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Il "lavoro parasubordinato": genesi del fenomeno e regolamentazione legislativa

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

IL “LAVORO PARASUBORDINATO”: GENESI DEL

FENOMENO E REGOLAMENTAZIONE LEGISLATIVA

Relatore:

Chiar.mo Prof. Pasqualino Albi

Candidato:

Rosario Ramone

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Ad un grande lavoratore, mio padre A mia madre e mia sorella La mia famiglia.

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Indice

Introduzione……….6

CAPITOLO 1 LE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE E PREVALENTEMENTE PERSONALI. 1.1 Definizione del “lavoro parasubordinato”………...8

1.2 Origine del fenomeno e primi fondamenti legislativi………..9

1.3 I requisiti caratterizzanti i rapporti di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c………..10

1.3.1 La Collaborazione………..12

1.3.2 La Continuità……….13

1.3.3 Il Coordinamento………...15

1.3.4 La prevalente personalità della prestazione………16

1.3.5 L’applicabilità o meno dei suddetti requisiti anche agli altri rapporti di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c………..19

1.4 L’influenza della giurisprudenza in tema di subordinazione sul concetto di collaborazione coordinata e continuativa………20

1.4.1 Emersione di un tertium genus………..25

1.5 Mancanza di disciplina: un possibile rimedio?...25

1.5.1 Argine alla tendenza espansiva del diritto del lavoro………..28

1.6 La ratio della riforma dell’art. 409 n. 3 c.p.c……….30

1.7 Tutele riconosciute alle collaborazioni coordinate e continuative……….31

1.7.1 Tutela processuale………..31

1.7.2 Tutela sostanziale e oscillazioni giurisprudenziali sull’applicazione alle collaborazioni coordinate e continuative di alcune disposizioni codicistiche……….33

1.8 Gli orientamenti giurisprudenziali sulla configurabilità o meno del rapporto di lavoro parasubordinato in alcuni negozi giuridici………..37

1.9 Un primo riconoscimento di tutele: sistema pensionistico e assicurativo……..40

CAPITOLO 2

DAL LAVORO A PROGETTO ALLA RIFORMA MONTI-FORNERO: “UN’OCCASIONE MANCATA”.

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2.1 Dall’emersione del fenomeno del lavoro (autonomo) economicamente dipendete alla risposta del legislatore italiano: “un’occasione mancata”…………44 2.1.1 Considerazioni sulla definizione tecnico-giuridica del lavoro a progetto………...50 2.2 I requisiti formali e sostanziali del contratto di lavoro a progetto ex art. 62 d.lgs. n. 276 del 2003: cenni e rinvii………52 2.2.1 La temporaneità della prestazione di lavoro (ex art. 62) e l’irrilevanza del tempo per eseguire la stessa (ex art. 61)………54 2.2.2 L’indicazione nel contratto del progetto, programma, o fase di esso……….57 2.2.3 L’indicazione nel contratto del corrispettivo, delle forme di coordinamento e delle eventuali misure di sicurezza……….58 2.3 Il lavoro a progetto: tipo o sottotipo?...60 2.4 Cosa restava delle vecchie co.co.co.? Il regime delle esclusioni di cui all’art. 61 d.lgs. n. 276 del 2003………..61 2.4.1 Caso particolare di esclusione: le co.co.co. nel settore pubblico…...68 2.5 Inadeguatezza dei dati tipizzanti la fattispecie del lavoro a progetto: rilievi critici e cenni alla giurisprudenza……….70 2.5.1 Considerazioni intorno “all’ambiguità” dell’oggetto del contratto………..70 2.5.1.1 Ridimensionamento del ruolo del progetto a vantaggio dell’aspetto temporale della prestazione di lavoro……….78 2.5.2 Il coordinamento con l’organizzazione dell’impresa: riflessi sulla subordinazione………81 2.6 L’ampliamento della nozione di subordinazione come conseguenza delle novità introdotte con il d.lgs. n. 276 del 2003………84 2.6.1 Riflessioni sulle possibili ricadute del meccanismo presuntivo su alcune disposizioni costituzionali………...94 2.7 La prestazione del collaboratore a progetto: obbligazione di mezzo o di risultato?...96 2.7.1 Il lavorare a “progetto” come prova del superamento della distinzione

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tra obbligazione di mezzo ed obbligazione di risultato nel diritto del lavoro………100 2.8 La selettività dell’assetto protettivo riconosciuto al collaboratore…………..101

CAPITOLO 3

IL LAVORATORE FLESSIBILE E LA METAMORFOSI DEL LAVORO: RICERCA DI UN POSSIBILE SISTEMA DI PROTEZIONE GIURIDICA.

3.1 La dimensione quantitativa delle collaborazioni coordinate e continuative: cause ed effetti………..110 3.2 Morfologia del lavoro alla fine degli anni ’90………115 3.2.1 Superamento della tradizionale organizzazione fordista-taylorista e progressiva emersione del lavoro autonomo di «nuova generazione»……….117 3.3 Il nuovo modello antropologico di lavoratore e di datore di lavoro………….123 3.4 Crisi di identità del diritto del lavoro………...128 3.5 Prime proposte di riforma sulla ridefinizione della fattispecie di contratto di lavoro………132 3.5.1 Possibili percorsi di riforma da parte della dottrina: il lavoro coordinato……….138 3.5.2 Proposte legislative: disegno di legge Smuraglia……….140 3.6 Il lavoro parasubordinato: tra problemi di qualificazione giuridica e inadeguatezze delle riforme del lavoro dell’ultimo ventennio………..145

CAPITOLO 4

LE COLLABORAZIONI ORGANIZZATE DAL COMMITTENTE.

4.1 Le collaborazioni organizzate dal committente (art. 2, comma 1 d.lgs. n. 81 del 2015): cenni alla legge delega………...150 4.1.1 Problemi di qualificazione della fattispecie: le diverse interpretazioni...155 4.1.2 (Segue) tecnica utilizzata dal legislatore………..160 4.2 I tratti distintivi delle collaborazioni organizzate dal committente (cosa cambia rispetto ai requisiti ex art. 409, n. 3 c.p.c.?)………...162 4.2.1 (Segue) Etero-direzione ed etero-organizzazione: un’endiadi?...163

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4.3 Le collaborazioni organizzate dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative (le “vecchie” co.co.co.): distinzione ed incertezze interpretative….167 4.4 Verso un diritto a creazione giurisprudenziale? Ruolo chiave del diritto vivente e riflessi sulla certezza del diritto……….170 4.5 Art. 54 d.lgs. n. 81del 2015: incentivo al superamento delle collaborazioni organizzate dal committente ed ai titolari di partita IVA………...173 4.6 Art. 2 comma 3 d. lgs. n. 81 del 2015: effetti della certificazione dell’assenza dei requisiti ex art. 2 comma 1 sulla certezza del diritto………176 4.7 Disciplina applicabile ai rapporti di cui all’art. 2 comma 1: quale parte del lavoro subordinato si applica?...177 4.8 La disciplina applicabile alle altre collaborazioni (non etero-organizzate) dopo l’approvazione della legge n. 81 del 2017 (il c.d. “statuto del lavoro autonomo”)………...180 4.9 Art. 2 comma 2 d.lgs. n. 81 del 2015: fattispecie escluse dall’applicazione del comma 1 e salvaguardia del c.d. “principio di indisponibilità del tipo”………..186 4.9.1 (Segue) Caso particolare dei call-center………...191 4.10 Le collaborazioni nel settore pubblico dopo la modifica apportata dal d. lgs. n. 75 del 2017 all’art. 2 comma 4 d.lgs. n. 81 del 2015………..193

CAPITOLO 5

RIFLESSIONI CONCLUSIVE: ASPETTI CRITICI E POSSIBILI SCENARI FUTURI.

5.1 Il lavoro parasubordinato come espressione delle trasformazioni avvenute nel diritto del lavoro. Necessità di aggiornare la nozione di subordinazione………...198 5.2 Legislazione attuale (d.lgs. n. 81 del 2015): aumento del quadro tipologico e del ruolo della giurisprudenza………203 5.3 Aspetti critici del c.d. “statuto dei lavoratori autonomi” e necessità di dare attuazione ai principi costituzionali del diritto del lavoro anche in tema di “lavoro parasubordinato”………..205

BIBLIOGRAFIA……….209 Dottrina………209

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Giurisprudenza……….219 SITOGRAFIA………..222

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Introduzione

Il lavoro c.d. “parasubordinato” rappresenta uno dei temi su cui maggiormente vi sono stati dibattiti, tanto dottrinali quanto giurisprudenziali. La circostanza che il legislatore sia tornato su questo punto con il d.lgs. n. 81 del 2015, attraverso l’introduzione delle c.d. collaborazioni organizzate dal committente, rende evidente come questo tema sia ancora fortemente attuale. La difficile collocazione del lavoro parasubordinato, per i suoi caratteri ambigui e vaghi, all’interno del lavoro autonomo o del lavoro subordinato, ha dato adito a numerose interpretazioni dottrinali volte, sostanzialmente, ad individuare le strade per aprire la porta al riconoscimento di tutele adeguate anche nei confronti di tali lavoratori.

L’elaborato persegue due scopi.

Da una parte ripercorrere le varie tecniche di regolamentazione del rapporto adoperate dal legislatore con l’intento di regolamentarlo e per certi versi anche arginarlo e superarlo, perché considerato da sempre, nella visione del legislatore, oggetto di un uso “mascherato” e fraudolento da parte dei committenti, allo scopo di eludere le tutele del contratto di lavoro subordinato. In particolare ad un’inziale tecnica di mera estensione di alcuni istituti tipici del diritto del lavoro, nei confronti dei suddetti rapporti, si viene a sostituire un intervento più incisivo con la riforma Biagi del 2003 e con la riforma Fornero del 2012, in quanto non viene più consentita la possibilità di stipulare forme atipiche di collaborazioni coordinate e continuative. Da ultimo, infine, si volge lo sguardo alla recente riforma legislativa (d.lgs. n. 81 del 2015), intervenuta proprio nell’ambito dell’utilizzo del lavoro parasubordinato sia nel settore privato che in quello pubblico (modificato ulteriormente con il d.lgs. n. 75 del 2017), la quale anziché semplificare il quadro giuridico delle tipologie contrattuali, sembra complicarlo ulteriormente, mettendo a dura prova, quindi, la certezza del diritto.

L’altra parte dell’elaborato, in particolare il capitolo terzo, si interroga sulla genesi del fenomeno, rilevando, sulla scorta di una ricca riflessione interdisciplinare, come questa particolare forma di lavoro non debba essere inquadrata soltanto come una fuga fraudolenta del lavoro subordinato, bensì come la nuova forma di utilizzo della forza lavoro nell’impresa dopo l’evoluzione incorsa nei processi economici e produttivi che hanno interessato l’impresa italiana dagli

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CAPITOLO 1

LE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE E PREVALENTEMENTE PERSONALI.

SOMMARIO: 1.1 Definizione del “lavoro parasubordinato”. 1.2 Origine del fenomeno e primi fondamenti legislativi. 1.3 I requisiti caratterizzanti i rapporti di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. 1.3.1 La Collaborazione. 1.3.2 La Continuità. 1.3.3 Il Coordinamento. 1.3.4 La prevalente personalità della prestazione. 1.3.5 L’applicabilità o meno dei suddetti requisiti anche agli altri rapporti di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. 1.4 L’influenza della giurisprudenza in tema di subordinazione sul concetto di collaborazione coordinata e continuativa. 1.4.1 Emersione di un tertium

genus?. 1.5 Mancanza di disciplina: un possibile rimedio? 1.5.1 Argine alla

tendenza espansiva del diritto del lavoro. 1.6 La ratio della riforma dell’art. 409 n. 3 c.p.c. 1.7 Tutele riconosciute alle collaborazioni coordinate e continuative. 1.7.1 Tutela processuale. 1.7.2 Tutela sostanziale e oscillazioni giurisprudenziali sull’applicazione alle collaborazioni coordinate e continuative di alcune disposizioni codicistiche. 1.8 Gli orientamenti giurisprudenziali sulla configurabilità o meno del rapporto di lavoro parasubordinato in alcuni negozi giuridici. 1.9 Un primo riconoscimento di tutele: sistema pensionistico e assicurativo.

1.1 Definizione del “lavoro parasubordinato”.

Tutti gli ordinamenti europei sia di civil che di common law fondano il diritto del lavoro su un sistema «binario o dicotomico»1, che vede contrapposta la fattispecie del lavoro subordinato a quella del lavoro autonomo. Infatti lo stesso ordinamento giuslavoristico italiano si basa su detta bipartizione, la quale fonda le radici nella tradizione romanistica dell’ottocento e, più di recente, nella codificazione del 1942. I mutamenti economici-produttivi del secondo dopo guerra, invece, hanno fatto emergere una nuova categoria di rapporti di lavoro che sembrano non rivestire pienamente né i caratteri tipici della subordinazione, né i caratteri tipici dell’autonomia2. In assenza di una definizione legislativa, la dottrina prima e la

1 M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Milano, 2013, p. 1.

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giurisprudenza successivamente, definirono, convenzionalmente, tali rapporti utilizzando la nozione di «lavoro parasubordinato»3», la quale rappresenta «l’attività lavorativa svolta in forma non subordinata in senso tecnico-giuridico (art. 2094 c.c.), ma non per questo priva di profili di materiale dipendenza, di natura eminentemente sociale ed economica nei confronti del soggetto a vantaggio del quale l’attività stessa è espletata»4.

1.2 Origine del fenomeno e i primi fondamenti legislativi.

La vicenda del lavoro parasubordinato ha inizio con l’approvazione della l. 14 luglio 1959, n. 741, meglio conosciuta come legge Vigorelli, allorquando vengono menzionati per la prima volta i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa5. Tale provvedimento, che si proponeva di risolvere il problema della mancata implementazione dell’art 39 della Costituzione6 (in tema di organizzazione sindacale), stabilì all’art 2 che «le norme giuridiche di cui all’art. 1 (vale a dire i decreti legislativi che estendevano erga omnes contratti ed accordi economici

3 Espressione coniata per la prima volta da G. PERA, Rapporti c.d. di parasubordinazione e rito del lavoro, in Riv. Dir. Process., 1974, p. 424 (nota a Tribunale di Monza, 4 aprile 1974). Successivamente largamente utilizzata in dottrina: M. PEDRAZZOLI, Prestazione d’opera e parasubordinazione (Riflessione sulla portata sistematica dell’art 409, n. 3 c.p.c.), in Riv. It. Dir. Lav., 1984, I, p. 508; M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 42 definisce il lavoro parasubordinato come «una espressione di creazione dottrinale, priva di denominazione legislativa»; G. GHEZZI (a cura di), La disciplina del mercato del lavoro, Roma, 1996, parla di parasubordinazione per indicare «quei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di carattere prevalentemente personale, posti in essere (di norma) senza organizzazione di mezzi produttivi da parte di chi presta lavoro»; G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro parasubordinato, Milano, 1979, il quale nel far riferimento a questa categoria ne mette in risalto la debolezza contrattuale dei lavoratori nei confronti della controparte. F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, Bologna, 2012, utilizza l’espressione lavoro parasubordinato per «designare una figura di contraente debole, trasversale rispetto alla partizione tradizionale e contraddistinta da un vincolo di dipendenza sostanziale e di disparità contrattuale rispetto al soggetto che fruisce della prestazione». G. PERSICO, Professioni intellettuali e subordinazione, in M. PEDRAZZOLI (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni: comparazioni e prospettive, Bologna, 1989, p. 137, definisce il lavoro parasubordinato «una particolare prestazione di attività lavorativa che viene definita autonoma e che presenta caratteristiche intermedie, tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato».

4 A. M. GRIECO, lavoro parasubordinato e diritto del lavoro, Napoli, 1983, p. 17.

5 In tal senso S. LEONARDI, Il lavoro coordinato e continuativo: Profili giuridici e aspetti problematici, in Riv. Giur. Lav., 1999, I, p. 513. In particolare A. M. GRIECO, op. cit., p. 15, precisa come l’espressione “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa” trovi un proprio antecedente letterario, ancor prima della suddetta legge, nel disegno di legge Rubinacci presentato alla Camera il 4 dicembre 1951. Tale disegno di legge, sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro, nell’art. 24 stabilì che: le associazioni sindacali registrate di datori di lavoro possono stipulare accordi economici collettivi per la disciplina dei rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata”.

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collettivi7) dovessero essere emanate per tutte le categorie per le quali risultassero stipulati contratti e accordi economici collettivi aventi ad oggetto la disciplina dei rapporti di lavoro, ivi compresi i rapporti che si concretino in prestazioni d’opera continuativa e coordinata»8.

La grande novità di tale legge, come si evince chiaramente dai lavori preparatori9, fu quella di mettere in risalto l’esistenza di «particolari rapporti che, pur intercorrendo tra imprenditori, hanno una speciale fisionomia, sono, cioè, caratterizzati dalla soggezione di una delle due parti contraenti all’altra»10, e in virtù di questo dato il legislatore riconobbe a tali rapporti un minimo inderogabile di trattamento economico e normativo. Come paradigmatico di tali rapporti venne citato il caso degli agenti di assicurazione, ma lo stesso discorso può dirsi per i rappresentanti di commercio. Infatti questi pur rivestendo la qualifica di datore di lavoro, nel momento in cui devono conformarsi alle direttive impartite dalle imprese preponenti, vengono a trovarsi nei confronti di queste ultime in stato di soggezione.

Nel medesimo solco si colloca anche la successiva riforma del processo del lavoro con legge 12 agosto 1973 n. 533. Quest’ultima segna l’inizio dell’intera vicenda, non solo perché rappresenta il momento da cui è communis opinio tra i giuristi l’utilizzo dell’espressione “lavoro parasubordinato”, ma anche, e soprattutto, per i risvolti in termini di disciplina. Una novità che viene, riassuntivamente, definita dalla dottrina11 come la prima stagione di tutela del lavoro parasubordinato.

1.3 I requisiti caratterizzanti i rapporti di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c.

Con la citata riforma del processo del lavoro, il legislatore segna la comparsa delle collaborazioni coordinate e continuative, non più in veste per così dire provvisoria,

7 In particolare il Parlamento, attraverso la su citata legge, delegò il Governo ad emanare una serie di decreti legge che fisassero i trattamenti minimi salariali e normativi per ciascuna categoria lavorativa, rifacendosi ai contratti collettivi in materia, al fine così di garantire un’efficacia (indiretta) erga omnes alla disciplina negoziale.

8 M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 43.

9 Sul punto A. M. GRIECO, op. cit., p. 15: Relazione della XII Commissione permanente della Camera dei Deputati, presentata alla Presidenza il 13 aprile 1958.

10 A. M. GRIECO, op. cit., p. 15. Nello stesso senso anche M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 43, infatti l’Autrice afferma che così facendo il legislatore «stabilisce l’esistenza di un tratto comune tra lavoratori subordinati e collaboratori dell’imprenditore non subordinati, la cui prestazione avesse però carattere continuativo e coordinato: una dipendenza economica dall’imprenditore che travalica il dato tecnico della subordinazione, per manifestarsi nella continuità dell’opera o delle opere svolte a vantaggio e nell’interesse dal datore di lavoro».

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com’era accaduto con la legge Vigorelli del ’59, ma come figura “stabile” dell’ordinamento giuridico12. In primis si ritenne di dover accogliere nell’art 409, n.3 c.p.c. un esplicito riferimento ad alcune figure professionali che in passato erano state considerate ‒ ma soltanto sul piano empirico ‒ gli archetipi della fattispecie, ovvero gli agenti ed i rappresentanti di commercio13 ed, inoltre, si specificarono, nella seconda parte dell’articolo, gli elementi tipizzanti la fattispecie. Infatti il legislatore, con il fine ultimo di «estende le disposizioni relative alle controversie individuali di lavoro»14 ad alcuni rapporti, menzionò oltre i rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale anche «i rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato»15. In tal modo si stabilirono per la prima volta all’interno di una disposizione gli elementi essenziali della parasubordinazione ossia la continuità, la coordinazione e la prevalente personalità della prestazione. In realtà, a dire il vero, una parte della dottrina indica un ulteriore elemento tipizzante rappresentato dalla collaborazione.

Alcuni di questi elementi, in particolar modo la continuità e la coordinazione, caratterizzano, unitamente ad altri, anche l’altra nozione «restrittiva»16 di lavoro parasubordinato ‒ necessaria ai fini dell’applicazione della normativa tributaristica ‒ contenuta nell’allora art. 49, co. 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 91717.

12 F. MARTELLONI, op. cit., p. 81. In senso analogo già L. NOGLER, La doppia nozione giuslavorista di parasubordinazione, in Mass. Giur. Lav., 2000, p. 1024, il quale afferma che con la legge Vigorelli vi fu un richiamo di dette forme di lavoro solo in «via estemporanea» mentre «più strutturalmente» con l’art. 409, n. 3 c.p.c.

13 M. BORZAGA, op. cit., p. 55.

14 M.V. BALLESTRERO, op. cit., p. 44. 15 Art. 409, n. 3 c.p.c.

16 In tal senso L. NOGLER, op. cit., p. 1028, il quale la contrappone alla nozione «ampia» di lavoro parasubordinato di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c.

Altri invece utilizzano la nozione di lavoro coordinato e continuativo. Così M. PEDRAZZOLI, Il mondo variopinto delle collaborazioni coordinate e continuative, in M. PEDRAZZOLI (coordinato da), il nuovo mercato del lavoro: commento al D. lgs. n. 276/2003, Bologna, 2004, p. 670. In senso analogo anche F. MARTELLONI, op. cit., p. 81.

17 In realtà tale nozione fu introdotta in sede di istituzione dell’IRPEF nel 1973 e, più di recente, ha subito una notevole evoluzione fino ad arrivare agli anni 2000. In particolare in un primo momento il legislatore «nell’assimilare ai redditi di lavoro autonomo, da sottoporre alla relativa imposta, quelli derivanti da una serie di uffici, attività e collaborazioni (amministratori, sindaci, ecc.), l’art. 49, 2 co., lett. a), T.U.I.R., aggiunse una formula simile a quella dell’art. 409, n. 3, c.p.c., per ricomprendere pure i redditi derivanti da «altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa»; per tali intendendosi quei «rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività […] svolta senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita». Successivamente l’art. 34 della l. 21 novembre 2000, n. 342 ha introdotto una modifica sostanziale,

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La necessità di definire gli elementi racchiusi all’interno dell’art. 409, n. 3 c.p.c. nasce essenzialmente dal carattere “aperto”18 dei rapporti contemplati nella disposizione. Infatti «la c.d. parasubordinazione non deriva da un determinato contratto, ma, al contrario, viene integrata nel rapporto se e in quanto la collaborazione abbia ad oggetto una prestazione d’opera»19 contrassegnata dai tre requisiti più volte menzionati.

Per meglio dire, il rapporto di lavoro parasubordinato individua una possibile modalità di svolgimento di una serie, tendenzialmente, infinita di rapporti di lavoro. Nella stragrande maggioranza dei casi i rapporti di collaborazione hanno per base negoziale quella di cui all’art. 2222 c.c. (contratto d’opera), semmai integrata con quella dell’art 2230 c.c. se trattasi di prestazioni a contenuto intellettuale. In dottrina si è osservato20 come il legislatore in questo modo abbia ritagliato un’area in termini a-causali poiché gli elementi tipizzanti la fattispecie possono ricorrere in ogni contratto in cui sia dedotto un facere. Pertanto per poter integrare la fattispecie il momento cruciale consiste nella interpretazione e delimitazione di significato degli elementi che la caratterizzano, tenendo conto del fatto che non possono essere definiti l’uno separato dall’altro21, ma dovranno valutarsi uno in relazione all’altro.

1.3.1 La collaborazione.

Il suddetto requisito, a differenza degli altri, non è stato particolarmente discusso e argomentato in dottrina e giurisprudenza22, se non in maniera solo marginale. A

nel senso che detti rapporti vengono ora ricondotti nell’art. 47, lett. c bis), T.U.I.R. in quanto assimilabili ai redditi di lavoro dipendente. Una parte della dottrina mette in risalto come qui siano presenti due elementi (senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita) che «costituiscono sicuramente una restrizione di campo» rispetto alla nozione di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c. In tal senso M. PEDRAZZOLI, op. cit., p. 670, ma in senso analogo anche L. NOGLER, op. cit., p. 1028.

18 F. MARTELLONI, op. cit., p. 82. Nello stesso senso anche S. LEONARDI, op. cit., p. 517 ove parla di «una nuova e aperta serie di rapporti». Così come G. SANTORO PASSARELLI, Chiose sulla parasubordinazione, in M. PEDRAZZOLI (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni: comparazioni e prospettive, Bologna, 1989, p. 142, ove l’Autore mette in risalto come “la norma processuale indica i caratteri della prestazione di lavoro riferibile indifferentemente a rapporti che hanno natura e origine diversa”.

19 M. PEDRAZZOLI, op. cit., p. 664. 20 M. PEDRAZZOLI, op. cit., p. 665. 21 M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 62.

22 Lo stesso L. NOGLER, op. cit., p. 1025, spiega come la collaborazione dovrebbe delineare, come si legge in una sentenza di merito, in modo del tutto generico il compimento da parte di un soggetto di attività finalizzata al raggiungimento di scopi determinati da altri (Pret. Monza 10 luglio 1996). Tuttavia, nella giurisprudenza di Cassazione la collaborazione ha ormai perso qualsiasi attitudine tipizzante essendosi negato che essa implichi la sussistenza di un rapporto di alterità tra due centri di interesse contrapposti sul presupposto che la fattispecie della parasubordinazione deve essere

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voler trovare una spiegazione, la dottrina23 spiega come la motivazione vada ritrovata, probabilmente, nella circostanza che detto elemento si rinviene sia nella definizione di lavoratore subordinato che di prestatore d’opera continuativo e coordinato, pertanto in entrambi i casi si è ritenuto che avesse il medesimo significato. In realtà è stato notato come la rilevanza della collaborazione nei due casi sia ben diversa, nel senso che nel caso della collaborazione nell’impresa il rapporto si dispiega entro un’organizzazione gerarchica sull’asse potere direttivo-subordinazione, invece, nel caso dei rapporti di collaborazione il prestatore si trova svincolato da un inserimento strutturale nell’organizzazione gerarchica dell’impresa, che dal suo punto di vista diventa “utente”, destinatario di un’opera o di un servizio predeterminato, ma in cui è pur sempre il prestatore d’opera a organizzarsi per realizzarlo al meglio24.

1.3.2 La continuità.

Il primo elemento qualificante la fattispecie è dato dalla continuità. Questo carattere ha creato non poche perplessità ‒ si parla di un vero e proprio “dilemma”25 o meglio di «una contraddizione in termini»26 ‒ poiché la continuità viene riferita alla prestazione d’opera, e questo mal si concilia con il significato della stessa. Infatti per quest’ultima si intende il risultato (bene o servizio) promosso e/o realizzato: «un’unità che rileva in termini puntuali, non tanto al momento della stipula, quanto specialmente dell’adempimento»27. Mentre la continuità, nel suo significato tecnico-giuridico, implica il soddisfacimento di un interesse durevole del committente e viene riferita ai contratti che hanno per oggetto una prestazione, per l’appunto, ad “adempimento continuato”28. Di converso, quando si parla di prestazione d’opera tutto si risolve nella produzione di un risultato utile, e “l’eventuale decorso di un determinato lasso di tempo altro non rappresenterebbe

individuata non in base alla rilevanza degli interessi delle parti ma allo svolgimento fattuale del rapporto.

23 M. BORZAGA, op. cit., p. 61. 24 S. LEONARDI, op. cit., p. 519.

25 A. PERULLI, Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma Monti, in Lav. Dir., 2012, Fasc. 3-4, p. 546.

26 M.V. BALLESTRERO, op. cit., p. 60.

27 M. PEDRAZZOLI, Prestazione d’opera e parasubordinazione, in Riv. It. Dir. Lav., 1984, I, p. 519.

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se non una fase preparatoria all’adempimento stesso”29 (si parla in tal caso di contratto ad esecuzione istantanea).

Di fronte a tale enigma la dottrina, nel cercare di dare una soluzione, ha assunto la continuità nel suo significato “atecnico”30. Nel senso che nel contratto d’opera la continuità può rilevare solo come elemento caratterizzante l’attività di esecuzione necessaria all’adempimento dell’opus (tempo necessario a portare ad esecuzione la prestazione promessa): ovvero nella preparazione dell’adempimento31. Si sostiene dunque che il requisito della continuità è soddisfatto sia nella reiterazione della stessa prestazione, sia nella ripetizione di prestazioni diverse (ma non disparate), sia infine nell’esecuzione di un’unica opera, ove l’attività necessaria per l’adempimento abbia una certa durata nel tempo32.

Quello che rileva in maniera determinante ‒ e che qui si rende necessario ‒ è il collegamento con il secondo requisito ossia il coordinamento, in particolare si richiede che la prestazione continuativa sia dispiegata non soltanto su un piano meramente cronologico, ma che risulti piuttosto funzionalmente coordinata con una pluralità di prestazioni o di opere con riguardo all’interesse duraturo del committente-creditore33.

Ciò risulta particolarmente significativo nel caso dei rapporti aventi ad oggetto l’esecuzione di un'unica opera. Infatti è in questo caso che la sussistenza dell’elemento della coordinazione ‒ intendendo per questa una situazione di relativa dipendenza ‒ può assumere un ruolo decisivo, in particolare occorrerà che la

29 M. BORZAGA, op. cit., p. 63.

30 M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 61. In tal senso anche L. NOGLER, op. cit., p. 1026, in particolare l’Autore riferisce come tale a-tecnicità sia stata richiamata anche all’interno della circolare Inail n. 32/2000 intendendo per esse: «lo svolgimento di una serie imprecisa di adempimenti […] per un arco di tempo determinato cosicché l’attività da prestarsi sia programmata dal prestatore in funzione dell’esigenza a carattere non transitorio del richiedente».

31 M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 61. 32 M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 61.

33 S. LEONARDI, op. cit., p. 520. Nello stesso senso anche M. PEDRAZZOLI, op. cit., p. 522, il quale afferma che si deve trattare non di prestazioni differenti, causali e prive di qualsivoglia legame, ma fra loro connesse da una interna coordinazione in vista delle esigenze per cui sono attuate. Se manca questo ogni prestazione può ancora risultare continua ma “solo se il prestatore ha impiegato un considerevole lasso di tempo”. In giurisprudenza, invece, si richiede in quest’ultima ipotesi “la destinazione esclusiva dell’attività del lavoratore a soddisfare l’interesse del committente”. Nello stesso senso si pone anche la giurisprudenza: Cass. Sez. Lav., 17 marzo 1992, n. 327, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, II, p. 404 nota di VULLO; Cass. Sez. Lav., 26 luglio 1996, n. 6752, in Mass. Giur. It., 1996; Cass. Sez. Lav., 22 febbraio 1994, n. 1682, in Giur. It., 1994, I, p. 1, nota di NAPPI; Cass. Sez. Lav., 2 maggio 1994, n. 4204, in Giur. It., 1995, I, p. 844, nota di BALESTRA.

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prestazione sia destinata in via esclusiva a soddisfare l’interesse del creditore ed impegni completamente le energie lavorative del prestatore per un certo consistente periodo di tempo34.

Per quanto riguarda invece i contratti ad esecuzione periodica o continuata ‒ in cui la durata assurga ad elemento causale del contratto sottostante (si pensi al contratto di somministrazione) ‒ l’elemento della continuità è pienamente integrato.

1.3.3 Il coordinamento.

Si richiede, inoltre, che la prestazione sia coordinata. Su tale aspetto, va posto anzitutto in luce come all’interno della parasubordinazione il coordinamento rappresenti il «collegamento funzionale dell’attività lavorativa del prestatore con l’organizzazione del committente-creditore per il perseguimento dell’utilitas del medesimo»35. Così facendo il collaboratore persegue la medesima finalità produttiva del proprio committente, correlando la sua prestazione funzionalmente e strumentalmente con l’attività di questi. Questo dato lo si coglie in maniera più nitida se lo si compara con il significato che questo assume nel lavoro subordinato, mettendone in rilievo le differenze.

A dire il vero prima di giungere all’odierno orientamento, una parte considerevole della dottrina intendeva la coordinazione come indicativa di un fatto o situazione parallela a quella evocata con la subordinazione, rispetto alla quale finisce per rappresentare un grado di intensità più tenue, ma non una differenza concettuale e qualitativa36.

34 M. V. BALLESTRERO, op. cit., p. 62. Sul punto anche L. NOGLER, op. cit., p. 1026, in particolare l’Autore mette in risalto come “in presenza di un libero professionista il requisito della continuità viene inteso, da una parte della giurisprudenza, contemporaneamente anche quale esclusività: l’attività professionale deve essere svolta «in modo esclusivo o comunque di gran lunga prevalente a favore di un unico cliente»”. In tal senso anche la giurisprudenza: Cass. Sez. Lav., 9 febbraio 2009, n. 3113, in Dir. e pratica Lav., 2009, 30, p. 1780.

35 S. LEONARDI, op. cit., p. 520. In senso analogo anche A. CESSARI, Sul campo soggettivo di applicazione del nuovo rito del lavoro, in Dir.Lav., 1974, I, p. 17, il quale utilizza il termine “relazione” per indicare il rapporto di cooperazione che si istaura tra prestatore e committente per raggiungere il fine dell’impresa. In senso contrario L. NOGLER, op. cit., p. 1026, il quale ritiene che il collegamento funzionale non sia sempre necessario, ma al contrario, serve solo per escludere le ipotesi in cui il committente non possiede un’organizzazione. Infatti, l’Autore sostiene che in presenza di un’organizzazione del committente, il collegamento funzionale sia già soddisfatto perché il fatto stesso che il committente abbia ritenuto di affidare un incarico di lavoro “collega” la relativa attività con la sua struttura.

36 M. PEDRAZZOLI, Il mondo variopinto delle collaborazioni coordinate e continuative, in M. PEDRAZZOLI (coordinato da), il nuovo mercato del lavoro: commento al D. lgs. n. 276/2003, Bologna, 2004, p. 666.

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Ritornando sul punto precedente, oggi viene riformulata con dovuta nettezza la distinzione tra subordinazione e coordinazione. Infatti una parte della dottrina37 indica come nel lavoro prestato alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore per «coordinamento della prestazione di lavoro» si intende il risultato dell’esercizio, da parte dell’imprenditore, del potere di conformazione del comportamento dovuto e potere di determinazione delle modalità per l’esecuzione e la disciplina del lavoro. Mentre il coordinamento, nell’eccezione utilizzata dall’art. 409, n. 3 c.p.c. si riduce al potere di conformazione della prestazione dovuta o alla richiesta di adempimento dell’unica prestazione dedotta in contratto38 e dunque esula dal potere direttivo del datore la possibilità di conformare il comportamento del prestatore con riguardo alle modalità concrete con cui compie la prestazione39.

Alla luce di quanto argomentato poc’anzi, si può conclusivamente affermare che la prestazione d’opera deve essere coordinata nel senso che, occorre soddisfare le esigenze organizzative e produttive del committente40. In altri termini per coordinamento si intende la connessione teleologica41 sussistente tra lo svolgimento della prestazione lavorativa del prestatore con il fine produttivo dell’impresa del committente. La stessa Suprema Corte, in alcune sentenze42 aventi ad oggetto le prestazioni dei professionisti intellettuali, esprime questo concetto di “coordinamento” riassumendolo nella necessità che vi sia un programma negoziale, nel quale la prestazione si inserisce come mezzo per la realizzazione del medesimo. In particolare nella medesima sentenza, la Corte sostiene che il coordinamento si realizzi allorquando vi sia un collegamento funzionale tra l’attività del professionista e quella del destinatario della prestazione professionale, nel senso che una concorre alla realizzazione dei fini dell’altra.

1.3.4 La prevalente personalità della prestazione.

L’ultimo dato tipizzante la fattispecie è dato dalla prevalente personalità della prestazione, il quale, alla luce delle difficoltà definitorie degli altri due elementi,

37 G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 67. 38 G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 67. 39 S. LEONARDI, op. cit., p. 520.

40 M. PEDRAZZOLI, op. cit., p. 667.

41 G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 70.

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assume una decisiva importanza, nel senso che è il dato che più di ogni altro viene in gioco come discrimen della ricorribilità o meno della fattispecie. Innanzi tutto occorre precisare che, sebbene il legislatore menzioni solo il carattere della «prevalenza del lavoro personale» all’interno dell’art. 409, n. 3 c.p.c., concordemente in dottrina si ritiene che la legge ricomprende anche il carattere della “esclusività”43 ossia l’ipotesi in cui il rapporto di lavoro si svolga con l’apporto esclusivo del collaboratore, il quale si serve unicamente del proprio lavoro manuale o intellettuale.

Mentre quest’ultima ipotesi non crea particolari problemi, anzi qualora si accerti tale esclusività, si ritiene integrata la fattispecie anche nel caso in cui siano meno marcati sia la continuità che la coordinazione44; sorgono problemi invece per il requisito della “prevalenza”, alimentati soprattutto dalla circostanza che detto elemento oltre a ricorrere all’interno dell’art. 409, n. 3 c.p.c., viene menzionato anche in altre figure d’impresa dell’ordinamento giuridico45. Questioni che lievitano se si tiene conto anche di quella parte della dottrina46 che legge il suddetto requisito nel medesimo significato che assume il concetto di prevalenza nella figura del piccolo imprenditore (prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia).

Si tratta di capire, dunque, fino a che punto una determinata prestazione d’opera rientri nel lavoro parasubordinato, ovvero costituisca attività d’impresa47. Sotto tale profilo occorre che l’elemento in questione sia valutato sotto due punti di vista. Da un lato, si ritine che il prestatore d’opera possa servirsi di collaboratori nell’esecuzione dell’opera o del servizio per i quali è stato incaricato48, ma in modo tale da non attentare alla prevalenza della sua prestazione49. In altri termini il

43 M. PEDRAZZOLI, Prestazione d’opera e parasubordinazione, in Riv. It. Dir. Lav., 1984, I, p. 525, secondo cui «la legge deve con tutta evidenza intendersi formulata come se dicesse: prestazione effettuata con lavoro esclusivamente o almeno prevalentemente proprio».

44 M. PEDRAZZOLI, op. cit., p. 526.

45 Tra cui il contratto d’opera (art. 2222 c.c.), la piccola impresa (art. 2083 c.c.), l’impresa artigiana (art. 1, l. 18 dicembre 1973, n. 877).

46 G. SANTORO PASSARELLI, il lavoro «parasubordinato», Milano, 1979 p. 77. In senso contrario, A. CESSARI, op. cit., p. 17, il quale ritiene che nell’art. 409, n. 3 c.p.c. il concetto sia inteso in maniera parzialmente diversa rispetto all’art. 2083 c.c., nel senso che la prevalenza è riferita all’opera del collaboratore rispetto a quella dei suoi dipendenti, ma soprattutto, dei suoi familiari. 47 M. BORZAGA, op. cit., p. 74.

48 M. BORZAGA, op. cit., p. 74.

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contributo deve essere «marginale o comunque risultare meno rilevante di quello apportato dal prestatore d’opera stesso»50. Una valutazione da compiersi non in astratto ma in concreto, che tenga in debito conto la circostanza che il contributo dovrà apprezzarsi sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo in relazione all’opera o servizio finale. In particolare nell’ipotesi del lavoro intellettuale il contributo del prestatore d’opera‒ in riferimento all’intuitus personae ‒ assume un ruolo maggiore e, dunque in questa ipotesi il criterio della prevalente personalità dovrà valutarsi sotto il profilo dell’infungibilità del contributo51.

In generale sarà da escludersi l’ipotesi di una collaborazione coordinata e continuativa nell’ipotesi in cui il prestatore nel compiere l’opera o il servizio eserciti funzioni di datore di lavoro nei confronti dei propri collaboratori52.

Dall’altro lato, si ritiene che la valutazione di preminenza del lavoro proprio è da trarre pure comparando gli altri fattori, diversi dalle energie di lavoro, che sono necessari per eseguire con successo e secondo le attese quanto promesso53. In questo caso si deve tener conto dell’utilizzo degli altri mezzi produttivi. In particolare sarà soddisfatto il requisito oggetto di esame qualora la prestazione di un’opera o di un servizio avvenga secondo un «un processo autorganizzatorio»54 dell’attività lavorativa. In altri termini il prestatore d’opera non potrà ricorrere all’impiego di mezzi, di persone e di capitali, in maniera tale da far sconfinare la fattispecie in un’attività a carattere imprenditoriale. Pertanto restano escluse dall’art. 409, n. 3 c.p.c. le collaborazioni svolte in forma societaria sia di persone che di capitali, regolari o irregolari55 che siano.

50 M. BORZAGA, op. cit., p. 74. Lo stesso L. NOGLER, op. cit., p. 1027, afferma che «l’utilizzazione del lavoro altrui […] deve assumere un valore comunque solo secondario». Ma anche L. ANGIELLO, Considerazione sull’art. 409, n. 3 c.p.c., in Dir. Lav., I, 1974, p. 295, sostiene che «l’ausilio dei dipendenti coadiuvanti deve essere di carattere interamente esecutivo e, in ogni caso, strumentale alla realizzazione dell’opus».

51 M. BORZAGA, op. cit., p. 76. In particolare si dovrà tener conto «della cognizione teorica del prestatore, della sua specifica preparazione, della sua particolare esperienza e del livello di responsabilità che gli compete rispetto a quello proprio di tali terzi».

52 M. BORZAGA, op. cit., p. 74.

53 M. PEDRAZZOLI, op. cit., p.527. In senso analogo anche M.V. BALLESTRERO, op. cit., p. 63; G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 87, il quale afferma come l’attività personale del prestatore d’opera debba prevalere «non solo sull’attività degli altri collaboratori ma anche sulle altre componenti del processo produttivo». Nello stesso senso anche la giurisprudenza: Cass. Sez. Lav., 9 febbraio 2009, n. 3113, in Dir. e pratica Lav., 2009, XXX, p. 1780.

54 S. LEONARDI, op. cit., p. 521.

55 S. LEONARDI, op. cit., p. 521. In tal senso anche la giurisprudenza: Cass. Sez. Lav., 25 novembre 2003, n. 18023, in Guida al Diritto, 2004, 10, 84 con riferimento ad una s.n.c.

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1.3.5 L’applicabilità o meno dei suddetti requisiti anche agli altri rapporti di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c.

All’interno dell’art. 409, n. 3 c.p.c. vengono specificamente nominati i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale. La precisazione che si rende ora necessaria consiste nello stabilire se i concetti di continuità, coordinazione e prevalente personalità della prestazione debbano essere soddisfatti anche per queste due figure, per poter anch’esse usufruire della tutela agevolata del nuovo rito del lavoro.

La tesi più accreditata in dottrina si esprime in senso affermativo, andando di contrario avviso alla tesi sostenuta da una parte minoritaria della giurisprudenza56. In particolare si è ricorso al criterio dell’interpretazione letterale, mettendo in risalto come il termine “altri”, utilizzato dal legislatore nell’art. 409, n. 3 c.p.c., assuma un significato «non aggiuntivo, sebbene esemplificativo a mo’ di apertura della definizione dei rapporti che il legislatore ha inteso ricomprendere in quanto aventi le caratteristiche ivi enunciate, nel senso di “restanti” o “rimanenti”»57.

Alla medesima conclusione giunge anche chi fa leva non tanto sul dato testuale della disposizione, bensì sulla ratio legis della disposizione. In particolare, si è ritenuto che la riforma del 1973 ha voluto consentire che della nuova normativa e dei vantaggi che essa presenta, sul piano dell’immediatezza e della concentrazione, possano fruirne anche i piccoli imprenditori quando traggano la loro causa petendi dall’effettuazione di prestazioni di lavoro autonomo, continuative e coordinate58. Premesso che in questo caso il riferimento ai piccoli imprenditori sta a significare la necessità che sia comunque soddisfatto anche per questi sia il requisito della prevalenza che il collegamento funzionale con l’organizzazione produttiva del committente, mentre rimangono fuori dal nuovo rito del lavoro i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale che travalicano il dato della prevalenza personale

56 Sull’argomento G. PERA, op. cit., p. 423. In particolare si menziona la tesi sostenuta da alcuni magistrati che la esposero al seminario del C. S. M. a Grottaferrata nel 1974, la quale affermava la possibilità da parte degli agenti e dei rappresenti di commercio di ricorrere sempre e comunque al nuovo rito del lavoro anche in assenza dei requisiti indicati dall’art. 409, n. 3 c.p.c. Successivamente la stessa tesi fu superata dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 19 febbraio 1976, n. 33) la quale ha stabilito che anche per l’agenzia deve sussistere il requisito della prestazione prevalentemente personale.

57 G. PERA, op. cit., p. 424. In senso analogo anche L. ANGIELLO, op. cit., p. 293.

58 G. GHEZZI, I rapporti di diritto privato soggetti al nuovo rito del lavoro, in Riv. Giur. Lav., 1974, I, 99.

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per integrare la figura dell’imprenditore medio-grande. La stessa giurisprudenza di Cassazione59 ha inteso escludere l’applicabilità del rito del lavoro ai rapporti di agenzia quando le dimensioni dell’organizzazione dell’impresa siano tali da escludere il carattere prevalentemente personale dell’opera prestata. Quest’ultima ipotesi si ripete frequentemente nel settore assicurativo ove molte agenzie sono organizzate in modo tale da trascendere il dato del piccolo imprenditore (prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia), organizzandosi a volte, addirittura, in forma societaria.

1.4 L’influenza della giurisprudenza in tema di subordinazione sul concetto di collaborazione coordinata e continuativa.

Come detto in apertura, il sistema giuslavoristico italiano si basa essenzialmente sulla bipartizione lavoro autonomo-lavoro subordinato. Questa distinzione è di fondamentale importanza perché ha tradizionalmente disegnato l’ambito di applicazione delle tutele previste dalla normativa lavoristica. Tutele che sono state ideate soltanto in favore dei lavoratori in condizione di subordinazione.

Volendo trovare una spiegazione a questa differenziazione, una parte della dottrina ha affermato come, nell’ipotesi del lavoro subordinato (art. 2094 c.c.), sussista uno squilibrio di potere nel rapporto tra le parti e pertanto il lavoratore, ossia la parte debole, esigerebbe una tutela specifica. Tale squilibrio deriva, da un lato, dalla posizione di debolezza contrattuale in cui versa il lavoratore a causa di un mercato in condizione di monopsonio dal lato della domanda del lavoro e di una asimmetria informativa a svantaggio del lavoratore, e dall’altro lato dal bisogno del lavoratore di trovare una fonte di reddito che possa garantire condizioni di vita dignitose per se e per la propria famiglia60. Mentre tutto questo non accadrebbe nell’ipotesi del lavoro autonomo (art. 2222 c.c.), ove il prestatore d’opera ‒ a differenza del lavoratore subordinato ‒ non è esposto al «ricatto occupazionale»61 ma, al contrario, è un soggetto che è in grado di istaurare continuamente rapporti con una pluralità di committenti e di clienti.

Pertanto si comprende che ricondurre un rapporto di lavoro all’interno o all’esterno

59 Cass. Sez. Lav., 7 dicembre 1984, n. 6456, in Mass. Giur. It., 1984.

60 Sul tema G. RICCI, La retribuzione costituzionalmente adeguata e il dibattito sul diritto al salario minimo, in Lav. Dir. Fasc., IV, 2011.

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della fattispecie-lavoro subordinato significa essere o meno destinatari di un “pacchetto di tutele”.

Sia la dottrina che la giurisprudenza, da sempre, si sono soffermate sui caratteri tipizzanti le due figure, cercando di individuare i criteri per stabilire quando un rapporto di lavoro sia riconducibile all’uno o all’altro. È singolare come il legislatore abbia definito il lavoro subordinato individuando degli indici specifici, e, per converso, abbia definito il lavoro autonomo come un’attività svolta in assenza del vincolo di subordinazione. Dovrebbe in questo modo risultare agevole individuare l’una o l’altra ipotesi. Ma a uno sguardo attento agli indici della subordinazione ex art. 2094 c.c. ‒ ossia collaborazione nell’impresa (intesa come l’inserimento nell’organizzazione dell’azienda), la dipendenza dall’imprenditore e l’eterodirezione cioè la soggezione al potere direttivo del datore di lavoro ‒ dimostra quanto tutto questo sia, invece, estremamente arduo.

Già da tempo si sosteneva, concordemente, in dottrina l’inadeguatezza definitoria dell’art. 2094 c.c. , ma a decretare l’inidoneità qualificatoria è stata proprio ‒ oltre alle trasformazioni tecniche e organizzative nel modo di lavorare62 ‒ la comparsa delle collaborazioni coordinate e continuative. Infatti queste ultime presentano aspetti comuni ad entrambe le fattispecie, come ad esempio il riferimento alla durata e alla continuità (tempo della prestazione) del rapporto ‒ un tempo requisito caratterizzante il solo lavoro subordinato ‒ , ma stesso discorso vale anche per il carattere del luogo della prestazione (inserimento del lavoratore nell’unità produttiva aziendale). Si sono così venute a delineare ipotesi di rapporti di lavoro subordinato individuati da notevole discrezionalità in relazione al tempo di lavoro e non caratterizzati dalla continuità, mentre, al contrario, vengono riconosciuti dalla legge rapporti di lavoro autonomo con requisiti di continuità63.

Si pensi, a titolo di esempio, al noto caso del rapporto convenzionale con i medici specialisti delle unità sanitarie locali regolato dall’art. 48 della legge n. 833 del 1978. Infatti sebbene i medici operino in piena autonomia professionale sotto l’aspetto gerarchico, in realtà poi la stessa regolamentazione del rapporto prevede una specifica modalità di svolgimento della prestazione (ad esempio orario

62 Tale argomento verrà trattato approfonditamente nella prima parte del capitolo terzo. 63 G. PERSICO, op. cit., p. 131.

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prestabilito, retribuzione, ferie, permessi e così via) del tutto equivalente alla regolamentazione del rapporto subordinato.

Non è un caso, allora, che nel dibattito dottrinale si parli di una “zona grigia” 64, alludendosi all’area d’incertezza qualificatoria tra subordinazione e autonomia, laddove si rinvengono rapporti di lavoro, in cui è dedotto un facere personale. Volendo forse alludere con questo termine anche all’esistenza di una problematica, nella misura in cui parlare di una zona-grigia equivale a un “non-luogo”65, il che

implica in primis un’assenza di regolamentazione.

Da quel momento in poi gli sforzi ermeneutici, sia della dottrina che della giurisprudenza, si sono indirizzati verso una maggiore attenzione sulla capacità selettiva degli unici elementi che normativamente si conoscevano, ossia i dati qualificanti il tipo normativo per eccellenza. Non a caso si è proceduto ad un aggiornamento degli indici sintomatici del rapporto di lavoro subordinato. E’ evidente che la stessa configurabilità o meno di rapporti di lavoro autonomo-parasubordinato sia dipesa, sostanzialmente, dall’eccezione in cui è stata intesa la nozione di subordinazione.

Al riguardo la giurisprudenza, in primo luogo, è andata oltre il dato dell’eterodirezione ‒ pur senza mai abbandonarlo del tutto ‒ ritenuto da molti l’elemento cruciale della sola subordinazione, decretandone l’incapacità selettiva alla luce dell’esistenza di oggi di rapporti di lavoro autonomo nell’ambito dei quali il committente ha la possibilità di influire, con proprie istruzioni sull’attività lavorativa del prestatore d’opera, proprio come avviene per il lavoro subordinato66. In secondo luogo ha utilizzato degli indici empirici o c.d. sussidiari di riconoscimento esteriore della subordinazione come l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato, la retribuzione commisurata al tempo di lavoro, l’indispensabilità di conformarsi a precise indicazioni del committente circa le

64 F. MARTELLONI, op. cit., p. 14. A onor del vero, L. MARIUCCI, Subordinazione e itinerari della dottrina, in M. PEDRAZZOLI (coordinato da) Lavoro subordinato e dintorni, comparazioni e prospettive, Bologna, 1989, p. 69, precisa come tale zona ‒ c.d. di confine ‒ è sempre esistita nell’ordinamento giuridico, fin dai tempi di Barassi, il quale era consapevole della difficoltà di reperire gli indici della subordinazione in una serie di rapporti come, ad esempio, il lavoro a domicilio. In particolare Barassi in un primo momento la qualificò come «figura marginale del lavoro autonomo» e poi successivamente la definì come «fattispecie marginale del lavoro subordinato. In termini analoghi è quanto oggi è successo con il telelavoro.

65 F. MARTELLONI, op. cit., p. 75. 66 M. BORZAGA, op. cit., p. 34.

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modalità di esecuzione, la necessità di giustificazione di assenze o di inadempimenti parziali, e l’assenza di rischio in capo al prestatore67.

Torna utile, qui, richiamare una periodizzazione degli indirizzi giurisprudenziali prevalenti nel periodo che corre da prima dell’introduzione delle collaborazioni coordinate e continuative (anni ‘70) fino ai tempi recenti.

Nel primo periodo i giudici68 hanno interpretato estensivamente la nozione di subordinazione allo scopo di garantire la tutela anche a fattispecie di lavoro molto distanti dal modello tipico. In particolare si fece ampio ricorso alla presunzione di subordinazione, per la quale in assenza di prove contrarie il rapporto di lavoro si considerava sempre subordinato69.

Successivamente si assiste a una duplice svolta da parte della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione. In primis vi fu, quella che viene definita in dottrina come, la «rivalutazione della volontà delle parti»70. Si affermò che ai fini della qualificazione di un rapporto come autonomo o subordinato non poteva prescindersi dalla preventiva ricerca della volontà delle parti. Pertanto quando le parti nel documento contrattuale hanno dichiarato di voler escludere l’elemento della subordinazione non è possibile giungere a una diversa qualificazione del rapporto, a meno che si dimostri che l’elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo71. Occorre qui precisare che quanto detto vale per i rapporti in cui manchi un quadro istruttorio sufficientemente sicuro su come il rapporto si sia effettivamente svolto, perché laddove, invece, quest’ultima vi sia ed inoltre emerge un contrasto tra come il lavoro si sia svolto e la qualificazione contrattuale dello stesso ad opera delle parti, il giudice applica il principio di effettività (prevale il modo in cui il rapporto si è concretamente svolto)72.

Verso la fine degli anni ’80 si assiste ad un cambio di rotta, il quale genera un’estensione della fattispecie-lavoro autonomo a discapito della subordinazione. In particolare si ha, da un lato, l’arretramento degli indici c.d. sussidiari, i quali fino

67 Cass. Sez. Un., 30 giugno 1999, n. 379, in Informazione Prev., 2001, p. 97.

68 Ad esempio Cass. Sez. Lav., 14 febbraio 1967, n. 2075, in Mass. Giur. Lav., 1968, p. 231. In particolare si riteneva sufficiente il solo inserimento organico dell’attività del prestatore nell’altrui organizzazione imprenditoriale per essere ricompresi nel lavoro subordinato.

69 L. NOGLER, op. cit., p. 1029. 70 L. NOGLER, op. cit., p. 1029.

71 Cass. Sez. Lav., 17 giugno 1988, n. 4150, in Mass. Giur. It., 1988. 72 Cass. Sez. Lav., 18 giugno 1998, n. 6114, in Mass. Giur. It., 1998.

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ad allora aveva giocato un ruolo decisivo ‒ anche rispetto alla stessa eterodirezione ‒ nella misura in cui bastava una prevalenza di questi per qualificare il rapporto come subordinato, e, dall’altro, un irrigidimento del requisito dell’eterodirezione intesa come soggezione del prestatore ad ordini specifici e puntuali del datore di lavoro73. Infatti si iniziò a sentenziare che al fine della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sarebbe stata necessaria la presenza del solo elemento della soggezione al potere direttivo e disciplinare del datore, mentre gli indici assumono un ruolo solo sussidiario nella misura in cui concorrono alla qualificazione solo ove non sia possibile riconoscere o escludere l’eterodirezione in senso stretto74. In realtà non si è mai giunti ad un consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale, tanto è vero che si riscontra, in una sentenza del 200175, un nuovo cambio di rotta, nel senso che la natura subordinata del rapporto viene desunta anche dalla presenza di direttive di ordine generale.

Questi continui cambi giurisprudenziali non sono altro che il frutto delle trasformazioni intervenute nei modelli organizzativi d’impresa, i quali hanno inevitabilmente eroso i caratteri tipici del lavoro subordinato mescolandoli con tratti, invece, che sono propri del lavoro autonomo. Alla luce di tali risvolti, la giurisprudenza sembra che si sia consolidata sul versante della qualificazione del rapporto, nel senso di ricorrere all’utilizzo del criterio restrittivo quando si trovi difronte a mansioni molto semplici svolte dal lavoratore, mentre ricorre agli indici sussidiari se l’attività è di tipo intellettuale o artistico76.

73 Cass. Sez. Lav., 10 ottobre 1998, n. 5464, in Mass. Giur. It., 1988, si esprime in tal senso: «l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, potere che deve estrinsecarsi in specifici ordini e non in semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo, oltre che in un assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione dell’attività lavorativa e nello stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale del beneficiario».

74 In particolare la sentenza della Cass. Sez. Lav., 19 maggio 2000, n. 6570, in Mass. Giur. It., 2000, afferma che: «gli altri elementi, come l’obbligo di un orario o l’incidenza del rischio economico hanno carattere sussidiario e sono utilizzabili, ai fini della qualificazione del rapporto come autonomo o subordinato, specialmente quando nella fattispecie non emergano elementi univoci a favore dell’una o dell’altra soluzione».

75 Cass. Sez. Lav., 6 luglio 2001, n. 9167, in Foro It., 2002, I, p. 134.

76 L. NOGLER, op. cit., p. 1034. In particolare si richiama la sentenza della Cass. Sez. Lav., 21 aprile 2005, n. 8307, in Foro It., 2006, IX, I, p. 2451, la quale afferma che: «quando la prestazione lavorativa abbia, come nella specie, particolari caratteristiche (per la sua natura creativa, intellettuale, dirigenziale o professionale), che, ad esempio, non si presti ad essere eseguita sotto la direzione del datore di lavoro o con una continuità regolare anche negli orari, il parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente valutato o escluso mediante il ricorso a criteri c.d. complementari o sussidiari».

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1.4.1 Emersione di un tertium genus?

Proprio in considerazione della comunanza di elementi sia con il lavoro subordinato che con quello autonomo, una parte minoritaria della dottrina considera le collaborazioni coordinate e continuative un tertium genus77, che va a ricomprendere

quei rapporti della c.d. area grigia. Emblema di quest’ultima sono due figure: oltre a quella già richiamata (il rapporto convenzionale con i medici specialisti delle unità sanitarie locali) si aggiunge anche la figura dei pony express (fattorini). L’orientamento prevalente ritiene che il lavoro parasubordinato non rappresenti una nuova categoria di rapporti di lavoro, ossia un nuovo e diverso tipo legale78, bensì la specie di un genere, un sottotipo del lavoro autonomo che ha per oggetto la produzione di beni e servizi, o lo svolgimento di un’attività intellettuale79.

1.5 Mancanza di disciplina: un possibile rimedio?

Una volta data per acquisita la presenza del lavoro parasubordinato nell’ordinamento giuridico si tratta di stabilire quali norme siano applicabili a questo tipo di rapporto. Il legislatore del 1973 si è limitato ad inserire soltanto la disposizione processuale, senza stabilire quale disciplina si applichi. Su questo punto le posizioni, soprattutto in dottrina, sono state tra loro divergenti ‒ tanto in punto di premesse quanto in punto di conclusioni ‒ anche se possono essere racchiuse principalmente in due tendenze.

La prima di queste prende il nome di «tendenza espansiva del diritto del lavoro»80, e allude all’intenzione da parte del legislatore di estendere in via analogica le norme di alcuni tipi ‒ in particolare del lavoro subordinato ‒, di clausole generali anche ad altri tipi di rapporti che non hanno le caratteristiche della subordinazione in senso tecnico.

Questo è stato possibile, da un lato, per la comunanza degli elementi che l’art. 409, n. 3 c.p.c. presenta con l’art. 2094 c.c. e, dall’altro, perché si è rinvenuto all’interno delle collaborazioni coordinate e continuative la medesima esigenza di tutela che ha portato, ormai da tempo, il legislatore a prevedere una corposa tutela per il lavoro subordinato. Per quanto riguarda il primo aspetto si allude alla sussistenza degli

77 G. PERSICO, op. cit., p. 137. 78 M. V. BALLESTRERO, op. cit., 64. 79 S. LEONARDI, op. cit., p. 518.

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elementi della continuità e della coordinazione, ritenuti coincidenti il primo con l’elemento della durata che connota i rapporti di subordinazione, mentre il secondo lo si è fatto coincidere con il potere di direzione del datore di lavoro.

Per il secondo aspetto, l’Autore citato sostiene che entrambe le disposizioni siano accomunate da un elemento ossia la dipendenza economica del lavoratore, il che fa assumere a questi le vesti di contraente debole. Quest’ultima, infatti, giustificherebbe il perché il legislatore ha ritenuto necessario prevedere un’apposita tutela per il lavoro subordinato in senso tecnico. Partendo da questo assunto, si è utilizzato il criterio dell’analogia legis per ricomprendere sotto l’ombrello protettivo anche i rapporti che pur non presentando la subordinazione in senso giuridico, si risolvono fondamentalmente nella prestazione di attività lavorativa a favore di altri81.

Ad avvallare questa tesi concorre anche l’art. 2113 c.c., il quale richiamando anche i rapporti di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c. garantisce al prestatore di lavoro parasubordinato la stessa tutela che riconosce al prestatore di lavoro subordinato, anche se limitato agli atti di disposizione di diritti derivanti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo. Questa estensione si fonda, non sulla subordinazione, bensì sulla debolezza contrattuale del prestatore. Pertanto in virtù del combinato disposto degli artt. 2113 c.c. e 409, n. 3 c.p.c. la debolezza contrattuale «acquista rilevanza giuridica ex se e non perché sia collegata alla subordinazione»82 e diviene un dato tipologico della fattispecie. Sempre alla luce di questo orientamento, inoltre, la debolezza contrattuale può manifestarsi in due momenti diversi: sia durante lo svolgimento del rapporto di lavoro; sia al momento della costituzione del rapporto, (si pensi all’adesione al contenuto di clausole predisposte unilateralmente dal datore di lavoro committente83).

Così facendo si viene ad introdurre un ulteriore elemento che non è specificato dall’art. 409, n. 3 c.p.c., ma che assurge, rispetto a questa tesi, a presupposto necessario per l’estensione analogica delle tutele. Infatti l’autore ritiene che per qualificare un rapporto di lavoro parasubordinato occorre rinvenire non solo i dati formali (continuità, coordinazione e prevalente personalità della prestazione) ma

81 G. PERA, op. cit., p. 424. 82 G. PERSICO, op. cit., p. 141.

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anche quello sostanziale della debolezza contrattuale. Pertanto, ad esempio, con riguardo ai rapporti degli amministratori di società84, si è ritenuto di escludere l’estensione delle tutele poiché non è riscontrabile quella condizione di soggezione socio-economica.

Conclusivamente si ritiene in virtù di questa tendenza, che la disciplina applicabile ai rapporti in esame sia: quella sostanziale del tipo cui ineriscono le prestazioni, le norme del nuovo rito, quelle del lavoro subordinato espressamente richiamate e le altre norme del lavoro subordinato applicabili in via analogica (ad esempio: artt. 2126, 2049, 1373, 1458, 2104, comma 1, 1563, comma 2, 2105, 2948, 2949, n. 4 c.c.; l’art. 36 Cost.; indennità di fine rapporto e autotutela diretta) ove sussistono i presupposti85.

L’approccio appena descritto è senza dubbio apprezzabile per la sua finalità di convogliare il fenomeno della parasubordinazione sotto la disciplina del lavoro subordinato, ma, in realtà, è stato sottoposto a forti critiche nella misura in cui elevando il carattere di contraente debole a dato tipologico comune sia alla subordinazione che alla parasubordinazione si verrebbe a determinare un impoverimento del concetto di subordinazione nella sua attitudine a fornire selezioni, con grave pregiudizio per la certezza del diritto86.

Per superare questa difficoltà, si è pensato di porre a fondamento un'altra premessa, ma alla fine si è giunti al medesimo risultato di prima. In particolare si è pensato di invocare le norme della Costituzione, e in ossequio alla natura precettiva propria dei comandi costituzionali si è ritenuto che la Costituzione tutelerebbe tutti i lavoratori che si trovano in condizione di sotto protezione a causa dell’assetto socio-economico87, indipendentemente dalla qualificazione formale del rapporto. Pertanto il solo presupposto della sotto protezione legittimerebbe l’applicazione delle disposizioni costituzionali (come ad esempio in materia di giusta retribuzione, garanzie di autotutela sindacale, garanzie previdenziali) e, si è specificato che l’eventuale esclusione di una o più garanzie ad un particolare rapporto di lavoro trova giustificazione solo nell’incompatibilità della garanzia medesima con quel

84 G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 149. 85 G. SANTORO PASSARELLI, op. cit., p. 142. 86 A. M. GRIECO, op. cit., p. 25.

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