7
Esercitazione del 14/12/2010
Dalla teoria della distribuzione dei valori di mappe olomorfe, nella scorsa eser-citazione abbiamo ricavato il lemma di Borel: f1, . . . , fN : C → C∗ olomorfe e
tali che ! fi≡ 1 sono linearmente dipendenti su C. Ne diamo ora alcune forme
equivalenti.
Prp 7.1 Le seguenti sono equivalenti:
Borel f1, . . . , fN : C → C∗ olomorfe e tali che ! fi ≡ 1 sono linearmente dipendenti su C;
i. se f1, . . . , fN : C → C∗ sono olomorfe e tali che ! fi ≡ 1, allora una di esse `e costante;
ii. se g1, . . . , gM : C → C∗ sono olomorfe e tali che ! gi ≡ 0, allora esiste una partizione I1∪ . . . ∪ Ik di {1, . . . , M} tale che!Iαgi ≡ 0 e i, j ∈ Iα
sse gi/gj≡ const., con |Iα| ≥ 2 per ogni α.
Dim: i. ⇒ ii. Si ha!λifi= 0 con, wlog, λ1= 1; sottraendo all’ipotesi si
ottiene
(f1− f1) + f2(1 − λ2) + . . . + fN(1 − λN) = 1
ovvero
f2(1 − λ2) + . . . + fN(1 − λN) = 1
A meno di eliminare i casi in cui λi = 1, abbiamo ora h1, . . . , hk : C → C∗
olomorfe e tali che ! hi ≡ 1 con k ≤ N − 1; dunque possiamo ripetere il
procedimento di prima, applicando di nuovo Borel e riducendo ulteriormente il numero delle funzioni. Il procedimento si ferma quando rimaniamo con una sola funzione per la quale vale (1 − µ)g ≡ 1, ovvero g `e costante.
ii. ⇒ iii. Siano date le gi e definiamo la partizione I1, . . . , Ik di {1, . . . , M} di
modo che i, j ∈ Iαsse gi/gj `e costante. Poniamo hα=
"
i∈Iα
gi
e osserviamo che h1+ . . . + hk ≡ 0; poich´e ogni hα`e multiplo di gi per i ∈ Iα,
allora hα≡ 0 oppure hα)= 0 sempre. Wlog, supponiamo che h1, . . . , hm siano
mai nulle e che hm+1, . . . , hk ≡ 0. Per 2 ≤ α ≤ m, poniamo fα = −hα/h1, di
modo che si abbia ! fi ≡ 1; notiamo che le fi cos`ı definite sono olomorfe mai
nulle e dunque esiste fαcostante, diciamo fα≡ µ. Ora, se h1= C1gi con i ∈ I1
e hα= Cαgj con j ∈ Iα, otteniamo che −hh1α = µ ⇒ −CC1gαgj
i = µ ⇒ gj= − µC1
Cα gi
ovvero j ∈ I1, che `e assurdo. Dunque hα = 0 per ogni α (e poich´e le gi non
erano nulle, questo implica che |Iα| ≥ 2 per ogni α).
iii. ⇒ i. Supponiamo date f1, . . . , fN : C → C∗ olomorfe a somma 1.
Definia-mo f0= −1, di modo che f0+ ! fi≡ 0 e consideriamo la partizione I0, . . . , Ik.
Sia I0la classe di equivalenza di f0, allora, se I = I0abbiamo finito, in quanto
tutte le funzioni sono costanti; altrimenti, consideriamo che !i∈Iαfi≡ 0 `e una
La terza formulazione equivalente del lemma di Borel ci permette di dare una precisa connotazione geometrica alla degenerazione di una curva olomorfa che ometta abbastanza iperpiani.
Thm 7.2 Siano H1, . . . , Hn+2iperpiani di CPn in posizione generale, con n ≥
2. Sia poi f : C → CPn una funzione olomorfa la cui immagine non interseca nessun Hi. Allora f(C) `e contenuta in un iperpiano.
Dim: Consideriamo l’inclusione CPn #
→ CPn+1, dove CPn viene identificato
con z0+ . . . + zn+1) = 0 e gli iperpiani H1, . . . , Hn+2possono essere considerati
come l’intersezione di questo con gli iperpiani zi = 0. Dunque f si solleva a F = (F0, . . . , Fn+1) : C → CPn+1tale che Fi)= 0 e!Fi= 0. Quindi esiste una
partizione degli indici {0, . . . , n + 1} data dagli insiemi I1, . . . , Ik. Siano J = I1
e K = {0, . . . , n + 1} \ J; definiamo l’iperpiano HJK= # " i∈J zi= 0 $
Dalla proposizione precedente, si ha che f(C) ⊂ HJK. !
Gli iperpiani di CPn ottenuti dall’intersezione di H
JK con H = {!zi = 0}
sono detti iperpiani diagonali; `e facile verificare che
HJK = % & i∈J Hi ' ⊕ % & i∈K Hi '
da cui la nomenclatura di diagonale. Se infatti n = 2, gli iperpiani diagonali di 4 rette a tre a tre non concorrenti in CP2 sono esattamente le tre diagonali del
quadrilatero da esse formato.
Thm 7.3 Sia f : C → CPn olomorfa che omette gli iperpiani H1, . . . , H n+p in posizione generale. Allora f(C) `e contenuta in un sottospazio di dimensione ≤ [n/p].
Dim: Sia Fi : Cn+1 → C la forma lineare che definisce il sollevamento in
Cn+1dell’iperpiano H
i e sia (f :C → Cn+1\ {0} il sollevamento di f. Poniamo hi= Fi◦ (f , allora hiha valori in C∗; poniamo inoltre {1, . . . , n+p} = I1∪. . .∪Iq
con i, j ∈ Iα se e solo se hi/hj `e costante.
Claim: Fissato α0, Jα0 = )β#=α0Iβ ha al pi`u n elementi.
Se cos`ı non fosse, sia J formato da n + 1 elementi di Jα0 e da 1 elemento di Iα0;
costruiamo una partizione J = ) Jαdefinendo Jα= J ∩Iα. Le funzioni {Fj, j ∈ J} sono n+2 forme lineari su Cn+1e quindi sono linearmente dipendenti, dunque
per il teorema precedente ogni Jα deve avere almeno due elementi. Ma Jα0 ha
un solo elemento, il che `e assurdo. Dunque Jα0 ha al pi`u n elementi.
Dunque, |Iα| ≥ p per ogni α e qp ≤ n + p. Sia ora I$ ⊂ {1, . . . , n + p} tale
che |I$| = n + 1; definiamo una sua partizione ponendo I$
α= I$∩ Iα; allora le
equazioni
Fi= ciFi0 i∈ Iα$, i)= i0
per un fissato i0 ∈ Iα$ sono kα− 1, dove kα| = |Iα$|. Dunque le funzioni hi
soddisfano almeno k1− 1 + . . . + kq− 1 equazioni linearmente indipendenti, ma
k1− 1 + . . . + kq− 1 = n + 1 − q ≥ n + 1 − n + p
n = n − n p
e dunque l’immagine di f `e contenuta in un sottospazio di dimensione al pi`u
n/p. !
Cor 7.4 Se f : C → CPn omette 2n + 1 iperpiani in posizione generale, allora f `e costante.
Per dare una descrizione pi`u geometrica, riportiamo alcune definizioni e alcu-ni risultati (senza dimostrazione) da un lavoro di Zaidenberg2. Dati H1, . . . , H
N
iperpiani in CPn, diremo che essi sono
(a) in configurazione iperbolica se per ogni $ linea proiettiva in CPn, $ ∩)H i
contiene almeno 3 punti;
(b) in configurazione iperbolicamente immersa se ogni $ retta proiettiva in CPn interseca )
##⊂HiHi in almeno 3 punti.
Esempio Sei rette in CP2, tre delle quali passano per un punto p, mentre le
altre tre passano per un punto q, non sono in configurazione iperbolica, infatti la retta per p e q le interseca in due soli punti. Due rette per p, due rette per q e la retta per p e q sono in configurazione iperbolica, ma non in configurazione iperbolicamente immersa, in quanto la retta per p e q interseca le altre in due soli punti.
Thm 7.5 H1, . . . , HN rispettano (a) solo se N ≥ 2n + 1.
Thm 7.6 H1, . . . , HN rispettano (a) se CPn\)Hi `e iperbolico.
Thm 7.7 H1, . . . , HN, N ≥ 2n+1 sono in posizione generale solo se rispettano (a).
Thm 7.8 H1, . . . , H2n+1 sono in posizione generale se rispettano (a).
Thm 7.9 Dati H1, . . . , HN, X = CPn\)Hi `e iperbolico completo e iperboli-camente immerso se e solo se gli iperpiani rispettano (b).
Thm 7.10 Il complementare di 2n + 1 iperpiani `e iperbolicamente immerso se
e solo se sono in posizione generale.
Esempio In CPn, consideriamo Y = {z
0· · · zn(z0−z1)(z1−z2) · · · (zn−1−zn) =
0}; X = CPn
\Y `e iperbolico completo ma non iperbolicamente immerso. Infatti X ∼= (C \ {0, 1})n e dunque `e iperbolico completo, ma la retta $ = {z
1 = . . . = zn−1 = 0} interseca gli iperpiani che non la contengono solo nei punti
[0, . . . , 0, 1] e [1, 0, . . . , 0]. Dunque per il teorema di Green e Howard non pu`o essere iperbolicamente immerso.
2M. Zaidenberg, Picard’s theorem and hyperbolicity, Siberian math. J.,vol. 24 (1983), 858-867
7.1
Nozioni di aritmetica su campi di numeri
La teoria di Nevanlinna trova un parallelo stretto nell’artimetica diofantea; per sviluppare questa similitudine dobbiamo per`o introdurre alcune notazioni e nozioni di aritmetica sui campi di numeri.
Innanzitutto, un campo di numeri `e un’estensione algebrica finita di Q, ov-vero `e un campo k tale che [k : Q] < +∞; sia A la chiusura integrale di Z in C, ovvero l’anello degli interi algebrici, allora l’anello Ok = A ∩ k `e detto anello degli interi di k.
Le valutazioni non archimedee su k sono gli ideali primi p ⊂ Ok, le valu-tazioni reali sono gli embedding σ : k #→ R e le valuvalu-tazioni complesse sono le
coppie non ordinate (σ, σ) con σ : k #→ C un embedding con immagine non contenuta in R. L’insieme delle valutazioni si indica con Mk, mentre l’insieme
delle valutazioni reali e complesse (dette anche archimedee) si indica con S∞. Ad ogni valutazione `e associata una norma su k, nel seguente modo: se
ν ∈ Mk `e una valutazione non archimedea e quindi corrisponde ad un ideale
primo p ⊂ Ok, definiamo
0x0ν = (Ok : p)ordp(x)
se x )= 0 e 0 altrimenti, dove ordp(x) `e l’esponente di p nella fattorizzazione
dell’ideale frazionario (x); se ν ∈ Mk `e reale, poniamo 0x0ν = |σ(x)| (dove
il valore assoluto al secondo membro `e l’usuale modulo reale) e se ν ∈ Mk `e
complessa, definiamo 0x0ν= |σ(x)|2.
Esempio Se k = Q, Ok = Z e i suoi ideali primi sono generati dagli usuali
numeri primi, p = (p) con p = 2, 3, 5, . . .; inoltre esiste un unico embedding reale di Q (quello ovvio) e non vi sono embedding complessi non contenuti nella retta reale. Dunque MQ= {∞, 2, 3, 5, . . .}, dove ∞ sta per la valutazione reale. Inoltre, se x ∈ Q, si ha
0x0p= p−n
dove n `e l’unico intero tale che esistono a, b ∈ Z non divisibili per p tali che
x = pn(a/b). Dunque, ad esempio, se x = 21/26,
0x02= 2 0x03= 1/3 0x05= 1 0x07= 1/7 0x011= 1 0x013= 13
e 0x0p = 1 per ogni altro primo, mentre ovviamente 0x0∞ = 21/26. Si pu`o
notare che *p0x0p= 26/21 = 1/0x0∞.
Esempio Se k = Q(α) con α3 = 2, allora O
k = Z[α] (attenzione! non `e vero
in generale per qualunque α algebrico). In Mk troviamo una sola valutazione
reale data da σ(α) = 21/3 (il comportamento su Q `e fissato) ed una sola
valu-tazione complessa data dalla coppia di embedding coniugati σ1(α) = ω21/3 e σ2(α) = ω221/3 con ω una radice terza dell’unit`a. Per quanto riguarda invece
le valutazioni non archimedee, la loro determinazione richiede lo studio delle estensioni degli ideali primi di Q in k; ad esempio, il discriminante di k `e −108 e dunque gli unici primi con ramificazione saranno 2 e 3, entrambi con ramifi-cazione pari a 3; i primi p tali che 3 ) |p − 1 si spezzeranno come prodotto di due primi, entrambi con ramificazione 1, corrispondenti a due estensioni di Qp
di grado 1 e 2, mentre i primi p congrui a 1 modulo 3 si spezzeranno in tre primi di ramificazione 1 oppure non si spezzeranno, a seconda che 2 sia o meno un residuo cubico modulo p. Questo fornisce una completa descrizione degli
ideali primi di k e dunque di Mk. Per quanto riguarda le norme indotte da tali
valutazioni, esse sono collegate alla norma dell’estensione di campo kPi ⊇ Qp,
dove Pi `e l’ideale primo di k rispetto a cui vogliamo calcolare la norma e p `e
l’ideale di Q che gli sta sotto. Ad esempio, se ν `e la valutazione corrispondente all’ideale primo sopra a (2), si ha
0x0ν = 0Nkν/Q2(x)0
1/3 2
e in questo caso `e proprio 0Nk/Q(x)01/32 . Quindi, ad esempio, 0α0ν = 0Nk/Q(α)01/32 = 020 1/3 2 = 1 3 √ 2
In generale, vale la seguente relazione tra le norme, detta formula del
pro-dotto: +
ν∈Mk
0x0ν = 1 ∀ x ∈ k∗
Le norme ora introdotte ci permettono in qualche modo di misurare quanto un elemento del campo `e ”distante” dalle unit`a del campo (ovvero le unit`a dell’a-nello Ok), quanto `e, si potrebbe dire, complicato. Ad esempio, su Q, osserviamo
che le norme p−adiche (quelle indotte da una valutazione non archimedea) so-no tanto maggiori quanto pi`u `e complicata la fattorizzazione del deso-nominatore, mentre la crescita della norma archimedea indica quanto il numeratore sorpassa il denominatore. In questo spirito, definiamo altezza di un elemento x ∈ k la quantit`a
Hk(x) =
+
ν∈Mk
max{0x0ν, 1}
Ad esempio, HQ(a/b) = max{|a|, |b|}, se (a, b) = 1. Tale altezza `e a volte detta
moltiplicativa per distinguerla da hk(x) = log Hk(x), che `e l’altezza additiva.
Per chiarire il concetto, esaminiamo il teorema di Roth, risultato classico riguardante l’approssimazione di numeri algebrici tramite frazioni.
Prp 7.11 (Roth) Siano α ∈ Q, (, C > 0, allora esistono finite coppie (a, b) ∈ Z2 con (a, b) = 1 tali che
, ,
,ab − α,,, ≤ |b|C2+%
In un certo senso, la bont`a dell’approssimazione e il grado di complessit`a del-l’approssimante sono legate di modo che non sia possibile approssimare a piacere con una fissata complessit`a dell’approssimante. Una riformulazione non trop-po distante del risultato di Roth consiste nell’utilizzare l’altezza moltiplicativa come stima della complessit`a:
, ,
,ab − α,,, ≤ H C
Q(a/b)2+%
ha comunque un numero finito di soluzioni ai minimi termini. Volendo ”rinno-vare” la notazione, potremmo anche scrivere
--ab − α-- -∞≤ C H(a/b)2+%
utilizzando la valutazione reale di Q. Su questa strada si giunge ad una gene-ralizzazione del teorema di Roth per campi di numeri.
Prp 7.12 Sia k un campo di numeri e S ⊆ Mk. Dati αν ∈ Q con ν ∈ S, siano (, C > 0; allora esistono finiti x∈ k tali che
+
ν∈S
min{1, 0αν− x0ν} ≤ C Hk(x)2+%
Se ora prendiamo − log dei due membri, otteniamo che, fissati (, c > 0, la disuguaglianza " ν∈S log+ --x− α1 ν -ν ≥ (2 + ()hk(x) + c
vale solo per un numero finito di elementi di k.
Ora, sempre fissato un insieme di valutazioni S che contenga S∞, poniamo
mS(x) = " ν∈S log+ 0x0ν mS(a, x) = mS . 1 x− a / NS(x) = " ν#∈S log+ 0x0ν NS(a, x) = NS . 1 x− a /
La prima `e detta funzione di prossimit`a e la seconda funzione di conteggio; osserviamo che Hk(x) = mS(x) + NS(x), per definizione. Tali funzioni sono
l’analogo aritmetico delle omonime definite nella teoria di Nevanlinna.
La funzione mS misura quanto la x `e prossima (approssima) a rispetto alle
valutazioni in S, mentre NS guarda il comportamento sul complementare.
Il risultato di Roth si pu`o quindi ulteriormente riformulare dicendo che, dati
S ⊇ S∞, a1, . . . , aq ∈ k, (, c > 0 reali, per tutti gli x ∈ k tranne al pi`u un
numero finito si ha che "
j
mS(aj, x)≤ (2 + ()hk(x) + c
che `e un analogo del Secondo Teorema della teoria di Nevanlinna. Inoltre, si riesce a dimostrare che
hk(x) = mS(a, x) + NS(a, x) + O(1)
dove O(1) = hk(a) + [k : Q] log 2, che ci fornisce un analogo del Primo Teorema.
In generale, la chiave di lettura per il parallelismo tra teoria di Nevanlinna e approssimazione diofantea `e data dalla seguente corrispondenza:
• una funzione olomorfa f : C → C corrisponde a una successione infinita
di elementi {xn}n∈N⊆ k
• un raggio r corrisponde ad un elemento x
• la scelta degli angoli θ corrisponde alle valutazioni in S • |f(reiθ)| trova il suo analogo in 0x0
ν∈S • ordzf diventa ordνx
• la funzione caratteristica Tf(r) si trasforma nell’altezza hk(x) • mf e Nf diventano mS e NS
• la formula di Jensen per il primo coefficiente dello sviluppo di Laurent
diventa la formula del prodotto