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Comparazione del legame di attaccamento del cane con la madre e con un cane convivente

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria

Tesi di Laurea

COMPARAZIONE DEL LEGAME DI ATTACCAMENTO

DEL CANE CON LA MADRE

E CON UN CANE CONVIVENTE

Candidato: Emilia Votta Relatori: Dott. Angelo Gazzano

Dott.ssa Chiara Mariti

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Ai miei Nonni

“S

iamo nani sulle spalle dei giganti”

Bernardo da Chartres

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Indice

Riassunto

p. 5

Capitolo 1. Introduzione

p.7

1.1- L’origine e la domesticazione del cane

1.1.1- I reperti archeologici

p.8

p.9 1.2- La domesticazione nel cane

1.2.1- I rapporti con l’uomo

p.9 p.11 1.3- La teoria dell’attaccamento

1.3.1- Il legame madre-neonato 1.3.2- I periodi sensibili del cucciolo

p.12 p.14 p.19 1.4- La strange Situation p.21 1.5- Il legame di attaccamento tra cane e uomo p.23 1.6- Lo stress nel cane

1.6.1- La fisiologia dello stress 1.6.2- Le conseguenze dello stress 1.6.3- La misurazione dello stress

p.27 p.29 p.31 p.33 1.7- Il rapporto del cane con i conspecifici p.34

1.8- Scopo del lavoro p.35

Capitolo 2. Soggetti, materiali e metodi

p.36

2.1- I Partecipanti p.37

2.2- L’area del test

p.42

2.3- Procedura dell’esperimento p.44

2.4- I comportamenti p.46

(4)

4

Capitolo 3. Risultati

p.53

3.1- Tabelle degli episodi con madre contro episodi con convivente

3.1.1- Grafici con comportamenti statisticamente significativi

p.54 p.56 3.2- Risultati dei comportamenti non sociali nel sottogruppo CC

3.2.1- Grafici con comportamenti statisticamente significativi

p.60 p.67 3.3- Risultati dei comportamenti sociali nel sottogruppo CC

3.3.1- Grafici con comportamenti statisticamente significativi

p.71 p.76 3.4- Risultati dei comportamenti non sociali nel sottogruppo CM

3.4.1- Grafici con comportamenti statisticamente significativi

p.78 p.84 3.5- Risultati dei comportamenti sociali nel sottogruppo CM

3.5.1- Grafici con comportamenti statisticamente significativi

p.87 p.91 3.6- Sintesi dei risultati statistici p.94 3.7- Confronto grafico dei comportamenti non sociali madre vs convivente p.98 3.8- Confronto grafico dei comportamenti sociali madre vs convivente

p.105

Capitolo 4. Discussione

p.111

Capitolo 5. Conclusioni

p.117

Bibliografia

p.119

Allegato

p.131

Ringraziamenti

p.134

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Riassunto: La ricerca sul legame di attaccamento nel cane domestico si è

principalmente focalizzata sul legame del cane con gli umani. In un precedente studio è stato trovato che i cani adulti, quando testati con il test Ainsworth strange situation

(ASST), con un cane convivente, mostrano una preferenza per l’estraneo. Basato sul fatto che la ASST è stata originariamente creata per testare i bambini con la

loro madre, e che i cani adulti manifestano comportamenti come i bambini nell’ASST quando testati con i propri padroni, si può ipotizzare che i cani adulti quando testati con la propria madre canina potrebbero mostrare comportamenti simili ai bambini testati con gli operatori.

Cinquantasette cani adulti sono stati testati in una versione modificata della ASST, 18 cani con la loro madre e 39 cani con il conspecifico convivente più anziano. I due sottogruppi non mostrano marcate differenze quando confrontati l’un con l’altro. Ciò nonostante l’analisi tra i due sottogruppi ha rilevato che sia i cani testati con il convivente oltre che quelli con la madre hanno mostrato una preferenza per l’estraneo umano, che ha un effetto migliorativo più alto rispetto al conspecifico convivente. I cani testati con la loro madre invece hanno manifestato sia comportamenti sociali che non sociali in modo simile sia in compagnia della madre che dell’estraneo dopo la loro riunione con quest’ultimi. Considerando la particolare attrazione che gli esseri umani hanno per i cani e le differenze osservate nel presente studio, si può concludere che i cani adulti mostrano un legame più forte per la madre. Una futura ricerca potrà chiarire se questo dipende dalle cure materne ricevute e/o dal tempo trascorso con la madre dalla nascita.

Parole Chiave: test Ainsworth Strange Situation, attaccamento, comportamento, legame, cane, intraspecifico.

Abstract: Research on the attachment bonds in the domestic dog has mainly focused on

dog bond towards humans. In a previous study it was found that adult dogs, when tested in the Ainsworth Strange Situation Test (ASST) with a cohabitant dog, show a preference for the stranger. Based on the fact that ASST was originally created to test children with their mother, and that adult dogs show child-like behaviours in the ASST when tested with their owners, it can be hypothesized that adult dogs when tested with their canine mother would behave similarly to children tested with caregivers. Fifty-seven adult dogs were tested in an intraspecific version of the ASST, 18 dogs with their

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own mother and 39 with an older unrelated cohabitant dog. The two groups did not show remarkable differences when compared one to the other. However, the within-group analysis revealed that dogs tested with the cohabitant dog other than the mother showed a preference for the human stranger, who had a higher ameliorative effect than the companion dog. Dogs tested with their mother instead displayed both social and non-social behaviours in a very similar manner when in the company of the stranger or of the mother after being reunited with them. Considering the peculiar appeal that human beings have to dogs and the differences observed in the current study, it can be concluded that adult dogs showed a stronger bond for the mother. Future research may clarify if this depends on the maternal care and/or on the time spent with the mother since birth.

Keywords: Ainsworth Strange Situation test, attachment, behavior, bond, dog, intraspecific.

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1-CAPITOLO

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1.1 L’origine del cane domestico

Il cane domestico (Canis familiaris) è un mammifero carnivoro appartenente al genere Canis, che annovera inoltre il Coyote (Canis latrans), quattro specie di sciacalli (C.

adjustus, C. aureus, C. mesomelas e C. simensis) e due specie di lupo: il lupo grigio

comune o lupo delle foreste (C. lupus) e il lupo rosso (C. rufus). Le origini del progenitore del cane risalgono a un periodo molto lontano: fra i 40 e i 50 milioni di anni fa viveva un piccolo mammifero arboricolo piuttosto simile nell’aspetto alla donnola e alla puzzola, conosciuto come Miacis. Circa 20 milioni di anni fa poi, la linea dei Canidi si è andata ad originare proprio dal Miacis, passando attraverso il Cynodictis (Csànyi, 2007). Il primo vero Canis arrivò solo nel Pliocene, tra 5 e 2 milioni di anni fa, e diede vita all’antenato diretto del cane domestico: un animale molto simile al lupo grigio (Canis lupus).

In passato ci sono stati dibattiti divergenti sull’origine del cane; lo stesso Lorenz (1989) all’inizio aveva ipotizzato che alcune razze di cani derivassero da lupi ed altre da sciacalli, ma le successive analisi genetiche di DNA mitocondriale hanno confermato che solo il lupo (Canis lupus) è effettivamente il progenitore del cane (Vilà et al., 1997) e che il processo di domesticazione è avvenuto in modo indipendentemente in diverse popolazioni di lupi (Gallicchio, 2001). Il motivo che ha portato alla formazione di questa alleanza è sconosciuto. Con molta probabilità furono i lupi a fare il primo passo avvicinandosi agli insediamenti umani per nutrirsi dei resti di cibo che questi gettavano via (Sery Young, 1987), ma certamente entrambi ne hanno tratto vantaggio: i lupi mangiando gli scarti umani tenevano lontani gli altri animali dai centri abitati e mangiando le feci tenevano puliti gli insediamenti. Si ipotizza, inoltre, che all’inizio della domesticazione alcuni lupi siano stati uccisi occasionalmente dagli uomini per mangiarne le carni e coprirsi con la loro pelliccia, mentre i cuccioli venivano tenuti e abituati a vivere all’interno degli insediamenti umani (Clutton Brock, 1995). Capitava talora che un cucciolo particolarmente tranquillo e sottomesso sopravviveva e finiva per diventare un lupo adulto che riconosceva nel gruppo umano il proprio branco. Passeranno molte generazioni di lupi nati e cresciuti nel branco umano (riprodottisi in cattività) prima di ottenere il primo vero lupo domestico (Clutton Brock, 2001).

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1.1.1 I reperti archeologici

L’alleanza tra lupi e ominidi ha origini antiche. Secondo la comunicazione personale di Parfitt riportata da Clutton Brock (1995, p. 8) i primi ritrovamenti di ossa di lupo insieme a quelle di ominidi (Boxgrove nel Kent in Gran Bretagna) risalgono all’inizio del Medio Pleistocene (400.000 anni fa). Queste evidenze archeologiche hanno dimostrato che il cane è stato il primo animale ad essere stato domesticato; i primi resti di cani domestici sono stati rivenuti in una caverna nel sito di Ein-Mallaha, Israele del Nord, risalenti a 12.000 anni fa. E’ stata ritrovata una tomba contenente uno scheletro di una persona anziana, di cui non è stato possibile definire il sesso a causa dei danni riportati al bacino, che giace sul fianco destro in posizione raccolta. Il braccio sinistro era al di sotto della fronte e la mano aperta poggiava sul torace di un cucciolo di cane evidentemente seppellito con il presunto proprietario (Gallicchio, 2001). Sono stati rinvenuti cani ovunque vi fossero resti umani, a partire da 6500 anni fa (Sery Young, 1987). Studiandone i reperti, in qualsiasi cane è possibile evidenziare, seppur in misura diversa a seconda della razza, affinità con il lupo, riscontrabili a livello anatomico (ad esempio morfologia generale delle ossa, dentatura, forma del cervello), fisiologico (ad esempio struttura del tratto digerente) e comportamentale (ad esempio posture di sottomissione). Eventuali cambiamenti vanno attribuiti alla conservazione, nell’animale adulto, di caratteri giovanili, come la regione facciale accorciata, i grandi occhi, le zampe corte, il pelo morbido, il comportamento “infantile” (Clutton-Brock, 2001): l’uomo ha operato questa selezione artificiale per scopi estetici, sociali e culturali e questo ha portato alla persistenza, nel cane, di caratteri giovanili fin nello stadio adulto (neotenia) e all’arresto dello sviluppo ad uno stadio giovanile (pedomorfosi). Non bisogna dimenticare che il cane, a sua volta, ha sviluppato nuove caratteristiche, in particolare specifiche abilità sociali, adattandosi alla nicchia umana. Nel cane la domesticazione non deve essere vista solo come un processo che porta all’adattamento dell’animale all’ambiente umano, ma anche come un accumularsi di cambiamenti genetici, che dipendono dagli input ambientali e dall’interazione con essi, e che esercitano la loro influenza sul comportamento dell’individuo (Miklòsi et al., 2004).

1.2 Domesticazione del cane

Il cane, nel corso delle fasi di addomesticamento, è andato incontro a diverse modificazioni sia morfologiche che comportamentali, dovute ad una selezione naturale ed ad una selezione artificiale attuata dall’uomo per scopi estetici, sociali e culturali che

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ha portato alla neotenia (persistenza di caratteri giovanili fin nello stadio adulto) e alla pedomorfosi (arresto dello sviluppo ad uno stadio giovanile) nel cane. Contemporaneamente il cane si è adattato a vivere nella società umana che ora rappresenta una nicchia ecologica naturale per questa specie (Miklòsi et al., 2004). In aggiunta, la selezione umana ha premiato i soggetti che rispondevano meglio ai comandi dati, così da ottenere individui che eccellevano nella comunicazione sociale con l’uomo(meglio degli scimpanzé e dei lupi), come è stato dimostrato da un lavoro di Hare e colleghi (2002) in cui le tre specie sono state messe a confronto con un test di recupero del cibo nascosto avvalendosi di suggerimenti dati dall’uomo. Proprio questa abilità canina di capire la comunicazione verbale e gestuale dell’uomo ha permesso a questi ultimi di condividere la propria vita con i cani (Miklòsi et al., 2004).

Nel corso dei secoli, e soprattutto degli ultimi decenni, i cani sono stati selezionati dall’uomo per svolgere una varietà di mansioni che di recente si sono sempre più ampliate e specializzate, anche in concomitanza con un progresso evolutivo dell’animale stesso. Oggi il cane non svolge più solo funzioni di guardia, difesa e aiuto nella caccia, ma svolge svariati compiti come quello di poliziotto, di soccorritore per persone sepolte sotto valanghe o macerie, di guida e assistenza per non vedenti e disabili; senza dimenticare soprattutto che il ruolo principale del cane rimane quello di

animale da compagnia tenuto per piacere e soddisfazione emotiva (Csànyi, 2007). Sono state le molteplici somiglianze tra il sistema sociale dell’uomo e quello dei canidi

a far si che l’addomesticamento del cane potesse avere luogo. Uomini e canidi vivono entrambi in gruppi familiari; hanno una struttura sociale basata su una gerarchia dinamica che si basa sulle capacità, sull’età o su entrambe; forniscono ingenti cure alla prole ed hanno una notevole capacità di comunicazione vocale e non vocale.

«E’ indispensabile, perché l’addomesticamento abbia luogo, che gli animali siano compatibili, nelle loro caratteristiche naturali, con la nostra specie. In particolare devono essere gregari - cioè sociali – devono essere poco specializzati per abitudini alimentari e territoriali, rapidamente adattabili ai mutamenti ambientali e riprodursi con facilità. Infine, ma questo carattere non è ultimo per importanza, devono sopportare fin dall’inizio la vicinanza dell’uomo.» Gallicchio (2001, p.18).

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1.2. I rapporti con l’uomo

I fattori che hanno influenzato il legame tra uomo e animali non umani sono inoltre di natura economica, psicologica, sociale e culturale. L’uomo trae molti vantaggi dal rapporto con gli animali, sia che li allevi come risorse economiche, sia che li tenga con sé sperimentando un beneficio emozionale (A.A.V.V., 2008); ci sono anche evidenze scientifiche che mostrano come questa interazione porta benefici anche alla parte animale (Marinelli et al., 2007). Nel corso di varie generazioni esemplari con determinate caratteristiche morfologiche (coda arricciata, pelo con particolari colorazioni…) e comportamentali hanno ricevuto un trattamento di favore dall’uomo, e poiché questi caratteri sono ereditari, si è andata evolvendosi, nel tempo, una specie a sé stante: il Canis familiaris.

L’animale domestico, o “animale da compagnia”, viene spesso descritto dal proprio padrone come un membro della famiglia (Albert e Bulcroft, 1988; Crawford et al., 2006), capace di stabilizzare la vita dell’uomo con costante presenza e con un amore incondizionato. Il forte legame che le persone formano con i propri animali da compagnia dipende da molti fattori, come per la presenza di comportamenti allelomimetici (ad es. un uccello che può imitare il linguaggio umano), caratteristiche neoteniche, reale o apparente somiglianza tra i sistemi comunicativi della specie umana e della specie alla quale appartiene l’animale (Lagoni et al., 1994), durata del tempo passato insieme, condivisione di esperienze (Voith, 1987).

Uomo e cane hanno strutture sociali e comportamentali molto simili, evolutesi in entrambe le specie per soddisfare le necessità della caccia di gruppo; la notevole affinità e le potenzialità di comunicazione oggi esistenti tra uomini e cani, si sono infatti sviluppate come parte integrante delle comuni origini di cacciatore che l’uomo condivide con il lupo. Similmente a ciò che avviene nelle comunità umane, anche nel lupo e nel cane la struttura sociale è basata sulla gerarchia che si instaura tra individui dominanti e sottomessi, costantemente consapevoli del proprio reciproco status. La presenza di comportamenti di dominanza e sottomissione, nella maggior parte dei casi ritualizzati, consente la convivenza e la comprensione reciproca, anche quando l’animale vive tra gli uomini. I cani sono stati i primi animali domestici a cui è stato permesso di entrare nel più profondo lato emotivo della vita di una persona. Menache (1998) afferma che, con la loro costante presenza al fianco dell’uomo associata alla loro vicinanza al mondo selvaggio, i cani sono diventati l’alter ego dell’essere umano, un

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riflesso sia della cultura che della ferocia umana. Quando gli esseri umani si trasferirono dalla campagna alla città, le persone trovarono nei cani un sostituto adatto al mondo naturale che si erano lasciati alle spalle. In quanto animale da compagnia, inoltre, il cane ha evoluto molti pattern comportamentali che sembrano particolarmente progettati per ottenere un attaccamento. I cani sono affettuosi di natura, e mostrano specifici comportamenti, come ad esempio i comportamenti ritualizzati di saluto del proprietario, per esprimere l’affetto (Hart, 1995). In tal modo, generando sentimenti di benessere e di essere amati, i cani fanno sì che le modalità comportamentali tra uomo ed animale da compagnia diventino piuttosto simili a quelle che si instaurano tra una persona ed un bambino, e le persone pur sapendo che un cane è un cane, si comportano come se si trattasse di un altro individuo umano (Voith, 1987). I cani occupano un ruolo significativo nella vita del proprietario, molto simile al ruolo che occupano i bambini, e ne influiscono profondamente la vita come è stato dimostrato da una ricerca condotta da Dotson e Hyatt (2003) sulla popolazione Americana. Addirittura molti proprietari affermano che l’attaccamento al proprio cane è forte come l’attaccamento verso il loro migliore amico, i propri figli e il proprio compagno (Dotson and Hyatt, 2008).

1.3 La teoria dell’attaccamento

«Il comportamento di attaccamento è quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità o una contiguità con un’altra, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in maniera adeguata. Questo comportamento diventa evidente ogni volta che la persona è spaventata, affaticata o malata, e si attenua quando si ricevono conforto e cure.» (Bowlby, 1989

p.25)

Negli anni Cinquanta John Bowlby, psicoanalista inglese che non si inseriva nello statuto scientifico della psicanalisi, trovò nell’etologia la base sicura scientifica dalla quale operare il suo avanzamento teorico sull’attaccamento. Egli infatti unì alcuni concetti psicanalitici con altri dell’etologia dando vita ad un ricco filone di ricerche. Fino a quel momento la psicanalisi aveva offerto due differenti descrizioni del rapporto madre-bambino: la teoria pulsionale, secondo la quale il legame emotivo con la madre sarebbe stato una pulsione secondaria basata sulla gratificazione dei bisogni orali: il bambino che va incontro ad un’eccitazione, per esempio la fame, cerca solo di scaricare

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tale eccitazione senza un reale desiderio di legame con la madre, e quindi l’attaccamento inteso come legame con l’oggetto risulta essere una pulsione secondaria; e la teoria delle relazioni oggettuali. Nel 1951 Bowlby iniziò ad interessarsi agli studi etologici e in particolare agli studi di Konrad Lorenz (1949) sull’imprinting e dagli esperimenti di Harry Harlow (1958) sulla privazione di cure materne nei macachi Rhesus nei primi mesi di vita.

Lorenz (1949) descrisse il comportamento di piccoli di alcuni uccelli nidifughi, i quali seguivano le proprie madri, o un surrogato di essa, non appena nati e mostravano segni di angoscia (pigolio, ricerca affannosa etc.) quando ne erano separati, mentre Harlow (1958) osservò che piccoli di scimmia Rhesus (Macaca mulatta) separati precocemente dalle madri mostravano una netta preferenza per un fantoccio di stoffa pelosa, cui rimanevano attaccati fino a 18 ore al giorno, rispetto al fantoccio di legno che provvedeva a nutrirli tramite biberon. Inoltre, anche questi piccoli mostravano segni di angoscia (attraversavano correndo la stanza e si buttavano a faccia in giù, comprimendosi convulsamente la testa ed il corpo ed emettevano grida di lamento) quando separati dal simulacro di stoffa.

Queste ricerche iniziarono a minare l’ipotesi che lo sviluppo di un forte legame nei confronti della madre da parte del piccolo fosse associato al nutrimento. Esse fornirono a Bowlby “il supporto scientifico all’ipotesi di un legame madre-figlio a motivazione primaria, anche nella nostra specie, e non secondaria rispetto al soddisfacimento di cibo e di pulsioni libidiche, come voleva la psicoanalisi” (Attili, 2007 p.20). Osservando il comportamento di piccoli di scimmia e di bambini piccoli in relazione con la figura materna e con l’ambiente, Bowlby rilevò gli stessi schemi comportamentali in specie diverse. In particolare verificò che, in presenza della madre, il piccolo esplorava l’ambiente circostante e intratteneva relazioni anche con altri membri del gruppo presenti mentre, quando avvertiva una qualche forma di pericolo, cessava di esplorare e tornava dalla madre per ricevere conforto e protezione. Bowlby sostenne, quindi, che come accade per i macachi, la sopravvivenza dei piccoli di uomo è assicurata non dal cibo, ma da una figura morbida e calda con cui possono avere contatto.

Grazie a Bowlby il legame di attaccamento alle figure familiari che si occupano di accudire al neonato diventa il sistema motivazionale centrale nei primi anni di vita, che spinge il bambino a mantenere la vicinanza fisica a queste figure per ottenerne la protezione. La teoria dell’attaccamento ha un carattere esplicitamente evoluzionistico: la

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predisposizione all’attaccamento presente alla nascita, ossia a ricercare e a mantenere la vicinanza con una figura specifica, è parte integrante del patrimonio genetico della specie umana e può essere studiata comparativamente anche rispetto agli altri primati umani, anche se l’uomo presenta caratteristiche specie-specifiche. Secondo Bowlby (1989), l’attaccamento è di vitale importanza ed esiste in tutti i mammiferi. In assenza della madre, oggetto primario di attaccamento, il bambino o il cucciolo sceglierà un altro oggetto di attaccamento. Il processo di attaccamento è un meccanismo bidirezionale: la madre lo subisce nei confronti della cucciolata nelle prime 24 ore dalla nascita grazie alla produzione ferormonale emessa dai cuccioli e dai loro annessi placentari, invece l’attaccamento dei cuccioli alla madre avviene soltanto alla fine del periodo di transizione, quando grazie allo sviluppo della parte corticale del cervello, l’attività sensoriale del cucciolo si specializza, il sistema di locomozione si perfeziona permettendo la percezione del mondo esterno, la vita di relazione e l’apprendimento (Colangeli e Giussani, 2004). L’attaccamento si può definire come una particolare forma di apprendimento che serve al cucciolo per identificare la madre che costituisce lo stimolo primario di mantenimento dell’omeostasi emozionale.

1.3.1 Il legame madre-neonato

Con la nascita dei cuccioli, si sviluppa immediatamente la vitale relazione tra la madre ed il neonato (Broom e Fraser, 2007). Molte femmine di mammifero infatti producono specifiche vocalizzazioni nel post partum: con il grooming, sia la madre che la prole possono vocalizzare e questo è molto importante per lo sviluppo del legame madre-neonato (Broom e Fraser, 2007). Con la nascita dei cuccioli, si sviluppa immediatamente la vitale relazione tra la madre ed il neonato (Broom e Fraser, 2007). Dunbar (1981), riferisce attraverso studi effettuati su cani di razza Beagle, che l’attrazione della madre verso stimoli olfattivi dei cuccioli appare uno dei fattori più importanti nello stabilirsi e mantenersi del legame madre/figlio.

I comportamenti materni, osservati e studiati, sono:

1. Comportamento di grooming, licking e licking ano-genital nel cane:

Dunbar (1979), riferisce che le cagne trovano estremamente attraenti i fluidi amniotici e che questi giocano un ruolo vitale nel direzionare il comportamento della madre verso lo stabilirsi e svilupparsi del legame con la propria prole. La neo mamma rimuove i

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fluidi amniotici che rivestono il neonato con un leccamento accurato del corpo del piccolo; il neonato, perde calore per conduzione mano a mano che lo spessore dei fluidi amniotici si riduce. Il grooming è diretto progressivamente dal dorso del neonato e dalla testa verso le parti più ventrali del corpo e agli arti. Queste attenzioni materne inoltre svegliano il neonato ed attirano la sua attenzione nei confronti della madre (Edwards e Broom, 1982; Broom e Freaser, 2007). Le cagne leccano i propri cuccioli sia per pulirli, sia per stimolare le funzioni cardiovascolare e respiratoria (Casella e Taglietti, 1996; Nowak, 2006). Il licking nella cagna è presente dal primo giorno di vita della prole, raggiunge il picco durante il 4-6° giorno, poi si riduce gradatamente fino a comparire non frequentemente a partire dal 42° giorno post partum. Il licking sembra avere diverse funzioni, conclusioni basate sui risultati che esso produce; in ordine di frequenza, le funzioni sono: stimolare l’ urinazione e la defecazione del cucciolo, svegliarli e recuperare i piccoli.. Il licking anogenitale è molto comune: nella regione anogenitale include l’ area dell’ ano, lo sbocco dell’ uretra, la pancia e la zona posteriore del corpo del cucciolo. Nei primi giorni determina l’ escrezione di urine e feci e la loro ingestione da parte della madre può non essere vista (la sua lingua è grande, i cuccioli sono piccoli ed anche le loro escreta probabilmente sono piccole) (Reinghold, 1963; Dunbar et al., 1981). A partire dal settimo giorno, e sempre di più nei giorni successivi, le escreta possono essere qualche volta viste uscire dai cuccioli ed essere poi consumate dalla madre. Il licking, da parte della madre, diventa sempre più vigoroso; il corpo del cucciolo è spesso sollevato in aria mentre la madre lo lecca, ed i cuccioli spesso protestano, soprattutto se si stanno allattando. Oltre a leccare la regione perineale, la cagna a volte lecca anche le teste e le schiene dei piccoli per svegliarli; i piccoli diventano dunque molto attivi e si muovono verso di lei, girano la loro testa verso la sua pancia si apprestano ad allattarsi. Più avanti, il licking sarà utilizzato dalla madre per richiamare i cuccioli. La regione perineale, infine, viene comunque leccata soprattutto nella prima settimana di vita maggiormente che la zona della testa e della schiena (Reinghold, 1963). Dunbar e colleghi (1981) e Ranson (1981), riferiscono che il licking anogenitale nella cagna si riduce rapidamente a partire dal ventesimo giorno post-partum per poi scomparire intorno a trentesimo giorno dalla nascita dei piccoli. La riduzione dell’ attività di licking anogenitale da parte della madre coincide con l’ acquisizione della capacità di urinare da soli dei cuccioli .

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2. Comportamento di contact, nursing e suckling nel cane:

Durante la prima settimana dopo il parto, la cagna resta per gran parte del tempo con i neonati, comportamento che aiuterà la prole a mantenere la proprio temperatura corporea, essendo essi incapaci di farlo (Pal, 2005; Broom e Fraser, 2007). Rheingold (1963), riferisce che il contatto tra la madre ed i cuccioli risulta massimo nei primi giorni di vita della prole; nelle prime due settimane, il contatto è ricercato soprattutto dalla madre, mentre quando i piccoli acquisiscono la vista e la capacità locomotoria, sono essi stessi che ricercano il contatto con la madre. Dunbar e colleghi (1981), inoltre, riferiscono attraverso studi condotti su cani di razza Beagle, che su 32 cuccioli testati, le madri hanno un primo contatto con i cuccioli di sesso maschile nel 59 % dei casi, mentre con quelli di sesso femminile nel 41% dei casi. Dalla seconda settimana post-partum, la cagna resterà fuori dalla cassa parto per due o tre ore a volta, e dunque avremo una riduzione del contatto con i suoi piccoli. Quando si trova nella cassa parto, toeletta e allatta i suoi cuccioli frequentemente. Nella prima settimana i cuccioli spenderanno un massimo di 27.54 minuti per allattarsi (Pal, 2005; Broom e Fraser, 2007). Sia la frequenza che la durata del contact tendono a ridursi drasticamente a

partire dalla quarta settimana di vita dei piccoli (Pal, 2005).

Il nursing è una attività strettamente correlata al contatto; il contatto è difatti una

condizione necessaria affinché l’ allattamento avvenga. Il nursing viene definito, invece, come il momento in cui il cucciolo succhia effettivamente il latte, e non quando tiene solo in bocca il capezzolo. Il suckling è una attività complessa, ed è composta da un gran numero di componenti comportamentali quali: la ricerca del capezzolo, mantenersi aggrappato ad esso, spingere con le zampe anteriori, tenere alzata la testa e posizionare gli arti posteriori in modo che il movimento della testa e degli arti anteriori continui. Quando un cucciolo perde il capezzolo, la sua attività si incrementa notevolmente, spingendo e spintonando, cercando di farsi posto tra gli altri cuccioli, fino a quando finalmente riesce ad avere nuovamente il capezzolo nella sua bocca ed a riniziare ad allattarsi (Reinghold, 1963).

Reinghold (1963), riferisce attraverso studi condotti su cagne ed i loro cuccioli, che il

suckling durante i primi tre giorni di vita dei piccoli, era osservato per quasi tutti e trenta

i minuti di osservazione; la durata e la frequenza del suckling in qualche periodo di osservazione si riduceva con l’ aumentare dell’ età del cucciolo, fino a scomparire dal 45° giorno (7° settimana). Pal (2005) riferisce, invece, che nei suoi studi il nursing è

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stato presente fino all’età di 11 settimane (75 giorni). Rheighold (1963) riferisce, inoltre, che già al 20°giorno, i cuccioli di cane si dedicano al nursing vigorosamente per due, tre minuti a sessione; mentre durante gli ultimi giorni di allattamento, i cuccioli succhiano il latte rapidamente per brevi periodi (il suckling per loro è divenuto più noioso). Il rumore di un cucciolo che sta poppando risveglia gli altri che stanno dormendo o meno, e tutti corrono ad unirsi al primo. Come regola generale, le posture durante l’ allattamento sono tipicamente quelle di apertura, posizione eretta nelle specie monotoche (come bovino ed equino), posizione in decubito nelle specie poliotoche (come cane e gatto). La posizione adottata da una cagna o da una gatta è quella che consente un accesso confortevole ai capezzoli da parte di neonati relativamente immobili (Hartsock e Graves, 1976; Bromm e Fraser, 2007). Rheinghold (1963) riferisce che durante il nursing la cagna può in alcune occasioni modificare la propria postura in risposta alle spinte o al pianto dei cuccioli; essa può sdraiarsi, stendersi ulteriormente sul lato, o sollevare o estendere le zampe, permettendo ai cuccioli di trovare più facilmente i capezzoli.

3. Comportamento di retrieving nel cane:

Sempre durante le prime settimana, la cagna è relativamente insistente sul fatto che i cuccioli restino nel luogo dove è avvenuto il parto; qualora un cucciolo tenti di uscire dalla cassa parto e si allontani da essa, la cagna lo richiamerà e lo riporterà al suo interno (Bleicher, 1962; Broom e Fraser, 2007).

4. Comportamento di distacco nel cane:

Studi sul comportamento materno delle cagne hanno dimostrato che, nel caso in cui, alcuni neonati non si sviluppino in maniera corretta ed abbiano, quindi, dei difetti, quali ad esempio una bassa temperatura corporea, mancanza di movimenti, o per qualche altra ragione non nota, la cagna potrà arrivare a rifiutare quegli stessi cuccioli. Questo rifiuto potrà essere espresso ignorando il cucciolo, tentando di spingerlo fuori dalla cassa parto, uccidendolo e seppellendolo al di fuori della stessa. Tale comportamento, che può sembrare sconvolgente, in natura è atto a minimizzare l’ attrazione di predatori verso gli altri giovani sani, e ad evitare l’ eccessiva spesa di energie da parte della madre nei confronti di un cucciolo che probabilmente non ha probabilità di sopravvivenza a lungo termine (Fidler et al., 1966; Broom e Fraser, 2007).

In condizioni normali, al momento in cui i cuccioli iniziano a crescere, la cagna inizia a spendere meno tempo con loro. In parte questo cambiamento graduale nel

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comportamento può essere causato sia da un cambiamento ormonale, sia da modifiche fisiche nella prole. Se, invece, capitasse che la madre scambi alcuni cuccioli con altri più giovani appartenenti ad un’ altra cucciolata, si verrebbe a verificare un grosso cambiamento nel suo comportamento: tutti gli indici di comportamento materno incrementano nuovamente, dal nursing al grooming dei cuccioli (Korda e Brewinska, 1977; Broom e Fraser, 2007). Dunque , quando i cuccioli di cane hanno circa quattro settimane di vita, avvengono dei cambiamenti nell’ interazione madre-cucciolo: la madre sta fuori dalla cassa parto sempre più spesso e per lungo tempo, ed è sempre meno probabile che risponda ai tentativi dei cuccioli di volersi allattare, tenendo frequentemente una stazione quadrupedale. Essa può divenire anche più aggressiva nei confronti dei giovani, utilizzando un morso inibito, per ridurre i loro tentativi di poppare. Le sue azioni sono solitamente seguite da risposta di sottomissione da parte dei cuccioli, alla quale la madre risponde leccandoli (Korda e Brewinska, 1977; Broom e Fraser, 2007). I cuccioli possono comunque continuare ad allattarsi fino alle 10 - 11 settimane, dedicando al nursing un tempo minimo di 2.22 minuti a sessione (Pal, 2005; Broom e Fraser, 2007). Durante il passaggio dall’ alimentazione liquida a quella solida, i canidi possiedono, inoltre, evoluti rituali di alimentazione con la madre che rigurgita la carne parzialmente digerita per alimentare il giovane animale in prossimità del periodo di svezzamento (Ewer, 1973; Kleiman e Eisenberg, 1973; Martins, 1949; Scott, 1950; Rheingold, 1963; Malm, 1995; Scott e Marston, 1950). Questo comportamento serve probabilmente ad introdurre il cucciolo ad una alimentazione solida e come supplemento della loro dieta in attesa che essi diventino capaci di alimentarsi da soli (Pal, 2005).

Per quanto riguarda la psicopatologia dello sviluppo comportamentale, modelli contemporanei suggeriscono che le esperienze negative ambientali, psicosociali o fisiche, durante il primo periodo di vita, sono fattori che possono predisporre allo sviluppo di disturbi comportamentali ed emozionali in età adulta. Negli esseri umani, primati e roditori, l’attaccamento insicuro e le cure materne inaffidabili, disorganizzate e scarse influenzano negativamente le risposte comportamentali adeguate e possono provocare comportamenti disadattivi (Sanchez et al., 2001; De Kloet et al., 2005; Pryce et al., 2005; Franklin et al., 2010). Studi epidemiologici hanno inoltre dimostrato che la prole di madri con tali alterazioni comportamentali, e, talvolta, la generazione seguente, è spesso colpita in modo simile pur non avendo subito il trauma essa stessa (Bifulco et

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al., 2002; Harper, 2005; Sterba et al., 2007; Kim et al., 2009; Franklin et al., 2010). L'osservazione che le alterazioni comportamentali indotte da stress possono essere trasmesse attraverso le generazioni è interessante e di fondamentale importanza. Poiché è presente una implicazione dei fattori ambientali, la trasmissione appare essere di natura epigenetica (Weaver et al., 2004; Cameron et al., 2008; Franklin et al., 2010). . Questa teoria è stata, inoltre, ripresa e ampliata da Guardini e colleghi (2016) nello studio: “Influenza delle cure materne, in cuccioli di Beagle di otto settimane, per conoscere le risposte comportamentali ai nuovi stimoli ambientali e sociali”. È stato dimostrato che un più alto livello di cure materne, nelle prime settimane di vita, influenzi positivamente la capacità dei cuccioli ad adattarsi, successivamente, ai cambiamenti ambientali, senza manifestazione di stress.

1.3.2 Periodi sensibili del cucciolo

Negli ultimi cinquanta anni, lo sviluppo sociale degli individui, sia umani che non umani, è stato oggetto di numerosi studi ed è ormai ammesso che le esperienze precoci hanno un effetto maggiore sul futuro comportamento dell’adulto che non quelle che

avvengono in altre fasi più tardive della vita (Levine, 1962; Bateson, 1981). Le prime ricerche nel laboratorio di Bar Harbor, sull’ontogenesi del comportamento del

cane, portarono alla conclusione che esistono periodi particolari di sviluppo precoce in cui i cuccioli sono particolarmente sensibili alle influenze ambientali e, di conseguenza, particolarmente vulnerabili ai danni psicologici permanenti (Scott e Fuller, 1965; Wilsson e Sundgren, 1998). Un corretto sviluppo comportamentale del cucciolo che tenga conto di tali periodi è di fondamentale importanza per il suo futuro inserimento nella società umana di cui dovrà far parte; anche se alcuni tratti caratteriali hanno sicuramente una base ereditaria, gran parte del comportamento del cane adulto dipende da come è stato allevato nelle prime settimane di vita e anche prima della nascita. Infatti, lo sviluppo comportamentale del cucciolo permette l’acquisizione di diverse competenze: sensoriale, emozionale, cognitiva e sociale. Queste competenze dipendono da vari fattori correlati fra loro : una promessa genetica, un adeguato equipaggiamento neurosensoriale, un ambiente ricco di stimoli e la presenza di partner sociali (Colangeli, 2004). Durante gli ultimi 20 anni è emerso il concetto dei “periodi critici” da un punto di vista comportamentale, concetto che ha avuto un forte impatto nel rapporto con il

cane. Recentemente, il termine “periodo sensibile” ha sostituito quello di critico.

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cui una piccola quantità di esperienza (o la totale mancanza di esperienza) ha un grande effetto sul comportamento successivo (Scott e Marston, 1950; Freedman et al., 1961;

Scott,1962;Houpt,2011). Lo sviluppo del comportamento del cane comprende diverse fasi anche se esse non sono

altro che “un sistema di classificazione semplificato dove delle linee rette sono state tracciate in un processo continuo” (Bateson, 1981). Scott e Marston (1950), Freedman e colleghi (1961), Scott (1962), Scott e Fuller (1965), Houpt, (2011), Braastad e Bakken (2002), Battaglia (2009), riferiscono che i periodi critici nel cane sono definiti come periodo neonatale (1-2 settimane), periodo di transizione (3 settimana), periodo della socializzazione (4-10 settimane) e periodo giovanile (da 10 settimane fino alla maturità sessuale). Questa divisione presenta tuttavia l’inconveniente di ignorare una fase della maturazione di cui si sottolinea sempre più l’importanza: il periodo prenatale che, grazie all’apporto recente dell’ecografia, è stato inserito nel contesto generale dello sviluppo comportamentaledel cucciolo (Colangeli,2004). Nel gatto, il periodo sensibile va invece dalle 2 alle 7 settimane ed è più precoce rispetto a quello del cane (Turner e Bateson, 1988; Houpt, 2011). Nei mammiferi neonati, la madre è la sorgente e il modulatore più importante di stimolazioni (Hofer, 1984) e rappresenta il primo legame fra l’ambiente e il neonato (Francis et al., 1999). E’ stato proposto che la regolazione esterna operata dalla madre sullo sviluppo dei sistemi emozionali ancora immaturi del neonato durante particolari periodi critici rappresenta il fattore essenziale che influenza la crescita “esperienza dipendente” di alcune aree cerebrali, in particolare delle strutture corticolimbiche e subcorticolimbiche, che autoregolano gli stati emozionali (Schore, 1994).

Il periodo di socializzazione, in particolare, inizia alla terza settimana ed ha un termine

molto fluttuante: intorno al 3°- 4° mese di età. E’ ritenuto quello più importante in termini di sviluppo sociale ed emozionale del cucciolo, infatti la “socializzazione” dei cuccioli è importante affinché si manifesti una gamma normale di comportamenti tipici dei Canidi (Markwell e Thorne, 1985). Possiamo distinguere una: Socializzazione intraspecifica e una Socializzazione interspecifica.

La prima si riferisce all’esperienza di relazione fra membri della stessa specie, mentre la seconda è relativa ai rapporti con esemplari di specie diversa (Scott e Fuller, 1965). Solo le specie con le quali il cucciolo è stato a contatto nel periodo sensibile che va dalla terza alla nona settimana, saranno considerate “amiche”: si parla di attaccamento o

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socializzazione interspecifica (Ezvan, 2002). È molto importante che il cucciolo, in questo periodo di vita socializzi molto, entri in contatto con moltissimi stimoli di natura diversa. In questo modo potrà conoscere molti elementi indispensabili per costruire il proprio bagaglio comportamentale futuro. Mentre i lupi ed i canidi selvatici formano i loro legami sociali con i soggetti della stessa cucciolata, con i genitori e con gli altri membri del branco, il cane domestico ovviamente stabilisce relazioni sociali anche con l’uomo e con gli altri animali con i quali viene a contatto durante il periodo di socializzazione, quindi le esperienze che il cucciolo vive in questa fase insegnano all’animale chi è, a quale specie appartiene e quali altre specie ed individui deve considerare accettabili. Fox e Bekoff (1975) scoprirono che ciò che definivano il “senso” sociale era maggiormente sviluppato in cuccioli tra la 4° e la 10° settimana di età, in quanto i cuccioli si avvicinavano a qualsiasi stimolo, ma iniziavano a diventare paurosi di animali nuovi intorno alla 6° settimana e ad essere più selettivi nei loro avvicinamenti e nelle loro esplorazioni. Non bisogna trascurare la socializzazione ambientale, ossia la conoscenza dei vari stimoli che possono essere prodotti dall’ambiente in cui è destinato a vivere il cane. Per esempio in città, il rumore delle auto, dei treni, gli schiamazzi, gli odori non naturali presenti sull’asfalto e sul territorio

urbanistico, gli stimoli visivi prodotti dal traffico urbano, ecc. Tanto più è complesso l’ambiente al quale il cucciolo viene esposto, in queste prime

settimane di vita, tanto più esso sarà preparato ad affrontare la complessità del suo ambiente da adulto e tanto meno probabile sarà che reagisca con la paura a stimoli ambientali nuovi (Heath, 1999) e Guardini e colleghi (2016) . Durante questo periodo dello sviluppo diventano molto importanti i comportamenti ludici del gioco e dell’esplorazione e si fanno più evidenti i segnali sociali di comunicazione tra i membri della stessa cucciolata. In questo periodo, i cuccioli giocano tra di loro, assumono le prime posture corporee di dominanza e sottomissione; e osservandoli giocare, durante questo tipo di relazione, sarà possibile individuare i soggetti predisposti a diventare maggiormente dominanti e quelli invece più sottomessi.

1.4 La Strange Situation

Nel 1969, Mary Ainsworth mise a punto una procedura di osservazione in laboratorio, chiamata “Strange Situation”, per studiare l’interazione dei sistemi comportamentali di attaccamento e di esplorazione (in condizioni di stress) in bambini di un anno. Attraverso questa procedura sperimentale, definita da Bretherton (1992) “un dramma in

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miniatura”, un cucciolo di una specie sociale deve affrontare una situazione che si presenta come una progressione di stress (Ainsworth & Bell, 1970), che fa attivare il sistema dell’attaccamento e porta alla messa in atto di risposte finalizzate al ripristino della sicurezza (Attili, 2007). Originariamente l’Ainsworth Strange Situation Test è stata utilizzato con bambini di 12-13 mesi e prevedeva 8 episodi ciascuno della durata di 3 minuti (Ainsworth & Bell, 1970) (Tabella 1).

Tabella 1- Gli episodi della Strange Situation (Attili, 2007 p.163).

La Strange Situation

Episodio 1 Il bambino viene introdotto con la propria madre in una stanza del laboratorio contenente una varietà di giocattoli

Episodio 2 Il piccolo ha la possibilità di esplorare l’ambiente in presenza della madre e di giocare con lei

Episodio 3 Entra un estraneo (uno degli sperimentatori) che si siede prima in silenzio, poi parla per un minuto con la madre e quindi coinvolge il piccolo in qualche gioco

Episodio 4 A seguito di un segnale convenuto (un colpo sulla parete da parte di uno degli sperimentatori) la madre esce e il bambino rimane con l’estraneo

Episodio 5 La madre ritorna e l’estraneo se ne va senza far rumore Episodio 6 La madre lascia di nuovo il piccolo, ma questa volta da solo Episodio 7 Entra l’estraneo e cerca di consolare il bambino, se necessario Episodio 8 La madre rientra

Per la codifica dei comportamenti Ainsworth e Bell hanno utilizzato 4 categorie di comportamenti: 1) ricerca del contatto e della prossimità; 2) mantenimento del contatto;

3) resistenza al contatto; 4) evitamento (Ainsworth & Bell, 1970). In base alle reazioni dei bambini durante la Strange Situation sono stati classificati tre

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 Sicuro (modello B): i bambini che presentano questa tipologia di attaccamento piangono poco, esplorano e giocano in presenza ed in assenza della madre. Presenta segnali di mancanza della madre nella fase di separazione e nella riunione la salutano attivamente (Bretherton, 1992; Attili, 2007).

 Insicuro-ansioso ambivalente (modello C): i bambini che presentano questa tipologia di attaccamento non esplorano l’ambiente né in presenza né in assenza della madre. Rifiutano il contatto con l’estraneo. Durante la separazione sono molto turbati e angosciati. Nella fase di riunione mostrano rabbia verso la madre. Inconsolabili (Attili, 2007).

 Insicuro-ansioso evitante (modello A): i bambini che presentano questa tipologia di attaccamento esplorano facilmente l’ambiente sia in presenza che in assenza della madre. Possono dar segni di sconforto quando vengono lasciati da soli e nella fase di riunione evitano attivamente il genitore (Attili, 2007).

 Un quarto tipo di attaccamento è stato evidenziato da Main e Solomon (1990).

Disorganizzato (modello D): i bambini che presentano questa tipologia di

attaccamento mostrano una vasta gamma di comportamenti confusi. Rimangono immobili; si raggomitolano; chiudono e si coprono gli occhi; si avvicinano alla madre con il viso girato dall’altra parte; si portano la mano sulla bocca quando la guardano; si avvicinano alla madre e interrompono il contatto indifferenti (Attili, 2007).

In un secondo tempo la Strange Situation è stata adottata anche in studi etologici e alcuni ricercatori hanno scoperto che, separando alcuni scimpanzé dai loro compagni di gabbia, questi reagivano similmente ai bambini (Bard et al., 1983, Bard 1991; Miller et al., 1986) e che anche gli esseri umani potevano essere visti come figure di attaccamento per giovani scimpanzé (Miller et al., 1990).

1.5 Il legame di attaccamento tra cane e uomo

Nei mammiferi, l’adozione interspecifica sembra essere favorita da alcune variabili, quali la complessità dei comportamenti parentali e il grado di socialità della specie per quanto riguarda l’individuo adottante; prevalenza di caratteri giovanili (neotenici) nell’individuo adottato (Tugnoli, 2003). Queste caratteristiche sono fortemente presenti in Homo sapiens sapiens e Canis familiaris e molte delle modalità comportamentali che

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si riscontrano nell’interazione uomo-cane sono simili a quelle che si instaurano tra un genitore e un figlio (Voith, 1987). I cani, inoltre, sembrano mantenere l’abilità a sviluppare l’attaccamento fino a fasi avanzate della vita e verso persone diverse (Miklosi, 2007; Gàcsi et al., 2001). Sulla base di queste considerazioni negli ultimi anni sono state condotte varie ricerche concernenti l’esistenza e le caratteristiche del legame di attaccamento cane-uomo. Topàl e colleghi (1998) sono stati i primi ad effettuare uno studio, utilizzando una modificazione dell’Ainsworth Strange Situation Test, per indagare se il legame cane-proprietario potesse essere considerato un legame di attaccamento. Questa procedura sembrò adatta a fornire informazioni utili riguardo al rapporto proprietario-cane, poiché essi supposero che in particolari situazioni il comportamento di attaccamento di un cane adulto verso il proprietario potesse essere osservato, come per i bambini, non solo con la separazione da quest’ultimo ma anche con la riunione. Per la registrazione e l’analisi dei comportamenti sono state considerate 8 variabili comportamentali, ciascuna delle quali è stata segnata per padrone ed estraneo: esplorazione, gioco, comportamenti passivi, contatto fisico, stare alla porta, ritardo del contatto con la persona che entra, durata del contatto durante il saluto, punteggio della ricerca di contatto durante il saluto. I risultati hanno indicato che i cani tendono a giocare di più ed esplorare di più in presenza del padrone, mentre i comportamenti passivi e il contatto fisico non hanno mostrato significative differenze. Tuttavia i cani hanno mostrato un alto livello di ricerca di contatto con il padrone che rientra rispetto a quando rientra l’estraneo. Inoltre, durante le separazioni dal padrone i cani hanno passato più tempo davanti alla porta rispetto a quando il padrone era presente. Per gli autori, quindi, un cane usa il padrone come una base sicura e la sua reazione alla separazione e al ricongiungimento col padrone sono chiare manifestazioni comportamentali dell’attaccamento all’uomo. Questo “effetto base sicura” è stato rivelato da un aumento dei comportamenti esplorativi e dal gioco più frequente in presenza del padrone. Negli episodi di separazione i cani sono stati alla porta per lungo tempo e il fatto che questo comportamento non si è ridotto in presenza dell’estraneo indica una forte preferenza per il padrone in una situazione di stress. La reazione dei cani al ricongiungimento è stata attiva, c’è stata un’immediata tendenza al contatto fisico con il padrone, ma non con l’estraneo.

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Un’analisi condotta sulle variabili precedentemente elencate (tranne l’esplorazione) ha evidenziato l’esistenza di alcuni fattori, quali il grado di ansia: collegato ad un’alta incidenza di comportamenti passivi, in presenza dell’estraneo, e ricerca del contatto con il padrone; accettazione dell’estraneo: caratterizzato da contatti fisici prolungati con l’estraneo e ricerca di contatto con l’estraneo che entra; attaccamento - caratterizzato da alti livelli di ricerca di contatto con il padrone e contatto fisico per salutare il padrone

che entra e basso (o inesistente) ritardo nell’approccio con il padrone. In base ai risultati ottenuti dall’esperimento Topàl e collaboratori (1998) hanno diviso i

cani in 3 gruppi:

1. Al Gruppo 1, suddiviso in 2 sottogruppi (1a e 1b), appartenevano i cani che avevano mostrato un basso livello di ansia durante l’esecuzione del test. I cani del sottogruppo 1a mostravano un basso livello di attaccamento al proprietario e un livello medio di accettazione dell’estraneo, mentre i cani appartenenti al sottogruppo 1b manifestavano un alto livello sia di attaccamento al proprietario che di accettazione dell’estraneo.

2. Al Gruppo 2 appartenevano i cani caratterizzati da un alto livello di ansia, di accettazione dell’estraneo e di ricerca del contatto con il proprietario. Questi cani non sembravano differenziare l’estraneo dal proprietario.

3. Al Gruppo 3, anche esso suddiviso in 2 sottogruppi (3a e 3b), appartenevano che avevano mostrato un livello medio di ansi e di accettazione dell’estraneo. I 2 sottogruppi si differenziavano per quanto riguarda il livello di attaccamento al proprietario, basso per il sottogruppo 3a e significativamente alto per quello 3b. Variabili quali il sesso del padrone, il sesso del cane, l’età, non sembrano incidere significativamente sul comportamento nello Strange Situation Test, solo il numero di membri della famiglia è correlato significativamente con alcuni comportamenti, ad esempio cani che vivono in famiglie numerose tendono a passare meno tempo alla porta e mostrano più comportamenti passivi in presenza dell’estraneo. Questo effetto potrebbe essere dovuto a differenze nella socializzazione legate al vivere in famiglie costituite da più membri ed è possibile che gli animali formino legami di attaccamento con più

persone. A questo primo lavoro, ne sono seguiti altri, volti ad approfondire lo studio di Topàl e

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cambiamenti fisiologici nel cane (Palestrini et al., 2005); osservando l’utilizzo o meno del proprietario come base sicura per il cane (Palmer et al., 2008); analizzando l’attaccamento del cane ai diversi membri della famiglia in cui vive (Mariti et al., 2010) e confrontando i comportamenti indicatori di attaccamento cane-uomo in cani da compagnia e in cani da lavoro (Ricci et al., 2010). In seguito la ricerca si è estesa a studi collaterali tra cui: un lavoro riguardante le caratteristiche sia del cane che del proprietario e il modo in cui influenzavano la qualità della vita dell’animale da compagnia (Marinelli et al., 2007); uno studio di Topàl e colleghi (2005) che comparava l’attaccamento all’uomo in cuccioli di lupo allevati dall’uomo e cani domestici, ed uno che valutava la capacità, in cani adulti che vivono in canile, di formare nuovi legami di

attaccamento con l’essere umano (Gàcsi et al. 2001).

La ricerca, relativa al legame di attaccamento intraspecifico nel cane domestico, si è concentrata principalmente sul legame del cane verso gli esseri umani (per una rassegna vedere Payne et al., 2016), basato sulla somiglianza tra il legame cane-proprietario e madre-bambino. Non si deve escludere l’importanza, però, anche del legame intraspecifico tra cani. Infatti i complessi comportamenti pro sociali come la riconciliazione (Cools et al., 2008), e il donare cibo tra i conspecifici familiari (Quervel-Chaumette et al., 2015) della specie canina, sono state osservate in questa specie. Negli ultimi anni, alcuni aspetti della relazione intraspecifica sono state studiate nel campo della letteratura scientifica come ad esempio: le cure parenterali (Pal, 2005; Foyer et al., 2016; Guardini et al., 2016), il gioco sociale (Byosiere et al., 2016), e la struttura di gruppo (Bradshaw et al., 2009). Tuttavia, la presenza di un legame di attaccamento intraspecifico ha ricevuto una scarsa attenzione sperimentale. Alcuni studi si sono concentrati su specifiche caratteristiche di separazione da un conspecifico, come: 1- gli effetti che tendono ad alleviare i diversi stimoli di disagio nei cuccioli quando vengono separati (Fredericson, 1952; Pettijohn et al., 1977), 2- il confronto tra la separazione da un cane familiare e da una persona familiare in cani adulti (Tuber et al., 1996), e 3- gli effetti della separazione tra compagni di gabbia nei rifugi (Walker et al., 2014). A nostra conoscenza, l’attaccamento intraspecifico nei cani domestici è stata studiata solo da Mariti et al. (2014), che hanno testato coppie di cani conviventi in una versione modificata della ASST. I risultati di Mariti e collaboratori. (2014) non supportano completamente la presenza di un legame di attaccamento tra cani adulti, anche se la presenza di un cane convivente diminuisce fortemente la risposta allo stress, al cane in

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isolamento. Sulla base del fatto che il test Ainsworth Strange Situation (ASST) è stato originariamente creato per testare i bambini con la loro madre, e che i cani adulti durante il test (ASST) con il loro proprietario mostrano comportamenti infantili, si può ipotizzare che i cani adulti durante il test con la loro madre canina si comporterebbero in modo simile ai bambini testati con gli operatori sanitari. In questa presente ricerca è si è valutato se cani adulti sottoposti al test Ainsworth Strange Situation si comportino in modo diverso se testati con la propria madre e con un altro cane convivente più anziano.

1.6 Lo stress nel cane

Una delle definizioni che possiamo trovare del termine “stress” è la seguente: lo stress è uno stato dell'organismo caratterizzato da una sindrome specifica (aumento dell'attività del sistema nervoso simpatico, elevata produzione di catecolamine, ipertensione, ecc.) che può essere scatenata da vari fattori (infezioni, ferite, ustioni, radiazioni, ma anche rabbia, gioia, superlavoro ecc.). Sotto il termine di stress si possono comprendere tutti quei fattori esterni a cui l'organismo non si è sufficientemente adattato. Lo stress psichico si sviluppa in seguito ad una certa discrepanza tra specifiche richieste e la soggettiva possibilità di superarle. Uno stato di stress persistente può condurre a reazioni generali ossia ad una “sindrome generalizzata di adattamento” (da Enciclopedia Medica Pschyrembel, 1995).

Il termine stress definisce quindi l'insieme di singoli fenomeni che determinano un aumento dell'attività dell'organismo. Nel senso più neutro del termine lo stress indica l'adeguamento dell'organismo a qualunque richiesta, cioè l'adattamento del rendimento. La maggior parte delle definizioni descrivono lo stress come uno stato con il quale l'organismo reagisce ad una minaccia interna o esterna e concentra le sue forze per superare la situazione di pericolo. Lo stress è sempre esistito e, dal punto di vista evolutivo, deve essere considerato come una reazione che è importantissima per la sopravvivenza, perché permette di ottenere l'adattamento più idoneo ai mutamenti dell'ambiente (Corson et al., 1976). Riconoscendo che i fenomeni stressanti e le relative risposte sono complesse e a volte adattative, Breazile (1987) suddivide tre categorie comportamentali di stress:

• l'Eustress (stress positivo) è un termine che definisce uno stress associato ad una elaborata risposta che serve al benessere, alla sopravvivenza e alla riproduzione;

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• lo stress neutrale è quello che non è dannoso né nocivo a lungo termine;

• il distress (stress negativo) non è dannoso in sé, ma la risposta che ne deriva può interferire col benessere e la capacità di riproduzione dell'animale (Overall, 2001). Lo stress positivo è quindi una attivazione necessaria dell'organismo che conduce l'animale (o l'uomo) a mettere in campo le migliori energie rendendo possibile un ulteriore miglioramento delle proprie capacità. Lo stress negativo, invece, è un

sovraccarico di richieste dannoso per l'organismo (Breazile, 1987; Overall, 2001). Lo stress può intervenire in ogni ambito dell'esistenza e ad ogni età del cane. Le

esperienze di stress come pure le strategie di superamento sono soggettive. Se diversi cani vivono la stessa situazione, succede che alcuni non si sentano assolutamente provati, mentre altri reagiscono in modo chiaramente stressato. In questi ultimi si possono evidenziare differenti sintomi e diverse strategie di superamento (Nagel e V.Reinhardt, 2003). Per quanto riguarda l'analisi delle situazioni specifiche, le ricerche sullo stress si concentrano soprattutto sugli stimoli scatenanti, ossia i cosiddetti fattori stressanti (stressors). Si può fare una distinzione tra:

 Fattori esterni: sovraccarico degli organi sensoriali per troppi stimoli o, al contrario, la loro assenza (deprivazione sensoriale), il dolore, le situazioni di pericolo reali o simulate, ecc.

 Impossibilità di soddisfare le esigenze primarie: privazione di cibo, acqua, sonno, movimento.

 Fattori relativi al rendimento a seguito di pretese eccessive o inattività forzata: esami imminenti, fallimenti, rimproveri, punizioni.

 Fattori sociali, per esempio l'isolamento dato dall'esclusione del cane rispetto alla nostra vita quotidiana.

 Fattori psichici come conflitti, assenza di controllo, paura e insicurezza nelle aspettative.

Significativi cambiamenti nelle condizioni di vita come la morte di una persona di riferimento, un trasloco ecc. possono essere vissuti come fattori stressanti tanto quanto le piccole contrarietà di ogni giorno quando abbiano a sommarsi (Nagel e V.Reinhardt, 2003). Secondo Nagel e V.Reinhardt (2003), la reazione allo stress può essere suddivisa in tre

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− La fase di allarme: L'impulso nervoso e la produzione ormonale concorrono a crear la

preparazione ottimale alla reazione. − La fase di resistenza: L'opposizione all'evento stressante principale si intensifica,

mentre si riduce quella ad altri stimoli secondari. Questo significa che il tentativo di superamento del fattore primario compromette la capacità di resistenza verso fattori

stressanti concomitanti. − La fase di esaurimento: Se lo stress dura troppo a lungo, l'organismo può non reggere

nonostante l'adattamento raggiunto in precedenza. I sintomi di allarme della prima fase si riattivano, però a questo punto diventano permanenti. La tensione elevata e incessante, in concorso con altri fattori di rischio, può portare allo sviluppo di malattie ed in casi estremi perfino alla morte.

1.6.1 Fisiologia dello stress

Al verificarsi di un evento stressante immediatamente l'organismo reagisce con la liberazione di alcuni ormoni, comunemente chiamati nell'insieme “ormoni dello stress”, che influenzano le funzioni organiche, generalmente in aumento, così da predisporre risorse adeguate alla reale o presunta maggiore richiesta. Il cortisolo è uno degli ormoni coinvolti nello stress (Aguggini et al., 1998; Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007). Il meccanismo di feedback negativo del cortisolo avviene grazie ad una struttura fondamentale, l'ipotalamo, che si trova nel diencefalo, e che realizza la connessione strutturale e funzionale tra Sistema Nervoso e Sistema Endocrino. L'ipotalamo, infatti, è la più importante struttura di regolazione delle funzioni vitali. Sono sotto il suo controllo il ritmo del sonno-veglia, la temperatura corporea, la pressione sanguigna, la respirazione, il metabolismo dei lipidi e dell'acqua e molto altro ancora (Aguggini et al., 1998; Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007). L'ipotalamo libera sostanze chiamate nel loro insieme “ormoni ipotalamici” la cui produzione varia secondo le necessità (Aguggini et al., 1998; Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007). Uno di questi ormoni è l'ormone liberante corticotropina (Corticotropin Releasing Hormone, CRH) che viene trasportato direttamente lungo le fibre nervose, fino all'ipofisi. Il CRH stimola l'ipofisi a produrre l'ormone adrenocorticotropo (Adreno Corticotropin Hormone, ACTH), che a sua volta stimola le ghiandole surrenali (più precisamente la zona corticale) a produrre vari ormoni, tra cui il cortisolo (Aguggini et al., 1998; Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007).

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Quando la produzione di cortisolo aumenta, e quindi aumenta la sua concentrazione nel sangue, si avvia il meccanismo di feedback negativo per cui lo stesso cortisolo blocca l'ulteriore produzione di ACTH con il conseguente blocco della produzione di cortisolo. In condizioni normali si evita così l'iperproduzione di cortisolo (Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007). Il cortisolo appartiene al gruppo dei glucocorticoidi che regolano il tasso ematico di glucosio, aminoacidi, acidi grassi liberi e urea; l'aumento di cortisolo in circolo determina perciò l'aumento della concentrazione dei suddetti metaboliti e così una maggiore quantità di energia è messa a disposizione delle cellule. Nello stesso tempo il cortisolo influenza le difese dell'organismo ostacolando la sintesi proteica dei linfociti, causando la diminuzione dell'efficienza del sistema immunitario (Weicker e Werle, 1991). L'attività più conosciuta del cortisolo è quella antinfiammatoria che consiste nel bloccare le citochine, sostanze che stimolano la reazione infiammatoria (Aguggini et al., 1998; Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007). Oltre al cortisolo la zona corticale delle ghiandole surrenali produce altri due ormoni: l'aldosterone e il testosterone. L'aldosterone appartiene al gruppo dei mineralcorticoidi e agisce sulla concentrazione del sodio e del potassio svolgendo l'importantissima funzione di regolazione idrosalina dell'organismo. Il testosterone è un ormone sessuale che è prodotto anche dalle gonadi, in particolare dal testicolo, ma in piccola quantità anche dall'ovaio. Il testosterone ha effetto anabolizzante che determina sia ipertrofia muscolare sia effetti sulla psiche (Aguggini et al., 1998; Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007). L'elevata concentrazione di testosterone nel maschio è da collegare alla sua più pronunciata tendenza al comportamento aggressivo (Nagel e V.Reinhardt, 2003). Lo stress altera il normale funzionamento dei meccanismi di feedback e l'elemento centrale di tale alterazione è l'adrenalina. L'adrenalina è un neuro trasmettitore del gruppo delle catecolamine ed è prodotto dalla zona midollare delle ghiandole surrenali. Lo stress, indipendentemente dal fatto che sia provocato da una forte tensione emotiva o da un grande sforzo fisico, si risolve nella stimolazione di quella parte del sistema nervoso vegetativo detto “sistema simpatico” che provoca la liberazione di adrenalina. Tutto il processo avviene a livello inconscio e si realizza nell'arco di frazioni di secondo. La liberazione di adrenalina causa nell'organismo numerose modificazioni tra cui: aumento delle pulsazioni, della forza di contrazione cardiaca e della pressione sistolica, aumento del fabbisogno di ossigeno, dilatazione dei bronchi e delle pupille, aumento nel sangue della concentrazione di acidi grassi liberi e di glucosio (Aguggini et al., 1998; Nagel e V.Reinhardt, 2003; Mormède et al., 2007).

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