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IMAGING DEL CARCINOMA LOCALMENTE AVANZATO DELLA MAMMELLA: VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA ALLA CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

IMAGING DEL CARCINOMA LOCALMENTE AVANZATO

DELLA MAMMELLA: VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA

ALLA CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE

Relatore

Chiar.mo Prof. Emanuele Neri

Candidato

Leonardo Catalano

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INDICE

I.

Riassunto

3

II. Introduzione

5 A. Epidemiologia 5 1. Fattori di rischio 5 B. Anatomia patologica 9 1. Classificazione istologica 9 2. Classificazione molecolare 11

C. Diagnostica per immagini 14

1. Classificazione radiologica (BI-RADS) 14

2. Ecografia 15

3. Mammografia 17

4. Risonanza magnetica 21

a) Tecnica RM 27

D. Stadiazione clinica (TNM) 33

1. Carcinoma mammario localmente avanzato 35

E. Fattori prognostici e predittivi 37

F. Principi di terapia 39

1. Chemioterapia neoadiuvante 41

III. Scopo

43

IV. Materiali e metodi

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V. Risultati

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VI. Discussione

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VII. Conclusioni

55

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I.

RIASSUNTO

INTRODUZIONE

La chemioterapia neoadiuvante (NACT, NeoAdjuvant ChemoTherapy),

trattamento di prima linea nel carcinoma localmente avanzato della mammella, è finalizzata al trattamento chirurgico conservativo della paziente, oltre che a migliorare la prognosi.

La sovra- o sottostima del residuo tumorale post-NACT può condizionare in modo errato l’iter chirurgico successivo; risulta pertanto fondamentale l’utilizzo di un imaging pre-operatorio affidabile per calcolare il residuo di malattia. Scopo dello studio è valutare la correlazione tra dimensioni tumorali, calcolate secondo criteri RECIST, del residuo di malattia post-NACT in Risonanza Magnetica (RM), Mammografia ed Ecografia confrontati con l’istologico definitivo, per dimostrare quale sia la metodica più affidabile.

MATERIALI E METODI

È stato valutato retrospettivamente l’imaging mammografico, ecografico ed RM post-NACT di 269 donne di età compresa fra 19 e 80 anni (età media 49,5 ± 11,2) affette da carcinoma mammario localmente avanzato, studiate nel nostro centro dal 2011 al 2016. Per ogni paziente è stato confrontato dimensionalmente il residuo di malattia nell’imaging mammografico, ecografico ed RM con quello dell’esame istologico definitivo.

I dati numerici delle quattro variabili, analizzati con il test di Kolmogorov-Smirnov, non sono risultati distribuiti normalmente, pertanto è stato necessario eseguire analisi statistiche impiegando test non parametrici (test di Wilcoxon ed analisi di correlazione di Spearman).

RISULTATI

Dall’analisi dei dati è emerso che il valore della mediana dell’istologico definitivo è confrontabile esclusivamente con quello ottenuto in RM. Nelle altre due

metodiche di imaging utilizzate le differenze appaiono statisticamente significative. Inoltre, la correlazione tra residuo di malattia valutato all’RM e all’esame istologico definitivo risulta statisticamente significativa.

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4 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Dall’analisi dei dati emerge che l’unica metodica di imaging che correla con l’istologico definitivo in modo statisticamente significativo è l’RM.

Pertanto, nei centri in cui tale metodica è utilizzabile, questa si propone come unico imaging di scelta nella valutazione del residuo di malattia post-NACT.

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II. INTRODUZIONE

A. EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

Il carcinoma mammario è la più comune neoplasia nel sesso femminile, rappresentando circa il 30% di tutte le neoplasie riscontrate.1

La sua incidenza è maggiore in Nord Europa e negli USA, ma nel corso degli ultimi anni sembra in lieve aumento nei Paesi orientali; i tassi minori, fino a dieci volte inferiori, si riscontrano nei Paesi del Terzo Mondo.

Quella della mammella rappresenta la neoplasia più frequentemente diagnosticata tra le donne sia nella fascia d’età 0-49 anni (41%), sia nella fascia d’età 50-69 anni (36%), sia in quella più anziana >70 anni (21%).

Andando a valutare le differenze fra le varie regioni italiane si registra una

maggiore incidenza al Nord (124,9 casi/100.000 abitanti) rispetto al Centro (100,3 casi/100.000 abitanti) e al Sud-Isole (95,6 casi/100.000 abitanti).

Il carcinoma mammario rappresenta la prima causa di morte per tumore nelle donne rappresentando il 29% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21% tra i 50 e i 69 anni ed il 16% dopo i 70 anni.

Dalla fine degli anni Novanta si osserva una moderata tendenza alla riduzione della mortalità stimata circa 1,3% annuo; ciò è attribuibile alla maggiore

diffusione dei programmi di screening che permettono la diagnosi precoce in stadi curabili di malattia, oltre che alla maggiore efficacia dei trattamenti. Le differenze di mortalità tra le diverse regioni italiane sono abbastanza limitate.2

1. FATTORI DI RISCHIO

Il rischio di sviluppare il carcinoma della mammella è associato a vari fattori di rischio, di ordine genetico e familiare, endocrino, alimentare, ambientale, legati ad abitudini di vita e pregresse malattie mammarie, anche se in più della metà dei casi non è riscontrabile alcun fattore di rischio noto.

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6 Tra i fattori di rischio principali ritroviamo:3

- Età. L’invecchiamento rappresenta un importante fattore di rischio di cancro in genere. Nel caso del carcinoma mammario, ciò può trovare una duplice

spiegazione, in primo luogo perché l’accumulo di mutazioni che fanno progredire verso la malignità richiede molti anni, rendendo la storia naturale della malattia molto lunga, e in secondo luogo perché i processi di invecchiamento coinvolgono anche i meccanismi di riparazione del DNA, facilitando l’accumulo di alterazioni genetiche. Circa l’80% dei carcinomi mammari sporadici insorge sopra i 50 anni con un’età media di 65 anni.

- Lunghezza del periodo riproduttivo. Menarca anticipato e menopausa ritardata aumentano il rischio di carcinoma della mammella. Per tutto il periodo

riproduttivo, ogni mese, i lobuli scompaiono e ricompaiono grazie all’elevato ritmo proliferativo delle cellule delle unità terminali dotto-lobulari. Qualsiasi agente cancerogeno esercita meglio la sua azione ai danni del DNA durante il processo di mitosi. Un’intensa proliferazione è inoltre indispensabile sia per la trasformazione neoplastica che per la progressione della malattia.

- Età della priva gravidanza a termine. Avere il primo figlio in giovane età ha un effetto protettivo; un parto prima dei venti anni di età dimezza il rischio rispetto a uno dopo i 35 anni o alla nulliparità. Si ipotizza che la situazione ormonale determinata dalla gravidanza possa avere un effetto favorente la differenziazione delle cellule epiteliali della ghiandola mammaria, rendendole in questo modo più resistenti ai cancerogeni in quanto a capacità metaboliche e di riparazione del DNA.4

- Precedenti diagnosi di iperplasia epiteliale atipica e di carcinoma in situ. Una spiegazione plausibile si basa sul concetto di “cancerogenesi a campo”, secondo il quale l’intera popolazione cellulare di un tessuto o di un organo sarebbe esposta all’agente cancerogeno con possibilità di insorgenza della neoplasia in più zone dello stesso albero ghiandolare. Per questo motivo, sviluppare un’iperplasia atipica o un carcinoma in situ, che rappresentano le fasi iniziali del processo neoplastico, rappresenta un allarme per la possibilità di sviluppare neoplasie successive, anche infiltranti.5

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aumentare il rischio di carcinoma della mammella. Ad esempio, l’obesità è un fattore di rischio nelle donne in post-menopausa, in quanto nei depositi di grasso si ha produzione endogena di estrogeni. Il rischio conferito dalla terapia ormonale sostitutiva sembra essere modesto.6 Il rischio ambientale (pesticidi) è invece ancora oggetto di studio.

- Esposizione a radiazioni. Il rischio esiste nelle donne entro i 30 anni di età sottoposte a terapia radiante al torace per neoplasia, come nelle pazienti trattate con radioterapia a mantellina per malattia di Hodgkin.

- Allattamento al seno. Un prolungato allattamento riduce il rischio di carcinoma, la cui riduzione è stata stimata del 4,3% per ogni 12 mesi di allattamento. Una spiegazione plausibile si basa sul fatto che durante questo periodo la mammella si trova in uno stato di riposo, non subendo quei cambiamenti mensili della sua struttura.

- Dieta. Il concetto che la dieta sia importante nella cancerogenesi in generale è largamente diffuso, anche se non vi sono ancora studi scientifici certi; un fattore di rischio su cui sembra esservi consenso è il consumo di alcool.5 Ci sono invece vari studi che suggeriscono che una dieta ricca di fitoestrogeni, come gli

isoflavoni di cui è ricca la soia, possa avere effetti protettivi non solo sul tumore mammario ma su tutte le malattie estrogeno-correlate; questa teoria è stata suggerita anche dall’osservazione che nei paesi asiatici, in cui la dieta è ricca di soia e di altri alimenti ad alto contenuto di fitoestrogeni, l’incidenza del tumore della mammella è inferiore rispetto i paesi occidentali.7

- Influenza geografica. L’incidenza di carcinoma della mammella negli Stati Uniti e in Europa è 4-7 volte maggiore rispetto ad altri paesi; questo potrebbe essere dovuto all’esposizione a cancerogeni ambientali e a diverse abitudini come l’allattamento e la dieta.

- Razza/Etnia. Le donne bianche non ispaniche presentano la più alta incidenza di carcinoma mammario, le asiatiche e le ispaniche la più bassa, intermedia le afroamericane.8 Ciononostante, le donne afroamericane e ispaniche si presentano mediamente a uno stadio più avanzato con conseguente mortalità maggiore. Probabilmente ci sono dei fattori sociali che contribuiscono a questa disparità.9 - Familiarità. La presenza di un parente di primo grado (madre o sorella) con

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carcinoma mammario raddoppia il rischio di sviluppare un carcinoma della mammella rispetto alla popolazione generale. Solitamente nei soggetti con predisposizione familiare, il carcinoma compare in età giovanile (prima dei 40 anni) ed è frequentemente bilaterale. I soggetti sani a rischio eredo-familiare possono comunque essere avviati a specifici programmi di sorveglianza al fine di una diagnosi precoce.10

- Predisposizione genetica. È stato dimostrato che pazienti affetti da mutazioni dei geni BRCA-1 e BRCA-2 hanno un rischio di sviluppare un carcinoma della mammella entro i 70 anni di circa il 56%. Tali mutazioni sono responsabili di circa 1/3 dei casi familiari e complessivamente del 10% dei casi di carcinoma mammario. Le mutazioni del gene BRCA-1 sono inoltre coinvolte nella predisposizione allo sviluppo di carcinomi all’apparato riproduttivo femminile (ovaio e tube).11

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B. ANATOMIA PATOLOGICA

1. CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA

Il carcinoma mammario è suddiviso in non invasivo (o in situ) e invasivo. Nel primo gruppo, rappresenta il 70-85% delle diagnosi, l’80% è rappresentato dal carcinoma duttale in situ (CDIS), il restante 20% dal carcinoma lobulare in situ (CLIS).

Il carcinoma invasivo si presenta invece in modo più vario; in ordine di frequenza le principali varianti sono il carcinoma NST (no special type), precedentemente denominato carcinoma duttale infiltrante, il carcinoma lobulare infiltrante, il carcinoma tubulare/cribroso, il carcinoma midollare, il carcinoma mucinoso o colloide, il carcinoma papillare, il carcinoma metaplastico e il carcinoma apocrino. Un posto a parte è occupato dalla malattia di Paget e dal carcinoma infiammatorio.

La forma in situ è classificata in duttale (CDIS) e lobulare (CLIS) in base alla somiglianza degli spazi coinvolti a dotti o tubuli, anche se si ritiene che tutti i carcinomi originino dall’unità duttulo-lobulare terminale.

Il CDIS si presenta come una popolazione di cellule maligne ancora contenuta all’interno del dotto e circondato dalla membrana basale.

Esistono cinque sottotipi istologici diversi:

- comedocarcinoma: presenta travate di cellule maligne ad alto grado nucleare e necrosi centrale, spesso calcificata. Macroscopicamente, l’aspetto molle e giallastro della necrosi spiega la denominazione. Comune la fibrosi periduttale concentrica e l’infiltrato infiammatorio cronico.

- solido: è caratterizzato da una popolazione neoplastica che riempie completamente il lume.

- cribroso: ha una crescita che lascia dei piccoli spazi vuoti “a setaccio”. - papillare: è formato da papille con asse fibrovascolare che nasce dalla parete del dotto rivestito da cellule neoplastiche.

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parete del dotto, con la differenza che queste sono prive di asse centrale, ovvero si tratta di simil-papille formate solo da cellule neoplastiche.

Non è rara la coesistenza di pattern diversi in un unico CDIS.

Il CLIS si presenta istologicamente come una proliferazione cellulare a livello del dotto terminale e dell’acino, quindi come un lobulo facilmente riconoscibile. Le cellule appaiono rotondeggianti, con nuclei regolari e piccoli nucleoli. Sono altresì presenti cellule ad anello con castone contenenti mucina.

Un cenno a parte merita la malattia di Paget, che insorge nei dotti escretori principali ed interessa capezzolo e areola. La cute sovrastante è fissurata, ulcerata e circondata da edema ed iperemia infiammatoria. Le cellule di Paget,

patognomoniche per la lesione, hanno abbondante citoplasma chiaro, nucleoli prominenti e si colorano con le metodiche per la mucina.

Per quanto riguarda la forma invasiva, il carcinoma NST è la lesione più comune (70-80%). Microscopicamente, esso appare come un nodulo di consistenza fibrosa, stridente al taglio, sulla cui superficie si notano aree di necrosi e focolai calcifici. L’architettura è distorta e disordinata, con cellule neoplastiche

raggruppate in tubuli, cordoni, nidi e strutture pseudo-ghiandolari.

Estrema la variabilità nei diametri e la colorabilità del nucleo. Può essere presente invasione vascolare, perineurale e dei vasi linfatici.

Il carcinoma lobulare infiltrante è costituito da cellule disposte in filiere, fino al caratteristico aspetto a “fila indiana”; le caratteristiche citologiche sono analoghe a quelle del CLIS, poiché le cellule appaiono piccole, monomorfe e scarsamente coese. Esse risultano negative alla E-caderina, molecola di adesione intercellulare. Il carcinoma midollare copre fino al 5% del totale, ma arriva al 13% nelle donne portatrici del gene mutato BRCA-1. I noduli appaiono ben circoscritti e di consistenza carnosa, in virtù dell’assenza di reazione desmoplastica.

Istologicamente, questa neoplasia presenta travate di cellule grandi, dai nuclei vescicolosi e pleomorfi, con nucleoli prominenti, in attiva proliferazione; la lesione è a margini netti, circondata da un infiltrato infiammatorio.

Il carcinoma colloide o mucinoso è una variante poco comune, di aspetto simil- gelatinoso, soffice. Le cellule neoplastiche sono solitarie o in piccoli nidi, immerse in laghi di mucina amorfa, che muove lungo i piani di clivaggio.

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Il carcinoma tubulare/cribroso ha tubuli ben formati in rapporto diretto con lo stroma. Possono essere presenti spazi cribriformi, secrezioni apocrine e calcificazioni endoluminali.

Il carcinoma papillare prolifera all’interno di cavità cistiche dando una tipica architettura papillare, con ramificazioni di assi fibrovascolari rivestiti da cellule fortemente atipiche. Possibili sono anche le aree solide prive di papille.

Il carcinoma metaplastico è una variante rara caratterizzata da un aspetto

pseudosarcomatoso, in quanto sia la componente epiteliale che stromale possono differenziarsi in tessuti diversi appartenenti sempre alla stessa linea germinale. Gli aspetti più frequenti sono un epitelio di tipo squamoso o a cellule fusate e uno stroma di tipo condroide o osteoclastico.

Il carcinoma apocrino è caratterizzato da cellule con citoplasma fortemente eosinofilo e finemente granuloso, tipico dell’epitelio delle ghiandole sudoripare.12,13

2. CLASSIFICAZIONE MOLECOLARE

I carcinomi mammari rappresentano un gruppo molto eterogeneo di neoplasie dal punto di vista morfologico, prognostico e di risposta alla terapia. Recentemente la spiccata eterogeneità del carcinoma mammario è stata confermata dallo studio del profilo dell’espressione genica che ha rivelato come ogni singolo carcinoma mammario abbia un suo preciso ed unico assetto molecolare. Nonostante questa grande variabilità, le neoplasie della mammella si possono ricondurre a cinque principali categorie: luminale A, luminale B, Her-2+, basale e simile alla mammella normale (normal breast-like).14,15

- I carcinomi luminali A (40-55%) presentano alti livelli di espressione dei recettori estrogenici, assenza di espressione di Her-2 e basso indice di

proliferazione cellulare. La maggior parte è ben differenziata o moderatamente differenziata e si presenta più spesso nelle donne dopo la menopausa. In genere questi tumori crescono lentamente e rispondono bene ai trattamenti ormonali; sono pochi quelli che invece rispondono alla chemioterapia standard.

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estrogenici ma in genere sono di grado superiore, con tasso proliferativo maggiore e spesso iperesprimono Her-2. Se ne distinguono due sottotipi, il primo chiamato triplo positivo per l’iperespressione di Her-2, il secondo è negativo per Her-2 ma presenta un alto indice proliferativo. Per questo motivo in genere rispondono alla terapia ormonale mentre la risposta alla chemioterapia è variabile e dipende dall’indice proliferativo.

- I tumori Her-2+ comprendono circa il 7-12% dei carcinomi invasivi, sono rappresentati da neoplasie di alto grado e comprendono carcinomi ER-negativi che iperesprimono la proteina Her-2. Queste neoplasie sono solitamente scarsamente differenziate, hanno un tasso di proliferazione elevato e sono

associate ad un’alta frequenza di metastasi cerebrali. Rispondono alla terapia con trastuzumab, anticorpo monoclonale umanizzato specifico per HER-2/neu, e alla chemioterapia con antracicline, tuttavia hanno una cattiva prognosi.16

- I carcinomi basali o basal-like, costituiscono il 13-25% dei carcinomi invasivi della mammella e sono caratterizzati dall’assenza di ER, PR e Her-2. Vengono chiamati anche tripli negativi per la perdita di espressione dei recettori estrogenici e progestinici e assenza di iperespressione di Her-2. Sono caratterizzati da un’alta probabilità di recidive locali e a distanza (metastasi polmonari e cerebrali) e da una sopravvivenza totale e libera da malattia significativamente bassa.

Tale fenotipo si può associare alla presenza di mutazioni in BRCA-1.17 Il riconoscimento di questo sottogruppo di neoplasie è importante sia per le implicazioni prognostiche che per la loro associazione con i carcinomi eredo-familiari.18

- I normal breast-like rappresentano un sottotipo fenotipico di dubbio significato e comprenderebbero il 5-10% di tutti i carcinomi della mammella. Esprimono geni caratteristici del tessuto adiposo e presentano una prognosi intermedia fra i luminali ed i basali, non rispondendo alla chemioterapia neo-adiuvante. Sono solitamente ben differenziati, ER-positivi e Her-2 negativi.

La caratterizzazione del fenotipo molecolare è utilizzata per selezionare terapie mirate contro bersagli molecolari (target therapy), ad esempio per quanto riguarda le indicazioni all’ormonoterapia e alla terapia anti-Her-2.15

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Per valutare lo stato recettoriale di ER, PR e Her-2, i tumori vengono considerati positivi per ER e PR quando oltre il 10% delle cellule tumorali mostra una colorazione positiva per l’immunoistochimica (IHC). I campioni vengono testati per l’espressione genica di Her-2 utilizzando la metodica di ibridazione in situ fluorescente (FISH) con doppia sonda. Il gene Her-2 viene considerato

amplificato con la metodica FISH se il rapporto del gene sul cromosoma 17 è >2 o se si evidenzia iperespressione della proteina in base alla colorazione IHC.

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C. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

Lo studio della patologia mammaria si avvale di un approccio che parte dalla semeiotica classica, mediante la raccolta di un’anamnesi mirata e l’esecuzione di un esame obiettivo volto alla valutazione della ghiandola mammaria e delle stazioni linfonodali, e prosegue con l’utilizzo di metodiche strumentali di imaging e della biopsia.

Le indagini strumentali sfruttate in questo campo sono rappresentate dalla mammografia, dall’ecografia e dalla risonanza magnetica.

Il completamento diagnostico si avvale della biopsia, eco-guidata o stereotassica, che aggiunge un dato citologico o istologico.

1. CLASSIFICAZIONE RADIOLOGICA (BI-RADS)19

Il BI-RADS (Breast Imaging-Reporting and Data System) è un sistema di classificazione dei reperti di imaging in ecografia, mammografia ed RM, e mira ad inquadrare la lesione secondo varie categorie di rischio oncologico, tentando di predirne la probabilità di malignità. La necessità di un sistema classificativo del genere deriva anche dal bisogno di standardizzare la nomenclatura, in modo da rendere uniforme la comunicazione tra i vari specialisti e semplificare la

definizione del rischio di un determinato paziente. Inoltre, l’assegnazione ad una determinata categoria guiderà il successivo management del paziente.

Valutando i vari reperti rilevabili all’imaging, le lesioni vengono classificate secondo 7 categorie di rischio, definite “final assessment categories”:

- 0: rischio oncologico non determinabile; necessita di ulteriori indagini, sia di imaging che esami di altro genere. Nel caso della mammografia, vi è anche l’opzione di consultare un precedente mammogramma.

- 1: negativo (nessun rilievo all’imaging); rischio oncologico nullo, non sono necessarie ulteriori indagini, ma si continua con il normale programma di screening.

- 2: lesione benigna certa; come nel caso precedente, rischio oncologico nullo e si continua lo screening normale.

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- 3: benignità probabile; rischio oncologico basso (<2%) ma non nullo, per cui necessita di un follow-up più stretto con un altro controllo a 6 mesi.

- 4: lesione sospetta; in questo caso, ad esclusione della RM, le lesioni sono ulteriormente classificate in base al sospetto di malignità in basso (a, <10%), moderato (b, >10% e <50%) ed elevato (c, >50% e <95%). Visto l’elevato rischio oncologico necessita di approfondimento bioptico.

- 5: altamente suggestivo di malignità; rischio oncologico >95% e, come in precedenza, la biopsia è mandatoria.

- 6: malignità provata alla biopsia.

2. ECOGRAFIA

L’ecografia è comunemente utilizzata come prima indagine al di sotto dei 40 anni, ma trova indicazione anche in pazienti ad alto rischio o con mammelle dense. È inoltre utilizzata come guida bioptica. Dopo i 40 anni entra in campo come completamento diagnostico all’esame mammografico.20

L’esame ecografico classifica i reperti secondo criteri BI-RADS.21

Prima di tutto si valuta l’ecostruttura del parenchima e si classifica in 3 tipi: - Background adiposo omogeneo;

- Background fibroghiandolare omogeneo; - Background eterogeneo.

Questa valutazione preliminare corrisponde, idealmente, a quelle fatte in mammografia e in RM per valutare, rispettivamente, la densità mammaria e la composizione fibroghiandolare.

Successivamente, vengono ricercate ed individuate le lesioni:

- Masse: vengono valutati la forma (ovale, rotonda, irregolare), l’orientamento (parallelo o non parallelo), i margini (circoscritti o non circoscritti),

l’ecogenicità (anecogeno, ipoecogeno, isoecogeno, iperecogeno, eterogeneo, complesso solido-cistico) e l’eventuale presenza di rinforzo posteriore o cono d’ombra;

- Calcificazioni: distinte in base alla localizzazione (dentro una massa, fuori una massa, intraduttali);

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- Reperti associati: distorsione architetturale, modificazioni duttali, modificazioni della cute (ispessimento, retrazione), edema, vascolarità (assente, interna alla massa, ad anello), elasticità (lieve, intermedia, alta); - Casi speciali: cisti semplice, microcisti in cluster, cisti complicata, corpi

estranei (comprese le protesi), linfonodi (intramammari, ascellari) anomalie vascolari, raccolte fluide post-chirgiche, liponecrosi.

Figura 1. Immagine ecografica di un carcinoma infiltrante. Massa ovalare, tipicamente disomogenea, con alternanza di aree ipo- e iper-ecogene, e margini non circoscritti.

Una volta identificate e analizzate, le varie lesioni vengono classificate secondo le categorie di rischio BI-RADS, precedentemente illustrate:

- 0: reperto che richiede ulteriori indagini di imaging. Tale categoria è spesso assegnata negli esami di screening. Può anche essere assegnata nel caso in cui non sia stato possibile portare a termine l’esame diagnostico completo.

- 1: si assegna quando non si ritrova alcun reperto, in presenza quindi di una mammella normale.

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- 2: evidenzia la presenza di un rilievo benigno certo e, come nel caso precedente, possiamo parlare di mammella normale. I reperti classificati in questa categoria sono: una o più cisti semplici, linfonodi intramammari, raccolte fluide post-chirurgiche, protesi mammarie e cisti

complicate/fibroadenomi che non mostrano cambiamenti nell’arco di 2-3 anni. - 3: racchiude un gruppo specifico di reperti con bassissima probabilità di

malignità. Si tratta di reperti specifici, identificati come masse solide con margini circoscritti, forma ovale e orientamento parallelo (che molto spesso sono fibroadenomi) e di cisti isolate complicate. Ci sono studi riguardo l’assegnazione in questa categoria anche delle microcisti raggruppate in clusters.

- 4: questa categoria è riservata per i reperti che non presentano le classiche caratteristiche di malignità ma sono sufficientemente sospette da giustificare la biopsia.

- 5: ne fanno parte tutte le lesioni per le quali ogni diagnosi di non malignità è considerata discordante.

- 6: quando l’esame ecografico viene eseguito dopo la biopsia che ne ha provato la malignità.

3. MAMMOGRAFIA

L’esame mammografico rappresenta la metodica fondamentale nelle pazienti dopo i 40 anni.

Dal 2011 è entrata nell’uso comune la digital breast tomosynthesis (DBT). Questa metodica nasce dalla necessità di ridurre l’elevato numero di falsi negativi e falsi positivi ottenuti con la mammografia tradizionale, derivanti dal fatto che crea immagini di sommazione, con possibili errori per la sovrapposizione delle

immagini. La tomosintesi permette ricostruzioni 3D a partire da un numero finito di proiezioni 2D a basse dosi di radiazioni, che si ottengono usando diversi angoli di scansione, secondo un principio geometrico simile a quello sfruttato per le tecniche tomografiche. Il macchinario esegue delle scansioni da diverse

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l’immagine, rimuovendo gli strati superiori ed inferiori che comprendono strutture che creano rumore di fondo. Questa tecnica permette di individuare un alto

numero di lesioni espansive e di fare una migliore analisi morfologica delle masse e delle distorsioni architetturali, grazie al maggiore contrasto che acquistano le lesioni rispetto al background, dovuto all’ombra creata dalle strutture degli strati superiori e inferiori e alla minor presenza di rumore di fondo.

La DBT, rispetto una classica mammografia, migliora l’imaging nelle donne con mammelle dense, riduce i falsi negativi del 15% e aumenta del 30% la sensibilità e la specificità.22

La sensibilità mammografica è molto elevata nelle mammelle con forte componente adiposa e si riduce in maniera proporzionale alla densità fibroghiandolare.

L’esame mammografico classifica i reperti secondo criteri BI-RADS.23

In prima istanza, viene definita la densità del parenchima mammario e classificata in quattro pattern (figura 2):

A. Quasi interamente adiposa;

B. Presenza di aree fibroghiandolari sparse;

C. Densità eterogenea (può oscurare piccole masse); D. Estrema densità mammaria.

Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte alle categorie B e C, la A e la D rappresentano solo circa il 10% dei casi ciascuna.

La densità mammaria è importante da valutare perché condiziona la sensibilità dell’esame, che decresce progressivamente dalla categoria A alla D.

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Figura 2. Densità mammaria classificata secondo i criteri BI-RADS.

In seguito, si identificano le lesioni. I reperti possibili sono:

- Masse: vengono valutati la forma (ovale, rotonda, irregolare), i margini (circoscritti, oscurati, microlobulati, indistinti, spiculati) e la densità (alta, media, bassa, contenente tessuto adiposo);

- Calcificazioni: distinte in tipicamente benigne (cutanee, vascolari, a popcorn, rotonde, ad anello, distrofiche) e sospette maligne (amorfe, eterogenee, finemente pleomorfe, finemente lineari). Inoltre viene valutata la loro distribuzione (diffusa, regionale, a gruppi, lineare, segmentale); - Distorsione architetturale;

- Asimmetria: distinta in globale, focale o in via di sviluppo; - Linfonodi intramammari;

- Lesioni cutanee; - Dotto dilatato solitario;

A B

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- Reperti associati: retrazione o ispessimento cutanei, retrazione del capezzolo, ispessimento trabecolare, adenopatia ascellare.

Fondamentale è indicare la localizzazione della lesione, specificando il quadrante, la lateralità, la profondità e la distanza dal capezzolo.

Figura 3. Reperti mammografici: microcalcificazioni (a); addensamento (b).

Le varie lesioni identificate vengono classificate secondo le categorie di rischio BI-RADS:

- 0: come per l’ecografia, si tratta di un reperto che richiede ulteriori indagini di imaging. Tale categoria è spesso assegnata negli esami di screening. Può anche essere assegnata nel caso in cui non sia stato possibile portare a termine l’esame diagnostico completo. Inoltre, viene adottata per quei reperti che necessitano di essere confrontati con mammogrammi precedenti, non potendo essere classificati come negativi o benigni.

- 1: nessun reperto riscontrato, in presenza quindi di una mammella normale. - 2: vi è la presenza di una lesione benigna certa. Rientrano in questa categoria

fibroadenomi calcifici involuti, calcificazioni cutanee, corpi estranei metallici (core biopsy o clips chirurgiche) e lesioni contenenti alte quantità di tessuto adiposo (cisti lipidiche, lipomi e galattoceli). Può essere segnalata anche la

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presenza di linfonodi, calcificazioni vascolari, protesi e distorsioni architetturali post-chirurgici.

- 3: solo tre reperti rientrano in questa categoria, ovvero masse solide circoscritte non calcificate, area di asimmetria focale e gruppi solitari di microcalcificazioni.

- 4: questa categoria è riservata ai reperti che non presentano le classiche caratteristiche di malignità ma sono sufficientemente sospette da giustificare la biopsia.

- 5: tutte le lesioni per le quali ogni diagnosi di non malignità è considerata discordante.

- 6: quando l’esame mammografico viene eseguito dopo la biopsia che ne ha provato la malignità.

4. RISONANZA MAGNETICA

La Risonanza Magnetica mammaria (RM) rappresenta un’indagine di imaging di terzo livello diagnostico. Si caratterizza per elevata sensibilità (95-97%),

nell’individuazione di un carcinoma invasivo, e buona specificità (50-100%), nella valutazione della risposta alla chemioterapia neoadiuvante.24 Essa fornisce informazioni di tipo morfologico e funzionale (analisi fondamentale, effettuata dopo somministrazione di mdc per ev) sul tessuto mammario.25

Le indicazioni principali secondo le linee guida EUSOMA, aggiornate al 2013,26 sono:

– studio di donne a rischio genetico o elevato rischio familiare per carcinoma mammario; l’associazione della RM agli esami tradizionali permette di

identificare un discreto numero di tumori non altrimenti riconoscibili. Fondamentale l’ausilio che la RM offre nello screening delle donne con mutazione dei geni BRCA-1 e -2, preservandole dalla esposizione a radiazioni ionizzanti, in quanto la mutazione genetica comporta un’alterazione dei geni riparatori con conseguente maggior radiosensibilità. Inoltre, la giovane età di queste donne inficia le possibilità diagnostiche della mammografia per la

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22

particolare densità radiologica delle mammelle, per cui le informazioni così ottenute possono spesso risultare inadeguate;27

– ricerca di carcinoma primitivo occulto metastatico, di sospetta origine mammaria, quando gli esami tradizionali siano negativi;

– ricerca di multicentricità, multifocalità e bilateralità, in caso di lesioni maligne già diagnosticate con tecniche tradizionali e candidate ad intervento chirurgico conservativo;

– monitoraggio delle lesioni mammarie trattate con chemioterapia neoadiuvante in vista dell’intervento chirurgico, in quanto permette una definizione più precisa delle dimensioni della lesione residua, differenziandola dalle componenti

necrotica e fibrotica;

– follow-up della mammella sottoposta a chirurgia conservativa e/o a radioterapia, qualora gli esami tradizionali pongano dubbi nella diagnosi

differenziale tra recidiva e cicatrice non risolvibili con il prelievo cito/istologico; – approfondimento obbligato in alcune varianti del carcinoma mammario, come nel caso di nuova diagnosi di carcinoma lobulare invasivo o carcinoma

infiammatorio;

– valutazione di donne con sospetto ecografico di rottura di protesi. La RM è la tecnica più efficace per studiare lo stato delle protesi. Permette inoltre di valutare la mammella, in particolare quelle regioni nascoste dalla protesi in mammografia ed in ecografia;

– valutazione di mammelle di difficile interpretazione alle tecniche tradizionali, con discrepanza tra differenti approcci diagnostici, in particolare in casi di

difficile approccio bioptico;

– guida per prelievi cito/istologici di lesioni evidenziabili solo con RM; – caratterizzazione di carcinoma mammario maschile, che rappresenta circa l’1% di tutti i casi di cancro della mammella.

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L’esame RM classifica i reperti secondo criteri BI-RADS.28

Anche qui, come prima cosa, si descrive il parenchima mammario. Viene classificato in quattro gradi in base alla quantità di tessuto fibroghiandolare presente (FGT, fibroglandular tissue) (figura 4):

A. Quasi interamente adiposo;

B. Tessuto fibroghiandolare in zone sparse; C. Tessuto fibroghiandolare eterogeneo;

D. Parenchima estremamente fibroghiandolare.

Figura 4. FGT classificato secondo i criteri BI-RADS.

A B

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Altro parametro che si valuta a livello parenchimale è il BPE (background parenchymal enhancement), che fornisce una stima dell’enhancement del tessuto fibroghiandolare valutandone volume e intensità (minimo, lieve, moderato, marcato) e se risulta simmettrico o asimmetrico (figura 5).

Figura 5. BPE classificato secondo i criteri BI-RADS

In seguito si analizzano i rilievi, che vengono distinti in:

- Focus: definito come un piccolo punto con enhancement, unico ed al di fuori del BPE, che è troppo piccolo per essere accuratamente descritto e

categorizzato, in quanto non si possono definire i margini e l’enhancement interno;

- Mass: definito come una massa con enhancement che può essere categorizzata in base alla morfologia e alla cinetica dell’enhancement stesso; di esso si valutano la forma (ovale, rotonda, irregolare), i margini (circoscritti o non

minimal mild

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circoscritti), caratteristiche dell’enhancement interno (omogeneo, eterogeneo, ad anello, setti interni scuri);

- Non-mass enhancement (NME), definito come un’area unica e separata dal BPE che presenta enhancement, la quale può essere categorizzata valutandone morfologia e cinetica. Viene valuta la distribuzione (focale, lineare,

segmentale, regionale, a regioni multiple, diffusa) e il pattern

dell’enhancement interno (omogeneo, eterogeneo, raggruppato, ad anello);

Altri reperti possono essere: - Linfonodo intramammario; - Lesione della cute;

- Reperti senza enhancement: cisti, raccolte post-operatorie, ispessimento cutaneo o trabecolare post-terapia, massa non-enhancing, distorsione architetturale, corpi estranei (come clip chirurgiche);

- Reperti associati: retrazione o invasione del capezzolo, retrazione o

ispessimento cutenei, invasione della cute, adenopatia ascellare, invasione di muscoli pettorali o della parete toracica, distorsione architetturale;

- Lesioni contenenti tessuto adiposo: linfonodi, liponecrosi, amartoma.

Delle lesioni si valutano:

- Localizzazione e profondità della lesione;

- Curva intensità/tempo: come si distribuisce l’enhancement nella lesione in base al tempo, si valuta in fase iniziale (lenta, moderata, veloce) e in fase avanzata (persistente, con plateau, con wash-out).

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Figura 6. Carcinoma mammario localmente avanzato all’RM. Lesione mass-like in mammella destra con forte enhancement distribuito in maniera non omogenea (sequenza T1w post-contrastografica elaborata con algoritmo di sottrazione).

I reperti vengono poi inseriti in una categoria di rischio BI-RADS:

- 0: è un reperto che richiede ulteriori indagini. Questo può avvenire quando la scansione viene acquisita con tecnica insoddisfacente o quando sono

necessarie maggiori informazioni per interpretare la scansione. Tuttavia, si evita di assegnare questa categoria in quando l’RM solitamente fornisce informazioni necessarie. Una situazione in cui è utile questa categoria è quando troviamo una lesione sospetta all’RM che potrebbe risultare benigna ad un’altra indagine di imaging, evitando così il ricorso alla biopsia; è il caso, ad esempio, di linfonodi intramammari (valutati in ecografia) o di liponecrosi (valutata in mammografia).

- 1: siamo di fronte ad una mammella normale, senza nessun rilievo; - 2: reperti di benignità certa sono linfonodi intramammari, protesi, corpi

estranei metallici (core biopsy e clip chirurgiche), fibroadenomi, cisti, cicatrice non-enhancing di vecchia data o cicatrici recenti, raccolte liquide

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post-operatorie e lesioni contenenti tessuto adiposo (cisti lipidiche, lipomi, galattocele e amartomi);

- 3: non abbiamo specifiche indicazioni riguardo questa categoria, ma l’assegnazione è di pertinenza del radiologo che si baserà sulla propria esperienza (a differenza di ecografia e mammografia);

- 4: questa categoria è riservata per i reperti che non presentano le classiche caratteristiche di malignità ma sono sufficientemente sospette da giustificare la biopsia;

- 5: si riferisce a tutte le lesioni per le quali ogni diagnosi di non malignità è considerata discordante. Tuttavia, non esiste nessun parametro RM

sufficientemente predittivo di malignità da giustificare l’assegnazione in questa categoria, la quale può avvenire solo dopo aver combinato altri reperti sospetti derivanti da ecografia e mammografia;

- 6: quando l’esame RM viene eseguito dopo la biopsia che ne ha provato la malignità.

a) TECNICA RM

I requisiti fondamentali per una corretta RM della mammella sono il breve tempo d'esame, l’imaging simultaneo di entrambe le mammelle e l’elevata risoluzione spaziale, temporale e di contrasto.

Sono necessari i seguenti accorgimenti:

- nella donna in età fertile, l’RM viene eseguita tra il 7° ed il 14° giorno del ciclo mestruale. Questo consente di ridurre al minimo l’influenza della secrezione ormonale endogena sull’enhancement della ghiandola mammaria; - nelle donne in menopausa, che assumono terapia ormonale sostitutiva, è

preferibile la sospensione della terapia un mese prima dell’esecuzione dell’esame;

L’esame è eseguito posizionando nel magnete la paziente, prona e con le mammelle adagiate in bobine dedicate. L’uso di bobina dedicata permette di aumentare la risoluzione spaziale, fornendo ulteriori informazioni riguardo morfologia, dimensioni e margini della lesione.

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La risoluzione spaziale dipende dall’intensità e dall’omogeneità del campo magnetico, dalla bobina, dal campo di vista, dalla matrice e dall’intervallo tra le sezioni; la risoluzione temporale, invece, è dipendente dall’intensità dei gradienti, dalla sequenza e nuovamente dall’intensità e dall’omogeneità del campo

magnetico.

Il protocollo di RM, nei casi di valutazione del residuo tumorale post-NACT, prevede l’utilizzo delle seguenti sequenze:

- sequenze T2-pesate con saturazione del grasso (assiale);

- sequenze gradient echo (GRE) T1-pesate 3D assiali con alta risoluzione temporale e spaziale pre- e post- contrastografiche (5 serie dinamiche), prima e dopo l'iniezione di mdc a base di gadolinio.

Successivamente seguono analisi di post-processing: - ricostruzioni 3D MIP, MPR;

- curve time/intensity.

La prima sequenza ad essere eseguita è comunemente una Turbo Spin Echo (TSE) T2-pesata, con soppressione del grasso nel piano assiale. Le sequenze T2 pesate vengono acquisite prima della somministrazione del mdc. In queste sequenze, l’edema e le strutture che contengono acqua presentano un elevato segnale (ad esempio cisti, anche di pochi millimetri), invece i carcinomi hanno un’intensità di segnale variabile, per lo più simile a quella del parenchima ghiandolare normale. Dopo la sequenza T2, viene eseguito lo studio dinamico, costituito da una sequenza pre-contrasto T1-pesata, seguita da un numero definito (cinque nel nostro caso) di sequenze post-contrasto, con i medesimi parametri tecnici della sequenza iniziale. Con l’utilizzo di sequenze GRE, soprattutto se spoiled

(eliminazione dell’influenza T2 nella generazione del segnale) e con acquisizione volumetrica, si producono immagini fortemente pesate in T1 che permettono elevata sensibilità nel rilevare le aree in cui si distribuisce il mezzo di contrasto. La prima acquisizione è effettuata senza mezzo di contrasto; successivamente, dopo la rapida iniezione di gadolinio DTPA, sono ottenute cinque ulteriori acquisizioni.

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I mezzi di contrasto utilizzati nello studio della mammella sono definiti ‘positivi’; agiscono riducendo il tempo di rilassamento T1 e determinano un incremento dell'intensità di segnale nelle immagini T1-pesate. I mezzi di contrasto più utilizzati sono a base di gadolinio (per esempio, acido gadopentetico, acido gadodenico, gadobutrolo, acido gadoxetico, ecc.). La caratteristica fondamentale dello ione Gd+++, che rende ragione del suo largo utilizzo, è il paramagnetismo, ovvero una forma di magnetismo che alcune sostanze mostrano solo in presenza di campi magnetici e si manifesta con magnetizzazione avente stessa direzione e verso di quella associata al campo esterno applicato.

La somministrazione di mezzo di contrasto deve essere per mezzo di un'iniezione rapida in bolo. Abitualmente si utilizza un iniettore ad una velocità di 2 ml/s, seguito da 20 ml di soluzione isotonica di sodio cloruro con un sistema di iniezione a due vie. Si acquisisce un completo set di dati post-contrasto in 1-2 minuti, preferibilmente entro 30-60 secondi.

L’utilizzo del mezzo di contrasto si basa sulla capacità della metodica di rilevare e quantificare il fenomeno della neoangiogenesi, La stretta correlazione esistente tra la crescita tumorale invasiva e l’attività angiogenetica spiega l'elevata sensibilità (95-97%)24 della RM nella diagnosi di carcinoma NST. Al contrario, la minima attività angiogenetica riscontrabile nella variante lobulare invasiva e nel

carcinoma in situ spiega le difficoltà diagnostiche della RM nell'identificare queste due condizioni.25,29

L'esame con mdc consente un'analisi di aree o lesioni occupanti spazio rispetto ai tessuti normali circostanti sia dal punto di vista qualitativo (architettura

dell’enhancement e sue variazioni tra i successivi frame dinamici) sia quantitativo (valutazione della cinetica di enhancement, selezionando una regione di interesse all'interno della lesione, definita ROI, e, tramite un software dedicato,

calcolandone le curve di intensità /tempo utili per la caratterizzazione della lesione).

L'analisi dei vari frame dinamici comprende le fasi cinetiche di aumento del segnale secondario all'impregnazione di contrasto (wash-in), di mantenimento (plateau) e dismissione del contrasto (wash-out).

La cinetica contrastografica tipica delle lesioni maligne è caratterizzata da rapida impregnazione di contrasto con elevata intensità di segnale rispetto al tessuto

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mammario normale contiguo, raggiungimento del plateau nella fase post-contrastografica precoce (entro 2 min) ed eventuale successivo wash-out; la sua valutazione richiede l'utilizzo di sequenze dinamiche con una risoluzione temporale dell'ordine di 60-120 secondi.

Nei successivi frame dinamici la differenza di contrasto esistente tra lesioni maligne e lesioni benigne/tessuto normale si riduce rapidamente e quindi sono sufficienti 4-5 scansioni.

Dopo l’acquisizione di tutte le scansioni si passa alla fase di post-processing, fase di elaborazione delle immagini fondamentale per la tipizzazione delle lesioni. I programmi di post-processing più utilizzati sono:

- soppressione del grasso;

- sottrazione: dalle immagini ottenute dopo l’iniezione del mezzo di contrasto si sottrae la prima acquisizione, per evidenziare in maniera ottimale la lesione impregnata di mezzo di contrasto;

- MultiPlanar Reconstruction (MPR): consente la ricostruzione delle immagini acquisite nei vari piani dello spazio, garantendo una più precisa definizione topografica, e permette di orientare la lesione nei diversi piani dello spazio; - Maximum Intensity Projection (MIP) (figura 7): effettua una sommatoria di

tutte le immagini sottratte, riportandole in un’unica immagine tridimensionale, con incremento dell'intensità di segnale. La ricostruzione delle immagini può essere biplanare o volumetrica, con possibilità di rotazione graduale

dell'immagine su un asse prescelto. Consente migliore analisi di estensione della lesione e dei rapporti con i tessuti circostanti.

- analisi funzionale: permette la selezione di ROI e la successiva elaborazione di una curva time/intensity.

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Figura 7. Immagine RM di un LABC elaborata con algoritmo MIP.

Si estrapolano quindi dati riguardanti sia la morfologia della lesione, in particolare forma, margini, dimensioni e multiplanarità (che possono essere sfruttati per ottenere le coordinate chirurgiche), che l’enhancement, che correla con la neoangiogenesi, l’aumento di permeabilità capillare e l’ingrandimento del comparto interstiziale.

L'analisi semiquantitativa dell'immagine consiste nella misurazione numerica dell'intensità del segnale nel tempo, in determinate regioni di interesse (ROI) appositamente selezionate. I valori numerici derivanti dall'analisi in sequenza di una ROI di piccole dimensioni, centrata nell'area di maggiore impregnazione di contrasto della lesione, costituiscono una curva d'intensità del segnale in funzione del tempo (curva time/intensity). Per quantificare l'enhancement, viene misurato l'incremento dell'intensità di segnale nell'immagine dopo infusione di mdc rispetto all'intensità di segnale nelle immagini pre-contrasto.30

Sono descritte tre tipi di curve time/intensity (figura 8):

- Curva di tipo I: raramente associato a tumori maligni, è caratterizzata da un aumento di intensità di segnale continuo, di oltre il 10% rispetto al picco dei primi 3 minuti;

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- Curva di tipo II: presenta un iniziale aumento di intensità, seguito da un plateau (deviazione dell’intensità di segnale a 3–8 minuti di +/ - 10% rispetto al picco di intensità iniziale);

- Curva di tipo III: peculiare il wash-out, con un decremento del segnale di intensità maggiore del 10% rispetto al picco iniziale a 3-8 minuti. Questa curva è altamente predittiva di malignità se associata ad un wash-in precoce (entro i primi 3 minuti).

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D. STADIAZIONE CLINICA (TNM)

La determinazione dello stadio della neoplasia alla presentazione è importante sia per pianificare i programmi terapeutici che per formulare un giudizio prognostico. Attualmente si fa riferimento al sistema TNM rivisto dall’American Joint

Committee on Cancer (AJCC-settima edizione)31 nel 2010 che si basa su: - dimensioni della neoplasia (T)

- presenza ed estensione di metastasi ai linfonodi regionali (N) - presenza di eventuali metastasi a distanza (M)

Tumore primitivo (T)

TX: tumore primitivo non identificato (assenza di notizie sul tumore primario) T0: non evidenza del tumore primitivo

Tis: carcinoma in situ distinto in:

Tis (DCIS): carcinoma duttale in situ Tis (LCIS): carcinoma lobulare in situ

Tis (Paget): malattia di Paget del capezzolo senza carcinoma T1: Tumore di dimensione massima fino a 2 cm

T1mi: Microinvasivo di dimensione massima di 0,1 cm T1a: Tumore di dimensione compresa tra 0,1 cm e 0,5 cm T1b: Tumore di dimensione compresa tra 0,6 cm e 1 cm T1c: Tumore di dimensione compresa tra 1,1 cm e 2 cm T2: Tumore di dimensione massima superiore a 2 cm ma entro 5 cm T3: Tumore di dimensione massima superiore a 5 cm

T4: Tumore di qualsiasi dimensioni esteso alla parete toracica (a) o alla cute (b) T4a: estensione alla parete toracica ma non al pettorale

T4b: edema della cute (compresa la pelle a buccia d’arancia), ulcerazione della cute o presenza di noduli satelliti confinati nella mammella

omolaterale

T4c: presenza contemporanea delle caratteristiche di T4a e T4b T4d: carcinoma infiammatorio

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34 Linfonodi regionali (N)

NX: linfonodi regionali non valutabili (ad esempio, se precedentemente asportati) N0: linfonodi regionali senza metastasi

N1: metastasi in linfonodi ascellari omolaterali mobili (livello I-II)

N2: metastasi in linfonodi ascellari omolaterali fissi (livello I-II) o in linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili, in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari

N2a: metastasi in linfonodi ascellari omolaterali fissi tra loro o ad altre strutture

N2b: metastasi solo clinicamente rilevabili in linfonodi mammari interni in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari

N3: metastasi in linfonodi sottoclaveari omolaterali (livello III) con o senza coinvolgimento di linfonodi ascellari del livello I e II; o in linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili in presenza di metastasi clinicamente evidenti in linfonodi ascellari del livello I e II; o metastasi in linfonodi

sovraclaveari omolaterali con o senza coinvolgimento dei linfonodi ascellari o mammari interni

N3a: metastasi in linfonodi sottoclaveari omolaterali N3b: metastasi in linfonodi mammari interni e ascellari N3c: metastasi in linfonodi sovraclaclaveari

Metastasi a distanza (M)

MX: metastasi a distanza non accertabili

M0: metastasi a distanza assenti (non evidenza clinica o radiologica) M1: metastasi a distanza presentii

Le sedi preferenziali di metastasi a distanza sono i segmenti ossei (70-80%), soprattutto vertebrali, costali, pelvici e della volta cranica. Le metastasi polmonari rappresentano il 60-65%; una volta raggiunto il polmone, attraverso la

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35

La classificazione TNM viene inoltre sfruttata per classificare la neoplasia in stadi,32 che serve per catalogare neoplasie eterogenee sotto il profilo TNM ma accomunate dalle stesse implicazioni prognostiche e terapeutiche:

Stadio 0: Tis, N0, M0

Stadio IA: T1, N0, M0

Stadio IB: T0-T1, N1(mi), M0

Stadio IIA: T0-1, N1, M0 T2, N0, M0 Stadio IIB: T2, N1, M0 T3, N0, M0 Stadio IIIA: T0-2, N2, M0 T3, N1-2, M0 Stadio IIIB: T4, N0-2, M0 Stadio IIIC: T0-4, N3, M0 Stadio IV: T0-4, N0-3, M1

1. CARCINOMA MAMMARIO LOCALMENTE AVANZATO

La definizione di carcinoma mammario localmente avanzato (LABC, locally advanced breast cancer) comprende un gruppo eterogeneo di neoplasie con diverse caratteristiche cliniche e biologiche. Presenta un’incidenza di nuove diagnosi estremamente variabile (4-90%), prendendo in considerazione le varie regioni del mondo; in Europa ha un’incidenza media dell’8%, doppia rispetto a quella negli Stati Uniti (4%).33

In questa definizione rientrano tutte le neoplasie classificate di stadio III e quelle di stadio IIB (T3, N0).34

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Sono di grande interesse attuale in quanto in passato erano considerati inoperabili, ma l’approccio a queste neoplasie è cambiato grazie all’introduzione della terapia neoadiuvante. 35

Figura 9. Carcinoma localmente avanzato della mammella diagnosticato tramite l’utilizzo di ecografia (a), mammografia (c) ed RM (d). Si riporta anche un linfonodo ascellare positivo all’ecografia (b).

a

b

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E. FATTORI PROGNOSTICI E PREDITTIVI

I fattori prognostici sono correlati alla prognosi del paziente mentre i predittivi alla eventuale efficacia di un trattamento; solitamente un fattore prognostico funge anche da fattore predittivo.

I criteri prognostici di maggiore importanza sono il grado istologico e la

stadiazione clinica della neoplasia, ai quali si aggiungono fattori minori che sono utili soprattutto nell’indicare specifici trattamenti.

Il sistema di attribuzione del grado istologico più usato è il Nottingham Histologic Score che classifica le neoplasie in tre gradi (G1, G2, G3) assegnando degli score a specifiche caratteristiche analizzate, le quali comprendono il pleomorfismo nucleare, la formazione di tubuli ben formati e l’indice mitotico.

La sopravvivenza a 10 anni è prossima al 90% per i tumori G1 e scende progressivamente nei tumori G2 e G3.36

Per quanto riguarda la stadiazione clinica, ci riferiamo allo stadio che otteniamo combinando i vari fattori del TNM. La prognosi intuibilmente cala al progredire dello stadio, con valori di sopravvivenza a 5 anni molto alti per neoplasie in stadi iniziali (92% in stadio 0 e 87% in stadio I) fino a raggiungere il 13% in stadio IV.37

Oltre allo stadio, anche i singoli parametri del TNM sono degli importanti fattori prognostici:

Le dimensioni della neoplasia (T) costituiscono un fattore prognostico indipendente. Il tasso di sopravvivenza a 10 anni varia da oltre il 90% per neoplasie di diametro inferiore a 1 cm al 77% per diametro inferiore a 2 cm. La presenza di metastasi linfonodali (N) rappresenta il più importante fattore prognostico per il carcinoma invasivo della mammella in assenza di metastasi a distanza. In assenza di interessamento dei linfonodi, la sopravvivenza libera da malattia a 10 anni è vicina al 70-80%, con un numero di linfonodi interessati da uno a tre la percentuale scende al 35-40%, mentre in presenza di più di 10 linfonodi positivi, la percentuale di sopravvivenza è del 10-15%.

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38

La presenza di metastasi a distanza (M) invece rappresenta un fattore prognostico particolarmente infausto, in quanto la guarigione è improbabile.

Accanto a questi vengono utilizzati altri fattori prognostici e predittivi minori, alcuni dei quali forniscono l’indicazione per l’impiego di terapie con particolari target molecolari.37

Il sottotipo istologico condiziona la prognosi in quanto i carcinomi invasivi di tipo speciale (tubulare, mucinoso, midollare, lobulare e papillare) hanno una prognosi più favorevole rispetto a quelli di tipo non speciale.

La presenza di recettori per estrogeni e progesterone correla con una prognosi migliore ed è un importante fattore predittivo della risposta alla terapia ormonale. L’iperespressione di HER-2 è associata ad una bassa sopravvivenza ma è

importante come fattore predittivo di risposta alla terapia a bersaglio molecolare, ad esempio il trastuzumab.

L’invasione vascolare di linfatici e piccoli capillari è presente in circa la metà dei carcinomi invasivi ed è fortemente associato con la presenza di metastasi

linfonodali; è quindi indice di prognosi sfavorevole e fattore di rischio per la recidiva locale.

L’indice proliferativo elevato è sinonimo di prognosi infausta, anche se indica la possibilità di maggiore risposta alla chemioterapia.

Il grado di risposta alla terapia neoadiuvante è un importante fattore prognostico. Le neoplasie con maggiore probabilità di rispondere bene sono quelle poco

differenziate, ER-negative ed associate ad aree di necrosi. La sopravvivenza a lungo termine dei pazienti che ottengono una risposta completa è superiore al 95%, a differenza della prognosi infausta complessiva.38

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39

F. PRINCIPI DI TERAPIA

Partendo dalla stadiazione clinica, il trattamento viene discusso e programmato da un team multidisciplinare. In molti pazienti la chirurgia è il primo step

terapeutico, anche se in alcuni casi si può ricorrere a trattamenti neoadiuvanti. Dopo l’intervento, la stadiazione istopatologica darà indicazioni circa la necessità dell’utilizzo di terapie adiuvanti.

In maniera schematica, possiamo dividere le neoplasie della mammella in quattro stadi clinici, partendo dalla valutazione del TNM, che si avvalgono di diversi approcci terapeutici:

- i carcinomi in situ sono quelli che non superano la membrana basale; non necessitano di terapie neoadiuvanti e vengono indirizzati direttamente alla chirurgia solitamente conservativa, che esita in un migliore risultato estetico, ma talvolta necessita di mastectomia quando multicentrico o di grandi dimensioni;

- i carcinomi localizzati sono definiti da dimensioni inferiori a 5 cm e meno di 4 metastasi linfonodali; talvolta possono avvalersi di terapie neoadiuvanti con lo scopo di rendere possibile una chirurgia conservativa, la quale è

controindicata, come in precedenza, per neoplasie multicentriche o estese dimensionalmente;

- i carcinomi localmente avanzati, definiti da dimensioni sopra i 5 cm e/o più di 4 metastasi linfonodali, sono usualmente indirizzati a trattamento

neoadiuvante con lo scopo di rendere possibile un trattamento chirurgico, il quale sarà solitamente una mastectomia, anche se la chirurgia conservativa può essere applicata in casi di risposta ottimale e residuo minimo di neoplasia; - la malattia sistemica, quindi presenza di metastasi a distanza, non si avvale di

trattamento chirurgico, se non con scopo palliativo, ma solitamente si agisce con terapie sistemiche.

I carcinomi localmente avanzati, da un punto di vista terapeutico, si distinguono due gruppi: operabile e inoperabile.

Per operabile si intende una neoplasia in stadio clinico T3, N1, M0; queste neoplasie rappresentano una minoranza dei casi e sono così definite in quanto è

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40

possibile eseguire un approccio chirurgico in prima istanza. Comunemente si esegue subito la chirurgia nei casi in cui è possibile raggiungere margini negativi e controllo locale a lungo termine con la chirurgia conservativa. Quando il

medesimo risultato si può raggiungere solo con la mastectomia, la neoplasia viene invece trattata come fosse un tumore inoperabile, ovvero ricorrendo a

chemioterapia neoadiuvante.

Per inoperabile ci si riferisce a tutte le altre neoplasie in stadio clinico III, eccetto le T3, N1, M0; in questo caso è necessario ricorrere ad una combinazione di terapia sistemica, chirurgia e radioterapia, i cui schemi terapeutici non sono ancora del tutto convalidati ma in continua evoluzione. Risulta tuttavia essenziale il ruolo della chemioterapia neoadiuvante, la quale permette di aumentare la percentuale di chirurgia conservativa senza inficiare la sopravvivenza a lungo termine.

La terapia neoadiuvante può avvalersi di molti farmaci, che possono essere guidati anche dalla caratterizzazione molecolare della neoplasia.

La chemioterapia sembra essere cruciale per tutte le neoplasie; gli schemi farmacologici più utilizzati sono basati su antracicline e taxani. Rispetto al solo utilizzo delle antracicline, la combinazione con i taxani ha dimostrato di

aumentare in maniera significativa i tassi di risposta alla terapia e la percentuale di risposte complete, oltre che migliorare la prognosi a lungo termine.

Nelle neoplasie HER-2-positive l’aggiunta di un farmaco diretto contro HER-2, quale il trastuzumab, al già citato regime terapeutico citotossico, incrementa significativamente i tassi di risposta.

Per quanto riguarda le neoplasie luminali (ovvero esprimenti recettori ormonali), è stata studiata la possibilità di usare la terapia ormonale. Questi studi hanno

dimostrato significative differenze di risposta tra la terapia ormonale e la chemioterapia, a vantaggio di quest’ultima, nelle donne in pre-menopausa; non esiste differenza invece nelle donne in post-menopausa. Alla luce di questi dati, la terapia ormonale è riservata a donne in post-menopausa con neoplasie che

crescono lentamente o che presentano comorbidità importanti, in quanto questo tipo di terapia ha minori effetti collaterali rispetto alla chemioterapia. In questo gruppo di pazienti, i farmaci che hanno mostrato maggior efficacia sono gli

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41

inibitori dell’aromatasi, nello specifico letrozolo e anastrozolo hanno dimostrato di essere superiori al tamoxifene.34

1. CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE

La terapia neoadiuvante è stata concepita per neoplasie in stadio localmente avanzato, con lo scopo di renderle operabili e quindi anche curabili. L’obiettivo principale è dunque la riduzione del volume del tumore per rendere asportabili lesioni non aggredibili in prima battuta.

Attualmente però sempre più pazienti con stadio precoce sono indirizzate a questo tipo di terapia, anziché il classico approccio chirurgico seguito da terapia

adiuvante. I vantaggi della terapia neoadiuvante consistono nel monitorare la risposta al trattamento e ridurre l’estensione di una chirurgia conservativa o addirittura renderla fattibile in pazienti altrimenti indirizzati verso una mastectomia.

L’uso precocissimo della terapia sistemica permetterebbe inoltre il controllo di eventuali micrometastasi e potrebbe così ridurre il rischio di selezione di cloni farmaco-resistenti nella popolazione neoplastica residua dopo la rimozione del tumore primitivo.

Nella valutazione della risposta alla chemioterapia neoadiuvante si fa riferimento ai criteri RECIST (versione 1.1 del 2009).39 Essi prendono in considerazione il diametro maggiore della lesione, confrontando le immagini pre- e

post-trattamento. Le pazienti dunque vengono classificate in due gruppi:

- Responders: in questo gruppo rientrano pazienti che hanno avuto una risposta completa (non si riscontra nessuna evidenza di tumore residuo) o una risposta parziale (definita una riduzione maggiore del 30% del diametro maggiore del tumore).

- Non responders: sono invece pazienti che presentano stabilità di malattia (definita come riduzione inferiore al 30% del diametro maggiore del tumore) o progressione di malattia (ovvero crescita dimensionale di almeno il 20%, ma non inferiore a 5 mm, del tumore).

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La risposta alla chemioterapia neoadiuvante non sembra modificare la prognosi, ma correla con essa nel senso che le pazienti responder sono quelle che hanno una prognosi migliore per il maggiore controllo della terapia sia sul tumore primitivo che sulle micrometastasi. Inoltre, la dimensione del tumore residuo alla chirurgia è altamente predittivo di recidiva.

I tassi di risposta alla chemioterapia neoadiuvante sono compresi tra l’80% e il 90%, con un rischio di progressione inferiore al 10%.

In caso di risposta completa, il tasso di sopravvivenza a 5 anni è dell’89%, contro il 64% in caso di risposta parziale; se il tumore residuo presenta un diametro inferiore ad 1 cm il tasso di sopravvivenza è del 70%, ma scende al 50% se il diametro è superiore ad 1 cm. Esiguo il tasso di sopravvivenza per le pazienti con risposta scarsa o assente alla terapia (10- 30%).40

La terapia neoadiuvante consente una diretta verifica del suo effetto mediante l’osservazione del residuo del tumore, e il precoce riconoscimento delle pazienti responders permette di prospettare un planning terapeutico corretto, così come l’identificazione delle pazienti refrattarie al trattamento permette di considerare l’uso di schemi di salvataggio o di programmare l’intervento chirurgico in tempi più rapidi.

Si impone dunque la necessità di avere delle metodiche diagnostiche accurate, che permettano di valutare con precisione e accuratezza il residuo tumorale.

Figura 10. Caso di LABC trattato con successo con NACT. È possibile notare la grande differenza dimensionale del tumore in mammella sinistra tra le due scansioni, eseguite prima (a) e dopo (b) la NACT.

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III. SCOPO

Scopo della tesi è valutare l’accuratezza dell’imaging nello studio della malattia residua post-chemioterapia neoadiuvante, mettendo a confronto le dimensioni tumorali calcolate secondo criteri RECIST in ecografia, mammografia ed RM con le dimensioni reali post-chirurgiche dopo valutazione istologica definitiva, al fine di intraprendere il miglior percorso terapeutico possibile.

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IV. MATERIALI E METODI

Sono state valutate retrospettivamente 269 donne di età compresa fra 19 e 80 anni (età media 49,5 ± 11,2) affette da carcinoma mammario localmente avanzato, studiate nel nostro centro dal 2011 al 2016.

Tutte le pazienti hanno eseguito chemioterapia neoadiuvante, alla fine della quale è stato valutato il residuo di malattia attraverso le tre metodiche di imaging, ecografia, mammografia ed RM.

Per ogni paziente è stato confrontato dimensionalmente il residuo di malattia nell’imaging mammo-ecografico ed RM, valutato tramite criteri RECIST, con quello dell’istologico definitivo post-chirurgico.

Le tecniche di imaging utilizzate sono state:

- Ecografia mammaria con sonda dedicata ad alta frequenza (13 MHz) MyLab Twice (Esaote), iU22 (Philips Healthsystem), Logiq9 (GE Medical Imaging); - Mammografia; l’indagine mammografica è stata supportata dalla tecnologia

della tomosintesi ad alta definizione. Presso il nostro centro sono in dotazione le seguenti macchine mammografiche: Selenia Dimension (Hologic) e

Senographe DE (GE Medical Imaging);

- Risonanza Magnetica (RM) (1,5T e 3T) Symphony 1.5 T (Siemens Healthcare) e Discovery RM 750W 3.0 T (GE Medical Imaging).

Il protocollo dell’esame di RM è stato il seguente:

- sequenze T2-pesate con saturazione del grasso (assiale);

- sequenze T1-pesate 3D assiali con alta risoluzione temporale e spaziale pre- e post- contrastografiche (5 serie dinamiche), prima e dopo l'iniezione di mdc a base di gadolinio Multihance 0,5 M (Gadobenato dimeglumina, Bracco Medical Imaging) e Gadovist 1 M (Gadobutrolo, Bayer)

- ricostruzioni 3D MIP, MPR; - curve time/intensity.

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In caso di impegno multifocale o multicentrico, è stata presa in considerazione la lesione di maggiori dimensioni, sempre verificandone la corrispondenza a

posteriori con l'analisi istologica definitiva del pezzo operatorio.

Per quanto riguarda l’analisi statistica, i dati numerici delle quattro variabili (dimensioni in mammografia, ecografia, RM e del reperto istologico definitivo) sono stati analizzati con il test di Kolmogorov-Smirnov e successivamente con test statistici non parametrici.

La correlazione dimensionale tra residuo di malattia, nelle tre metodiche di imaging, e quello dell’istologico definitivo è stata effettuata con il test di Wilcoxon a due code.

L’analisi di correlazione fra le dimensioni all’imaging e quelle all’istologico definitivo sono state eseguite mediante il test di Spearman.

Per ciò che riguarda la mammografia, sono stati effettuati l’analisi di correlazione di Spearman, tra i due rilievi mammografici (addensamento e microcalcificazioni) e il residuo istopatologico, e il test di Wilcoxon, per confrontare le mediane dei due rilievi rispetto al residuo istopatologico.

La significatività dei test statistici è stata fissata al valore di 0,05. Tutte le analisi statistiche sono state eseguite con tecnologia SPSS v.23.

Figura 11. Valutazione del residuo tumorale post-NACT all’RM; secondo i criteri RECIST, viene preso in esame il diametro maggiore.

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Figura 12. Paziente affetta da LABC, appartenente alla nostra casistica;

valutazione del residuo tumorale post-NACT con ecografia (a), mammografia (b) ed RM (c).

a

b

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V. RISULTATI

Dall’analisi dei risultati è emerso che solo i valori della RM hanno corrispondenza con l’istologico.

Il confronto dimensionale tra le tre metodiche e l’istologico è stato effettuato con il test di Wilcoxon a due code (Grafico 1), che ha dimostrato che il valore della mediana dell’istologico definitivo non sembra significativamente diversa da quella ottenuta in RM (p=0,630); negli altri due casi invece le differenze risultano fortemente significative (p<0,0001).

Grafico 1. Test di Wilcoxon a due code. Confronto dimensionale post-chemioterapia neoadiuvante tra metodiche di imaging e istologico definitivo.

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L’analisi di correlazione di Spearman (Grafico 2) dimostra una correlazione statisticamente significativa tra il residuo di malattia valutato in RM e il dato istologico definitivo (p<0,0001). Il valore del coefficiente di correlazione rho, che rappresenta la forza della correlazione, risulta essere positivo (rho=0,533)

stabilendo che se aumenta il residuo all’esame istologico aumenta di conseguenza il rilievo alla RM.

Grafico 2. Analisi di correlazione di Spearman. Confronto tra dimensioni RM post-chemioterapia neoadiuvante e istologico definitivo.

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Per quanto riguarda l’imaging mammografico, confrontando la mediana del rilievo istologico con le mediane dell’addensamento e delle microcalcificazioni, secondo il test di Wilcoxon, emerge che le differenze risultano statisticamente significative in entrambi i casi (p<0,001). (Grafico 3)

Grafico 3. Confronto tra le mediane dei due rilievi mammografici rispetto al residuo istopatologico.

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