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Bitcoin e Blockchain: il loro utilizzo in mercati reali

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

CORSO DI LAUREA IN BANCA, FINANZA

AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI

TESI DI LAUREA

Bitcoin e Blockchain: il loro

utilizzo in mercati reali

Relatore: Candidato: Prof. Emanuele Vannucci Laura Bocelli

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INDICE

Introduzione………..3

Capitolo 1 - LA MONETA………..5

1.1 Excursus storico della moneta: dal baratto alla banconota……….5

1.2 Che cosa è la moneta e quali sono le sue funzioni………11

1.3 Come si crea moneta……….14

1.4 I moventi della domanda di moneta………..16

1.5 L’offerta di moneta………18

1.6 Le tipologie di moneta esistenti……….21

Capitolo 2 – BITCOIN………27 2.1 Cos’è Bitcoin?...27 2.1.1 La rete peer-to-peer (P2P)………...32 2.1.2 La crittografia……….33 2.1.2.1 La chiave privata………..35 2.1.2.2 La chiave pubblica………...35

2.1.3 Bitcoin non è del tutto anonimo……….36

2.1.4 Il padre del Bitcoin: Satoshi Nakamoto………..37

2.2 Come funzionano le transazioni Bitcoin………39

2.2.1 Primo problema: nodi onesti e nodi disonesti……….43

2.2.2 Come si risolve il problema del double-spending?...44

2.3 Come si possono ottenere bitcoin?...45

2.4 Il mining……….48

2.4.1 Solo-mining, Mining-pool e Cloud mining………52

2.5 Cosa è il bitcoin da un punto di vista giuridico?...55

2.6 Bitcoin è legale?...58

2.7 I vantaggi e gli svantaggi di usare Bitcoin……….59

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2.8 La metafora di Internet………..64

2.9 Bitcoin valley: dove tutto si paga in bitcoin………..67

2.10 Case history: prime case al mondo vendute in BTC………...69

Capitolo 3 – BLOCKCHAIN……….71

3.1 La Blockchain esisteva già nel 1400………72

3.2 Che cosa è la Blockchain?...74

3.2.1 51% Attack………..80

3.3 Permissionless e Permissioned Blockchain……….81

3.3.1 Permissionless Blockchain………..81

3.3.2 Permissioned Blockchain………82

3.4 Cosa sono i fork?...84

3.4.1 Soft fork………..85

3.4.2 Hard fork……….86

3.4.3 Perché si arriva ad un fork: il problema della scalabilità...86

3.4.3.1 Ligthtning Network………..87

3.5 Smart Contract……….91

3.5.1 La digitalizzazione delle assicurazioni………95

3.6 ICO………...96

3.6.1 Cosa è un token?...100

3.6.2 AidCoin: la criptovaluta della beneficienza………..102

3.7 Altri ambiti applicativi della Blockchain………....105

3.7.1 I sistemi di voto sulla Blockchain………..105

3.7.2 Blockchain in ambito sanitario………..107

Conclusioni………109

Bibliografia……….………...111

Sitografia………113

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INTRODUZIONE

La moneta nasce migliaia di anni fa per mancanza di fiducia tra le persone. Poiché non era possibile pesare in modo corretto i metalli o gli oggetti che venivano usati come merce di scambio e non ci si fidava del peso detto a voce, i mercanti, le città ed i santuari apposero il proprio marchio sui metalli, trasformandoli quindi in moneta e garantendo così il loro peso ed il loro valore. In questo modo nessuno doveva più fidarsi della parola di un altro. Il bitcoin nasce nel 2009 per lo stesso identico motivo: la mancanza di fiducia.

Il 31 ottobre del 2008 uno sviluppatore, noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, pubblica un primo documento open source in cui si parla della possibilità di creare una versione di denaro elettronico puramente peer-to-peer (da pari a pari), che permetterebbe di effettuare pagamenti online senza la necessità di una terza parte che funga da intermediario. Il tutto basato su crittografia asimmetrica o a doppia chiave.

L’assenza di un’autorità centrale pone però un problema di non poco conto: come si può evitare che un soggetto spenda due volte lo stesso denaro? Satoshi Nakamoto aggira l’ostacolo ideando la Blockchain, che non è altro che una vera e propria catena di blocchi dati. Ogni informazione, opportunamente crittografata e scambiata sulla Blockchain, viene aggiunta ad un blocco; quando si raggiunge la capienza massima di megabyte che un blocco può contenere, questo viene sigillato crittograficamente e la chiave per aprire quel blocco viene inserita nel blocco successivo, e così succede all’infinito. Questa catena di blocchi è pubblica e copiata su ogni computer connesso alla rete Blockchain.

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Questa tesi si prefigge l’obiettivo di spiegare il funzionamento di Bitcoin e Blockchain, a che punto siamo arrivati con la loro implementazione, quali sono gli ambiti in cui hanno già un impatto rilevante e quali sono i benefici apportati. In futuro, con l’avanzo inarrestabile della tecnologia, potrebbero apportare vantaggi in altri settori, che verranno di seguito analizzati (come ad esempio quello sanitario).

L’elaborato seguirà la seguente struttura:

• Il primo capitolo ha il fine di descrivere come è nata la moneta, come si è evoluta, come viene creata e quali sono ad oggi le tipologie che coesistono. • Il secondo capitolo è finalizzato a descrivere il funzionamento del protocollo

Bitcoin e della moneta bitcoin, la normativa ad oggi vigente in materia e le attuali applicazioni.

• Il terzo capitolo è dedicato all’analisi della struttura e del funzionamento della Blockchain. L’obiettivo principale è però quello di esplicare il possibile utilizzo di questo network, con i conseguenti vantaggi che ne derivano, al di fuori dell’ambito finanziario. L’impatto potrebbe essere veramente rilevante in settori come quello della beneficienza, quello sanitario, assicurativo, ecc.

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Capitolo 1

LA MONETA

«La moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per il suo valore intrinseco, ma per le cose

che consente di acquistare.»1

In questo primo capitolo introduttivo si ha l’intento di trattare l’evoluzione della moneta nel corso del tempo, le caratteristiche di quest’ultima, le sue funzioni, il motivo per cui viene richiesta dagli agenti economici e le tipologie ad oggi esistenti. Per quale motivo, però, viene creata la moneta? Le esigenze dell’uomo hanno fatto sì che dal baratto, nato per scambiare beni da alcuni avuti in eccesso e necessari ad altri, si passasse all’utilizzo della moneta merce e quella metallica, per arrivare successivamente alla banconota.

Al giorno d’oggi la maggior parte delle transazioni avviene attraverso moneta bancaria; le monete metalliche e le banconote vengono utilizzate in modo esiguo. Da circa 10 anni però, con la creazione dei Bitcoin, è stata introdotta una nuova tipologia di moneta: la criptovaluta.

1.1 EXCURSUS STORICO DELLA MONETA: DAL

BARATTO ALLA BANCONOTA

Il baratto viene storicamente considerato come la prima forma di scambio commerciale: scambio di beni con beni. Era infatti l’unico modo possibile, in assenza

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di moneta, con cui una parte avrebbe potuto ricevere beni o servizi che gli erano necessari. In cambio, l’altra parte avrebbe ceduto beni o servizi detenuti in eccesso. Questa modalità di scambio nasce nel 4600 a.C.

Il baratto effettivamente funziona proprio in questo modo, se ad esempio un contadino avesse avuto bisogno di alcune pelli per ripararsi dal freddo dell’inverno, avrebbe potuto barattarle con parte del suo raccolto.

Nel baratto, il valore dei beni oggetto dello scambio viene considerato sostanzialmente equivalente fra le parti. Questo è sicuramente il primo problema che si riscontra, in quanto è molto difficile trovare un’equità tra due oggetti palesemente diversi tra loro. Così, ogni volta che due beni dovevano essere scambiati, era necessario stabilire il valore esatto di entrambi, altrimenti sarebbe stato impossibile poter trovare un accordo.

Un’ulteriore difficoltà si poteva incontrare qualora la merce offerta fosse stata deperibile, in quanto si poteva andare incontro al rischio di perdere il valore dei beni ricevuti.

Un altro problema legato al baratto, certamente quello di maggiore impatto, è la necessità che ci sia una “doppia coincidenza dei bisogni”, ossia che vengano tratti vantaggi bilaterali dallo scambio. Sostanzialmente si devono trovare due parti, le quali siano disposte a cedere il bene che possiedono in cambio dell’altro e il tutto deve portare un vantaggio, o soddisfare un bisogno, di entrambi i soggetti interessati.

Non è però sempre così, infatti si usa distinguere in due tipologie di baratto: baratto diretto e baratto indiretto. Il primo fa sì che le due parti scambino tra loro beni di cui hanno necessità; il secondo invece prevede l’intervento di più soggetti, solitamente tre. È infatti questo il caso in cui i primi due soggetti si scambiano beni o servizi di

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cui uno necessita direttamente e l’altro indirettamente, quest’ultimo successivamente va a scambiare il bene o servizio ricevuto con una terza parte.

È proprio il baratto indiretto che va a semplificare gli scambi commerciali, richiedendo l’utilizzo di una merce che favorisca lo scambio e si ponga come intermediario nelle transazioni.

Ci troviamo in un’epoca di diffusione dell’economia agricola, il che comporta un aumento della produzione ed il bisogno di maggiori scambi. Questa è la situazione che conduce al fallimento del baratto, in quanto era necessario un bene che velocizzasse le transazioni e che fosse accettato da tutti.

Nasce così la moneta-merce o moneta naturale, dato che vengono utilizzati, come intermediari negli scambi, beni presenti in natura. La moneta-merce non era però la stessa a livello globale, infatti ogni popolo utilizzava un qualcosa che deteneva in grandi quantità; ad esempio, nei luoghi in cui era molto diffusa la pastorizia veniva usato il bestiame (il termine “pecunia” deriva infatti dal latino “pecus”, che significa “gregge”), ma altrove venivano utilizzati altri oggetti, come: il sale e le spezie, il grano, il bronzo, le pietre, le pelli, ecc…

Quindi la moneta utilizzata come merce di scambio non era un oggetto uguale per tutti, ma doveva necessariamente avere le stesse caratteristiche, ossia:

1) Stabilità del valore: il valore del bene doveva essere costante nel tempo e non doveva cambiare andando da un luogo ad un altro;

2) Trasportabilità: doveva essere trasferibile da un posto ad un altro;

3) Indistruttibilità, ossia la conservabilità nel tempo: non poteva trattarsi di beni deteriorabili, i quali avrebbero perso valore nel tempo;

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4) Divisibilità (e ricomponibilità): i beni dovevano poter essere suddivisi senza perdere il loro valore;

5) Larga diffusione, così da poter essere ampiamente accettati; 6) Riconoscibilità.

Il passo successivo all’utilizzo della moneta-merce è l’affermarsi dei metalli, come mezzo per effettuare le transazioni necessarie; questo accade intorno al III millennio a.C. È stata questa l’epoca del cosiddetto del “bimetallismo”, che prevedeva l’utilizzo di due tipologie di moneta: una aurea, dal valore sicuramente più alto ed una argentea, a cui si attribuiva un valore intermedio. Ogni Stato marchiava i metalli con il sigillo del proprio re e li accettava come mezzo di pagamento.

Sicuramente questi hanno successo per i loro innumerevoli vantaggi:

1) L’elevato valore intrinseco, proprio per questo l’oro e l’argento vengono definiti metalli preziosi;

2) L’omogeneità: un pezzo d’oro è esattamente uguale ad un altro pezzo d’oro con medesima dimensione e stesso peso;

3) La divisibilità e la ricomponibilità: dalla fusione di oggetti d’oro se ne possono ottenere altri senza che si perda peso o valore;

4) La non deperibilità, in quanto non si rovinano;

5) Sono facilmente trasportabili da un luogo ad un altro; questa caratteristica col passare del tempo diventa sempre più importante, in quanto gli scambi venivano effettuati tra popoli che abitavano in posti sempre più lontani. Accanto ai potenziali vantaggi, dobbiamo annoverare però anche i rischi (o svantaggi) che l’utilizzo dei metalli come moneta-merce comporta, i quali non sono trascurabili; infatti è difficile verificare l’effettivo contenuto di metallo nobile

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presente nell’oro e nell’argento (utilizzati per effettuare i pagamenti) e non garantiscono un’elevata sicurezza a chi li trasporta.

Durante l’epoca medioevale si inizia ad intravedere la differenza tra valore intrinseco, cioè il valore vero del metallo prezioso, e valore estrinseco, cioè il valore di scambio attribuito alla moneta, più precisamente questo è il suo valore nominale. Ciò accade perché gli stati decidono di mescolare metalli non preziosi con l’oro e l’argento, generando monete che però avevano pari valore rispetto a quelle formate solo da metalli preziosi. Le prime, pur avendo un valore estrinseco pari alle seconde, hanno sicuramente un costo di produzione (valore intrinseco) di gran lunga minore. Prende vita in questo modo il signoraggio, che non è altro che il guadagno che si ottiene dalla differenza tra valore estrinseco e valore intrinseco, riferito alla coniazione della moneta.

Le monete “moderne” nacquero perché non era possibile pesare i metalli o gli oggetti che venivano usati per comprare o vendere qualcosa e le persone non si fidavano del peso detto a voce. Per questo i mercanti, i santuari e le città apportarono il proprio marchio sui metalli, trasformandoli così in moneta, con il fine di garantire quel peso e quel valore, così che nessuno doveva fidarsi della parola di un altro o del peso detto a voce; vi era infatti una terza parte che, con il proprio marchio stampato, garantiva quel peso e quel valore. Le monete moderne nascono per la mancanza di fiducia tra gli esseri umani.

Il 300 a.C. fu un periodo in cui il commercio si diffuse molto velocemente e per questo motivo accadeva di frequente che i mercanti, i quali andavano ad effettuare scambi in città molto lontane, venissero derubati. Per tutelarsi e difendersi dai furti iniziarono ad affidare i loro averi agli orafi, i quali assicuravano la custodia in cambio

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di denaro. Per confermare che il deposito fosse veramente avvenuto, gli orafi emettevano come ricevuta una “lettera di cambio”, che garantiva al mercante la restituzione, in qualsiasi momento, della somma di denaro indicata.

Queste lettere di cambio si diffusero rapidamente ed iniziarono ad essere utilizzate per effettuare pagamenti anche presso orafi di altre città. È così che nasce la banconota, che è uno strumento di pagamento rappresentato da un biglietto cartaceo privo di valore intrinseco diretto; gli orafi diventano così dei neonati banchieri. Nel Settecento il numero di transazioni effettuate in moneta metallica era sicuramente diminuito in modo considerevole, data la comodità di pagare con moneta cartacea; divenne molto rara anche la conversione delle banconote in oro.

Fu in questo periodo che le banche iniziarono a svolgere la loro attuale attività, ossia l’emissione di nuova moneta cartacea (stampa di nuova banconota senza deposito di oro) e il prestito di questa a chiunque ne avesse necessità, in cambio della promessa di una stessa quantità di valore, più gli interessi. Così i banchieri riuscivano a guadagnare, oltre agli interessi, anche un reddito, il quale era dato dalla differenza tra il valore del capitale prestato e il costo della stampa della moneta cartacea; torna qui il concetto di “signoraggio bancario”.

Successivamente i banchieri, incoraggiati dal fatto che nessuno volesse più ritirare l’oro depositato presso le banche, decisero di erogare prestiti in misura maggiore rispetto alle riserve realmente detenute; questo portò a non avere più la garanzia di copertura in oro per le banconote. È così che l’oro perse, in modo graduale, la sua funzione di mezzo di scambio e diventò “riserva delle banche”, ossia una riserva aurea che garantiva loro la possibilità di limare i deficit delle bilance commerciali. Questa

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riserva aurea era la base del Gold Standard (o Sistema aureo), che venne adottato a partire dal Settecento in tutte le grandi nazioni europee.

Il Gold Standard perdura fino al 1944, anno in cui a Bretton Woods viene sancito l’inizio di un nuovo sistema chiamato “Gold Exchange Standard”. Questo era un sistema a cambi fissi tra le valute, le quali erano tutte legate al valore del dollaro, che a sua volta era legato all’oro.

Anche il Gold Exchange Standard fallì nel 1972, quando il presidente degli Stati Uniti di allora, Richard Nixon, dovette dichiarare l’inconvertibilità dei dollari USA. Da quel momento in poi (ed ancora oggi), la moneta non è più garantita da un controvalore in oro o in argento, ma entra in vigore il concetto di moneta FIAT, cioè la moneta viene garantita per autorità dallo Stato o dall’organo emittente (nel nostro caso la BCE). Quindi la moneta FIAT è uno strumento di pagamento non coperto da riserve di materiali, come ad esempio l’oro, e privo di valore intrinseco.

1.2 CHE COSA È LA MONETA E QUALI SONO LE SUE

FUNZIONI

La moneta è un mezzo universale di pagamento, ovvero è un bene accettato da tutti i membri di una società come corrispettivo per la cessione di merci, per la prestazione di un servizio o per la remissione di debiti.

La storia dell’etimologia della parola “moneta” è alquanto curiosa. Intanto possiamo dire che è un epiteto della dea romana Giunone, che si ricollega ad un evento storico particolare e molto importante, nonostante il racconto appaia un po’ romanzato. Si narra infatti che nell’anno 390 a.C. i Galli Senoni, sotto la guida di Brenno, avevano posto Roma sotto assedio. Erano riusciti ad entrare in città ed avevano saccheggiato ogni posto possibile; l’unico luogo che ancora riusciva a resistere era il

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Campidoglio, roccaforte dove i romani proteggevano i loro templi ed il loro oro. Non era per niente facile penetrare questo sito, ma la leggenda vuole che i Galli avessero scavato un passaggio segreto attraverso cui accedervi. È qui che troviamo l’intervento di Giunone, la quale faceva vivere nel suo tempio le oche, animali a lei sacri (per questo non erano state ancora usate come cibo dagli assediati). Quando gli invasori, durante la notte, tentarono l’irruzione nel Campidoglio, le oche iniziarono a starnazzare così forte che i romani si svegliarono e, prese le armi, riuscirono a ricacciare l’invasione dei Galli. In questo modo Giunone si meritò l’epiteto di moneta (che deriva dal verbo latino “monere”: avvertire, ammonire), visto che, grazie all’avvertimento delle sue oche, Roma non cadde sotto il controllo dei nemici.

È proprio questa storia che ci suggerisce il motivo per il quale, quando sul Campidoglio venne aperta la zecca di stato, che si trova vicinissimo al tempio di Giunone Moneta, passò molto poco perché si iniziasse a chiamare proprio con il nome di “moneta” il denaro che veniva coniato all’interno.

Dopo questo breve excursus riguardante l’etimologia della parola, possiamo concentrarci su ciò che la moneta in realtà è. Nonostante sia un bene che viene usato abitudinariamente da tutti noi, dare una definizione puntuale di moneta non è cosa semplice, tutt’altro.

John Richard Hicks, un noto economista inglese, a proposito dell’argomento, disse: “la moneta è ciò che la moneta fa”. Partendo da questa affermazione, possiamo andare a definire la moneta attraverso le sue tre principali funzioni, ossia:

1) Mezzo di pagamento; 2) Unità di conto; 3) Riserva di valore.

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La prima proprietà è senza dubbio la più importante ed è specifica della sola moneta; in casi eccezionali, infatti, possono essere accettati altri beni per saldare un debito (come ad esempio titoli molto liquidi e di ottimo rating, come i BOT).

Per essere un “mezzo di pagamento” la moneta deve essere accettata universalmente; solo in questo modo si riesce ad abolire gli spropositati costi legati alla ricerca di una controparte, come sarebbe richiesto da un sistema di baratto. Sicuramente questa funzione permette alla moneta di facilitare gli scambi, in quanto viene accettata in cambio di qualsiasi bene.

Il secondo essenziale ruolo della moneta è quello di essere una misura di valore largamente riconosciuta, ossia una misura del valore di scambio.

I prezzi dei beni, dei servizi e delle attività sono normalmente espressi in “termini monetari”; poi, grazie ai tassi di cambio, ci è possibile convertire i prezzi monetari dei diversi paesi nella medesima unità di conto. Quella di esprimere i prezzi in termini monetari è una convenzione che semplifica molto i calcoli economici e facilita il paragone tra i prezzi di beni diversi.

L’ultima funzione della moneta è quella di essere riserva di valore. La moneta infatti, in quanto non deperibile, conserva il suo valore nel tempo e nello spazio e può essere utilizzata per trasferire potere d’acquisto dal presente al futuro. Questo attributo è necessario per ogni mezzo di scambio, perché nessuno vorrebbe accettarlo in pagamento se il suo valore, in termini di beni e servizi, svanisse immediatamente o nel breve periodo.

Le tre proprietà della moneta, che sono state esaminate, costituiscono la sua caratteristica principale, che è la liquidità, ossia il modo più sicuro di detenere valore.

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Un bene è tanto più liquido quanto minori sono i suoi costi di utilizzo come mezzo di pagamento. La moneta (contante) è il mezzo di pagamento perfettamente liquido per eccellenza, in quanto comporta costi di transazione nulli.

1.3 COME SI CREA MONETA

Le banche centrali sono le uniche istituzioni che possono emettere moneta in modo legale e, allo stesso tempo, possono monitorare la quantità presente in un sistema economico in un dato momento attraverso gli aggregati monetari:

- Base monetaria (anche detto M0): è costituito dalla moneta legale, cioè comprende le monete e le banconote in circolazione;

- Aggregato M1: è formato da M0 a cui si aggiungono le attività finanziarie che possono svolgere il ruolo di mezzo di pagamento, ossia i depositi in conto corrente (bancari e postali);

- Aggregato M2: è quello intermedio, il quale comprende M1 e a questo aggiunge le altre attività ad elevata liquidità e valore certo in ogni momento futuro, ma la cui conversione in M1 può essere soggetta a qualche restrizione, ad esempio la necessità di un preavviso o delle commissioni. Seguendo la definizione della BCE, comprende i depositi con scadenza prestabilita fino a 2 anni e i depositi rimborsabili con preavviso fino a 3 mesi;

- Aggregato M3: questo aggiunge a M2 degli strumenti, emessi da varie istituzioni monetarie, che hanno un alto grado di liquidità e di certezza sul prezzo, come: le operazioni pronti contro termine, le quote e partecipazioni in fondi comuni monetari e i titoli di debito con scadenza originaria fino a 2 anni.

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Nel sistema monetario moderno la moneta è in gran parte costituita, cioè circa per l’85%, da depositi e soprattutto, nello specifico, da depositi a vista. Questi ultimi vengono detenuti dalle banche commerciali, per le quali rappresentano un debito passivo. Le banche ne utilizzano una parte come riserva e l’altra parte la mantengono liquida, per soddisfare le esigenze dei clienti che hanno necessità del circolante. Ricordiamo, come già citato in precedenza, che una delle funzioni fondamentali svolte dalla banca è quella dell’erogazione del credito. Dal momento che viene approvata la richiesta di emissione di un prestito, a livello contabile avvengono tre operazioni contemporaneamente:

1. La banca accredita sul conto del cliente la cifra che ha chiesto in prestito. 2. Il cliente da quel momento ha creato un debito nei confronti della banca. 3. Nel bilancio della banca in questione si crea un credito nei confronti del solito

cliente che ha richiesto il prestito.

La questione fondamentale è però che la somma erogata in realtà non esiste, se non meramente a livello contabile; cioè la banca effettivamente non trasferisce alcuna somma di denaro da un altro conto corrente già esistente a quello del cliente che ha richiesto il credito, ma di fatto genera un nuovo deposito. È esattamente in questo modo che oggi si crea moneta.

Possiamo concludere dicendo che le caratteristiche del sistema monetario moderno si possono riassumere in due punti fondamentali: le banche commerciali creano moneta ogni qual volta che concedono un prestito ad un cliente che ne ha bisogno; la moneta viene distrutta nel momento in cui il debito, precedentemente contratto, viene estinto.

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Le banche centrali invece non sono in grado di stampare moneta in modo vero e proprio. Quest’ultime infatti non detengono come passività i depositi, bensì le riserve delle banche commerciali e parzialmente il denaro contante; per questo non possono concedere nuovo credito e quindi creare moneta.

L’obiettivo delle banche centrali è quindi quello di monitorare le riserve attraverso il costo del danaro, cioè attraverso la variazione dei tassi d’interesse. La moneta creata dalle BC però non va a finire direttamente nelle tasche di imprese o famiglie, ma viene accreditata nei conti delle banche commerciali, con l’intento di incentivarle ad erogare prestiti ai clienti che ne abbiano bisogno, soprattutto nei momenti in cui vi sono delle restrizioni che vanno ad ostacolare la creazione di moneta necessaria.

È doveroso sempre ricordare che la quantità di denaro che deve esistere e deve circolare, deve essere pari alle capacità di spesa, ossia al reale potenziale economico, cioè produttivo, di una nazione. Quindi la moneta deve essere in grado di misurare (o quantificare) la capacità produttiva di un paese e rendere possibile lo scambio dei beni reali ed i servizi che i cittadini sono capaci di produrre e consumare.

1.4 I MOVENTI DELLA DOMANDA DI MONETA

Nel sistema economico moderno il pubblico detiene moneta in forma liquida, ossia domanda fondi monetari reali, per acquistare beni e servizi. La domanda di moneta reale, ossia la quantità di moneta nominale divisa per l’indice dei prezzi, è denominata anche preferenza per la liquidità.

La moneta viene domandata dagli agenti economici per tre principali motivi: - Movente transattivo, quindi domanda di moneta per transazioni; - Movente precauzionale;

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17 - Movente finanziario-speculativo.

Il primo motivo per cui si ha necessità di moneta è sicuramente per far fronte alle spese future certe; questo perché la moneta, essendo un mezzo di pagamento, viene utilizzata dagli operatori economici per effettuare acquisti o scambi. Tutto ciò ci consentedi affrontare lo sfasamento temporale tra il flusso monetario delle entrate e delle uscite.

Vi è quindi una relazione positiva tra domanda di moneta e livello delle transazioni. Perciò, se il livello delle transazioni cresce, sarà tanto più desiderabile disporre di potere di acquisto facilmente spendibile e il più liquido possibile (quindi di denaro sotto-forma di moneta).

Il secondo incentivo a disporre di moneta è per far fronte alle spese future incerte o alle variazioni del reddito futuro, a cui tutti sono esposti. L’ammontare di moneta precauzionale permette quindi agli agenti economici di far fronte ad eventuali imprevisti, riducendo così il rischio di trovarsi in una situazione inaspettata di scarsità della liquidità disponibile. È questo il motivo per cui, in alcuni casi, si preferisce detenere moneta rispetto a forme alternative di ricchezza, come obbligazioni o azioni. Anche questa funzione è legata in maniera diretta al reddito.

La terza causa per cui si decide di detenere moneta è al fine di utilizzarla come strumento finanziario, ossia per decidere di investirla qualora diventi appetibile acquistare un titolo particolarmente fruttifero di interessi. È questo il movente per cui la domanda di moneta è in relazione inversa col tasso d’interesse, perché quanto maggiore è il tasso d’interesse, tanto maggiore sarà l’acquisto speculativo di titoli e, di conseguenza, minore sarà la liquidità tenuta in tasca (la domanda speculativa di moneta).

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La domanda di moneta per quest’ultimo scopo dipende quindi dalle aspettative relative alle variazioni che possono interessare i corsi delle obbligazioni e dal modo in cui gli operatori economici si propongono di trarre vantaggio da tali eventuali variazioni. Un incremento del rendimento atteso dei titoli, aumentando il costo opportunità di detenere moneta, riduce la domanda speculativa di moneta. Un incremento dell’incertezza-rischio dei titoli accresce la domanda speculativa di moneta.

La moneta transattiva, quella precauzionale e quella speculativa compongono la domanda di moneta complessiva degli operatori economici.

1.5 L’OFFERTA DI MONETA

Per offerta di moneta si intende la quantità complessiva di moneta che circola in un Paese in un determinato momento.

L’offerta di moneta (o stock di moneta) considera, oltre al circolante, anche un’ampia gamma di attività finanziarie, come ad esempio i depositi a breve, medio o lungo termine.

Chi controlla l’offerta di moneta di un’economia è la sua banca centrale, che regola direttamente la quantità di circolante e indirettamente l’ammontare dei depositi a vista creati dalle banche commerciali. La banca centrale, controllando l’offerta di moneta, incide anche sul tasso di interesse di mercato.

Gli strumenti che la BC può usare per modificare lo stock di moneta sono tre: 1. Operazioni di mercato aperto, per modificare la base monetaria in

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2. Variazione del tasso ufficiale di sconto ed altri tassi di policy, per influenzare le scelte delle banche sul volume di riserve da tenere complessivamente; 3. Variazione del tasso della ROB (Riserva Obbligatoria), per controllare la

liquidità nelle mani delle banche.

Le operazioni di mercato aperto, a partire dagli anni ’80, sono divenuti lo strumento principale utilizzato dalla banca centrale per controllare la base monetaria e quindi, di conseguenza l’offerta di moneta. Queste consistono in acquisti o vendite di obbligazioni sul mercato secondario. La BC infatti può acquistare titoli presenti sul mercato semplicemente accreditando (o “stampando”) riserve bancarie a favore degli intermediari bancari; in questo modo fa sì che aumentino le riserve e la base monetaria. In modo contrario, può anche vendere titoli presenti nel suo portafoglio a degli intermediari bancari che la pagano usando le loro Riserve; così vengono diminuite le riserve e di conseguenza la base monetaria.

Il secondo strumento nelle mani della BC è la possibilità di modificare il cosiddetto “tasso ufficiale di sconto”, ossia il tasso di interesse che gli istituti di credito usano per chiedere rifinanziamenti alla BC, con il fine di procurarsi nuova liquidità. Il livello del tasso di sconto sarà proporzionale al costo del rifinanziamento richiesto. Ovviamente un suo aumento avrà come risultato una diminuzione dell’offerta di moneta.

L’ultimo strumento a disposizione della BC è la riserva obbligatoria, o ROB, ossia un ammontare di riserve richieste dalle autorità monetarie, che le banche sono obbligate a detenere. La riserva obbligatoria, alle riserve libere, che sono risorse ulteriori che la banca discrezionalmente decide di tenere depositate presso la BC,

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forma la base monetaria. La BC ha il diritto di modificare la quantità delle ROB; questa è inversamente proporzionale all’offerta di moneta sul mercato.

Il mercato in cui gli intermediari bancari si scambiano le riserve si chiama “mercato interbancario delle riserve”. Questo mercato determina il tasso di mercato monetario: - il Tasso Ufficiale di Riferimento (TUR) per l’Unione Europea (tasso di policy della BCE); - il Federal Funds Rate per gli Stati Uniti (tasso di policy della FED).

La BC, per determinare la base monetaria, quindi l’offerta di moneta, può decidere di avere il controllo dell’ammontare di riserve e di lasciar fluttuare i tassi di interesse (teoria del moltiplicatore dei depositi) oppure può decidere di fissare il tasso di interesse, lasciando fluttuare la quantità di riserve (teoria dell’offerta endogena di moneta).

Nel primo caso, la banca non conserva nelle proprie casse tutta la quantità di moneta che le viene affidata, ma trattiene solo la parte che è necessaria per far fronte agli impegni della riserva obbligatoria. L’altra parte, quella che viene immessa di nuovo nel mercato, diventa circolante e fa sì che aumenti l’offerta di moneta. Se questo circolante viene a sua volta depositato, una parte viene trattenuta dalla banca e l’altra torna in circolo; e così via.

Secondo questa teoria, la moneta che circola nel sistema economico è semplicemente un multiplo della base monetaria e quindi delle riserve; quindi sono le riserve che creano i depositi. È questo il caso in cui la moneta viene definita esogena: la quantità di moneta è sotto il pieno controllo della BC e non dipende dal comportamento delle banche e dei privati (vi è il controllo sulle riserve).

Ciò che è stato scritto sopra non è però ciò che fanno oggi le BC, le quali non adottano politiche di controllo della quantità di riserve, ma fissano il tasso d’interesse.

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È più appropriato quindi parlare della seconda teoria, quella che fa riferimento all’offerta endogena della moneta. Questa teoria ci dice che, se la BC intende avere il pieno controllo del tasso d’interesse, deve lasciar fluttuare la quantità di riserve. Se la BC non controlla le riserve, non potrà neanche controllare l’ammontare di depositi creato dagli intermediari bancari; l’offerta di moneta sarà quindi determinata in modo endogeno dalle scelte degli operatori economici, in particolare dagli intermediari bancari.

Secondo questa teoria, le banche in primo luogo prendono le loro decisioni in materia di erogazione dei prestiti e a fine periodo verificano se hanno delle riserve sufficienti. Se hanno riserve in eccesso le prestano, altrimenti le prendono a prestito sul mercato interbancario. Se, in aggregato, le banche non hanno abbastanza riserve, il tasso di interesse sale e la BC interviene fornendo le riserve mancanti per mantenere il tasso al livello desiderato.

In questo caso si parla di moneta endogena, ossia l’offerta di moneta è determinata dal comportamento delle banche e dei privati (vi è il controllo sul tasso di interesse).

1.6 LE TIPOLOGIE DI MONETA ESISTENTI

Ad oggi coesistono varie tipologie di moneta, che vengono emesse da soggetti diversi; tra queste possiamo annoverare:

- La moneta metallica; - Le banconote;

- Le riserve della Banca Centrale;

- I depositi bancari e altre forme di moneta bancaria o fiduciaria; - La moneta elettronica;

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22 - Bit Coin ed altre cripto-valute.

Per moneta metallica si intendono le monete in metallo, di piccolo taglio, che vengono usate solitamente per transazioni di modeste entità. Questo strumento di pagamento è l’unico emesso dal Tesoro e non dalla Banca Centrale Europea; infatti l’euro, in moneta metallica, è coniato dagli stati membri. È una moneta a corso legale (o moneta fiat), ossia non è coperta da riserve di altri materiali, come ad esempio riserve auree, ed è quindi priva di valore intrinseco. La moneta legale ha un valore perché esiste un’autorità, ossia lo Stato, che agisce come se questa avesse un valore. Se infatti una collettività emette, usa ed accetta qualcosa per effettuare delle transazioni, in automatico quel qualcosa acquisisce valore, in quanto è riconosciuto come mezzo di scambio.

Andando più a fondo, possiamo dire che la moneta legale, totalmente svincolata dal contenuto intrinseco di metallo prezioso, ha valore perché è un mezzo di pagamento stabile riconosciuto nell'economia di un certo paese.

È importante sottolineare che:

• la stabilità, di cui sopra, è senza dubbio assicurata dalle banche centrali, che hanno il controllo sull’emissione della moneta;

• il fatto di essere un mezzo di pagamento è stabilito dalla legge;

• lo Stato, che emette la moneta, richiede che essa sia un mezzo valido per il

pagamento delle imposte;

• infine, il potere d'acquisto stabile e giuridicamente riconosciuto della moneta legale è rilevante solo in quanto può essere rivolto a beni e a prodotti finanziari desiderati, che sono prodotti e offerti dal paese in cui circola quella moneta.

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Le banconote sono anch’esse monete fiat o monete a corso legale in tutti i paesi dell’area dell’euro. Queste sono “biglietti di banca”, ossia moneta cartacea stampata, che, al contrario delle monete metalliche, non vengono emesse dal Tesoro, bensì dalla BCE.

Altra tipologia di moneta ad oggi esistente è rappresentata dalle Riserve della BC; anche in questo caso l’emissione è attribuita alla BCE e fanno parte della moneta a corso legale. Le riserve bancarie sono depositi effettuati dagli intermediari bancari presso la Banca Centrale. Queste si dividono in due tipologie, che sono: - Riserve Obbligatorie (ROB): ammontare di riserve che vengono richieste dalle autorità monetarie che le banche sono obbligate a detenere; - Riserve Libere (RL): ammontare di riserve additive alle ROB che la banca, in modo discrezionale, decide di depositare presso la BCE. Queste, insieme al circolante (monete metalliche e banconote), formano la base monetaria.

La moneta a corso legale viene utilizzata da tutti noi per circa il 5%, nella restante parte, ossia per il 95% dei casi, utilizziamo moneta bancaria.

La moneta bancaria non è una moneta a corso legale, bensì una moneta a corso fiduciario. Ciò sta a significare che chi accetta un pagamento con questo tipo di moneta mostra fiducia nella solvibilità dell’altra parte. Esempi in questo senso sono: i depositi bancari, l’assegno bancario, le carte di debito (bancomat), le carte di credito, ecc… La moneta bancaria viene emessa direttamente dalle banche.

La moneta elettronica invece è “un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell'emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e

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accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall'emittente" (art. 55, lett. h ter della Legge n. 39 del 1 marzo 2002, attuativa della Direttiva 2000/46/CE).

Ad oggi in circolazione troviamo due strumenti di moneta elettronica: - le carte di pagamento di tipo prepagato;

- i conti prepagati (i cosiddetti “borsellini elettronici”).

Chi detiene uno di questi due strumenti può ricaricarlo attraverso un bonifico bancario o da un conto corrente bancario, oppure può effettuare un versamento in contanti direttamente in un punto vendita abilitato; può spendere questo denaro elettronico solo presso gli esercenti convenzionati al circuito di appartenenza oppure lo trasferisce a terzi. I titolari possono in ogni momento chiedere il saldo disponibile per via telematica e possono sempre richiedere il rimborso del saldo residuo.

Fino a pochi anni fa queste erano le uniche tipologie di moneta che si potevano trovare in circolazione, da circa una decade sono state introdotte anche le monete matematiche o criptovalute. Queste sono monete digitali che stanno al di fuori dei circuiti delle banche centrali, quindi non c’è nessuno che controlla la quantità di denaro che viene stampato. Una criptovaluta è “una rappresentazione digitale di valore, decentralizzata, basata sul peer-to-peer, su una blockchain condivisa, il cui trasferimento è basato sulla crittografia e le cui regole di emissione sono basate su un algoritmo Open Source”.

Ad oggi il numero di criptovalute esistenti supera di gran lunga il migliaio (sono più di 1560); pensando che le valute ufficiali di tutti gli stati del mondo sono 164, il numero delle valute digitali è veramente fuori dall’ordinario.

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crescente, sono: IOTA, NEO, Stellar, Cardano, EOS, Litecoin, Bitcoin Cash, Ripple, Ethereum, Bitcoin. Per le valute diverse dal bitcoin è stato creato l’aggettivo “altcoin”, ossia “gli altri rispetto a bitcoin”.

Il bitcoin è sicuramente la moneta matematica più famosa, ma non è la prima che è stata proposta in assoluto; infatti ci sono stati esempi precedenti, che però hanno avuto vita breve, in quanto caratterizzati da forme di centralizzazione che li hanno resi vulnerabili a censura. Il Bitcoin è invece basato su un approccio diverso, sono stati combinati infatti elementi innovativi, che lo rendono molto più sicuro dei precedenti sistemi.

Il bitcoin nasce proprio per lo stesso identico motivo per cui era stata creata la moneta “moderna” in tempi antichi: la mancanza di fiducia tra gli esseri umani. Vediamo come funziona nel prossimo capitolo.

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Capitolo 2

BITCOIN

“Ogni persona informata ha bisogno di conoscere il Bitcoin, perché potrebbe essere uno degli sviluppi più importanti del mondo.” 2

È il 31 ottobre del 2008 il giorno in cui Satoshi Nakamoto pubblica un primo

documento, noto come “Satoshi paper”3, con il fine di far conoscere a tutti il

funzionamento di Bitcoin; il protocollo ancora non esisteva, era solo stato teorizzato. Nelle prime righe di questo “White Paper” si legge: “Una versione puramente peer-to-peer di denaro elettronico permetterebbe di spedire direttamente pagamenti online da un’entità ad un’altra senza passare tramite un’istituzione finanziaria”.

Con questo capitolo si ha l’intenzione di andare a illustrare cosa sia il protocollo Bitcoin e la moneta bitcoin (di cui ormai si sente parlare negli ambienti più disparati) e come sia possibile inserirli in un contesto economico ormai ben collaudato.

2.1 COS’È BITCOIN?

Bitocoin innanzitutto è un’innovazione e non una nuova tecnologia (come spesso

sentiamo dire), in quanto non esiste una struttura passata che possa essere paragonabile a questa. Marc Andreessen4 sostiene che il Bitcoin oggi può essere

paragonato ad “Internet nel 1994”.

2 Leon Luow, intellettuale e nominato Premio Nobel per la Pace.

3 Satoshi Nakamoto, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, 2008.

4 Fondatore di Natscape negli anni Novanta; oggi è uno dei più celebri Venture Capitalist attraverso il

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La parola Bitcoin, scritta con l’iniziale maiuscola, viene usata per descrivere il concetto del protocollo che sta alla base del suo funzionamento; mentre bitcoin, con la minuscola, è il mezzo di pagamento, ossia la moneta virtuale (l’abbreviazione di questa criptovaluta è BTC).

Il Bitcoin è “un protocollo crittografico che permette l’allocazione ed il trasferimento di proprietà”. Questo protocollo crittografico è un sistema che utilizza una tecnologia, chiamata Blockchain, per trasferire pacchetti di dati.

L’ideatore di Bitcoin e della Blockchain è partito dal presupposto che, dal 1971, le varie monete non hanno più come controvalore obbligatorio l’oro (come specificato nel Capitolo 1), ma sono garantite dagli Stati o dalle Banche Centrali. Per questo motivo chi li ha inventati ha pensato che il valore economico di uno scambio, che prima era uno scambio monetario, potesse essere attribuito ad uno scambio informatico di dati; sicuramente un metodo più moderno, più veloce e più leggero. È stata inventata in questo modo la Blockchain, che è esattamente e letteralmente una “catena di blocchi” (questo argomento verrà ripreso ed analizzato in modo approfondito nel prossimo capitolo).

“I bitcoin non esistono materialmente in nessun luogo, nemmeno all’interno del disco rigido”5. I bitcoin infatti non sono come la valuta che utilizziamo solitamente,

cioè come gli euro o come i dollari che, pur essendo detenuti in conti bancari, esistono fisicamente e per questo possiamo decidere di prelevarli. Al contrario, i saldi dei conti in bitcoin aumentando e diminuendo, lasciano dei records delle transazioni che sono avvenute tra i vari indirizzi.

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La peculiarità dei bitcoin e, allo stesso tempo, la più grande differenza rispetto alle altre valute conosciute, è il fatto che non siano sostenuti da alcuna legge, cioè la loro esistenza non è basata su di essa, bensì sulla tecnologia. È proprio a causa, o grazie, alla loro natura decentralizzata, che è difficile assoggettarli a controlli o regolamentazioni.

Il bitcoin è basato su crittografia matematica e il suo valore aumenta all’aumentare del numero di persone che decide di acquistarlo. Quindi, se l’entusiasmo nei confronti della criptovaluta cresce e per questo tantissime persone decidono di comprare un bitcoin, il suo valore sale vertiginosamente. Ad esempio, se tante persone acquistano 1 bitcoin a 2.000 € e il suo valore in breve tempo arriva a 15.000 €, nessuno è più disposto a tenerlo. Come in un primo momento, per legge matematica, quel bitcoin aveva aumentato il suo valore perché la domanda stava salendo, allo stesso modo il valore adesso scende perché la domanda diminuisce. Il protocollo Bitcoin prevede un’offerta già predefinita e decrescente, ossia col passare del tempo verranno minati sempre meno bitcoin, fino ad arrivare alla conclusione, che si raggiungerà presumibilmente nel 2136, con la creazione dell’ultimo, ossia il 21 millionesimo bitcoin. Dopo questo non ne esisteranno altri; motivo per il quale nessuno potrà mai deflazionare il bitcoin e nessuno potrà mai decidere quando potrà valere6.

I bitcoin in circolazione oggi sono circa 16,9 milioni su 21 milioni totali. Sono già così tanti, nonostante sia stabilito che l’ultimo verrà prodotto nel 2136, perché la maggior parte verrà minata nei primi 20 anni; gli ultimi 100 anni avremo solo una percentuale irrisoria di bitcoin da immettere nel sistema. La stabilità del mercato

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quindi si raggiungerà nei prossimi 10/15 anni e il valore aumenterà lentamente. Oggi, essendo ancora un mercato di nicchia, comporta un’alta volatilità, perché se qualcuno decide di entrare con ingenti quantità di denaro può manipolarne il valore di mercato. È importante sottolineare anche che la politica monetaria di Bitcoin è totalmente deterministica e non discrezionale.

Le transazioni Bitcoin sono anonime ma pubbliche. Ogni utente può inviare bitcoin a qualsiasi indirizzo gli venga fornito e tutte le transazioni andate a buon fine vengono annotate pubblicamente sulla Blockchain. Dal momento che tutte le transazioni sono realizzate e verificate da migliaia di computer, possono richiedere un tempo di esecuzione che varia da pochi secondi ad un’ora. Può succedere anche che una transazione non vada a buon fine, in quanto non viene accettata dalla rete; un motivo può essere, ad esempio, la possibilità che si verifichi un double-spending7.

A certificare gli scambi con la proof-of-work8 e ad immettere nuova moneta in

circolazione sono i miners. Il mining, ossia il lavoro svolto dai minatori, consiste nell’offrire potenza di calcolo al network peer-to-peer di Bitcoin; questo può avvenire in due modi: collegando un computer direttamente alla rete dei nodi oppure aggregandosi ad una mining pool.

L’idea di partenza, che ha accompagnato tutto il progetto del protocollo Bitcoin, era quella di creare una struttura crittografica e pseudonima, proprio per tutelare la privacy degli utenti, insieme ad un sistema monetario che non dipendesse dalle autorità centrali e dagli intermediari, con l’intento di facilitare gli scambi rendendoli

7 È il tentativo di inviare gli stessi bitcoin a due indirizzi diversi.

8 La Proof of Work (PoW) è un algoritmo che permette di raggiungere un accordo decentralizzato tra

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diretti. Il problema era, però, che tutte le monete in circolazione dipendevano in ogni modo dalle banche centrali, basando il loro valore sulla fiducia verso queste.

L’unico modo trovato da Satoshi Nakamoto per poter sopperire a questa necessità di fiducia in un sistema decentralizzato, è quello di sostituirlo con un algoritmo di generazione a casualità programmata. Praticamente la creazione delle unità e la certificazione delle transazioni prende vita da un meccanismo, tale per cui, viene lanciata una sfida (challenge) ai miners, relativa ad un algoritmo da risolvere, che richiede una proof-of-work di verifica; la sua produzione deve essere costosa, ma molto semplice da dimostrare. Questa operazione si chiama “hashing”.

L’hashing può essere così definito: “È un processo di miscelazione che partendo da una stringa alfanumerica conosciuta, ad esempio la parola bitcoin, applica una serie di calcoli standard che generano un risultato alfanumerico, di lunghezza predefinita e non intellegibile. A titolo di esempio, la parola bitcoin genera un MD5 Hash <cd5b1e4947e304476c788cd474fb579a>”.9 L’Hash rate è l’unità di misura

della potenza di calcolo della rete Bitcoin. Con il fine ultimo di garantire la sicurezza, la rete deve generare una quantità molto consistente di operazioni matematiche. Possiamo ora illustrare le 3 principali proprietà del Bitcoin:

1) Utilizza la rete Peer-to-peer; 2) È crittografico;

3) È pseudonimo.

Prima di passare all’analisi di queste proprietà, è necessario sottolineare che Bitcoin è un progetto open source, questo significa che il codice può essere consultabile da chiunque. È infatti pubblicamente disponibile sulla piattaforma

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online Github, dove i programmatori, che si occupano dello sviluppo del protocollo Bitcoin, decidono cosa modificare e quali parti del software dovranno essere migliorate, al fine di far uscire nuove versioni sempre più aggiornate.

2.1.1 La rete Peer-to-Peer (P2P)

Nella frase iniziale del “Satoshi Paper” citato all’inizio di questo capitolo, si legge

che il bitcoin è “una versione puramente peer-to-peer di denaro elettronico”. Ma cosa vuol dire questa espressione? “Peer-to-peer” significa letteralmente “da pari a pari”, in questo sottoparagrafo verrà descritto il suo funzionamento.

La rete peer-to-peer (p2p) è una rete informatica che è stata architettata in modo tale da permettere ad ogni singolo computer di comunicare in modo diretto con i computer degli altri utenti.

In una rete di questo tipo tutti i nodi10 sono equivalenti e possono svolgere sia la

funzione di client che di server nei confronti degli altri utenti; è proprio questo che la differenzia dalla rete usata comunemente, che è quella del tipo client-server, in cui la comunicazione può avvenire appunto solo tra client e server e non, ad esempio, tra client e client.

Quindi questa rete è costruita in modo tale per cui ogni utente è in grado di diffondere le informazioni di riferimento delle transazioni degli altri utenti; dunque non è necessaria alcuna banca che si ponga come intermediario. La prima caratteristica della rete p2p è quindi quella di essere un sistema decentralizzato.

10 Un nodo è un qualsiasi dispositivo hardware del sistema che è in grado di comunicare con gli altri

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L’altra caratterista è quella di essere un sistema distribuito, proprio perché la rete p2p può essere utilizzata per il calcolo distribuito, il quale consiste nella risoluzione di problemi computazionali che hanno un’elevata difficoltà. Questo è possibile solo sfruttando la capacità di calcolo che viene fornita nel complesso da un insieme di computer autonomi interconnessi da una rete, appunto quella p2p.

2.1.2 La crittografia

Il termine crittografia significa “nascondere la grafia”, ossia nascondere un messaggio. In realtà il messaggio crittografico è un messaggio in chiaro, cioè questo può essere tranquillamente letto da chi lo intercetta, tuttavia il contenuto non è comprensibile. La crittografia è essenzialmente l’occultamento del significato di un messaggio.

La crittografia nasce in tempi remoti grazie a Giulio Cesare, il quale genera un suo codice, noto appunto come “cifrario di Giulio Cesare”. Questo va ad eliminare proprio la difficoltà che aveva Cesare di comunicare, magari a distanza di molti kilometri, con i propri collaboratori senza che terzi venissero a conoscenza delle decisioni da lui prese.

Giulio Cesare, per le sue corrispondenze riservate, inventa un cifrario nel quale una lettera chiara dell’alfabeto viene sostituita dalla lettera che la segue di tre posti, esattamente come mostra la seguente tabella:

C h i a r o A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z C i f r a t o D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z A B C Ad esempio, qualora volessimo crittografare la parola in chiaro “BITCOIN”, utilizzando il codice di cui sopra, questa diventerebbe “ELWFRLQ”.

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Possiamo dire appunto che la crittografia consente agli utenti di interagire in modo protetto e offre la possibilità di creare comunicazioni sostenute da elevati livelli di sicurezza. Nel caso specifico di Bitcoin, questa protezione rende impossibile l’uso o la modifica di portafogli altrui.

Andando nello specifico, possiamo incontrare due diversi tipi di crittografia: simmetrica e asimmetrica. La prima è caratterizzata principalmente dall’utilizzo della stessa chiave sia per l’operazione di cifratura che per quella di decifratura; qui la sicurezza del processo sta nella lunghezza della chiave che si va ad utilizzare e nella capacità di mantenerla segreta. La maggiore criticità della crittografia simmetrica sta nella necessità di doversi scambiare la chiave in maniera sicura.

La crittografia asimmetrica, conosciuta anche come crittografia a chiave privata/pubblica, associa ad ogni entità una coppia di chiavi: una chiave pubblica, che è accessibile a tutti coloro che necessitano di scambiare informazioni con l’entità proprietaria; una chiave privata, che viene custodita e tenuta segreta dal legittimo proprietario. In un processo di questo tipo, qualsiasi messaggio che è stato crittografato con una chiave privata potrà essere decifrato solo utilizzando la chiave pubblica ad essa associata. Quindi, contrariamente a quello che succede per la crittografia simmetrica, l’utente non è tenuto a scambiare le chiavi prima di un’eventuale comunicazione.

La struttura delle transazioni Bitcoin è basata sulla crittografia a “doppia chiave”, o asimmetrica. Per firmare le transazioni viene utilizzato il cosiddetto “Elliptic Curve Digital Signature Algorithm” (curve ellittiche), o semplicemente ECDSA, per cui la chiave pubblica e quella privata sono necessarie per creare gli indirizzi e per convalidare le transazioni. L’altro elemento base sul piano crittografico è l’algoritmo

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che viene utilizzato, ossia il SHA-256, uno dei più robusti sistemi crittografici in circolazione, il quale rende estremamente difficile falsificare, in modo doloso, i messaggi che gli utenti si scambiano nella rete.

2.1.2.1 La chiave privata

La chiave privata è una password alfanumerica segreta che serve per spendere i

bitcoin, ossia per inviarli ad un altro indirizzo e per firmare i messaggi in uscita. Questa chiave è formata da 256 bit e rappresentata in 64 caratteri; il numero iniziale di 256 bit viene scelto in modo casuale nel momento in cui si decide di creare un portafoglio.

Solo chi possiede la chiave privata (o le chiavi private) può spendere i bitcoin a questa associati e dare vita a transazioni irreversibili. Perdere le chiavi private o non poter più recuperare il file in cui sono memorizzate in seguito alla distruzione del pc comporta la perdita dei bitcoin associati a quelle chiavi e l’impossibilità di recuperarli. Allo stesso modo subire il furto delle chiavi private, da parte di un hacker per esempio, può esporci al rischio che qualche malintenzionato spenda i nostri bitcoin.

2.1.2.2 La chiave pubblica

La chiave pubblica invece è un indirizzo alfanumerico di 512 bit che deriva dalle chiavi private, che viene generato dall’algoritmo crittografico ECDSA prima citato. La chiave pubblica viene utilizza per ricevere pubblicamente bitcoin, quindi per verificare le firme digitali sulle transazioni, senza che tutti vengano a conoscenza della chiave privata, e non viene rivelata fino a quando la transazione non viene

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firmata. Possiamo infine dire che la chiave pubblica è necessaria per generare l’indirizzo Bitcoin, attraverso dei particolari algoritmi di hashing, al fine di garantire una maggiore sicurezza.

2.1.3 Bitcoin non è del tutto anonimo

Viene generalmente commesso l’errore di credere che Bitcoin sia anonimo; in realtà non lo è assolutamente, ma è pseudonimo. È vero che i record delle transazioni sono anonime, in quanto non contengono i dati riguardanti l’identità dei possessori dei portafogli interessati, ma ogni transazione bicoin è tracciabile, pubblica e può essere verificata in ogni momento.

Un qualsiasi utente può decidere liberamente di associare il suo indirizzo bitcoin alla sua identità, in questo modo ogni sua transazione sarà tracciabile all’infinito. In alternativa, può collegare all’indirizzo Bitcoin uno pseudonimo di qualsiasi genere, come ad esempio “Bob”. In questo caso le transazioni messe in atto dall’immaginario “Bob” saranno comunque tracciabili, ma non sarà possibile risalire alla sua vera identità. Questo rimane vero fino a quando l’utente, con lo pseudonimo di “Bob”, non deciderà di comprare un qualsiasi oggetto in bitcoin facendoselo spedire all’indirizzo di casa o fino a quando non collegherà una sua carta di credito. Da quel momento infatti qualsiasi transazione compiuta da quell’indirizzo, sarà riconducibile alla vera identità dell’utente “Bob”.

“La gestione pseudonima di Bitcoin avviene attraverso la generazione di indirizzi che partono da un minimo teorico di 27 caratteri e includono numeri e lettere, maiuscole e minuscole, con l’eccezione della lettera o maiuscola, la l minuscola, la i

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maiuscola e il numero 0 per evitare qualsiasi forma di ambiguità visiva”11. Ogni

indirizzo che viene generato è unico e ci sono recondite possibilità che possano essere generate due stringhe con il solito hash.

Partendo dal presupposto che ogni computer collegato al programma può dar vita ad un numero potenzialmente infinito di indirizzi Bitcoin, mantenendone il totale controllo, e che il paper di Nakamoto recita testualmente: “Bitcoin: un sistema di pagamento elettronico peer-to-peer”, in molti hanno creduto che il fatto di cambiare indirizzo ogni volta decidevano di effettuare una transazione in bitcoin, garantisse loro il pieno anonimato. In realtà non è così, in quanto ogni transazione viene annotata sulla blockchain, che è in grado di collegare insieme diversi indirizzi. Per questo se anche ad un solo indirizzo è collegata una identità reale, potranno esservi collegati anche tutti gli altri.

2.1.4 Il padre del Bitcoin: SATOSHI NAKAMOTO

Sicuramente non si può parlare del protocollo Bitcoin, omettendo la presenza e la

storia del suo inventore e padre fondatore: Satoshi Nakamoto. La vicenda è del tutto singolare, in quanto la sua identità rimane ad oggi, dopo quasi 10 anni dalla pubblicazione del “Satoshi Paper”, sconosciuta al mondo.

Tutto quello che sappiamo è che Satoshi Nakamoto iniziò a parlare del progetto Bitcoin nel novembre 2008 e lo fece per lo più all’interno di mailing list frequentate dagli appassionati di crittografia. Un mese dopo, alla fine di dicembre, decise di pubblicare il suo articolo, gettando così le basi per la creazione del protocollo Bitcoin.

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Nel mese di gennaio del 2009 Satoshi Nakamoto iniziò a minare e diede vita a quello che ancora oggi conosciamo come “genesis block”, ossia il blocco originale contenente i primi 50 bitcoin. Nel codice del blocco fu lasciato un messaggio: “The Times 03/Jan/2009 Chancellor on brink of second bailout for banks”12, con

riferimento esplicito al salvataggio delle banche voluto dal governo britannico. I bitcoin presenti nel Block 0, secondo il protocollo sono bloccati, quindi non sono mai stati spesi; il blocco successivo, Block 1, venne minato dopo addirittura 6 giorni. È proprio il 9 gennaio del 2009 il giorno in cui Nakamoto rilascia per la prima volta il codice sorgente di Bitcoin, in versione 0.01 su SourceForge13, permettendo così che

il software fosse aperto e che quindi chiunque potesse verificarlo e migliorarlo. Sul finire del 2009 erano stati aggiunti circa 32.000 blocchi a quello originario, con una creazione di 1.624.250 bitcoin.

Risale alla metà del 2010 l’ultimo apporto di Satoshi Nakamoto allo sviluppo del protocollo, avendo già passato l’amministrazione a Gavin Andresen14 e motivando il

tutto con la sua volontà di addentrarsi in altri progetti.

Da quel momento non ha più dato notizie di sé, il che ha fatto nascere molte teorie sulla sua vera identità. Guttman, nel suo libro “Bitcoin, Guida Completa”, riporta: “Si suppone che “Satoshi Nakamoto” sia lo pseudonimo usato da una persona, un gruppo o addirittura un’organizzazione più grande, magari governativa. In giapponese, Satoshi significa “pensiero chiaro” o “saggio”. Naka può significare “dentro” o “relazione” e moto è usato per descrivere “l’origine” o “la fondazione”.

12 “03/Gen/2009 Il cancelliere sull’orlo del secondo salvataggio delle banche”.

13 È una piattaforma che fornisce le basi per ampliare un progetto che vuole migliorare, in modo

collaborativo tra gli sviluppatori, un software.

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Mettendo tutto insieme si ottiene “pensare chiaramente dentro la fondazione”. Ci sono scarse prove che Nakamoto esista al di fuori del contesto Bitcoin”.

Il principale indiziato quale alter ego di Satoshi Nakamoto è lo sviluppatore capo del progetto Bitcoin, ossia Gavin Andresen, il quale però ha da sempre smentito queste voci.

Ciò che è noto a tutti del padre fondatore di Bitcoin è il suo indirizzo, in quanto è stato il primo creato in assoluto. Essendo questo tracciabile, appena Satoshi Nakamoto metterà in atto una transazione, svelerà contemporaneamente la sua identità. Sappiamo che detiene una somma pari a 1.000.000 di bitcoin e ad oggi non ha venduto mai neanche un centesimo. Il motivo per cui non li vende è proprio perché non vuole far sapere al mondo chi è.

2.2 COME FUNZIONANO LE TRANSAZIONI BITCOIN

Per poter parlare delle transazioni Bitcoin dobbiamo fare una premessa, ossia che i bitcoin vengono detenuti dagli utenti all’interno di appositi portafogli Bitcoin (wallet), che sono equivalenti ai portafogli fisici. Questi wallet quando vengono creati sono “vuoti” e per essere utilizzati è necessario ricevere una quantità iniziale di bitcoin, i quali possono essere acquistati da un altro wallet oppure possono essere minati direttamente dalla blockchain (vedremo nello specifico queste due modalità nel prossimo paragrafo).

La possibilità di effettuare transazioni in bitcoin viene data a coloro che dispongono di un apposito wallet, per mezzo del quale gli utenti possono inviarli oppure possono riceverli. Gli utilizzatori sono a conoscenza di tutte le transazioni che avvengono

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all’interno della rete; ciascuna di esse può essere sottoposta ad un’analisi storica, fino ad arrivare al punto di partenza, ossia il momento in cui quei bitcoin sono stati creati. Si deve specificare che i bitcoin non esistono dal punto di vista materiale in alcun luogo, neanche all’interno del disco rigido. Quindi non esiste un’entità fisica associabile al bitcoin, come succede invece per le monete fiat che, pur essendo detenute in conti bancari, possono essere convertite nel corrispettivo cartaceo. Per i bitcoin si parla di records di transazioni tra i vari indirizzi, con i rispettivi saldi che aumentano o diminuiscono; tutte le transazioni vengono registrare sul registro pubblico noto come blockchain (a cui verrà dedicato interamente il capitolo 3). Prendiamo, ad esempio15, il caso in cui A voglia inviare bitcoin a B; la transazione,

per avere luogo, dovrà contenere esattamente 3 informazioni:

1) Un input: un’informazione sull’indirizzo dal quale A ha ricevuto dei bitcoin (mettiamo che A avesse ricevuto quei bitcoin da E);

2) Una quantità: l’ammontare dei bitcoin che A sta inviando a B; 3) Un output: è l’indirizzo Bitcoin di B.

Andiamo ad esaminare nello specifico la composizione dell’input e dell’output. L’input a sua volta si compone di 3 elementi, ossia: un txID della transazione, il quale fornisce un’indicazione su chi deteneva precedentemente i bitcoin che si intende inviare; un index, questo identifica l’input tra quelli che fanno parte del txID di riferimento e l’importo che è possibile inviare; la scriptSig, che specifica la parte contenente la firma crittografica, elemento imprescindibile per certificare che l’input sia autentico.

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L’output invece si compone di due parti: il valore in Satoshi, ossia l’unità più piccola del bitcoin che corrisponde a 0,00000001, della transazione che si intende effettuare e l’indirizzo a cui si intende inviare l’importo indicato.

Una volta stabilite le tre informazioni che dovranno dar vita alla transazione, A per inviare l’ammontare di bitcoin a B dovrà usare la sua chiave privata per firmare un messaggio contenente l’input, la quantità e l’output. Così A invierà il messaggio dal suo wallet alla rete Bitcoin e i minatori potranno verificare la transazione; il tempo di verifica richiede circa 10 minuti.

Può succedere però che l’input e l’output non abbiano lo stesso valore, ma che il primo sia maggiore del secondo o viceversa. Nel caso in cui l’output sia superiore all’input la transazione non viene inviata, in quanto non può essere firmata. Nel caso contrario, ossia l’input è superiore all’output, la transazione può essere inviata e la differenza verrà devoluta al minatore che userà la propria proof-of-Work per convalidare la transazione sulla blockchain.

Le commissioni non sempre vengono associate alle transazioni richieste dagli utenti. In alcuni casi, i software di gestione portafogli concedono la possibilità di impostarle manualmente. Si ritengono commissioni anche le porzioni di transazioni che non vengono indicate come destinate all’indirizzo ricevente o come resto. Le commissioni, nel caso in cui ci siano, vanno ad aggiungersi al compenso dei miners che risolvono i blocchi.

Un appunto importante da fare è il fatto che il bitcoin è divisibile, infatti è possibile dar vita all’interno della rete Bitcoin a transazioni piccole fino a 5.430 Satoshi. Concludendo, possiamo dividere le transazioni in due macro-categorie:

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- Pay-to-Pubkey-Hash: è questo il caso in cui la responsabilità è di chi invia la transazione, infatti una volta che è stata firmata ed inviata all’indirizzo ricevente, questo a sua volta può dar vita a nuove transazioni con quegli stessi bitcoin;

- Pay-to-Script-Hash: in questo caso la responsabilità è nelle mani di chi riceve i bitcoin, al quale viene affidata la firma dell’input; questo verrà firmato solo quando il ricevente avrà necessità di quell’importo per effettuare nuove transazioni.

Fig. 1.1 – Come funziona una transazione Bitcoin

Transaction Verify Sign Owner 1's Public key Hash Owner 0's Signature Owner 1's Private Key Transaction Verify Sign Owner 2's Public key Hash Owner 1's Signature Owner 2's Private Key Transaction Owner 3's Public key Hash Owner 2's Signature Owner 3's Private Key

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