lo sviluppo lineare effettivo lungo la costa di ogni “settore”. Questa è indispensabile per calcolare successivamente l’indice di frastagliatura If, aggiungendo alla tabella degli attributi un ulteriore campo e impostando dal bottone di calcolo il rapporto Lunghezza (Length)/ 2000, che corrisponde alla lunghezza in linea d’aria (D) tra i punti di questo esempio. Il risultato è illustrato nella tabella 4. Prima di impostare il calcolo ho eliminato dal campo Lunghezza tutte le misure inferiori a 2000, per non imbattermi in risultati di If inferiori a 1.

Questa procedura è stata applicata fedelmente per ciascun valore di D scelto, ottenendo quindi venti tabelle associate a ciascuno dei temi creati dividendo la polilinea “Levante” in base ad un tema di punti riferito ad una determinata distanza in linea d’aria.

Queste sono tutte raccolte nell’Allegato I.

Per poter scegliere con quali valori di D procedere nell’analisi morfometrica della costa, si è resa necessaria una breve analisi statistica.

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Tutti i dati ora a disposizione sono contenuti nella tabella degli attributi associata ad ogni specifico tema. Ricordando che ognuno di questi è nel formato sviluppato dalla ESRI per essere utilizzato con il software ArcView, diventato uno standard nel settore GIS, cioè uno “shapefile”, è stato necessario esportare i files in un diverso formato per poterli aprire in Microsoft Excel. Il formato in questione è il “Database” (dBase).

A questo punto la mia analisi è potuta proseguire nel foglio di calcolo a disposizione con il software Microsoft Office Excel.

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Tabella 4 Calcolo dell’If per i settori del tema 2000 LINEID LENGTH IF 1 3545 1,773 2 2684 1,342 3 2649 1,325 5 4828 2,414 6 4641 2,321 7 4128 2,064 8 5797 2,898 9 7667 3,833 10 5837 2,918 11 3051 1,526 12 11242 5,621 13 2812 1,406 14 2454 1,227 15 3309 1,655 16 3595 1,798 17 2962 1,481 19 2950 1,475 20 2973 1,486 21 3027 1,514 23 3328 1,664 24 3174 1,587 25 3308 1,654 26 3882 1,941 27 3978 1,989 28 4179 2,090 29 2441 1,220 30 2396 1,198 31 2511 1,256 32 3369 1,685 33 3453 1,726 34 2822 1,411 35 2614 1,307 36 3691 1,845 37 4097 2,049 38 2327 1,164 40 2074 1,037 41 3002 1,501 42 2887 1,444 43 2791 1,396 44 3232 1,616 45 3513 1,757 47 4693 2,346 48 3942 1,971 49 7896 3,948 51 3967 1,984 52 4657 2,329 53 2319 1,160 54 4356 2,178 55 2941 1,470 56 2746 1,373 57 3576 1,788 58 3687 1,843 59 3130 1,565 60 3310 1,655 61 3609 1,805 63 2893 1,446 64 11022 5,511 65 8643 4,322 66 6961 3,481 67 3437 1,718 68 2324 1,162 69 3137 1,569 70 7218 3,609 71 2199 1,099 72 2411 1,206 73 2321 1,161 74 2387 1,194 75 2507 1,254 49

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§ 3.4 Analisi statistica delle tabelle di dati ottenute per ciascun tema.

Per poter stabilire quali valori di distanza in linea d’aria D, tra i punti che distinguono i tratti discreti dell’analisi morfometrica, meglio rappresentano i valori di Indice di frastagliatura ottenuti, ho scelto di studiare la varianza e l’autocorrelazione dell’If calcolati per ogni tabella relativa a ciascun tema. La varianza è una delle più comuni misure di dispersione o variazione dei dati intorno al valore medio. Definita come il quadrato dello scarto quadratico medio, può essere indicata da σ2 dato da:

σ2 = ΣjN=1 (Xj – µ) / N

dove N è un insieme di numeri X1, X2, …, XN e µ ne rappresenta la media. Lo scopo di questa analisi è trovare la serie di valori di If con una maggiore varianza, ovvero con una maggiore dispersione attorno al valore medio, indicata graficamente da una campana molto piatta, questo riferendomi ad uno dei più importanti esempi di distribuzioni di probabilità continue dato dalla

curva normale o distribuzione Gaussiana (fig. 25), definita dall’equazione:

Y = ( ) 2 2/ 2 1 2 1 µ σ π σ − − X e 50

Figura

Figura 2 Zonazione geomorfologica generale delle aree costiere  (Cfr CORTEMIGLIA G. C., Proposta
Figura 4 Falesia in senso stretto  (Cfr CORTEMIGLIA G. C., Proposta di inquadramento morfodescrittivo
Figura 6 Mappa del grado di conservazione dell’area terrazzata delle Cinque Terre
Figura 11 Elementi geotecnici e geometrici di una falesia (Cfr. CAROBENE L., Coste marine
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