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Sistemi di certificazione e informazione al consumatore

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

Sistemi di certificazione e

informazione al consumatore

La Relatrice:

Ch.ma Prof. Michela Passalacqua

Il Candidato:

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SISTEMI DI CERTIFICAZIONE E INFORMAZIONE AL CONSUMATORE INDICE Introduzione p. IV CAPITOLO I LA CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ E LA NORMAZIONE TECNICA

1. La nozione di “certificazione della qualità”: insufficienza del dato normativo e necessità del ricorso alle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali in materia p. 1 1.1. Definizione legislativa della “valutazione della conformità” introdotta dal Regolamento CE n. 765/2008 p. 4 2. Nascita del del sistema delle certificazioni come fenomeno spontaneo: dall'attività di standardizzazione alla normazione

tecnica p. 5 2.1. Il sistema comunitario delle certificazione di qualità: le c.d. “norme armonizzate” p. 11 3. Analisi del carattere obbligatorio o volontario delle certificazioni di qualità p. 16 3.1. L'oggetto delle certificazioni e le diverse connotazioni assumibili dalla “qualità” p. 19

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CAPITOLO II

LA CERTIFICAZIONE DELLA QUALITÀ COME STRUMENTO PER UNA TUTELA PREVENTIVA

DEL CONSUMATORE

1. Il consumatore finale come destinatario “naturale” delle certificazioni e le garanzie a esso offerte p. 23 1.1. Il sistema di accreditamento come mezzo induttivo di fiducia nelle certificazioni p. 29 2. Le certificazioni di qualità: strumento di comunicazione “simbolica” e di circolazione della certezza p. 33 2.1. Il rapporto dialettico tra certezza, sicurezza e fiducia p. 42 3. La certificazione della qualità come attività di rilevanza pubblicistica p. 44 3.1. La posizione non neutra dell'ente certificatore rispetto alla commercializzazione del prodotto certificato p. 47

CAPITOLO III

PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA MANCANZA DELLE QUALITÀ CERTIFICATE

1. La certificazione inesatta e l'uso distorto delle certificazioni p. 50 2. La tutela riservata ai consumatori dal Codice del Consumo relativa

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alle certificazioni di qualità quali strumenti di pubblicità “informativa” p. 58 2.1. Le certificazioni di qualità non veritiere quali pratiche commerciali “ingannevoli”: il procedimento speciale ex art 27 cod. cons. p. 63 3. Responsabilità del produttore e il c.d. “difetto di informazione” ex art. 117 comma 1, lett a), cod. cons. p. 67 3.1. Ammissibilità della tutela aquiliana nella tematica del danno da false informazioni commerciali e conseguenti vantaggi per il consumatore e per il mercato p. 73

Conclusioni p. 87

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Introduzione

Recenti studi hanno dimostrato che nelle attuali logiche di scambio i consumatori si aspettano una scelta sempre più ampia di servizi e di prodotti che siano, oltre che a prezzi ragionevolmente contenuti, il più possibile affidabili per qualità, durata e facilità d'uso. In particolare, i soggetti utilizzatori di beni e servizi prodotti dal sistema economico riconoscono rilevanza crescente alla sicurezza e alla c.d. “qualità garantita”, cercando, con sempre maggiore attenzione, sulla confezione del prodotto o nelle caratteristiche dichiarate nel servizio, tutti gli elementi informativi che possono indirizzare la propria propensione all'acquisto, al fine di agevolare la loro valutazione del “rapporto qualità – prezzo”.

I consumatori, di fatto, cercano prodotti e servizi progettati, realizzati e controllati in conformità a quelle norme che supportano gli schemi di certificazione di prodotto e di sistema di gestione, delle quali, peraltro, sono i principali diretti beneficiari.

La certificazione, intesa in senso ampio come verifica e dichiarazione di una parte terza della sussistenza di caratteristiche regolamentate, è un fenomeno di grande rilevanza economico-sociale, e numerosi sono gli aspetti di rilevanza giuridica legati direttamente o

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indirettamente all'attività certificativa.

Per questo, le certificazioni di qualità sono divenute ormai un fenomeno tipico dell'economia globale, in quanto oggi non si trovano facilmente prodotti o servizi immessi sul mercato che ne siano sprovvisti, tenuto conto di come le stesse abbiano tra le loro molteplici funzioni, l'obiettivo di garantire al consumatore-acquirente una scelta il più possibile libera, informata, sicura e consapevole.

In altri termini, seppur eterogenee e finalizzate a soddisfare una pluralità di esigenze (si pensi agli effetti positivi, legali e commerciali, che da esse discendono sia per le imprese sia per tutti i cc.dd.

stakeholders: ad esempio, la presunzione di conformità dei prodotti ai

requisiti di legge e il conseguimento da parte dell'impresa ad una migliore posizione sul mercato), le certificazioni di qualità offrono in ogni caso una “garanzia” nei confronti dei terzi, quindi anche dei consumatori-acquirenti, circa l'affidabilità di un'impresa.

Al fine di sottolineare questo fondamentale aspetto relativo alle certificazioni di qualità, il presente lavoro si muove, anzitutto, da un'analisi generale dell'attività di attestazione della qualità stessa. In particolare, visto il carattere complesso e idoneo a rispondere ad una pluralità di esigenze eterogenee di tale attività, viene dato un

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necessario preliminare chiarimento del significato dei principali termini che, nel linguaggio tecnico, descrivono il fenomeno; si fa sopratutto riferimento ad elaborazioni fornite dalla dottrina e ad alcuni dei tanti regolamenti, di matrice comunitaria, in materia.

Partendo da un breve excursus storico sull'origine e sviluppo della “normazione tecnica” (su cui si basa l'intero sistema di certificazione della qualità) derivante da un lungo processo di elaborazione di standards tecnici essenziali ai fini di efficienza aziendale, si passa a delineare in linea generale il sistema comunitario delle certificazioni di qualità. Un percorso complesso, destinato a perseguire l' “armonizzazione” delle norme tecniche e che, tra l'altro, ha favorito il raggiungimento dell'obiettivo della creazione di un mercato comune.

Pertanto, a completamento dello studio di una panoramica generale delle certificazioni di qualità, vengono esaminati i tratti fondamentali delle generiche classificazioni delle certificazioni medesime, il loro possibile oggetto e le diverse connotazioni che conseguentemente la “qualità” può assumere.

Importante poi sottolineare la funzione che la normativa tecnica, dunque la certificazione di qualità, può adempiere in termini di

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garanzia in merito alla capacità di soddisfacimento delle diverse esigenze dei consumatori, in particolare quelle di “certezza” e di tipo “informativo”.

Si fa riferimento, in primis, all'espressione “strumento di comunicazione simbolica” che la dottrina, in maniera condivisa, riferisce alla certificazione di qualità per sottolineare il fatto che questa rappresenta un efficace mezzo per favorire lo scambio di informazioni tra le parti (nel nostro caso, tra consumatore-acquirente e produttore) all'interno del mercato.

Appare chiaro come le certificazioni di qualità generino un contatto “informativo” tra le parti e, quindi, una fiducia rispetto a ciò che le imprese offrono, oltre che una trasparenza sulle caratteristiche qualitative dei prodotti immessi nel mercato.

Si vuole, dunque, sottolineare la configurazione delle certificazioni come provvedimenti dichiarativi di certezza, capaci sia di limitare quelle forme di squilibrio informativo presenti nel mercato sia di influenzare il “potere di scelta” del consumatore.

Dopo aver messo in risalto anche una rilevanza pubblicistica dell'attività di certificazione, viene trattato l'aspetto patologico della certificazione, ovvero del suo utilizzo illecito.

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Quindi, è affrontato il problema della circolazione nel mercato di certificazioni non veritiere e delle conseguenze negative che ne possono ricadere sui consumatori, i quali, insieme alle imprese concorrenti rispetto quella certificata, rischiano di subire in tal modo gravi lesioni dei propri interessi.

Allora si indaga sulla possibile configurabilità sia di un'ipotesi di fattispecie di concorrenza sleale sia di un'ipotesi di messaggio pubblicitario ingannevole, prendendo soprattutto in considerazione alcune delle disposizioni all'interno del Codice del consumo.

Il lavoro si conclude, ai fini di individuare strumenti di protezione per i consumatori, delineando gli aspetti che tenderebbero ad affermare una responsabilità da false informazioni commerciali in capo sia al produttore che all'ente certificatore.

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CAPITOLO I

LA CERTIFICAZIONE DELLA QUALITÀ E LA NORMAZIONE TECNICA

1. La nozione di “certificazione della qualità”: insufficienza del dato normativo e necessità del ricorso alle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali in materia

Una specifica definizione di “certificazione della qualità”, idonea a comprendere in forma precisa e concisa i tratti fondamentali di tale espressione, risulta ancora assente sul piano normativo, in quanto l'asistematica legislazione in materia privilegia generalmente definizioni modulate sulle singole categorie di prodotto o servizio da certificare1 .

L'inadeguatezza delle settoriali nozioni offerte dalla disciplina legislativa (e anche dalle varie fonti extragiuridiche a cui è rimessa la regolamentazione del settore volontario2) ad esprimere un

1 Evidenzia la carenza di un quadro di riferimento generale, in favore di provvedimenti normativi di carattere settoriale concernenti specifiche categorie di prodotti, ANCORA, Normazione tecnica, certificazione di qualità e ordinamento giuridico, Torino, 2000, p.11. Inoltre, a titolo esemplificativo, v. l'art 9, D.Lgsl. Settembre 1991, n. 311, in attuazione della direttiva 87/404 CEE, in materia di recipienti a pressione: “La certificazione CE è la procedura con la quale un organismo di controllo autorizzato constata e certifica che un modello di recipiente soddisfa alle disposizioni del presente decreto”.

2 Ci si intende riferire al complesso di regole (c.d. norme tecniche), emanate da organismi ad hoc incaricati di disciplinare il settore delle certificazioni volontarie, su cui approfondiremo

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unitario e preciso significato di “certificazione della qualità”, impone un'analisi delle formule che sono state elaborate ed utilizzate nella prassi.

In particolare, la dottrina ha definito la certificazione come “l'attestazione, tramite verifiche di ordine tecnico, economico,

organizzativo, che certe capacità, ed i risultati di queste (i prodotti) siano coerenti sia con norme predeterminate, sia con la descrizione del prodotto”3, o come consistente nella “valutazione completa

della conformità a regole o norme tecniche o riferimenti normativi equivalenti, e sono effettuate (le certificazioni) da enti di parte terza (organismi di certificazione)”4.

Per quanto riguarda la giurisprudenza invece, la certificazione di qualità è stata qualificata come la “procedura con

la quale un soggetto verificatore esterno all'impresa, terzo e indipendente, che sia a ciò autorizzato (c.d. organismo certificatore), fornisce attestazione scritta che un prodotto, processo produttivo o servizio, a seguito di valutazione, è conforme

in prosieguo all'interno del capitolo.

3 GARGALE, Amministrazione pubblica e privati nella certificazione di qualità dei prodotti industriali, in Inform. e dir., 1993, p. 276.

4 THIONE, Il sistema italiano per la qualità, in ANDREINI (a cura di), Qualità, certificazione, competitività, Milano, 2004, p. 45.

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ai requisiti specificati da norme tecniche, garantendone la validità nel tempo attraverso un'adeguata attività di sorveglianza”5.

Reperire le formulazioni inerenti il significato di certificazione fornite da dottrina, giurisprudenza e altre fonti6, risulta

indispensabile per comprendere che l'attività di certificazione della qualità consiste, in linea generale, nella valutazione, verifica e attestazione, da parte di un organismo terzo e indipendente, non tanto della qualità come comunemente può essere intesa (ossia come valore positivo, di pregio), quanto della mera conformità a determinati parametri ovvero standard qualitativi di un prodotto, un servizio o sistema produttivo di un'impresa (c.d. impresa certificata)7.

5 V. TAR Molise, 11 febbraio 2003, n. 187, in Foro Amm. Tar, 2003, p. 666.

6 Sono, nel contesto, rilevanti anche quelle definizioni contenute in proposte e disegni di leggi, seppur mai approvati, V. l'art 2, lett. e), della proposta di legge n.5271 del 1990, intitolato “Norme per l'attività di certificazione di prodotti e di sistemi qualità aziendali”, che definisce la certificazione come “l'azione dell'attestare, per mezzo di un certificato, che un prodotto, un servizio o il sistema di qualità di un'azienda è conforme ai requisiti stabiliti da una norma tecnica o da una regola tecnica emanata dalle autorità competenti”.

7 Inoltre, dall'analisi fin qui svolta possiamo desumere che l'espressione “certificazione della qualità” è utilizzabile in riferimento sia all'attestato della conformità rilasciato a conclusione dell'esito positivo dell'attività di certificazione, sia al complesso iter procedimentale di certificazione.

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1.1. (segue) Definizione legislativa della “valutazione della conformità” introdotta dal Regolamento CE n. 765/2008

Il regolamento CE n. 765 del 9 luglio 2008 in materia di accreditamento e vigilanza del mercato8 ha introdotto la prima

definizione legislativa della “valutazione della conformità” descrivendola come “la procedura atta a dimostrare se le

prescrizioni specifiche relative a un prodotto, a un processo, a un servizio, a un sistema, a una persona o a un organismo siano state rispettate” (art 2, punto 12); inoltre precisa che il soggetto che

svolge attività di valutazione della conformità, “fra cui tarature,

prove, certificazioni e ispezioni”, è “organismo di valutazione della conformità” (art 2, punto 13).

Rispetto alle formule già in uso, la scelta operata dal legislatore europeo sembrerebbe ancor più precisa ed esaustiva: più precisa, in quanto fa riferimento alla meno equivoca espressione “valutazione della conformità” in luogo della certamente più

8 Regolamento CE n. 765 del 9 Luglio 2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93, in G.U.U.E 13 agosto 2008, n L 218; costituisce, insieme al regolamento CE n. 764/2008 che stabilisce procedure relative all'applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in altro Stato membro, e alla decisione n. 768/2008/CE relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, il c.d. pacchetto legislativo di revisione del “Nuovo Approccio” , che rappresenta una parziale base normativa orizzontale del fenomeno delle certificazioni.

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generica e ambigua, “certificazione della qualità”; più esaustiva in quanto, data la sua ampiezza, essa è idonea a comprendere non solo la certificazione, ma ogni forma di valutazione della conformità, ivi compresa quella — tecnicamente indicata con il termine “accreditamento” — cui sono sottoposti gli stessi organismi che la svolgono9.

2. Nascita del sistema delle certificazioni come fenomeno spontaneo: dall'attività di standardizzazione alla normazione tecnica

Le certificazioni di qualità, come si può desumere dalle generiche definizioni su riportate, sono altrettanto genericamente classificate10.

Prima di passare all'analisi dei particolari profili qualificanti di esse, occorre, comunque, soffermarsi sull'origine del sistema delle

9 BELLISARIO, Certificazione di qualità e responsabilità civile, Milano, 2011, p. 11 e ss. L'autore sottolinea che “sarebbe stato opportuno chiarire ulteriormente il significato dell'espressione ' prescrizioni specifiche ' relative a un prodotto, a un processo, a un servizio, a un sistema, a una persona o a un organismo, il cui rispetto è oggetto di verifica da parte degli organismi di certificazione. [..] Lacuna colmabile ricorrendo alle definizioni extralegislative, le quali consentono di affermare che, con tale espressione, il legislatore ha inteso fare riferimento ai requisiti stabiliti da una 'specifica tecnica', ossia da una 'norma' o da un regola 'tecnica'”.

10 Vedremo che in relazione alla natura (o fonte) si distinguono certificazioni obbligatorie e certificazioni volontarie, mentre in relazione all'oggetto, esse possono riguardare un prodotto o un sistema di gestione aziendale.

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certificazioni.

Questo nasce come fenomeno spontaneo derivante dalle naturali sollecitazioni del mercato, per cui inizialmente risulta il frutto di pratiche convenzionali e volontarie iniziative imprenditoriali, dettate in primo luogo da esigenze “interne”11,

funzionali a ottenere un miglior controllo del processo produttivo, una maggiore sicurezza sullo standard di prodotto, e quindi una migliore efficienza ed economicità dell'azienda.

Le origini delle prime certificazioni si vanno a collocare intorno ai primi anni del '900, quando la diffusione dei sistemi di produzione industriale di serie ha indotto la necessità di meccanismi appropriati al controllo della qualità finale dei prodotti12, che, come

ha evidenziato la dottrina, diventò un “corollario della produzione

di massa”13.

11 BIVONA Le certificazioni di qualità: vizi del prodotto e responsabilità dell'ente certificatore, in Contr. Impr., 2006, p. 1342. L'autore sottolinea poi “a queste (esigenze interne) si sono progressivamente affiancate esigenze di natura 'esterna', dirette a stabilire un rapporto di fiducia con i terzi in generale (ivi compresi i consumatori), finendo per assumere il ruolo di vero e proprio “strumento di persuasione” e di sollecitazione all'acquisto nei riguardi del consumatore acquirente”.

12 BIVONA Certificazione di qualità dei prodotti e tutele civilistiche, Torino, 2012, p. 13. 13 GARGALE, Amministrazione pubblica e privati nella certificazione di qualità dei prodotti

industriali, cit, p. 244. L'autore aggiunge che “la complessità del ciclo e del prodotto infatti rischia di essere ingovernabile in mancanza di un controllo ex post che rilevi le imperfezioni di queste (produzioni di massa) e che possa correggere la progettazione e il metodo di produzione, diventando così anche fattore di apprendimento per l'intero ciclo produttivo”.

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Inizialmente, lo strumento all'occorrenza adottato fu il c.d. collaudo dei prodotti, che mostrò, tuttavia, ben presto i propri limiti: per un verso, non appagava il reale bisogno delle imprese di verifiche che investissero non soltanto il prodotto in sé, ma anche l'efficienza di ognuna delle fasi precedenti e successive alla sua fabbricazione; per altro verso, il potere contrattuale dei committenti aveva gradualmente imposto che le attestazioni di conformità dei prodotti non provenissero da organismi interni all'azienda, quelli cioè preposti al collaudo, ma da soggetti terzi e indipendenti14.

Il parametro essenziale in base al quale compiere le operazioni di valutazione della conformità, in cui si sostanzia l'attività di certificazione, è rappresentato dalle cc. dd. “norme tecniche”15.

Storicamente, la normazione tecnica (o normalizzazione) è stata la naturale prosecuzione dell'attività di standardizzazione, avente origini antichissime16, ma sviluppatesi enormemente soltanto

14 Sul sistema di controllo di parte terza, Thione, La certificazione di prodotto. Principi e prassi applicative, in Collana monografie Sincert, 2001, p. 2.

15 Stando alla definizione contemplata dall'art. 1, n. 6 della direttiva 98/34CE (in materia di procedure di informazione nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche) la “norma tecnica” è una “specificazione tecnica approvata da un organismo riconosciuto ad attività normativa, per applicazione ripetuta e continua, la cui osservazione non sia obbligatoria e che appartenga a una delle seguenti categorie: norma internazionale (…); norma europea (…); norma nazionale (...)”.

16 Al riguardo, UNI- Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Le regole del gioco, Milano, 2013, p.22 e ss. “Per trovare nella storia i primi esempi di razionalizzazione aventi carattere normativo è necessario risalire a quando l'uomo cominciò a produrre per commercializzare su scale più ampie di quelle offerte dai mercati locali.[..] L'attività di

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alla fine del XIX secolo, quale elaborazione di standards tecnici affidata all'opera di organismi autorizzati17.

Con l'avvento della società industriale, infatti, si era posto il problema di realizzare alcune componenti di particolari meccanismi o macchine del tutto identici a fini applicativi, e quindi intercambiabili anche se realizzate da aziende diverse.

La richiesta di intercambiabilità degli elementi ha progressivamente dato luogo all'esigenza di creare un corpo di regole omogenee per i diversi prodotti, al fine di costruirli con caratteristiche uniformi e secondo principi comunemente riconosciuti18.

Così, l'attività di standardizzazione si è evoluta verso la

standardizzazione, da cui è derivata quella di normalizzazione, si manifestò già diversi millenni fa nelle civiltà culturalmente più evolute: ad esempio si possono rinvenire casi di standardizzazione avente carattere normativo in Egitto , sin dal 1600 a. C., ove vennero stabilite precise dimensioni per i mattoni”.

17 Gli organismi di normazione si contraddistinguono per la loro indipendenza e neutralità nei riguardi delle organizzazioni degli imprenditori, rispetto alle quali dunque si mantengono formalmente distinti. Gli organismi maggiormente rilevanti a livello internazionale sono l'ISO (International organization for standardization, fondata a Londra nel 1947 è un organizzazione non governativa che occupa una posizione intermedia tra il pubblico e il privato: i suoi istituti membri, infatti sono, sia rappresentanti di governo dei singoli Paesi, sia strutture e associazioni private; tale ente opera come una sorta di federazione degli organismi nazionali di normazione e ha per scopo la promozione della normazione del mondo, al fine di facilitare gli scambi di beni e servizi e di sviluppare a livello mondiale la collaborazione nel campo intellettuale, scientifico, tecnico ed economico) e il CEN (Comitato europeo di normazione); a livello nazionale l' UNI e, per il settore elettrotecnico, il CEI. Tali enti elaborano norme tecniche sulla base dell'accordo di tutte le parti interessate e facenti parte del c.d. comitato tecnico al quale possono aderire tutti i possibili destinatari di tali norme (imprenditori, utenti, associazioni di categoria, ecc.).

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formulazione di norme tecniche uniformi che stabiliscono criteri di progettazione e metodi di produzione, fondate sui risultati della scienza, della tecnologia e dell'esperienza e, come tali, rappresentative dello stato dell'arte in ordine a una determinata attività (processo) o ai suoi risultati (prodotto o servizio).

Dunque la normazione nasce da esigenze concrete provenienti dal mercato, e si diffonde attraverso l'utilizzazione spontanea da parte di quest'ultimo: ed invero, a dispetto dell'impropria qualifica in termini di “norme”, gli standards in esame sono generalmente caratterizzati dalla spontaneità della loro osservanza19, in quanto

l'eventuale scelta dell'imprenditore di adeguarvisi risulta in concreto suggerita, ove di fatto non imposta, dai vantaggi più o meno direttamente connessi al loro rispetto.

In conclusione di questa sintetica digressione sulla nascita e sviluppo della normazione tecnica20, occorre osservare come, dal

secolo scorso ad oggi, la normazione abbia subito una notevole espansione dovuta allo sviluppo tecnologico e la conseguente

19 COCO, Certificazione dei prodotti e dell'organizzazione aziendale: profili di concorrenza sleale e pubblicità ingannevole, in Rass. Dir. Civ., 2005, p.72.

20 Sull'argomento, più approfonditamente, si rinvia al quadro delineato da SMORTO, Certificazione di qualità e normazione tecnica, Torino, 2003, p. 208 e ss.

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profonda trasformazione dei mercati, che hanno determinato la necessità di elaborare norme tecniche di applicazione sempre più ampia. Basti pensare, ad esempio, all'apertura dei mercati internazionali che hanno generato l'esigenza di definire al meglio i prodotti in relazione al concetto di qualità, dando origine a norme prestazionali, di attitudine all'impiego ecc21.

Inevitabilmente, in parallelo al suo sviluppo, anche il concetto di normazione si è evoluto in ragione ed in funzione della continua mutazione dei processi industriali, e più in generale, delle economie: l'ISO nel 1986 ha definito la normazione come “l'attività

svolta per stabilire, relativamente a problemi effettivi e potenziali, disposizioni per gli usi comuni e ripetitivi, miranti ad ottenere l'ordine migliore in un determinato contesto”22.

21 Vedi ANDREINI e LIGONZO, La normativa tecnica, strumento per la qualità e la competizione, in AA. VV., Qualità, Certificazione, competitività, Milano, 2004, p.26. 22 Così, CAIA e ROVERSI MONACO, Amministrazione e privati nella normativa tecnica e

nella certificazione dei prodotti industriali, in AA.VV. La normativa tecnica industriale. Amministrazione e privati nella normativa tecnica e nella certificazione dei prodotti industriali, Bologna, 1995, p.13. Attività che si concretizza nella “produzione di norme atte a individuare le caratteristiche tecniche, merceologiche e qualitative dei prodotti industriali da immettere nel mercato nonché (…) dei sistemi e processi industriali e dei servizi”.

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2.1. (segue) Il sistema comunitario delle certificazioni di qualità: le c.d. “norme armonizzate”

Il legislatore europeo, a partire dagli anni '80, comincia a valorizzare la normazione come “strumento di enorme utilità

economica (per abbattere gli ostacoli tecnici alla libera circolazione delle merci) e sociale (per garantire un'adeguata sicurezza dei consumatori)”23.

Alla normativa tecnica, grazie alle sue generali e fondamentali caratteristiche24 – tra cui esser uno strumento dotato

di grande capacità evolutiva di adeguamento potendo essere facilmente aggiornata rispetto all'evolversi delle conoscenze tecnico-scientifiche – è stata assegnato un ruolo strategico per il perseguimento dell'obiettivo (primario) della creazione del mercato comune, concepito come uno “spazio senza frontiere interne” entro

23 BELLISARIO, Lo stralcio delle disposizioni sulle certificazioni di qualità dal codice del consumo: un occasione mancata, in Europa e diritto privato, 2005, p.1057; in proposito SMORTO Certificazione della qualità e normazione tecnica, Torino, p. 208, osserva come il sistema della qualità, “nato sulla base di esigenze di mercato per iniziativa degli operatori economici abbia subito un graduale processo di istituzionalizzazione”.

24 I tipici valori caratteristici della normazione sono la consensualità (sono approvate con il consenso di coloro che hanno partecipato ai lavori); democraticità (tutte le parti economiche e sociali interessate possono partecipare ai lavori e, soprattutto, chiunque è messo in grado di formulare osservazioni nell'iter che procede l'approvazione finale); trasparenza (gli organismi di normazione segnalano le tappe fondamentali dell'iter di approvazione del progetto di norma, tenendolo a disposizione degli interessati); volontarietà (le norme sono un riferimento che le parti interessate si impongono spontaneamente). Al riguardo, v. il documento Cosa è una norma, consultabile al sito internet www.uni.com.

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cui possano liberamente circolare persone, merci, servizi e capitali senza discriminazioni o restrizioni, e in cui domina il “principio di

un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza”25.

Per il raggiungimento di tale obiettivo, il primo ostacolo da rimuovere era quello “tecnico” costituito dalle differenti normative statali che prescrivono le condizioni tecniche cui è subordinata l'importazione di prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri. Il legislatore, dopo vari tentativi risultati insufficienti, trovò nella normazione tecnica uno strumento adeguato ed efficace per avviare un processo di uniformazione26,

capace di abbattere le barriere tecniche alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi ed evitare la proliferazione di normative nazionali integranti manovre protezionistiche che ostacolano di fatto il commercio tra i Paesi comunitari. Così è nato, nel quadro delle azioni volte a consolidare il mercato interno, un sistema europeo di normalizzazione, quindi di certificazione, basato sul

25 Artt. 26, comma 2 e 119, comma 1, Trattao UE come modificato dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009.

26 Sul punto, SMORTO, Certificazione della qualità e normazione tecnica, cit, p. 209, mette in luce come la creazione del sistema di certificazione trovi origine “nell'esigenza di eliminare le barriere di carattere tecnico al commercio”, destinate a cagionare “effetti distorsivi della concorrenza tra beni prodotti all'interno e beni prodotto al di fuori di una singola realtà nazionale”.

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perseguimento di un progetto di armonizzazione tecnica.

Il meccanismo più idoneo alla realizzazione del richiamato progetto è stato individuato nelle disposizioni approvate a seguito della Risoluzione del Consiglio del 7 Maggio 1985 27, che enuncia il

principio basilare secondo cui le direttive comunitarie si limitano ad armonizzare i requisiti essenziali di sicurezza28 che i prodotti

devono indefettibilmente e obbligatoriamente possedere per poter essere immessi legittimamente e circolare liberamente nel mercato, senza indicare le prescrizioni di dettaglio e gli accorgimenti tecnici idonei al loro soddisfacimento, all'uopo rinviando alla normativa tecnica di settore29.

Il compito di elaborare le disposizioni di carattere tecnico (le cc. dd. specifiche tecniche), che individuano le caratteristiche costruttive e progettuali che ciascun prodotto deve possedere per

27 Risoluzione 7 maggio 1985 (in GUCE, 4 giugno 1985, n. C 136) in materia di “Orientamenti relativi ad una nuova strategia in materia di armonizzazione tecnica e normalizzazione”.

28 Trattasi delle c.d. direttive di prodotto, riguardanti ognuna un singolo bene, che mirano a garantire livelli minimi di sicurezza e standards di qualità dei prodotti. L'allegato II della Risoluzione 7 maggio 1985 stabilisce che tali requisiti di sicurezza devono essere redatti “in forma sufficientemente precisa affinchè possano divenire, nella trasposizione in diritto nazionale, obblighi sanzionabili. Essi devono essere redatti in modo da permettere agli organismi di certificazione [...] di certificare la conformità dei prodotti direttamente in base a tali requisiti”.

29 Al legislatore nazionale, quindi, spetta unicamente il compito di fissare i requisiti essenziali di sicurezza, ossia il risultato da raggiungere, restandogli preclusa la facoltà di intervenire a disciplinare con norme obbligatorie il modo in cui un prodotto può soddisfare tali requisiti.

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rispettare i requisiti essenziali stabiliti nelle direttive, spetta invece agli organismi di normazione europea. Tali norme, elaborate entro le coordinate di riferimento date dalla Commissione europea, sono definite “armonizzate”30 e godono di una specifica rilevanza

giuridica: infatti, la conformità del prodotto a tali norme conferisce una presunta conformità (c.d. presunzione di sicurezza) ai requisiti essenziali fissati nelle direttive.

Occorre sottolineare che le specifiche tecniche, come afferma l'allegato II della Risoluzione 7 maggio 1985, “non devono essere

obbligatorie bensì conservare il carattere di norme volontarie”, per

cui il fabbricante potrebbe discostarsene, gravando però su di lui l'onere di provare la conformità dei propri prodotti ai corrispondenti requisiti essenziali fissati nelle direttive; tuttavia, malgrado il carattere non obbligatorio delle norme tecniche, all'impresa che vuole entrare o rimanere nel mercato, resta in capo la “necessità” (sempre qualificabile come “onere”) o, secondo il linguaggio comunitario, una “obbligatorietà de facto”31 di adeguarvisi.

30 L'espressione “norme armonizzate” (individuate con la sigla EN) è una qualifica giuridica utilizzate dalle direttive del Nuovo Approccio che spetta alle norme tecniche elaborate dagli organismi europei di normalizzazione e adottate in base a una procedura particolare, stabilita dall'art. 6 comma 3, della direttiva n. 98/34/CE.

31 La specifica tecnica non è imposta da un atto formale e cogente, ma la sua osservanza è promossa tramite la conseguente attribuzione di particolari benefici; infatti, nel contesto, la

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Si evidenzia che il delineato assetto del sistema comunitario delle certificazioni di qualità, oltre a favorire il ravvicinamento dei mercati nazionali e delle relative legislazioni tecniche, è anche costruito in modo da garantire al contempo “la sicurezza

individuale e collettiva, la tutela ambientale e la qualità dei prodotti. [...] La fissazione di rigorosi standards di qualità e sicurezza dei prodotti e l'articolato meccanismo di controllo della conformità per lo più delegato ad organi ad hoc sembrerebbero invero confermare l'inquadramento della disciplina sulle certificazioni obbligatorie tra quei provvedimenti di regolamentazione amministrativa dei prodotti i quali, intervenendo nella fase anteriore alla ammissione nel mercato degli stessi (c.d. premarket controls, ossia quei controlli precedenti alla vendita o messa in circolazione dei prodotti, intesi ad imporre ai produttori un livello accettabile di sicurezza) costituiscono strumenti di tutela preventiva legale dei consumatori”32.

scelta (libera e lecita) di adottare propri metodi di prova senza seguire nessun tipi di norma tecnica finisce per rilevarsi, se non impossibile, di certo economicamente non conveniente causa l'alto rischio di non ottenere il consenso delle altre parti interessate.

32 BIVONA, Certificazione di qualità dei prodotti e tutele civilistiche, cit., p. 28 e 29. Al riguardo, la decisione del Consiglio 93/465CEE, concernente i moduli relativi alle diverse fasi delle procedure di valutazione di conformità e le norme per l'apposizione e l'utilizzazione della marcatura CE: “Considerando che tali strumenti devono assicurare la piena conformità dei prodotti con i requisiti essenziali stabiliti nelle direttive di armonizzazione tecnica, onde garantire, in particolare, la salute e la sicurezza di utenti e

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Una tutela, dunque, efficace in quanto subordinata alla commercializzazione e circolazione dei prodotti.

3. Analisi del carattere obbligatorio o volontario delle certificazioni di qualità

Quando genericamente si parla di certificazioni di qualità, occorre effettuare una precisa distinzione tra certificazioni obbligatorie33 e certificazioni volontarie, a seconda che siano,

rispettivamente, imposte per legge o adottate spontaneamente dall'impresa.

Le certificazioni obbligatorie, volte ad assicurare la conformità di un prodotto o un servizio alle cc.dd. regole tecniche (obbligatorie “di diritto” o di “fatto”), sono imposte per garantire esigenze primarie e interessi fondamentali, quali la tutela della salute, della sicurezza delle persone e dell'ambiente; esse attengono al rispetto di requisiti stabiliti direttamente o indirettamente da direttive

consumatori”. Ancor più esplicitamente la direttiva 2009/105 in materia di recipienti semplici a pressione stabilisce che “un controllo del rispetto delle prescrizioni tecniche in questione è necessario per proteggere con efficacia gli utilizzatori e i terzi”.

33 V. BIVONA, Certificazione di qualità dei prodotti e tutele civilistiche, cit, p. 22. L'autore afferma che lo strumento di certificazione della qualità inizialmente impiegato per la realizzazione di interessi privati, è stato nel tempo recepito dal legislatore comunitario per la attuazione dell'articolato sistema delle certificazioni obbligatorie.

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comunitarie o disposizioni interne di diritto pubblico34.

Aspetto primario di tale tipo di certificazione consiste nel fatto che non crea vantaggi competitivi, costituendo semplicemente la condizione essenziale per permettere di stare e operare nel mercato. Le certificazioni obbligatorie attestano quindi quella che gli aziendalisti chiamano “qualità cogente” (cioè, giuridicamente, una qualità essenziale”) in quanto prescritta dalla legislazione al fine di garantire un livello minimo e uniforme di sicurezza dei prodotti e servizi.

Differentemente, le certificazioni nel settore volontario mirano a soddisfare esigenze di natura secondaria, di carattere meramente accessorio, quali ad esempio prestazioni di durata, funzionalità, affidabilità o confort, e son dirette ad assicurare la conformità alle cc.dd. norme tecniche (meramente volontarie) o altri documenti tecnici di riferimento.

Tale tipo di certificazione attesta la c.d. “qualità competitiva” (cioè, giuridicamente, una “qualità promessa”), che consente

34 Sebbene vi siano ancora numerose regolamentazioni nazionali, oramai, in virtù dell'impulso del legislatore europeo, le attività di certificazione obbligatoria coincidono in gran parte con l'attestazione di conformità ai requisiti delle direttive europee o di altri regolamenti comunitari.

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all'impresa di promuovere una propria strategia finalizzata al conseguimento di vantaggi economici e gestionali. La certificazione volontaria costituisce allora un fattore strategico di competitività, rappresentando per le parti interessate (in particolare per il consumatore) un simbolo di qualità35.

Conseguentemente alle distinzioni su fatte, esistono marchi di conformità (l'esito positivo dell'attività di certificazione si conclude tramite il rilascio di un attestato di certificazione della licenza di utilizzazione di un marchio, solitamente rappresentato con simboli sigle) obbligatori e volontari36: i primi garantiscono che il prodotto

possieda caratteristiche essenziali obbligatoriamente richieste affinchè possa liberamente circolare nel mercato; i secondi, che sono di forte caratterizzazione commerciale avendo essenzialmente l'obbiettivo di garantire una migliore commerciabilità del prodotto, attestano che il prodotto abbia caratteristiche ulteriori rispetto a quanto richiesto dalle eventuali norme obbligatorie, e perciò

35 Più approfonditamente, sui molteplici vantaggi derivanti dall'utilizzo di certificazioni volontarie, V CAMPRIANI e GHERSINI, Qualità. Obblighi legislativi e certificazione volontaria, Milano, 1999, p. 77 ss.

36 Il rapporto esistente tra certificazione e marchio è ben sottolineato da LUGARESI, Profili comparatistici della normazione tecnica: l'esperienza francese dell'Afnor, in AA.VV., La normativa tecnica industriale. Amministrazione e privati nella normativa tecnica e nella certificazione dei prodotti industriali, Bologna, 1995, p. 427. In tale rapporto la certifciazione rappresenta il momento dinamico, mentre il marchio rappresenta l'elemento statico, che attesta la conclusione positiva del processo certificativo.

(28)

costituiscono elementi distintivi rispetto alla concorrenza.

3.1. L'oggetto delle certificazioni e le diverse connotazioni assumibili dalla “qualità”

Passando alla generica classificazione delle certificazione di qualità, in relazione al loro oggetto, queste possono riguardare un prodotto o un sistema di gestione aziendale o il personale (la dottrina, conformemente a quanto stabilito dalle normative tecniche, include nel concetto di “prodotto” tanto il bene materiale quanto il servizio, infatti la certificazione di prodotto viene comunemente intesa ad assicurare la conformità dei prodotti tangibili o intangibili (servizi) a determinati requisiti stabiliti da specifici riferimenti normativi37).

Quanto alle certificazioni di prodotto38, che storicamente si son

sviluppate e affermate prima, esse riguardano gli aspetti di carattere più propriamente tecnico relativi al contenuto del prodotto, mentre le certificazioni di qualità dei sistemi di gestione, esse si riferiscono

37 THIONE, Il sistema italiano per la qualità, cit., p. 60.

38 “A fronte dell'ancora scarsa diffusione delle certificazioni nel settore dei servizi, l'ambito nel quale queste ultime possono ormai ritenersi radicate è certamente quello legato ai prodotti e ai relativi sistemi di produzione”, COCO, “Certificazione dei prodotti e dell'organizzazione aziendale: profili di concorrenza sleale e di pubblicità ingannevole”, cit., p. 70.

(29)

agli aspetti di carattere organizzativo e gestionale relativi alle risorse e ai processi produttivi; in particolare, i controlli condotti dall'ente certificatore son solitamente “rivolti alla fase di

progettazione, produzione, installazione dei prodotti, potendo talora estendersi pure a quella di assistenza post-vendita”39.

Circa la certificazione del personale, basta considerare come essa sia “essenziale per i processi in cui la componente umana è

critica ai fini della qualità dei risultati dei processi medesimi ed è finalizzata ad assicurare che le persone addette a suddetti processi possiedano, mantengano e migliorino continuamente nel tempo la necessaria competenza, intesa come l'insieme delle conoscenze, esperienze, abilità e doti richieste per l'efficace espletamento dei compiti ad esse affidati”40.

Sotto il profilo concernente la “qualità” attestata, questa può assumere diverse connotazioni: infatti, si potrà trattare di una qualità c.d. economica o di una qualità c.d. etico-sociale. In questa seconda accezione il valore aggiunto del prodotto o servizio risiede

39 Sull'argomento, più approfonditamente, ANDREINI, Certificare la qualità, Milano, 1997. Inoltre, sul punto, l'autore sottolinea che, seppur muovendo da tali controlli, “una buona azienda [..] non implica necessariamente una buona qualità dei suoi prodotti”.

40 THIONE, La qualità nelle professioni: stato attuale, problemi e prospettive, in Collana monografie Sincert, Milano, 2005, p. 14.

(30)

nell'impegno sociale assunto dall'impresa che lo fornisce e, in tale ambito, un rilievo crescente stanno assumendo le certificazioni ambientali (di prodotto o dei sistemi di gestione ambientale), nonché le certificazioni dei sistemi di gestione per la salute e la sicurezza del lavoro41.

Per quanto riguarda la più diffusa qualità economica, questa coinvolge un procedimento di certificazione volto a garantire la sussistenza di determinati standards idonei al soddisfacimento delle esigenze e delle aspettative del “cliente” (sia utente finale o consumatore) nel quadro di uno specifico rapporto contrattuale, e potranno avere contenuto diverso in funzione della natura obbligatoria o volontaria della certificazione o del livello più o meno elevato dei parametri prescelti, nei casi di certificazione volontaria.

Concludendo, il valore aggiunto in grado di attirare i consumatori può anche avere carattere sociale: è stato infatti dimostrato come questi siano sempre più spesso interessati all'acquisto di prodotti non soltanto corretti e sicuri, ma anche

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“fabbricati secondo criteri socialmente responsabili”42.

42 ROSSI CARLEO, Art 5-Obblighi generali, in Commentario al codice del consumo, Napoli, 2005. L'autore sottolinea la tendenza di assegnare una rilevanza sempre piè crescente agli impegni sociali assunti dall'impresa il cui prodotto o servizio si intende acquistare.

(32)

CAPITOLO II

LA CERTIFICAZIONE DELLA QUALITÀ COME STRUMENTO PER UNA TUTELA PREVENTIVA

DEL CONSUMATORE

1. Il consumatore finale come destinatario “naturale” delle certificazioni di qualità e le garanzie a esso offerte

Le certificazioni di qualità, attestando determinate caratteristiche concernenti l'organizzazione di un'azienda e ciò che essa produce, costituiscono uno strumento di circolazione di informazioni naturalmente destinate a varie categorie di soggetti, tra cui, inevitabilmente, la massa dei consumatori finali.

Verso questi ultimi – che rientrano nella categoria dei cc. dd. stakeholders1 in quanto intervengono direttamente nella vita

dell'azienda divenendo portatori di molteplici interessi che ruotano intorno all'organizzazione di questa (come ad esempio verso la

1 Col termine “stakeholders (o portatore di interesse)” si indicano quei soggetti, individui o organizzazioni, direttamente o indirettamente coinvolti in un'iniziativa economica, capaci di influenzare il raggiungimento di un obiettivo aziendale, in quanto “titolari di fatto di interessi d'impresa” come evidenzia BOESSO in Dizionario di Economia e Finanza, Alpha Test, 2012. Per ulteriori considerazioni, si rinvia al sito internet www.performancemanagentreview.org/stakeholder/ ove viene affermata “l'importanza strategica degli stakeholders per il business dell'impresa e quindi la necessità di definire obiettivi e indicatori che tengano conto della loro soddisfazione e del contributo che questi possono dare al successo dell'impresa”.

(33)

qualità del prodotto o servizio fornito dall'impresa) – le certificazioni sono essenzialmente dirette a realizzare, insieme all'etichettatura2, una forma di tutela preventiva alla corretta

attuazione del loro diritto a una scelta libera, sicura, informata e consapevole.

Si pensi a come il crescente utilizzo di standards di qualità produttivi di fonte privata da parte delle imprese, e la conseguente progressiva omogeneizzazione dei prodotti provenienti da attività diverse (non solo dal punto di vista organizzativo ma anche quanto alla collocazione geografica), abbia influito sul mercato: le industrie, in tal modo, hanno risposto all'esigenza di venire incontro, quanto più possibile, alle necessità di un “consumatore

sempre più confuso da una moltitudine di prodotti rinvenibili nel mercato globale che lo rende bisognoso di aiuto per orientarsi tra informazioni non sempre chiare che potrebbero indurlo in errore sulle qualità, compromettendone notevolmente l'agognato potere di

2 Ci si vuole riferire alla duplice funzione informativa e distintiva dell'etichettatura dei prodotti, soprattutto del settore agroalimentare. Per un approfondimento si rinvia a SAIJA, L'etichetta dei prodotti agroalimentari. Funzione e natura giuridica, Messina, 2007, passim, ove l'autore sottolinea l'idoneità delle etichette di veicolare sul consumatore tutte le informazioni sulle caratteristiche organolettiche del prodotto e dunque di consentirgli di effettuare una scelta quanto più possibile libera e consapevole.

(34)

scelta”3.

La qualità certificata non deve, dunque, intendersi soltanto come idoneità a “produrre una varietà di prodotti mantenendo la

capacità di minimizzare la varianza nelle caratteristiche tecnico-commerciali dei singoli prodotti realizzati”4, ma anche quale

effettiva capacità dell'azienda “di garantire il completo

soddisfacimento delle esigenze del cliente”5, in particolare, quelle

di tipo “informativo” oltre a quelle funzionali alla protezione della sua salute e sicurezza.

Stando alla definizione di “qualità” affermata dalla norma UNI EN ISO 8402, quale “insieme delle caratteristiche di un'entità

che ne determinano la capacità di soddisfare le esigenze espresse ed implicite (del cliente)”, si nota come anche gli enti di

normazione conferiscano massimo rilievo alla c.d. “customer

satisfaction”, termine che evoca il principio ormai largamente

condiviso secondo cui la “qualità” dei prodotti e dei servizi si misura sulla capacità di presa in carico dei bisogni dei clienti6.

3 RUSSO, Fare cose con regole: gli standard privati per la produzione alimentare nel commercio internazionale, in Riv. dir. agr., 2007, p. 607 ss.

4 GARGALE, Amministrazione pubblica e privati, cit., p. 244. 5 GAMBARO, Consumo e difesa dei consumatori, Bari, 1995, p. 125.

6 Per un approfondimento, v. CORDIANI, La soddisfazione del cliente: Appunti e riflessioni, reperibile al sito internet qualitiamo.com. L'autore definisce la c.d. customer satisfaction

(35)

Dunque, possiamo dedurre da ciò fin qui argomentato, che un prodotto conforme alla normativa tecnica, in linea di principio, può risultare idoneo a fornire ampie “garanzie in merito alla capacità di

soddisfacimento dei bisogni degli associati”7.

Tuttavia, secondo autorevoli pareri della dottrina, contrariamente a ciò che viene solitamente ritenuto da molti e che è anche formalmente statuito dalle leggi, “il Sistema Qualità è

ancora molto lontano dall'idea percepita di esso quale strumento di tutela diretta al consumatore, poiché l'intento garantista si realizza solo incidentalmente e di riflesso”8. Per cui, nonostante il

consumatore si collochi come “destinatario per così dire naturale

delle certificazioni”9, resterebbe sullo sfondo di un sistema,

soprattutto nell'ambito volontario, essenzialmente incentrato sulla soddisfazione di esigenze e interessi imprenditoriali.

In tal senso, il sistema delle certificazioni si ritiene volto principalmente al raggiungimento di effetti positivi legali e commerciali per l'impresa certificata, quali ad esempio la

come un “parametro importante da misurare e monitorare se si punta alla qualità”. 7 THIONE, La certificazione di prodotto. Principi e prassi applicative, in Collana

monografie Sincert, Milano, 2001, p. 4.

8 GIUSTI, Fondamenti di diritto pubblico dell'economia, 2013, p. 296. 9 GENTILI, La rilevanza giuridica della certificazione volontaria, cit, p.70.

(36)

presunzione di conformità dei prodotti ai requisiti di legge, una migliore posizione sul mercato derivante dalla maggiore diffusione dei prodotti e un miglioramento dell'organizzazione aziendale. Al di là di tali constatazioni di stampo dottrinale, non deve passare in secondo piano il fatto innegabile che l'adozione e l'osservanza di norme tecniche da parte dell'imprenditore contribuisce alla crescita dell'informazione offerta ai consumatori, la cui soddisfazione ha ormai assunto grande centralità per l'azienda10.

Il raggiungimento degli standard tecnici sull'effettiva qualità dei prodotti incide chiaramente sul gradimento dei consumatori e sulla conseguente diffusione dei prodotti medesimi sul mercato. Infatti, dall'adeguamento alla normativa tecnica di settore possono discendere sia vantaggi “afferenti ad una dimensione interna

all'azienda”11, relativi ad esempio alla riduzione dei costi di

transazione dei prodotti che costituiscono oggetti di scambio tra

10 Più in particolare, v. THIONE, La certificazione di prodotto. Principi e prassi applicative, cit., che osserva come le norme tecniche siano adottate dalle imprese per conseguire la c.d. qualità competitiva ossia la conformità del prodotto a “requisiti costruttivi, prestazionali e funzionali reputati particolarmente idonei al soddisfacimento delle esigenze dei consumatori”. Ancora, GAMBEL, Qualità totale: il metodo Gambel per raggiungere il miglioramento e la certificazione, Milano, 1990, sottolinea il ruolo del cliente nelle scelte imprenditoriali, e in particolare, nel perseguimento della qualità definendo quest'ultimo come “fondamentale obiettivo aziendale”.

(37)

agenti economici12; sia di valenza “esterna” che, invece, conducono

ad una più facile collocazione dei beni prodotti sul mercato, proporzionale alla raggiunta soddisfazione dei principali interessi del cliente.

A compimento della riflessione fin qui svolta circa la relazione tra certificazioni di qualità e consumatori finali dei prodotti certificati, osserviamo come le prime vadano a rappresentare un punto di contatto tra produttori e clienti, cercando di dare una certa consapevolezza e trasparenza di quello che l'impresa offre e sulle caratteristiche qualitative inerenti ai prodotti immessi nel mercato. Infine, la certificazione di qualità conferisce al prodotto un valore aggiunto, in quanto le c.d. buone prassi13 su cui si è da

12 Sul punto, MARIANI, Le normative tecniche, in MARIANI-RANCI (a cura di), Il mercato interno europeo, Bologna, 1988, viene osservato che l'utilità della normativa tecnica si ravvisa anche nelle semplificazioni che alle transazioni commerciali possono derivare dalla fissazione di “un linguaggio comune alle parti, che permette l'identificazione rapida della quantità o del formato di un prodotto (…) o della sua intercambialità/compatibilità con altri prodotti”. Possiamo dedurre da ciò che la domanda di standardizzazione da parte dell'imprenditore sia utile per ridurre costi di informazione circa propri prodotti interscambiabili sul mercato e relativi processi produttivi.

13 Per buone prassi (o buona pratica) si intendono le procedure più significative che hanno permesso di ottenere i migliori risultati relativamente a obiettivi preposti; nel settore aziendale sono definibili come il metodo migliore per effettuare la produzione. Sono, stando alla traduzione della definizione di best practice data dal sito businessdictionary.com, “il metodo o tecnica che ha costantemente mostrato risultati efficaci e superiori a quelli ottenuti con altri mezzi e che viene utilizzato come riferimento”. Oggi le buone prassi coincidono di fatto con una serie di normative o linee guida sviluppate dall'ISO, che definiscono i requisiti per la realizzazione di un “sistema di gestione della qualità” che migliori l'efficienza nella produzione di beni e nell'erogazione di servizi, al fine di incrementare la soddisfazione del cliente.

(38)

sempre basato il fenomeno del “Sistema qualità” tendono a garantire al consumatore un elevato livello di sicurezza del prodotto, che risulta così dotato di precise caratteristiche (cioè gli

standard qualitativi) imposte da norme o regole tecniche.

1.1. Il sistema di accreditamento come mezzo induttivo di fiducia delle certificazioni

In considerazione delle argomentazioni articolate nel precedente paragrafo, si può confermare la naturale destinazione e la funzione di strumento di tutela preventiva delle certificazioni di qualità verso il consumatore finale.

A tal punto, occorre aggiungere che la funzione summenzionata viene consolidata dal sistema di accreditamento degli organismi certificatori, che svolge l'importante finalità di “generare la fiducia, da parte dei consumatori e dell'intero

mercato”14, circa la competenza delle imprese certificatrici e

l'affidabilità delle attestazioni da esse rilasciate (e quindi, indirettamente, anche dei prodotti che ne sono forniti).

14 BUGIOLACCHI, Sicurezza dei prodotti e certificazione: la responsabilità contrattuale degli organismi di valutazione della conformità, in Responsabilità Civile e Previdenza, II, 2013, p. 610.

(39)

Nel linguaggio della normazione, l'accreditamento consiste nella ”attestazione da parte di un ente che agisce quale garante

super partes, della competenza, indipendenza, imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione e verifica, e dei laboratori di prova e taratura”15, oltre che del personale operativo nel “Sistema

Qualità”, secondo parametri comuni e oggettivi.

Giova precisare che l'accreditamento è sempre stato utilizzato non soltanto in ambito volontario, ma anche relativamente al settore cogente delle certificazioni di qualità: tanto che il legislatore comunitario lo ha recentemente definito, con la decisione n. 758/2008/CE “un mezzo essenziale per la verifica della competenza

degli organismi di valutazione della conformità” e “strumento preferito per dimostrare la competenza tecnica di tali organismi”16

in ogni settore (regolato o non).

Inoltre, come precisato dal regolamento n. 765/2008/CE (nel

15 Definizione rinvenibile al sito internet www.accredia.it.

16 V. il considerando n. 41 della decisione. Quindi, tale decisione rientrante nel pacchetto legislativo comprendente anche il regolamento n. 764/2008 /CE e il regolamento n. 765/2008/CE, incoraggia l'uso dell'accreditamento anche nel settore cogente ove la qualificazione degli organismi di certificazione viene eseguita dalle autorità competenti (tramite appositi organi tecnici) degli Stati Membri che devono “notificare” alla Commissione gli organismi “autorizzati” a rilasciare certificazioni di conformità, la quale provvederà a pubblicare nella G.U.U.E. l'elenco dei c.d. “organismi notificati”. Le direttive comunitarie fissano i requisiti generali che tali organismi devono soddisfare, mentre i criteri relativi alla loro valutazione e designazione restano di competenza nazionale. Stando alla decisione n. 768/2008/CE (considerando n. 39) l'accreditamento deve essere utilizzato “anche ai fini della notifica”.

(40)

considerando n. 13) “poichè si tratta di garantire la qualità dei certificati e dei rapporti di prova indipendentemente dal fatto che rientrino nell'uno o nell'altro settore, non dovrebbe essere fatta alcuna distinzione tra il settore regolato e quello non regolato”.

Il medesimo regolamento ha fissato, per la prima volta, un quadro armonizzato e una disciplina uniforme per l'attività di accreditamento, delegando ai singoli Paesi il compito di designare il proprio Ente Unico di Accreditamento.

Attualmente, tale Ente, in Italia, è rappresentato da ACCREDIA17, un'associazione riconosciuta, senza scopo di lucro,

dotata di personalità giuridica ed operante in ogni settore sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico.

Questa è nata allo scopo di adeguare il sistema di accreditamento italiano alle disposizioni comunitarie, in particolare al regolamento europeo 765/2008, come rappresentante di tutti i soggetti portatori di interesse nelle attività di accreditamento (dalle Pubbliche Amministrazioni alle organizzazioni d'impresa fino ai

17 Soggetto privato e unico ente nazionale per l'accreditamento dei laboratori di prova e degli organismi di certificazione e ispezione, nato dalla fusione di SINAL e SINCERT. Per garantire un'equilibrata rappresentanza delle parti interessate, la compagine associativa di tale ente è articolata in diverse categorie come ad esempio quella relative alle maggiori organizzazioni imprenditoriali e quella concernente le associazioni dei consulenti e dei consumatori. Per ulteriori informazioni, v. il sito internet www.accredia.it.

(41)

consumatori).

Dal punto di vista funzionale, ACCREDIA contribuisce ad alimentare la fiducia nel mercato da parte delle imprese e dei consumatori (nonché dalle Istituzioni), oltre che a favorire la circolazione di beni e servizi sottoposti a verifica dagli organismi accreditati.

Quindi, è innegabile che l'attività di accreditamento, e più in generale l'attività di accertamento della qualità, si pone come attività di rilevanza sociale svolta nell'interesse pubblico, a salvaguardia di valori fondamentali quali ad esempio la tutela dell'efficienza del mercato e la salute dei consumatori.

Inoltre, il legislatore europeo, per rafforzare la credibilità del sistema delle certificazioni, ha optato non per una diretta regolamentazione dello stesso ma per quella del sistema dell'accreditamento che svolge, in definitiva, il ruolo nodale e fondamentale di “controllore dei controllori”18.

Difatti, la fissazione di regole vincolanti e uniformi concernenti la valutazione della competenza degli organismi di

18 BELLISARIO, La responsabilità degli organismi di certificazione della qualità, in Riv. Danno e Responsabilità, XI, 2011, p. 1018.

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certificazione vale ad accrescere la credibilità dei certificati accreditati da queste rilasciate, con connesso accrescimento della fiducia dell'intero mercato. Infatti, in questo modo il mercato può fondamentalmente nutrire affidabilità nei confronti dei prodotti e servizi certificati nonché del personale operante nell'ambiente della qualità, e il consumatore è tutelato quanto a salute, sicurezza e protezione dei propri interessi economici.

2. Le certificazioni di qualità: strumento di comunicazione “simbolica” e di circolazione della certezza

Nell'attuale scenario economico, connotato da una distanza crescente tra produttore e consumatore, la certificazione di qualità, rappresenta uno degli strumenti di “comunicazione “simbolica”19

per favorire (se non, addirittura, per sostituire) lo scambio di informazioni tra le parti.

In proposito, la dottrina ha recentemente sottolineato la crescente tendenza a sostituire al sempre più ridotto dialogo tra le

19 Espressione utilizzata da CANFORA, L'agricoltura biologica nel sistema agroalimentare. Profili giuridici, Cacucci, Bari, 2002, p. 245. Questa vuole rilevare che l'eventuale esito positivo delle verifiche svolte dall'organismo di certificazione sfocia nell'apposizione di simboli o marchi, con la funzione di rendere nota ai terzi la conformità del bene a certi standards. Per cui la certificazione diviene strumento di informazione verso l'acquirente circa le caratteristiche dei prodotti.

(43)

parti “strumenti impersonali, caratteristici di una società di

massa”20, tra i quali può sicuramente rientrare la certificazione di

qualità.

È stato inoltre osservato come sempre più spesso il consumatore formi il proprio convincimento in merito alla opportunità e alla convenienza di una data operazione (ad esempio l'acquisto), esclusivamente sulla base delle informazioni contenute in dichiarazioni rivolte al pubblico dai produttori, senza che che venga instaurato alcun contatto “informativo” tra le parti.

Quindi, non è sorprendente né inconsueto il fatto che “sia la

decisione di acquistare un prodotto appartenente ad una certa categoria merceologica, sia la scelta di quello fra i molti prodotti di uno stesso genere (…) vengano influenzate in modo determinante proprio dalle dichiarazioni rese da venditori e produttori”21.

D'altronde, lo sviluppo del mercato globale da un lato, e la sempre maggiore specializzazione tecnologica dall'altro, finiscono inevitabilmente per determinare un “progressivo allontanamento

20 ROSSI CARLEO, Art. 5 – Obblighi generali, in ALPA-ROSSI CARLEO (a cura di), Commentario cod. cons., Esi, Napoli, 2005, p. 130.

21 DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Cedam, Padova, 2000, p. 105 e ss.

(44)

tra il prodotto e i consumatori”22 i quali, rispetto al passato,

avvertono sempre più uno scarso grado di coscienza nei confronti di ciò che acquistano.

In tal contesto assume fondamentale rilevanza la certificazione di qualità, quale mezzo di comunicazione “simbolica”, garante di una “quanto mai necessaria tutela di un determinato grado di

consapevolezza specie in un mercato muto”23, che necessita di una

maggiore trasparenza, raggiungibile solo con l'eliminazione di quelle “forme di squilibrio informativo”24 che ne compromettono

l'efficienza.

Sul punto, l'esperienza degli ultimi anni ha individuato nelle certificazioni di prodotto uno degli strumenti maggiormente efficaci anche in termini di “lotta” alle asimmetrie informative concernenti la qualità dei beni oggetto di scambio25.

22 CALABRÒ, Le certificazioni di qualità ambientale di prodotto quali fattori di competitività per il made in italy, in Foro amm. TAR, IX, 2009, p. 2639.

23 IRTI, La concorrenza come statuto normativo, in AA. VV., Scritti in onore di Giovanni Galloni, Roma, 2000, p. 943. Sul “mercato muto”, v. IRTI, Scambi senza accordo, in Riv. dir. e proc. Civ., 1998, p. 347, ove l'autore offre lo descrive come un mercato dove le parole parlate sono sempre più escluse tra i contraenti, perchè la “proposta” consiste nella mera offerta visiva dell'oggetto da parte del produttore, e “l'accettazione” è data dalla silenziosa apprensione della cosa da parte del consumatore.

24 BASILE, Prodotti agricoli, mercato di massa e comunicazioni simbolica, in Dir. giur. agr. amb., 1995, p. 138.

25 L' “asimmetria informativa” si presenta come una condizione in cui un'informazione non è condivisa integralmente fra individui facenti parte del processo economico. Si distinguono le asimmetrie informative relative al prezzo da quelle concernenti la qualità di prodotti. L'analisi economica dei mercati con “informazione asimmetrica” ha contribuito a comprendere il fatto che un fondamentale elemento di incertezza nelle relazioni di mercato

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