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Isolamento del gene cloroplastico ycf2 e sua espressione in specie arboree

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Facoltà di Agraria

Corso di Laurea Specialistica in Biotecnologie Vegetali e Microbiche

Isolamento del gene cloroplastico ycf2 e sua espressione

in specie arboree

RELATORE:

Prof. Mauro Durante

CANDIDATO:

Michele Pieretti

CORRELATORE:

Prof. Giovanni Vannacci

(2)

INDICE

Introduzione_________________________________________________

4

1-Gli stress__________________________________________________________5

2-Stress da freddo e congelamento ______________________________________6

2.1-Meccanismi di difesa delle piante resistenti_________________________8

3-Stress da ozono ____________________________________________________9

4-Ceratocystis fimbriata________________________________________________9

3.1-Processo infettivo____________________________________________10

3.2-Cerato-platanina_____________________________________________10

3.3-Risposta ipersensibile_________________________________________11

5-I Plastidi_________________________________________________________11

6-Il cloroplasto _____________________________________________________12

6.1-Eredità non mendeliana _______________________________________13

6.2-Il genoma cloroplastico _______________________________________13

6.3-Origine dei cloroplasti ________________________________________13

6.4-Struttura del genoma cloroplastico_______________________________14

6.5-Inverted repeat (IR) __________________________________________16

6.6-Principali geni del cpDNA_____________________________________16

7-Espressione dei geni cloroplastici_____________________________________19

7.1-Trans splicing_______________________________________________20

7.2-mRNA 3’-trimming __________________________________________21

7.3-RNA editing________________________________________________21

8-Coordinazione dei sistemi genici nucleari e organellari__________________22

8.1-Interazione Nucleo – Cloroplasto________________________________23

8.2-Interazioni Cloroplasto – Nucleo________________________________23

8.3-Interazione tra organelli_______________________________________24

9-Il gene cloroplastico ycf2____________________________________________24

10-Scopo del lavoro__________________________________________________27

Materiali e metodi___________________________________________

28

1-Materiale vegetale_________________________________________________29

2-Estrazione del DNA da foglie di olivo_________________________________30

2.1-Metodo Promega____________________________________________30

2.2-Metodo Della Porta et al. (1983) _______________________________33

2.3-Trattamento con RNasi A _____________________________________35

3-PCR_____________________________________________________________35

3.1-Purificazione dei prodotti di PCR_______________________________37

4-Sequenziamento___________________________________________________38

(3)

5-Clonaggio________________________________________________________42

5.1-Ligation ___________________________________________________42

5.2-Cellule competenti___________________________________________44

5.3-Trasformazione dei batteri_____________________________________44

5.4-PCR colony screening ________________________________________44

5.5-Miniprep___________________________________________________45

5.6-Quantizzazione del DNA plasmidico_____________________________46

6-Estrazione RNA___________________________________________________47

6.1-Metodo Logemann___________________________________________47

6.2-Metodo Trizol ______________________________________________48

7-RT-PCR_________________________________________________________49

7.1-Determinazione semiquantitativa dei livelli di trascritti con RT-PCR ___49

8-Analisi statistica dei dati____________________________________________51

RISULTATI

______________________________________________________52

1-Costruzione primer ________________________________________________53

2-Clonaggio_______________________________________________________76

3-Ricostruzione dell’intera sequenza___________________________________77

4-Analisi della sequenza_____________________________________________80

5-Analisi dell’espressione genica di ycf2_________________________________97

5.1-Analisi dell’espressione del gene ycf2 in olivo____________________97

5.2-Analisi dell’espressione del gene ycf2 in platano__________________100

5.3-Analisi dell’espressione del gene ycf2 in pioppo___________________101

5.4-Analisi dell’espressione delle due sezioni 1B (sezione iniziale) e Sag3

____

(sezione finale) del gene ycf2 in olivo, platano e pioppo________________104

5.4.1-Amplificati da retrotrascritti di RNA di frutti e foglie di olivo _106

5.4.2-Amplificato da retrotrascritti di RNA di platano, con trattamento

__

cerato-platanina e relativo controllo, con primer 1B e Sag3________106

5.4.3-Amplificato da retrotrascritti di RNA di pioppo, con trattamento da

ozono e relativo controllo, con primer 1B e Sag3________________110

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI____________________________

111

(4)
(5)

1. Gli stress

Le piante crescono in quasi ogni parte della terra, con una grande varietà di nutrienti e condizioni climatiche, con temperature variabili, quantità e qualità di luce e acqua diverse. Le piante che crescono in un determinato ambiente si sono adattate a queste specifiche condizioni climatiche, ma possono anche far fronte a cambiamenti di queste condizioni che potrebbero compromettere la crescita e la vita di tali piante. L’adattamento è fondamentale perché le piante non possono evadere da condizioni sfavorevoli, a causa della crescita sessile con il loro habitat. Le piante possono già essere predisposte allo stress ma spesso è il trattamento stesso dello stress ad attivare i meccanismi di difesa. Questo implica che sono in grado di percepire i segnali di stress, e solo dopo la perceziozione del segnale hanno luogo gli eventi di trasduzione. Come conseguenza, questi conducono a cambiamenti nell’espressione genica, come indicato dalle molte situazioni dove si verifica upregulation di geni dopo l’applicazione di vari tipi di stress biotici e abiotici (Zhu et al., 1997). In risposta sono attivati diversi meccanismi cellulari, che permettono alla pianta di far fronte allo stress imposto. Questi meccanismi sono ad esempio osmoregolazione e osmoprotezione, cambiamenti del pathway che influenza gli ioni e i flussi di acqua, produzione di proteine di protezione (Bohnert et al., 1995), (Bray, 1997). In caso di osmoregolazione, il potenziale osmotico delle cellule è ridotto a favore della ritenzione idrica e del mantenimento del turgore. Osmoprotettori stabilizzano le proteine e le membrane quando sono presenti in grandi concentrazioni e includono una varietà di composti come aminoacidi (prolina), composti quaternari di ammonio (betaina), polioli (pinitolo e mannitolo), zuccheri come fruttani (Bohnert et al., 1995) e specifiche proteine come le deidrine (Close, 1997). L’introduzione di geni in grado di aumentare i livelli di simili composti in piante transgeniche ha portato ad un aumento della tolleranza allo stress (Bohnert et al., 1995; Ingram, 1996).

Oltre al contenuto cellulare, anche le membrane giocano un importante ruolo nell’adattamento. In particolare, il grado di saturazione delle membrane lipidiche è un fattore importante (Nishida, 1996). Quando si studia la risposta agli stress, si deve tener conto che i differenti organi hanno caratteristiche molto diverse. Ad esempio i semi, spesso anche i pollini, possono sopravvivere a forte disseccamento, mentre le parti vegetative e i fiori sono estremamente sensibili a queste condizioni. Questa capacità permette ai semi di sopravvivere a periodi di siccità, tale caratteristica è presente anche in quelle specie che vivono in condizioni favorevoli. L’acquisizione di tolleranza alla disidratazione durante la maturazione del seme è molto simile alla risposta vegetativa alla mancanza di acqua.

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possono avere elementi in comune. Un insufficiente immagazzinamento di acqua può essere dato dalla perdita di acqua o da componenti osmotici nell’acqua irrigua. Il congelamento conduce anche a uno stress osmotico dovuto a una minor capacità di assorbimento dell’acqua e alla disidratazione cellulare. Altri tipi di stress abiotico come luce UV, calore, contatto, ferite e ipossia portano invece a diverse reazioni. Come ad esempio le ROS (specie reattive dell’ossigeno) coinvolte nei danni provocati da ozono, ma implicate anche in danni provocati da stress idrico e congelamento (Shen et

al., 1997). Le piante possiedono un gran numero di meccanismi ed enzimi per abbattere le ROS,

infatti la protezione delle componenti suscettibili è un meccanismo di difesa ed è stato osservato che il mannitolo, oltre ad avere un’attività osmoprotettrice, è in grado di proteggere enzimi (fosforibulokinasi) dall’inattivazione ossidativa (Shen et al., 1997).

2.

Stress da freddo e congelamento

Le piante variano considerevolmente in rapporto alla loro resistenza al freddo. Quelle delle regioni tropicali e subtropicali subiscono gravi danni quando esposte a basse temperature; ne sono un esempio il cotone, la soia, il mais, il riso e molti tipi di piante da frutto. Le piante sensibili al freddo subiscono una netta riduzione di crescita e sviluppo se sottoposte a temperature che oscillano tra gli 0° e i 12°C. I sintomi associati ai danni da freddo sono: ritardo della germinazione, avvizzimento e clorosi fogliare, perdita di elettroliti e necrosi dei tessuti (Thomashow et al., 1999).

In netto contrasto con le piante di origine tropicale, quelle delle regioni temperate sono non solo tolleranti al freddo, ma molte sono in grado di sopravvivere al congelamento. Piante erbacee delle regioni temperate possono sopravvivere a temperature che variano tra i –5 e –30°C: il diverso grado di tolleranza varia tra specie; inoltre, gli alberi delle foreste boreali sopravvivono bene a temperature al di sotto di –30°C.

E’ importante il fatto che la massima tolleranza di queste piante al congelamento non sia costitutiva, ma sia indotta da un’esposizione prolungata a temperature al di sotto dei 10°C; questo fenomeno è noto come hardening (acclimatazione al freddo). Ad esempio, piante di riso che crescono normalmente a temperature calde, sono danneggiate da un abbassamento repentino della temperatura al di sotto dei –5°C, mentre dopo un processo di acclimatazione possono sopravvivere anche fino ai –30°C.

I cambiamenti fisici e metabolici che avvengono in seguito all’acclimatazione, includono un aumento di zuccheri, di proteine solubili, di acidi organici e un’alterata composizione lipidica delle membrane plasmatiche (Hughes et al., 1996).

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attraverso cambiamenti nell’espressione genica; negli ultimi anni sono stati clonati diversi geni inducibili dalle basse temperature (LTR) isolati sia da specie monocotiledoni che dicotiledoni. Inoltre esiste anche un’interazione tra basse temperature ed altri fattori ambientali, in particolare il fotoperiodo e lo stato idrico (Pan et al., 1994).

La maggioranza delle piante sensibili al freddo condividono lo stesso valore soglia oltre il quale si hanno danni irreversibili. Inizialmente si può notare un cambiamento fisico nel bilayer lipidico delle membrane; i lipidi, infatti, subiscono una completa transizione dallo stato di liquido cristallino a quello di gel. Questo può causare danni a livello metabolico, infatti, in genere, aumenta l’energia di attivazione dei sistemi enzimatici associati alle membrane. Quando poi la temperatura si avvicina al punto di congelamento, si forma ghiaccio negli spazi intercellulari, cosa che può determinare una distruzione fisica dei tessuti e delle cellule; tuttavia la causa principale del danno è attribuita alla grande disidratazione a cui è sottoposta la cellula in seguito al congelamento. Difatti si crea un potenziale osmotico tra il ghiaccio extracellulare e l’acqua intracellulare, per cui questa tende ad uscire dalla cellula. La disidratazione causa diversi danni, come la denaturazione delle proteine e la precipitazione dei soluti (Levitt et al., 1980; Guy et al., 1990).

Steponkus et al., (1993) e Uemura et al., (1997) hanno dimostrato che la gravità del danno alle membrane cellulari è proporzionale alla temperatura di congelamento e all’entità della disidratazione cellulare. Ad una temperatura compresa tra i -2°C e i -5°C nelle piante non acclimatate, si ha il fenomeno della lisi dovuta all’espansione cellulare: in seguito a disidratazione si formano delle vescicole endocitotiche dalla membrana plasmatica; con un successivo scongelamento l’acqua tende a tornare dentro alla cellula ma, essendo la superficie della membrana plasmatica diminuita, poiché la porzione vescicolare non può essere reintegrata, la pressione osmotica che si crea diventa insopportabile per la cellula che scoppia. Se invece la temperatura di congelamento oscilla tra i -5°C e i -10°C si può osservare un altro tipo di danno nelle membrane. In questo caso le cellule non scoppiano in seguito a scongelamento, ma le membrane perdono la loro caratteristica semipermeabilità non rispondendo più a stimoli osmotici (Uemura et al., 1997) e quindi rimangono avvizzite.

Da un punto di vista metabolico si hanno anche ripercussioni su tutto il processo di uptake degli elementi vitali per la pianta; ne è un esempio l’assimilazione di zinco e di azoto che viene drasticamente inibita (Sakamoto et al.1998). Altri danni si osservano poi a carico di tutto l’apparato fotosintetico.

I primi organi ad essere compromessi sono gli stomi; infatti la disidratazione cellulare compromette la funzionalità delle cellule di guardia che, con il loro turgore, aprono lo stoma; si ha quindi una ridotta captazione di CO2 e una conseguente diminuzione nell’assimilazione di carbonio. Questo

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fenomeno è aggravato dalla riduzione dei normali livelli di ribulosio-1,5-bisfosfato (RuBP), substrato accettore della CO2, conseguente ad una diminuzione dei livelli di ribulosio-1,5-bisfosfato

carbossilasi ossigenasi (RuBisCo) (Sassenrath et al.,1990). Inoltre il cambiamento di fase del doppio strato lipidico dei tilacoidi rallenta il turnover fisiologico della proteina D1 del fotosistema II (Kanervo et al., 1995), compromettendo così il suo funzionamento. Altre evidenze sperimentali della compromissione dell’apparato fotosintetico, sono state portate da Martino-Catt e Ort (1992); questi hanno dimostrato che le basse temperature hanno due effetti separati sul normale pattern di espressione delle proteine del fotosistema II che si legano alle clorofille a e b (Cab):

¾la trascrizione dei geni che controllano i ritmi circadiani viene sospesa per tutta la durata dell’esposizione al freddo;

¾viene sospeso il normale turnover dei trascritti già esistenti.

2.1

Meccanismi di difesa delle piante resistenti

Le variazioni di temperatura sono le più importanti per le piante coltivate nei climi temperati. Esse sono infatti sottoposte a variazioni tra il giorno e la notte, ma anche a differenze stagionali. Contrariamente agli animali, nelle piante non esistono sistemi per mantenere costante la temperatura, si adattano alle variazioni modificando il loro metabolismo. E’ stato osservato che in risposta a trattamenti col freddo vengono attivati specifici geni e si verifica inoltre l’accumulo di zuccheri. Molte di queste variazioni metaboliche si presentano in seguito ad un periodo di “acclimatazione”. Infatti la massima tolleranza al freddo non è costitutiva, ma indotta da un’esposizione prolungata a temperature al disotto dei 10°C (Thomashow, 1998, 2001). L’acclimatazione al freddo è un processo piuttosto rapido in molte specie erbacee. Un sostanziale incremento della tolleranza al freddo in Arabidopsis può essere ottenuta anche con un solo giorno di esposizione a basse temperature, tuttavia la piena acclimatazione richiede più di una settimana. Successivamente con il rapido ritorno alla temperatura di crescita, la tolleranza al freddo è persa (Palva, 1994; Thomashow, 1999). Oltre all’esposizione a basse temperature, l’acclimatazione al freddo può essere acquisita attraverso l’esposizione a moderati stress idrici o applicazioni esogene di ABA (acido abscissico) (Lang et al, 1989; Guy et al, 1992; Mantyla et al, 1995). L’acclimatazione al freddo è associata a diverse alterazioni biochimiche e fisiologiche. Le variazioni più studiate includono: l’espressione di geni, variazioni nei livelli ormonali, incremento degli zuccheri solubili, amminoacidi e acidi organici, accumulo di proteine osmoprotettrici ed anche alterazioni della composizione lipica della membrana plasmatici (Palva, 1994; Hughes e Dunn, 1996; Palva e Heino, 1997; Thomashow, 1999).

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3. Stress da ozono

L’ozono è uno degli inquinanti atmosferici più fitotossici e la sua concentrazione nella troposfera è significativamente aumentata negli ultimi decenni. I livelli ambientali di questo inquinante nei paesi industrializzati spesso superano la soglia di tolleranza di molte specie vegetali, causando stress ossidativi nelle piante. La sua tossicità è legata all’aumento delle specie reattive dell’ossigeno (ROS: perossido di idrogeno, superossido di idrogeno e radicali idrossilici) nell’apoplasto. L’ozono, e i radicali liberi derivati, ossidano le biomolecole e determinano un’attivazione di risposte di difesa da parte degli organismi vegetali. Per questo motivo, le piante hanno evoluto meccanismi fisiologici e biochimici di tolleranza o resistenza atti a ridurre gli effetti di tale stress. Infatti, la presenza di elevati livelli di specie attive dell’ossigeno induce la sintesi di molecole antiossidanti tra cui l’ascorbato, le poliammine, il glutatione, i fenilpropanoidi e i carotenoidi. La sensibilità all’ozono è diversa non solo tra specie e specie, ma anche tra cultivar o ecotipi o cloni della stessa specie vegetale, anche se i meccanismi che comportano tali differenze non sono completamente chiari (Alpi et al 2006). La risposta a questo tipo di stress ha sia le caratteristiche della difesa antiossidante che della cosiddetta risposta ipersensibile (HR), attivando e intensificando i relativi sistemi enzimatici e vie metaboliche di difesa, trasduzione del segnale e riparazione. Le reazioni delle piante all’ozono dipendono da una serie di eventi che hanno inizio con l’assorbimento dell’inquinante e che, in ultima analisi, determinano risposte a livello biochimico e metabolico. La maggior parte di queste dipende da modificazioni nell’espressione genica, ad implicare il coinvolgimento di molecole segnale. L’insieme primario delle reazioni metaboliche innescate dall’ozono risulta simile alla risposta d’ipersensibilità attivata da patogeni fungini, cui fa seguito l’impiego di una parte delle risorse dal metabolismo primario a quello secondario, allo scopo di difendersi e sopravvivere in un contesto ambientale modificato. L’esposizione prolungata all’ozono può risolversi, invece, in una risposta secondaria con manifestazioni tipiche della senescenza precoce (Ranieri et al., 2006).

4. Ceratocystis fimbriata

Ceratocystis fimbriata è un fungo ascomiceta che causa seri disagi, quali appassimento e tumori, in

diverse piante di tutto il mondo. Esso è stato importato dal Nord America e intorno al 1972 sono stati riportati per la prima volta gravi danni ai platani in molte città del Sud Europa (Panconesi, 1972; Anselmi et al.,1994). La forma speciale Ceratocystis platani è stata isolata specificatamente

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da piante di platano infette (Platanus spp). Esso attacca le specie Platanus occidentalis, Platanus

orientalis e in particolar modo il loro ibrido Platanus acerifolia. Il tumore prodotto può uccidere un

platano adulto in circa 4-7 anni.

4.1 Processo infettivo

Ceratocystis platani è in grado di infettare un platano attraverso ferite e anastomosi radicali. Il

fungo può invadere i rami di alberi soggetti a frequenti potature, i tronchi con ferite di varia natura e radici emergenti dal suolo. Nel sito di infezione il patogeno si riproduce in primo luogo asessualmente (dopo 2-3 giorni dall’infezione) poi sessualmente (dopo 6-8 giorni). Il fungo invade il cambio, il midollo e i canali linfatici causando alterazioni cromatiche e necrosi cellulare.

4.2 Cerato-platanina

La cerato-platanina è una piccola proteina prodotta da Ceratocystis platani, responsabile del tumore del platano, nelle prime fasi di sviluppo del fungo (Walter et al., 1952; Scala et al., 2004).

Su piante ospite e non-ospite, Ceratocystis attiva risposte di difesa come la sintesi di fitoalessine e morte cellulare, si ipotizza inoltre che la cerato-platanina sia una delle proteine coinvolte nel processo di riconoscimento e attivazione dei meccanismi di difesa. La cerato-platanina è una proteina di 120 aminoacidi, ha una elevata percentuale (40%) di residui idrofobici e contiene 4 cisteine formanti 2 ponti S-S (Pazzagli et al., 1999).

La struttura primaria della proteina è molto simile a quelle secrete da ascomiceti, come il prodotto del gene SNODPROT1 di Phaeosphaeria nodorum (accession no. O74238) e da Neurospora crassa (accession no. Q9C2Q5), l’allergene Asp f13 di Aspergillus fumigatus (Kurup et al., 2000), gli antigeni 19Kda e l’antigene CS di Coccidioides immitis (Pan and Cole, 1995) e il prodotto del gene

sp1 da Leptosphaeria maculans (Wilson et al., 2002). Tutte queste proteine sono state raggruppate

dalla banca dati European Molecular Biology Laboratory (EMBL) in una nuova famiglia di proteine, la CP family.

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4.3 Risposta ipersensibile

La risposta ipersensibile (HR) è un meccanismo utilizzato dalle piante per prevenire il diffondersi delle infezioni causate da patogeni microbici. La risposta ipersensibile è caratterizzata dalla rapida morte cellulare nella zona che circonda il sito di infezione. Essa è innescata nel momento in cui la pianta riconosce il patogeno. L’identificazione di un patogeno avviene quando i geni della virulenza, secreti dal patogeno, vengono riconosciuti dai geni della resistenza (R) prodotti dalla pianta. Questi geni sono altamente polimorfici, vengono infatti prodotti in molte varianti allo scopo di permettere alla pianta di riconoscere geni della virulenza di molti patogeni (Heath, 2000).

Nella prima fase della risposta ipersensibile, l’attivazione dei geni R porta ad un flusso ionico, comportando un efflusso di idrossidi e potassio fuori dalla cellula e un ingresso di ioni idrogeno e calcio (Matthews, 2007).

In una seconda fase, le cellule coinvolte nella risposta ipersensibile generano un burst ossidativo producendo specie reattive dell’ossigeno (ROS), anioni superossido, perossido di idrogeno, radicali idrossili e ossidi nitrosi. Questi composti colpiscono la funzionalità delle membrane causando danni ossidativi al bilayer lipidico.

L’alterazione dei componenti ionici della cellula e l’abbattimento dei composti cellulari dovuto alla formazione delle ROS portano a morte cellulare e alla formazione di lesioni. Le specie reattive dell’ossigeno che si formano portano inoltre all’accumulo di lignina, callosio e alla produzione di glicoproteine ricche in idrossiprolina. Questi composti hanno lo scopo di rinforzare la parete cellulare delle cellule che circondano il sito di infezione, creando una barriera e rallentando l’espanzione dell’infezione.

5. I Plastidi

I plastidi sono un importante gruppo di organelli presenti nelle cellule delle piante e ci permettono di distinguere la cellula vegetale dagli altri eucarioti. Si pensa che i plastidi abbiamo origine da un evento endosimbiontico grazie al quale un arcaico procariote fotosintetico abbia invaso un primitivo ospite eucariote (Margulis, 1970; Gray, 1992). Successivamente, i plastidi si sono evoluti come componenti essenziali per la funzione delle cellule delle piante. Il ruolo principale dei plastidi nella biologia delle cellule vegetali deriva principalmente dalla capacità del cloroplasto di fornire alla cellula carbonio fissato ed energia come risultato dell’assimilazione del carbonio fotosintetizzato. Inoltre, parti delle maggiori vie metaboliche della pianta, come la biosintesi dei lipidi e degli aminoacidi, avviene nei plastidi (Galili, 1995; Ohlrogge and Browse, 1995).

(12)

Tutti i plastidi derivano inizialmente da piccoli non differenziati plastidi denominati proplastidi, essi sono localizzati nelle cellule del meristema durante la differenziazione cellulare. I proplastidi si evolvono in particolari tipi di plastidi in funzione al tipo di cellula in cui devono operare. La maggior parte degli studi riguarda la biogenesi del cloroplasto durante la differenziazione di una cellula del mesofillo, ma anche studi dei processi di differenziazione su punti di vista biochimici e di biologia molecolare (Barkan et al., 1995; Mache et al.,1997). L’importanza e l’attenzione data ai cloroplasti ha messo un po’ in ombra le diverse vie metaboliche di differenziazione dei plastidi che avvengono anche in altri tipi specifici di cellule nella pianta. Questi includono la differenziazione dei plastidi durante lo sviluppo delle cellule radicali (Whatley, 1983), differenziazioni in amiloplasti durante la formazione del seme o del tubero (Thomson and Whatley, 1980), formazione di cromoplasti nei frutti e fiori (Marano et al., 1993), e formazione di leucoplasti nei petali (Pyke and Page, 1998). Di fatto, sebbene i plastidi sono stati per lungo tempo classificati in base alla virtù delle cellule che li immagazzinano e alle strutture interne (Kirk and Tilney-Bassett, 1978), i plastidi possono essere meglio descritti come un continuo spettro di tipi; una precisa categorizzazione è spesso difficile e può non essere sempre biologicamente significativa.

6. Il cloroplasto

Il cloroplasto è un organulo presente nelle piante e nelle alghe eucariotiche. All’interno di esso si svolge l’attività fotosintetica, l’energia luminosa viene catturata da molecole di clorofilla e viene trasformata in energia chimica (ATP e NADPH).

Ciascun cloroplasto possiede forma discoidale e un diametro di circa 4-6 µm. È delimitato da due membrane, di composizione simile a quella plasmatica, tra le quali rimane uno spazio. La cavità interna dell’organulo (stroma) contiene strutture membranose a forma di sacchi appiattiti, i tilacoidi, che si impilano una sull’altra a formare masserelle dette grana. Tra grana diversi, vi sono lamelle membranose indicate come lamelle intergrana. Sulle membrane dei tilacoidi si trovano le molecole dei fotosistemi, ovvero la clorofilla associata a pigmenti accessori, come carotenoidi e ficobiline, deputate alla ricezione dell’energia luminosa durante la prima fase del processo fotosintetico. Nelle cellule vegetali ancora indifferenziate i cloroplasti si sviluppano in presenza di luce a partire da organuli incolori di piccole dimensioni, i proplastidi, che si dividono per scissione e quindi si differenziano in organuli maturi.

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6.1 Eredità non mendeliana

I cloroplasti, come già detto, sono organelli delle foglie delle piante verdi e contengono tutte le componenti necessarie per il processo della fotosintesi. Ma non solo, essi partecipano anche alla biosintesi di aminoacidi, nucleotidi, lipidi e amido. All’inizio del secolo scorso, Baur e Correns indipendentemente scoprirono un’eredità di tipo non mendeliana (materna) basata sullo studio delle variegazioni nelle piante superiori. Studi successivi rivelarono che i determinanti genetici di questi caratteri erano associati con i cloroplasti. Mezzo secolo dopo, la dimostrazione di un’unica specie di DNA nei cloroplasti (Sager et al., 1963) portò allo studio intensivo della struttura e dell’espressione del genoma cloroplastico. In più, le molecole di DNA cloroplastico (cpDNA) sono relativamente piccole e semplici, e sono stati scelti come uno dei primi obiettivi del progetto genoma (the genome

projects). Intere sequenze nucleotidiche di diversi genomi cloroplastici sono state determinate,

rivelando una enorme quantità di informazioni funzionali ed evolutive.

6.2 Il genoma cloroplastico

Il genoma cloroplastico delle piante superiori è una molecola di DNA a doppio filamento circolare. Nella maggior parte delle specie, il genoma cloroplastico ha un dimensione di 120-160 kb e una capacità codificante di circa 120 geni. La maggior parte dei geni codificanti plastidici può essere suddivisa in 2 diverse classi (Shimada e Sugiura, 1991): geni necessari per il sistema genico stesso (codificanti per rRNA, tRNA, proteine ribosomali e subunità per RNA polimerasi) e geni fotosintetici (codificanti, per esempio, subunità del fotosistema I e II, il complesso del citocromo b6f e ATP sintasi). Inoltre il genoma plastidico comprende un numero di ORF (open reading frames) di funzione sconosciuta (Maier et al,. 1995). Con lo sviluppo di nuove tecniche di trasformazione per cloroplasti si sono scoperti aspetti funzionali di ORF genome-encoded plastidici con la genetica inversa. Alleli ORF plastidici knock-out possono essere costruiti creando delezioni o inserzioni all’interno di essi. Questi alleli sono poi integrati nel genoma plastidico dove rimpiazzano l’allele endogeno integro tramite ricombinazione omologa.

6.3 Origine dei cloroplasti

I cloroplasti come anche i mitocondri contengono sistemi di sintesi delle proteine maggiormente simili ai batteri rispetto che al citoplasma eucariotico, in accordo con l’ipotesi che questi organelli abbiano un’origine esogena (endosimbiontica) piuttosto che autogena (differenziazione

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intracellulare) (Allen, 1993; GilHham, 1994; Gray, 1991,1993; Howe et al., 1992). La filogenesi basata su sequenze di rRNA indicano che i cianobatteri sono ancestrali rispetti ai cloroplasti, mentre i membri della suddivisione alfa dei batteri sulfur purple sono probabilmente progenitori dei mitocondri (Gray, 1992,1993).

6.4 Struttura del genoma cloroplastico

A differenza dei loro antenati procariotici, né i cloroplasti né i mitocondri sono geneticamente autonomi, e le componenti che specificano le informazioni dei sistemi sintetizzanti le proteine degli organelli è diviso tra nucleo e organelli stessi. La divisione dei geni codificanti gli RNA e proteine tra due discreti compartimenti cellulari suggerisce che i meccanismi devono essersi evoluti per coordinare l’espressione di questi geni in modo tale che la sintesi delle proteine negli organelli possa procedere efficientemente. Mentre il genoma cloroplastico delle piante ha una comune organizzazione e simile contenuto genico, una grande variabilità è riscontrata nelle alghe, in particolare i geni delle proteine ribosomali che sono stati trattenuti negli organelli. I cloroplasti sono organelli poliploidi contenenti molecole circolari di DNA comprese tra 85 e 200 Kb organizzati in discrete membrane associate dette nucleoidi (Bonen et al., 1980; Koller and Deliea. 1980; Mazza et

al., 1980; Bibb, M et al., 1981). Diversi genomi cloroplastici di piante sono stati completamente

sequenziati: la dicotiledone tabacco (Nicotiana tabacum, 156 Kb) (Shinozaki et al., 1986), la monocotiledone riso (Oryza sativa, 135 Kb [Hiratsuka et al., 1989]), una marcanzia (Marchantia

polymorpha, 121 KB [Ohyama et al., 1988]) e altre. Ognuno contiene da 110 a 120 geni (Palmer,

1991). Queste sequenze, insieme alle mappe di restrizione e alle sequenze parziali di altre specie, indicano che la struttura di base dei cloroplasti e l’ordine genico nelle piante è altramente conservato. Sebbene le alghe verdi (Chlorophyta) sono viste come antenati delle piante, le alghe verdi attuali spesso mostrano un sostanziale riarrangiamento nell’ordine dei geni cloroplastici. Nel genoma cloroplasto di una tipica pianta terrestre (land plant) le regioni con sequenza unica da 15 kb a 25 kb e da 80 kb a 100 kb sono separate da due copie di una regione invertita ripetuta (IR), che in genere va da 20 a 30 kb di grandezza e contiene geni codificanti rRNA cloroplastici, alcuni tRNA, e spesso uno o più geni codficanti proteine specifiche (Palmer, 1991). Nell’ IR, l’operone dell’rRNA è orientato con il gene 23S rRNA più vicino alla piccola regione a singola copia e il gene 16S rRNA adiacente alla grande regione a singola copia. Le regioni ripetute hanno identica sequenza come conseguenza di un sistema attivo di correzione della copia (Boynton et al., 1992). Circa i due-terzi delle variazioni in lunghezza del genoma cloroplastico delle piante terrestri (120-216 kb) è spiegato dall’espanzione e delezione dell’IR (Palmer, 1991). Il genoma cloroplastico di minor dimensione è

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stato osservato nelle conifere (Malakhov et al., 1993; Strauss et al., 1988; White, 1990) ed in sei tribù della famiglia delle leguminose Fabaceae (Koller and Delius 1980; Palmer, 1991; Palmer and Thompson, 1982), i quali hanno perso la regione invertita ripetuta IR e quindi contengono solo una singola copia di ogni gene rRNA. Il cloroplasto di pino (Pinus thunbergii) possiede una corta sequenza IR, che contiene un gene tRNA e una parte della porzione 3’ del gene psbA, ma non i geni dell’ rRNA (Tsudzuki et al., 1992). In contrasto, le specie con il genoma cloroplastico esteso spesso hanno la regione IR molto espansa. I genomi cloroplastici dalle piante hanno un gruppo di componenti relativamente costante per i processi di sintesi delle proteine nell’organello (4 rRNA, da 30 a 31 tRNA, 21 proteine ribosomali e 4 subunità di RNA polimerasi) e per la fotosintesi (28 proteine tilacoidali più una proteina solubile, la ribulosio-1,5-bifosfato carbossilasi/ossigenasi [Rubisco]). Inoltre omologhi di 11 subunità del complesso I dei mitocondri dei mammiferi (i geni

ndh) sono tradotti dal DNA cloroplastico in piante da fiore e nelle specie di Marcanzia. Il genoma

cloroplastico delle gimnosperme, di marcanzia, e delle alghe (Chlamydomonas reinhardtii) che sintetizzano clorofilla al buio possiedono geni codificanti tre subunità di una riduttasi protoclorofillica luce-indipendente e che è stata ritrovata anche in procarioti fotosintetici (Liu et al., 1993). Questi geni sono assenti nel genoma cloroplastico di tabacco e di riso. Studi di mappaggio e di sequenziamento di diversi genomi cloroplastici di svariati taxa di alghe rivelano che questi hanno un ordine e contenuto genico molto più variabile rispetto alle piante terrestri. La caratterizzazione dei genomi cloroplastici di tre differenti specie di alghe verdi unicellulari del genere

Chlamydomonas indica che questi sono sostanzialmente pià ampi (C. reinhardtii, 196 kb; C. eugametos, 246 kb; C. Moewusii, 292 kb) dei cloroplasti delle piante terrsetri (Boudreau et al.,

1993,1994; Boynton et al., 1992; Harris, 1989). In queste specie le 2 copie dell’IR codificanti gli rRNA sono separate da una regione a sequenza unica di grandezza uguale. I geni cloroplastici nelle specie di Chlamydomonas sono anche ampiamente riarrangiati tra le specie relativamente distanti e rispetto alle piante terrestri (Bourque et al., 1991). L’alga verde Spirogyra maxima, presunta essere ancestrale rispetto alle piante terrestri, risulta priva di una copia IR e mostra alterazioni dell’ordine. (Lew et al., 1993; Manhart et al., 1990).

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6.5 Inverted repeat (IR)

Una delle caratteristiche indubbiamente interessanti è la presenza di una grande zona invertita ripetuta (IR) la quale lunghezza varia da 5 kb a 76 kb (Palmer, 1991). Questo riarrangiamento è dovuto alla duplicazione dei geni rRNA e di altri geni compresi nell’IR : solo gli rRNA sono presenti nell’IR (5kb) delle alghe brune, 10 in più nell’IR (25 kb) di tabacco e oltre 40 geni addizionali nell’IR (76 kb) di geranio. Il cpDNA di molte leguminose, conifere e alghe fanno eccezione e difettano di questa regione invertita ripetuta. Si suppone che gli IR erano presenti nel comune antenato delle piante terrestri e un segmento dell’ IR è stato perso in molte leguminose e conifere durante l’evoluzione (Palmer, 1991). In ogni modo la perdita dell’IR è parziale, almeno in pino (Pinus thunbergii), infatti parte dell’ IR è conservata nel suo genoma (Wakasugi, 1994).

Fig.1: Dimensione del genoma cloroplastico di alcune specie le zone in neretto del genoma corrispondono alla lunghezza degli IR.

6.6 Principali geni del cpDNA

Molti dei geni cloroplastici sono ora conosciuti tra i quali 30-36 geni per RNA e oltre 60 geni codificanti proteine (Sugiura, 1992). Questi geni possono essere suddivisi in due categorie: geni

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coinvolti nella trascrizione e traduzione e quelli relativi alla fotosintesi. Si è sempre pensato che l’organizzazione dei geni cloroplastici fosse uniforme da specie a specie. Invece, recenti analisi di genomi cloroplastici da una varietà di alghe ha rivelato che non è sempre così. Nuovi geni sono stati scoperti uno dopo l’altro nel genoma cloroplastico delle alghe. Nel genoma cloroplastico di

Porphyra sono stati scoperti 70 nuovi geni che non sono presenti nel genoma cloroplastico di altre

specie; un terzo di questi appartengono a una classe addizionale di geni codificanti la biosintesi degli aminoacidi, di acidi grassi, pigmenti e altro (Reith et al., 1993). Il genoma cloroplastico di

Porphyra appare il più arcaico.

Il DNA cloroplastico codifica per tutti gli rRNA e da 27 a 35 specie di tRNA. Tutti i 61 possibili codoni sono utilizzati nei geni cloroplastici codificanti polipeptidi. Il minimo numero di specie richieste per la traduzione di tutti e 61 i codoni è 32 nel normale riconoscimento codone-anticodone. Nessun tRNA che riconosce diversi codoni è stato riscontrato in accordo con il normale processo di “wobble base-pairing”. Se il meccanismo di “two-out-of-three” e “U:N wobble” avviene nel cloroplasto, probabilmente i tRNA codificati nel cloroplasto sono sufficienti a leggere tutti i 61 codoni (Shinozaki et al., 1986). Il genoma cloroplastico di Epifagus manca di 13 geni tRNA che sono presenti invece in altre specie come in tabacco, ed è molto probabile che questi tRNA siano codificati dal nucleo e importati successivamente all’interno del cloroplasto per effetto di una traslazione (translation) (Wolfe et al., 1992).

Sessanta o più polipeptidi sono codificati dal cpDNA. Questi includono componenti di trascrizione e traduzione, come subunità per RNA polimerasi, proteine ribosomali, fattori di traduzione e componenti dell’apparato fotosintetico come la Rubisco e subunità delle membrane tilacoidali. Nonostante questo le subunità degli apparati cloroplastici sono non solo prodotte dal cloroplasto stesso, ma anche prodotte dal nucleo. Ad esempio i due terzi delle proteine totali è importato dal nucleo e dal citoplasma. La determinazione di alcune sequenze del genoma cloroplastico evidenzia l’esistenza di gruppi genici inaspettati, come ad esempio i geni ndh, le cui sequenze aminoacidiche sono simili alla catena respiratoria NADH deidrogenasi dei mitocondri (Shinozaki et al., 1986; Ohyama et al., 1986). Questa osservazione suggerisce l’esistenza di una catena respiratoria all’interno dei cloroplasti, anche se rimane da determinare se esiste una NADH deidrogenasi (ndh) attiva all’interno del cloroplasto delle piante. I geni ndh sono assenti nei cloroplasti di Euglena e

Porphyra. In pino invece il genoma cloroplastico contiene geni ndh non funzionali dislocati nel

genoma come pseudogeni. Queste osservazioni suggeriscono che tutti i geni ndh sono trasferiti nel genoma nucleare di molte piante superiori e alghe.

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Fig.2: Struttura del genoma cloroplastico di Vitis vinifera (~160kb); IRa e IRb sono le regioni invertite ripetute contenenti il gene ycf2. SSC e LSC sono rispettivamente la regione breve a singola copia e la regione estesa a singola copia.

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7. Espressione dei geni cloroplastici

I geni cloroplastici sono trascritti da più di una classe di RNA polimerasi DNA-dipendenti (Pfannschmidt et al., 1994). L’analisi delle sequenze dei DNA cloroplastici rivela che questi DNA contengono omologhi (rpoA, rpoB, rpoC) dei geni codificanti le subunità .  H ¶ GHOOH 5NA polimerasi di Escherichia Coli, che indicano la presenza di una E. Coli-Like RNA polimerasi. Comunque è stata individuata la sintesi di RNA in cloroplasti in mancanza di ribosomi cloroplastici funzionali, e conseguentemente, prodotti di traduzione cloroplastici incluse le subunità di E. Coli-Like RNA polimerasi, che implica l’esistenza di una seconda RNA polimerasi codificata interamente nel nucleo e trasportata all’interno del cloroplasto. Inoltre, una RNA polimerasi strettamente legata al DNA traducente geni rRNA e una T7-like singola subunità dell’RNA polimerasi sono state riscontrate nel cloroplasto. Le regioni a monte di molti siti di inizio della trascrizione del cloroplasto contengono motivi simili ad elementi promotori di E. coli posizionati a -10/-35, i quali sono riconosciuti come E. coli-Like RNA polimerasi. Infatti, una classe di geni tRNA cloroplastici è stata identificata e non necessita delle regioni a monte del 5’ per la trascrizione. I geni psbA nelle piante superiori contengono entrambi i motivi -10/-35 e tra loro il TATA Box eucariotico. Siti multipli di inizio della trascrizione sono spesso osservati in molti genomi cloroplastici, compresi i geni per rRNA e i geni atpB/E, molti dei quali difettano di elementi promotori, suggerendo l’esistenza di un nuovo tipo di promotore addizionale. Così il genoma cloroplastico contiene almeno tre promotori strutturalmente distinti, situazione compatibile con l’esistenza di RNA polimerasi multiple. I geni cloroplastici sono generalmente co-trascritti, e i trascritti policistronici sono processati in molti tipi di RNA overlapping. Il processo post trascrizionale dei trascritti primari nel cloroplasto consiste di reazioni multiple, incluso il cutting, il 3’-trimming, cis/trans splicing e RNA editing, il quale rappresenta un passaggio fondamentale per il controllo dell’espressione genica nel cloroplasto (Deng et al., 1987). E’ richiesto inoltre che i precursori dell’ rRNA e tRNA vengano processati per creare RNA funzionali.

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7.1 Trans-splicing

Alcuni dei geni cloroplastici contengono introni. Il contenuto di questi introni è conservato nelle piante terrestri, mentre nelle alghe ci sono molte diversità: 149 introni sono presenti in Euglena i quali occupano circa il 40 % del genoma, ma nessuno in Porphyra. La maggior parte dei geni contenenti introni nelle piante superiori hanno un singolo introne, mentre si hanno introni multipli in geni di Euglena e Chlamydomonas. Sei geni cloroplastici per tRNA nelle piante superiori contengono introni, ma nessuno è stato trovato nei cloroplasti di alghe. Tra tutti i geni cloroplastici contenenti introni il gene S12 (rps12), codificante una proteina ribosomale nelle piante superiori, e il gene A1 (psaA), codificante una proteina del fotosistema I, sono estremamente interessanti. Il gene rps12 di tabacco infatti è diviso in una copia dell’esone 1 (38 codoni) e 2 copie dell’esone 2 (78 codoni)/ introne (536 bp)/ esone 3 (7 codoni). Le prime 2 porzioni sono separate tra di loro e sono trascritte indipendentemente. Questi due trascritti sono uniti in trans per produrre l’mRNA maturo. Il fianco 3’ dell’esone 1 e il fianco 5’ dell’esone 2 combaciano con la sequenza conservata di legame degli introni. E’ notevole che il gene rps12 richieda sia uno splicing di tipo cis che trans per la produzione di mRNA maturo.

Il gene psaA di Chlamydomonas è anch’esso diviso in tre parti (Rochaix, 1992). Il primo esone formato da 30 codoni dista 50 kb dal secondo esone (60 codoni), il quale dista 90 kb dal terzo esone (661 codoni). Tutti questi esoni sono affiancati da sequenze di legame introniche. I tre esoni sono descritti come precursori indipendenti e la maturazione dell’mRNA dipende dal trans-assemblaggio di questi 3 trascritti separati.

Fig.3: A sinistra processamento dell’mRNA con cis e trans-splicing in tabacco, a destra processamento dell’mRNA con 2 fenomeni di trans-splicing in Chlamydomonas.

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7.2 mRNA 3’-trimming

Molti mRNA di plastidi contengono sequenze ripetute (IR) nella loro coda 3’ non tradotta (UTRs), è stato osservato che queste ripetizioni fanno si che l’mRNA subisca un ripiegamento su se stesso formando una struttura avvolta (stem-loop structure). Queste sequenze ripetute non funzionano come terminatori trascrizionali, ma servono per mantenere stabile l’mRNA e processare correttamente la coda 3’ (Drager and Stern, 1998; Gruissem and Schuster, 1993). Il processamento della coda 3’ dell’mRNA nei plastidi è stata studiata in vitro utilizzando estratti di proteine cloroplastiche e RNA sintetici (Hayes et al., 1996; Nickelsen and Link, 1993; Stern and Gruissem, 1987, 1989; Stern and Kindle, 1993;Stern et al., 1989). I risultati di questi esperimenti suggeriscono che il precursore dell’mRNA contenenti estensioni nella coda 3’ formanti ripiegamenti (stem-loops) sono inizialmente processati da specifiche endonucleasi di rottura a valle dello stem-loop. Successivamente una esonucleasi 3’-to-5’ taglia l’intermedio processato per creare la coda 3’ dell’mRNA maturo (Stern and Kindle, 1993; Hayes et al.,1996). Il processamento della coda 3’ può in molti casi essere portato a termine soltanto da un taglio esonucleolitico (exonucleolytic trimming) (Stern and Gruissem, 1987; Stern et al., 1989). E’ stato inoltre dimostrato che queste ribonucleasi lavorano in collaborazione con RNA-bindings proteins (RBPs) (Schuster and Gruissem, 1991; Lisitsky et al., 1995; Hayes et al., 1996). Queste RBPs potrebbero dirigere l’esonucleasi verso la coda 3’ del precursore e stabilizzare il ripiegamento allo scopo di prevenire il rilassamento ed evitare la successiva digestione del corpo del trascritto.

7.3 RNA editing

Un’altra interessante reazione studiata durante il processo post trascrizionale del cloroplasto è l’RNA editing. L’RNA editing è definito come la modificazione post trascrizionale del pre-RNA per alterare la sua normale sequenza nucleotidica tramite inserzione, delezione o specifiche sostituzioni di determinati nucleotidi, così da produrre RNA funzionali. Il gene che codifica una proteina ribosomale L2 (fpl2) di mais e riso ha un codone noto ACG nella posizione corrispondente a un codone di inizio ATG di geni analizzati appartenenti ad altre specie. Lo studio dell’mRNA rpl2 di mais rivela che il codone ACG è convertito in AUG, codone di inizio, da uno scambio della base U con la base C (Hoch et al., 1991). L’RNA editing non si limita solo a codoni iniziali, ma è stato anche osservato nei codoni interni. Questo fa presupporre che l’RNA editing sia un evento funzionalmente significativo e che i codoni, con aminoacidi sostituiti, possano essere conservati

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nelle proteine di altre piante. Tuttavia recenti analisi di trascritti cloroplastici in pino, hanno dimostrato che uno scambio di base da C a U avviene in posizione 3 del codone e non è atteso alcun cambiamento aminoacidico (silent editing). Inoltre 2 alterazioni di base da C a U sono state osservate produrre codoni di START e di STOP direttamente su un trascritto cloroplastico sempre in pino. Questo processo di editing crea un nuovo polipeptide che non può essere ricondotto a una sequenza di DNA. Diversi siti interessati da RNA editing sono stati scoperti nei trascritti di monocotiledoni, dicotiledoni e gimnosperme, mentre nessuno è stato localizzato in marcanzia né in alghe.

L’esistenza di trans-splicing e RNA editing indica che le sequenze proteiche cloroplastiche possono non sempre essere prodotte da continue sequenze di DNA, e, perciò per un accurato studio dell’espressione genica del cloroplasto è necessario l’analisi del processamento post trascrizionale. Perché i cloroplasti abbiano dei sistemi così elaborati rimane irrisolta. Si ipotizza che questi steps siano residui di processi arcaici di sintesi proteica superati da un più efficiente immagazzinamento delle informazioni proteiche nelle sequenze aminoacidiche.

8. Coordinazione dei sistemi genici nucleari e organellari

E’ ampiamente accettato che gli antenati di mitocondri e cloroplasti erano organismi procarioti che vivevano liberamente capaci di respirare e fotosintetizzare indipendentemente (McFadden, 2001). Questi organismi sono stati assimilati nelle cellule vegetali da una serie di eventi endosimbionti miliardi di anni fa. Da qui in poi i geni endosimbionti sono stati gradualmente trasferiti e integrati nel genoma nucleare così che ora diversi geni codificanti proteine cloroplastiche risiedono nel nucleo. La perdita di geni organellari però è incompleta e gli organelli mantengono totalmente funzionale il loro endogeno sistema genico e un certo livello di autonomia. L’esistenza nella stessa cellula di tre diversi genomi, nucleo, cloroplasti e mitocondri, presenta un grande problema per piante e alghe: la coordinazione di questi sistemi. Molti processi complessi infatti richiedono input dai vari compartimenti, come la fotosintesi, che può essere elaborata effettivamente ed efficientemente in risposta ai segnali di cambiamento dello sviluppo e dell’ambiente.

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8.1 Interazione Nucleo – Cloroplasto

La coordinazione degli eventi nel nucleo e nel cloroplasto necessita di uno scambio di informazioni o segnali intercompartimentali. La maggior parte di queste informazioni di scambio tra organelli fluisce dal nucleo verso il cloroplasto, piuttosto che vice versa, infatti non meno del 90% dei geni cloroplastici risiedono nel nucleo. L’importazione di proteine nucleari nei cloroplasti costituisce un grande flusso di informazioni, ed elaborati meccanismi si sono evoluti perché queste informazioni non siano perse (Keegstra and Cline, 1999). Nonostante molte proteine importate nei cloroplasti siano componenti strutturali, più precisamente dell’apparato fotosintetico e del sistema genico dello stesso cloroplasto, un gran numero gestisce funzioni regolatorie allo scopo di facilitare il controllo del nucleo sui vari compartimenti organellari. Nei cloroplasti si ha in prevalenza un tipo di regolazione post-trascrizionale, e, in molti casi, un singolo fattore codificato dal nucleo è specificatamente richiesto per un particolare step nell’espressione di un singolo gene codificato nel cloroplasto, creando un’interazione di tipo ‘gene for gene’ (Rochaix, 2001).

8.2 Interazioni Cloroplasto – Nucleo

Nonostante la grande influenza del nucleo sul cloroplasto, ci sono diverse dimostrazioni che indicano che il flusso di informazioni nella cellula vegetale non sono interamente unidirezionali, ed è chiaro che segnali cloroplastici esercitano una sostanziale influenza sul nucleo e sul resto della cellula (Oelmüller, 1989; Hedtke et al.,1999). Studi recenti sul sistema di segnali cloroplasti-nucleo utilizzano piante mutanti deficienti in carotenoidi, o piante con inibitori della via biosintetica dei carotenoidi come l’erbicida Norfluorazon (Oelmüller, 1989). I carotenoidi prevengono la formazione delle specie reattive dell’ossigeno con l’abbattimento dello stato eccitato delle molecole come ad esempio il triplo stato (triple-state) della clorofilla. In questo modo i cloroplasti deficienti di questi composti protettivi soffrono di gravi danni foto-ossidativi interni quando esposti a luce intensa. I danni appaiono essere ristretti al cloroplasto, sebbene un sottoinsieme di geni nucleari codificanti proteine cloroplastiche è enormemente e specificatamente espresso. Questo indica che i cloroplasti sono in grado di comunicare il loro stato funzionale al nucleo e che il nucleo manovra opportuni cambiamenti nell’espressione genica.

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8.3 Interazione tra organelli

Certamente il nucleo esercita un controllo genico sugli organelli, mentre i cloroplasti hanno sicuramente geni che controllano la loro stessa divisione (Strepp et al., 1998; Wakasugi et al., 1997). Questi geni sono omologhi ai geni di batteri in accordo con l’evento endosimbiontico tra arcaici cianobatteri e i loro ospiti eucarioti. Infatti i cloroplasti sono semiautonomi in quanto sono in parte responsabili di un proprio processo metabolitico e di divisione. Questo è chiaro da quanto è stato osservato che molti geni cloroplastici sono stati trasferiti nel nucleo (Thorsness and Fox, 1990; Blanchard and Schmidt, 1995; Martin and Hermann, 1998). Ma può esserci un controllo organellare su altri organelli? La risposta sembra essere si. Un recente articolo (Bennoun et al., 1999) rivela che soppressori cloroplastici in Chlamydomonas esercitano un controllo su mutazioni cloroplastiche e mitocondriali. Bennoun e Delosme (1999) hanno utilizzato diverse linee di Chlamydomonas nella ricerca di mutazioni nei geni cloroplastici che riducevano le funzioni dei mitocondri. Bennoun e Delosme ipotizzano che in C. reinardtii i mitocondri producono tre tipi di tRNA e nei mutanti mitocondriali questi non vengano prodotti, sono perciò costretti a importarli dal citosol. I tRNA sono prodotti dal nucleo, ma anche dai cloroplasti. La capacità del cloroplasto di fornire tali tRNA da la possibilità dell’esistenza di un controllo genetico organellare.

9. Il gene cloroplastico ycf2

Il gene ycf2 cloroplastico codifica per una proteina di grandi dimensioni (2280 aminoacidi) di funzione non ancora determinata. Esso si trova nel plastosoma di molte piante, incluso il parassita non-fotosintetizzante Epifagus. Il gene è tradotto (Glick and Sears, 1993), ed è più abbondante nei frutti e nei fiori che nelle foglie (Richards et al., 1994). Il gene sembra promuovere qualche funzione vitale per la cellula della pianta, come il lavoro di Drescher (Drescher et al., 2000) suggerisce, poichè una delezione mutante del gene è letale. Il gene ycf2 è localizzato in una zona invertita ripetuta (IR) nel plastosoma delle dicotiledoni. Questa regione si evolve molto più lentamente che il resto del genoma cloroplastico (Rainer et al., 1995). Questo implica che i geni in queste regioni sono protette da rapidi cambiamenti rispetto agli altri geni plastidici. Infatti, gli altri geni di questa regione sono tipicamente operoni rRNA, proteine ribosomali, e geni tRNA, che sono candidati ideali per la protezione delle mutazioni in virtù della loro necessità per la trasduzione dei geni rimanenti nel plastosoma (Raftis, 2001). Il gene appare tollerante a inserzioni e delezioni (Downie et al., 1994). Inoltre il locus ORF2280 (ycf2) è uno pseudogene in molte linee indipendenti di angiosperme, incluse le erbe (Hiratsuka et al., 1989; Dowie et al., 1994). E’ stato inoltre scoperto

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che un omologo dell’ ycf2 è presente nel genoma plastidico di Epifagus virginiana, una pianta parassita non-fotosintetica (DePamphilis and Palmer, 1990). Il DNA plasmidico di Epifagus

virginiana manca di tutti i geni responsabili del metabolismo fotosintetico e della clororespirazione,

questo suggerisce che la proteina codificata dall’ ycf2 non è coinvolta in questi processi. Glick e Sears (1993) hanno osservato che un anticorpo specifico per la proteina prodotta dal gene ycf2 (espresso in E.coli) identifica una proteina solubile di 170-180 Kda in estratti di cloroplasti. Questo suggerisce che il primo prodotto della traduzione in proteina può essere soggetto a processi post-traduzionali. La ricerca in database con il software BLAST (Altschul et al., 1990) e successive analisi con BLOCKS (henikoff et al., 1991) indicano che regioni conservate corrispondono a sequenze della famiglia genica CDC48 e FtsH di E.coli.

La famiglia CDC48 include proteine da procarioti, lieviti, plasmodium, e vertebrati, con una grande varietà di funzioni (Mian, 1993).

La similarità tra tutti i membri della famiglia riguarda un dominio conservato di circa 200 aminoacidi su un totale di 2280. Molte di queste proteine contenenti tale dominio sono in un modo o nell’altro coinvolte nella divisione cellulare (CDC48, FtsH). Tre proteine della famiglia (VCP S4 e MSS) sono state identificate come subunità della proteasi 26S in umani (Dubiel et al., 1992,1993 e Rechesteiner et al., 1993). Questa proteasi ha un grande complesso multimerico con attività ATPasica. L’omologo di VCP (p97) in Xenopus è stato attribuito a una ATPasi 15S composta da sei subunità identiche (Peters et al.,1993). Un’altra proteina di questa famiglia è una NFS in criceto (hamster) ed è stata identificata come una proteasi multimerica (Peters et al., 1992). Le figure unificanti di questa proteina potrebbero condurre a una funzione ATPasi proteolitica (proteasi ATP-dipendente) come suggerito da Dubiel et al (1992), tuttavia l’attinenza di una proteasi nella funzione vescicolare nella BCS di lievito (che probabilmente corrisponde ad una chaperonina) rimane non chiara. Anche se è probabile che il gene ycf2 codifichi per una ATPasi della famiglia CDC48 non ci sono ancora sufficienti informazioni per affermare questa ipotesi.

Dati recenti sull’attivazione genica differenziale indotta in cloni resistenti e sensibili di olivo in seguito a stress da freddo hanno permesso l’isolamento di un frammento di cDNA di ycf2 di olivo che indicava l’attivazione del gene in piante resistenti come riportato in figura 4 (Bernardi et al., in stampa; Durante et al., in stampa).

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Fig. 4: Slot blot degli RNA totali estratti da materiali sensibili (Cv 4) e resistenti (Cv 18) al freddo trattati a differenti temperature (25°C; 10°C, 14 d; 5°C, 7 d; 0°C 1 d; -5°C3 h; -10°C 23 h) dopo ibridazione con la sonda ycf2 (clone SAG3).

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Scopo del lavoro

Il presente lavoro di tesi si inserisce in linee di ricerca che vengono portate avanti nella sezione di Genetica del Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie mirate alla individuazione di batterie di geni attivati da stress di natura biotica ed abiotica ed ai meccanismi di regolazione dell’espressione dei medesimi. In particolare ci siamo orientati recentemente verso l’isolamento di un gene cloroplastico, ycf2, importante per la sopravvivenza cellulare nelle piante, un frammento di cDNA del quale è stato individuato nel corso di studi sull’attivazione genica differenziale in piante di olivo (Olea europaea) sensibili e resistenti al freddo. Di tale gene non si conosce quasi nulla, né il prodotto(i) di traduzione terminale né la funzione del/dei medesimo(i).

Lo scopo del lavoro è di arrivare ad individuare il/i prodotto(i) attraverso la produzione di anticorpi specifici da utilizzare con metodologie di immunoelettroforesi: per arrivare a ciò è necessario conoscere la sequenza nucleotidica completa e la relativa sequenza aminoacidica teorica, tenendo conto ovviamente delle difficoltà a cui si va incontro, dal momento che non si conoscono le modificazioni post-trasduzionali del polipeptide primario. L’idea è di costruire anticorpi contro diverse porzioni aminoacidiche specifiche, oppure di fare un costrutto di espressione con un gene

reporter ad attività anticorpale.

L’altro scopo è di vedere se il gene è attivato in tessuti specifici durante il ciclo ontogenetico della pianta, utilizzando inizialmente analisi di RT-PCR di tipo semiquantitativo e successivamente mediante tecniche di ibridazione in situ.

Infine si intende valutare se il gene, oltre che da freddo, è indotto anche da altri stress, biotici ed abiotici, in altre piante.

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1. Materiale vegetale

I materiale vegetale di partenza utilizzato per il sequenziamento del gene ycf2 sono foglie giovani di

Olea europea cv Leccino cresciuta in campo. Il prelievo dei campioni è stato fatto nel periodo

primaverile.

Le specie arboree scelte per l’analisi dell’espressione del gene ycf2 sono olivo, platano e pioppo:

¾Sono stati raccolti dalla pianta foglie e frutti di olivo (Olea europea cv Leccino) a diversi stadi di maturazione e a condizioni di ombreggiamento o esposizione diretta ai raggi solari.

¾Sono state analizzate foglie di platano (Platanus acerifolia) trattate con il patogeno fungino e foglie trattate con cerato-platanina. I conidi del fungo, come la cerato-platanina, sono state somministrate direttamente sulla superficie fogliare. I campioni sono stati prelevati dopo 48 ore di trattamento.

¾Sono state analizzate foglie di due cloni ibridi di pioppo (Populus deltoides x

maximowiczii, clone Eridano sensibile ad ozono, e Populus x euramericana,

clone I-214 tollerante ad ozono) cresciuti in condizioni di fumigazione con ozono (150 ppm per 5 ore).

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2. Estrazione del DNA da foglie di olivo

2.1 Metodo Promega

Il protocollo utilizzato per l’estrazione del DNA genomico cloroplastico è lo Wizard® Magnetic

DNA Purification System for Food della Promega. Per l’estrazione sono necessari 200 mg di foglie

fresche di olivo (Olea Europea cv Leccino).

Materiale utilizzato:

70% ethanol wash solution etanolo 95%

pipette tips (ART®)

centrifuga da tavolo (13.000 rpm) vortex mixer

Nuclease-Free Water 2ml microcentrifuge tubes isopropanolo

Materiale fornito dal kit:

MagneSphere® Technology Magnetic Separation Stand (two-position) 1.5ml PolyATtract® System 1000 Magnetic Separation Stand 1 each

Nuclease-Free Water 50ml (2 × 25ml) Lysis Buffer A, Food 100ml

Lysis Buffer B, Food 100ml

Precipitation Solution, Food 150ml RNase A Solution, 4mg/ml 1ml

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Vengono pesati 200 mg di foglie fresche di olivo e trasferite in un tubo per microcentrifuga da 2 ml, FRQLOWXERLQSRVL]LRQHREOLTXDHLOPDWHULDOHFKHRFFXSDXQVRORODWRDJJLXQJLDPROGLLysis

Buffer$HOGL5QDVH$6LWDSSDLOWXERHVLDJLWDFRQLOYRUWH[YLJRURVDPHQWH

6L DJJLXQJRQR RUD  O GL Lysis Buffer B e si agita con il vortex per 10 – 15 secondi. Ci accertiamo che tutto il liquido il materiale e si incuba per 10 minuti a temperatura ambiente (22-ƒ& $JJLXQJLDPROGLPrecipitation Solution, poi si agita efficacemente con il vortex. A questo punto mettiamo il tubo in centrifuga da tavolo e centrifughiamo alla massima velocità (13.000 rpm) per 10 minuti. preleviamo il surnatante (fase liquida) e lo mettiamo in un nuovo tubo per microcentrifuga da 2 ml. Ora agitiamo il flacone contenente il mix MagneSil® PMPs per 15-30 secondi per assicurare che le particelle metalliche siano cinteramente risospese.

Si aggiunge ora al campione 0,8 in volume di isopropanolo. Si capovolge il tubo per 10-15 volte per mescolare e si incuba a temperatura ambiente per 5 minuti a temperatura ambiente (22-25°C) con occasinali capovolgimenti. Ora si inseriscono i tubi nel MagneSphere® Technology Magnetic

Separation Stand e si lasciano per 1 minuto. Lasciando il tubo nello Stand si rimuove il liquido

pipettandolo. Successivamente si rimuove il tubo dallo stand e vi si aggiungono 250 µl di Lysis

Buffer B e si capovolge il tubo per 2-3 volte per mescolare. Riponiamo nuovamente il tubo nel Magnetic Separation Stand e lasciamo che le particelle metalliche si raccolgano per 1 minuto. La

soluzione viene rimossa con pipettamento come nella fase precedente. Questo passaggio viene ripetuto per un totale di 3 lavaggi. Con la pipetta si cerca di rimuovere tutta la fase liquida dell’ultimo lavaggio si toglie il tubo dallo Stand e si lascia asciugare per 15-30 minuti a temperatura ambiente (o 65°C per 10 minuti). Vengono aggiunti ora 100 µl di TE buffer o Nuclease-Free Water, si agita col vortex e si incuba a 65 °C per 5 minuti. Inseriamo nuovamente il tubo nel Magnetic

Separation Stand per 1 minuto, e aspettiamo che le sferette metalliche si raccolgano. Preleviamo il

DNA lasciando il tubo nello Stand e trasferendo accuratamente il liquido in un nuovo tubo. Portiamo il volume a 100 µl aggiungendo Nuclease-Free Water.

(32)

Figura 1: Schema semplificato per l’isolamento del DNA con Wizard® Magnetic DNA Purification

(33)

2.2 Metodo Della Porta et al. (1983)

Per l’estrazione del DNA vengono utilizzati 1-1.5 g di tessuto vegetale, prelevato dalle foglie di Olea europea.

Il materiale viene accuratamente lavato con acqua sterile, congelato mediante immersione in azoto liquido, polverizzati in mortaio con azoto liquido e quarzo. La polvere ottenuta viene trasferita in tubi da centrifuga graduati nei quali vengono aggiunti successivamente 20 ml di tampone di estrazione e 3 ml di SDS 10% (necessario per lisare le membrane nucleari): la miscela viene incubata per 30 minuti a 65°C, agitando saltuariamente. A questo punto vengono aggiunti 7 ml di soluzione A ed il campione viene nuovamente incubato per 30 minuti a 0°C, e centrifugato a 14000 rpm in rotore Kontron A 8.24 per 30 minuti a 4°C.

Il sovranatante viene filtrato con Miracloth sterile in tubo da centrifuga graduato, nel quale vengono poi aggiunti 0,6 volumi di isopropanolo; dopo una breve agitazione il campione viene incubato a – 20°C per una notte.

Successivamente si centrifuga a 12000 rpm in rotore Kontron A8.24 per 20 minuti a 4°C, e il pellet ottenuto, dopo essere stato asciugato, viene risospeso in 0,7 ml di soluzione B.

Il tutto viene trasferito in eppendorf e centrifugato in microcentrifuga per 10 minuti; la fase acquosa viene recuperata e addizionata ad un volume di fenolo-cloroformio, agitata lentamente e centrifugata in microcentrifuga per 10 minuti.

Il sovranatante viene nuovamente recuperato e addizionato ad un volume di cloroformio-alcool isoamilico, agitato e centrifugato come sopra.

Infine il DNA è stato precipitato aggiungendo al sovranatante recuperato 1/10 del volume di sodio acetato 3M pH 5,2 e 0,6 volumi di isopropanolo freddo: dopo aver agitato si centrifuga in microcentrifuga per 10 minuti.

Il pellet ottenuto è stato lavato con alcool etilico al 70% freddo, asciugato accuratamente, e solubilizzato in un adeguato volume di acqua sterile o TE pH 7.8.

(34)

Soluzioni utilizzate:

TAMPONE DI ESTRAZIONE: TRIS HCl pH 8 100 mM EDTA pH 8 50 mM NaCl 500 mM -mercaptoetanolo 10 mM SOLUZIONE A (100 ml): K acetato 5M 60 ml CH3COOH 11,5 ml H2O 28,5 ml

FENOLO/CLOROFORMIO: Fenolo saturo e cloroformio miscelati in rapporto 1:1 (v/v)

CLOROFORMIO: Cloroformio e alcool isoamilico miscelati in rapporto 24:1, saturi con Tris-HCl 100 mM pH 8 TAMPONE TE (pH 7,8): Tris-HCl 10 mM pH 7,8 Na2 EDTA 1 mM pH 8 SSC 20 X: NaCl 3 M Sodio-citrato 0,3 M Portare a pH 7 con acido citrico e autoclavare

(35)

2.3 Trattamento con RNasi A

Il campione viene trattato con 100 µg/ml di RNasi A (soluzione stock: 10mg/ml in Tris-HCl pH 7,5; NaCl 1,5 mM) per 2 ore a 37°C in lenta agitazione.

Si ripetono quindi i passaggi con fenolo-cloroformio e cloroformio-isoamilico per eliminare i residui proteici, ed infine il DNA viene nuovamente precipitato, centrifugato e risospeso nel minimo volume di acqua sterile o TE pH 7,8.

3. PCR

Il sequenziamento del gene ycf2 verrà effettuato da prodotto di PCR attraverso un sequenziatore automatico, per ottenere la massima efficienza di lettura è perciò necessario ottenere un ottimo prodotto di PCR senza bande aspecifiche ottimizzando concentrazioni e temperature del processo di PCR.

Schema della reazione di PCR:

DNA genomico (20ng/O) (20ng) 1O Primer (left) (0,5 µM) 1 O Primer (right) (0,5 µM) 1O dNTP mix 10mM (c.f. 0,2 mM) 0,4O 10x PCR buffer (c. f.. 1X) 2O MgCl2 25mM (c.f. 1,5 mM ) 1,2O

Taq DNA polimerasi (1,25 U) 0,2O H2O 13,2O

_______________________________________ Volume finale 20O

A causa della lunghezza (6635 bp) abbiamo suddiviso il gene ycf2 in 5 parti per rendere possibile il sequenziamento. E’ stato fatto un multiallineamento dell’omologo di ycf2 in altre specie (Accession

number: populusAP008956, EucalyptusAY780259, citrusDQ86473, platanusDQ923116,

prunusDQ768222, sileneAB189069) e sono stati costruiti primer nelle zone di massima similarità tra le diverse sequenze scelte, cercando di dividere il gene in 5 parti di lunghezza simile. Abbiamo anche fatto fatto in modo che l’inizio e la coda della sequenza si sovrapponesse a quella adiacente (overlapping) per ottenere un sequenziamento continuo.

(36)

primer e per il tempo di estensione, in base alla lunghezza della sequenza che vogliamo amplificare: Regione 1 N° Cicli Temperatura Tempo Preciclo 94°C 3’ denaturazione 94°C 30” annealing 55°C 40” estensione 72°C 1’30” 30 Cicli completamento 72°C 7’ hold 4°C ’ Regione 2 N° Cicli Temperatura Tempo Preciclo 94°C 3’ denaturazione 94°C 30” annealing 58°C 40” estensione 72°C 1’30” 30 Cicli completamento 72°C 7’ hold 4°C ’ Regione 3 N° Cicli Temperatura Tempo Preciclo 94°C 3’ denaturazione 94°C 30” annealing 58°C 40” estensione 72°C 1’30” 30 Cicli completamento 72°C 7’ hold 4°C ’

Figura

Fig. 4: Slot blot degli RNA totali estratti da materiali sensibili (Cv 4) e resistenti (Cv 18) al freddo  trattati a differenti temperature (25°C; 10°C, 14 d; 5°C, 7 d; 0°C 1 d; -5°C3 h; -10°C 23 h) dopo  ibridazione con la sonda ycf2 (clone SAG3)
Figura 1: Schema semplificato per l’isolamento del DNA con Wizard® Magnetic DNA Purification
Figura 1: Mappa  circolare del vettore pGEM ®

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