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Forme verbali flesse e non-finite : diacronia e sincronia dell’infinito portoghese

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Academic year: 2021

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1

D

OTTORATO DI

R

ICERCA IN

L

INGUISTICA

S

INCRONICA

,

D

IACRONICA E

A

PPLICATA

XXV

CICLO

Forme verbali flesse e non-finite:

Diacronia  e  sincronia  dell’infinito  portoghese

G

IULIA

B

OSSAGLIA

A.A.

2011/2012

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5 Questa tesi è frutto di un lavoro di ricerca durato quasi tre anni, che ho portato avanti sotto la guida di Edoardo Lombardi Vallauri. Desidero ringraziarlo in primis per l’attenta e sempre sollecita revisione del mio lavoro e per gli stimoli, le riflessioni e la libertà che mi ha dato come direttore di questa ricerca.

Vorrei esprimere la mia gratitudine anche a Esperança Cardeira per essersi interessata al mio lavoro durante il periodo passato presso l’Universidade de Lisboa e per avermi aiutato anche nelle questioni burocratiche con grande pazienza e disponibilità.

Ringrazio i membri del collegio del Dottorato in Linguistica Sincronica, Diacronica e Applicata di Roma Tre, e Donato Cerbasi per l’estrema gentilezza e disponibilità dimostrate nel farmi avere materiale importante per questo lavoro.

Di solito a questo punto si ringraziano amici e parenti scrivendo cose melense e piene di pathos. Mi inserisco quindi in questa usanza sperando di riuscire, nei limiti del possibile, ad evitare la retorica propria del genere.

Ringrazio quindi tutti i miei compagni di venture a Roma Tre: Valentina Piunno per prima, per l’infinita disponibilità, anche “da lontano”. E poi Martina, Laura, Valentina E, Annarita, Sara, Federica, Giulio, ma anche Giorgia e Germana, della vecchia guardia, e Maria, Elina e Gioia tra le nuove leve. Le tante ore passate nel laboratorio-bunker non sono state così difficili proprio grazie a loro, e grazie a loro sono state così piacevoli anche quelle fuori da Roma Tre.

Grazie ad Andrea Viviani, per troppe cose: non c’è spazio per scriverle tutte. Qui gli ringrazio un’estate, e una casa.

Un ringraziamento speciale, e con conseguenza, anche a Luisa Corona, mia motivatrice ufficiale. Anche per i giorni partenopei: un’oasi nel deserto della scrittura matta e disperatissima (ma in fondo non così matta, e di certo non disperatissima).

A Veronica, Ornella e Laura grazie per essere state la mia famiglia romana, nonostante le mie prodezze con citofoni, serrature, ascensori, ossessioni e altre amenità.

Ringrazio Vânia per tutti i pareri “nativi” che mi ha dispensato in varie e lunghe conversazioni di linguistica, pur ritenendole assurde, e Carmine Cassino per il suo aiuto e la sua accoglienza da “quasi-nativo” lisboeta.

Quasi ultime, ma non certo per importanza, voglio ringraziare le mie Baccanti Alessia, Linda, Elisa, Chiara, Alice, Vera, Daniela, per accompagnarmi, supportarmi, ascoltarmi, pensarmi, ormai da tanti anni. La distanza è stata sempre solo fisica, e il loro appoggio sempre fondamentale, anche per portare a termine questa ennesima tesi.

Ringrazio infine la mia famiglia: i miei genitori e i miei fratelli Francesco, Pietro e Giovanni per avermi sempre appoggiato e aiutato in questo percorso di studio e ricerca, al di là del fatto che studiassi cose “incomprensibili” e “strane”; mio nonno Enrico e i miei zii Ferdinando e Paola per l’ospitalità a Roma;; le mie nonne adottive Mimia e Tata, a cui penso sempre anche a chilometri e chilometri di distanza.

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7

A Jorge,

y al lugar que yo me sé

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9 «Non concepisco niente come infinito. Come dovrei concepire qualche cosa come infinito?»

«Supponga uno spazio. Oltre a questo spazio c’è altro spazio, oltre a questo altro ancora, e ancora, ancora... Non finisce...»

«Perché?» disse il mio maestro Caeiro.

«Supponga che finisca» gridai «Che cosa c’è dopo?» «Se finisce, dopo non c’è niente» rispose. [...]

«Senta, Caeiro... Consideri i numeri... Dove finiscono i numeri? Prendiamo un numero qualsiasi — 34, per esempio. Dopo questo abbiamo 35, 36, 37, 38, e così via senza poter fermarsi. Non esiste un numero grande senza che esista un numero maggiore...»

«Ma questo sono solo numeri» protestò il mio maestro Caeiro.

E poi aggiunse, guardandomi con un’infanzia formidabile: «Che cos’è il 34 nella realtà?»

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INDICE

Indice delle abbreviazioni...17

Abstract...19

Resumo...25

Prima  Introduzione:  L’infinito  flesso portoghese. Presupposti teorici...31

1.  L’infinito  nel  continuum Nome-Verbo...32

1.1. Le categorie lessicali N e V: criteri definitori...32

1.1.1. Il criterio morfologico...33 1.1.2. Il criterio semantico...34 1.1.3. Il criterio sintattico...35 1.1.4. Il criterio funzionale...37 2.  L’infinito  come  [+N]...43 2.1. Nominalizzazione e infinito...43 2.1.1. Struttura argomentale...44

2.1.2. Struttura eventiva e aspettualità...47

2.2.  La  nominalizzazione  dell’infinito  nel  discorso...49

3.  L’infinito  come  [+V]...50

3.1.  Il  concetto  di  finitezza  e  l’infinito  verbale...51

Seconda  Introduzione:  L’infinito  flesso  portoghese.  Morfologia  e  contesti   d’uso...59

1.  Morfologia  dell’infinito flesso...59

2.  Contesti  d’uso  dell’infinito  flesso  portoghese...61

2. 1. Usi non preposizionali  dell’infinito...61

2.1.1.Proposizioni completive...61

2.1.1.1. Proposizioni soggettive...61

2.1.1.2. Proposizioni oggettive...62

2.1.1.3. Costruzioni causative...65

2.  2.  Usi  preposizionali  dell’infinito...66

2.2.1. Infinito come complemento di nomi e aggettivi...66

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3. Infinito nominalizzato...68

4.  Contesti  in  cui  non  può  essere  utilizzato  l’infinito flesso...70

4.1. Costruzioni con ausiliari modali e aspettuali...70

4.2.  Interrogative  indirette  all’infinito  e  relative  senza  antecedente espresso...71

5. Struttura del lavoro...71

Capitolo  1:  Le  origini  dell’infinito  flesso  portoghese...75

1. Premesse metodologiche...75 1.1. Portoghese antico...75 1.2. I corpora...76 2.  Stato  dell’arte...78 2.1. Il filone “creativo”...79 2.1.1. Friedrich Diez (1876)...79

2.1.2. Richard Otto (1888) e Carolina Michaëlis de Vasconcellos (1891)...80

2.1.3. Theodoro H. Maurer (1968)...81

2.1.4. John W. Martin (1972)...82

2.2. Il filone del congiuntivo imperfetto latino: il congiuntivo imperfetto dal latino alle lingue romanze...86

2.2.1. Ernst Gamillscheg (1913) e José M. Rodrigues (1914, 1932)...89

2.2.2. Carolina Michaëlis (1919)...91

2.2.3. Harri Meier (1950b)...95

2.2.4. Kenneth J. Wireback (1994)...96

3.  Verso  una  “Teoria  mista”...97

3.1. Strategie di complementazione e subordinazione dal latino alle lingue romanze...98

3.1.1. Complementazione: AcI e completive con ut + congiuntivo...98

3.1.2.  Alcune  riflessioni  sulla  predicibilità  dell’impiego  dell’infinito:  infinito   prolativo e contesti future-oriented...102

3.1.3. Complementazione con infinito preposizionale...107

3.2. Subordinazione avverbiale con infinito preposizionale...118

3.2.1. Para/pera/pora, per/por...119

3.2.2. Sem...121

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13

3.2.4. A, de, em, com...123

3.2.5. Até...128

3.2.6. A menos de, a fim de, em logar de, além de...129

3.3.  Quadro  riassuntivo  degli  usi  dell’IF  nel  portoghese  antico...134

4. Conclusioni: quali origini per  l’IF  portoghese...136

Capitolo  2:  L’alternanza  di  infinito  semplice  e  infinito  flesso  nelle  costruzioni   causative e percettive del portoghese moderno...145

1. Premesse...146

1.1. Le costruzioni causative: proprietà...146

1.2. Correlati semantici della causatività...148

1.2.1.Tipi semantici...148

1.2.2. I partecipanti  dell’evento  causativo...150

1.2.3. Forza causativa...153

1.3. Iconicità diagrammatica...155

1.3.1. Clause linkage e il continuum coordinazione-subordinazione...156

2. Infinitive introdotte da verbi percettivi...164

2.1. Percezione: proprietà...164

2.1.2. Percezione: tipi semantici...165

2.1.3. I partecipanti...167

2.1.4. Costruzioni percettive e clause linkage...168

3. Infinito flesso e infinito semplice nelle costruzioni causative e percettive del portoghese moderno...173

3.1. Premesse metodologiche: il corpus utilizzato...173

3.2. Infinito flesso e infinito semplice nelle CC: premesse...174

3.2.1. CC nelle lingue romanze in diacronia: il  caso  “anomalo”  del  portoghese...174

3.2.2. Le costruzioni causative del portoghese moderno...180

3.2.2.1. IF nelle CC in diacronia...180

3.2.2.2. Tipi di CC in portoghese moderno...183

3.3. Le costruzioni percettive in portoghese moderno e nelle lingue romanze...185

3.3.1. IF nelle CP in diacronia...185

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14

4. Costruzioni causative e percettive con IS/IF nel corpus CETEMPúblico...188

4.1.  CC/CP  con  struttura  “fare-INF” o SRS (1-2-4-3)...189

4.2. CC/CP con IF e IS: il tipo a IF e il tipo ECM...203

4.2.1. CP con gerundio e infinito gerundivo...212

4.3. CC e CP con infinito nominalizzato...217

5. Conclusioni...224

Capitolo 3: Infinito flesso e gerundio flesso in un corpus di portoghese parlato...227

1. Il corpus...227

2.  L’infinito  flesso  nel  portoghese  dialettale:  analisi  dei  dati...229

2.1. IF nel portoghese dialettale: deviazioni dalla norma linguistica...231

2.2.  L’IF  nel  portoghese  dialettale:  usi  allineati  alla  norma  linguistica...235

2.2.1. Costruzioni causative in CORDIAL-SIN...235

2.2.1.2. CC di tipo SRS...236

2.2.1.3. CC di tipo ECM e a IF...239

2.2.2. Costruzioni percettive in CORDIAL-SIN...240

2.2.2.1. CP con struttura SRS...241

2.2.2.2. CP di tipo ECM, a IF e con InfGer...241

3. Il gerundio nel portoghese standard: distribuzione sintattica...243

4. Gerundio semplice e gerundio flesso nel portoghese dialettale...249

4.1. Gerundio flesso: morfologia e distribuzione geografica...249

4.2. GS e GF nel portoghese dialettale...252

4.2.1. Distribuzione sintattica del GS nel portoghese dialettale...252

4.2.2. Distribuzione sintattica del GF nel portoghese dialettale...260

5. Conclusioni...263

Conclusioni generali...265

Bibliografia...273 Volume II: APPENDICI

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(17)

17

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI

Di seguito le abbreviazioni utilizzate e, tra parentesi, l’indicazione   della   pagina   in   cui   vengono impiegate per la prima volta.

A: aggettivo (247) INF: infinito (92)

ACC: accusativo (60) InfGer: infinito gerundivo (212) AcI: Accusativus cum Infinitivo (98) IPrep: infinito preposizionale (107)

AGENT: agentivo (151) IS: infinito semplice (32)

ASP: specificazione aspettuale (221) N: nome (31) AVV: subordinata avverbiale (139) NEG: negazione (60) CC: costruzione causativa (146) NOM: nominativo (60)

CdP: Corpus do Português (76) OGG: proposizione oggettiva (116) CIPM: Corpus Informatizado do Português

Medieval (76)

PREP: preposizione (107)

CLIT: pronome clitico (181) PASS: passivo (107) COMP N, A: (inf.) completivo di nomi e aggettivi

(116)

PR: presente (107)

CONG: congiuntivo (83) S1:soggetto frase principale (63) CP: costruzione percettiva (165) S2: soggetto frase dipendente (63)

DAT: dativo (147) SOGG: proposizione soggettiva (116)

ECM: Exceptional Case Marking (184) ESORT: (infinito) con valore

esortativo/imperativo (119)

SRS: Standard Romance Solution = fare-INF (174)

SUP: supino (107) FIN: congiunzione con valore finale (107)

FUT: futuro (83)

SVO: ordine Soggetto-Verbo-Oggetto (206) V: verbo (31)

GERUND: gerundivo (107) VCAUS: verbo causativo (177) GS: gerundio semplice (243) VINF: infinito di CC o CP (177) GF: gerundio flesso (227) VPERC: verbo percettivo (177) IF: infinito flesso (31)

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19 ABSTRACT

Inflected non-finite verb forms:

The diachrony and synchrony of Portuguese inflected infinitive

In this work the Portuguese inflected infinitive is analysed according to both a diachronic and a synchronic approach, the dissertation being then divided into two corresponding main sections: in the first (Chapter 1) the origin of Portuguese inflected infinitive is investigated within the transition from Late Latin to Romance languages and, mainly, Old Portuguese; in the second (Chapters 2-3) some issues regarding the inflected/non-inflected infinitive alternance in contemporary Portuguese are examined, with an additional survey on another non-finite inflected verb form existing in dialectal Portuguese, the inflected gerund.

A corpus-based approach was chosen for every issue examined. The Corpus do Português (Davies & Ferreira, 2006) and the Corpus Informatizado do Português Medieval were used for the first section, and the CETEMPúblico and the CORDIAL-SIN corpora for the second.

Although resulting from different approaches, the two main sections are not completely independent units, rather forming two complementary parts of an extensive investigation on Portuguese infinitive, diversely contributing to shed light on some interesting and not yet solved or explored issues about it.

1st Introduction: Portuguese inflected infinitive. Theoretical framework

The first introduction provides the theoretical framework for the subsequent analysis, namely an overview on the position of the infinitive within the so called Noun-Verb continuum (see Ross 1972, Hagège 1984, Hopper & Thompson 1985, Sasse 2001 among others).

Noun-like and verb-like features of infinitives are referred with special reference to Romance languages, and more specifically:

- the argument and eventive/aspectual structures of nominalized infinitives and their function within discourse (Hopper & Thompson 1984, Grimshaw 1990, Koptjevskaya-Tamm 1993, Simone 2004, Comrie & Thompson 2007);

- the verbal function of infinitives within subordination and the related concept of finiteness (Halliday 1985, Vincent 1988, Dik 1997, Givón 2001 [1984], Anderson 2001 and 2007).

2nd Introduction: Portuguese inflected Infinitive. Morphology and contexts of use

In order to supply an introductory overview of Portuguese inflected infinitive a detailed synopsis of its morphology and contexts of use is provided. In this latter respect, a distinction is made between prepositional and non-prepositional uses of inflected and inflected infinitive, and a first, grammar-based discrimination of mandatory non-inflected infinitive contexts and optional non-inflected/non-non-inflected infinitive contexts is given.

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Chapter 1: The origins of Portuguese inflected infinitive

The diachronic investigation on Portuguese inflected infinitive is concentrated in this chapter, focusing on the still debated issue of the origin of this peculiar verb form.

A foreword is given on the period of time considered (Old Portuguese: 13-16th centuries) and on the two corpora used (Corpus Informatizado do Português Medieval for 13-14th centuries texts and Corpus do Português for 14-16th centuries texts).

Then the state of the art in the studies on the origin of Portuguese inflected infinitive is presented, distinguishing two main theoretical  strands:  the  “creative”  one,  to   which we can ascribe different theories that consider the inflected infinitive an internal creation   of   the   Portuguese   linguistic   system,   and   the   “imperfect   subjunctive”   strand,   namely those theories that find the inflected   infinitive’s   precursor   in   Latin   imperfect   subjunctive.

Diez (1876), Otto (1888), Michaëlis (1891), Maurer (1968) and Martin (1972) are mentioned   for   the   “creative”   approach;;   Gamillscheg   (1913),   Rodrigues   (1912,   1932),   Michaëlis (1919), Meier (1950b) and   Wireback   (1994)   for   the   “imperfect   subjunctive”   approach. Merits and inconsistencies are pointed out for both sides, also on the basis of the analyzed data. Specifically, the criticism goes against the inflexibility of some theories in discarding the interaction of multiple linguistic factors for the genesis of inflected infinitive, focusing only on one parameter.

Actually,  this  dissertation’s  new  approach  to  the  question  at  issue  comes  from  the   consideration of several, intertwined linguistic facts which previous accounts might have already noticed, but not adequately taken into account. In this sense the proposed approach  goes  towards  a  “mixed”  theory,  considering  the  interplay  of  several  parameters   related to the genesis of the inflected infinitive.

Before analysing the data concerning Old Portuguese, an account of infinitival structures in the transition from Late Latin to Romance languages is presented, showing the structures in which the use of infinitive expanded at the expense of other nominal verb forms used in Latin. Two main syntactic contexts are found to be relevant for this study, i.e. complementation and subordination patterns involving infinitive. In this respect, an important distinction is made between prepositional and non-prepositional (or rather A.c.I.) uses of infinitive.

Through the data analysis the uses of inflected and non-inflected infinitives in Old Portuguese are sketched, describing their development along the considered centuries in terms of inflected/non-inflected form alternance and frequency of each pattern in the corpus. In this way, the relevant locus and the periodization of inflected infinitive use are found, considering the expansion at the expense of non-inflected forms as well. Several examples are presented and summarizing  diagrams  are  provided  for  clearness’  sake.  

A proposal for a new interpretation of the genesis of the Portuguese inflected infinitive resulted from the organization of the numerous linguistic facts already described within other theories, now considered in the light of what emerged by our data analysis.

Specifically, the relevant loci for the genesis of the inflected infinitives were found in prepositional phrases (depending from nouns and adjectives) and clauses

(21)

21 (infinitival adverbial clauses): the fact that these syntactically less integrated contexts licensed the genesis of an inflected infinitive form will turn out to be relevant in light of the synchronic analysis carried out in Chapter 2.

Chapter 2: Inflected and non-inflected infinitive alternance in causative and perception constructions of contemporary Portuguese

Like in other Romance languages, causative and perception constructions of contemporary Portuguese show structural similarities. These constructions also represent two syntactic contexts in which the choice between inflected and non-inflected infinitive is fairly optional: in this chapter a corpus-based survey is made aiming to find a ratio governing the inflected/non-inflected infinitive alternance.

The first two sections of the chapter are concerned with the two notions of causation and perception, respectively, and with the main theoretical orientations about these concepts. Some relevant syntactic, semantic and pragmatic correlates that are thought to be relevant for this survey are then illustrated in detail: structural parallelisms and differences between causative and perception constructions in what concerns event structure and participants, iconicity, and syntactic correlates referring to the notion of clause linkage (Lehmann 1988) are shown. The main concept outlined is the different degree of semantic integration (Givón 1980, 1985 and 2001 [1984], Lehmann 1988) existing between the two clauses composing causative and perception constructions, respectively, and related syntactic consequences. In the first, a high degree of semantic integration is detectable, while the second show a nearly zero degree of integration (the co-temporality constraint being the only relevant parameter for direct perception, see Dik & Hengeveld 1991, Felser 1999, Cristofaro 2003).

In the third section, the causative and perception constructions of contemporary Portuguese are presented, also providing information about their diachronic development from Latin and in comparison with most Romance languages.

After a brief presentation of the CETEMPúblico corpus, the methodological choice (based also on frequency in the corpus) of causative and perception verbs is explained: the causative fazer “to  make”,  deixar “to  let”, mandar “to  make”, permitir “to allow”, obrigar “to   force”, impedir “to   prevent”   represent   different   degrees   of   the   so-called   “causative   force”   (Simone   &   Cerbasi   2001),   while   ver “to   see”,   ouvir “to   hear”,   sentir “to   feel”,   olhar “to   look”,   observar “to   observe”,   escutar “to   listen”   stand as examples of both agentive and non-agentive perception verbs. In this way, a wider range of pragmatic and semantic correlates of causative and perception constructions is investigated.

A grammar-based account of the different types of causative and perception constructions is then outlined before illustrating the results of the corpus-based study in the subsequent section, where the complete set of causative and perception constructions found in the corpus is illustrated in detail, distinguishing between structures with obligatory/optional non-inflected infinitive, iconic/non-iconic patterns, cliticized/non-cliticized causee (or perceived). A survey is made also on gerundial infinitive (i.e. a “to”   + infinitive) perception constructions, another context in which the analysis of inflected/non-inflected infinitive alternance is relevant.

(22)

22

The theoretical basis of the analysis is found in the concept of semantic integration, which turned out to be a significant factor governing the use of inflected infinitive in the contexts at issue. Given different degrees of this semantic and pragmatic parameter, a continuum of semantic integration is built, where all the patterns found in the corpus are organized.

In this way, a parallel continuum has also been built, regarding the degree of verbality/finiteness of the infinitive used in each pattern analysed, starting from the nominalized infinitive (non-inflected, lesser degree of verbality/finiteness, greater degree of semantic integration) up to the gerundial infinitive (inflected, greater degree of verbality/finiteness, lesser degree of semantic integration).

A   small   but   interesting   sample   of   apparently   not   fitting   data   (“irregular”   use   of   inflected infinitives in highly integrated structures) is also illustrated and analysed, trying to give a first interpretation in view of further investigation.

With this corpus-based study of inflected/non-inflected infinitive in causative and perception constructions, some light is shed on their alternance and a ratio governing the use of infinitive in these contexts can be found. Remarkably, the parameter of semantic integration had already appeared to be pertinent in the diachronic survey on inflected infinitive genesis in Chapter 1: the loci in which this peculiar verb form originated across the history of Old Portuguese were actually less integrated dependent contexts.

Moreover, some points are made against a mere grammar-based approach: some patterns available in grammars have turned out to be nearly unrepresented in the corpus while some others have been found which grammars would not allow.

Chapter 3: Inflected infinitive and inflected gerund in a spoken Portuguese corpus

In the last chapter the analysis of inflected infinitive is conducted within a further linguistic dimension, namely the spoken diatopic varieties of Portuguese starting from the texts provided by the CORDIAL-SIN corpus. Although its small size (about 600,000 words, in opposition to the 190,000,000 words size of CETEMPúblico) this corpus supplied an interesting sample for investigation due to the diastratic, diaphasic and diamesic dimensions represented in the data. In addition, in some diatopic varieties of European Portuguese another inflected nominal form of the verb exists, the inflected gerund. A survey on it provided a consistent integration of the analysis hitherto conducted.

After the first section presenting the corpus, the second concerns the corpus-based overview on dialectal Portuguese uses of inflected infinitive, distinguishing between those which are and those which are not aligned with the standard.

A more detailed analysis is made, then, of causative and perception constructions, aiming to verify in a different linguistic dimension the parameters found in the previous chapter for the inflected/non-inflected infinitive alternance in the same constructions of standard Portuguese.

The study of inflected/non-inflected gerund is illustrated in the following two sections, concerning respectively the syntactic distribution of gerund in standard Portuguese and of inflected and non-inflected gerund in the diatopic varieties.

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23 At the end of the survey the relevant parameters for the analysis of inflected nominal verb forms individuated in the previous chapters are consistently confirmed.

General conclusions

At the end of such a diversified investigation a general and unifying summary of the work is drawn, concerning the two main notions which represent the leading thread of the investigation in all the different focused topics and adopted perspectives, that is semantic integration and finiteness.

Through these two concepts, all the generalizations and outcomes of the dissertation are organized, showing their complementarity for a broader approach to the study of Portuguese inflected infinitive and, in a more general way, to nominal forms of the verb which can show inflection.

An analysis on other varieties of Portuguese, namely the Brazilian one, is pointed at as an interesting matter for future research.

Appendices

Quantitatively significant samples of data which could not be presented throughout the chapters are organized in three Appendices. In the Appendix to Chapter 1 the list of texts included in the Corpus do Português is also provided.

(24)
(25)

25 RESUMO

Formas verbais flexionadas e não-finitas:

Diacronia e Sincronia do Infinitivo Flexionado Português

Com este trabalho analisou-se o infinitivo flexionado português segundo as duas perspectivas diacrónica e sincrónica, às quais correspondem duas macro-secções da dissertação, respectivamente: a primeira (Capítulo 1), onde a origem do infinitivo flexionado português é investigada no âmbito da transição desde o Latim Vulgar até as línguas românicas e, principalmente, o Português Antigo; a segunda (Capítulos 2 e 3), onde são examinados alguns aspectos da alternância entre infinitivo flexionado e não flexionado, e é analisada ainda outra forma verbal não finita que em Português pode apresentar flexão, isto é o gerúndio flexionado, presente só em algumas variedades diatópicas do Português contemporâneo.

A abordagem escolhida para todos os tópicos estudados foi de tipo corpus-based: quatro diferentes corpora foram utilizados, nomeadamente o Corpus Informatizado do Português Medieval e o Corpus do Português para a investigação diacrónica, e o CETEMPúblico e o CORDIAL-SIN para a sincrónica.

Embora resultantes de perspectivas diferentes, as duas macro-secções não são completamente independentes, mas representam duas partes complementares de um estudo abrangente sobre o infinitivo flexionado português, e contribuem de forma diferente ao esclarecimento de alguns aspectos de tal forma verbal que ainda não estão resolvidos ou explorados.

1ª Introdução: Infinitivo flexionado português. Quadro teórico

Na primeira introdução é apresentado o quadro teórico de referência para este estudo, isto é uma panorâmica sobre a posição do infinitivo no chamado continuum Nome-Verbo (Ross 1972, Hagège 1984, Hopper & Thompson 1985, Sasse 2001 entre outros).

As propriedades nominais e verbais do infinitivo são ilustradas com referência às principais línguas românicas, nomeadamente:

- as estruturas argumental e eventiva/aspectual do infinitivo nominalizado, e a sua função dentro do discurso (Hopper & Thompson 1984, Grimshaw 1990, Koptjevskaya-Tamm 1993, Simone 2004, Comrie & Thompson 2007);

- a função verbal do infinitivo em contextos de subordinação, e o relacionado conceito de finitude (Halliday 1985, Vincent 1988, Dik 1997, Givón 2001 [1984], Anderson 2001 and 2007).

2ª Introdução: Infinitivo flexionado português. Morfologia e contextos de uso

Esta segunda introdução fornece um quadro preliminar sobre o infinitivo flexionado português, através de uma detalhada sinopse sobre a sua morfologia e os seus contextos de uso. Com relação a este último ponto, distingue-se entre usos preposicionados e não preposicionados dos infinitivos flexionado e não flexionado, e dá-se uma primeira classificação com base nas gramáticas distinguindo os contextos de infinitivo não

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26

flexionado obrigatório dos contextos de uso opcional entre infinitivo flexionado e não flexionado.

Capítulo 1: As origens do infinitivo flexionado português

A análise diacrónica sobre o infinitivo flexionado Português, nomeadamente sobre a ainda debatida questão da sua origem, desenvolve-se neste primeiro capítulo.

Em via preliminar, estabelece-se o período da história do Português considerado (Português Antigo: séculos XIII-XVI) e apresentam-se os dois corpora utilizados (Corpus Informatizado do Português Medieval para os textos dos séculos XIII e XIV, Corpus do Português para os dos séculos XIV-XVI).

Passa-se em seguida à ilustração do estado da arte dos estudos sobre a origem do infinitivo flexionado português, descrevendo as duas principais correntes teóricas: a corrente  “criativa”,  à  qual  podemos  atribuir  diferentes  teorias que consideram o infinitivo flexionado  como   uma  criação  interna  ao  sistema  linguístico  português,  e  a  corrente  “do   imperfeito  do  subjuntivo”,  isto  é  aquelas  teorias  que  individuam  o  precursor  do  infinitivo   flexionado no imperfeito do subjuntivo latim.

Os estudos de Diez (1876), Otto (1888), Michaëlis (1891), Maurer (1968) e Martin (1972) são mencionados para a corrente “criativa”; os de Gamillscheg (1913), Rodrigues (1912, 1932), Michaëlis (1919), Meier (1950b) e Wireback (1994) para a “do imperfeito do subjuntivo”. Em ambos os filões teóricos são evidenciados méritos e incongruências, com base também nos dados analisados. Especificamente, as críticas apontam para a inflexibilidade de algumas teorias em descartarem a interacção de multíplices factores na génese do infinitivo flexionado, focalizando-se aliás só num parâmetro.

Com efeito, a novidade na nossa abordagem à questão consta da consideração de vários e entrelaçados factores linguísticos que as teorias anteriores podem já ter notado, mas não adequadamente considerado. Neste sentido, a nossa proposta vai em direcção de uma  teoria  “mista”,  que  considera  a  interacção  de  vários  parâmetros  relacionados com a origem do infinitivo flexionado.

Antes da análise dos dados obtidos para o Português Antigo, traça-se um quadro das estruturas infinitivas na transição do Latim Vulgar às línguas românicas, mostrando aquelas nas quais o uso do infinitivo se expandiu às expensas de outras formas nominais do verbo que eram preferidas no Latim. Dois principais contextos sintácticos revelaram-se esrevelaram-senciais para este estudo, isto é as estruturas de complementação e subordinação infinitiva. A este respeito foi relevante, também, a distinção entre usos preposicionados e não preposicionados (A.c.I.) do infinitivo.

Através da análise dos dados, os usos do infinitivo flexionado e não flexionado em Português Antigo são delineados, descrevendo o desenvolvimento das duas formas ao longo do período de tempo considerado, em termos de alternância das formas flexionada/não flexionada e de frequência de cada construção no corpus. Desta forma foi possível individuar os loci relevantes para a génese do infinitivo flexionado e também a periodização dos seus usos, considerando também a sua expansão às expensas do não flexionado. Por razões de clareza, vários exemplos são fornecidos e também são apresentados diagramas recapitulativos.

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27 A partir da organização dos multíplices factores linguísticos já descritos por outros autores, agora considerados à luz da análise dos dados, resultou esta proposta para uma nova interpretação da génese do infinitivo flexionado português.

Nomeadamente, os loci relevantes para a origem do infinitivo flexionado foram identificados em contextos de infinitivo preposicionado, isto é (i) em dependência de nomes ou adjectivos, e (ii) em subordinadas com valor adverbial introduzidas por preposições: o facto de estes contextos dependentes menos integrados do ponto de vista sintáctico terem permitido a génese de uma forma flexionada de infinitivo revelar-se-á importante também à luz da análise sincrónica apresentada no Capítulo 2.

Capítulo 2: A alternância dos infinitivos flexionado e não-flexionado nas construções causativas e perceptivas do Português contemporâneo

Como em outras línguas românicas, as construções causativas e perceptivas do Português contemporâneo apresentam semelhanças estruturais. Estas construções representam também dois contextos sintácticos onde a escolha entre infinitivo flexionado e não flexionado é opcional em Português: neste capítulo apresenta-se um estudo baseado em corpora que visa à identificação de uma ratio que controle a alternância das duas formas de infinitivo.

Nas primeiras duas secções do capítulo são definidas as noções de causatividade e de percepção em relação às principais orientações teoréticas a este respeito. Alguns correlatos sintácticos, semânticos e pragmáticos considerados relevantes para este estudo são também ilustrados detalhadamente: são mostrados paralelismos estruturais e diferenças entre construções causativas e perceptivas no que diz respeito a (i) estrutura cognitiva dos dois eventos, (ii) iconicidade, e (iii) correlatos sintácticos com referência ao conceito de clause linkage (Lehmann 1988). A noção fundamental que é destacada é o grau de integração semântica (semantic integration: Givón 1980, 1985 and 2001 [1984], Lehmann 1988) que existe entre as duas orações que compõem as construções causativas e perceptivas, respectivamente, e as relacionadas consequências a nível sintáctico. Se nas primeiras é possível detectar um elevado grau de integração semântica, as segundas apresentam um grau quase nulo de integração (a co-temporalidade sendo o único parâmetro relevante para a percepção directa: Dik & Hengeveld 1991, Felser 1999, Cristofaro 2003).

Na terceira secção, as construções causativas e perceptivas do Português contemporâneo são apresentadas, após ter delineado também o seu desenvolvimento diacrónico na transição do Latim e em comparação com as principais línguas românicas.

Depois de uma breve apresentação do corpus utilizado, o CETEMPúblico, explica-se a escolha metodológica dos verbos causativos e perceptivos analisados (baseada também na frequência dentro do corpus): os causativos fazer, deixar, mandar, permitir, obrigar, impedir representam diferentes graus da   chamada   “força   causativa”   (Simone & Cerbasi 2001), enquanto os verbos ver, ouvir, sentir, olhar, observar, escutar são exemplos de perceptivos agentivos e não-agentivos. Desta forma, foi considerada uma gama mais variada de correlatos pragmáticos e semânticos das construções causativas e perceptivas.

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Uma ilustração, baseada nas gramáticas, dos diferentes tipos de construções causativas e perceptivas é esboçada antes de apresentar os resultados da análise dos dados na secção sucessiva, onde se mostra detalhadamente o conjunto completo das estruturas causativas e perceptivas extraídas do corpus, distinguindo entre (i) as que requerem obrigatória ou opcionalmente o infinitivo não flexionado, (ii) estruturas icónicas e não icónicas, (iii) construções com causee/perceived cliticizado ou lexical. As estruturas perceptivas com infinitivo gerundivo são analisadas também, porque representam um contexto mais onde a análise da alternância entre as formas flexionada e não flexionada do infinitivo é relevante.

O fundamento teorético da análise coincide com a referida noção de integração semântica, que se revelou um factor significativo em determinar o uso do infinitivo flexionado nos contextos em questão. A partir dos diferentes graus deste parâmetro semântico e pragmático, foi construído um continuum de integração semântica, onde foram colocados e organizados todos os tipos de construções causativa e perceptiva encontrados no corpus.

Desta forma, construiu-se também outro continuum, paralelo ao referido, com respeito ao grau de verbalidade/finitude do infinitivo utilizado em cada tipo de construção, desde o infinitivo nominalizado (não flexionado, menor grau de verbalidade/finitude, maior grau de integração semântica) até o infinitivo gerundivo (flexionado, maior grau de verbalidade/finitude, menor grau de integração semântica).

Um restrito, mas interessante, conjunto de dados aparentemente não alinhados (que apresentam um uso   “irregular”   do   infinitivo   flexionado   em   estruturas   fortemente   integradas) é ilustrado e analisado, propondo uma primeira interpretação que abre o caminho para uma mais aprofundada investigação a vir.

Com este estudo baseado em corpora foram esclarecidos alguns aspectos da alternância entre infinitivo flexionado e não flexionado nos contextos considerados, e pôde-se identificar também uma ratio que a governa. Curiosamente, o parâmetro da integração semântica já se tinha configurado como relevante no estudo diacrónico sobre a origem do infinitivo flexionado no Capítulo 1: os loci onde esta peculiar forma verbal apareceu ao longo da história do Português Antigo eram com efeito contextos dependentes com um baixo nível de integração.

Além disso, os resultados mostraram também a inconsistência de uma abordagem meramente baseada em gramáticas: algumas estruturas incluídas nas gramáticas revelaram-se quase inexistentes no corpus, enquanto foram encontradas outras, que as gramáticas não admitiriam.

Capítulo 3: Infinitivo flexionado e gerúndio flexionado em um corpus de Português falado

No último capítulo apresenta-se a análise do infinitivo flexionado em uma ulterior dimensão linguística, isto é as variedades diatópicas faladas do Português, a partir dos textos disponibilizados pelo corpus CORDIAL-SIN. Apesar das suas dimensões limitadas (cerca de 600.000 palavras, contra as 190.000.000 do CETEMPúblico), este corpus configurou-se como um âmbito interessante para a investigação, devido às dimensões diastrática, diafásica e diamésica representadas nos dados. Além disso, em algumas

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29 variedades diatópicas do Português Europeu existe também outra forma nominal do verbo que apresenta flexão, isto é o gerúndio flexionado, cuja análise se revelou uma integração coerente da investigação até então realizada.

Depois da primeira secção onde se apresenta o corpus utilizado, na segunda ilustram-se os resultados da análise dos usos do infinitivo flexionado no Português dialectal, distinguindo entre os que se conformam e os que não à língua padrão.

Uma análise mais detalhada das construções causativas e perceptivas é acrescentada, pretendendo verificar dentro de uma diferente dimensão linguística os parâmetros individuados no capítulo precedente para a alternância entre infinitivo flexionado e não flexionado nos mesmos contextos.

Nas duas secções sucessivas apresenta-se o estudo sobre o gerúndio flexionado e não flexionado, nomeadamente: a distribuição sintáctica do gerúndio no Português padrão na primeira, e a do gerúndio flexionado e não flexionado nas variedades diatópicas.

Esta parte da investigação resultou em uma confirmação dos parâmetros individuados nos capítulos precedentes para a análise das formas nominais do verbo que apresentam flexão.

Conclusões gerais

Como conclusão desta diversificada investigação apresenta-se uma síntese geral e unificadora da dissertação, com respeito às duas noções fundamentais que representam o fio condutor deste trabalho em relação a todos os diferentes aspectos analisados e às perspectivas adoptadas, isto é os conceitos de integração semântica e finitude.

Através destes dois conceitos, todas as generalizações e todos os resultados da investigação são organizados, mostrando a sua complementaridade para uma abordagem mais abrangente ao estudo (i) do infinitivo flexionado português e, de forma mais geral, (ii) das formas nominais do verbo que podem adquirir flexão.

Uma análise de outras variedades do Português, nomeadamente o Português Brasileiro, é finalmente apontada como interessante prossecução para futuras investigações.

Apêndices

Amostras de dados quantitativamente mais significativas do que as que puderam ser incluídas nos vários capítulos são organizadas em três Apêndices. No Apêndice ao Capítulo 1 fornece-se também a lista de textos incluídos no Corpus do Português.

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Prima Introduzione

L’INFINITO  FLESSO  PORTOGHESE

Presupposti teorici

Questo lavoro si propone di descrivere sotto  diversi  aspetti  l’infinitivo pessoal “infinito   personale”   o   anche,   più   propriamente,   infinitivo flexionado “infinito   flesso”   (d’ora   in   avanti, IF) portoghese: si tratta di un infinito dotato di marche di accordo morfologico con il soggetto, ovvero di una forma non-finita del verbo caratterizzata da un tratto che è tipico delle forme finite.

Nelle   lingue   romanze   l’infinito   è   già,   di   per   sé,   un   modo   “ibrido”   tra   le   due   categorie lessicali Nome (N) e Verbo (V): da un lato, infatti, è una delle cosiddette forme nominali del   verbo,   insieme   al   gerundio   e   al   participio,   ma,   dall’altro,   può   essere   impiegato con funzione verbale.1

All’interno   del   gruppo   romanzo,   l’italiano,   il   francese   e   lo   spagnolo possiedono un’unica  forma  di  infinito  con  duplice  funzione  di  N  (v.  [1])  e  di  V  ([2]):2

[1] it. Era un bisbiglio, uno strepito, un picchiare e un aprir d’usci...  

fr. Tandis que nous étions occupés du vivre et du mourir.

Mentre noi eravamo occupati con il vivere e con il morire... sp. La vida desta corte no es vivir, sino un continuo morir.

La vida di questa corte non è vivere, bensì un continuo morire.

[2] it. Mario andò al parco per passeggiare.

fr. Le frigidaire tomber en panne, on aurait  vraiment  l’air  fin.

Se il frigo si guastasse (= il frigo guastarsi), saremmo davvero sfortunati. sp. Antes de instalarte tú en casa, no discutíamos tanto.

Prima che ti installassi tu in casa (= prima di installarti tu in casa), non discutevamo così tanto.

Il rumeno e il portoghese, invece, possiedono due forme morfologicamente distinte di infinito, che si differenziano per funzione nominale o verbale.

Il   rumeno   ha   sviluppato   soprattutto   un   infinito   nominale,   noto   come   “infinito   lungo”,   formato   tramite   l’aggiunta   del   suffisso   –re: intrare è la forma che indica

1 Si  rimanda  al  lavoro  di  Cerbasi  (2006)  per  uno  studio  sull’infinito  verbale  nelle  principali  lingue  romanze   con uno sguardo alla diacronia nel passaggio dal latino al romanzo.

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“l’entrare”   (N);;   l’infinito   “corto”,   invece,   non   presenta   tale   suffisso   ed   è   sempre   introdotto dalla preposizione a: a intra rappresenta  quindi  l’infinito  verbale  in  rumeno,  il   cui impiego è assai ristretto in quanto sostituito dal modo congiuntivo nella quasi totalità dei casi (cfr. Cerbasi 2006: 33).

Il portoghese, al contrario, ha sviluppato una forma di infinito verbale, rappresentata  appunto  dall’IF,  come  si  mostra  in  [3]  (da  Cerbasi 2006: 32):

[3] pt. Ao saírem, apaguem a luz.

Quando  uscite  (=  nell’uscire  voi),  spegnete  la  luce.

In   [3]   l’IF   (sair “uscire”+   -em desinenza di 3a persona plurale)3 viene utilizzato come predicato della subordinata temporale, mostrando così la sua funzione chiaramente verbale. La forma utilizzata come N è invece quella semplice, non flessa, che corrisponde al tipo di infinito proprio anche  dell’italiano, del francese e dello spagnolo (cfr. [1]).

Alla distinzione morfologica che esiste tra i due tipi di infinito del portoghese non corrisponde una così netta distinzione dal punto di vista funzionale, in quanto sia l’infinito   semplice   (IS)   che   l’IF   possono   avere   funzione   verbale,   e   inoltre   esistono   una   serie di contesti sintattici in cui possono essere  impiegati  sia  l’IS  che  l’IF.4

In questo lavoro mostreremo appunto in che modo nel portoghese IF e IS si collochino tra le due categorie di N e di V nei vari contesti sintattici in cui vengono utilizzati. Si rende necessario, però, fare alcune premesse di ordine teorico su tali categorie lessicali.

1.  L’infinito  nel  continuum Nome-Verbo

1.1. Le categorie lessicali N e V: criteri definitori

Una conseguenza dello sviluppo degli studi tipologici è che non è possibile adottare una divisione in categorie lessicali dotata di completa validità interlinguistica: da un lato perché effettivamente le lingue del mondo possono essere strutturalmente molto differenti,   rendendo   più   difficile   individuare   criteri   d’analisi   universalmente   validi,   dall’altro,   però,   perché tale difficoltà pare a volte legata più a questioni terminologiche che non ontologiche. Schachter (1985: 12-13), ad esempio, mostra che in determinate

3 La 3a persona plurale è utilizzata come forma di cortesia per la 2a plurale. 4 Ad esempio, [3] sarebbe perfettamente grammaticale anche con l’IS  sair.

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33 lingue le categorie lessicali N e V condividono un così alto numero di proprietà grammaticali da rendere difficile la scelta tra il considerarle due categorie distinte o due sotto-categorie   di   un’unica   classe   di   parole,5 rispetto invece a quanto accade in lingue morfologicamente  più  articolate,  all’interno  delle  quali  tali  distinzioni  sono  più  evidenti   dal punto di vista formale e pertanto più semplici da osservare e categorizzare.6

Al di là di queste problematiche, tuttavia, la ricerca linguistica è giunta alla conclusione che alcune categorie lessicali possono essere considerate universali (Robins 1952: 297; cfr. Hopper & Thompson 1984, 1985) in quanto rintracciabili o riconoscibili, con le dovute cautele, in tutte le lingue finora studiate:7 si tratta del N e del V.8

Come   noto   fin   dall’antichità,   il   lessico   delle   lingue   naturali   è   strutturato   in   categorie  lessicali,  note  anche  come  “parti  del  discorso”  o,  in  tempi  più  recenti,  classi  di   parole (parts of speech in ambito funzionalista e generativista). Una classe di parole, secondo   la   definizione   generica   di   Ježek   (2005:   97),   è   un   “insieme     delle   parole   di un lessico i cui membri condividono una o più caratteristiche dal punto di vista del comportamento  morfologico  o  sintattico”.

I principali criteri adottati dalla tradizione grammaticale occidentale per l’individuazione   delle   categorie   lessicali   sono   stati essenzialmente di tre tipi: morfologico, semantico e sintattico. Ne illustriamo brevemente le caratteristiche e ne forniamo i principali riferimenti nella letteratura.

1.1.1. Il criterio morfologico

Il criterio morfologico si fonda sui diversi tipi di morfemi flessivi con cui una forma si può combinare: secondo questo approccio si definisce N una forma declinata per caso, numero e genere, e si definisce V una forma coniugata per persona, tempo, modo, e così via. È questo, ad esempio, il criterio utilizzato da Dionisio Trace nella sua Ars

5 Nello specifico, le lingue Nootka (Pacifico Nord-Occidentale) e Tagalog (Filippine).

6 Un problema simile è osservato anche da Baker (2003: 4-6) a proposito delle categorie Verbo e Aggettivo nella   lingua   Mohawk,   del   gruppo   irochese.   Sul   problema   dell’universalità   delle   categorie   lessicali,   cfr.   anche  Robins  (1952)  e,  in  tempi  recenti,  l’importante  articolo  di  Evans  &  Levinson  (2009).

7 Secondo Gaeta (2002: 20) proprio per questo tali categorie si profilerebbero come definitorie, in un certo senso,  del  concetto  stesso  di  “lingua  naturale”.

8 Il carattere   universale   della   categoria   dell’aggettivo   è   più   controverso,   anche   se   generalmente   accettato   (cfr. Thompson 1988, Comrie 1991, Baker 2003). Ma cfr. Evans & Levinson (2009) che mostrano l’esistenza   di   lingue   che   non   presentano   la   distinzione   nome-verbo, come lo Strait Salish (Canada sud-occidentale), in cui tutti i lessemi che appartengono alle classi lessicali principali (N, V, A) funzionano semplicemente   come   predicati   (del   tipo   di   “correre”,   “essere_grande”,   “essere_uomo”:   434),   anche   occupando slot sintattici differenti.

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Grammatica, fatto non sorprendente data la ricchezza morfologica della lingua greca oggetto  di  studio  dell’opera.9

Come si è sottolineato nella sezione precedente, un criterio di tipo morfologico non  è  efficace  nell’individuazione delle categorie lessicali, poiché le lingue del mondo si possono differenziare enormemente in termini di articolazione morfologica (si pensi alle lingue isolanti, in cui la morfologia è praticamente assente).

1.1.2. Il criterio semantico

Il criterio semantico, invece, associa determinate nozioni alle categorie lessicali: persone, cose e luoghi al N; eventi, processi e simili al V (Schachter 1985: 7-9). Questo criterio era già proprio della tradizione antica: Dionisio Trace lo aveva impiegato come integrazione di quello morfologico (cfr. Hopper & Thompson 1984: 704-705) e infatti, come ricordato da Schachter (1985: 3-5),  di  per  sé  non  è  sufficiente  a  determinare  l’appartenenza  di  una   parola ad una categoria lessicale. Inoltre è un criterio che può profilarsi come soggettivo o influenzato da nozioni proprie di un particolare sistema linguistico (Robins 1952: 295), senza   contare   l’assenza   di   una   totale   commensurabilità   tra   le   lingue   rispetto   all’assegnazione  delle  nozioni  alle  categorie  lessicali (Hopper & Thompson 1984: 705).

Tuttavia,   dall’applicazione   del   criterio   semantico   provengono   alcune   categorizzazioni importanti: Lyons (1977: 442-447), ad esempio, individua diversi ordini di  categorie  ontologiche  o  “entità”,  distinguendo  tra  quelle  di  primo e di secondo e terzo ordine. Le entità di primo ordine esistono nel tempo, denotano persone, luoghi o cose concrete e sono rappresentate dai N; quelle di secondo e terzo ordine, invece, accadono nel tempo e denotano eventi, processi ed azioni, venendo rappresentate dai V.

Il tempo è alla base anche della distinzione che in ambito funzionalista ha elaborato Givón (1979) tra N e V. Givón individua, alla base dei processi di categorizzazione   dell’esperienza   umana,   un   parametro   di   temporalità,   o   meglio   di time-stability,10 proprietà di qualsiasi entità x che sia identica a se stessa, e solo a se stessa, in un punto a nel tempo ed anche in un punto b che segue direttamente a (Givón 1979: 320). In  base  a  questo  parametro,  esistono  alcune  entità  che  l’uomo  percepisce come stabili nel

9 L’Ars Grammatica di  Dionisio  Trace  (II  secolo  a.C./II  secolo  d.C.,  a  seconda  dell’attribuzione)  è  inoltre   la più antica opera grammaticale ad individuare le otto méros lógou “parti  del  discorso”  della  lingua  greca. 10 Tempo e spazio rappresentano, secondo Givón (1979: 314-320), le due dimensioni ontologiche fondamentali   sulle   quali   l’uomo   “costruisce   universi”,   ovvero   categorizza   la   sua   esperienza.   Tra   le   due,   però, è quella temporale che viene considerata la prima, in quanto le entità temporali esistono al di fuori dello spazio, mentre quelle spaziali non possono esistere al di fuori del tempo (cfr. la gerarchia implicazionale exist in space > exist in time > exist : 314).

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35 tempo e che tendono ad essere codificate dalle lingue come N, mentre le entità che vengono percepite come prive di time-stability tendono ad essere codificate come V.

Un’opposizione   simile   si   trova   in   Croft   (1991:   63-64) nei termini però di “statività”  e  “persistenza”  nel  tempo,  alla  base  della  distinzione  tra  stati  e  processi  e  che   caratterizza  anche  i  N  prototipici,  in  opposizione  alla  “transitorietà”  nel  tempo,  proprietà   dei V prototipici.11

Il criterio semantico, al di là dei limiti che abbiamo già ricordato riguardo alla validità interlinguistica e alla difficoltà nella definizione delle nozioni pertinenti, ha il merito di introdurre nella riflessione linguistica sulle classi di parole una dimensione extra-linguistica che costituisce  un’integrazione  fondamentale  a  criteri  puramente  formali.   Hopper & Thompson (1984, 1985) sostituiranno alle basi semantiche proposte da Lyons e Givón, che considerano insufficienti, basi funzionali di tipo pragmatico-discorsivo per la categorizzazione linguistica (cfr. infra 1.1.4.).

1.1.3. Il criterio sintattico

Esistono infine approcci alle categorie lessicali basati su un criterio esclusivamente o prevalentemente di tipo sintattico, soprattutto in relazione a lingue (si pensi al cinese) che non si caratterizzano per una morfologia particolarmente articolata e in cui il criterio morfologico non è in grado di individuare le distinzioni tra classi di parole. Il criterio sintattico si focalizza quindi sulle possibilità che le parole di una lingua hanno di riempire determinate posizioni sintattiche.12

Dal punto di vista strutturale, dunque, i N sono le parole che funzionano come argomenti o come testa di sintagmi che costituiscono argomenti, mentre i V sono le parole che funzionano come predicati. A partire   dall’individuazione   di   queste   due   principali classi di parole, sarebbe possibile, almeno in parte, definire le altre sulla base delle relazioni sintattiche che presentano con esse. Come osserva Robins (1952: 294), un’analisi   formale   di   questo   tipo   porta spesso a osservare forti somiglianze delle altre classi di parole con le due categorie principali del N e del V: in greco e in latino gli aggettivi presentano somiglianze con il N, mentre in una lingua come il giapponese esistono aggettivi assimilabili al V, anche se formalmente distinti (cfr. Lombardi Vallauri 2000).

11 Sul concetto di prototipo, v. infra 1.1.4.

12 Già in Bally (1944: 145-147; cf. Tesnière 1959) il valore delle categorie lessicali era stato considerato anche in base alla loro funzione sintattica: per esempio, un aggettivo serve da epiteto al nome e un nome può essere modificato solamente da un aggettivo; il carattere complementare delle relazioni fra categorie corrisponde  ai  rapporti  sintagmatici  che  le  parole  hanno  all’interno  del  discorso.

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Il criterio sintattico è alla base degli studi di ambito generativista, che considerano N e V come due categorie completamente distinte e polarmente opposte e che al limite possono essere  trasformate  l’una  nell’altra  attraverso  processi  di  ricategorizzazione  (cfr. Chomsky 1970). Tale posizione teoretica, però, non riesce a dare conto della diversità che caratterizza, in termini di sistemi di classi di parole, le lingue naturali.

Integrando   nel   paradigma   generativo   un’analisi   interlinguistica   di   impronta   tipologica, Baker (2003) ha tentato una definizione di carattere universale delle principali categorie lessicali, arrivando a riformulare le definizioni chomskyane di Nome, Verbo, Aggettivo e Preposizione, come riportiamo qui di seguito (adattato da Baker 2003: 21):

Chomsky Baker

Nome +N,  −V Nome +N  =  “ha  indice  referenziale” Verbo +V, –N Verbo +V  =  “ha  uno  specificatore” Aggettivo +N, +V Aggettivo –N,  −V

Preposizione –N,  −V Preposizione è parte di un sistema differente (funzionale)

Limitandoci a osservare la definizione delle due principali categorie lessicali N e V, lo studio di Baker (2003) arriva a definire il V come la categoria che presenta uno specificatore (23) e che assegna agente e ruoli tematici (26), mentre la categoria N è quella dotata di un indice referenziale (95).13

Il   criterio   sintattico   è   stato   utilizzato   anche   all’interno   di   altri   filoni   teorici:   in   ambito funzionalista, ricordiamo alcuni dei lavori di Hengeveld (1992a e 1992b; cfr. Hengeveld & Rijkoff & Siewerska 2004: 530) che, su basi tipologiche, ha classificato i sistemi di classi di parole a partire dagli slots sintattici che queste possono occupare: nello specifico, i ruoli di testa o di modificatore di sintagmi referenziali o predicativi (Hengeveld 1992a: 37, 1992b: 57-58). Secondo questa distinzione, dunque, le principali classi di parole vengono così definite:14

13 Baker (2003: 96) riconosce di condividere la posizione già di Hopper & Thompson (1984; cfr. infra

1.1.4.) e di Croft (1991) riguardo alla funzione referenziale inerentemente associata al N.

14 Tale distinzione è basata sui quattro tipi di predicazione individuati: nominale (testa di sintagma), verbale (solo uso predicativo), aggettivale (modificatore di testa nominale) e avverbiale (modificatore di testa non-nominale), v. Hengeveld (1992a e 1992b).

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37 (i) Nome = lessema che può essere impiegato solo come testa di un sintagma referenziale; (ii) Verbo = lessema che può essere impiegato solo come testa di un sintagma predicativo;

(iii) Aggettivo = lessema che può essere impiegato come modificatore di un sintagma referenziale;

(iv) Avverbio = lessema che può essere impiegato come modificatore di un sintagma predicativo.15

La funzione sintattica di testa, inoltre, si caratterizza per obbligatorietà   all’interno  della   frase, mentre i modificatori sono opzionali: N e V, quindi, ancora una volta emergono come  le  categorie  lessicali  fondamentali  all’interno  delle  lingue.  

Veniamo ora ad un ulteriore criterio per la definizione delle categorie lessicali che si affianca ai tre tradizionali che abbiamo illustrato finora e che prende le mosse proprio a partire dalla constatazione della fallibilità di questi: il criterio funzionale. Ci soffermeremo più estesamente su  quest’ultimo  criterio  poiché è quello che riteniamo più valido e che utilizzeremo principalmente in questo lavoro.

1.1.4. Il criterio funzionale

I criteri che la tradizione grammaticale e linguistica occidentale avevano adottato per l’individuazione  delle  classi  di  parole  delle  lingue  indoeuropee iniziano a mostrare la loro inadeguatezza   con   lo   svilupparsi   della   ricerca   su   lingue   “altre”,   a   partire   dagli   studi   di   Sapir  e  Whorf  sulle  lingue  amerindiane  all’inizio  del  XX  secolo.  

Sapir (1921) individua come base della distinzione tra le due categorie lessicali N e V, fondamentali nelle lingue del mondo, le loro rispettive funzioni altrettanto fondamentali:

“There must be something to talk about and something must be said about this subject of discourse [...] No language wholly fails to distinguish noun and verb, though in particular cases the nature of the distinction may be an elusive one. It is different with the other parts of speech. No  one  of  these  is  imperatively  required  for  the  life  of  language.”  (Sapir 1921: 126)

In una qualsiasi lingua, quindi, esistono due necessità: (i) differenziare le entità di cui parlare e (ii) predicare cose riguardo a tali entità. Alle due funzioni fondamentali della lingua, referenza e predicazione, corrispondono quindi le categorie di N e V.

15 Hengeveld  considera  in  questi  lavori  solamente  l’avverbio  di  modo  (manner adverb),  in  quanto  l’unico   che svolge funzione di modificatore della testa del sintagma predicativo: avverbi di spazio e di tempo, infatti, modificano la frase nel suo complesso.

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Anche Jespersen (1924: 56-57)   nota   l’inadeguatezza   dei   criteri   adottati   dalla   tradizione linguistica precedente, osservando la complementarità di criteri formali, sintattici ma anche funzionali per la definizione delle classi lessicali: il parlante utilizza infatti la  lingua  “piegandola”  alle  sue  esigenze  comunicative  (“the speaker [...] inserts the words that fit in that particular situation”:  19).16

In tempi più recenti, ma con presupposti simili, Hopper & Thompson (1984, 1985) hanno individuato basi pragmatico-discorsive per le categorie lessicali N e V. In questa proposta, tali categorie non sono considerate arbitrarie, ma “iconiche”,   sulla   base   di   un   principio   di   iconicità   tra   forma   linguistica   e   funzione   all’interno   del   discorso.17 La definizione delle due categorie lessicali di N e V è fondata sulla loro caratterizzazione in termini prototipici:   il   concetto   di   “prototipo”,   infatti,   è   considerato   come   uno   dei   fondamenti dei processi della categorizzazione umana.18 Quindi, N e V come categorie lessicali rappresentano dei prototipi: il N o il V prototipico è quel lessema che presenta tutte le caratteristiche proprie della categoria, della quale possono far parte, però, anche lessemi più periferici che non possiedono tutte le caratteristiche del prototipo.

Hopper & Thompson (1984, 1985) riconoscono una qualche validità al criterio semantico che associa cose concrete e stabili al N e azioni dinamiche al V, ma aggiungono che per la definizione dei due prototipi di tali categorie è necessario considerare anche il parametro della   loro   funzione   all’interno   del   discorso,   ovvero   del   loro   ruolo   all’interno   del   contesto   in   cui   vengono   impiegati   i   lessemi   (Hopper   &   Thompson 1984: 708). Se pensiamo al lessema fox “volpe”,   che   secondo   il   criterio   semantico  è  un  N  prototipico  (un’entità di primo ordine nei termini di Lyons 1977), e al lessema throw “lanciare”,   che   semanticamente   è   un   V   prototipico,   si   può   facilmente   osservare che il loro status di nome o di verbo è alterato a seconda della funzione che possono  ricoprire  all’interno  del discorso. Riportiamo gli esempi presentati da Hopper & Thompson (1984: 708-709):

16 Questo è uno dei presupposti teoretici alla base della Grammatica di Categorie e Costruzioni elaborata da Simone (2006a, 2006b; cfr. 2008), a cui faremo più volte riferimento.

17 Sul concetto di iconicità linguistica, si rimandano ai lavori di Haiman (1983, 1985, 2000).

18 La nozione di prototipicalità come base dei processi cognitivi umani fu elaborata e si sviluppò a partire dai notori studi di Eleanor Rosch (1973, ad esempio) sulle modalità di categorizzazione della realtà, operazione che procederebbe non in modo arbitrario, bensì a partire dai rappresentanti centrali e più salienti di una categoria (i prototipi) in direzione dei rappresentanti periferici. Hopper & Thompson (1980), per esempio, hanno adottato questa prospettiva come base per la definizione delle proprietà prototipiche della Transitività nelle lingue del mondo.

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39 [4] a. Foxes are cunning.

Le volpi sono furbe.

b. We went fox-hunting in the Berkshires.

Andammo a fare caccia alla volpe nel Berkshires.

c. Early in the chase the hounds started up an old red fox, and we hunted him all morning. All’inizio  della  caccia  i  cani  fecero  partire  una  vecchia  volpe  rossa,  e  la  cacciammo  tutta   la mattina.

[5] a. To throw a log that size takes a great deal of strength.

Lanciare un tronco di quelle dimensioni richiede una grande quantità di forza. b. We watched the log-throwing contest.

Guardammo la gara di lancio del tronco. c. The man throwing the log slipped and fell.

L’uomo  che  stava  lanciando  il  tronco  scivolò  e  cadde. d. After the break, McTavish threw the log.

Dopo la pausa, McTavish lanciò il tronco.

Come si osserva, nel contesto discorsivo rappresentato da [4] a. il lessema fox presenta la funzione sintattica tipica del nome, ma si sta parlando di tutte le volpi in generale; in [4] b. fox è   utilizzato   per   specificare   semanticamente   il   predicato   “cacciare”.   Ciò   significa   che in entrambi i contesti fox non rappresenta il prototipo della categoria N, in quanto non viene   utilizzato   per   denotare   un’entità   concreta e percepibile nella realtà, come invece avviene nel contesto [4] c. La funzione prototipica del N è infatti quella di introdurre dei partecipanti nel discorso.

Similmente, gli usi del lessema throw nei contesti [5] a.-c. si allontanano dalla funzione prototipica del V, che è quella di asserire  nel   discorso  l’occorrenza  di   eventi: l’unico  evento  rappresentato  da  throw ad avere effettivamente luogo è quello in [5] d., in quanto  in  [5]  a.  si  tratta  dell’azione  del  “lanciare”  dal  punto  di  vista  generico,  che viene espressa attraverso una nominalizzazione (Nome di Processo Indefinito nei termini di Simone 2003, 2004),19 e   in   [5]   b.   e   c.   il   lessema   è   utilizzato   all’interno   di   sintagmi   modificatori, non come predicato della frase.

N e V prototipici, dunque, sono due entità ontologiche massimamente distinte: l’uno   presenta   tutte   le   proprietà   nominali   prototipiche,   l’altro   tutte   le   proprietà   verbali   prototipiche. In questo modo, si apre la possibilità di immaginare un continuum di

19 Con Nome di Processo Indefinito Simone (2003, 2004) identifica quel tipo di infinito nominale ([−telico] e [+processuale]) utilizzato per esprimere il processo verbale in modo generico, senza ulteriori specificazioni, v. infra).

Figura

Tabella B: Paradigma del congiuntivo futuro ( ≠  IF) dei verbi irregolari
Tabella C: Infinito Flesso secc. XIII-XVI, voci più frequenti (CIPM, CdP) 73
Tabella D: Congiuntivo futuro secc. XIII-XVI, voci più frequenti (CIPM, CdP)
Tabella E - Strategie di complementazione secc. XIII-XVI
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