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IL MALFUNZIONAMENTO MNESTICO DEL PAZIENTE CON DISTURBO D'ANSIA

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CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN PSICOLOGIA CLINICA E

DELLA SALUTE

" IL MALFUNZIONAMENTO MNESTICO

DEL PAZIENTE CON DISTURBO D'ANSIA "

RELATORE:

CHIAR.MO PROF. MARCO ROSARIO TIMPANO SPORTIELLO

CORRELATORE:

CHIAR.MO DOTT. DAVIDE MARIA CAMMISULI

CANDIDATO:

MICHELE GNOFFO

ANNO ACCADEMICO 2013 / 2014

Dipartimento Di Medicina Clinica e Sperimentale

Direttore: Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'area Critica Direttore: Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore: Prof. Giulio Guido

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Dedykowane dla mojego dziadka

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Indice

IL MALFUNZIONAMENTO MNESTICO DEL PAZIENTE...5

CON DISTURBO D'ANSIA...5

Parte I...7

1.1. Introduzione ai disturbi di memoria nell'ansia...7

1.2. Working Memory...10

1.3. L'impegno dell'esecutivo centrale...14

1.4. Differenti processi di controllo attentivo...17

1.5. Meccanismi neurobiologici del controllo attentivo nella condizione ansiosa ...21

1.6. Bias attentivo...23

1.7. Orientamento del bias attentivo...26

1.8. Natura dell'interferenza...28

1.9. Il funzionamento della memoria a lungo termine...32

1.10. Bias mnestico...33

1.11. Funzionamento mnestico episodico per materiale neutro...36

1.12. Codifica vs Richiamo...38

1.13. La vulnerabilità cognitiva nei disturbi d'ansia...39

1.14. Riabilitazione cognitiva dei disturbi d'ansia...43

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2.1. DESCRIZIONE DELL'IPOTESI DI RICERCA...45

2.2. METODO...53

2.3. ANALISI STATISTICHE...67

2.4. RISULTATI...68

2.5. LIMITI DEL LAVORO SPERIMENTALE...83

2.6. SOGGETTI E SUDDIVISIONE NEI SOTTOGRUPPI...85

2.7. CONCLUSIONI...89

(5)

IL MALFUNZIONAMENTO MNESTICO DEL PAZIENTE

CON DISTURBO D'ANSIA

Questo lavoro di tesi tratta un aspetto che spesso emerge nel corso della valutazione clinica dei soggetti con disturbi d'ansia; l'alterazione del sistema della memoria.

Questo aspetto viene segnalato da alcuni pazienti che trovano talvolta difficoltà a ricordare delle cose, il più delle volte però si considerano queste dimenticanze come conseguenza sintomatica diretta, e priva di rilevanza specifica, del disturbo psichiatrico.

La comparsa dell'approccio della psicopatologia cognitiva moderna negli ultimi decenni ha dato il via allo studio degli aspetti neuropsicologici implicati nei disturbi psichiatrici. Funzioni come la memoria o il sistema esecutivo, ad esempio, sono considerati diversamente rispetto a come venivano considerati dai modelli classici della malattia mentale, si ritiene infatti che questi aspetti, se alterati, siano coinvolti nel mantenimento del disturbo e che la loro fragilità rappresenti un importante fattore di vulnerabilità.

Nell'affrontare l'argomento verrà esposta innanzitutto una rassegna dei modelli teorici che si sono sviluppati per comprendere l'indebolimento della memoria a breve termine nella condizione ansiosa, ripercorrendo le tappe che hanno portato a considerare l'alterazione del funzionamento dell'esecutivo centrale della working memory come il perno del disturbo neuropsicologico nel soggetto ansioso.

Successivamente si andrà ad esplorare la memoria a lungo termine, cercando di tenere conto anche della natura delle difficoltà affiorate nel campo della

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ricerca e che hanno permesso di ottenere solo una parziale comprensione del meccanismo, in particolar modo della componente episodica.

Dopo di che verranno discusse alcune delle parti affrontate precedentemente per cercare di fornire una prospettiva che sta crescendo sempre più nel panorama scientifico, che vede nella riabilitazione delle alterazioni neurocognitive uno spiraglio per una diversa concezione di trattamento dei disturbi psichiatrici.

Il lavoro di tesi si concluderà con l'indagine sperimentale, affrontata nella seconda parte, nella quale un campione di pazienti con diagnosi psichiatrica di disturbo d'ansia sarà sottoposto ad una valutazione del sistema della memoria attraverso una batteria di test (Wechsler Memory Scale-IV; Span di Cifre, Trail Making Test [A,B]). Questi strumenti ci permetteranno di confrontare i rendimenti ottenuti ai diversi subtest che misurano le varie componenti del sistema mnestico.

Lo scopo è quello di indagare se un malfunzionamento della memoria a lungo termine sia derivato unicamente dal disturbo della memoria di lavoro o se entrano in gioco altri elementi.

Si tenterà, sebbene siano presenti evidenti limiti metodologici, di cogliere alcune caratteristiche del funzionamento mnestico che potrebbero diventare uno spunto per ricerche future.

Keywords: Disturbo d'ansia, Memoria, Working Memory, Psicopatologia Cognitiva,

Neuropsicologia

(7)

Parte I

1.1.

INTRODUZIONE AI DISTURBI DI MEMORIA NELL'ANSIA

Che cos'è l'ansia? La definizione più comune utilizzata è quella di “paura senza oggetto”.

David Barlow nel suo volume sui disturbi d'ansia (2002) descrive i concetti di paura e di ansia (pag.104) rispettivamente come:

- “l'allarme primitivo in risposta ad un pericolo presente, caratterizzato da un forte arousal e delle tendenze all'azione”.

- “emozione orientata al futuro, caratterizzata dalla percezione di incontrollabilità e di imprevedibilità su eventi potenzialmente avversi e uno

spostamento rapido dell'attenzione per mettere a fuoco potenziali eventi

pericolosi o una propria risposta affettiva a questi eventi”.

Queste definizioni implicano due aspetti, quello di arousal e quello di spostamento rapido dell'attenzione, che, come vedremo successivamente, verranno posti all'interno di una concezione cognitiva per cercare di spiegare una serie di fenomeni che riguardano la memoria delle persone ansiose.

Nella pratica clinica spesso emerge il difetto mnestico tra le manifestazioni del disturbo d'ansia, ad esempio, capita che alcuni pazienti lamentino di scordarsi nel breve periodo quello che stavano facendo o dove avevano posto un oggetto, mentre altri riferiscono di ricordarsi molto bene soltanto i particolari negativi di una situazione.

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Addirittura, nel disturbo in cui si ritiene che l'impairment sia più invadente, si propone nel DSM-V “la difficoltà di concentrazione o vuoti di memoria” come sintomo utile alla diagnosi di Disturbo d'ansia generalizzato.

La percezione che si è avuta di tale fenomeno ha portato intuitivamente a pensare che la perturbazione ansiosa colpisse il reparto della memoria a breve termine, ma l' interesse a capirne concretamente il meccanismo in termini cognitivi ha spinto diversi autori ad andare oltre questa forma di conoscenza approssimativa ed a chiedersi quali fossero gli elementi dell'ansia che ostacolassero il normale funzionamento della memoria e quali settori ne fossero maggiormente compromessi.

Uno dei primi tentativi fatti per cercare di spiegare cognitivamente questo fenomeno può essere ricondotto alla seconda metà degli anni 80 quando Sarason (1988) sviluppò la Teoria sulla Interferenza Cognitiva (Cognitive Interference Theory). Il centrale assunto di questa teoria era che l'esperienza ansiosa interferisse con la performance in un compito, producendo dei pensieri non pertinenti alla prova, che occupavano parte dell’ attenzione che doveva essere diretta all'esecuzione del compito.

In altre parole, il soggetto ansioso che si trovava a dover svolgere un compito non poteva sfruttare a pieno le proprie risorse cognitive perché era permanentemente presente in lui un ostacolo che assorbiva parte di queste risorse, questo ostacolo era rappresentato dal worry e determinava una prestazione peggiore rispetto a quanto ci si doveva aspettare normalmente.

(9)

(10)

1.2.

W

ORKING

M

EMORY

In accordo con la proposta fatta da Sarason, anche Eysenck e Calvo (1992) si concentrarono sull'idea che l'ansia (sia di tratto che di stato) determinasse un guasto della prestazione.

Ci furono tuttavia due punti fragili che portarono i due autori a sorpassare la Teoria sulla Interferenza Cognitiva:

 Diversi atri studi riportarono che le prestazioni di gruppi di soggetti con livelli di ansia e worry elevatali non differivano da quelle di gruppi di soggetti con livelli di ansia e worry lievi.

 la teoria non forniva una spiegazione esaustiva su come il processo di

worry, non pertinente al compito, fosse collegato al funzionamento del

sistema cognitivo.

I due autori, per colmare queste lacune, decisero di elaborare la Teoria dell'Efficienza del Processo (Processing Efficiency Theory) (Eysenck e Calvo, 1992). Iniziarono innanzitutto col distinguere l'efficacia della performance (performance effectiveness) dall'efficienza del processo (processing efficiency). La prima, più facilmente definibile, riguarda gli aspetti osservabili della prestazione (come per es. l'outcome misurabile), la seconda invece fa riferimento alla relazione tra la performance effectiveness e la quantità di risorse e di sforzo impegnate per ottenere quel livello di prestazione. In questo modo si poteva spiegare perché alcuni studi non rilevassero differenze di prestazione tra soggetti con ansia elevate ed ansia lieve. Si suppone infatti che sia il processing efficiency colpito dalla perturbazione dell'ansia e non necessariamente la performance effectiveness, che può invece apparire integra

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grazie all'effetto compensativo dovuto alla maggiore motivazione dei soggetti ansiosi a ridurre al minimo gli effetti avversi dell'ansia.

Secondo i due autori (Eysenck e Calvo, 1992) il worry ricopriva in questo fenomeno un duplice ruolo; era fonte di intralcio per il regolare svolgimento del compito, ma allo stesso tempo una spinta motivazionale a minimizzare gli effetti avversi ricorrendo a risorse supplementari.

Hayes, MacLeod e Hammond (2009) riportano dei risultati che sottolineano l'importanza della motivazione nel processo di compensazione. I loro dati dimostrano che soggetti con ansia di tratto elevata possono esibire delle differenze di performance a seconda della motivazione; chi aveva un'alta motivazione riusciva ad eseguire efficacemente il compito dato, mentre chi aveva una bassa motivazione non era capace di ottenere lo stesso successo e mostrava un cedimento prestazionale.

Per spiegare il meccanismo di interferenza dovuta all'ansia in termini neurocognitivi Eysenck e Calvo (1992) si ricollegarono al costrutto di Working Memory proposto da Baddeley (1986). Nella prima formulazione del costrutto si descriveva un sistema gerarchico di capacità limitata, abilitato a mantenere e manipolare delle informazioni per un breve periodo di tempo al fine di raggiungere un obbiettivo. Questo sistema è composto da una componente dirigenziale, l'Esecutivo Centrale, e due sistemi schiavi, il Loop Fonologico e il Taccuino Visuo-spaziale. I due sistemi schiavi hanno il compito di mantenere transitoriamente le informazioni da trattare in un magazzino; di natura uditivo-verbale nel Phonological Loop e visuo-spaziale nel Visual Sketchpad. Il Central Executive assume in questo sistema una funzione di controllo, di monitoraggio, ed è inoltre responsabile nel direzionare l'attenzione sugli stimoli rilevanti.

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Da allora vennero fatte diverse ricerche che tentarono di capire con più precisione la natura dell'alterazione del funzionamento della memoria di lavoro dovuta all'ansia.

Eysenck e Calvo (1992) già dalla loro prima formulazione sostenevano che il dispendio aggiuntivo di risorse cognitive richiesto dalla condizione ansiosa pesava principalmente sull'Esecutivo Centrale. Inoltre affermavano che nel funzionamento del loop fonologico fosse presente uno screzio dovuto alla natura verbale del processo di rimuginazione, a differenza di una piena integrità del funzionamento del Taccuino visuo-spaziale.

Successivamente venne enfatizzato da altri studiosi lo sproporzionato effetto avverso sul trattamento delle informazioni da parte della working memory del materiale verbale rispetto a quello visuo-spaziale. La spiegazione derivava dalla considerazione che il principale elemento ritenuto come interferente fosse il processo di worry, che tipicamente si evolve come una attività verbale interna piuttosto che attraverso rapprentazioni di immagini (Rapee, 1993). Questa prospettiva, che sosteneva che l'ansia riducesse le risorse del processamento verbale, ipotizzava un tipo di interferenza che colpiva quel settore specifico e non altri, come ad esempio quello visivo (Markham e Darke, 1991).

L'idea che Eysenck (1998) sviluppò con maggior convinzione era invece che l'ansia non determinasse un impairment delimitato ad un distretto specifico, ma che riguardasse unicamente quella componente dirigenziale (Esecutivo Centrale) svincolata dai processamenti settoriali strumentali.

Nel 2005 lo stesso Eysenck valutò la performance in gruppi di soggetti con ansia lieve ed ansia elevata nel test dei Cubi di Corsi, lo scopo della ricerca era quello di indagare il funzionamento del taccuino visuo-spaziale. Non si

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evidenziarono significative differenze di performance tra i due diversi gruppi nello span di Corsi, ascrivibile specificamente al funzionamento del taccuino visuo-spaziale, ma in presenza di un secondo compito simultaneo (contare a ritroso) emerse una differenza delle prestazioni tra i due gruppi ricollegabile ad uno sforzo eccessivo da parte dell'Esecutivo Centrale. I risultati ottenuti, integrati con quelli precedentemente raccolti, permisero all'autore di sostenere in definitiva che fosse l'esecutivo centrale a subire l'interferenza dell'ansia, mentre rimaneva integro il funzionamento dei sistemi schiavi.

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1.3. L'

IMPEGNO DELL

'

ESECUTIVO CENTRALE

Data l'evoluzione concettuale nel corso degli anni del costrutto di working memory, soprattutto della componente dirigenziale, era ormai diventata necessaria un’integrazione di tali innovazioni teoriche anche alla Teoria dell'Efficienza del Processo.

Il concetto di esecutivo centrale si era raffinato nel tempo, era passato da una generale funzione di controllo e monitoraggio ad una funzione multi-componenziale.

Ad esempio, Smith e Jonides (1999) elencarono diverse funzioni deputate all'Esecutivo Centrale e riguardavano:

 La capacità di focalizzare l'attenzione su informazioni rilevanti ed inibire quelle irrilevanti.

 La gestione dello spostamento del focus attentivo da un compito all'altro.

 La pianificazione di sequenze di singole azioni elementari al fine di raggiungere un obbiettivo.

 Il monitoraggio del lavoro svolto nelle diverse tappe pianificate.

 La codifica della rappresentazione spazio-temporale dell'esperienza. Eysenck et al. (2007), ispirati dal nuovo panorama teorico a disposizione colsero l'opportunità di rivedere il costrutto presentato nel 1992 (Eysenck e Calvo) proponendo la Teoria del Controllo Attenzionale (Attentional Control Theory).

La nuova teoria era stata sottoposta ad un lavoro di selezione per individuare quelle sotto-componenti dell'esecutivo centrale maggiormente implicate nella

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condizione ansiosa.

Tenendo conto che la caratteristica più spiccata dell'ansia è quella di aumentare la tendenza a focalizzare l'attenzione sugli stimoli pericolosi (interni o esterni) a discapito degli stimoli emozionalmente neutri, la selezione fatta dagli autori cadde sulla funzione di controllo attenzionale.

Di questa funzione Miyake et al. (2000) identificarono più distintamente tre sotto-funzioni:

 L'Inhibition, che permette al controllo attenzionale attraverso una azione inibitoria di dominare, quando necessario, le interferenze dovute a stimoli non ritenute rilevanti per il conseguimento del proprio obbiettivo, siano questi stimoli percepiti o risposte prodotte.

 Lo shifting, che permette al controllo attenzionale di spostare flessibilmente il focus dell'attenzione verso gli stimoli attualmente importanti.

 L'Updating Function, che consiste nella capacità di ripristinare l'informazione con cui attualmente stiamo lavorando con la working memory. Esegue un monitoraggio attivo, sgombrando lo spazio limitato dalle informazioni che non ci sono utili. Quest'ultimo rispetto ai primi due riguarda meno il controllo attentivo, è più legato all'impressione di breve termine che abbiamo della memoria.

Tra queste sotto-funzioni venne fatta una ulteriore selezione stabilendo che fossero più precisamente le funzioni di Inhibition e di Shifting ad essere alterate dalla condizione d'ansia (Eysenck et al., 2009)

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(17)

1.4.

D

IFFERENTI PROCESSI DICONTROLLO ATTENTIVO

In accordo con Corbetta e Shulman (2002), che distinguevano il sistema attenzionale in due processi, uno bottom-up e l'altro top-down, Eysenck et al. (2009) spiegavano come la condizione ansiosa determinasse la rottura dell'equilibrio di questi due processi. Il meccanismo di controllo top-down, influenzato dagli obbiettivi, aspettative e conoscenze della persona, sembrava meno attivato rispetto al bottom-up, un sistema guidato direttamente dagli stimoli.

Braver, Gray e Burgess (2007), sulle solite premesse di Eysenck, postularono a loro volta una teoria definita come Duplice Meccanismo del controllo (Dual Mechanisms of Control).

Secondo loro, il meccanismo di controllo disponeva di una duplice via:

 Il controllo proattivo, che mette in risalto la precoce selezione del focus attentivo, mantiene permanentemente per il tempo di lavoro richiesto la rappresentazione dell'obbiettivo, e promuove una prevenzione preparata di eventuali conflittualità che possono presentarsi in corso d'opera. Questo costrutto si ricollega strettamente al processo top-down.

 Il controllo reattivo, che presenta un carattere di correzione transitoria a

seguito di una necessità e facilmente influenzabile da input bottom up. Questo diventa opportuno quando occorre una responsività a imprevedibili pericoli ambientali.

Nei soggetti ansiosi sarebbe più prominente il controllo reattivo rispetto quello proattivo. Questa propensione sembra essere dovuta ad un adattamento alla presenza di un arousal ansioso e ad un bisogno di viglianza sull'ambiente.

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Shackman et al (2006) hanno posto l'attenzione sul frazionamento del costrutto di ansia in due distinti aspetti: il worry e l'arousal ansiosa.

Il worry, o detto altrimenti “apprensione ansiosa”, è definibile come un processo di ruminazione e inquietudine stimata, specialmente verbale, mentre il concetto di arousal ansiosa implica il porre l'attenzione sui sintomi fisiologici dell'ansia.

Gli autori contestano che gli esperimenti di Eysenck elicitassero soltanto l'apprensione ansiosa (es. ansia da prestazione) nei soggetti da studiare ma non l'arousal ansiosa (es. paura di uno shock elettrico). Questo aspetto secondo loro spiegherebbe perché non sono stati rilevati dati significativi sull'alterazione del funzionamento della working memory spaziale.

Si sviluppa da questo presupposto il modello delle due componenti dell'ansia (Two-component Model of Anxiety), che spiegherebbe il cedimento dei diversi meccanismi che sottostanno al funzionamento della working memory verbale e di quella spaziale (Vytal et al, 2013). Secondo questo modello l'ansia è caratterizzata da due componenti separabili:

 La componente dell'apprensione ansiosa, che impegna le risorse esecutive ed include processi cognitivi correlati all'ansia come il worry;

 La risposta preparatoria automatica che innesca meccanismi difensivi, che aumenta la sensibilità percettiva ed accresce l'arousal autonoma (aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa).

La prima componente si lega alla working memory verbale mentre la seconda a quella spaziale.

Queste due componenti ingaggiano circuiti neurali differenti. L'apprensione ansiosa trova una sede nella regione che include le cortecce pre-frontali dorsali e mediali bilaterali, e la corteccia pre-frontale ventrale sinistra. La componente

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preparatoria trova invece una sede nella regione che include le cortecce pre-frontali dorsali, mediali e ventrali destre.

Queste due componenti dell'ansia permettono di promuovere delle risposte adattative al pericolo, come ad esempio l'aumento della frequenza cardiaca, potenziamento della percezione visiva e uditiva, l'incremento dell'attenzione verso gli stimoli negativi, e tali modifiche requisiscono le risorse neuronali sottostanti al funzionamento della working memory. Queste risorse però possono essere riappropriate rendendo più arduo un compito verbale, e riducendo di conseguenza lo stato ansioso. Infatti se si prende in considerazione un compito di working memory verbale facile o di difficoltà moderata, l'ansia influisce sul lavoro, indicando che sussiste una parziale competizione per le risorse. Solo quando il compito richiede, per l'elevata difficoltà, il massimo delle risorse a disposizione l'effetto dell'ansia sulla performance è abolito. Questo risultato viene spiegato dal comune utilizzo delle stesse risorse da parte del meccanismo di controllo emotivo top-down e di quello della memoria di lavoro.

Questo non accade invece se si accentua la richiesta di risorse per un compito di working memory spaziale, si continua ad osservare infatti la presenza di un cedimento.

Per spiegare questo fenomeno Vytal et al. (2013) propongono tre potenziali ragioni:

 In linea con l'ipotesi dell'asimmetria emisferica l'ansia agisce su una

grande quantità di risorse fondamentali per il processo di working memory spaziale (Shackman et al., 2006).

 I cambiamenti fisiologici associati alla preparazione difensiva di fronte

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esplicitamente (il controllo top-down di un processo sottocorticale ingaggiato per la sopravvivenza è più problematico rispetto al controllo

top-down di un processo corticale).

 Nonostante l'impegno cognitivo riduca lo stato d'ansia e la distrazione dovuta ai pericoli, il meccanismo difensivo rimane ugualmente intatto per continuare ad avere a disposizione in caso di necessità uno strumento cognitivo volto alla sopravvivenza.

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1.

5. M

ECCANISMI NEUROBIOLOGICI DEL CONTROLLO ATTENTIVO NELLA

CONDIZIONE ANSIOSA

Bishop (2007) tenta di spiegare il bias cognitivo del soggetto ansioso illustrandone i meccanismi implicati e facendo ricorso allo studio delle neuroimmagini.

L'autore presenta un quadro funzionale tipico del disturbo d'ansia nel quale ritroviamo, oltre al condizionamento, alla paura e all'interpretazione degli emozionalmente ambigui, anche l'attenzione selettiva al pericolo.

Secondo il suo studio la circuiteria che lega l'attività dell'amigdala con la corteccia pre-frontale è implicata nel meccanismo top down di controllo che influenza i processi associativi, attentivi ed interpretativi tipici del disturbo d'ansia. Nel caso della condizione elevata d'ansia verrebbe meno il reclutamento del controllo pre-frontale associata ad una iper-responsività dell'amigdala a potenziali pericoli.

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(Bishop, 2007. pag.5)

Come riportato nella tabella sottostante, Clark e Beck (2010) nel loro manuale di terapia cognitiva dei disturbi d'ansia riassumono i fattori biologici associati all'alterazione dell'attenzione, memoria ed interpretazione nei disturbi d'ansia. I due autori suggeriscono, nella pratica clinica, di fare una presentazione al paziente di questi aspetti utile alla psico-educazione.

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1.6. B

IAS ATTENTIVO

Il bias attentivo nel soggetto ansioso consiste nell'inclinazione a focalizzare l'attenzione sugli stimoli minacciosi.

La tendenza a direzionare il focus attentivo sugli stimoli pericolosi è un meccanismo adattativo che nel disturbo d'ansia sfocia però in uno sproporzionato dispendio di risorse.

Generalmente possiamo dire che nello svolgimento di un compito gli stimoli pericolosi possono scatenare due effetti opposti:

 da una parte, possono interferire durante l'esecuzione se non sono pertinenti alla prova, perché si richiede uno sforzo da parte del soggetto nel disancorare il focus attentivo dagli stimoli legati al pericolo, per dirigerlo verso quelli invece pertinenti al compito;

 dall'altra, se previsti e pertinenti alla prova, possono facilitare l'esecuzione permettendo anche uno svolgimento più rapido.

Molte ricerche dimostrano che i soggetti ansiosi esibiscono questo bias in misura maggiore ai soggetti non ansiosi (Bar-Haim et al., 2007).

Questo dato, ormai ampiamente dimostrato in letteratura, ha portato diversi autori a costruire dei modelli per spiegare il processo sottostante.

In uno dei primi modelli, quello di Williams, Watts, MacLeod e Mathews (1988), il bias attentivo si colloca ad un livello preconscio; suppongono che la valutazione della minaccia venga svolta dal Meccanismo Decisionale Affettivo (Affective Decisional Mechanism: ADM). L'ADM permette di stimare il grado di minaccia dello stimolo input, ed è influenzato dall'ansia di stato. Se questo

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meccanismo categorizza lo stimolo come altamente minaccioso, viene attivato di conseguenza il Meccanismo di Allocazione delle Risorse (Resource Allocation Mechanism: RAM). Una volta innescato il RAM il focus attenzionale viene rivolto verso lo stimolo; questo meccanismo viene invece influenzato dall'ansia di tratto.

In un altro lavoro, quello di Öhman (1996,2005), è stata enfatizzata l'importanza del processo non cosciente di focalizzazione dell'attenzione sugli stimoli minacciosi per l'adattamento evolutivo. Secondo l'autore gli stimoli vengono analizzati dal Feature Detection System; se gli stimoli hanno una particolare importanza biologica o una elevata intensità emotiva possono esercitare una diretta influenza sul sistema di arousal e richiamare più facilmente il focus attentivo verso il pericolo.

Successivamente l'informazione viene trattata dal Significance Evaluation

System, un sistema che opera coscientemente, e più lentamente, un’

interpretazione della pericolosità dello stimolo interagendo con l'Expectancy System, un magazzino mnestico emozionale che sensibilizza la valutazione

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cosciente per specifici stimoli appresi. Il Significance Evaluation System attraverso una circuiteria è in collegamento con il Feature Detection System ed ha la possibilità di modularne gli effetti tramite dei feedback.

Secondo il modello di Mathews and Mackintosh (1998) il bias emergerebbe soltanto quando si instaura una competizione tra lo stimolo minaccioso e altri stimoli.

In una più recente revisione dei diversi modelli, Cisler e Koster (2010) identificano tre principali componenti del bias attentivo:

 Attenzione agevolata a rilevare gli stimoli pericolosi più velocemente

rispetto a quelli che non lo sono;

 Difficoltà nel disancorare l'attenzione lontano dallo stimolo pericoloso;

 Un meccanismo di evitamento che consiste nello spostare l'attenzione lontano dallo stimolo minaccioso.

Il bias attentivo consiste, secondo gli autori, in un sistema dinamico nel quale queste componenti si relazionano tra loro.

(26)

1.7. O

RIENTAMENTO DEL BIAS ATTENTIVO

Il bias attentivo del soggetto ansioso può essere considerato una tendenza a dirigere l'attenzione verso una specifica direzione; questa tendenza nasce dall'esigenza di controllare la minaccia percepita, e la direzione del focus attentivo è in relazione con l'oggetto ritenuto pericoloso. Clark (1999) ci fornisce un prezioso aiuto nel chiarire tale relazione descrivendo diversi bias attentivi, che contribuiscono a mantenere le credenze distorte negative, tipiche dei disturbi d'ansia, che influiscono sull'interpretazione di alcuni stimoli interni/esterni come minacciosi.

Raccogliendo tutta una serie di dati della letteratura esplica una differenza tra il paziente con fobia sociale e quelli con aracnofobia, disturbi da attacchi di panico e ipocondria.

Il primo evidenzia un bias attenzionale lontano dagli stimoli per lui ritenuti pericolosi (come ad esempio il volto delle persone o il diretto contatto oculare, che possono esprimere un giudizio negativo nei loro confronti), che dirige verso se stesso. Questo tipo di bias permette loro di evitare in un certo senso l'esposizione a situazioni sociali nel quale la persona si sente più a disagio (ad es. cominciare una conversazione con uno sconosciuto), ma allo stesso tempo riduce l'indagine dettagliata dei cues sociali esterni; diminuire l'attenzione rivolta all'esterno riduce la possibilità di cogliere maggiormente gli aspetti positivi della situazione, ciò comporta il mantenimento delle credenza disfunzionale.

L'auto-orientamento si verifica anche al di fuori della situazione pericolosa. Se sono preoccupati di aver fatto qualcosa di stupido ed insensato,

(27)

successivamente tenderanno a ricordare l'episodio focalizzandosi soltanto sui propri comportamenti vissuti come fallimenti sociali in maniera da poterli correggere in futuro. Sfortunatamente in questa maniera consolideranno maggiormente delle tracce episodiche nel quale la percezione di sé negativa. Gli altri all'opposto mostrano un bias attenzionale verso i cues pericolosi. Pensiamo ad esempio all'aracnofobico che si dimostra più attento rispetto ad altri ad individuare degli stimoli che riguardano i ragni, o all'ipocondriaco che è costantemente attento alle sensazioni fisiche interpretate come sintomi di una malattia organica. Questo permette loro di monitorare costantemente la situazione e prepararsi ad un comportamento per fronteggiare il pericolo, per lo più di evitamento.

(28)

1.8. N

ATURA DELL

'

INTERFERENZA

L'elemento di interferenza del meccanismo sottostante il controllo attentivo nella condizione ansiosa principalmente menzionato è il processo di worry. Già nella Teoria dell'Interferenza Cognitiva (Sarason, 1988) il worry veniva presentato come un ingombro nello spazio attentivo disposizione del soggetto durante l'esecuzione di un compito che comportava una peggiore prestazione. Eysenck e Calvo (1992) assunsero nella loro Teoria dell'Efficienza del Processo che fosse il worry la componente della condizione ansiosa responsabile degli effetti avversi nell'efficienza del processo della working memory.

Lo stesso Eysenck (1992) e altri teorici pensavano che questo processo rappresentasse la componente cognitiva basilare dell'ansia. Questa supposizione derivava dall'evidenza riportata da alcuni studi che indicavano che i soggetti con ansia di tratto elevata presentavano un worry considerevolmente maggiore rispetto ai soggetti con ansia di tratto lieve.

L'esperienza di worry è comune, utilizzato funzionalmente si rivela apparentemente uno strumento utile al problem-solving; diventa dannoso invece se viene attivato eccessivamente ed in maniera incontrollata.

Questo processo ha alta correlazione positiva con l'intolleranza dell'incertezza e la convinzione da parte della persona che sia una buona strategia di copyng, e si dimostra in realtà poco efficace come strumento nel problem-solving (Khawaja e Chapman, 2007).

Wells (2009) nell'esplicazione del suo modello metacognitivo del disturbo d'ansia generalizzata attribuisce ai metapensieri un importante ruolo nello sviluppo e mantenimento del worry patologico. Secondo questo modello questi

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metapensieri disfunzionali si esprimono in credenze positive riguardo i benefici e credenze negative riguardo la pericolosità e l'incontrollabilità del

worry.

Nel definire il costrutto di worry sono state fatte varie indagini per scovare dei fattori sottostanti. Il lavoro più interessante pare essere quello di Eysenck e Van Berkum (1992) attraverso cui vengono individuati due principali domini: il giudizio sociale e la minaccia fisica.

Un soggetto con disturbo d'ansia può presentare una preoccupazione per un dominio piuttosto che per l'altro; la natura del worry influenzerà l'esperienza della persona, che potrà assumere diverse caratteristiche che riguardano pensieri, bias attentivi, bias mnestici, comportamenti e sensazioni.

Una classificazione illustrata da Beck (2010) ci permette di comprendere meglio come le diverse situazioni possono essere interpretate come minacce. Egli in questo modello concettualizza gli interessi vitali come obiettivi di grande valore o aspirazioni personali all'interno di domini individuali o sociali. Il dominio sociale (sociotropy) riguarda obiettivi volti alla creazione e al mantenimento di rapporti intimi e soddisfacenti, mentre quello individuale (autonomy) fa riferimento agli obiettivi importanti per ottenere un senso di identità, padronanza personale e indipendenza.

Questi diversi obiettivi possono essere raggiunti nella sfera privata o nella sfera pubblica.

Gli sforzi personali di carattere sociale all'interno della sfera pubblica tendono all'apertura a sistemi sociali più grandi, per ottenere maggiore senso di appartenenza, di accettazione e approvazione, mentre le aspirazioni sociali nel settore privato fanno riferimento più alle relazioni intime che forniscono

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amore, empatia e comprensione.

Gli obiettivi personali nella sfera privata riguardano il raggiungimento dell'autosufficienza, indipendenza e competenza, mentre posti nella sfera pubblica tendono al confronto e alla concorrenza con gli altri.

Una situazione può essere percepita come altamente minacciosa quando, alcune di queste aspirazioni personali di valore rischiano di frantumarsi provocando una enorme sofferenza. Prendiamo in esempio una persona ed il suo obiettivo di approvazione nel lavoro (sociotropy nella sfera pubblica), si sentirà intensamente ansioso se percepirà dei cues sociali che verrano interpretati come disapprovanti, o una persona che tiene molto alla buona salute e all'ottimo funzionamento del proprio corpo e della propria mente (autonomy nella sfera privata), proverà un'ansia elevata se percepirà una minaccia alla propria salute a causa di una malattia.

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1.9. I

L FUNZIONAMENTO DELLA MEMORIA A LUNGO TERMINE

Una grande quantità di ricerche si sono concentrate nel cercare di comprendere la natura delle alterazioni della memoria episodica nei soggetti fortemente ansiosi o con disturbi d'ansia (Zlomuzica et al., 2014). Questi studi sono stati notevolmente influenzati dall'insieme di teorie cognitive che tentano di spiegare i meccanismi implicati in questo tipo di disturbi.

L'elemento centrale delle teorie cognitive che riguardano i disturbi d'ansia (Clark e Beck, 2010) consiste nel considerare le credenze disfunzionali e i comportamenti di evitamento mentali (covert) come il risultato di un processo di interpretazione errata degli stimoli interni ed esterni (ad es. il comportamento delle altre persone, le sensazioni fisiche, la paura associata agli stimoli ambientali, atti mentali), considerati come altamente pericolosi. E' possibile considerare anche il ricordo disfunzionale delle tracce esplicite dal reparto mnestico episodico come uno dei possibili fattori che contribuiscono a mantenere le credenze negative, le risposte emozionali maladattive e i comportamenti di evitamento (Clark, 1999; Mathews e MacLeod, 2005).

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1.10. B

IAS MNESTICO

Diversi studi si sono focalizzati sul bias mnestico del soggetto ansioso, che riguarda la maggiore inclinazione a recuperare episodi che si associano in qualche modo agli stimoli pericolosi temuti dalla persona piuttosto che episodi con contenuti positivi. Pare che questa propensione possa contribuire al mantenimento del disturbo.

Una revisione della letteratura sul bias della memoria episodica nei pazienti con disturbi d'ansia fatta da Zlomuzica et al. (2014) pone in luce molti risultati che confermano questa distorsione rispetto ai gruppi con soggetti di controllo. I soggetti con disturbi di panico con e senza agorafobia ricordano meglio quegli aspetti di un racconto che riguardano il panico, hanno un miglior riconoscimento e richiamo di parole legate al pericolo di panico.

Anche i pazienti con disturbo post-traumatico da stress ricordano meglio il materiale legato al trauma passato.

I risultati emersi dalla valutazione dei soggetti con aracnofobia sono controversi; mentre alcuni riportano delle differenze (alcuni studi suggeriscono un miglior recupero del materiale legato ai ragni, altri invece un recupero peggiore) con i gruppi di controllo, altri dati queste differenze non le rilevano.

Nei lavori sull'ansia sociale la maggior parte delle ricerche non indicano un bias di memoria episodica in questi soggetti. C'è da contestare però che principalmente è stato utilizzato nelle prove del materiale verbale, mentre alcuni ricercatori sostengono che, utilizzare come stimoli dei volti che esprimono una emozione possa essere più sensato, in quanto l'attenzione dei

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soggetti con questo tipo di ansia viene maggiormente catturata da questi cues sociali. Con questa modalità sperimentale, affiorarono dei disaccordi.

Alcuni autori suggerivano che, rispetto ai controlli, i soggetti con ansia sociale dimostravano generalmente un maggior ricordo delle espressioni facciali, ed esibivano anche un miglior riconoscimento per l'espressioni emozionali negative rispetto a quelle positive. Altri studi all'opposto non colsero tali differenze, ne di riconoscimento ne di richiamo. Inoltre si presentarono anche risultati di ulteriori studi che invece dimostravano un ricordo più modesto rispetto ai controlli.

Per quanto riguarda il disturbo d'ansia generalizzata la situazione sperimentalmente diventava più complessa. Vennero a galla delle difficoltà nell'individuare degli stimoli standardizzati pericolosi inerenti al disturbo dato che ogni soggetto aveva una sfera di preoccupazione personale. Superata la difficoltà nella metodica (si chiedeva in precedenza ad ogni soggetto di selezionare gli stimoli verbali personalmente rilevanti), si osservò comunque un maggior ricordo delle parole pericolose rispetto a quelle neutre.

Secondo la meta-analisi compiuta da Mitte (2008) in generale possiamo concludere che l'ansia influenza il ricordo dell'esperienza passata e che i soggetti ansiosi tendono a favorire il trattamento delle informazioni collegate al pericolo.

C'è da sottolineare comunque l'importante problema che riguarda la valutazione del bias della memoria, che differisce metodologicamente nei diversi studi (utilizzare per esempio una lista di parole piuttosto che un racconto), e che potrebbe essere l'elemento che conferisce tale discordanza tra i risultati ottenuti nei diversi studi. La situazione si presenta ancora oggi con poca chiarezza e si necessita in futuro un maggior riguardo nella scelta degli

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(36)

1.11. F

UNZIONAMENTO MNESTICO EPISODICO PER MATERIALE NEUTRO

Per introdurre il concetto di memoria episodica bisogna risalire alla definizione di Tulving (1972), che descrive il costrutto come un sistema di immagazzinamento multi-modale delle informazioni riguardanti gli eventi personali passati inseriti in una cornice spazio-temporale.

Una definizione più recente (Tulving, 2002) sostiene inoltre che la memoria episodica sia associata con la coscienza autonoetica, che è esplicabile come la sensazione che l'individuo ha nel ricordare qualcosa che è accaduto a se stesso, che non è avvenuto nel presente, e che è parte della propria storia personale. Rispetto alla ricerca fatta sul bias mnestico, risulta anche meno chiaro il quadro che riguarda il funzionamento mnestico di materiale neutro. Se pare infatti spontaneo pensare che il ricordo degli stimoli neutri rimanga inalterato, gli studi raccolti solo parzialmente confermano questa impressione (Zlomuzica et al., 2014).

Mentre alcune ricerche riportano dei deficit nel richiamo di materiale verbale neutro nei soggetti con fobia sociale e disturbi da attacchi di panico, altre ricerche non rilevano tale evidenza nella fobia sociale e/o disturbo da attacchi di panico.

Nel GAD troviamo una scarsa letteratura. Uno dei pochi dati che abbiamo riguarda uno studio che prende in riferimento un campione con età avanzata (media età dei soggetti intorno ai 70 anni) e riporta un deficit di richiamo di materiale visivo e verbale.

Per quanto riguarda il disturbo post-traumatico da stress non è semplice dare delle conclusioni per una serie di difficoltà metodologiche. I pazienti con PTSD

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sono soggetti ad un impairment esecutivo e attentivo (che rappresenta uno dei criteri per la diagnosi prendendo in riferimento il DSM V) che influenzano notevolmente le prestazioni.

Lo studio più dettagliato sull'argomento, attualmente esistente, è quello di Airaksinen et al. del 2005 nel quale si afferma che complessivamente tutti i gruppi con disturbi d'ansia reclutati mostravano generalmente un significativo deficit della memoria episodica, in particolar modo la valutazione indagava il richiamo libero e il richiamo facilitato da cues di materiale verbale. Tra i gruppi spiccava il maggior impairment dei soggetti con fobia sociale e disturbi da attacchi di panico. Inoltre è emerso che il cedimento peristeva anche nei casi con trattamento psicofarmacologico.

La conclusione di questo studio suggerisce che il disturbo d'ansia produce una influenza negativa nel funzionamento mnestico episodico.

In definitiva però non è possibile attualmente affermare con certezza che sia presente un impairment mnestico episodico nel soggetto con disturbo d'ansia vista la presenza in letteratura di dati così controversi, questa incertezza deriva da una eterogeneità metodologica e concettuale (Zlomuzica et al. 2014) che non ha consentito di fare un assessment uniforme tra le varie ricerche svolte.

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1.12. C

ODIFICA VS

R

ICHIAMO

Un aspetto interessante sottolineato da Airaksinen (2005) nel suo studio sul funzionamento della memoria episodica riguarda i processi di codifica e di richiamo. Nell'esperimento è stato verificato che i soggetti con disturbo d'ansia presentavano un maggior recupero delle informazioni apprese passando da un richiamo libero ad un richiamo facilitato allo stesso modo in cui migliorava anche il gruppo di controllo. Questo dato ha portato l'autore a suggerire che se la performance di richiamo non viene migliorata maggiormente nel gruppo ansioso attraverso l'utilizzo di cues rispetto al gruppo di controllo, i deficit di memoria riscontrati nei pazienti con disturbo d'ansia sono rintracciabili nella fase di acquisizione, e cioè di codifica, piuttosto che in quella di richiamo.

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1.13. L

AVULNERABILITÀ COGNITIVA NEI DISTURBI D

'

ANSIA

Lo studio applicato alla ricerca delle disfunzioni neuropsicologiche nel disturbo d'ansia sta progredendo, l'evidenza emergente nel delineare dei profili neurocognitivi sta portando speranze per una nuova comprensione dello sviluppo e del mantenimento del disturbo.

Per decenni sono stati descritti dai modelli teorici e dalla pratica clinica degli impairment cognitivi, il più delle volte interpretati come sintomi del disturbo d'ansia, mentre la tendenza attuale è quella di considerarli sia come cause che come conseguenze.

Nonostante l'imperfezione metodologica e l'inconsistenza riscontrabile in alcune ricerche da un lato, e la scarsità di studi fatti su alcuni disturbi prediligendone altri dall'altro, c'è un avanzamento sostanziale di questo nuovo tipo di approccio che tenta, oltre alla comprensione, di fornire anche degli strumenti di trattamento (Ferreri et al.,2011).

La visione cognitivista dell'ansia poggia sulla nozione di vulnerabilità. Nella definizione fornita da Clark e Beck (2010) la vulnerabilità riguarda la percezione della persona che si sente esposta a minacce interne o esterne, e la percezione di controllo di tali minacce; le persone vulnerabili vivono un senso di mancanza di sicurezza, percependo le proprie risorse come insufficienti a far fronte a minacce percepite come eccessivamente pericolose. Nei disturbi clinici la vulnerabilità è accentuata da processi cognitivi disfunzionali.

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La teoria cognitiva illustra due tipi di elaborazione inerenti la percezione di minaccia:

 Un’elaborazione primaria che riguarda processi cognitivi automatici, considerabili come precoscienti, che attivano dei bias della attenzione e della memoria; questa elaborazione sfugge alla volontà ed intenzionalità del soggetto, non richiede sforzo, è rapida, non richiede analisi, ed implica un lavoro stereotipato e familiare.

 Una elaborazione secondaria strategica che permette di interpretare le informazioni in maniera più complessa e gioca un ruolo fondamentale sulla persistenza dell'ansia; questa elaborazione è volontaria ed intenzionale, richiede uno sforzo, è cosciente, è più lenta, e permette di lavorare su aspetti nuovi, difficili, e che non richiedono esperienza.

L'iniziale elaborazione della minaccia chiamerebbe in causa i processi automatici, fondamentali per la sopravvivenza perché è necessaria una

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rapidità di valutazione, sebbene grossolana, che permetta prontamente di rispondere al pericolo. In una seconda fase si attiverebbe una valutazione più ponderata, che tenga conto delle sfaccettature della situazione e delle risorse a disposizione per la programmazione di un piano maggiormente raffinato di risposta.

Il modello neurocognitivo del multi-processo di vulnerabilità al disturbo d'ansia (Ouimet, 2009) considera vari fattori che entrano in gioco nel processamento dell'informazione: l'orientamento del focus attentivo, l'ancoraggio e il disancoraggio dell'attenzione, l'evitamento e l'interpretazione. In questo modello si differenziano inoltre due fasi di elaborazione: quella automatica e quella strategica.

Nella condizione ansiosa l'orientamento del focus attentivo non è soggetta ad una presa di coscienza, mentre l'ancoraggio sullo stimolo pericoloso viene vissuto nell'esperienza cosciente anche se non è intenzionale ma dovuto ad una risposta associativa. Il disancoraggio invece è sotto il controllo intenzionale ed è in stretta relazione con il funzionamento dello shifting dell'esecutivo centrale.

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(Ouimet, 2009)

Questo modello è utile nella pratica clinica per identificare gli aspetti cognitivi che determinano il bias caratteristico del disturbo d'ansia.

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1.14.

R

IABILITAZIONE COGNITIVA DEI DISTURBI D

'

ANSIA

Come per altri disturbi psicopatologici si stano sviluppando con maggior decisione una serie di trattamenti che tendono a lavorare sugli aspetti neurocognitivi considerati fragili o addirittura danneggiati nei vari disturbi psichiatrici.

L'importanza di questo tipo di trattamento nella schizofrenia è ormai accertato (Vita, 2013), mentre sono in crescita anche le soluzioni riabilitative neuropsicologiche di altri disturbi.

L'affinazione degli strumenti clinici di intervento è un percorso che segue parallelamente lo studio approfondito della natura delle alterazioni neurocognitive ed il suo sviluppo teorico. L'utilizzo di tali strumenti si avvicina ad un intervento psicoterapeutico nel quale è fondamentale l'aggancio dell'impegno attivo del paziente e la chiara definizione degli obiettivi terapeutici, che devono essere volti al raggiungimento dell'achievement personale.

Verranno in questo paragrafo soltanto menzionati molto velocemente dei possibili trattamenti che possono essere considerati di riabilitazione neurocognitiva, anche se facilmente collocabili all'interno di una pratica psicoterapeutica. Come abbiamo già detto sotto alcuni aspetti il confine tra i due settori è veramente sottile ed è inevitabile che si produca un intreccio. Basti pensare all'effetto positivo delle tecniche mindfulness nel rinforzare la capacità dello shifting attenzionale (Chambers, 2008).

I trattamenti utilizzati sul disturbo d'ansia lavorano sui fattori di vulnerabilità descritti nel paragrafo precedente.

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Tra i trattamenti che si focalizzano sul bias attentivo e/o mnestico, caratteristici dell'ansioso, possiamo menzionare il Cognitive Bias Modification (Mac Leod e Mathwes, 2012) o l'Attention Modification Program (Amir et al., 2011).

Emerge dai diversi studi fatti l'effetto positivo di questi trattamenti, che implicano un training sul controllo attenzionale, nella riduzione sintomatologica del soggetto con disturbo d'ansia.

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Parte II

2.1. DESCRIZIONE DELL'IPOTESI DI RICERCA

Questo lavoro sperimentale si presenta come uno studio pilota. E' una prima formulazione su piccola scala di un progetto di ricerca volto a delineare il profilo mnestico dei soggetti con disturbi d'ansia.

Lo strumento su cui si basa principalmente la valutazione del sistema strutturale della memoria è la WMS-IV, accompagnato dall'utilizzo di strumenti che ci permettono di valutare le componenti della memoria tralasciate dal primo test (Digit Span per la working memory uditivo-verbale e TMT B per l'esecutivo centrale della WM).

I risultati che verranno ottenuti dallo studio definitivo permetteranno la descrizione del funzionamento mnestico dello special group italiano che riguarda i disturbi d'ansia, che insieme ad altri special group, comporra parte di un manuale di guida all'utilizzo clinico della WMS-IV che verrà pubblicato in occasione dell'uscita del test nella traduzione italiana.

L'idea di valutare degli special groups nasce già dalla versione originale americana. Questo lavoro si discosterà in parte da quello americano per la considerevole ragione che riguarda la diagnosi dei soggetti. Il lavoro americano è stato svolto nel 2008 e per la classificazione diagnostica si è fatto riferimento al DSM IV-TR, che includeva tra i disturbi d'ansia il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo post-traumatico da stress.

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Il volume americano prende in riferimento un campione di 60 soggetti (età 18-55) con disturbi d'ansia che viene confrontato con un gruppo di controllo. I risultati forniti sono: un range dei punteggi di indice medi tra 95.2 (VWMI) e 100.3 (AMI). Lievi differenze in negativo col gruppo di controllo sui punteggi medi di VMI e IMI. Lievi differenze significative si trovano anche nei subtest VR I, DE I, SSP, e nei punteggio di contrasto (AMI VS VMI). Si conclude semplicemente dicendo che il gruppo con disturbo d'ansia presenta una minima alterazione mnestica comparata al gruppo di controllo.

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La letteratura scientifica sull'argomento non fornisce un grosso aiuto per orientarsi in anticipo sulle caratteristiche del funzionamento mnestico nella condizione ansiosa.

Una grossa mole di ricerche si è focalizzata sulla memoria a breve termine, in particolare sull'esecutivo centrale della WM. Non sempre però si è evidenziato un cedimento della prestazione nei compiti che richiedono alla componente dirigenziale della working memory di esporsi per l'esecuzione della prova. Eysenk e Calvo (1992) spiegano tale fenomeno differenziando l'efficacia della performance dall'efficienza del processo messo in atto; l'ansia, più specificatamente il worry, ha un effetto di interferenza, secondo la Teoria dell'efficienza del processo (Eysenk e Calvo, 1992), sul secondo aspetto mentre il primo può rimanere integro tramite un processo di compensazione.

Per quanto riguarda la memoria a lungo termine Zlomuzica et al. (2014) hanno fatto una esaustiva revisione dei dati presenti in letteratura e riportano tutti gli studi fatti sul funzionamento della memoria a lungo termine nell'utilizzo di materiale neutro.

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(Zlomuzica et al. 2014)

Gli autori nel loro lavoro di revisione evidenziano la discordanza dei risultati ottenuti. Spiegano l'inconcludenza della ricerca svolta sulla memoria episodica è dovuta all'eterogeneità metodologica e concettuale .

Nella nostra ricerca faremo una suddivisione dei soggetti del nostro campione in due sottogruppi, senza considerare la categorizzazione dei diversi disturbi d'ansia fatta dal DSM V. Se l'effettivo elemento di interferenza dell'ansia pare essere il worry sembra ragionevole porre una distinzione dei soggetti a seconda dei fattori che ne compongono il costrutto.

Prenderemo in riferimento la distinzione fatta da Eysenck (1992b), che individua due principali domini nel costrutto di worry: la preoccupazione per il giudizio sociale e la preoccupazione per la minaccia fisica.

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Suddivideremo il campione in due gruppi tenendo conto di questi due aspetti del worry e valuteremo se c'è ragione di pensare che questi due domini formino due profili di funzionamento menstico differenti e specifici.

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2.2. METODO

Sono stati selezionati 8 pazienti (4 maschi e 4 femmine) in regime ambulatoriale affetti da Disturbo d'Ansia (Disturbo d'Ansia Generalizzata, Agorafobia, Disturbo d'Ansia Sociale, Disturbo di Panico) secondo i criteri del DSM-V (APA, 2013) presso il Servizio di Salute Mentale della ASL 5 di Pisa (zona della Valdera), applicando i seguenti criteri di esclusione per la partecipazione allo studio:

 assenza di disturbi neurologici in anamnesi;

 assenza di una storia di pregresso trauma cranico;  assenza di patologie cerebrali organiche in anamnesi.

Tutte le diagnosi sono state confermate da clinici esperti (psichiatri e psicologi).

Le caratteristiche descrittive del campione rispetto all'età e alla scolarità sono riportate in Tabella 1. Il campione risulta composto in egual misura da maschi e femmine. L'età media dei soggetti è di 45,50 ± 18,57 anni, mentre il livello medio di istruzione si attesta sui 12,13 ± 2,95 anni.

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Ciascun paziente è stato invitato a prendere parte allo studio dopo aver ricevuto una spiegazione esaustiva circa le modalità di conduzione e le attività previste dallo stesso; ogni partecipante ha quindi firmato il modulo di consenso informato. Nel corso di una sola seduta (2 ore e mezzo circa) sono stati effettuati: una raccolta anamnestica, colloquio clinico, osservazione comportamentale (supervisionati), ed i pazienti sono stati quindi sottoposti ad un assessment neurocognitivo riguardante la memoria, svoltesi presso l'Ambulatorio di Neuropsicologia Clinica dell'Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera della ASL5 di Pisa (presidio di Pontedera). Una volta terminati e corretti i vari test è stata inoltre offerta ai partecipanti, con l'approvazione dei clinici di riferimento, la possibilità di ricevere una restituzione su quanto emerso dalle prove.

I soggetti del campione sono stati sottoposti ad una batteria di test per la valutazione del sistema strutturale della memoria. Presentiamo di seguito una descrizione degli strumenti utilizzati:

 Digit Span: prova per valutare il funzionamento de sistema schiavo

uditivo-verbale della working memory (loop fonologico); si leggono alla persona alcuni numeri in sequenza ed il paziente è invitato a ripetere gli stessi numeri nel medesimo ordine. Le stringhe numeriche aumentano progressivamente in lunghezza. (Spinnler e Tognoni, 1987)

 Trail Making Test A (TMT A): si tratta della parte preliminare di un noto

test di attenzione divisa; numerosi studi passati in rassegna nella prima parte di questo lavoro hanno inoltre impiegato il Trail Making Test come prova di flessibilità mentale o set-shifting. La persona deve unire

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una serie di cerchietti numerati in ordine progressivo, senza mai

staccare la penna dal foglio e nel minor tempo possibile. (Giovagnoli et al, 1996)

 Trail Making Test B (TMT B): in questa seconda parte il paziente deve

unire tra loro diversi cerchietti contenenti numeri e lettere in ordine progressivo e alternato (1-A-2-B-3-C...), cercando di non staccare la penna dal foglio ed impiegando il minor tempo possibile. E' un test sensibile al funzionamento dell'esecutivo centrale della working memory. (Giovagnoli et al, 1996)

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LA WECHSLER MEMORY SCALE-IV

La Wechsler Memory Scale-IV (WMS-IV) è un test neuropsicologico progettato per una dettagliata analisi del sistema della memoria (Wechsler, 2009). È l’ultima versione della serie delle Wechsler Memory Scale e rappresenta l’evoluzione della Wechsler Memory Scale III, pubblicata nel 1999. Esistono due versioni della WMS-IV. Una riservata a persone di età compresa tra i 16 e i 69 anni, la Batteria Adulti, l’altra per le persone tra i 65 e i 90 anni, la Batteria Anziani, più semplice e con un numero minore di subtest.

La WMS-IV fornisce un dettagliato assessment di aspetti clinicamente rilevanti del funzionamento mnestico, comunemente riportati in pazienti con sospetti disturbi di memoria o nei pazienti che hanno ricevuto diagnosi di disturbi neurologici, psichiatrici o dello sviluppo (Wechsler, 2009). La WMS-IV contiene subtest per la memoria a lungo termine e subtest per la working memory.

Abbiamo provveduto ad un adattamento linguistico e ad una traduzione dei manuali e dei protocolli del test. Il lavoro di adattamento e traduzione ha tenuto conto delle svariate differenze culturali e linguistiche che avrebbero reso la versione in inglese, seppur tradotta, non compatibile con il contesto italiano.

La standardizzazione della WMS-IV include anche una taratura su special

group. Gli special group sono, appunto, gruppi di popolazioni speciali che

frequentemente presentano deficit di memoria. Un numero variabile di soggetti appartenenti a questi gruppi è stato reclutato e sottoposto alla WMS-IV, al fine di ricavare statistiche descrittive sulle loro performance medie (Wechsler, 2009). Gli special group sono: demenza lieve di tipo Alzheimer,

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Parkinson, mild cognitive impairment (MCI), disturbi dell'umore, disturbi d'ansia, trauma cranico, disturbi dello spettro autistico, schizofrenia, disturbo ossessivo-compulsivo, DSA, disturbi del comportamento alimentare, disturbo borderline di personalità.

Subtest della WMS-IV

La WMS-IV contiene 6 diversi subtest (ad esclusione dell’Esame Breve dello Stato cognitivo, una mini-batteria di test opzionale per un veloce assessment del profilo cognitivo globale).

Riportiamo di seguito un elenco di tutti i subtest e delle loro sigle. o Memoria Logica – ML (LM I-LM II)

o Apprendimento di coppie di parole – ACP (VPA I-VPA II) o Disegni – DI (DE I-DE II)

o Riproduzione visiva – RV (VR I-VR II) o Addizione spaziale – AS (SA)

o Span di simboli – SS (SSP)

Ogni subtest, tranne i subtest di Addizione spaziale e Span di simboli che appartengono alla categoria dell’assessment della working memory, sono presenti in due versioni, una immediata e una differita. La versione immediata è contrassegnata da “I” davanti ad ogni sigla, mentre la versione differita è contrassegnata da un “II” davanti ad ogni sigla. La versione immediata valuta il recupero immediato del materiale presentato in ogni subtest, mentre la versione differita valuta il recupero, appunto, differito (dopo 20-30 minuti

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dalla somministrazione dell’intero subtest). I subtest, quindi, risultano globalmente 10, e sono: Memoria logica I, Memoria logica II, Apprendimento di coppie di parole I, Apprendimento di coppie di parole II, Disegni I, Disegni II, Riproduzione visiva I, Riproduzione visiva II, Addizione spaziale e Span di simboli.

Il subtest di Memoria logica (ML I e ML II) si avvale di due racconti diversi. Lo scoring segue le regole generali del numero di elementi rievocati correttamente. Lo stesso vale per la versione differita. La somma dei punteggi della rievocazione immediata compone il punteggio di ML I, mentre la somma dei punteggi della rievocazione differita compone il punteggio di ML II. Il subtest valuta quindi la memoria di prosa tramite richiamo libero (Wechsler, 2009).

Il subtest di Apprendimento di coppie di parole (ACP I e ACP II) consiste in un elenco di 14 coppie di parole, semanticamente correlate e non. Il subtest segue la struttura di tutti i test di Apprendimento di coppie di parole. Dopo la lettura, l’esaminato deve rievocare il secondo membro di ogni coppia dopo che l’esaminatore ha fornito il primo membro di ogni coppia. Lo stesso elenco di parole viene letto 4 volte e per altrettante volte il compito si ripete. È stato deciso di somministrare anche il subtest opzionale del Richiamo libero di coppie

di parole (ACP rich.). In questo subtest, dopo la somministrazione di ACP II, al

paziente viene chiesto di rievocare liberamente le parole presentate durante i subtest ACP I e ACP II, senza la necessità di rievocare gli abbinamenti.

Nel subtest Disegni (DI I e DI II) vengono presentate alcune pagine che raffigurano una griglia con alcuni disegni senza senso al suo interno. L’esaminato, ogni volta, ha a disposizione una griglia di cartone corrispondente alla griglia disegnata nella pagine presentate e un diverso

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mazzo di carte, alcune delle quali contenenti i disegni presentati nelle pagine, altre che contengono disegni simili ma che non sono stati presentati (i distrattori). Dopo che l’esaminato ha preso attentamente visione della pagina presentata (per 10 secondi, dopo i quali la pagina verrà coperta), dovrà scegliere, tra le carte a disposizione, quelle che ha visto nella pagina presentata, discriminarle dai distrattori e posizionarle nella griglia, ovvero nelle celle in cui si ricorda di averle viste. Il compito si ripete per 4 volte. Nella versione differita, all’esaminato vengono date, volta per volta, i mazzi di carte che ha utilizzato nella versione immediata. Senza fornire alcuna indicazione, dovrà discriminare nuovamente le carte target e riposizionarle nella griglia così come si ricorda di averle viste nelle pagine presentate nella versione immediata. Il subtest valuta quindi la memoria spaziale per materiale visivo non familiare (Wechsler, 2009). Vengono valutati anche due altri parametri per ogni versione immediata e differita. Il “parametro spaziale” (siglato come DI

spaz.) valuta il numero di carte posizionate in celle che corrispondevano, nelle

figure presentate, alle celle che contenevano un disegno, senza riguardo per il contenuto stesso delle carte selezionate. Il “parametro contenuto” (siglato come DI cont.) valuta invece il numero di carte giuste selezionate tra i mazzi di carte, ovvero le capacità di rievocare e discriminare carte target e di inibire la scelta dei distrattori. Entrambi i parametri si applicano per la versione immediata e per quella differita.

Nel subtest Riproduzione visiva (RV I e RV II) all’esaminato vengono presentate 5 pagine contenti disegni geometrici. Dopo 10 secondi la pagina viene coperta e, ogni volta, l’esaminato deve disegnare su un foglio la figura che ha visto, così come se la ricorda. Il compito si ripete per 5 volte, e le figure diventano via via più complesse. Nella versione differita l’esaminato deve rievocare,

Riferimenti

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