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Le origini della scrittura egiziana antica: nuove interpretazioni e prospettive.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione. 2

Capitolo 1.

1.1 Che cos’è la scrittura? Glottografia e semasiografia. 4

1.2 Dal semasiogramma al fonogramma. 13

Capitolo 2.

2.1 La tomba j e il cimitero U. 15

2.2 Le etichette. 19

2.3 Corpus dei segni presenti sulle etichette e loro lettura. 25

2.4 I segni dipinti sui vasi. 41

Capitolo 3.

3.1 Il corpus di U-j e le epoche successive. 44

Conclusioni: confronti e prospettive future. 49

Tavole. 60

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Introduzione

Questa tesi ha come oggetto la nascita della scrittura in Egitto. La scrittura geroglifica si contende con quella mesopotamica il primato di scrittura più antica della storia umana; attorno ad entrambe, tuttavia, sono nati svariati dubbi e controversie.

A prescindere dai problemi di datazione delle testimonianze, la difficoltà più grande sta senza alcun dubbio nel comprendere se si tratti, almeno all'inizio, di effettiva scrittura o, in caso contrario, di cosa si tratti. Dunque, prima di illustrare la documentazione in nostro possesso, è d'obbligo chiedersi quale sia la definizione di scrittura, come si possano definire sistemi di notazione diversi da essa e se ci sia un margine di compenetrazione tra i due gruppi.

Avendo come obiettivo una disanima delle prime forme di scrittura in Egitto, è obbligatorio partire dall'analisi di quelle che sono quasi unanimemente considerate le prime testimonianze di scrittura geroglifica1: le cosiddette

“etichette” (tags, Anhängetäfelchen) in osso, avorio e pietra provenienti dalla tomba U-j ad Abido e, secondariamente, una serie di segni dipinti in nero su vasi a manici ondulati, definiti da Günter Dreyer come Gefäßaufschriften2. Lo scopritore della tomba U-j, nella sua interpretazione di questi documenti, non opera distinzioni significative tra etichette e segni dipinti, vedendoli come rappresentativi di un medesimo sistema di scrittura3; tuttavia, questa

interpretazione non è condivisa da tutti gli studiosi.

Nel cap.2 la tesi descrive il contesto archeologico in cui sono state rinvenute le prime testimonianze della scrittura geroglifica e procede quindi all’analisi di tali attestazioni.

Un breve capitolo successivo tratteggia le linee dell’evoluzione del sistema di 1 Graff e Jiménez-Serrano 2016, p.165.

2 Dreyer 1998, p.47. Stauder 2010 li definisce “dipinti”. 3 Dreyer 2011, p.134.

(3)

scrittura dal Predinastico all’età storica, quale appare nella frammentaria documentazione disponibile per la I dinastia.

Nelle conclusioni, questo lavoro preliminare viene adoperato per segnalare alcuni paralleli con i corpora di segni delle epoche successive. Il materiale a disposizione è costituito da frammenti di ceramica inscritti, sigillature di ceramica purtroppo frammentarie e sigilli a cilindro. I materiali, provenienti dal cimitero B, testimoniano i nomi regali di più di un re: Iry-hor Sekhen/Ka, Narmer, Aha4.

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Capitolo 1

1.1 Che cos'è la scrittura? Glottografia e semasiografia.

Che cos'è la scrittura? Una definizione di scrittura piuttosto sintetica e immediata è quella fornita da Florian Coulmas: “a system of recording language by means of visible or tactile marks”5. Secondo questa definizione, condivisa da molti

studiosi6, la scrittura è dunque:

a. visibile o, per lo meno, tangibile; b. intrinsecamente legata al linguaggio.

Essa è quindi espressione di un linguaggio, il quale, a sua volta, è espressione di idee e concetti7. La scrittura, in altre parole, è subordinata alla lingua parlata8; ne è

una sua rappresentazione e, in quanto tale, è molto spesso studiata e analizzata9.

In questa visione, il rapporto tra idee e linguaggio non è mediato, mentre il rapporto tra idee e scrittura lo è10. Essendo mediata dalla lingua parlata

dall'osservatore, la scrittura non è una diretta rappresentazione del mondo reale, degli oggetti concreti e delle astrazioni mentali: ne è a tutti gli effetti una rappresentazione indiretta, che passa attraverso il linguaggio. Del resto, anche in senso filogenetico, la scrittura arriva per ultima11: il linguaggio parlato precede la

scrittura di millenni, così come la precede nel normale sviluppo umano (prima si

5 Coulmas 2003, p.1.

6 Boone 2004, p.313, dà la definizione più sintetica di: “language recorded graphically”, mentre

Kammerzell 2009, p.294 definisce la scrittura come: “a medium for the graphic manifestation of utterances of an individual language […] systematically interrelated with the respective spoken language”. Vernus 1993, p.75, fornisce la seguente definizione: “l'écriture est un système de signes concrets, essentiellement visuels, capable d'encoder des énoncés linguistiques, et donc, de transposer leur matérialité phonique en matérialité optique (ou tactile dans le cas du Braille)”. Robertson 2004, p.20 scrive: “writing is truly writing when it systematically represents speech”.

7 Sampson 1985, p.12, afferma che il linguaggio è “[a] structure of symbols defined by [its]

interconnections” e successivamente (p.28): “a system of relationships between meaning and speech-sound”.

8 Coulmas 2003, p.3. Sampson 1985, p.28 addirittura parla di “a phenomenon essentially

parasitic on spoken language”.

9 Coulmas 2003, pp. 6-7.

10 Hyman 2006, p.240.

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impara a parlare e solo successivamente - ed eventualmente - a scrivere)12. Il

linguaggio è, inoltre, intrinseco alla natura umana, mentre la scrittura è considerata da molti come nulla più di una tecnologia, acquisita da un tempo relativamente breve nell'ottica dell'evoluzione umana: il linguaggio parlato è “naturale”, la scrittura è un artefatto13.

Geoffrey Sampson dà la seguente definizione di sistema di scrittura: “a given set of written marks together with a particular set of conventions for their use”14, specificando poi: “a script is only a device for making examples of a language visible; the script is not itself the language”15, notando come si riveli molto spesso necessario precisare che la scrittura di una determinata lingua parlata non è la lingua stessa, dato che lingua e scrittura vengono spesso confuse da chi si approccia allo studio di quest'ultima.

Pare un dato di fatto, dunque, che la scrittura sia espressione di un determinato linguaggio, tanto che la prima viene spesso e volentieri assimilata al secondo. Come si è detto sopra, la scrittura viene quasi sempre utilizzata per studiare la lingua che essa rappresenta: nel caso delle lingue morte, essa è a tutti gli effetti l'unico modo per farlo.

Tuttavia, non tutti gli studiosi condividono questa particolare definizione di scrittura. Una seconda, più ampia definizione di scrittura è la seguente: “a system of human intercommunication by means of conventional visible marks”16. Si tratta

di una definizione che, al contrario della precedente, prescinde dal legame tra scrittura e linguaggio parlato: in altre parole, sotto questo punto di vista, un segno convenzionale che comunichi qualcosa è già considerabile scrittura. Questa visione è, tuttavia, fortemente minoritaria tra gli studiosi del settore17. Un esempio

12 Coulmas 2003, p.10. 13 Coulmas 2003, p.14. 14 Sampson 1985, p.19. 15 Sampson 1985, p.21. 16 Coulmas 2003, p.15.

17 Boone 2004, p.313 è una sostenitrice di questa definizione: “the communication of relatively

specific ideas in a conventional manner by means of permanent, visible marks”, insieme a Hyman 2006, p.233, il quale nota: “This sort of definition aknowledges that writing need not

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citato molto spesso sono i segni matematici, i quali non esprimono affatto un linguaggio umano parlato, ma sono comunque in grado di comunicare concetti raffinati nel modo più efficace possibile. Inoltre, prescindendo da una specifica lingua parlata, il sistema di notazione matematica acquisisce universalità18.

Con questa seconda definizione, l'insieme di ciò che è considerabile scrittura si allarga considerevolmente, andando dunque ad includere quelli che Postgate et al. chiamano “symbols or systems of symbols”19 e che Frank Kammerzell definisce “non-textual marking systems”20, i quali, per l'appunto, non costituiscono messaggi che corrispondono ad un testo e non sono tipicamente interconnessi con unità linguistiche. Tra i non-textual marking systems Kammerzell annovera i segni sulla ceramica, i graffiti rupestri nelle cave, la marchiatura del bestiame, i monogrammi sui sigilli, le etichette e i loghi, notando come essi vengano utilizzati per indicare un legame tra l'oggetto che denotano ed un individuo, un gruppo di persone, un luogo di produzione, un'istituzione o una località. La generalizzazione di forma e funzione permette ai non-textual marking systems di differenziarsi dall'arte21, sebbene Kahl faccia notare come, nel caso della scrittura geroglifica,

quest'ultima possa facilmente trasformarsi in arte e viceversa, essendo scrittura e arte complementari22.

Quando si parla di nascita della scrittura, i confini tra le due definizioni proposte tendono inevitabilmente a confondersi. Si tende infatti a credere che, alle sue origini, lo scopo della scrittura non fosse effettivamente quello di rappresentare la lingua parlata, ma che la scrittura si sia successivamente evoluta o adattata proprio

aim at the transcription of spoken language. Nor must all (or even most) pictures be considered writing”.

18 Boone 2004, p.318.

19 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.459. 20 Kammerzell 2009, p.280.

21 Hyman 2006, pp.240-241: “Writing, however, differs from the figurative arts in that it eschews

particulars and seeks rather the generic, the universal, the uniform, the conventional. […] Just as the form of the signs becomes stereotyped, so does its semantics”.

22 Kahl 1994, pp.29-30: “Theoretisch konnte jedes beliebige Bild als Semogram verwendet

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per assumere questo fine23. Ciò rischia tuttavia di implicare una sfortunata

distinzione tra “scritture evolute”, ovvero quelle glottografiche (appartenenti alla prima definizione), e “scritture non evolute”, ovvero quelle semasiografiche (appartenenti alla seconda definizione)24. Sebbene sia vero che i quattro sistemi di

scrittura glottografici originali25 derivano da sistemi semasiografici, non è

possibile individuare una vera e propria catena evolutiva, in cui si passi necessariamente da semasiografia a glottografia26. I sistemi di scrittura

semasiografici, inoltre, possono coesistere con quelli glottografici, sia in antico che al giorno d'oggi, poiché più utili al particolare scopo desiderato: si pensi ad esempio alla notazione della musica, o delle scienze quali la già citata matematica o la chimica, o ancora ai pittogrammi aztechi27.

Le problematiche nelle definizioni sono molteplici. Bisogna considerare come il rapporto tra lingua e scrittura sia tutt'altro che lineare: essi sono due sistemi di segni separati che non coincidono mai alla perfezione tra di loro28, trattandosi di

suoni (fonemi29) nel primo caso e di segni grafici (grafemi30) nell'altro. Molteplici

caratteristiche del linguaggio parlato vengono inoltre ignorate dalla scrittura, e viceversa31.

23 Coulmas 2003, p.15.

24 I termini semasiografia e glottografia, o sistema semasiografico e sistema glottografico, sono

ripresi da Sampson 1985, p.29: “we shall use the term semasiographic systems for systems of visible communication […] which indicate ideas directly, in contrast to glottographic systems which provide visible representations of spoken-language utterances”. Hyman 2006, p.233 critica l'aggettivo semasiografico, preferendo adottare il termine “non-glottografico”.

25 Woods 2010, p.15. I sistemi di scrittura cuneiforme, geroglifico, cinese e mesoamericano sono

considerati creazioni originali e distinte, le più antiche della storia umana: “These are the four instances in human history when writing was invented ex nihilo […] with no previous exposure to, or knowledge of, writing. It appears quite likely that all other writing systems either derive from, or were inspired by, these four”.

26 Sampson 1985, p.30. 27 Boone 2004, pp.313-315.

28 Coulmas 2003, p.16: “Writing cannot and should not be reduced to speech. […] No writing

duplicates speech”.

29 Secondo il vocabolario della lingua italiana Zanichelli 2007, la definizione di fonema è la

seguente: “Unità minima distintiva di suono nell'ambito di una lingua particolare, che consente, da sola o in combinazione con altre, di formare dei significanti e di fare una distinzione tra essi”.

30 Secondo il vocabolario della lingua italiana Zanichelli 2007, la definizione di fonema è la

seguente: “La più piccola unità distintiva di un sistema grafico”.

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Si potrebbe dire, per conciliare le due definizioni, che lo scopo primario della scrittura sia quello di comunicare un significato32, e che a questo fine essa si serva

spesso di relazioni convenzionalmente stabilite tra segni grafici e suoni33. Queste

relazioni possono essere più o meno efficaci, a seconda dei singoli sistemi di scrittura presi in esame34. Bisogna notare come, in molti sistemi di scrittura, non

tutti i grafemi abbiano una diretta corrispondenza con i fonemi della lingua parlata (e viceversa): si pensi ad esempio a quei sistemi di notazione difettivi35 in cui solo

le consonanti vengono esplicitate - il sistema geroglifico tra questi. Inoltre, svariati sistemi di scrittura si avvalgono di segni semasiografici, quali ad esempio sono i determinativi. Anche l'indicazione del plurale, nella scrittura geroglifica, molto spesso non si avvale di suffissi linguistici quali -w o -wt, preferendo invece ripetere i segni per tre volte (strategia semasiografica)36; lo stesso discorso può

essere fatto per il duale.

Geoffrey Sampson solleva questo dilemma – è giustificato definire la scrittura come un sistema che rappresenta il linguaggio parlato, dato che in realtà nessuna lingua viene parlata così come è scritta? - e lo risolve introducendo la nozione paradossale di un “linguaggio parlato” che non necessariamente è parlato, preferendo considerare la lingua parlata e la lingua scritta come due dialetti strettamente imparentati37.

Secondo Florian Coulmas, ciò che distingue i sistemi di scrittura veri e propri da altri sistemi38 è la sistematicità che i primi posseggono e i secondi no. La

sistematicità è anche la principale chiave per la decifrazione di un sistema di scrittura39. Ne consegue che un sistema semasiografico non possa, per sua stessa

32 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.459. 33 Coulmas 2003, p.18.

34 Kammerzell 2009, p.295.

35 Hyman 2006, p.235.

36 Sampson 1985, p.50. 37 Sampson 1985, p.27.

38 Che Kammerzell 2009, p.278 definisce, genericamente, “Systems of graphic information

processing”.

39 Coulmas 2003, p.21: “[...]they may indicate by their outward appearance that they are intended

to be perceived as signs, but they do not incorporate any information about the procedure of their own interpretation”.

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natura, essere decifrato, a meno di non essere in possesso delle effettive “istruzioni”. Inoltre, in mancanza di una decifrazione, non si può ragionevolmente classificare un sistema di segni come scrittura40. Frank Kammerzell concentra la

sua riflessione proprio sulla sistematicità che lega il messaggio grafico al testo ad esso sottostante: se gli elementi grammaticali non sono denotati con sistematicità, anche nel caso in cui i segni posseggano una lettura linguistica, l'insieme non può ancora essere definito scrittura vera e propria41.

Ancora Kammerzell indica come la più significativa proprietà di un sistema di scrittura una struttura che corrisponda, in base a regole precise, a quella del linguaggio parlato, anche se non in modo eccessivamente pedissequo42. Per

esempio, la frase tedesca Ich habe einen Apfel gegessen mantiene l'ordine corretto delle parole sia in quanto lingua parlata sia in quanto testo scritto: il soggetto è al primo posto, il verbo finito al secondo posto e così via. Sampson individua nella linearità di disposizione dei segni nello spazio (verticale o orizzontale) una delle caratteristiche fondamentali della scrittura glottografica, poiché questa disposizione lineare riflette la sequenzialità della lingua parlata: ad un flusso di suoni linguistici corrisponde un flusso di segni grafici43. Senza il bisogno di

rappresentare la lingua parlata, i segni potrebbero venire disposti in vari modi nello spazio, poiché, come fa notare Robertson, la percezione dei segni visivi è olistica e immediata44. Anche Jochem Kahl inserisce la disposizione lineare dei

segni tra i criteri grazie ai quali è possibile discriminare un sistema di scrittura. I criteri da lui individuati45 sono i seguenti:

– L'orientamento sistematico dei segni;

– La disposizione lineare dei segni, in righe o colonne;

– La calibrazione dei segni, l'uno rispetto all'altro: i segni sono proporzionati 40 Kammerzell 2009, p.301.

41 Kammerzell 2009, p.288. 42 Kammerzell 2009, p.295.

43 Hyman 2006, p.236: “speech is realized as a linear sequence of words (or of morphemes). We

expect a glottographic writing system to encode speech as a string of graphemes”.

44 Robertson 2004, p.17. 45 Kahl 1994, pp.30-31.

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secondo dimensioni standard che non riflettono quelle realistiche né quelle gerarchiche;

– Il contesto.

L'ordine sistematico della disposizione dei segni nello spazio non è adottata, per esempio, nelle più antiche fonti sumeriche, in cui i segni sono incasellati in rettangoli incisi nelle tavolette e non mostrano un ordine preciso nella loro disposizione46: ciò può essere considerato un indizio di semasiografia piuttosto

che glottografia47.

Si tratta senza dubbio di una questione spinosa. È indubbio che il sistema geroglifico, e con esso molti altri, abbia la sua origine in segni i quali, per virtù iconografica o simbolica, portavano in sé un significato ben preciso, sebbene non linguistico. Questi segni hanno le loro radici nell'inventario di immagini che si ritrovano nell'arte rupestre e nella ceramica decorata dal periodo Naqada I in poi48.

È molto difficile, se non impossibile, capire quando questi segni abbiano acquisito una valenza glottografica49, in conseguenza del fatto che nei loro stadi iniziali i

sistemi originali di scrittura sono composti in massima parte da logogrammi50, e

che è virtualmente impossibile distinguere un semasiogramma da un logogramma isolato51: un logogramma è, a tutti gli effetti, un semasiogramma a cui è stata

assegnata una lettura linguistica fissa e sistematica. Un sistema di scrittura logografico è anche glottografico, poiché ogni logogramma rappresenta una parola (o la radice di una parola)52 della lingua parlata53. Un logogramma si legge,

46 Hyman 2006, p.236.

47 Sampson 1985, p.50.

48 Regulski 2010, p.6; Vernus 1993, p.82. 49 Kahl 2001, p.105.

50 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.460; Sampson 1985, p.36: “relatively early scripts tend to

be logographic rather than phonographic […] clearly, when a script is being created from scratch, the iconicity principle is a particularly obvious way to facilitate the task”.

51 Sampson 1985, p.49. 52 Kahl 2001, p.116.

53 Hyman 2006, p.234: “Outside language there are no words (and, hence, no logographic

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un semasiogramma si verbalizza54: ciò vale a dire che, idealmente, un testo

glottografico possiede una sola lettura, mentre un testo semasiografico possiede molteplici interpretazioni, che possono venire verbalizzate, parafrasandone il significato. Per meglio comprendere le relazioni tra queste tipologie di comunicazione scritta, lo schema proposto da Sampson può essere utile (illustrazione 1)55:

C'è da notare che Sampson considera, seppur non con sicurezza (come dimostra la linea tratteggiata, un esempio di semasiografia a sua volta) la semasiografia come scrittura. Così non fa Kammerzell, il quale suddivide il grande insieme dei già citati Systems of graphic information processing (SGIP) in svariati sottoinsiemi:

– non-textual marking systems; – pictographic systems;

54 Hyman 2006, p.244.

55 Sampson 1985, p.32.

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– graphic memory aids56;

– comics and graphic novels;

– numerical information storage systems; – writing systems57.

In questa visione, i writing systems sono a tutti gli effetti solo ed esclusivamente quelli glottografici. La distinzione tra le tipologie, specialmente tra le prime tre, può in alcuni casi non essere così marcata. C'è da considerare che i Systems of graphic information processing possono spesso mostrare caratteristiche ibride: ad esempio, sono documentati casi in cui segni glottografici sono presenti in maniera più o meno isolata all'interno di sistemi non glottografici58.

Infine, bisogna riconoscere che i primissimi sistemi di scrittura sono spesso fortemente incompleti59, ovvero non sono in grado di (o non hanno interesse a)

rappresentare completamente le caratteristiche del linguaggio ad essi associato, quali ad esempio la flessione verbale o le preposizioni. Le prime testimonianze in nostro possesso consistono in brevi annotazioni amministrative fortemente dipendenti dal contesto, dotate di un vocabolario ristretto60.

In definitiva, come suggerisce Malcolm D. Hyman, la dicotomia tra sistemi glottografici e sistemi semasiografici (o non-glottografici) si rivela essere fin troppo schematica61, rischiando di non essere utile nel contesto della riflessione

sulle origini della scrittura. Infatti, come è intuibile già da ora e come si vedrà meglio nei capitoli successivi, nei suoi stadi iniziali la scrittura presenta molte caratteristiche ibride, le quali potrebbero essere viste come sintomi di una potenzialità glottografica in un sistema per lo più semasiografico (o, d'altra parte, 56 Vernus 1993, p.76 identifica i sistemi semasiografici ora come pittogrammi ora come memory

aids, “aide-mémoire”. 57 Kammerzell 2009, p.302. 58 Kammerzell 2009, p.304. 59 Sampson 1985, p.37. 60 Sampson 1985, p.48. 61 Hyman 2006, p.241.

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vestigia di semasiografia in un neonato sistema glottografico).

Dunque, una volta di fronte alle più antiche testimonianze, potrebbe forse risultare più utile farsi una serie di domande, quali:

– Il SGIP rappresenta un linguaggio o parti di esso? – È decifrato?

– Gli elementi grammaticali sono annotati (e se sì, lo sono con sistematicità)?

– Ha struttura lineare?

– I segni hanno un orientamento sistematico? – I segni sono calibrati?

1.2 Dal semasiogramma al fonogramma

Come si è detto in precedenza, è virtualmente impossibile stabilire con precisione quando i segni semasiografici abbiano acquisito una valenza glottografica, anche a causa delle lacune nella documentazione in nostro possesso. Tuttavia, si possono individuare dei processi grazie ai quali il sistema geroglifico acquisisce una maggiore potenzialità espressiva e di notazione. Jochem Kahl ne individua tre62:

– Il principio del rebus: un segno che rappresenta un oggetto è usato per rappresentare una parola omofona a quella che designa l'oggetto rappresentato;

– Il principio alfabetico: una serie di segni monolitteri viene usata per rappresentare i suoni individuali del linguaggio (fonemi);

– Il principio del complemento: un segno monolittero o bilittero è usato per specificare una parte del contenuto fonemico di un secondo segno.

Con il principio del rebus in azione, il sistema grafico si libera dai limiti 62 Kahl 2001, p.105.

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dell'utilizzo iconico e simbolico dei segni e acquista la potenzialità di rappresentare un più ampio numero di concetti63. C'è da notare tuttavia che il

principio del rebus, insieme agli altri due principi individuati da Kahl, non è adottabile se non all'interno di un sistema glottografico, il che significa che, perché il principio del rebus appaia nel sistema (e sia di conseguenza individuabile nelle fonti), il sistema stesso è già diventato glottografico. Come è già stato detto, il passaggio ipotetico da semasiografia a glottografia è invisibile ai nostri occhi: tutto ciò che possiamo fare è constatare l'avvenuto passaggio quando ci imbattiamo in indizi quali segni monoconsonantici o complementi fonetici. È stato osservato che uno stimolo molto forte per lo sviluppo della glottografia sia la necessità di trascrivere i nomi propri64, e come, inoltre, il principio

dell'acrofonia contribuisca grandemente alla registrazione dei singoli suoni di una lingua65. Lo stesso Kahl fa notare come la trascrizione dei fonogrammi sia

possibile solo dopo l'adozione del principio del rebus66.

63 Robertson 2004, p.23.

64 Robertson 2004, p.27; Sampson 1985, pp.53-54: “If a proper name is meaningless

sound-sequence, it can be written only phonographically, unless one invents a special logographic sign just for the name.”

65 Robertson 2004, p.36: “iconic symbols indirectly representing the spoken word become the

phonetic stuff of syllabaries and alphabets”.

66 Kahl 1994, p.54.

2. Illustrazione: la relazione tra (a) il segno parlato e l'oggetto del segno parlato; (b) il segno scritto e l'oggetto del segno parlato; (c) il segno scritto e il segno parlato. Da Baines 2001.

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Capitolo 2

2.1 La tomba e il cimitero U.

La tomba U-j (3250 a.C. ca)67, sede originale di questi manufatti, situata nel

cimitero U, nella zona di Abido chiamata Umm el-Qaab, è stata scoperta nel 1988 nel corso degli scavi del Deutsches Archäologisches Institut (illustrazione 3)68. Si

tratta di un monumento eccezionale, non solo a causa del suo contenuto, ma anche delle sue dimensioni (10x8m ca)69, con cui sorpassa senza difficoltà tutte le tombe

di epoca predinastica a noi conosciute.70 È dotata di ben dodici camere

interconnesse (illustrazione 4)71, realizzate in mattoni crudi, undici delle quali

probabilmente dedicate all'immagazzinamento di offerte funerarie ed una, la più grande (20 m²), interpretata come la camera sepolcrale72.

Oltre ai materiali già menzionati, la tomba conteneva circa settecento vasi importati dalla zona siro-palestinese73, contenenti vino (illustrazione 4)74.

La maggior parte delle etichette fu trovata nella camera Sud-Ovest della tomba.75

Questa era l'unica camera a non contenere ceramica, ma era stata adoperata per conservare beni preziosi in scatole di cedro e altri contenitori, come borse o vasi in pietra. Tutte le etichette hanno un piccolo foro ed erano probabilmente attaccate ai vasi o oggetti singoli, come forma di identificazione.

È opinione comune che la tomba appartenesse ad una qualche figura autorevole, forse un “proto-sovrano”: lo suggerirebbero le dimensioni notevoli della tomba, la 67 Regulski 2016, p.3; questa datazione si basa su Hendrickx S., Predynastic-early dynastic chronology, in Ancient Egyptian Chronology, Leiden 2006, p.92, e corrisponde a Naqada IIIA1

(Hendrickx) o Naqada IIIa2 (Kaiser). MacArthur 2010 va ancora più indietro, al 3320 a.C., basandosi su Boehmer, Dreyer e Kromer 1993, pp. 63-68 (riconoscendo tuttavia che la datazione è stata criticata da Hendrickx).

68 Dreyer 2011, p.127. 69 Dreyer 2011, p.128. 70 Wilkinson 2001, p.16. 71 MacArthur 2010, p.119. 72 O'Connor 2009, p.142. 73 Dreyer 2011, pp.131-132. 74 O'Connor 2009, p.143. 75 Dreyer 1998, p.113.

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sua posizione centrale all'interno del cimitero U76, la grande quantità di offerte

funerarie e la ricchezza del corredo, in particolare uno scettro in avorio che potrebbe essere interpretato come uno scettro HqA (illustrazione 4)77. Anche la

struttura stessa della tomba, del resto, può essere vista come la riproposizione di una struttura palaziale nella necropoli78: in questa interpretazione, la camera

sepolcrale al centro della struttura può essere paragonata alla sala del trono79.

È importante ricordare che la zona designata come cimitero U ospita circa settecento sepolture, con una datazione che va dal tardo periodo Naqada I fino alla fine di Naqada III80, ed inoltre che, durante la parte finale del Predinastico

(Naqada IId), il cimitero viene riconfigurato per ospitare esclusivamente tombe di alto status sociale, legate alla monarchia tinita81. Dreyer suggerisce che, oltre alla

tomba U-j, altre diciassette tombe si possano ascrivere a proto-regnanti; non è tuttavia facile discriminare tra tombe d'élite e tombe regali nel cimitero U82.

76 Regulski 2016, p.3. 77 Dreyer 1998,p.130. 78 Dreyer 2011, p.131. 79 Jiménez-Serrano 2008, p.1132. 80 Dreyer 2011, p.127. 81 Wilkinson 2001, p.33. 82 O'Connor 2009, p.141.

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3. Illustrazione: mappa dell’organizzazione politica dell’Egitto in epoca Predinastica e particolare della tomba U-j. Anđelković 2011, p.29.

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2.2. Le etichette.

Si tratta del più antico corpus di testimonianze scritte a noi conosciuto in Egitto. Le etichette, circa duecento e di piccole dimensioni (generalmente 1,5x2cm)83,

sono per la maggior parte costituite da osso e avorio, con due eccezioni in pietra84,

e presentano da uno a cinque85 segni incisi con cura nella superficie e

successivamente riempiti di pasta scura. Si suppone che ciascuna etichetta fosse fissata, tramite un foro praticato in uno dei due angoli superiori (generalmente il destro)86 ad un corrispettivo contenitore in legno di cedro, forse contenente

tessuti87; ciò tuttavia non esclude che alcune etichette possano essere state legate

direttamente agli oggetti a cui si riferivano88.

Secondo la maggior parte degli studiosi, i segni si riferiscono a toponimi: nello specifico, ai nomi dei luoghi di origine dei beni accumulati nella tomba e a cui le etichette erano associate. Questi beni – presumibilmente tessuti, sostanze oleose e forse granaglie89 - sarebbero dunque stati dirottati da svariate località verso

un'unica corte centrale che avrebbe avuto la sua sede a This, città non ancora indagata che si suppone si trovi nelle vicinanze della moderna Girga90. Le

etichette sarebbero, in questa visione, un riflesso tangibile di un meccanismo economico ed amministrativo di tipo palaziale91, traslato in una dimensione

funeraria: esse confermerebbero dunque l'esistenza di una concentrazione di potere economico nella figura regale del proprietario della tomba92. Questa ipotesi,

sebbene sia la più accreditata, non è tuttavia l'unica: i segni incisi potrebbero anche riferirsi a nomi prestigiosi di divinità o di sovrani93, a qualità del potere

83 Dreyer 2011, p.135. 84 Dreyer 1998, p.113. 85 Baines 2004, p.154. 86 Regulski 2010, p.30. 87 Stauder 2010, p.138. 88 Dreyer 2011, p.135. 89 Dreyer 2011, p.135. 90 Wilkinson 2001, p.34. 91 Regulski 2008, p.999. 92 Jiménez-Serrano 2008, p.1127.

(20)

regale94 o a titoli di funzionari95.

Non pare probabile, d'altra parte, che vi fossero scritti i nomi dei beni in sé, né la qualità di tali beni, poiché sia il corpus di segni che le loro combinazioni paiono essere troppo numerosi per riferirsi ad un insieme ridotto di sostantivi o aggettivi96. Ci si basa naturalmente sull'assunto che la varietà dei beni fosse

minima: come si è detto sopra, si trattava probabilmente di grasso e sostanze oleose, vino, tessuti e cereali.

Dato il medesimo luogo di ritrovamento, infine, sembra altrettanto improbabile che le etichette designassero nomi di differenti proprietari o diversi luoghi di destinazione97.

Ad un primo sguardo, alcuni segni colpiscono in quanto prestigiosi: la facciata di palazzo, il santuario pr-wr dell'Alto Egitto, il trono st, il falco appaiono come i più significativi98. Il fatto che siano stati utilizzati dei segni prestigiosi suggerisce

fortemente che questi ultimi denotassero nomi importanti99, specialmente in un

periodo di formazione della scrittura quale è Naqada IIIA, in cui i segni possiedono ancora un grande valore iconico. È stato osservato, inoltre, come l'origine di molti di questi segni sia da ricercare nei totem o feticci primordiali di divinità e luoghi100.

Questi segni prestigiosi vengono spesso affiancati, nelle etichette, ad emblemi del bestiario di Naqada: l'elefante, la cicogna, l'airone, il canide, la iena, lo scorpione (per nominarne alcuni), associazione che potrebbe indicare le istituzioni e le figure del potere101. Gli animali predinastici sono emblemi di forze spirituali che

possono anche simbolizzare gruppi di persone102.

94 O'Connor 2009, p.142. 95 Regulski 2016, p.4. 96 Baines 2004, p.164. 97 Dreyer 2011, p.134.

98 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.465. 99 Baines 2004, p.164.

100 Jiménez-Serrano 2007, p.53. 101 Anselin 2004, p.562.

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Un discorso a parte spetta infine ai segni numerici (illustrazione 5), presenti su circa un quarto delle etichette ritrovate e forse utilizzati per indicare una qualche unità di misura di lunghezza dei tessuti103 o una certa quantità di cereali104.

Sulle possibili letture di queste etichette si è discusso e si continua a discutere molto, poiché il significato dei segni è tutt'altro che chiaro. La loro importanza è molteplice: potrebbero informarci sull'estensione dell'influenza territoriale del proprietario della tomba (che Dreyer battezza “Scorpione”105), influenza che

alcuni studiosi ritengono essere molto ampia (da Buto e Bubastis nel Delta fino ad Elefantina, al confine con la Nubia106); inoltre potrebbero essere ricchissime fonti

di informazioni ai fini della ricostruzione delle origini della scrittura geroglifica, essendo i segni su di esse conservatisi diretti predecessori di quest'ultima107.

A seguito della scoperta della tomba U-j, si è teorizzato che la scrittura in Egitto sia effettivamente nata nella regione di Abido108, in modo indipendente da quella

103 MacArthur 2010, p.120. 104 Dreyer 2011, p.135.

105 Dreyer 2011, p.134: un ipotetico Scorpione I, da non confondere con il re proprietario della

testa di mazza ritrovata a Hierakonpolis. Dreyer lo chiama così basandosi sulla grande quantità di vasi a manici ondulati che presentano uno scorpione dipinto su una generosa porzione della superficie ceramica.

106 Stauder 2010, p.138. 107 Wengrow 2008, p.1024. 108 Jiménez-Serrano 2007, p.48.

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mesopotamica, da cui differisce in stile e struttura. La presenza di documentazione scritta al di fuori di Abido aumenta progressivamente, da Iry-Hor e Sekhen/Ka a Narmer109.

Come già anticipato, secondo alcuni studiosi, in particolare Ilona Regulski, solo le etichette, tra i materiali inscritti provenienti dalla tomba U-j, rappresentano le fasi formative della scrittura geroglifica110; da questo punto di vista, la relazione tra le

etichette e i segni dipinti sui più di cento vasi a manici ondulati è tutt'altro che chiara111. I due corpora presentano delle somiglianze ma anche svariate differenze,

le quali sono spiegate da alcuni studiosi come legate alla diversità del materiale che funge da supporto alla scrittura (placchette di osso o avorio in un caso, larghe superfici ceramiche nell'altro) o anche interpretando i segni dipinti sui vasi come un prototipo di versione corsiva dei segni incisi112.

In una prima, immediata interpretazione, la documentazione scritta della tomba U-j si colloca nello stretto rapporto tra attività economica e burocrazia113,

specialmente per quanto riguarda il commercio a lunga distanza. In questa visione, l'emergere della scrittura (collocato dalla maggior parte degli studiosi tra la fine di Naqada II e l'inizio di Naqada IIIA114) è intrinsecamente legato alle crescenti

necessità economiche e burocratiche di uno Stato in formazione, il cui interesse principale è accentrare quanti più beni possibili al fine di acquisire un capitale economico e politico, anche e soprattutto a livello interregionale115. Secondo Toby

Wilkinson, il processo di unificazione politica sembrerebbe essere già avanzato, se 109 Kahl 2001, p. 108.

110 Regulski 2016, p.4.

111 Stauder 2010, p.138. Non tutti sono d'accordo con questa interpretazione: oltre al già citato

Dreyer, ad esempio, Baines 2004, p.160: “I therefore believe that the two media and modes of inscription of the U-j material belong to the same overall system and constitute two graphically distinct, but systematically almost identical and mutually convertible forms”; cfr. anche Jiménez-Serrano 2007, p.49: “We agree with Dreyer and Vernus, when they consider that signs found on the pots and on the labels were part of the same system of writing”.

112 Baines 2004, p.158; Wengrow 2011, p.99. 113 Wilkinson 2001, p.36.

114 Jiménez-Serrano 2007, p.64. 115 Wengrow 2008, p.1028.

(23)

non addirittura completo, al tempo della costruzione della tomba U-j116. Parrebbe,

infatti, che la cultura di Naqada avesse raggiunto un livello di complessità politica notevole già nel periodo di Naqada IC-IIB117. La manifattura stessa delle etichette

suggerisce che venissero prodotte “in massa” in un unico centro, probabilmente nelle vicinanze di Abido, e ivi applicate ai beni provenienti da diverse aree – tutte, presumibilmente, sotto il controllo economico e/o politico di un sovrano predinastico. Su alcune delle etichette, infatti, sono ancora visibili delle linee guida con struttura a griglia, tracciate sulla superficie ossea prima che le etichette venissero tagliate (illustrazione 6); secondo questo procedimento, esse venivano prima incise “in serie” con i segni geroglifici, i quali venivano poi riempiti di pasta di colore scuro; solo successivamente le etichette venivano ritagliate una ad una. A conferma di ciò, alcuni segni sono visibilmente troncati, laddove il taglio non sia stato eseguito in modo preciso118. Si tratta di un procedimento

relativamente lungo e minuzioso119, che non ha apparentemente senso se visto

nell'ottica della pura praticità, ma che ne acquista molto se preso in considerazione nell'ambito funerario-cerimoniale120. Jochem Kahl nota la presenza

di diverse “mani” nella scrittura dei segni, il che suggerisce la partecipazione di più persone alla creazione di questi documenti121.

116 Wilkinson 2001, p.40; Regulski 2008, p.999. 117 Anđelković 2011, p.30. 118 Regulski 2016, p.5. 119 Stauder 2010, p.143. 120 Wengrow 2008, p.1022. 121 Kahl 2001, p.111.

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Ciò presuppone un controllo centralizzato su queste prime forme di scrittura122,

ma allo stesso tempo implica un carattere fortemente regionale di questi esperimenti, per lo meno in quest'epoca: non sembra infatti di trovarsi di fronte ad un sistema diffuso e condiviso in svariate località d'Egitto. In altre parole, le etichette venivano prodotte e associate ai beni solo quando questi ultimi erano già giunti a destinazione, non nei vari luoghi d'origine. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la povertà delle testimonianze è in gran parte imputabile alla forte parzialità della documentazione archeologica a nostra disposizione: forse questa specie di documentazione era effettivamente più diffusa, ma su materiali deperibili, facilmente reperibili ed economici, che non si sono conservati123.

Inoltre, la documentazione a noi pervenuta proviene, come spesso accade in Egittologia, da zone desertiche e funerarie124.

La nascita di queste prime forme di documentazione scritta è quindi certamente dovuta a ragioni economiche ed amministrative, ma è anche strettamente legata a fattori culturali e di status sociale: insieme alle dimensioni della tomba ed al gran numero di vasi importati, infatti, anche la scrittura è usata per esprimere un messaggio elitario125; essa nasce in un contesto elitario e viene propugnata dalla

corte stessa.

122 Wengrow 2008, p.1027.

123 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.464. 124 Regulski 2010, p.13.

125 Regulski 2016, p.5.

6. Illustrazione: etichette da Dreyer 1998, tavole 76-77, nn 59, 69. Sono ancora visibili le linee guida per il loro taglio.

(25)

Lo stesso atto di marcare i beni funerari tramite l'uso della scrittura li eleva su un piano nettamente diverso rispetto a quello della vita quotidiana, ovvero quello del rituale regale126. La scrittura geroglifica possiede dunque, già a partire dalle sue

origini, un duplice fine, utilitario e cerimoniale127: gli aspetti simbolici sono

importanti quanto quelli pratici, se non addirittura di più128, ma in ogni caso la

polarizzazione tra i due concetti non è così grande o giustificata come si potrebbe pensare129. Tuttavia, date le testimonianze in nostro possesso, parrebbe

effettivamente che la scrittura in Egitto possieda un lato cerimoniale più marcato rispetto a quella mesopotamica, la quale sembra essere molto più orientata a finalità puramente amministrative130, sebbene anche questa visione possa

potenzialmente essere distorta dalla maggiore conservazione di un materiale come l'argilla, usata in abbondanza per fabbricare le tavolette su cui gli scribi sumerici scrivevano abitualmente131.

2.3. Corpus dei segni presenti sulle etichette e loro lettura.

Nel loro insieme, le etichette forniscono un repertorio limitato di segni identificabili (51), dei quali poco più della metà sopravvive nel repertorio classico successivo132: ciò suggerisce una certa continuità di sviluppo133. Pare molto

probabile che il repertorio iniziale di segni non superasse di molto la cinquantina134, ovvero il corpus effettivamente attestato nelle etichette135.

Nonostante si tratti di un sistema limitato, sembra essere ben formato: probabilmente non si trattava della prima volta in cui questi segni venivano messi

126 Wengrow 2011, p.103. 127 MacArthur 2010, p.121.

128 Baines 2004, p.171. Wengrow 2008, p.1029 ritiene che “The origin and early role of writing in

Egypt cannot be adequately characterised as either “administrative” or “ceremonial”. […] By distributing signs of royal agency within the world of objects, writing […] fulfilled both kinds of role”.

129 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.479. 130 Wengrow 2011, p.99.

131 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.473. 132 Regulski 2016, p.10.

133 Stauder 2010, p. 139. 134 Baines 2004, p.158. 135 Stauder 2010, p. 141.

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per iscritto136, sebbene non si siano conservate testimonianze anteriori a U-j137.

Bisogna sempre ipotizzare l'uso di supporti scrittori deperibili, quali ad esempio lino, papiro o foglie138, di cui non sia rimasta alcuna traccia139. È probabile che

alcuni segni utilizzati con significato religioso nel periodo di Naqada III abbiano acquisito un valore ortografico poco prima della costruzione della tomba U-j140.

Le etichette presentano il più antico esempio di rebus principle141, espresso tramite segni biconsonantici142; complementi fonetici e segni monoconsonantici sono

tuttavia ancora per lo più assenti. Si osserva una forte preponderanza di logogrammi nel corpus: essa è spiegabile con il fatto che i logogrammi rappresentano, in ogni forma originale di scrittura, il primo passo dalla semplice icona al segno fonetico143, ovvero il primo passo da un sistema semasiografico ad

un sistema glottografico. Il principio dell'iconicità, infatti, è particolarmente utile per facilitare la creazione di nuovi segni e la loro memorizzazione144.

Pare assodato che in quest'epoca i primi esperimenti di scrittura non fossero ancora pensati per rappresentare il linguaggio parlato in forma continua145 (il

primo esempio di testo scritto che presenta sintassi continua risale al regno di Netjerikhet, cinquecento anni dopo il sovrano sepolto nella tomba U-j)146; al

contrario, in questa forma primordiale, la scrittura rappresenta un'alternativa di espressione distinta dalla lingua parlata, il cui obiettivo è quello di sostituirsi ad

136 Baines 2004, p.154. 137 Kahl 2001, p.102. 138 Kahl 2001, p.106.

139 Wengrow 2011, p.99 fa notare come il papiro sia attestato già nella I Dinastia, nella tomba di

Hemaka, un alto ufficiale di Den (Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.473).

140 Jiménez-Serrano 2007, p.60. 141 MacArthur 2010, p.120.

142 Woods 2010, p.20. Il principio del rebus è definito come un meccanismo tramite il quale si fa

uso dell'omofonia tra due parole (Robertson 2004, p.23), con il fine di rendere per iscritto dei suoni o dei concetti tramite l'impiego di segni il cui significato iconico e primario viene ignorato in favore della loro lettura fonetica (Allen 2010, p.3).

143 Jiménez-Serrano 2007, p.53. 144 Sampson 1985, p.36.

145 Baines 2004, p.150. Si intende che non rappresentava la lingua egiziana parlata all'epoca, con

la sua sintassi, la sua grammatica, le sue costruzioni verbali.

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essa147 in ambiti in cui l'oralità non può, per forza di cose, rientrare148. La natura

visiva della scrittura, infatti, la rende preservatrice e duratura, di contro alla lingua parlata, che è temporanea e transeunte: la scrittura, in altre parole, permane nel tempo149, ed è proprio con questo intento, e in virtù di ciò, che viene utilizzata in

ambiti funerari e cerimoniali nelle epoche successive. Non sembra esserci apparente interesse a riflettere la lingua parlata nella sua interezza, in quest'epoca. Sembrerebbe dunque che la scrittura sulle etichette sia senza dubbio un sistema di comunicazione, ma non la rappresentazione di una specifica lingua parlata150, con

la sua grammatica e sintassi; al massimo essa è in grado di arrivare a rendere limitati elementi del linguaggio, quali nomi di persone, di luoghi o di cose151.

Nonostante questi limiti, che possono senza dubbio apparire vistosi se si giudica un sistema di scrittura in base al livello in cui rende la corrispettiva lingua parlata, secondo la maggioranza degli studiosi si tratta comunque di scrittura, perché può essere “letta” e non semplicemente “interpretata”152, come si interpreterebbe, ad

esempio, un'opera d'arte. Naturalmente, non tutti sono d'accordo nel definire i segni sulle etichette come vera e propria scrittura153.

È stato inoltre teorizzato154 che questo tipo di notazione, volutamente non

linguistica, possedesse un significato universale, potenzialmente condivisibile da diversi gruppi umani presenti in Egitto all'epoca e parlanti lingue diverse – lingue scomparse, di cui ad oggi non restano tracce155.

Tuttavia, è pur vero che è generalmente accettato che, almeno a partire dal periodo di Naqada IIIA1, i segni geroglifici possiedano un valore fonetico.156 Ciò significa

147 Baines 2004, p.165. 148 Woods 2010, p.21. 149 Robertson 2004, p.20.

150 Baines 2004, p.182. Wengrow 2011, p.100 afferma che “writing itself took centuries to adapt to

what we now regard as its primary function: the encoding of continuous speech”.

151 Wengrow 2011, p.101. 152 Jiménez-Serrano 2007, p.49.

153 Ad esempio, Robertson 2004, p.20 afferma che “Writing is truly writing when it systematically

represents speech”.

154 Regulski 2016, p.13; Baines 2004, p.171.

155 Regulski (2016) in particolare parla di “pre-Old Egyptian”.

156 Regulski 2008, p.985. Ciò permetterebbe di classificare le etichette come scrittura, poiché

(28)

che, almeno in teoria, qualsiasi segno del corpus avesse come scopo la rappresentazione di uno o più suoni - fonemi -, in modo sia diretto (con i fonogrammi) che indiretto (con i logogrammi)157.

Nei secoli che separano le etichette della tomba U-j dal regno di Den (I Dinastia), la maggior parte dei grafemi - tra cui fonogrammi mono e biconsonantici, logogrammi e determinativi - vengono introdotti nel corpus della scrittura158, ma

mancano ancora le preposizioni, i pronomi suffissi e, cosa più importante, il sistema verbale159. Il primo verbo coniugato risale al regno di Peribsen (II

Dinastia): trattasi del perfetto d(m)D-n-f160.

Si possono osservare delle caratteristiche dei segni rappresentati che paiono anticipare le successive particolarità della scrittura geroglifica: tutti i segni presenti sulle singole etichette sono orientati nella medesima direzione161,

solitamente verso destra162, e le loro dimensioni relative non sono in scala,

cosicché, ad esempio, un uccello e un elefante sono grandi uguali, indipendentemente dal fatto che nella realtà un elefante è molto più grande rispetto ad un uccello163. Si nota una preponderanza di figure animali, la quale

tende ad attenuarsi nei periodi successivi (Illustrazione 7)164. Günter Dreyer

ritiene, inoltre, che sia già testimoniato l'uso del raddoppiamento e della triplicazione dei segni per indicare rispettivamente duale e plurale165.

was representing” (Woods 2010, pp.18-21).

157 Robertson 2004, pp.20-21, fig.2.4.

158 Regulski 2016, p.9. Secondo Kahl 2001, p.124: “A more developed form of the system is not

discernible before the time of Sekhen/Ka, perhaps not even before Den.”

159 Stauder 2010, p.145. 160 MacArthur 2010, p.121.

161 Presentano, in altre parole, deissi di orientamento (Robertson 2004, p.26). 162 Regulski 2010, p.16.

163 Stauder 2010, p.139. 164 Baines 2004, p.158.

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Questo incipiente sistema di scrittura sembra avere inoltre delle regole precise per quanto riguarda la combinazione dei segni166; tuttavia, ciò non implica

necessariamente che si tratti di regole linguistiche, poiché anche le rappresentazioni pittoriche possono presentare delle convenzioni nella disposizione spaziale delle figure167.

Quando ci si trova ad avere a che fare con due o più segni in evidente associazione, che non paiono avere nessun senso se letti come fonogrammi, si tende di conseguenza ad interpretarli come logogrammi; è tuttavia impossibile capire se si tratti davvero di logogrammi o ancora di semasiogrammi o addirittura icone168. Qualora si abbiano degli esempi relativamente concreti di determinativi o

complementi fonetici, si può effettivamente già parlare di scrittura a tutti gli effetti; allo stesso modo, un logogramma si può facilmente differenziare da un semasiogramma se accompagnato da un complemento fonetico. Bisogna anche considerare che, a questo primo livello, il significato del messaggio messo per iscritto era fortemente dipendente dal contesto e dal contenuto a cui si riferiva, i quali a loro volta fornivano informazioni necessarie per la totale comprensione del messaggio169. Solo quando la scrittura si evolve diventa più indipendente dal

contesto170.

166 Stauder 2010, p.140.

167 Si veda ad esempio lo studio sulla ceramica White Cross-line (Naqada I) e Decorated (Naqada

II) in Graff 2004, pp.765-777.

168 Sampson 1985, p.49. 169 Kammerzell 2009, p.303. 170 Baines 2004, p.165.

7. Illustrazione: le etichette hanno principalmente un orientamento destrorso. Nella n°5 un uccello ha le stesse dimensioni di un elefante. Dreyer 1998, tavole 76, 77, 82.

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Dei segni presenti sulle etichette, alcuni più di altri sono stati oggetto di ipotesi di lettura. È inevitabile applicare ai segni letture e significati del sistema geroglifico successivo; pur essendo questa l'unica strada possibile, è importante tenere sempre a mente i rischi che applicare significati posteriori a tali segni può portare171.

Uno di questi è l'elefante sulla montagna (illustrazione 8), che la maggior parte degli studiosi ritiene essere da leggere come Abw, ovvero Elefantina. In questa interpretazione, si avrebbero un logogramma (elefante, E26) accoppiato ad un determinativo172 (la montagna, e più in generale la terra straniera, N25)173. I

paralleli in età storica sembrano confermare questa lettura174. Alejandro

Jiménez-Serrano, tuttavia, non è d'accordo con l'interpretazione di N25 come determinativo, e anzi considera il segno un tutt'uno con quello dell'elefante, leggendolo comunque come Elefantina175.

171 Baines 2004, p.161.

172 Kahl 2001, p.118. Baines 2004, pp.179-180, tuttavia, afferma che “Dreyer's proposal that

determinatives may be present in the U-j material is not argued on specific evidence and remains inconclusive. […] Similarly, the phonetic complements he finds are uncertain, if only because his readings of the groups as a whole are hypothetical”.

173 MacArthur 2010, p.120. 174 Wegner 2007, p.479.

175 Jiménez-Serrano 2007, p.61. Secondo lo stesso ragionamento, lo studioso interpreta come 8. Illustrazione: etichetta da Dreyer 1998, tavola 76, n°59. I segni da Gardiner 1957.

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Al contrario, Günter Dreyer legge AbDw176, interpretando il segno N25 come il

bilittero Dw (N26); questa lettura è stata tuttavia fortemente criticata. Dreyer associa l'origine del nome di Abido con un ipotetico re “Elefante”, predecessore di Scorpione, che avrebbe governato i territori limitrofi: AbDw, quindi, come “montagna di Elefante” (anche se la lettura esatta sarebbe “Elefante della montagna”, seguendo il consueto ordine genitivale177). Josef Wegner fa notare

come il toponimo AbDw non compaia prima dell'Antico Regno178 e inoltre come, a

volte, nello spelling il fonogramma bilittero N26 venga sostituito da N25; talvolta inoltre N25 affianca N26 in qualità di determinativo179. Bisogna inoltre

considerare come, in età storica, il nome di Abido non sia mai scritto con il segno dell'elefante180, il quale è invece utilizzato quasi sempre nell'ortografia di

Elefantina.

Un'altra lettura proposta per un'altra serie di segni è Dw grH (“Montagna dell'oscurità”, forse “Montagna occidentale”). In questo caso si potrebbe riconoscere il complemento fonetico D (I 10) scritto direttamente sopra il bilittero Dw, in quello che potrebbe essere un tentativo di disambiguazione del secondo segno (illustrazione 9)181; in alternativa, potrebbe essere visto come un segno

unico segno anche l'uccello sopra ad un edificio - Dbawt(Dreyer 1998, pp. 127-129).

176 Dreyer 1998, p.139.

177 Wegner 2007, p.474. A meno che non ci si trovi di fronte ad una grafia di rispetto. 178 Wegner 2007, p.473.

179 Wegner 2007, p.478. 180 Anselin 2004, p.557. 181 Stauder 2010, p.140.

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fonetico D con scrittura difettiva (-w mancante), seguito da un determinativo182.

Come controparte della precedente lettura, Dreyer identifica una “Montagna della luce”/ “Montagna orientale” (Dw jAxw)183 in un gruppo di segni che presenta un

ibis crestato (Ibis comata, G25) associato al segno N26 (illustrazione 10)184.

Jochem Kahl e Alejandro Jiménez-Serrano leggono tuttavia il segno G25 come Ax(t), “orizzonte”185, dando così al gruppo di segni il significato di “Montagna

dell'orizzonte”.

In merito a quello che da alcuni studiosi viene visto come il segno monoconsonantico D, c'è da dire che esso viene associato sia ad N25 che ad N26, ed inoltre che presenta un segno verticale in una delle attestazioni, il quale parrebbe connetterlo con il segno della montagna a tre picchi subito sottostante. Data la presenza di questo segno, Kahl ha ipotizzato una lettura Dnjw, nel senso di “montagne” o “altopiano ai margini del deserto”186.

La lettura di un altro toponimo, Bubastis/bAst, presuppone l'interpretazione dei due segni (una cicogna187, presumibilmente G29, e il seggio Q1) come due

fonogrammi biconsonantici (illustrazione 11)188.

182 Kahl 2001, p.122. 183 Dreyer 1998, p.139. 184 Baines 2004, p.162. 185 Jiménez-Serrano 2007, p.58. 186 Kahl 2001, pp.120-121. 187 Dreyer 2011, p.135. 188 Stauder 2010, p.140.

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C'è da notare però che il segno che viene letto bA non pare molto simile alla rappresentazione dell'uccello bA nelle epoche successive189, e inoltre la lettura

puramente fonetica bA non pare avere senso quando il segno della cicogna viene associato ad altri segni che non siano Q1; per questo motivo, una lettura alternativa potrebbe essere quella logografica190, per esprimere verosimilmente

nomi di divinità. In questa fase primordiale, infatti, si potrebbe pensare che il concetto di bA si possa adattare bene a quello di divinità (si vedano ad esempio i “ba di Eliopoli”, bAw jwnw, ovvero l'Enneade eliopolitana)191. Ilona Regulski fa

notare il becco esageratamente lungo delle prime raffigurazioni.192 Sorge tuttavia

un ulteriore problema, ovvero quello dell'ordine del genitivo diretto A B, che in alcuni casi è invertito: ciò fa traballare la teoria di Jiménez-Serrano sull'interpretazione di G29.

Tre etichette presentano un airone sopra la facciata di un santuario o edificio palaziale; i segni nel loro complesso vengono letti Dbawt, Buto (illustrazione 12 nn 1, 2)193. 189 Baines 2004, p.163. 190 Jiménez-Serrano 2007, p.56. 191 Jiménez-Serrano 2004, p.855. 192 Regulski 2008, p. 124. 193 Anselin 2004, p.551.

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Lo stesso uccello, affiancato ad un tuono, viene anche letto come il nome di Letopolis, xm194, ma forse il segno è da interpretare piuttosto come il simbolo di

Min195, mnw (illustrazione 12, n°3), lettura derivata da paralleli sui colossi di Min

(vedi sotto)196.

Letture proposte per i restanti segni (immagine 13, nn 4, 5, 6) sono bdt come grano e njwt + tAwj, prima testimonianza di duale tramite duplicazione del segno piatto orizzontale197. Il segno tondo viene anche letto come sp198 oppure come

ovale di Nekhen199, mentre i segni verticali come edifici primordiali inscritti in un

ovale di mura200.

Il segno dei due uomini affrontati simmetricamente è identico a quello che 194 Wegner 2007, p.474. 195 Regulski 2008, p.996. 196 Jiménez-Serrano 2007, p.57. 197 Anselin 2004, p.564. 198 Dreyer 1998, p.131. 199 Anselin 2004, p.564. 200 Regulski 2008, p. 161.

12. Illustrazione: etichette da Dreyer 1998, tavole 78, 80, nn 106, 127, 128.

(35)

compare nella tavolozza delle città/ “Libyan palette” (illustrazione 14, n°1)201.

Il segno dell’animale sdraiato (che Dreyer legge come elefante) viene identificato come l'animale di Seth (Kahl); lo sciacallo come Khentiamentiu (illustrazione 14, nn 3-9). Il falco sopra il segno S è letto come “distretto di Horus” S Hrw (immagine 15, nn 1-2).202 Il segno del bacino S potrebbe rappresentare il Fayum.203

Il pr-wr, che sarà utilizzato solo come determinativo nelle epoche successive, viene letto da alcuni come logogramma (immagine 14, nn 3-6); esso è associato al segno di animale accucciato (Seth o elefante?). Alejandro Jiménez-Serrano ne dà varie letture204: potrebbe effettivamente essere il nome di Nekhen, data la

specificità del santuario pr-wr e le conosciute inumazioni di elefanti nel cimitero delle élites205.

Il falco si trova anche su un trespolo triangolare che ricorda la base dello stendardo divino206 (cfr. G7, R12). Di tutti gli animali rappresentati nelle etichette,

solo il falco è sul trespolo/stendardo (immagine 15, nn 3-5)207. Il falco in questione

viene letto da Dreyer come “harem del re Falco”, poiché egli interpreta il trespolo triangolare come una vulva208.

Il segno della pianta/ramo viene letto da Kahl come jmA/AS (immagine 15, nn 6-8)209. Secondo Ilona Regulski un'identificazione di questo segno con il segno M34

potrebbe essere una possibilità210.

Degli esempi di cui sopra, solo il primo può vantare paralleli di spelling in età storica; ciò non esclude tuttavia a priori le altre letture, poiché l'ortografia può non essere ancora fissata in un periodo di formazione, ma venire stabilita solo successivamente211. 201 O'Connor 2009, pp.144-145. 202 Wegner 2007, p.483. 203 Anselin 2004, p.567. 204 Jiménez-Serrano 2007, p.55. 205 Anselin 2004, p.562. 206 Anselin 2004, p.564. 207 Anselin 2004, p.566. 208 O'Connor 2009, p.144. 209 Jiménez-Serrano 2004, p.856. 210 Regulski 2008, p.145 211 Kahl 2001, p.113.

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Nonostante queste proposte di lettura, non c'è dubbio che il corpus di segni sia in larga parte logografico, se non addirittura iconico (il che, come già detto, farebbe rientrare il tutto nella categoria della semasiografia). Di quest'ultimo avviso è Frank Kammerzell, il quale ritiene che le etichette della tomba U-j non siano da considerare scrittura, ma che siano da inserire nell'insieme dei cosiddetti non-textual marking systems, con la sporadica presenza di segni linguistici212. Il tutto è

complicato dal fatto che i segni da cui origina il sistema di scrittura geroglifico trasmettessero molto probabilmente significati indipendenti dal loro ruolo all'interno del sistema213.

Laddove si trovino determinativi o complementi fonetici, essi potrebbero essere spiegati come strategie di disambiguazione create ad hoc, non facenti ancora parte

212 Kammerzell 2009, p.304: “It is likely that these very signs triggered the emergence of a script,

but calling [them] a writing system is not justified”.

213 Postgate, Wang, Wilkinson 1995, p.460.

15. Illustrazione: etichette da Dreyer 1998, tavole 77, 79, 80, nn 111-113, 146-148. I segni da Gardiner 1957.

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di un sistema ben definito214. Alejandro Jiménez-Serrano fa tuttavia notare che, in

un sistema ristretto come quello delle etichette della tomba U-j, l'uso di determinativi non è a rigor di logica giustificabile dalla necessità di disambiguazione, poiché appunto il corpus di parole e segni è fortemente limitato215. Secondo John Baines, i segni che potrebbero avere la maggiore

probabilità di mantenere lo stesso valore fonetico nei secoli successivi sono alcuni segni che rappresentano uccelli, il canale d'acqua rettangolare (N37), il fonogramma S, ed il già nominato cobra D (I 10)216. Tuttavia, Ilona Regulski non

elenca il cobra di U-j nelle sue tavole paleografiche.

Paralleli di epoche precedenti con la scrittura trovata nella tomba U-j sono scarsi. Uno, forse il più sicuro, si può fare con i colossi di Coptos, rappresentanti il dio Min stante, su cui sono stati graffiti dei segni simili a quelli sulle etichette e sui vasi a manici ondulati217. I colossi, scoperti da Petrie nel 1896 (illustrazioni

16-17), presentano graffiti due stendardi di Min con un ramo, un uccello dalle lunghe gambe, un serpente (?), due conchiglie del genere Lambis, un elefante sopra a delle colline, un falco su un trespolo e due quadrupedi218.

Lo stile dei geroglifici di U-j è molto simile a quello riscontrabile nei segni della cosiddetta “Hunter's Palette”(tavola 6)219.

214 Stauder 2010, p.141. 215 Jiménez-Serrano 2007, p.63. 216 Baines 2004, p.158. 217 Baines 2004, p.167. 218 Jiménez-Serrano 2004, p.847. 219 Baines 2004, p.169.

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16. Illustrazione: disegni del colosso dell’Ashmolean 1894.105e (Boyce), in Kemp 2000, p.212.

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17. Illustrazione: (a sinistra) disegni del colosso dell’Ashmolean 1894.105d (Boyce), in Kemp 2000, p.212; (a destra) disegni del colosso del Cairo JdE 30770 (Boyce); in Kemp 2000, p.212.

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2.4 I segni dipinti sui vasi.

Tra il repertorio di documenti iscritti rinvenuti nella tomba U-j circa 125 vasi recano iscrizioni dipinte ad inchiostro; esse ricorrono su giare ad anse ondulate che contenevano olio o grasso. 220

Sulla loro superficie sono in genere rappresentati uno o due segni in grande scala, di solito un albero, una pianta o un animale (pesce, scorpione, conchiglia lambis truncata: Illustrazione 18).

Secondo il loro scopritore, l’archeologo Günter Dreyer, una chiave per la comprensione dei segni può rintracciarsi nell'ipotesi che essi specifichino il contenuto delle ceramiche o il loro luogo di provenienza o di destinazione.221

Poiché tuttavia tutte le forme contenevano la stessa sostanza, è difficile collegare le iscrizioni ad uno specifico contenuto; inoltre, provenendo tutte dallo stesso sito, è improbabile che fossero destinate a diversi individui o luoghi. Sulla base di ritrovamenti simili posteriori, sembra dunque plausibile che le iscrizioni indicassero il luogo di origine delle sostanze contenute nei vasi, ossia le tenute agricole (l'albero starebbe per “piantagione” secondo Dreyer) fondate da vari re (l'animale indicherebbe il nome del re), che da loro prendevano il nome.222

220 Dreyer 1998, p.47; O’Connor 2009, p. 144 ne menziona 133. 221 Dreyer 2011, p.134.

222 Dreyer 2011, p.135.

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