UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Scienze Veterinarie
Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria
Tesi di Laurea
GESTIONE DEL RANDAGISMO IN TOSCANA:
INDAGINE SULLA GESTIONE E SUL CONTROLLO DEL
RANDAGISMO IN TOSCANA A CIRCA 30 ANNI
DALL’APPROVAZIONE DELLA LEGGE NAZIONALE
Candidata: Ilaria Ciaponi
Relatore: Dott. Maurizio Mazzei
Correlatore: Dott. Enrico Loretti
Ai miei cari
Nonni
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RIASSUNTO
Parole chiave:
Randagismo canino, Sanità Pubblica Veterinaria, Toscana, Anagrafe canina, Legge nazionale 281/91Il randagismo è una problematica attuale in molti paesi, tra cui l’Italia stessa, caratterizzato da un’eccessiva ed incontrollata proliferazione della popolazione canina; è il frutto di una errata gestione degli animali, una incompleta applicazione delle già poche leggi in tema, di un inadeguato lavoro da parte delle amministrazioni. Il randagismo ha ripercussioni sulla salute pubblica, sull’ecosistema, sul benessere degli animali stessi e comporta anche un notevole dispendio di risorse finanziarie pubbliche e private.
L’obiettivo di questo elaborato finale è quello di analizzare le strategie di gestione del randagismo canino e delle problematiche ad esso correlate, nel mondo ed in particolare nella Regione Toscana.
Sono stati presi in esame i fattori che alimentano il fenomeno del randagismo canino e le conseguenze che da esso scaturiscono, con particolare attenzione ai problemi di Sanità Pubblica.
Sono state valutate le strategie di lotta al randagismo applicate nel mondo e confrontate con le linee guida suggerite dall’OIE; per ciascuna strategia sono stati evidenziati i punti di debolezza e di forza, cercando di individuare quelle più efficaci e rispettose del benessere animale.
È stata analizzata la Legge Nazionale 281/91, legge quadro in materia di
tutela degli animali da affezione e lotta al randagismo, con particolare
riferimento al suo recepimento a livello regionale toscano.
Dallo studio della gestione del randagismo in Toscana negli ultimi 30 anni, emerge un generale successo delle strategie gestionali applicate in funzione della normativa; ottimi risultati si sono ottenuti grazie ad un efficiente sistema di anagrafe, all’educazione dei cittadini ed alla stretta collaborazione tra servizio pubblico e veterinari liberi professionisti. La gestione dei canili e del servizio di cattura animali vaganti, seppur con differenze territoriali si è dimostrata di qualità. Restano da migliorare gli incentivi alla sterilizzazione degli animali di proprietà ed i sistemi di vigilanza sul territorio.
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ABSTRACT
Key words: Tuscany, veterinary public health, canine registry, Stray dogs,
Italian national law 281/91
Many countries suffer from the problem of stray dogs, and Italy is no exception. It is due to excessive and uncontrolled proliferation of the canine population caused by bad animal management, a superficial application of the few existing laws, and inadequate measures by the local authorities. The existence of strays has repercussions on public health, on the eco system, on the welfare of the animals themselves, and requires considerable spending of both public and private funds.
The aim of this paper is to analyze the management of stray dogs and the problems related to the issue worldwide and in particular in Tuscany, using the Italian national law 281/91 and its regional application as a starting point.
We examined the factors that fuel the phenomenon of strays and the consequences especially on public health.
We evaluated stray-dog management strategies worldwide and compared them to OIE guidelines. We then identify the strengths and weaknesses of each one in order to select the ones that are most effective and respectful of the animal's well-being.
We analyzed the Italian national law 281/91, the key law for the protection of pets and management of strays, with particular attention to its application in Tuscany.
The review of stray-dog management in Tuscany over the last 30 years reveals that the management strategies applied following the above law have been generally successful. Excellent results were achieved thanks to an efficient registration system, education of the general public, and close collaboration between the public service and private veterinarians. Kennel management and stray-dog capture service are strong points in the system, although with local variations. On the other hand, incentives for neutering pets and territory surveillance systems should be improved.
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INDICE:
RIASSUNTO………...1 ABSTRACT……….2 INDICE……….3 INTRODUZIONE………5Storia del randagismo ………..5
CAPITOLO 1………..7
Classificazione della popolazione canina………..7
CAPITOLO 2………..9
Le cause del randagismo……….9
2.1 Fonti che alimentano il randagismo……….9
2.2 Fonti che favoriscono il randagismo………..10
2.3 Situazioni di emergenza……...………...11
CAPITOLO 3………13
Problematiche connesse alla Sanità Pubblica………...13
CAPITOLO 4………17
Strategie di controllo nel mondo………17
4.1 Ignorare il problema………..20
4.2 Influenzare la “holding capacity”……….20
4.3 Uccidere i randagi……….21
4.4 Catturare i randagi e mantenerli in canile……….22
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4.6 Programmi di sterilizzazione………...24
4.6.1 Cattura, sterilizzazione e reimmissione sul territorio dei randagi….24 4.6.2 Sterilizzazione dei cani padronali………..25
4.7 Programmi educativi……….27 CAPITOLO 5………..30 Legislazione………..30 5.1Normativa europea ………...30 5.2 Normativa italiana……….34 5.3 Recepimenti regionali………...45 CAPITOLO 6………...46 Regione Toscana……….46 CONCLUSIONI………64 BIBLIOGRAFIA………67 ALLEGATO I……….70 ALLEGATO II………73 ALLEGATO III………..81 ALLEGATO IV………..87 RINGRAZIAMENTI………..93
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INTRODUZIONE
Storia del randagismo:
Fin dai tempi antichi l’uomo ed il cane hanno convissuto a stretto contatto traendo vantaggi gli uni dagli altri; l’uomo forniva cibo, riparo e compagnia, il cane un valido aiuto nella caccia, nella difesa delle greggi e della casa. La specie canina fu la prima ad essere domesticata (1). Secondo studi archeologici il primo cane sepolto accanto ad esseri umani fu un cucciolo vissuto 14.700 anni fa in Siberia, quando l’uomo era cacciatore-raccoglitore (2). Diversamente dalle altre specie domestiche, i cani sono stati selezionati per le loro caratteristiche attitudinali e non produttive; da un recente studio (3) è emerso che cane e lupo presentano limitate differenze genomiche, dimostrando la selezione attiva da parte dell’uomo sui primi cani a partire dal lupo stesso. I geni dove si osservano le maggiori differenze sono quelli coinvolti nella sintesi, trasporto e degradazione di una varietà di neurotrasmettitori, in particolare delle catecolamine (dopamina e noradrenalina). Si deduce quindi che la selezione sui primi cani sarebbe stata indirizzata verso mansuetudine e capacità di elaborazione emotiva, rendendo il cane meno aggressivo e più mansueto del lupo. Più recentemente nel contesto europeo, la popolazione canina è cresciuta in modo significativo dopo la seconda guerra mondiale come conseguenza della aumentata suburbanizzazione e di un iniziale cambiamento del rapporto uomo-animale (4). Negli anni ’60 erano sempre più i cani da compagnia ma comunque tenuti all’aperto e principalmente cani da lavoro, mentre è dagli anni ’80 che il cane diventa ufficialmente un animale da compagnia (5); col miglioramento delle condizioni economiche e sociali umane, sono migliorate anche quelle del cane, visto sempre più come un membro della famiglia, che come un animale. La maggior efficienza e accessibilità alle cure veterinarie e la maggior disponibilità dell’uomo ad assicurare tali cure all’animale, l’alimentazione equilibrata, il rifugio sicuro per i cani di proprietà, hanno portato ad un aumento demografico della popolazione canina negli ultimi decenni. Tuttavia parallelamente all'aumento dei cani di proprietà si è osservato anche un aumento della popolazione dei cani randagi, specialmente in alcune aree dove non sono state messe in atto misure di controllo della popolazione canina.
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Negli ultimi anni il randagismo è diventato un problema significativo e di ampia diffusione, sia in paesi avanzati, ma soprattutto nei paesi in via di sviluppo, con diverse realtà territoriali, con ripercussioni sulla salute pubblica, sul benessere degli animali e sul funzionamento delle zoocenosi e conseguenze socio-economiche. Si stima che al mondo nel 2001 ci fossero più di 200 milioni di randagi, ovvero più di tre quarti della popolazione canina mondiale (6).
L’obiettivo primario della gestione del randagismo è contenere la popolazione canina evitando tutte le problematicità legate ad esso, senza dover ricorrere all’uccisione di animali sani e socievoli, né alla reclusione a vita in canili.
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CAPITOLO 1
Classificazione della Popolazione canina:
Nel 2009 OIE (World Organisation for animal health) ha redatto le “linee
guida per il controllo del randagismo” (7) in cui ha distinto la popolazione canina
in 4 categorie tra loro interdipendenti, in base al grado di dipendenza del cane dall’uomo per cibo e riparo ed al grado di controllo esercitato dall’uomo stesso sui movimenti e sulla riproduzione del cane:
• CANI PADRONALI: sono cani con il massimo grado di associazione con l’uomo, non vengono lasciati liberi di vagare, né di riprodursi in maniera incontrollata, dipendono dall’uomo per cibo e riparo; sono cani da compagnia o da lavoro.
• CANI PADRONALI VAGANTI, hanno un proprietario ma non hanno alcun controllo diretto o restrizione; sono tipici degli ambienti rurali o semiurbani: non sono sotto il controllo diretto dell’uomo per quanto concerne la libertà di vagare
• CANI VAGANTI SENZA PADRONE, possono essere i CANI RANDAGI, liberi di muoversi e di riprodursi, ma dipendenti in qualche modo dall’uomo per l’alimentazione o perché ne ricercano la presenza; solitamente si trovano nei pressi degli insediamenti urbani; possono essere abbandonati, fuggiti o nati da altri cani randagi.
• CANI INSELVATICHITI, cani vaganti senza padrone che non hanno più o non hanno mai avuto contatti con l’uomo, sono totalmente indipendenti da esso, vivono isolati in branchi competendo con la fauna selvatica e talvolta rendendosi protagonisti di attacchi nei confronti dell’uomo. Sono considerati predatori selvatici, hanno modificato le loro abitudini da diurne a notturne. La selezione naturale in questa categoria predilige razze di maggiori dimensioni corporee come i cani da pastore o da caccia sfuggiti al controllo umano (8).
Le quattro categorie di cani individuate sono estremamente dinamiche, soggette a continuo interscambio: in particolare i cani padronali possono diventare cani vaganti ed i cani randagi possono essere adottati o confluire
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nella nicchia dei cani inselvatichiti e possono accoppiarsi con quelli delle altre categorie.
In alcune regioni italiane è riconosciuta una ulteriore categoria di cani “Il CANE DI QUARTIERE” regolamentata da specifica normativa Puglia: L.R.12/1995; Lazio: L.R.34/1997; Liguria: L.R.23/2000; Campania: L.R.16/2001. Questa tipologia è una situazione intermedia tra i cani padronali vaganti ed i cani randagi; è un cane randagio che viene catturato, curato, sterilizzato ed affidato ad alcuni volontari di quartiere. In piccole realtà urbane sembra ridurre il flusso di cani da altre aree grazie ai comportamenti territoriali del cane stesso, consente il controllo sanitario dei soggetti senza sovraffollare i canili. Inoltre essendo sterilizzati non potranno generare nascite indesiderate. In aree rurali non è applicabile questa strategia di controllo a causa del potenziale impatto sulle specie selvatiche e domestiche.
L’estrema dinamicità delle varie categorie ed il fatto che il cane non appartenga ad una specie selvatica ben definita per cui sono stati elaborati studi matematico-statistici che ne consentono una stima numerica precisa sul territorio, rende difficile sapere con certezza quanto sia consistente questo fenomeno. L’unico resoconto nazionale pubblicato dal Ministero della Salute è datato 2006; allora dai dati forniti dalle Regioni e dalle Province Autonome risultavano 6 milioni di cani di proprietà e 590 mila cani senza padrone di cui un terzo nei canili rifugio (9) mentre secondo delle stime del 2012 i randagi oscillerebbero tra 500 e 700 mila (10).
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CAPITOLO 2
Le cause del randagismo
Le possibili cause che favoriscono il fenomeno del randagismo si possono distinguere tra i fattori che lo alimentano, fornendo nuovi ingressi di soggetti tra i cani vaganti senza padrone e i fattori che lo favoriscono, che possono essere ambientali e sociali.
2.1 Fonti che alimentano il randagismo:
Secondo una recente un’indagine condotta dal SIVELP (Sindacato Italiano dei Veterinari Liberi Professionisti) la maggior parte dei randagi su suolo italiano è costituita da incroci; indicando come la fonte principale dei cani randagi non è quindi da ricercare nella riproduzione programmata di cani di razza ai fini dell’allevamento e della vendita, ma in quella incontrollata o spontanea (11).
La riproduzione non controllata dei cani vaganti, pur introducendo nuovi soggetti nell’area, non è la principale fonte di nuovi nati; questo perché a causa della forte selezione che avviene in natura, dovuta alla scarsità di cibo, riparo, cure ed alla competizione con altri animali di specie canina e non, difficilmente i cuccioli che arrivano alla maturità rappresentano un numero significativo; viceversa la riproduzione incontrollata di animali di proprietà seguita da
abbandono ha un maggior successo riproduttivo, le cucciolate hanno
nutrimento, un ambiente protetto e tutte le cure necessarie alla loro sopravvivenza neonatale; quando le spese per il mantenimento e la cura di questi animali diventano ingenti o si inseriscono altre cause che portano a problematiche della convivenza uomo-cane, gli animali vengono abbandonati; a questo punto hanno superato la fase più critica della loro vita ed hanno maggiori probabilità di sopravvivere. Dai dati riportati nello studio SIVELP emerge che la mancanza di “possesso responsabile” da parte dei proprietari e di sterilizzazioni siano quindi la principale fonte di nuovi randagi (11).
Altra fonte di randagi sono i cani legati alla pastorizia liberi di vagare sul territorio, spesso non sterilizzati, non registrati all’Anagrafe canina e sprovvisti di microchip; nel caso vengano catturati difficilmente potranno essere restituiti ai proprietari, mentre se lasciati in natura hanno buone probabilità di aggiungersi ai branchi di cani inselvatichiti (12). Un problema simile è quello dei cani legati
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all’attività venatoria che possono essere perduti durante una battuta di caccia, o
abbandonati perché non abbastanza bravi; capita spesso che i cacciatori registrino in ritardo, parzialmente, o non registrino affatto le nuove cucciolate all’Anagrafe canina per poter testare i nuovi nati prima di decidere. Per incentivare il “possesso responsabile” da parte dei cacciatori la provincia di Arezzo prevede la sospensione dell’intera squadra di caccia da 10 giorni ad un anno, se nella squadra stessa risulti un solo cane non regolarmente registrato in Anagrafe (Deliberazione di Giunta 624 del 02/11/2011).
Il traffico internazionale di cuccioli provenienti prevalentemente generalmente
dall’est Europa (11), in particolare dall’Ungheria, è un importante fattore in grado di alimentare il randagismo; vengono fatti entrare illegalmente animali non registrati, non identificati, non sottoposti a profilassi sanitaria, spesso tolti troppo presto alle cure della madre e che sono costretti ad affrontare viaggi estenuanti che ne causano la morte. Nell'intento di contenere questo fenomeno sempre più dilagante nel 2010 è stata addirittura emanata una nuova disciplina sanzionatoria contro il traffico illegale di animali, la legge del 4 Novembre 2010 n.201, che prevede la reclusione da tre mesi a un anno e la multa da 3000 a 15000 euro per i responsabili di traffico illecito di animali, ovvero introduzione, trasporto, cessione o ricezione di animali sprovvisti di certificazioni sanitarie e di identificazione.
2.2 Fonti che favoriscono il randagismo:
Possono essere fattori ambientali, come l’abbondanza di cibo e riparo, o la presenza di discariche mal gestite che favoriscono la sopravvivenza anche dei soggetti malati (13); possono inoltre essere fattori legati alla realtà socio-economica del paese come la scarsa cultura del possesso responsabile con animali lasciati liberi di vagare, animali abbandonati, la mancata sterilizzazione per motivi di costi o di disinformazione (specialmente nel maschio la gonadectomia viene vista come una privazione degli istinti naturali), la mancata iscrizione in Anagrafe canina e quindi impossibilità di rintracciare il proprietario, la mancata educazione e sensibilizzazione delle persone relativamente al problema del randagismo. Altro fattore è la carenza di strumenti di controllo
costanti ed efficaci, come la mancata vigilanza sull’iscrizione all’Anagrafe, il
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mansioni di vigilanza; la carenza di incentivazioni alle adozioni dal canile da parte delle Amministrazioni comunali e di alcuni canili privati non affiliati ad “ONLUS” che talvolta creano un monopolio intorno al canile i cui introiti sono proporzionali al numero di cani ospitati e non all’efficienza del servizio svolto, comporta un aumento dei soggetti e dei costi di mantenimento.
Si tratta di un fenomeno autoalimentato, poiché l’omissione di interventi di controllo in principio comporta un aumento della riproduzione degli animali, quindi del loro numero, saturazione dei canili ed eccesso di cani liberi sul territorio, ne consegue un aumento dei costi di controllo e di mantenimento in canile che non possono più essere sostenuti. La mancanza di risorse porterà inevitabilmente alla mancanza di attività sul territorio e conseguente naturale aumento del numero dei randagi.
2.3 Situazioni di emergenza:
Talvolta il “Fenomeno Randagismo” mantenuto sotto controllo in un’area grazie ad un corretto rapporto uomo-animale, può diventare fuori controllo improvvisamente a causa di catastrofi ambientali come terremoti, inondazioni, eruzioni vulcaniche od uragani, disastri nucleari, oppure in zone di guerra, andando a complicare una situazione già difficile.
Gli animali possono essere già randagi al momento dell’avvento calamitoso, o diventarlo perché hanno perso i contatti con i proprietari, che possono essere feriti o deceduti.
I cani fuori controllo possono potenzialmente attaccare l’uomo o le salme, gli animali zootecnici, saccheggiare i depositi di viveri, trasmettere malattie alla fauna ed all’uomo (14).
In tali situazioni si rende necessario intervenire per contenere la circolazione dei cani vaganti e tutelare la salute pubblica, ma anche prestare soccorso ad animali feriti, smarriti, cercare di ricongiungerli con i proprietari ed in caso di necessità fornire rifugio, cibo e cure.
Sono state pubblicate nel 1998 ed aggiornate nel 2002 le “Linee guida per l’azione veterinaria nelle emergenze non epidemiche” dal Dipartimento della protezione civile, con la collaborazione del Ministero della Sanità, del Centro OMS/FAO per la Sanità pubblica veterinaria, di esperti di Istituti Zooprofilattici
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ed AA.SS.LL; in queste linee guida sono evidenziati i criteri di massima per la redazione di un piano di emergenza e la dotazione consigliata alle “squadre
veterinarie” che dovranno intervenire. Le squadre veterinarie coordinate da un
veterinario ASL, possono essere formate da veterinari del Servizio Sanitario Nazionale, veterinari liberi professionisti, soggetti appositamente istruiti di altre strutture operative, quali vigili del fuoco, corpo forestale dello stato, volontari.
Le squadre veterinarie effettueranno i seguenti interventi: • Soccorso, ricovero, alimentazione ed eventuale terapia;
• Eventuale eutanasia per i soggetti gravemente malati, feriti o pericolosi; • Raccolta e distruzione delle carcasse;
• Controllo del randagismo e degli animali sinantropi;
• Sorveglianza epidemiologica delle malattie animali trasmissibili, in particolare delle zoonosi;
• Sorveglianza epidemiologica dei fenomeni di tossicità e di contaminazione chimica e radioattiva;
• Controllo dei vettori di malattie trasmissibili;
• Stoccaggio e conservazione degli alimenti di origine animale; • Controllo delle mense.
Con decreto del Ministero della Salute nel 2013 è stato istituito, presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, il Centro di referenza nazionale per l’igiene urbana e le emergenze non epidemiche (IUVENE).
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CAPITOLO 3
Problematiche connesse alla Sanità Pubblica Veterinaria
Dalla presenza di cani vaganti sul territorio scaturiscono molteplici problematiche di aspetto sanitario, ecologico per quanto riguarda il patrimonio zootecnico e faunistico, economico.
Comportano una maggior contaminazione ambientale disseminando ectoparassiti, spargendo rifiuti e deiezioni (8,15,16,17) e favorendo in questo modo la diffusione di ratti e mosche.
I randagi sono difficilmente controllabili dal punto di vista sanitario e per il tipo di vita che conducono, per le possibilità di contatto che hanno con animali domestici, selvatici e con l’uomo, per gli ambienti che possono frequentare, quali discariche, dintorni dei macelli o allevamenti, possono favorire il passaggio di agenti patogeni tra ecosistemi diversi.
Aumentano il rischio di diffusione di zoonosi ovvero malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo, talvolta per contatto diretto, più frequentemente veicolate da alimenti ed acqua contaminati o da vettori (17); le zoonosi di maggior interesse che possono manifestarsi in vari contesti sono la Rabbia causata da virus, la Leptospirosi, la Salmonellosi, la Tubercolosi e la Pasteurellosi di origine batterica, la Leishmaniosi, la Toxoplasmosi e la Giardiasi di origine protozoaria e l’Echinococcosi, l’Idatidosi e l’Ascaridiosi da endoparassiti.
La Rabbia è caratterizzata da un ciclo silvestre, il cui serbatoio è la volpe, e da un ciclo urbano, il cui serbatoio è il cane. È una malattia letale che si trasmette per contatto diretto mediante morso. La rabbia urbana è stata ormai eradicata in quasi tutti i paesi europei mediante programmi di vaccinazione di massa, lotta al randagismo e sorveglianza permanente; nei luoghi in cui ha luogo il ciclo silvestre la malattia ha andamento sporadico nei carnivori domestici, che devono essere comunque tenuti in considerazione nelle attività di controllo. La WHO sostiene l’importanza del controllo della popolazione canina per prevenire i casi di rabbia umana; ci sono circa 60.000 casi di rabbia umana all’anno, il 99% in Asia ed Africa (18).
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L’echinococcosi in Italia è la zoonosi più importante legata al cane, specialmente nelle regioni legate alla pastorizia degli ovini come Sardegna, Lazio, Campania, Calabria e Basilicata. Il ruolo dei cani randagi ed inselvatichiti può essere giustificato dal loro vagare in discariche, attorno ai macelli o dagli attacchi agli erbivori domestici e selvatici.
Il ruolo del cane randagio nell’epidemiologia della Leishmaniosi è legato alla maggior esposizione ai flebotomi in mancanza di ricoveri protetti ed alle spiccate attitudini notturne rispetto ai cani di proprietà.
Possono inoltre costituire un serbatoio di infezione per il cane domestico ed il lupo; sono una popolazione recettiva e rinnovata di continuo per malattie come il Cimurro, l’Epatite infettiva, la Gastroenterite da Parvovirus.
Sono responsabili di danno al patrimonio zootecnico mediante la trasmissione di malattie al bestiame, come rabbia, echinococcosi, salmonellosi o brucellosi, ma soprattutto attraverso la predazione (17,19,20). È stato condotto un monitoraggio dal 1° marzo 2003 al 1° marzo 2005, sugli attacchi ai danni degli allevatori di pecore nell’area del Monte Amiata, al fine di distinguere le predazioni da parte di lupi e canidi domestici. Durante questo studio sono state riportate 143 aggressioni per un totale di 1.131 pecore morte.
L’attribuzione dell’attacco non è da considerarsi un dato certo, ma un’ipotesi basata sugli indizi disponibili. Negli attacchi attribuiti ai selvatici erano colpiti capi di età superiore a 3 anni e la rimanente parte del gregge non aveva riportato traumi evidenti. Gli attacchi attribuiti a canidi domestici avevano invece interessato l’intero gregge causando la morte per ferimento anche in momenti successivi all’attacco; il cane è un predatore meno abile del lupo, spesso non riesce ad infliggere un morso letale, è più rumoroso, spaventa le pecore che nella fuga si feriscono da sole, scappano dai recinti e talvolta muoiono soffocate. L’età delle prede era, in questo caso, variabile ed il bestiame restava in stato di allerta a lungo.
La maggior parte delle aggressioni è attribuibile a canidi domestici, talvolta uccisi dall’allevatore stesso, allertato dai rumori (22).
Danneggiano il patrimonio faunistico competendo dal punto di vista territoriale ed alimentare con gli altri predatori come lupi, orsi e volpi (12,21,22).
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Sono cacciatori meno abili dei predatori selvatici e prediligono prede inermi, animali deboli e cucciolate, alterando gli equilibri tra prede e predatori (13,21). Oltre a trasmettere malattie ai selvatici (21) sono anche responsabili di inquinamento genetico del lupo, animale in pericolo di estinzione, mediante ibridazione (12,22).
Il lupo italiano, per il lungo isolamento rispetto alla specie, ha sviluppato caratteri adattativi rispetto alla situazione italiana. Il cane randagio, in particolare inselvatichito, rappresenta una minaccia per l’integrità del patrimonio genetico del lupo a causa della possibilità di accoppiamento fra cani e lupi. Recentemente la Commissione Europea (Ufficio Biodiversità, Natura 2000) ha confermato che gli ibridi non sono protetti e dovrebbero essere prontamente rimossi per garantire la conservazione del lupo. Presentano caratteristiche fisiche e comportamentali intermedie tra cani e lupi, che li agevolano nella competizione per il territorio, ma li rendono potenzialmente più pericolosi per l’uomo.
Per quanto concerne la competizione alimentare e territoriale il cane è notevolmente avvantaggiato: i branchi canini contano 10-25 elementi, tutte le femmine possono accoppiarsi e produrre due cucciolate all’anno; inoltre i cani hanno minor timore dell’uomo e possono avvicinarsi di più ai centri abitati. I branchi di lupi contano 2-8 individui e solo il maschio alfa si accoppia con la femmina alfa producendo una sola cucciolata all’anno. Mentre il sostegno numerico nel branco dei lupi deriva unicamente dalle capacità riproduttive e di sopravvivenza, i branchi di randagi hanno continui nuovi soggetti che derivano dall’abbandono o dalla mancata custodia di altri cani (23).
La presenza di randagi sul territorio comporta danni anche di carattere economico per danno diretto alle cose e per la spesa che le amministrazioni devono sostenere per cercare di limitare il problema e per risarcire gli allevatori dei danni arrecati al bestiame come previsto dalla legge.
I randagi costituiscono un potenziale danno per la salute pubblica in quanto responsabili di attacchi diretti alle persone, prevalentemente da parte di cani inselvatichiti, o di incidenti stradali (8). In Italia è stata condotta un’indagine epidemiologica retrospettiva sulle aggressioni ad esito letale tra il 1984 ed il 2009; si trattava prevalentemente di incidenti in ambito familiare con cani di
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proprietà nel 62% dei casi della vittima, nel 38% di altro proprietario, per un totale di 29 aggressioni con 32 vittime (24). Anche se le aggressioni letali da parte di randagi non sono frequenti, possono verificarsi incidenti minori come le morsicature, da cui derivano:
• Traumi fisici e/o psichici • Trasmissione di zoonosi
• Infezioni secondarie a contaminazione della ferita.
La maggior parte degli incidenti avviene in ambito urbano e coinvolge prevalentemente soggetti maschi, interi, di età superiore all’anno, con maggior frequenza nei mesi estivi.
Le lesioni più frequenti sono a carico dello scheletro appendicolare, del bacino, della cute, del torace e dello splacnocranio (25).
La presenza di cani vaganti influisce sull’immagine negativa che i turisti si fanno del paese poiché dà un senso di arretratezza. “La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali” M.Gandhi.
La condizione di randagio, infine, è un problema per il cane stesso poiché non significa libertà, ma si associa a condizioni di vita difficili, fame, sete, malattie, infestazioni, mancanza di riparo dalle condizioni atmosferiche, maggiore esposizione ad incidenti, mortalità elevata, predazione tra conspecifici e, come purtroppo riportato dalla cronaca, atti di vero e proprio sadismo ad opera di giovani. Una nuova forma di bullismo spesso ad uso del social.
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CAPITOLO 4
Strategie di Controllo nel Mondo
L’OIE nel 2009 ha redatto delle linee guida per il controllo della popolazione canina randagia (7), in cui suggerisce un elenco di misure da implementare in funzione del contesto nazionale e da applicare in combinazione, non come unica strategia. In primo luogo suggerisce di attuare programmi di educazione al possesso responsabile per i cittadini, in associazione con una legislazione chiara ed efficacemente applicata e rispettata. L’obbligo di registrazione ed identificazione degli animali da parte dei proprietari enfatizza il possesso responsabile, agevola programmi sanitari, favorisce la restituzione dei cani smarriti e semplifica il controllo dei movimenti nazionali ed internazionali. Un lavoro di responsabilizzazione dovrebbe essere fatto anche per le associazioni di allevatori (che dovrebbero essere sensibilizzati nel gestire corrette associazioni uomo animale). Si dovrebbe investire nel controllo della riproduzione per prevenire le cucciolate indesiderate fornendo agevolazioni ai cittadini, coinvolgendo attivamente veterinari pubblici e privati. Istituire un servizio di cattura efficiente e rispettoso del benessere animale, agevolare la restituzione ai proprietari, l’adozione dei cani senza padrone e garantire strutture di accoglienza che rispettino standard adeguati a garantire il benessere degli animali ospitati; se la legislazione nazionale permette la reimmissione sul territorio dei cani vaganti senza padrone catturati, provvedere prima alla sterilizzazione. Ove praticata l’eutanasia, dovrebbe essere eseguita da medici veterinari, in maniera rapida, umana e minimizzando lo stress per l’animale. Attuare interventi ambientali per influenzare la holding capacity, cioè l’insieme di fattori che determinano il numero massimo di randagi che può contenere una precisa area. Ovviamente non è previsto ignorare il problema come soluzione al randagismo.
Ad oggi non esiste alcun Regolamento e/o Direttiva comunitaria che fissi criteri uniformi all’interno dell’Unione europea (26) (Fig 1).
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Fig 1; Fonte: Elaborazione Legambiente su dati EU Dog & Cat Alliance e legislazione dei rispettivi Paesi. Legenda: X = cani; X = gatti; X* = cani non padronali; X* = gatti colonie feline;
X** = gatti area urbana; Np = Non previsto nella legislazione consultata; Dnd = Dato non disponibile.
Una collaborazione tra la “World Society for the Protection of Animals” e la “Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals International” nel 2007 ha fornito un report che raccoglie le strategie di controllo della popolazione canina (e felina) in 34 paesi europei, secondo il quale l’elemento più efficace per un controllo di successo del randagismo canino è l’identificazione e registrazione rigorosa dei singoli animali (27). In questo gruppo di studio l’87%
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dei Paesi è dotato di una legislazione nazionale che riguarda il benessere e la protezione animale e vieta atti di crudeltà contro gli animali; di questi il 70% vieta l’abbandono ma solo nel 42% dei casi è prevista una legge specifica per il controllo dei cani. L’identificazione è obbligatoria nel 70% dei paesi ma con scarsa effettiva applicazione; il metodo identificativo più popolare è il Microchip, associato a targhetta o collare. In venti paesi viene effettuata la cattura dei cani vaganti, la cui uccisione è vietata in Italia, Germania e Grecia; quest’ultima provvede alla sterilizzazione e reimmissione sul territorio (in alcune regioni italiane esiste il cane di quartiere), gli altri paesi custodiscono gli animali in canili fino alla loro morte o adozione. Nei paesi in cui è consentita l’eutanasia dei cani vaganti catturati, molti prevedono un periodo di permanenza in canile che varia da 3 a 60 giorni, lasso di tempo in cui possono essere restituiti ai proprietari se reclamati, o adottati, al termine del quale verranno soppressi; alcuni effettuano la soppressione immediatamente dopo la cattura.
Dall’analisi dei dati sopra riportati si evince che per affrontare il problema della costante crescita demografica della popolazione di cani randagi si possono adottare diverse strategie; ognuna presenta pro e contro e costi più o meno elevati nel breve o nel lungo termine. In base a questa ricerca sulle strategie applicate nel mondo e identificate nelle linee guida OIE, le possibili azioni si possono così schematizzare:
• Ignorare il problema
• Influenzare la “holding capacity” • Uccidere i randagi
• Catturare i randagi e mantenerli in canile • Registrazione ed identificazione
• Programmi di sterilizzazione
1. Cattura, sterilizzazione e reimmissione sul territorio dei randagi 2. Sterilizzazione dei cani padronali
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Analizziamo i singoli punti evidenziandone criticità e benefici.
4.1 Ignorare il problema
In alcune realtà, complice la condizione socio-economica di povertà del paese, le Autorità scelgono di ignorare il problema dei randagi, anche in presenza di una legge. Questa situazione si verifica in paesi terzi in cui le risorse economiche e gestionali sono estremamente carenti.
Tuttavia in questi casi non sempre si verifica un aumento esponenziale della popolazione canina, in alcune situazioni infatti la mancanza di controllo porta a una saturazione del sistema. Questo aspetto è dovuto alla presenza di fattori “limitanti”, quali la possibilità di accedere a cibo, acqua e rifugio; si parla quindi di holding capacity o capacità di portata. Il numero di individui resterà costante nel tempo ma i componenti non saranno sempre gli stessi: i cani morti naturalmente o abbattuti, adottati o ricoverati in canile, saranno sostituiti da nuovi abbandonati o nuove cucciolate. Se la holding capacity non aumenta e non escono soggetti dal gruppo, le nuove cucciolate non potranno restare: molti moriranno per scarsità di risorse, per malattie, per competizione con gli altri cani (alcuni dei quali li prederanno per fame), mentre i sopravvissuti, una volta indipendenti, cambieranno zona. Se la holding capacity resta costante ma si sottraggono dei soggetti dal gruppo, si liberano dei posti che potranno essere occupati da nuovi membri. La popolazione tenderà sempre a quel massimo che corrisponde alla capacità di portata dell’area.
Direttamente questa strategia non ha costi, né di certo benefici, ma il costo sociale è elevato: aumenteranno i rischi sanitari, gli incidenti, gli attacchi all’uomo ed i danni all’ecosistema.
4.2
Influenzare l’Holding Capacity
L’holding capacity può essere influenzata agendo sul fattore limitante che è il cibo. Gli altri fattori invece non sono influenzabili: la disponibilità di acqua è collegata alle condizioni climatiche e ambientali del territorio; un rifugio potrà essere sempre disponibile per la presenza di boschi, edifici abbandonati, o altri rifugi improvvisati.
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Il cibo risulta quindi l’unico parametro influenzabile in maniera significativa, per esempio gestendo adeguatamente la spazzatura con un ritiro efficiente, sostituendo le discariche a cielo aperto con altre ben delimitate, utilizzando contenitori chiudibili ed educando i cittadini a una responsabile gestione dei rifiuti. Senza queste accortezze gli animali si avvicineranno ai centri urbani in cerca di cibo e troveranno persone di buon cuore che vedendoli sofferenti li nutriranno a spese loro, creando un circolo vizioso.
Questa strategia, che ha costi elevati nell’immediato ma che diminuiscono nel lungo periodo, ha benefici alti a lungo termine ma risulta di difficile applicazione ed è valida solo per le aree urbane; nelle campagne i randagi se privati delle fonti più facili di cibo, si rivolgeranno alla fauna selvatica e zootecnica, rendendo vana la spesa iniziale ed aumentando i costi sociali (28).
4.3 Uccidere i randagi
Si tratta di una strategia che contrasta con aspetti che riguardano il benessere animale e in Italia con le disposizioni della legge quadro 281/91. È un intervento messo in pratica in molti paesi, specialmente nel Mediterraneo e nel Medio-Oriente, ma che risulta efficace solo se affiancato da altri sistemi di controllo (7).
Abbiamo detto che la densità di una popolazione tende alla capacità massima dell’area; con una drastica riduzione della popolazione mediante cattura ed eutanasia dei soggetti che ne fanno parte, si assisterà ad un incremento della natalità e della sopravvivenza dei soggetti restanti per una minor competizione per l’accesso alle risorse.
Si tratta di una pratica inutile, in aree densamente popolate, contraria ad aspetti etici e molto dispendiosa nell’immediato con costi elevati per la cattura, l’eutanasia e lo smaltimento delle carcasse, costi nulli per la costruzione di nuovi canili ed il mantenimento dei cani, benefici nulli nel lungo termine: se non si riesce a catturare tutti i cani vaganti nell’arco di 2 mesi, durata della gravidanza di una cagna, gli animali rimanenti sul territorio si riprodurranno e porteranno nuovamente la popolazione vicino alla holding capacity.
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Nel 2011 Carmen Arsene, vicepresidente della FNPA (National Federation of Animal Protection) ha pubblicato un rapporto di denuncia riguardo la gestione del randagismo in Romania; in diverse aree di questo paese sono state messe in atto le strategie “Catch and Kill” e“Neuter and Return” (affronteremo in seguito questa seconda strategia). Nel documento riferisce di un programma attuato nella capitale, Bucarest, dal 2001 al 2007, anni in cui è stata attuata la politica Catch and Kill con una spesa totale di 9 milioni di euro. Nel 2001 i randagi nella città erano 70000 e nonostante l’uccisione di 144339 cani al costo di 62€/cane, nel 2011 i randagi erano sempre 40000. I motivi del fallimento di questa strategia sono molteplici: per cominciare mira all’effetto e non alla causa, non previene l’abbandono, non comprende programmi di educazione e non incontra il favore dei cittadini che quindi non collaborano e talvolta ostacolano la cattura degli animali. I cani si riproducono ad una velocità maggiore di quella delle autorità nel catturare i randagi e la velocità ed efficacia di questa riproduzione aumenta in maniera proporzionale con la velocità di cattura tendendo sempre al massimo della holding capacity (29).
4.4 Catturare i randagi e mantenerli in canile
Esattamente come nel caso dell’abbattimento dei randagi, la cattura ed il trasferimento in canili in attesa di adozione, si dimostra inefficace se non si riesce a catturare tutti i cani vaganti entro 2 mesi; come nel caso precedente i cani rimasti liberi tenderanno a riportare la popolazione al suo massimo.
I costi si mantengono elevati costantemente: si rende necessario costruire nuovi canili e poi provvedere alla manutenzione, è necessario un servizio di accalappiacani, più le spese di mantenimento dei cani in canile per una media di 10 anni ciascuno: si stima che in Italia si concedano appalti a 2-8€/cane/giorno, ovvero 1000-3000€/cane/anno; gli appalti sono anche più onerosi se affidati ad associazioni di volontariato: 7000€/cane/anno (11).
Se non si incentivano le adozioni il canile purtroppo è a vita per la maggior parte dei cani che vi entrano, il numero dei randagi resterà costantemente alto, quindi i costi economici e sociali restano costantemente alti ed i benefici nulli.
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Roberto Marchesini (30) afferma che secondo questa tipo di gestione, il canile è solo una “discarica di cani”, non fa il loro interesse, non previene l’abbandono, è dispendioso ed arriva rapidamente a saturazione, creando un habitat non ottimale per i suoi ospiti (per legge i canili rifugio italiani possono ospitare al massimo 200 animali); inoltre i cani rimasti liberi continueranno a riprodursi ristabilendo la popolazione iniziale. Marchesini sottolinea l’importanza di superare la visione del “canile come rifugio con obiettivo l’accoglienza e la protezione del cane” in favore del “canile come centro deputato al reintegro del cane nella società”.
4.5 Identificazione e registrazione
Gli animali correttamente identificati e registrati mediante microchip ed iscrizione all’Anagrafe canina, non possono essere abbandonati ed in caso di smarrimento possono essere restituiti al legittimo proprietario, previo pagamento di una multa per mancata custodia, senza andare ad aumentare il numero dei cani in canile e responsabilizzando i proprietari.
Nell’ambito del controllo del randagismo, su tutti i territori dell’Asl Toscana Centro (Firenze, Pistoia, Prato, Empoli) nel 2015 sono stati recuperati 2360 cani (abbandonati o smarriti). Il 70% di questi è stato restituito ai proprietari grazie all’anagrafe. Se a questa percentuale si aggiunge anche quella relativa ai cani adottati da nuovi proprietari in canile, il buon esito di tale attività arriva fino al 96% (31).
L’identificazione e registrazione, obbligatoria nel 70% dei paesi europei (27) sembra essere il metodo più efficace di controllo del randagismo dove attuato efficientemente. È inoltre possibile monitorare lo stato sanitario dei randagi identificati sul territorio. Tuttavia questo sistema non previene l’abbandono dei cuccioli non ancora registrati, né impedisce che gli animali indesiderati vengano portati in canile.
Se affiancato da un’efficace sistema di vigilanza da parte delle Autorità, delle associazioni e dei veterinari liberi professionisti, è un metodo valido, con costi elevati in un primo periodo necessario all’istituzione dell’anagrafe ma che si riducono e mantengono bassi nel tempo: i benefici sono alti e costanti poiché
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l’abbandono di cani di proprietà, la principale fonte di alimentazione del randagismo, viene meno.
4.6 Programmi di sterilizzazione
4.6.1 Cattura, sterilizzazione e reimmissione sul territorio
dei randagi
I sistemi di cattura, sterilizzazione e reimmissione sul territorio si dimostrano validi in aree ristrette, ove le spese per intervenire sulla totalità dei soggetti in un’unica soluzione possono essere sostenibili. In questo caso i costi sono elevati in principio ma risolvono il problema in maniera definitiva poiché se in una popolazione sterile dei soggetti escono dal gruppo per morte o adozione, non ci saranno nuovi cani a sostituirli. Deve essere effettuato con costanza per periodi sufficienti. In questo caso è un efficace strumento di gestione del randagismo.
Se parliamo di aree più vaste, con un maggior numero di soggetti, o con un’applicazione non costante, si ottiene solo un’iniziale riduzione della popolazione che verrà compensata dai randagi su cui non si è intervenuti; è quindi un trattamento sintomatico, dispendioso e non risolutivo.
Lo studio pubblicato da Carmen Arsene sulla gestione del randagismo in Romania (26), oltre alla fallimentare strategia Catch and Kill, prende in esame due casi in cui è stata effettuata con successo la neutralizzazione di massa con la strategia che prende il nome di Neuter and Return: le città Oradea e Lugoj; in queste città sono stati attuati programmi di 4-5 anni di cattura dei cani vaganti, neutralizzazione sessuale e reimmissione sul territorio di cani sani, docili e vaccinati; hanno riscontrato la collaborazione cittadina ed affrontato il problema randagismo alla fonte. Nel 2006 i cani vaganti ad Oradea erano 4000 e sono passati nel 2011 a 270, con una spesa di 14€/cane; nel 2008 i cani vaganti a Lugoj erano 2500 e sono diminuiti fino a 235 nel 2011, con una spesa di 12€/cane.
Uno studio condotto a Madras (32), India, riferisce che con la strategia
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come i casi di morsicatura da parte dei randagi alle persone e di rabbia umana; si è passati dall’uccisione di un cane al giorno nel 1860 a 135 cani al giorno nel 1995, con oltre 25 milioni di cani uccisi, senza risolvere il problema del randagismo e della Rabbia. Dal 1995 è stato attivato l’ABC Program (Animal Birth Control) che prevede la strategia Neuter and
Release; gli animali catturati vengono abbattuti se malati, sterilizzati e
vaccinati se sani, identificati, reimmessi sul territorio; da allora fino al 2002 la popolazione randagia canina è diminuita del 28%, le morsicature sono passate da 170 a 25 l’anno ed i casi di Rabbia umana da 120 nel 1996 a 5 nel 2000.
4.6.2 Sterilizzazione dei cani padronali
Sembra esserci una connessione tra il numero di cani padronali sterilizzati ed il numero di cani randagi, con il numero più basso di sterilizzati nelle zone a maggior incidenza randagismo (33,34). Dal momento che la principale fonte che alimenta il randagismo è rappresentata dall’abbandono delle cucciolate indesiderate provenienti dalla riproduzione non programmata dei cani padronali, poter ottenere la neutralizzazione sessuale del 75% degli animali di proprietà sul territorio in un arco di tempo minore possibile, potrebbe essere una delle strategie più efficaci (27) I costi sarebbero elevati in un primo momento ma si ridurrebbero in seguito con benefici elevati.
Il numero di randagi non verrebbe incrementato da nuovi abbandoni ed i cani nei canili avrebbero più possibilità di essere adottati. Avrebbe dunque l’effetto di ridurre il numero di cani sulle strade ed il numero degli abbandoni, servirebbe a “prevenire e trattare” il problema del randagismo.
È un sistema che può funzionare solo in aree in cui i cani non vivono permanentemente in strada in grandi numeri.
Questa strategia sarebbe ancor più efficace se associata ad un sistema di identificazione e registrazione dei cani padronali ed un efficiente sistema di sorveglianza. Talvolta però è necessario vincere alcune resistenze dei proprietari che ignorano i benefici di questo intervento
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Per incentivare i proprietari a ricorrere alla sterilizzazione dei cani, oltre ad informarli adeguatamente sui benefici ed i rischi dell’intervento, si potrebbe offrire la sterilizzazione con particolari convenzioni, ovviamente favorendo anche i veterinari liberi professionisti che decideranno di partecipare, anche mediante rimborsi; in alternativa si potrebbe proporre un “contributo di solidarietà” da cui i proprietari di cani sterilizzati sarebbero esonerati; i proprietari che scelgono di non sterilizzare sarebbero soggetti ad un versamento annuale che li renda responsabili del potenziale riproduttivo degli animali, versamento cui non sarebbero più soggetti qualora decidessero di far neutralizzare il cane. Oltre a limitare i potenziali riproduttori, coinvolgerebbe i Comuni nel controllo degli animali sul territorio. Nel Luglio 1994 nel New Hampshire, USA, è stato intrapreso un progetto di sterilizzazione a bassissimo costo con lo scopo di ridurre il numero di eutanasie effettuate, gli ingressi nei canili ed aumentare le adozioni; prima del programma in media venivano abbattuti 9 animali ogni mille abitanti, circa 9000-12000 all’anno tra il 1986 e il 1994. Dal 1994 è stata offerta ai proprietari la possibilità di neutralizzare i propri animali al prezzo di 10$ ed i cani adottati dai rifugi a 25$; ai veterinari che partecipavano veniva rimborsato l’80% dell’onorario. Dal 1995 al 2000 il numero di ingressi in canile è diminuito del 34% divenendo il più basso degli USA, il tasso di eutanasie da 9 a 2,4 ogni mille abitanti per anno, ovvero 8000 animali in meno all’anno, 20 in meno al giorno (35) (Fig 2).
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I proprietari sembrano più inclini a neutralizzare sessualmente i loro cani se li considerano animali da compagnia e non da lavoro; inoltre un’accurata informazione sui benefici ed i rischi della sterilizzazione delle femmine sembra avere un impatto positivo sulla decisione di sterilizzare gli animali (36,37). Perrin (38) riferisce che I proprietari di cani che vivono in appartamento ritengono la sterilizzazione un atto non necessario. Le ragioni fornite dai proprietari per non sterilizzare sono varie: ritenere la sterilizzazione non necessaria, e voler far riprodurre il proprio animale (39, ritenere che cane e gatti abbiano il diritto di restare interi e riprodursi (40). Anche il costo dell’intervento rappresenta una barriera (37,41).
Alcuni proprietari, specialmente uomini, temono che la neutralizzazione possa alterare la personalità e la mascolinità dei loro animali o che possa portarli ad ingrassare (40,41). Uno studio condotto da McKay dimostra che le donne sembrano più inclini a sterilizzare i loro animali (90,2% delle intervistate) rispetto agli uomini (80%); proprietari con un’istruzione post-scolastica hanno una maggior percentuale di cani sterilizzati rispetto ai proprietari che non hanno proseguito gli studi (40).
4.7 Programmi educativi
Tutti i cittadini, proprietari di animali e non, dovrebbero essere sottoposti a programmi educativi che diffondano la cultura del rispetto degli animali. Oltre alle trasmissioni televisive, le campagne pubblicitarie, i poster ed i volantini, il metodo più efficace è educare i bambini nelle scuole, coinvolgendo di conseguenza i genitori.
I comuni potrebbero offrire dei percorsi formativi che portano alla detenzione responsabile da parte dei proprietari, i patentini, o dei percorsi educativi per i cani ed i loro padroni; questi corsi, oltre a migliorare la percezione dei cani in città, ridurrebbero il numero dei soggetti portati in canile da proprietari non più in grado di gestirli. Uno studio spagnolo del 2015 ha rilevato che non sono più i cuccioli appena svezzati ad essere lasciati in canile, ma prevalentemente i giovani adulti meticci e fra le motivazioni più frequentemente riferite c’erano i
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problemi economici, la fine della stagione di caccia, cucciolate inattese e problemi comportamentali dell’animale (42).
All’interno dei canili potrebbe essere presente un Veterinario Comportamentalista, che possa rieducare i cani problematici e riabituarli al contatto con le persone; dovrebbe indirizzare il potenziale adottante verso il cane più adatto per le sue caratteristiche; infine il canile potrebbe svolgere la funzione di “consultorio” per i proprietari che hanno cani con problemi comportamentali. Questi servizi, seppur costosi, ridurrebbero il numero di cani abbandonati agendo sulla cultura dei cittadini, ridurrebbero il numero di gravidanze indesiderate per i proprietari educati ad un possesso responsabile, minimizzerebbero il numero di cani adottati dal canile da persone che spinte dal desiderio di fare del bene non si sono rese conto della responsabilità che comporta prendere un cane che ha passato un periodo significativo della sua vita in canile.
Un esempio di programma educativo che coinvolge i bambini nelle scuole è quello che è stato attuato con successo in Missouri; un’associazione animalista ha dato vita ad un progetto interessante dedicato alla cura degli animali nei canili con l’aiuto dei bambini; questi passano del tempo nei canili tranquillizzando gli animali abbandonati e maltrattati, riabituandoli al contatto umano, leggendo loro le loro fiabe preferite attraverso il vetro e fornendo così compagnia senza interazione fisica diretta (Fig 3). Sono state coinvolte le scuole e i centri comunitari locali. I bambini vengono prima istruiti attraverso una sessione di allenamento con i genitori ed alcuni esperti (43).
Secondo l’associazione Humane Society of Missouri il progetto ha l’effetto di “incoraggiare gli animali ad avvicinarsi al vetro della gabbia ogni volta che un visitatore passa vicino. Questo è importante perché gli animali che si avvicinano alla parte frontale della gabbia per salutare i potenziali padroni vengono adottati molto più rapidamente rispetto a quelli che non lo fanno”.
29 Fig 3 Bambini che leggono le fiabe ai cani in canile
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CAPITOLO 5
LEGISLAZIONE
5.1 Normativa Europea
Nel 1978 a Parigi venne proposta la “Dichiarazione Universale dei Diritti degli
animali” (Allegato I), presentata da un’associazione all’UNESCO il 15 Ottobre,
priva di effetti legali e dal valore puramente simbolico, con lo scopo di fornire un codice etico per sancire i diritti che spettano ad ogni animale.
La Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia (Allegato II), venne approvata dal Consiglio europeo a Strasburgo il 13
Novembre 1987. Il principale intento era individuare uno standard comune tra tutti i paesi europei e stabilire criteri generali relativi al benessere ad alla protezione degli animali da affezione; comprendeva disposizioni per l’allevamento, il mantenimento ed agli articoli 12 e 13 del capitolo III, le misure straordinarie per gli animali vaganti.
Capitolo III -Misure complementari per gli animali randagi
Articolo 12 -Riduzione del numero di animali randagi
“Quando una Parte ritiene che il numero di animali randagi rappresenta un problema per detta Parte, essa deve adottare le misure legislative e/o amministrative necessarie a ridurre tale numero con metodi che non causino dolori, sofferenze o angosce che potrebbero essere evitate.
a) Tali misure debbono comportare che:
i) se questi animali debbono essere catturati, ciò sia fatto con il minimo di sofferenze fisiche e morali tenendo conto della natura dell’animale;
ii) nel caso che gli animali catturati siano tenuti o uccisi, ciò sia fatto in conformità con i principi stabiliti dalla presente Convenzione.
b) Le Parti si impegnano a prendere in considerazione:
i) l’identificazione permanente di cani e gatti con mezzi adeguati che causino solo dolori, sofferenze o angosce di poco conto o passeggere, come il
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tatuaggio abbinato alla registrazione del numero e dei nominativi ed indirizzi dei proprietari;
ii) di ridurre la riproduzione non pianificata dei cani e dei gatti col promuovere la loro sterilizzazione;
iii) di incoraggiare le persone che rinvengono un cane o un gatto randagio, a segnalarlo all’Autorità competente.”
Articolo 13 –Eccezioni per quanto concerne la cattura, il mantenimento e l’uccisione
“Le eccezioni ai principi stabiliti nella presente Convenzione relative alla cattura, al mantenimento ed all’uccisione degli animali randagi saranno accolte solo se sono inevitabili nell’ambito dei programmi governativi di controllo delle malattie.”
La “Convenzione di Strasburgo” fu recepita in Italia con la legge n201 del
4/11/2010, legge contro il traffico illecito di animali.
Nel 2007 venne firmato il “trattato di Lisbona”, il 13 dicembre; modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il trattato recita che “l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente
conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti” ma ancora una volta il significato è solo simbolico poiché non fornisce
una base per azioni legali.
Non esiste una normativa specifica per il controllo del randagismo canino a livello comunitario, controllo che pertanto è attuato in maniera diversa in ogni Paese. In mancanza di normativa, l’OIE ha redatto nel 2009 e poi nel 2013 le “Linee guida per il controllo del randagismo” (7).
Tuttavia esiste una normativa che regola la movimentazione non commerciale degli animali da compagnia tra paesi intracomunitari e con paesi terzi, entrata in vigore dal 29 dicembre 2014; la nuova normativa sanitaria comprende il Regolamento UE 576/2013 del 12 giugno 2013 sui movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia ed il Regolamento UE
577/2013 relativo ai modelli dei documenti di identificazione per i movimenti a
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territori e paesi terzi, e ai requisiti relativi al formato, all'aspetto e alle lingue delle dichiarazioni attestanti il rispetto di determinate condizioni di cui al regolamento (UE) n. 576/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio. Tali norme sono essenziali per proteggere la salute pubblica e animale con particolare attenzione alla prevenzione della rabbia, contribuiscono a contrastare i traffici illegali di animali da compagnia senza porre ostacoli non giustificati agli spostamenti all’estero con essi. Inoltre la Direttiva 2013/31/UE stabilisce le norme sanitarie che disciplinano gli scambi e le importazioni nell’Unione di cani, gatti e furetti.
La movimentazione dei cani, gatti e furetti al seguito dei viaggiatori dall’Italia verso gli altri Paesi dell’Unione europea è possibile alle seguenti condizioni:
• Cani, gatti e furetti devono essere identificati da un microchip (trasponditore) o tatuaggio chiaramente leggibile, se apposto prima del 3 luglio 2011
• Cani gatti e furetti devono essere accompagnati da un Passaporto
europeo:
1. Conforme al modello previsto dalla Parte1 dell’allegato III del regolamento di esecuzione UE 577/2013, di forma tipografica standard, redatto in almeno una delle lingue ufficiali dello Stato membro di rilascio e in inglese (sostituisce tutte le altre certificazioni per gli spostamenti all'interno dei Paesi della UE). 2. Compilato e emesso dal Servizio Veterinario dell’Azienda sanitaria
locale su richiesta del proprietario; il rilascio è subordinato all’iscrizione all’anagrafe. Deve riportare il codice alfanumerico del microchip (trasponditore) o del tatuaggio e attestare l’esecuzione della vaccinazione contro la rabbia e, se del caso, di una nuova vaccinazione antirabbica in corso di validità. Deve contenere i dati anagrafici, l’elenco di tutte le vaccinazioni, le visite mediche ed eventualmente i trattamenti contro l'echinococco multilocularis. 3. Deve riportare una dichiarazione scritta del proprietario nel caso in
cui una persona autorizzata effettui il movimento non commerciale dell’animale su delega scritta del proprietario.
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• Cani, gatti e furetti devono essere vaccinati contro la rabbia da un veterinario, ai sensi dell’Allegato III del regolamento UE 576/2013:
1. l’animale deve avere almeno 12 settimane al momento della somministrazione del vaccino.
2. la somministrazione del vaccino non deve essere precedente alla data di identificazione o di lettura del microchip.
3. il periodo di validità della vaccinazione decorre dal 21o giorno dal completamento del protocollo vaccinale della prima vaccinazione e ogni successiva vaccinazione deve essere eseguita durante il periodo di validità della precedente.
• Per i viaggi verso la Finlandia, il Regno Unito, l’Irlanda, Malta e la Norvegia è necessario il trattamento dei cani contro l’echinococco, secondo le modalità e i tempi descritti dal Regolamento UE 1152/2011:
1. Il trattamento deve essere somministrato da un veterinario in un lasso di tempo compreso tra le 120 ore e le 24 ore prima dell’arrivo previsto.
2. il trattamento deve essere certificato dal veterinario che lo somministra nell’apposita sezione del passaporto del cane.
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5.2 Normativa Italiana
Fino al 1973 era presente sul territorio italiano il virus della Rabbia, di cui il cane costituiva un importante ospite ed il principale responsabile di casi di infezione nell'uomo. In quel contesto il D.P.R. n° 320 del 1954 prevedeva che i cani vaganti trovati senza museruola venissero catturati e sequestrati dal servizio di accalappiacani, detenuti nei canili municipali per un periodo massimo di 3 giorni, al termine dei quali, se non reclamati, dovevano essere abbattuti mediante eutanasia. I canili municipali erano strutture spesso precarie, in una certa misura appartate dalle città, costruite con minimi criteri di tutela del benessere animale.
La strategia di controllo della popolazione canina randagia mediante eutanasia è proseguita in maniera meno rigida a partire dall'anno successivo alla eradicazione della Rabbia, avvenuta nel 1973, fino all’entrata in vigore dell’attuale L.N. 281/91, Legge Quadro in materia di tutela degli animali da
affezione e lotta al randagismo che al contrario adotta una decisa linea politica
“No-Kill” su scala nazionale; questa stabilisce che “i cani vaganti o comunque
ricoverati presso le strutture (canili), non possono essere soppressi; possono essere soppressi, in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità”.
L’Italia con la legge 281/91 è il primo Paese al mondo a vietare la soppressione dei randagi (con alcune eccezioni) dichiarando così il diritto alla vita degli animali da affezione, riconoscendone la natura di esseri senzienti e gettando le basi per una moderna legislazione orientata al rispetto degli animali. (Allegato III)
Secondo un’indagine di Zoomark del 2015 presentata all’VIII edizione del Rapporto Assalco, intitolata “Un animale da compagnia per vivere meglio”, gli italiani sono un popolo pet-friendly; gli animali da compagnia nelle famiglie italiane sarebbero circa 60 milioni di cui 14 milioni di cani e gatti, con il 48,2% di cani e 51,8% di gatti, e 46 milioni tra uccelli, pesci e piccoli mammiferi. La maggior parte dei proprietari dichiara di non poter più fare a meno di un animale da compagnia in famiglia ed una rilevante porzione della popolazione,
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proprietari e non, ritiene che questi animali abbiano effetti positivi sulla salute psicofisica delle persone (fig 4).
Fig.4 Rapporto Assalco, intitolata “Un animale da compagnia per vivere meglio”
Appare dunque naturale che gli italiani vogliano tutelare il benessere degli animali da compagnia, che abbiano una famiglia oppure no: Articolo 1- Principi Generali: “Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente.” Tuttavia la legge non fornisce una definizione chiara di animali da affezione.
Nell’Articolo 2 si afferma che il controllo delle popolazioni canina e felina deve avvenire mediante limitazione delle nascite, ma solo per i gatti che vivono in libertà è prevista la sterilizzazione a spese dell’autorità sanitaria competente. I cani vaganti ritrovati, catturati e ricoverati presso i canili sanitari non possono essere destinati alla sperimentazione e non possono essere soppressi se non gravemente malati ed incurabili, o di comprovata pericolosità ed anche in quel caso, solo ad opera di medici veterinari in modo esclusivamente eutanasico. I cani provvisti di tatuaggio, sostituito dal microchip in maniera definitiva nel
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2005, devono essere restituiti ai proprietari, quelli non tatuati devono essere identificati ed ospitati fino a massimo 60 giorni nei canili sanitari, al termine dei quali, se non reclamati saranno trasferiti nei canili rifugio fino all’adozione o alla loro morte.
La legge prevede dunque due tipi distinti di canile, quello sanitario e quello
rifugio; il canile sanitario ha come obiettivo la tutela della salute animale ed
umana e prevede una custodia temporanea, mentre il canile rifugio mira alla tutela degli animali e prevede una custodia protratta nel tempo, anche per tutta la vita dell’animale; è su quest’ultimo punto che Marchesini insiste quando afferma che per evitare che i cani passino tutta la loro vita in canile si dovrebbe investire per trasformare il canile rifugio da un centro di accoglienza ad un centro di reintegro del cane nella società (30).
Compiti del canile sanitario sono la verifica dell’identificazione del cane ed eventuale restituzione al proprietario, identificazione di chi non possieda tatuaggio o microchip, una valutazione sanitaria ed un servizio di pronto soccorso, l’effettuazione della profilassi ed eventualmente l’adozione.
Il canile rifugio deve custodire i cani in condizioni di benessere, provvedere ad una valutazione periodica degli animali sottoponendoli a profilassi ed attività rieducative, deve promuovere le adozioni e svolgere attività di educazione sanitaria.
L’Articolo 3 delinea le competenze delle Regioni: “1. Le regioni disciplinano
con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'istituzione dell'anagrafe canina presso i comuni o le unità sanitarie locali, nonché le modalità per l'iscrizione a tale anagrafe e per il rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore.” In realtà le Regioni hanno impiegato anni, alcune
anche più di dieci, per recepire la legge quadro emanando i provvedimenti regionali di attuazione e lo hanno fatto in maniera disomogenea. La Legge prevede l’identificazione dei cani e l’istituzione dell’anagrafe canina a livello locale che in origine si avvale solo del tatuaggio e raccoglie i dati relativi all’animale ed al proprietario in modi e formati diversi per ogni Regione.