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Risposta infiammatoria a differenti pratiche anestesiologiche

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Academic year: 2021

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Indice

Riassunto 1 1. Anestesia Inalatoria 4 1.1 Introduzione 4 1.2 Cenni storici 4 1.3 Anestetici Inalatori 5

2. Anestesia totalmente endovenosa (TIVA) 12

2.1 Cenni storici 12

2.2 Farmaci dell’anestesia endovenosa 14

2.3 Farmacocinetica della TIVA 20

3. I mediatori dell’infiammazione 25

3.1 Introduzione 25

3.2 I mediatori dell’infiammazione 25

3.3 Le citochine 26

3.4 Gli antagonisti delle citochine 34

3.5 L’ossido nitrico 35

3.6 I recettori delle citochine 37

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4.1 Introduzione 41

4.2 Chirurgia e citochine 41

4.3 Anestesia e citochine 43

4.4 Tecniche anestesiologiche a confronto 47

5. Dolore post-operatorio 49

5.1 Introduzione 49

5.2 Fisiopatologia 50

5.3 Ruolo delle citochine 56

6. Guarigione delle ferite 59

6.1 Introduzione 59

6.2 Processo di guarigione 60

6.3 Ruolo delle citochine 61

7. Parte sperimentale 64 7.1 Riassunto 64 7.2 Introduzione 65 7.3 Materiali e metodi 66 7.4 Risultati 70 7.5 Discussione 76 7.6 Conclusioni 81 8. Bibliografia 8

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Riassunto

L’infiammazione o flogosi è un meccanismo di difesa non specifico innato che costituisce una risposta protettiva a seguito dell’azione dannosa di stimoli endogeni ed esogeni causati da agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo finale è l’eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale. Questo processo è regolato e amplificato dai mediatori dell’infiammazione, agenti chimici di derivazione plasmatica o cellulare. I mediatori di origine plasmatica (come il complemento) sono i più numerosi e sono normalmente sequestrati all’interno di granuli intracellulari per poi essere secreti (es. istamina, presente nei granuli dei mastociti) oppure sono sintetizzati ex novo (es. prostaglandine, citochine, ossido nitrico). La maggior parte di essi esprime la propria attività biologica legandosi a specifici recettori sulle cellule bersaglio, ha un’emivita breve e quasi tutti sono potenzialmente dannosi.

Le citochine, quali mediatori dell’infiammazione, svolgono un ruolo di primaria importanza nel modulare la risposta infiammatoria sistemica. Esse possono essere complessivamente divise in due grandi gruppi sulla base del loro meccanismo di azione: citochine pro-infiammatorie 2, IL-6, IL-12, TNF-α, IFN-γ) e anti-infiammatorie (IL-10, TGF-β). Anche l’antagonista del recettore per la IL-1 (IL-1ra) e l’ossido nitrico svolgono una importante azione antiinfiammatoria.

Come affermato in letteratura, il trauma chirurgico e l’anestesia determinano una risposta infiammatoria sistemica. L’alterazione del bilancio delle citochine pro- e anti-infiammatorie dipende dallo stato di salute precedente all’intervento, dall’estensione e dalla durata della chirurgia, dal menagement anestesiologico, dal trattamento

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farmacologico e dal livello di ansia del paziente. Questa alterazione può avere delle ripercussioni cliniche importanti. Infatti un aumento delle citochine in senso pro-infiammatorio può indurre la sensibilizzazione del sistema nervoso centrale e periferico all’iperalgesia. Inoltre una disregolazione dell’equilibrio dei mediatori dell’infiammazione può determinare complicazioni nel post operatorio quali: una alterazione nella riparazione delle ferite, una aumentata suscettibilità alle infezioni, una inadeguata reazione allo stress ed anche una maggiore incidenza nello sviluppo di metastasi.

In sintesi, il nostro studio intende valutare la presenza di eventuali differenze tra le due tecniche anestesiologiche (anestesia totalmente endovenosa (TIVA) con propofol e remifentanil e anestesia inalatoria con desflurane e remifentanil) nel modificare l’assetto delle citochine pro- e anti-infiammatorie in seguito ad interventi di tiroidectomia. Inoltre ci siamo proposti di valutare anche eventuali differenze emodinamiche (PAM e FC) agli stimoli chirurgici tra i due diversi regimi anestesiologici.

Durante la visita anestesiologica abbiamo selezionato 20 pazienti sulla base dei seguenti criteri di inclusione: criteri clinici e anagrafici della day surgery, intervento chirurgico di tiroidectomia per patologia benigna in assenza di precedenti irradiazione o intervento del collo, età compresa tra 25 e 45 anni, sesso femminile, assenza di patologie gastriche in atto, in anamnesi o in trattamento con gastroprotettori, assenza di trattamenti cronici con antiinfiammatori e corticosteroidi.

Ai pazienti che soddisfacevano questi criteri è stato richiesto il consenso informato e sono stati suddivisi in due gruppi, in modo randomizzato. Ad un gruppo è stata effettuata la anestesia totalmente endovenosa (TIVA) (gruppo AE) e all’altro gruppo quella inalatoria (gruppo AI). A questi pazienti sono stati effettuati dei prelievi di

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sangue venoso ad un tempo basale T0 che corrisponde al momento in cui il paziente viene inserito nello studio, durante la visita anestesiologica; un tempo T1 che corrisponde all’ingresso in recovery room e un tempo finale T2 che corrisponde alla dimissione del paziente.

Sono state dosate le seguenti citochine proinfiammatorie: IL-2, IL-6, IL-12, IF-γ e TNF-α; e le seguenti citochine antinfiammatorie: IL-10, IL-1ra, TGF-β e l’ossido nitrico. Questo per valutare l’eventuale presenza ed entità di una differente risposta infiammatoria nei due tipi di anestesia.

Inoltre, durante l’intervento sono stati misurati la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa media al momento dell’intubazione, dell’induzione, dell’incisione, dopo 5’, 10’, 15’, 30’, a fine intervento, a fine anestesia, al momento dell’estubazione e apertura degli occhi. Questo per valutare una eventuale differenza nella risposta emodinamica agli stimoli chirurgici tra i due gruppi.

Non sono state rilevate differenze significative tra i due gruppi in termini di durata dell’anestesia, e tempi intermedi (tra l’induzione e l’incisione, tra incisione e fine dell’anestesia).

Al tempo T0 i valori delle citochine non differiscono tra i due gruppi. Mentre dopo l’ingresso in recovery room (T1), nel gruppo AI si è osservato un aumento significativo della IL-6 (P=0,0191) e della IL-12 (P=0,0102) rispetto al gruppo AE.

Al tempo T2, nel gruppo AI si è osservato un incremento significativo dell’NO (P=0,0191) rispetto al gruppo AE.

I valori della PAM espressi in mm/hg e della FC in bpm sono risultati omogenei tra i due gruppi in tutti i tempi di rilevazione.

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1. Anestesia Inalatoria

1.1 Introduzione

L’anestesia per via inalatoria si basa sul principio dell’inalazione da parte del paziente di una miscela composta da ossigeno e da un vapore anestetico. Questo porta ad uno stato di incoscienza e amnesia, componenti essenziali dell’anestesia generale [1].

1.2 Cenni Storici

I primi anestetici inalatori utilizzati fin dal XIX secolo erano gas infiammabili quali l’etere dietilico, il ciclopropano e l’etere divinilico. A questi si aggiungevano anche miscele non infiammabili come il cloroformio e il tricloro etilene, purtroppo però gravati da fenomeni di epato e neurotossicità [1].

Nel 1930 studi sui derivati dei composti alogenati indicarono che i gas anestetici non combustibili potevano essere ricavati utilizzando composti organici fluorurati [2]. Dopo il 1940, le indagini nello studio della chimica del fluoro hanno portato ad una sicura incorporazione del fluoro nella molecola di etere [3]. Questa innovazione fu la chiave per lo sviluppo dei moderni anestetici. Infatti la sostituzione degli alogenati con il fluoro nella molecola dell’etere produce diversi vantaggi, quali: diminuisce il punto di ebollizione, aumenta la stabilità e generalmente diminuisce la tossicità [1].

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Nel 1954 Suckling sintetizzò l’alotano che, dopo una lunga sperimentazione sugli animali [4] fu introdotto nella pratica clinica da Michael Johnstone nel 1956 [5]. Si tratta di un gas non infiammabile, con bassa solubilità tissutale e causticità, associate a potenza elevata. Pertanto, è somministrabile ad alte concentrazioni, considerando anche la più bassa incidenza di nausea e vomito postoperatori che provoca. Tuttavia non è esente dal produrre diversi effetti collaterali, i più importanti dei quali sono la sensibilizzazione del miocardio alle catecolamine e la necrosi epatica [1]. Durante gli anni 60 Ross C. Terrel e collaboratori, presso la Ohio Medical Products (poi Anaquest Inc.), sintetizzarono oltre 700 composti fluorurati nell’ambito di un programma di ricerca finalizzato a produrre un anestetico per inalazione migliore [6]. Il desflurane (CF2H-O-CFH-CF3) fu il 653-esimo composto della serie e per un certo periodo fu conosciuto come “composto I-653”.

Un altro importante anestetico sintetizzato nel 1970 ed entrato nella pratica clinica alla fine degli anni ’80 è il sevoflurane [7] [8]. Come il desflurane, ha una bassa solubilità grazie alla fluorurazione dell’etere, caratteristica questa che ne aumenta la velocità di variazione della condotta anestesiologica, ma soprattutto diminuisce i tempi di induzione e risveglio [1].

1.3 Anestetici inalatori

Gli anestetici inalatori attualmente usati nella pratica clinica sono: desflurane

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sevoflurane ossido di azoto

Nello studio prospettico effettuato abbiamo utilizzato come anestetico inalatorio il

desflurane, di cui andremo a descrivere le principali caratteristiche.

Proprietà fisico-chimiche:

Il desflurane appartiene al gruppo dei metiletileteri alogenati, i quali somministrati per inalazione producono effetti reversibili dose-dipendenti, come perdita di conoscenza, soppressione della sensibilità dolorifica, abolizione dell'attività motoria volontaria e riduzione dei riflessi autonomi. Il desflurane è alogenato unicamente con fluoro, differenziandosi dall’isoflurane, appartenente a questa famiglia come anche enflurane, per la sostituzione dell’atomo di cloro presente nel carbonio α- etilico con un atomo di fluoro [9]. Tale sostituzione è alla base di molte sue peculiarità. Infatti, l’addensamento elettronico intorno al legame etereo, che l'ulteriore fluorurazione del carbonio α-etilico comporta, stabilizza la molecola e ne riduce la reattività chimica e fisico-chimica. Infine, la riduzione del peso molecolare conferisce al desflurane un aumento di volatilità maggiore di ogni altro vapore anestetico inalatorio [10].

MAC

La MAC indica la concentrazione alveolare minima di anestetico in grado di produrre immobilità nel 50% degli animali sottoposti a stimolo doloroso/nocivo sopramassimale. Ed è il parametro che oggi viene maggiormente utilizzato per confrontare la capacità di diversi agenti inalatori di provocare uno stato anestetico, e quindi la loro potenza, in modo quantificabile e riproducibile [11].

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Nell’uomo, l’aumento dell’età diminuisce il MAC del desflurane [12]. Come con gli altri composti alogenati il MAC è maggiore nei pazienti di età inferiore ad un anno e superiore ai 6 mesi [13] e diminuisce sino a quasi la metà nell’ultimo periodo della vita [14].

Jones et al. determinarono anche altri valori di MAC come il MAC-awake, cioè la concentrazione alveolare media al quale il 50% dei pazienti risponde al comando verbale di apertura degli occhi, impartito con tono di voce normale a soggetti normo acustici. Di norma il MAC-awake è di 0,2.

Per il desflurane il MAC è 7.25% ed il MAC awake è risultato pari a 2.42±0.49% [15]. Il rapporto MAC-awake /MAC del desflurane è minore del rapporto ricavato per gli altri anestetici. Questi dati indicano che il desflurane ha un notevole potere amnesizzante. Si è osservato che nessun soggetto a cui sia stata indotta l’anestesia mediante la somministrazione di desflurane al 5.4% è in grado di ricordare alcunché dopo le prime inspirazioni [16].

Farmacocinetica

Il desflurane ha un basso coefficiente di ripartizione sangue/gas (0,42), che esprime la quantità di anestetico che tende a sciogliersi nel sangue rispetto a quella che rimane nell’alveolo. Di conseguenza solo una bassa quota di farmaco si solubilizza nel sangue [17].

Nei polmoni ciò determina un rapido equilibrio della concentrazione alveolare (FA) con quella inspirata (FI), e conseguente accelerazione delle citochine di induzione: dopo 30 minuti di somministrazione, infatti, il rapporto FA/FI è 0,91 rispetto a 0,73

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dell’isofluorane [18]. Allo stesso modo, durante l’eliminazione dopo mezz’ora di somministrazione di anestetico, il tasso di diminuizione della concentrazione alveolare è più rapida con il desflurane rispetto agli altri anestetici [19].

Il più rapido innalzamento e la più rapida caduta di desflurane negli alveoli si riflettono nel cervello. Si è trovato che la salita della pressione parziale cerebrale di anestetico (CC) in relazione alla FI è la più rapida con il desflurane, intermedia con l’isoflurano e la più lenta con l’alotano. Allo stesso modo, l’eliminazione cerebrale di desflurane (CC/FAO) avviene più rapidamente [20].

Quindi per il desflurane l’induzione e il risveglio risultano più veloci rispetto ad altri potenti anestetici inalatori [17], [21], [22]. Inoltre, questa caratteristica, permette di adeguare prontamente la profondità dell’anestesia alla variazione di intensità degli stimoli chirurgici [18].

Infine è noto che gli anestetici inalatori si dissolvono nelle componenti del circuito d’anestesia e che tale assorbimento impedisce l’instaurarsi di un’adeguata concentrazione inspirata; ciò può ritardare la velocità di somministrazione e di eliminazione dell’anestetico. Tali effetti sono proporzionali alla solubilità del farmaco nelle parti del circuito. Sia per la somministrazione che per l’eliminazione, il grado di modificazione del desflurane tende a quello indicato per un gas non assorbito. Infatti la solubilità del desflurane nella plastica e nella gomma che si ritrovano nelle componenti del circuito d’anestesia, è minore rispetto agli altri alogenati inalatori. Questo significa che l’assorbimento nelle componenti del circuito non ritarda il corso dell’anestesia con desflurane [11].

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Metabolizzazione:

La grande stabilità fisica del desflurane, espressa ad esempio dalla resistenza alla degradazione ad opera della calce sodata ad alte temperature, suggerisce che il desflurane resiste in modo tenace alla biodegradazione [21], [23].

La via metabolica del desflurane è sovrapponibile a quella dell’isoflurane . Il citocromo P-450 è in grado di inserire un atomo di ossigeno tra l’alfa-etilcarbonio del desflurane ed il suo idrogeno. Il prodotto risultante, altamente instabile, viene degradato, da ultimo, a tre ioni di fluoruro liberi, acido trifluoroacetico, anidride carbonica ed acqua [9].

Aspetti clinici

1.Apparato respiratorio:

L’uso di concentrazioni di desflurane comprese tra 1.8% e 5.4% per 30 minuti non provocano ipersecrezione, tosse, trattenimento del respiro, starnuti, laringospasmo o broncospasmo mentre le dosi comprese tra 6% e 7% spesso provocano, inizialmente, trattenimento del respiro, tosse e laringospasmo. Una volta che tali concentrazioni sono state tollerate, ulteriori incrementi non danno origine, di solito, a segni irritativi. L’irritazione delle vie aeree ha talvolta provocato dei fenomeni di desaturazione, soprattutto in età pediatrica [15].

2.Apparato cardiovascolare:

I risultati ottenuti da alcuni studi, condotti su volontari giovani, sani e non sottoposti a stimoli, indicano che il desflurane possiede effetti minimi sul circolo [15], [24]. Concentrazioni allo steady-state, sino al 5.9% di fine espirazione, non modificano la frequenza cardiaca o la saturazione dell’ossiemoglobina. Concentrazioni maggiori

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riducono leggermente la pressione arteriosa rispetto ai valori basali da sveglio, questo è dovuto ad una riduzione delle resistenze periferiche [25].

Il desflurane possiede effetti differenti sulla frequenza cardiaca, in un uomo normocapnico, in assenza di stimoli, producendo un aumento dose dipendente, con frequenze normali ai piani più leggeri di anestesia e tachicardia occasionale ai piani più profondi [26].

3. Sistema neuromuscolare:

Per quanto riguarda gli effetti neuromuscolari, concentrazioni subanestetiche di desflurane superiori al 4% producono un grado di miorisoluzione sufficiente da permettere l’intubazione orotracheale rapidamente e senza difficoltà [15].Da solo o associato a N2O ha dimostrato una riduzione della trasmissione neuromuscolare

proporzionale alla concentrazione di fine espirazione [27].

La capacità del desflurane di alterare la trasmissione neuromuscolare indica che esso potenzia l’azione dei miorilassanti [28].

Anche se con una tendenza minore rispetto agli altri agenti trigger quali l’alotano, analogamente agli altri alogenati, in un modello animale particolarmente sensibile, l'anestesia con desflurane ha fatto scatenare uno stato di ipermetabolismo dei muscoli scheletrici che ha portato ad un'alta richiesta di ossigeno ed alla sindrome clinica nota come ipertermia maligna. Sebbene questo effetto sia rarissimo nel corso degli studi

clinici, il desflurane non deve essere somministrato a soggetti di cui sia nota la tendenza a sviluppare ipertermia maligna[29]

4.Fegato:

La biodegradazione minima o addirittura assente, la buona gittata cardiaca riscontrati durante l’uso di desflurane e la rapida eliminazione significano effetti minimi o assenti

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sul fegato. Studi condotti su volontari a cui veniva somministrato desflurane a 0.70 MAC-ORA confermano che i valori pre-anestesia dei livelli sierici di bilirubina totale, aspartato-amino-transferasi (AST o SGOT), alanina-amino-transferasi (ALT o SGPT), fosfatasi alcalina e gamma glutamil transpeptidasi non si modificano al termine dell’anestesia e dopo 4, 24, 72 e 192 ore [30]. Similmente si verifica a 7.4 MAC-ore che i valori prima dell’anestesia e dopo 1,4 e 7 giorni non mostrano modificazioni dei livelli di ALT, di fosfatasi alcalina, del tempo di protrombina o del tempo di tromboplastina parziale [31]. L’anestesia con desflurane non riduce il flusso epatico arterioso nel fegato[32]e non interferisce con l’integrità epatocellulare [33].

5. Rene:

Con l’uso del desflurane non si modificano gli indici di alterazione renale come: la n-acetil-beta-D-glucosaminidasi e la proteina legante il retinolo urinario. Inoltre l’esame delle urine non ha mostrato alterazioni dei valori riguardanti i leucociti, i globuli rossi, i cristalli ed il sedimento [21]. Infine questo farmaco possiedeun effetto scarso o nullo sul flusso ematico renale [34].

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2. Anestesia Totalmente Endovenosa (TIVA)

2.1 Cenni storici

La prima somministrazione di un anestetico endovenoso risale al 1656, quando Sir. C. Wren, architetto e artista dell’Università di Oxford, inettò oppio ev in un cane con una penna d’oca. Nello stesso periodo anche Boyle inietta tintura di oppio nelle giugulari del cane. Già prima del 1650 erano stati fatti tentativi di infusione di medicamenti nei vasi sanguigni di animali; la prima somministrazione nell’uomo avvenne nel 1662 ad opera di J Major di Kiel, mentre S. Elshoz reinietta oppio nel 1665 [35]. Nel 1852 Pravaz di Lione realizza la siringa in metallo con ago cavo chiuso da rubinetto per iniettare cloruro ferrico negli aneurismi ed è ad Alexander Wood che si deve la prima somministrazione endovenosa di farmaco con ago-siringa, nel 1855.

Nel 1870 Pierre Cyprien somministra endovena il cloraro idrato per indurre un buon piano di anestesia chirurgica, mentre nel 1881 Crombil A , a Calcutta effettuò anestesie generali iniettando morfina in vena [36].

L’entusiastico fervore di cui godettero alla loro scoperta i vapori anestetici ridusse di molto il ricorso all’associazione di protossido di azoto, morfina e belladonna, praticata verso la metà dell’800 con la denominazione di “anestesia mista”. Lo scarso successo e l’elevata incidenza di mortalità che accompagnavano il ricorso ad alte dosi di questi farmaci furono decisivi per aprire ulteriormente la strada all’anestesia inalatoria.

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Nel 1911 Crile, nell’intento di ridurre al minimo la somministrazione di anestetici generali preconizzò una tecnica originale che denominò “anociation” in cui l’anestesia inalatoria si associava ad una adeguata preparazione psicologica del paziente, ad una tecnica chirurgica quanto più possibile traumatica ed ad una anestesia loco regionale con procaina.

Nel 1926 Lundy, con lo stesso scopo dichiarato, propose la “balanced anestesia” denominazione ancora oggi di largo uso di una tecnica che allora associava una premedicazione con morfina e vago litici, una anestesia generale superficiale e una anestesia locale o loco regionale.

L’anestesia endovenosa si diffuse su larga scala solo alla fine degli anni ’30 del XX secolo dopo l’introduzione in clinica del pentotal, acido barbiturico sintetizzato da Conrad e Guthzeit nel 1882. Il banco di prova di questo farmaco fu Pearl Harbour nel 1941 in cui si verificarono numerose morti causate da collasso cardiocircolatorio nei feriti in stato di shock durante l’induzione dell’anestesia.

Un ulteriore progresso seguì all’introduzione del curaro, avvenuta ad opera di Griffith e Johnstone nel 1942.

L’impulso decisivo all’anestesia endovenosa totale si determina agli inizi degli anni ’80 con l’introduzione nella clinica di sostanze con particolari caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche quali il propofol prima e i nuovi farmaci oppiacei di sintesi poi [35].

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2.2 Farmaci dell’anestesia endovenosa

In tutte le pratiche anestesiologiche i farmaci la cui somministrazione endovenosa sia singola che in combinazione viene sfruttata ai fini dell’induzione, del mantenimento e del postoperatorio sono propofol, barbiturici, ketamina, benzodiazepine, α2 agonisti e

oppioidi [37].

Nello studio prospettico effettuato, nei pazienti appartenenti al gruppo dell’anestesia totalmente endovenosa, abbiamo utilizzato la seguente procedura anestesiologica: induzione con propofol, remifentanil e bromuro di rocuronio; mantenimento con propofol, remifentanil e miscela di O2 ed aria.

Adesso andremo a valutare le principali caratteristiche dei farmaci utilizzati nel nostro studio.

PROPOFOL :

da un punto di vista chimico è 2,6-diisopropil-fenolo in emulsione lipidica di olio di soia, glicerolo e fosfatide d’uovo purificato, questo anestetico endovenoso è usato sia per l’induzione che per il mantenimento dell’anestesia [37].

Il meccanismo di azione è in parte riconducibile ad una interferenza GABA-mediata sui canali per il cloro della membrana cellulare neuronale. È accertato che il farmaco mantiene il recettore di tipo inibitorio GABA in una condizione di protratta attivazione, realizzando così un potente effetto inibitorio sulla trasmissione sinaptica [38].

Ha inoltre una azione inibitoria sui recettori eccitatori NMDA per il glutammato, aspartato e sembra esercitare attività antidopaminergica [37].

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Dopo somministrazione endovenosa, la distribuzione di questo farmaco si verifica con una emivita di 2-8 minuti; l’emivita di eliminazione è di circa 30-60 minuti.

Il propofol una volta iniettato agisce rapidamente grazie alla sua lipofilicità. Il ritardo che comunque si realizza tra il raggiungimento di una specifica concentrazione plasmatica e l’instaurarsi dell’effetto viene definito come tempo di equilibrio sul sito effettore. Dopo una rapida somministrazione di una dose induttiva di propofol la perdita di coscienza, cioè il raggiungimento a livello cerebrale (sito effettore) di una concentrazione efficace si realizza in meno di 30 secondi.

Il farmaco è rapidamente metabolizzato nel fegato mediante glicurono- e solfo-coniugazione ed escreto nelle urine. Meno dell’1% del farmaco è escreto inalterato. La clearance corporea totale dell’anestetico è maggiore del flusso ematico epatico, il che sta ad indicare che l’eliminazione si ha anche per meccanismi extraepatici.

La liposolubilità e i meccanismi di clearance condizionano e determinano i tempi di dimezzamento della concentrazione plasmatica di un farmaco quando se ne interrompe la infusione continua dopo un certo tempo. Questo concetto mette in evidenza l’importanza della durata del periodo di infusione (il contesto) nel determinismo della diminuizione della concentrazione plasmatica e quindi dei tempi di risveglio. Le infusioni prolungate di propofol non danno luogo ad effetti cumulativi ed infusioni anche di giorni una volta interrotte permettono risvegli relativamente rapidi. Il propofol dunque ha tempi di dimezzamento piuttosto brevi e non eccessivamente variabili. Alla sospensione dell’infusione infatti il ritorno della coscienza è rapido e con minimi effetti residui [39], [40].

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In seguito a l’induzione è comune rilevare una depressione dose dipendente della ventilazione. L’apnea che talora consegue è della durata di circa 30 secondi ed è seguita da un respiro rapido e superficiale per circa 4 minuti [41], [42].

Anche la pressione arteriosa sistolica subisce un decremento. Il calo pressorio varia tra il 25% ed il 40% e si associa ad una diminuizione della portata cardiaca di circa il 15%. Questi effetti negativi sul circolo sono dose dipendenti e sono da mettere in relazione ad una vasodilatazione arteriosa e venosa e ad una modesta attività inotropa negativa. Vanno tenute di conto nella previsione dell’entità delle interferenze emodinamiche sia l’età che lo stato volemico che le eventuali associazioni farmacologiche [43]. Infatti l’età avanzata [32], l’ipovolemia assoluta e relativa, i farmaci deprimenti il circolo possono determinare ipotensioni ed alterazioni emodinamiche importanti.

Inoltre induce bradicardia anche molto marcata e questo per un suo effetto deprimente il sistema ortosimpatico in maniera selettiva rispetto a quello parasimpatico.

Sul piano clinico il propofol sembra esercitare un utile ruolo nelle patologie cerebrali, questo grazie alla sua capacità dose dipendente di ridurre le richieste metaboliche di O2

, flusso ematico cerebrale e pressione intracranica [44], [45]. Solo in pazienti con elevata pressione intracranica va posta cura nell’evitare che attraverso una diminuizione della pressione arteriosa sistemica si realizzi una diminuita perfusione cerebrale [46]. Nelle patologie con fenomeni epilettici l’attività utile del farmaco è ormai accertata [47], [48]. Esso possiede potente attività anticonvulsivante se usato a dosi adeguate e per dosi alte o associato a farmaci sinergici può portare l’attività elettroencefalografica in una condizione di burst-suppression [49] . Fenomeni eccitatori con convulsioni ed opistotono sono stati segnalati forse a seguito di dosi sub-anestetiche [50].

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Sempre sul piano clinico, ha attività antiemetica dimostrata dalla bassissima incidenza di nausea e vomito nelle anestesie endovenose [51]. In dosi sub-ipnotiche è addirittura stato usato con successo nel trattamento della nausea e vomito post-operatorio e del vomito da chemioterapici [52].

Condizioni di alterata funzionalità epatica [53] o renale [54] non determinano significative variazioni della durata degli effetti clinici.

Pazienti a rischio di ipertermia maligna e porfiria acuta intermittente sono stati sottoposti al propofol senza sequele [55]. Mentre invece va posta particolare attenzione ai pazienti atopici o con anamnesi positiva per reazioni allergiche, essendo descritte reazioni allergiche anche gravissime e reazioni anafilattoidi [56], [57].

Altro aspetto fondamentale del propofol sul piano clinico è la sua proprietà come antiossidante, riconducibile al gruppo fenolico che contiene. Infatti le basi fenoliche esercitano questa azione tramite un processo di estrazione dell’idrogeno dai radicali liberi (R-OH) che così divengono meno reattivi (R-O°) [58], [59]. E’ documentato che le specie reattive dell’ossigeno causano perossidazione lipidica della membrana cellulare e accumulo di calcio intracellulare responsabili di danni biochimici e metabolici [60]. L’accumulo intracellulare di calcio indotto dai radicali liberi nel tessuto muscolare è fortemente legato alla sintesi di NO attraverso l’attivazione dell’enzima i-NOS [61] ed è correlato alla severità e durata dell’ischemiacellulare [62]. L’azione benefica del propofol è ascrivibile a l’inibizione dell’accumulo di calcio intracellulare e della produzione di perossinitrato in corso di ischemia e riperfusione [63].

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REMIFENTANIL :

È un analgesico oppioide. Gli oppioidi di uso comune in anestesia sono la morfina, la meperidina, il fentanyl, il sufentanil, l’alfentanil ed il remifentanil. Il prototipo rimane comunque la morfina, oppioide esistente in natura e ad essa vengono paragonati tutti gli altri che sono invece prodotti di sintesi. Il remifentanil, come gli altri farmaci appartenenti a questa categoria, effettua la sua azione attraverso una interazione agonista con recettori per gli oppioidi, i cui ligandi endogeni sono endorfine ed encefaline. La localizzazione nel sistema nervoso centrale di questi recettori è a livello di corteccia, talamo mediale, sostanza grigia periacqueduttale, sostanza gelatinosa, neuroni simpatici pregangliari. Studi clinici nell’uomo suggeriscono anche la possibilità di una analgesia attraverso meccanismi periferici specie in presenza di flogosi. Dopo il legame tra recettori ed oppioide l’attività cellulare viene alterata attraverso almeno due meccanismi,. Il primo con la mediazione di una G-proteina consiste nell’inibizione dell’adenilciclasi cellulare e conseguente aumentata conduttanza per il potassio. La iperpolarizzazione cellulare che ne risulta porta alla soppressione della trasmissione sinaptica. Un secondo meccanismo è quello dell’interferenza sul trasporto endocellulare di calcio nella cellula presinaptica. Ciò comporta un difetto di rilascio presinaptico di neuro modulatori e quindi anche qui una soppressione della trasmissione sinaptica. I neurotrasmettitori coinvolti da questo meccanismo sono sostanza P, norepinefrina, dopamina, acetilcolina.

Le entità recettoriali stimolabili dai farmaci oppioidi possono essere suddivise in sottotipi recettoriali che si identificano come µ1, µ2 , k, δ, σ. Le risposte evocate dai

recettori µ1 sono l’analgesia sopraspinale, l’euforia, la miosi, la nausea, il vomito, la

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sedazione e bradicardia. Ai recettori k si attribuiscono analgesia spinale, sedazione e miosi; a quelli δ la modulazione delle attività recettoriali µ e la dipendenza fisica. Infine i recettori σ evocano disforia, ipertonia e midriasi [37].

Il remifentanil ha un tempo di equilibrio sul sito effettore di 1.4 minuti, quindi molto rapido. Diversamente da tutti gli oppioidi il suo tempo di dimezzamento sensibile al contesto è non solo breve (circa 4 minuti) ma rimane costante quale che sia la durata dell’infusione. Questa proprietà dovuta alla metabolizzazione rapidissima per idrolisi operata da esterasi aspecifiche plasmatiche e tissutali, conferisce al farmaco le proprietà della titolabilità, non accumolo e risveglio rapido.

L’uso più confacente alle caratteristiche di questo farmaco è il mantenimento dell’anestesia in associazione ad ipnotici ma anche ad alogenati. Esso permette un risveglio molto rapido in qualunque momento si decida di realizzarlo. Questa caratteristica è importante ai fini della potenziale utilità del composto nei trattamenti chirurgici ambulatoriali. Il rapido dissiparsi della analgesia da remifentanil impone l’adozione di strategie antalgiche con tempi congrui prima che venga attuata la sospensione della infusione.

Il suo uso in associazione al propofol permette un radicale cambiamento di comportamento rispetto alle associazioni di altri analgesici con lo stesso ipnotico. Mentre in questi ultimi casi per evitare risvegli ritardati è opportuno variare l’infusione di ipnotico in relazione all’esigenza di approfondire o meno l’anestesia e mantenere costante la somministrazione di analgesico, con il remifentanil è opportuno invece sulla base di una infusione costante di propofol variare quella dell’analgesico.

In terapia intensiva, così come in anestesia, la presenza di insufficienza d’organo non sembra influenzare la farmacodinamica e la farmacocinetica del farmaco essendo il suo

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metabolismo organo-indipendente e il suo metabolita acido ad eliminazione urinaria praticamente privo di effetti [64].

A livello clinico l’infusione di remifentanil porta a:

• depressione respiratoria con durata sovrapponibile a quella dell’effetto analgesico,

• ipotensione arteriosa, • bradicardia,

• rigidità muscolare, • brivido.

La rigidità muscolare può essere prevenuta iniettando i boli lentamente (30-60 secondi) e associando ipnotici e miorilassanti, come il curaro [37].

L’infusione intraoperatoria di remifentanil, inoltre, può essere associata a iperalgesia post-operatoria indotta da oppioidi [65]. E’ stato infatti osservato che l’utilizzo intraoperatorio di elevate dosi di oppioidi, in particolare morfina e remifentanil, sia endovenosa che per via spinale, può determinare un’attivazione abnorme del recettore NMDA con un successivo aumento della richiesta di farmaci analgesici [66], [67], [68].

2.3 Farmacocinetica della TIVA Emivita sensibile al contesto:

Essa esprime il tempo necessario ad un farmaco per dimezzare la sua concentrazione plasmatica (emitempo) al termine di un’infusione protratta nel tempo (contesto).

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Questo parametro, calcolato al computer, ha modificato la fisiologia dell’infusione continua, documentando come il tempo di dimezzamento può cambiare in funzione della durata dell’infusione.

Per quanto riguarda gli oppioidi esistono enormi differenze tra le molecole per cui dopo 10h di infusione il tempo di dimezzamento resta costantemente di pochi minuti per il remifentanil mentre si incrementa fino alla terza ora, per poi stabilizzarsi, per l’alfentanil e il sufentanil; il fentanyl in infusione presenta un tempo di dimezzamento che sale in verticale.

Per quanto riguarda gli ipnotici il propofol, per le sue caratteristiche farmacocinetiche, rappresenta l’unico agente impiegabile nella TIVA in infusione continua, mentre le altre molecole attualmente disponibili (etomidate, ketamina, midazolam, tiopental, diazepam) risultano inadeguate.

Il propofol ha tempi di dimezzamento plasmatico sensibili al contesto piuttosto brevi e non eccessivamente variabili con conseguenti tempi di induzione e di risveglio brevi. Di conseguenza infusioni prolungate di propofol non danno luogo ad effetti cumulativi ed infusioni anche di giorni, così come avviene in rianimazione, una volta interrotte permettono ugualmente risvegli relativamente rapidi.

Modelli compartimentali:

E’ importante prevedere l’andamento delle concentrazioni di un farmaco per regolarne opportunatamente la somministrazione ed è quindi necessario avere dei modelli matematici che forniscano utili informazioni.

Per questo scopo sono stati creati i cosidetti modelli fisiologici che sono costituiti dal comparto vascolare e da uno o più compartimenti, considerati omogenei; l’equilibrio tra

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il comparto vascolare e gli altri comparti esaminati avviene sulla base di costanti di velocità e coefficienti di partizione ed anche l’eliminazione segue regole precise.

• Modello monocompartimentale, figurativamente può essere rappresentato da un recipiente di acqua con una linea di fuoriuscita in basso. La colonna di acqua, omologo del farmaco nel sangue, con la sua altezza influisce la fuoriuscita dalla linea inferiore, analogo della clearance del farmaco. Quest’ultimo nel modello monocompartimentale è di primo ordine.

• Modello bicompartimentale, è un modello farmacocinetico molto più reale del precedente in quanto la curva di concentrazione del farmaco mostra una riduzione molto lenta, dovuta alla fase terminale di eliminazione. In pratica la curva è bi-compartimentale. Tra i due compartimenti considerati, cioè il V1

(centrale o vascolare) ed il V2 (profondo o periferico), esiste un interscambio,

regolato da costanti per la direzione V1-V2 e per la direzione opposta mentre l’eliminazione si verifica solo dal comparto V1.

• Modello tricompartimentale, in questo modello oltre al V1 (volume centrale) vengono considerati due volumi periferici V2 (volume a rapido rifornimento) e V3 (volume a lento rifornimento). La somma di questi tre volumi è il volume di distribuzione allo steady state (Vss). Ci sarà una clearance centrale e 2 clearances intercompartimentali o di distribuzione e sono delle costanti che correlano flusso e gradiente di farmaci tra compartimenti. Con un modello tricompartimentale è possibile distinguere tre fasi nella curva di concentrazione plasmatici: la fase di rapida distribuzione, che inizia subito dopo un bolo; la fase di lenta distribuzione in cui si assiste ad un certo ritorno da V2 verso V1; la fase teminale in cui c’è dell’eliminazione del farmaco dal corpo.

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La concentrazione di steady-state (Css) è la velocità di infusione ® diviso il valore di clearance (CI) ed è quel momento in cui il flusso di ingresso del farmaco nell’organismo eguaglia quello di uscita dall’organismo.

Desiderando raggiungere una determinata concentrazione di steady-state , con il solo regime infusivo sarebbero necessari tempi diversi per i vari farmaci in funzione del volume di distribuzione e dell’emivita di distribuzione: dai circa 30 minuti per il remifentanil a lle circa 10-12 ore per il propofol. E’ evidente pertanto che è necessaria una dose carico per abbreviare questi tempi descritti, ma queste dosi calcolate così semplicemente sulla base di alcune formule potrebbero non corrispondere alle necissità anestesiologiche. Per questi motivi sono state studiate strategie infusive al computer per raggiungere e mantenere le concentrazioni desiderate.

Modelli TIVA-TCI (Target Controlled Infusion) :

E’ necessario somministrare un bolo iniziale, mirato a riempire il V1, per abbreviare la latenza in biofase. Dal bolo manuale, che precede l’infusione a regolazione manuale, è possibile passare al bolo mediante TCI, ampiamente programmabile per le caratteristiche dell’esecuzione. L’induzione con la TCI diventa, quindi, più adattabile alle esigenze, dettate da varie determinanti tra cui spiccano le condizioni patofisiologiche del paziente, consentendo, se necessario, una dolcissima progressione incrementando il valore target fino all’ottenimento dei risultati desiderati.

Per il mantenimento la TIVA classica prevede essenzialmente due schemi di velocità per il propofol: 12-9-6 mg/kg/h o 10-8-6 mg/kg/h con passaggi oda una velocità all’altra con un intervallo di tempo prestabilito che, in genere, è di 10 min.

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Il Diprifusor per il mantenimento regola automaticamente la velocità per raggiungere e mantenere il valore target, evitando, sulla base del modello farmacocinetico contenuto nel software di gestione, il fenomeno dell’accumulo.

In pratica la TCI-Diprifusor è un sistema infusivo con software ed hardware in grado di gestire la concentrazione plasmatica del propofol regolando la velocità di infusione in funzione dei processi di distribuzione ed eliminazione del farmaco. La predetta regolazione viene gestita costantemente da un algoritmo che verifica tutte le operazioni della pompa per regolarne automaticamente la velocità [37].

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3. Mediatori dell’infiammazione

3.1 Introduzione

L'infiammazione o flogosi è un meccanismo di difesa non specifico innato, che costituisce una risposta protettiva, a seguito dell’azione dannosa di stimoli endogeni ed esogeni causati da agenti fisici (traumi meccanici, variazioni di temperatura, variazioni rapide di pressione atmosferica, radiazioni, elettricità), chimici (farmaci) e biologici (agenti infettivi, tossine che innescano reazioni immunologiche e mancanza di ossigeno), il cui obiettivo finale è l’eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale.

Questi stessi stimoli possono provocare nei tessuti connettivi vascolarizzati una complessa reazione chiamata infiammazione che ha come scopo distruggere, diluire o confinare l’agente lesivo e, a sua volta, mette in moto una serie di eventi che, per quanto è possibile, producono la guarigione e la sostituzione del tessuto danneggiato [68].

3.2 I mediatori dell’infiammazione

Le risposte vascolari e cellulari sono mediate da agenti chimici di derivazione plasmatica o cellulare, i c.d. mediatori dell’infiammazione, i quali agendo singolarmente, in combinazione, o in sequenza, amplificano la risposta infiammatoria e ne influenzano l’evoluzione [68].

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I mediatori di origine plasmatica (come il complemento) sono i più numerosi e sono normalmente sequestrati all’interno di granuli intracellulari per poi essere secreti (es. istamina, presente nei granuli dei mastociti) oppure sono sintetizzati ex novo (es. prostaglandine, citochine, ossido nitrico). La maggior parte di essi esprime la propria attività biologica legandosi a specifici recettori sulle cellule bersaglio, hanno un’emivita breve e quasi tutti sono potenzialmente dannosi [68].

3.3 Le citochine

- Introduzione e classificazione

Le citochine sono molecole proteiche prodotte da vari tipi di cellule e secrete nel mezzo circostante di solito in risposta ad uno stimolo. Esse sono prodotte principalmente dai leucociti e dai macrofagi attivati, anche se possono essere prodotte da molti altri tipi cellulari (www.rndsystems.com).

Le citochine raggruppano usualmente due classi di molecole: quelle secrete dai linfociti, conosciute in passato come linfochine, e quelle secrete da monociti e macrofagi, precedentemente note come monochine.

Pur continuando ad essere scorrettamente utilizzati, questi due termini (linfochine e monochine), possono generare errori di identificazione perché molte linfochine e chemochine sono secrete da un ampio spettro di tipi cellulari e non solo da linfociti e monociti, come il loro nome implicherebbe. Pertanto è preferibile utilizzare il termine omnicomprensivo di citochina.

Tra le citochine possono essere identificate alcune con peculiari caratteristiche e attività: ad esempio le interleuchine identificano un gruppo secreto da alcuni leucociti che agiscono specificatamente su altri leucociti, mentre le chemochine sono molecole a

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basso peso molecolare che agiscono sulla chemiotassi e su altri aspetti della vita leucocitaria.

Ad oggi sono state identificate più di 160 citochine comprendenti:

• Interleuchine (IL): IL-1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,15,16,17,18,23,27. • Interferoni (IFN): IFN-α, β, γ, ω.

• Fattori di necrosi tumorale (TNF): TNF-α; TNF-β; LT-β; FasL; CD40L; CD27L; CD30L; NGF; TRAIL; TRANCE; APRIL; LIGHT; THANK; TALL-1.

• Famiglia dell’IL-6: IL-6; IL-11; CNTF; CT-1; OSM; LIF; NNT.

• Chemochine: limfotactine, MCP-1, 2, 3, 4; RANTES; MIP-1s; MIP-3,4,5; eotaxina; IL-8; IL-16; PF-4; NAP-2; GROs; ENA-78; IP10; Mig.

• Fattori stimolanti la formazione di colonie (CSF): G-CSF; GM-CSF; M-CSF; RPO; IL-3; MEG-CSF; SCF.

• Fattori di crescita (GF): FGFs; CTAP-3; EGF; ECGF; HGF; IGFs, PDGFs; PAF; TGFs; KGF; CTGF; GDF-15MIC-1; Fibrosin [69].

La classificazione delle citochine può essere strutturale, sulla base di subunità recettoriali comuni, e funzionale.

La classificazione strutturale identifica due gruppi:

• Citochine a CATENA LUNGA: IL-6; IL-10; CNTF; LIF; G-CSF; EPO; GH; OSM; e le rimanenti.

• Citochine a CATENA CORTAa: IL-2; IL-3; IL-4; IL-5; IL-13; IL-15; GM-CSF [70].

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Quella funzionale divide le citochine in tre gruppi :

• Citochine che mediano e regolano l’immunità innata (IL-1, IL-12, IL-15, IL-18, TNF-α).

• Citochine che mediano e regolano l’immunità specifica (IL-2, IL-4, IL-5, IFN-γ). • Citochine che stimolano l’emopoiesi [71].

Inoltre in base alla loro azione le citochine si possono complessivamente suddividere in due grandi gruppi: quelle pro-infiammatorie, quali IL-2, IL-6, IL-12, TNF-α e IFN-γ; e quelle anti-infiammatorie quali IL-10, TGF-β; anche IL-1ra e NO svolgono una azione anti-infiammatoria.

-Meccanismo di azione:

La suscettibilità della cellula bersaglio ad una particolare citochina è determinata dalla presenza di specifici recettori di membrana i quali presentano un’elevata affinità per essa. Pertanto anche concentrazioni picomolari possono mediare un effetto biologico. In base alla modalità di legame con il recettore le citochine possono svolgere una azione:

• Autocrina, se si legano a recettori espressi sulla membrana della stessa cellula che la secerne

• Paracrina, quando contraggono legami con recettori di una cellula bersaglio vicina • Endocrina, nel caso di legami con cellule bersaglio localizzate in parti distanti del

corpo.

La maggior parte esercita un’azione autocrina e/o paracrina, mentre solo una minoranza ha azione endocrina.

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Quando una citochina si lega allo specifico recettore innesca una serie di segnali di trasduzione modificando la traduzione genica di queste cellule.

Le citochine regolano l’intensità e la durata della risposta immunitaria, stimolando o inibendo l’attivazione, la proliferazione e/o il differenziamento di vari tipi cellulari e regolando la secrezione di anticorpi o altre citochine.Tra le numerose risposte fisiologiche che richiedono il coinvolgimento di esse si annovera lo sviluppo della risposta immunitaria cellulare e umorale, l’induzione della risposta infiammatoria, la regolazione dell’emopoiesi, il controllo della proliferazione e del differenziamento cellulare e la guarigione delle ferite.

Le citochine presentano le seguenti proprietà:

• pleiotropia quando è dotata di svariati effetti biologici su più cellule bersaglio • ridondanza se due o più citochine mediano funzioni simili

• sinergismo nel caso l’effetto combinato di due citochine sull’attività cellulare è maggiore della somma degli effetti di ciascuna di essa presa individualmente • antagonismo ovvero l’effetto di una inibisce o controbilancia l’effetto dell’altra • capacità di innescare un meccanismo a cascata, ciò consiste nell’indurre la cellula

bersaglio a secernere una o più citochine in grado a loro volta di stimolare altre cellule bersaglio a produrne altre [72].

Nello studio prospettico effettuato abbiamo preso in considerazione le seguenti citochine: IL-2; IL-6; IL-10; IL-12; IFN-γ; TGF-β; TNF-α; inoltre l’IL-1ra, che è un antagonista delle citochine, e l’ossido nitrico. Adesso quindi descriveremo nel dettaglio i mediatori dell’infiammazione analizzati nel nostro studio.

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citochina secreta da cellule/tessuti bersaglio

attività

IL-2 Linfociti Th1 Linfociti Th e Tc

attivati dall’antigene Cloni T antigene-specifici Cellule NK e linfociti Tc Induce proliferazione

Sostiene la crescita a lungo termine Potenzia l’attività NK IL-6 Monociti, macrofagi, linfociti Th2 e cellule stromali del midollo osseo Linfociti B proliferanti Plasmacellule Cellule staminali mieloidi Epatociti Promuove il differenziamento a plasmacellule

Stimola la secrezione anticorpale Aiuta a promuovere il

differenziamento

Induce la sintesi di proteine della fase acuta

IL-10 Linfociti Th2 Macrofagi

Cellule presentanti l’antigene

Sopprime la produzione di citochine e riduce

indirettamente la produzione di citochine da parte dei linfociti Th1 Inibisce l’espressione del MCH di classe II

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linfociti B attivati

Cellule NK e LAK Linfociti Th1 attivati

per indurre il differenziamento in CTL Stimola la proliferazione IFN-g Linfociti Th1, Tc e NK Cellule non infettate Macrofagi

Molti tipi cellulari

Linfociti B proliferanti Linfociti Th2 Cellule infiammatorie

Inibisce la replicazione virale

Potenzia l’attività

Aumenta l’espressione delle molecole MHC di classe I e II Induce lo switch isotipico a IgG2a; blocca lo switch a IgE e IgG1 indotto da IL-4

Inibisce la proliferazione Media vari effetti importanti nell’ipersensibilità ritardata TGF-β Piastrine, macrofagi, linfociti mastcellule Monociti e macrofagi Macrofagi attivati Cellule epiteliali, endoteliali, linfoidi, emopoietiche Linfociti B proliferanti Attrae chemotatticamente Aumenta la produzione di IL-1 Inibisce la proliferazione,limitando così

la risposta infiammatoria e promuovendo

la guarigione delle ferite Induce lo switch a IgA

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TNF-α Macrofagi, mastcellule Cellule tumorali Cellule infiammatorie Ha effetto citotossico

Induce la secrezione di citochine ed è

responsabile della perdita di peso associata a infiammazione cronica-

Interleuchina-2: questa citochina ad azione proinfiammatoria è secreta dai linfociti

Th1. La sua emivita in circolo è inferiore a 10 minuti [73].

Le cellule e i tessuti bersaglio sono: i linfociti Th e Tc di cui ne induce la proliferazione, i cloni T antigene specifici di cui sostiene la crescita a lungo termine, le cellule NK di cui potenzia l’attività [74].

Interleuchina-6: questa citochina ad azione proinfiammatoria è secreta da monociti,

macrofagi, linfociti Th2 e cellule staminali del midollo osseo. La sua presenza in circolo è rilevabile entro 60 minuti, il suo picco tra 4 e 6 ore e può persistere fino a 10 giorni [75]. La IL-6 promuove il differenziamento a plasmacellule dei linfociti B proliferanti e stimola la secrezione anticorpale delle plasmacellule, aiuta a promuovere il differenziamento delle cellule staminali mieloidi ed infine induce la sintesi di proteine della fase acuta legandosi ai suoi recettori presenti sugli epatociti.

Interleuchina-10: questa citochina ad azione antiinfiammatoria è secreta dai linfociti

Th2.

La sua azione si esplica verso i macrofagi sopprimendo la produzione di citochine e riducendo indirettamente la stessa produzione da parte dei linfociti Th1 e verso le cellule presentanti l’antigene, inibendo l’espressione del complesso MHC di classe II

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[72].Van der Poll T et al., in un loro studio hanno provato che l’induzione della trascrizione di IL-10 in animali da esperimento produce una attenuazione della risposta infiammatoria sistemica e riduce il tasso di mortalità durante la peritonite settica [76].

Interleuchina-12: questa citochina proinfiammatoria è prodotta dai macrofagi e dai

linfociti B. Essa agisce in modo sinergico con IL-2 per indurre il differenziamento dei linfociti Tc attivati in CTL e stimola la proliferazione delle cellule NK, LAK e dei linfociti Th1 attivati [77].

Interferone γ: questa citochina pro infiammatoria è secreta dai Lth1, linfociti Tc e

cellule natural killer (NK). Ha numerose cellule bersaglio: le cellule non infettate, attraverso cui inibisce la replicazione virale; i macrofagi, di cui potenzia l’attività; molti tipi cellulari su cui aumenta l’espressione delle molecole MHC di classe I e II; i linfociti B proliferanti di cui induce lo switch isotipico a IgG2a e di cui blocca lo switch a IgE e IgG1 indotto invece da IL-4; i linfociti Th2 di cui inibisce la proliferazione e infine le cellule infiammatorie di cui media vari effetti importanti nell’ipersensibilità ritardata.[78], [79].

Fattore trasformante di crescita β (TGF-β): questa citochina antiinfiammatoria è secreta da piastrine, macrofagi, linfociti e mastcellule. Tra le sue principali funzioni biologiche : l’attrazione chemotattica di monociti e macrofagi; l’aumento della produzione di IL-1 da parte dei macrofagi attivati; l’inibizione della proliferazione delle cellule endoteliali, epiteliali, linfoidi, emopoietiche con limitazioni della risposta infiammatoria e promozione della guarigione delle ferite; infine l’induzione dello switch dei Linfociti B proliferanti a IgA .

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Recenti studi hanno provato che TGF-β è un regolatore fondamentale nello sviluppo e nella omeostasi dei LT, nella tolleranza verso gli antigeni-self e nella differenziazione delle cellule T durante la risposta immune [72].

Fattore di necrosi tumorale α (TNF-α): è tra i primi e più potenti mediatori della

risposta dell’ospite ed ha azione pro infiammatoria.

La prima fonte di sintesi include i monociti e i macrofagi, che sono abbondanti nel peritoneo e nel tessuto splancnico [80].

Nonostante che la sua emivita sia inferiore a 20 minuti, è sufficiente a provocare marcati cambiamenti metabolici ed emodinamici e ad attivare mediatori cellulari situati a distanza. A questo proposito va ricordato che il TNF-α è il più importante induttore del catabolismo muscolare e della cachessia durante lo stress [81]. Inoltre ha effetto citotossico sulle cellule tumorali e agisce sulle cellule infiammatorie inducendo la secrezione di citochine e determinando la perdita di peso associata ad infiammazione cronica [72]. Infine induce la sintesi di molecole di adesione endoteliali e di mediatori chimici tra i quali altre citochine, chemochine, fattori di crescita, eicosanoidi e ossido di azoto (NO) e stimola la produzione di enzimi che inducono il rimodellamento della matrice extracellulare [82].

3.4 Gli antagonisti delle citochine

Sono state descritte varie proteine che inibiscono l’attività biologica delle citochine. Esse sono definite antagonisti delle citochine. Queste possono agire in due modi

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diversi: legarsi al recettore senza però attivare la cellula, oppure legarsi direttamente alla citochina inibendone l’attività.

L’inibitore delle citochine meglio caratterizzato è l’antagonista del recettore per IL-1 (IL-1Ra). La cui azione si esplica bloccando il legame della citochina e quindi antagonizzandone l’effetto.

La produzione di IL-1Ra sembra essere importante nella regolazione della risposta infiammatoria [83]. Attualmente, dopo essere stato clonato ed è attualmente sotto studio come potenziale presidio nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche [84].

3.5. L’ossino nitrico

L’ossido nitrico (NO) è, insieme alle citochine, un altro importante mediatore

dell’infiammazione. Si tratta di un gas solubile prodotto dalle cellule endoteliali, dai macrofagi e da specifici neuroni del cervello.

Agisce in modo paracrino sulle cellule bersaglio, inducendo la produzione di guanosin monofosfato ciclico (GMPc), che dà inizio a una serie di eventi intracellulari che culminano con una risposta.

L’emivita in vivo è dell’ordine di secondi, perciò il gas è in grado di agire solo sulle cellule vicine alla sede di produzione. NO interagisce facilmente con i gruppi tiolici delle proteine, formando addotti più stabili (S-nitrosoproteine) che sembrano coinvolti in alcune delle azioni del NO [68]. E’ sintetizzato a partire da L-arginina, ossigeno molecolare, NADPH e altri cofattori, per azione dell’enzima ossido diazoto sintetasi (NOS) .Vi sono tre differenti tipi di NOS: endoteliale (eNOS); neuronale (nNOS) e

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inducibile da citochine (iNOS), che mostrano due diverse modalità di espressione. eNOS ed nNOS sono costitutivamente espressi a bassi livelli e possono essere attivati rapidamente dall’aumento degli ioni calcio citosolici in presenza di calmodulina; iNOS invece viene indotto quando i macrofagi sono attivati da citochine (ad es. TNF-α, IFN-γ) o altri agenti e in questo caso non è necessario un aumento del calcio intracellulare [85].

L’NO svolge diverse azioni. Innanzi tutto riduce l’adesione e l’aggregazione piastrinica, blocca una serie di eventi infiammatori promossi dai mastociti e regola il reclutamento dei leucociti. La sovrapproduzione di NO ad opera dell’enzima iNOS rappresenta un meccanismo compensatorio endogeno che riduce il reclutamento dei leucociti durante le risposte infiammatorie. Infatti il blocco della sua produzione in condizioni normali promuove il rotolamento e l’adesione dei leucociti all’endotelio delle venule post capillari, mentre la somministrazione di NO esogeno riduce il reclutamento dei leucociti durante l’infiammazione acuta [68]. Inoltre l’NO gioca un ruolo importante nel regolare le funzioni dei vasi durante le risposte infiammatorie. E’ infatti un potente agente vaso dilatante, come dimostrato dall’osservazione che i topi che mancano del gene che lo codifica sono ipertesi[86]. Alterazioni della produzione di NO a livello endoteliale sono presenti nell’aterosclerosi, nel diabete e nell’ipertensione[68].

Oltre a questi importanti effetti, è in grado di ridurre l’aumento postischemico della permeabilità microcircolatoria coronarica [87]. L’NO esercita effetti benefici inibendo l’inositolo-1,4,5-trifosfato, riducendo il sovraccarico intracellulare del calcio e inducendo la traslocazione della proteinchinasi C [88]. La somministrazione di NO, infatti, è in grado di prevenire il danno da riperfusione [89] e, nello stesso tempo, l’inibizione farmacologica dell’NO-sintasi (NOS) e l’assenza dei geni della NOS

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endoteliale ed inducibile in modelli murini transgenici ha determinato un’esacerbazione del danno da riperfusione [90].

La conservazione o induzione dei sistemi enzimatici protettivi a livello endoteliale, come la NOS, rappresenta un interessante meccanismo di protezione della funzionalità endoteliale e della microcircolazione coronarica. Questo effetto di miglioramento della funzionalità endoteliale, associato al minor dispendio metabolico, ha ovviamente interessanti risvolti fisiopatologici anche nell’insufficienza ventricolare sinistra e nel processo del rimodellamento ventricolare [91], [92].

3.6. I recettori delle citochine

Le citochine per effettuare la loro azione devono legarsi a recettori espressi sulla superficie delle cellule bersaglio.

I recettori presentano numerose differenze strutturali, ma quasi tutti appartengono a una delle cinque famiglie di proteine recettoriali:

• superfamiglia delle immunoglobuline.

• per le citochine di classe I ( noti anche come famiglia dei recettori delle emopoietine).

• per le citochien di classe II (noti anche come famiglia dei recettori degli interferoni). • per i TNF.

• per le chemochine.

La maggior parte dei recettori che agiscono nel sistema immunitario ed emopoietico appartengono alla famiglia dei recettori di classe I e II. Essi sono costituiti da più di un tipo di catene polipeptidiche e comprendono una o due sub unità specifiche per la

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citochina e una sub unità trasducente il segnale, spesso non specifica, con un ruolo di secondo piano nell’interazione con il ligando.

Inizialmente si riteneva che gli unici ligandi di questi recettori fossero i tre interferoni α, β e γ; recentemente è stato invece osservato che anche il recettore per IL-10 appartiene a questo gruppo [72].

L’IL-2R è il recettore più studiato tra quelli citochinici, considerando il ruolo centrale svolto da IL-2 e dal suo recettore (IL-2R) nella proliferazione clonale dei LT, nella sua forma trimerica completa, è composto da tre subunità distinte: la catena α, β e γ. Le ultime due appartengono alla famiglia dei recettori delle citochine di classe I, mentre la catena α possiede una struttura diversa.

Può presentarsi sotto tre forme, ciascuna con una differente affinità per IL-2: IL-2Rα monometrico e a bassa affinità, 2Rβγ dimerico e con affinità intermedia, infine IL-2Rαβγ trimerico e ad alta affinità.

La trasduzione del segnale richiede l’espressione sia della catena β che di quella γ, ma solo il recettore trimerico completo (contenente anche la catena α) lega Il-2 con alta affinità.

L’espressione delle catene α e β è notevolmente incrementata in seguito dell’attivazione dei linfociti da parte dell’antigene.

Questo fenomeno garantisce che solo i linfociti T attivati dall’antigene esprimano il recettore ad alta affinità per IL-2.

Le cellule NK esprimono costitutivamente le subunità α e γ: questo spiega la loro capacità di legare IL-2 con un’affinità intermedia e di attivarsi anche a dosi subottimali di IL-2 [93].

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Per quanto riguarda il meccanismo di azione dei recettori per le citochine, molti dubbi sono stati chiariti attraverso lo studio dei meccanismi molecolari innescati dal legame dell’interferone γ con il proprio recettore che appartiene alla famiglia di classe II. La scoperta delle più importanti vie di traduzione del segnale innescate dall’interazione di IFNγ con il suo recettore ha portato alla conclusione che per quasi tutti i recettori di classe I e II il primo evento che segue il legame con la citochina consista nella dimerizzazione del recettore. Questo evento scatena una serie di reazioni a catena che esitano nella trascrizione di alcuni geni specifici.

Le principali caratteristiche del sistema IFN-γ, sono le seguenti:

• Il recettore è composto da subunità separate e consiste di due catene polipeptidiche, la α deputata al legame con la citochina e alla traduzione del segnale e la β, necessaria per la traduzione del segnale.

• Ciascuna subunità del recettore è associata ad una tirosin chinasi allo stato inattivo, dette JAK.

• Il legame con la citochina induce la dimerizzazione di due subunità recettoriali distinte e l’attivazione delle JAK a esse associate.

• Le JAK attivate grazie alla fosforilazione di specifici residui di tiroxina al livello delle subunità recettoriali creano siti di attacco per fattori di trascrizione detti STAT (signal transducers and activators of transcription).

• In seguito gli STAT traslocano dal sito di attacco a livello della membrana verso il compartimento nucleare, dove danno inizio alla trascrizione di geni specifici [94]. Vari meccanismi sono alla base della specificità d’azione esibita dalle citochine:

1. l’alta affinità di legame tra citochina e recettore

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3. un omodimero o un etero dimero di STAT è in grado di riconoscere soltanto certi motivi di sequenza e quindi di interagire solo son i promotori di alcuni geni bersaglio la cui espressione è costituita nel tipo cellulare in questione. Quindi, dato un certo tipo cellulare, solo una frazione di tutti i geni potenzialmente bersaglio di una determinata STAT può essere effettivamente espressa. Per esempio, IL-4 induce l’espressione di geni diversi a seconda che il bersaglio cellulare sia costituito da linfociti T, piuttosto che linfociti B o eosinofili [95].

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4. Chirurgia, anestesia e citochine

4.1. Introduzione

Nel paziente sottoposto a chirurgia e anestesia le funzioni del sistema immunitario sono alterate [96]. Il bilancio dei meccanismi immuno-stimolatori e immuno-soppressori dipende dallo stato di salute precedente all’intervento, dall’estensione e dalla durata della chirurgia, dal menagement anestesiologico, dal trattamento farmacologico e dal livello di ansia del paziente [97].

Partendo dal presupposto che in condizioni fisiologiche le citochine non sono per niente o solo in minima parte rintracciabili nel sangue periferico [98], sono stati effettuati numerosi studi sul bilancio sia di quelle pro-infiammatorie (IL-2, IL-6, IL-12, IFN-γ, TNF-α) che di quelle anti-infiammatorie (IL-10, TGFβ, IL-1ra) in seguito all’intervento chirurgico e all’anestesia, con il fine di comprendere i meccanismi che stanno alla base dell’alterazione della funzione immunitaria.

4.2. Chirurgia e citochine

Molte evidenze dimostrano che lo stress ed il trauma presenti durante un intervento chirurgico possono influire sul sistema di difesa del paziente. Infatti in seguito al danno tissutale che si accompagna alla chirurgia si ha una reazione sistemica con alterazione

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dell’equilibrio tra citochine pro- e anti-infiammatorie [97]. La risposta immunitaria al trauma chirurgico è costituita da una parte da una ben documentata reazione pro-infiammatoria, dall’altra da una evidente immunodepressione postoperatoria, causata soprattutto dalla soppressione dell’immunità cellulo mediata [99].

Reazione pro-infiammatoria

Il trauma chirurgico induce soprattutto un aumento della IL-6 [100] ma anche delle PGE2 [101].

Numerosi autori [75] hanno dimostrato che la IL-6 è un marker sensibile del danno tissutale con picco sierico proporzionale alla grandezza e alla durata del trauma. A riprova di questa evidenza si è osservato il suo aumento dopo interventi chirurgici condotti con tecnica laparotomica mentre non è stato evidenziato nessun cambiamento della sua concentrazione plasmatica dopo interventi effettuati in laparoscopia [102]. Alcuni autori [103] hanno preso in esame non solo le citochine pro-infiammatorie, quali la proteina-C reattiva, la IL-1 e il TNF-α, ma anche anti-infiammatorie (IL-4), e seppure con risultati non sempre univoci il condizionamento della tecnica chirurgica è apparso evidente nel determinare la risposta infiammatoria, confermando le ipotesi già avanzate in precedenza. Altri autori hanno dimostrato ciò, attraverso la presenza di un aumento della IL-6 da sola [104] o in associazione ad un corrispondente aumento delle citochine IL-1α e del TNF-α [105] in risposta a diverse tecniche chirurgiche.

Immunodepressione

Il trauma chirurgico oltre a scatenare una risposta infiammatoria è anche un agente importante nella immunodepressione osservata nel periodo post-operatorio [106]. Ciò è suggerito anche dalle evidenze cliniche in quanto si è osservato un alto tasso di infezioni nei pazienti nel periodo post-operatorio [107]. La immunodepressione in

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questo caso è causata principalmente dalla compromissione nella sintesi di IL-2 e IFN-γ, diretta conseguenza della produzione di PGE2 nella fase acuta dell’infiammazione,

che determina una disfunzione delle cellule T. Infatti l’incapacità di produrre un’adeguata quantità di IL-2 causa una incompleta proliferazione delle cellule T helper in risposta alla stimolazione antigenica mentre la mancanza di IFN-γ determina una alterazione nella presentazione dell’antigene da parte dei monociti oltre che un alterato sviluppo del sottoinsieme TH1 dei linfociti, responsabile dell’immunità cellulo mediata [108]. Quindi possiamo affermare che il principale deficit immunologico dopo il trauma o la chirurgia maggiore è la diminuizione dell’immunità cellulo mediata dovuta ad una inadeguata risposta delle cellule NK e sviluppo dei linfociti TH.

Tra le citochine che hanno proprietà immunosoppressive sono TGF-β, IL-10 e i loro antagonisti naturali come IL-1ra. In particolare il TGF-β svolge questa azione inducendo una ulteriore produzione di PGE2 nei monociti. Inoltre sopprime lo sviluppo

dei linfociti T-helper dipendente da IL-2 e IL-4 e determina una down-regulation dei recettori per la IL-1 presenti sulle cellule T [109].

Recenti studi anestesiologici suggeriscono che attraverso l’infusione di citochine, come IFN-α, IFN-β, IL-2, ci possa essere qualche beneficio sulla attività delle cellule NK [110].

4.3. Anestesia e citochine

I farmaci utilizzati in anestesia e in terapia intensiva possono influenzare il sistema di difesa dell’organismo. Ciò avviene sia indirettamente, modulando la risposta

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