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Modifiche dimensionali di alveoli post-estrattivi dopo procedure di ridge preservation: studio multicentrico clinico randomizzato.

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SOMMARIO

1.0 RAZIONALE BIOLOGICO...2

1.1 ISTOLOGIA DEL TESSUTO OSSEO...2

1.2 MODELLAMENTO E RIMODELLAMENTO...5

1.3 GUARIGIONE OSSEA...6

1.4 CENNI ANATOMICI DELL'OSSO ALVEOLARE...8

1.5 MODELLI DI RIASSORBIMENTO ALVEOLARE E CLASSIFICAZIONE...10

1.6 CLASSIFICAZIONE DELLA QUALITÀ OSSEA...13

1.7 EVOLUZIONE ANATOMO-PATOLOGICA DELLA FERITA POST-ESTRATTIVA...16

1.8 INNESTI E RIDGE PERSERVATION...24

INTRODUZIONE ALLO STUDIO...33

2.0 MATERIALI E METODI...33

2.1 ARRUOLAMENTO NELLO STUDIO...38

2.2 FASI DELLO STUDIO...40

2.3 DEFINIZIONE DELLE VARIABILI CLINICHE...46

2.4 RISULTATI...49

2.5 DISCUSSIONE...54

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1.0 RAZIONALE BIOLOGICO

La prima parte di questo lavoro di tesi, indicato col nome di razionale biologico, si propone di gettar luce su una serie di nozioni anatomiche, fisiologiche e biologiche fondamentali per comprendere l'obiettivo e i risultati dello studio presentato.

1.1 ISTOLOGIA DEL TESSUTO OSSEO

[Anastasi 2007,

Lindhe 2009]

Il tessuto osseo è un tessuto connettivo formato da due componenti, una organica e l'alta inorganica, che assieme formano la sostanza fondamentale amorfa.

La componente organica è rappresentata principalmente da proteine di collagene e non collageniche.

La componente inorganica è rappresentata da vari cristalli di calcio, principalmente fosfato di calcio (86%), carbonato di calcio (12%), fosfato di magnesio (1,5%), fluoruro di calcio (0.5%) e ossido di ferro (tracce); gli ioni di fosfato e calcio sono depositati nella matrice sottoforma di idrossiapatite.

La componente inorganica in un adulto, rappresenta il 60-70% della massa totale del tessuto osseo.

La presenza di sali minerali conferisce all’osso la durezza che lo contraddistingue come l’unico tessuto connettivo rigido e gli permette di :

• resistere al carico;

• proteggere gli organi sensibili dalle forze esterne (un esempio sono il cranio e l'encefalo);

• costituire una riserva di minerali che contribuisce all'omeostasi corporea.

Per quanto riguarda le cellule del tessuto osseo, sono tutte derivate da un precursore mesenchimale, che può dare origine a tre differenti tipi cellulari: gli osteoblasti, gli osteociti e gli osteoclasti.

(3)

operano poi la calcificazione e sono riscontrabili nei siti dove avviene la formazione di osso.

• Gli osteociti sono cellule stellate incluse in lacune del tessuto osseo mineralizzato; derivano dagli osteoblasti che hanno ultimato il loro processo di sintesi ossea. Il corpo ha una forma ovalare con molti prolungamenti ramificati, che dalla lacuna si spostano entro canalicoli scavati nello spessore del tessuto osseo e formano una rete di comunicazione tra i vari osteociti dispersi nella matrice mineralizzata ossea.

• Gli osteoclasti sono cellule giganti multinucleate, che operano il processo di riassorbimento osseo massivo. Il loro citoplasma è ricco di lisosomi, organuli intracellulari contenenti enzimi litici, e presenta numerose espansioni digitiformi; questo polo della cellula osteoclastica è caratterizzato da una spiccata dinamicità per lo scambio di sostanze che mediano il riassorbimento osseo.

Le unità fondamentali dell’osso sono gli osteoni, o sistemi concentrici di Havers, cioè cilindretti di tessuto osseo attraversati da un canale centrale, detto canale di Havers, all'interno del quale decorre la vascolarizzazione e l'innervazione dell'osso.

Attorno al canale di Havers la sostanza fondamentale del tessuto osseo si dispone formando molteplici lamelle concentriche e, grazie all'intersezione tra il sistema haversiano ed i canali di Volkmann, si forma una rete vascolare all'interno del tessuto osseo.

Altri canali minori (canalicoli) si irradiano in tutte le direzioni, partendo dalle lacune, all'interno delle quali risiedono le cellule ossee, questa morfologia da la possibilità ai liquidi interstiziali, provenienti dai canali di Havers, di raggiungere e nutrire le cellule stesse.

Del tessuto osseo esistono due varianti macroscopiche, determinate dal diverso arrangiamento lamellare: il tessuto osseo compatto ed il tessuto osseo spugnoso. Nell’osso compatto i sistemi haversiani sono fittamente addensati l’uno all’altro ed i piccoli spazi interposti sono riempiti da lamelle interstiziali.

Nell’osso spugnoso invece, vi sono parecchi spazi vuoti compresi tra esili processi ossei, detti trabecole, che sono uniti gli uni agli altri similmente alle travi di un'impalcatura.

Immagine al M.O. In cui sono riconoscibili i sistemi Haversiani.

(4)

Per la vitalità delle cellule responsabili del metabolismo osseo, l’afflusso di sangue è importantissimo e deve essere abbondante. Numerosi vasi sanguigni provengono dal periostio, cioè una membrana connettivale che riveste l’osso; essi penetrano nell’osso stesso tramite i canali di Volkmann che vanno a congiungersi ai vasi dei canali di Havers.

Altro apporto sanguigno giunge dal midollo osseo, che si trova nella cavità midollare delle ossa lunghe o nelle lacune dell’osso spugnoso.

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1.2

MODELLAMENTO E RIMODELLAMENTO

[Lindhe 2009]

L'osso è un tessuto altamente dinamico in continuo rinnovamento; sotto un fine controllo endocrino, i processi di modellamento e rimodellamento si susseguono modificando la struttura del tessuto osseo in base alle richieste metaboliche..

Il modellamento è un processo che porta ad un cambiamento nell'architettura iniziale dell'osso; si crede che anche stimoli esterni, come ad esempio il carico, possano dare inizio al processo di modellamento osseo.

Il rimodellamento, invece, è un fenomeno in cui abbiamo un rinnovamento dell'osso mineralizzato senza che ciò apporti modifiche all'architettura macroscopica dello stesso. Durante la fase di formazione ossea, il rimodellamento permette la sostituzione dell'osso a fibre intrecciate, un tipo di osso immaturo, con l'osso lamellare, che è molto più resistente al carico del primo.

Il rimodellamento osseo è possibile grazie a due processi: riassorbimento osseo e apposizione ossea.

Questi processi procedono di pari passo e sono caratterizzati dalla presenza delle unità ossee multicellulari (BMU), le quali comprendono:

• un fronte di riassorbimento: una fila di osteoclasti residenti su una superficie ossea che si sta riassorbendo;

• un compartimento comprendente vasi e periciti;

• uno fronte di deposizione: uno strato di osteoblasti su una superficie ossea neoformatasi.

Nel controllo del rimodellamento osseo sono coinvolti stimoli locali ed ormoni sistemici, come il paratormone (PTH), l'ormone della crescita (GH), la leptina e la calcitonina.

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1.3

GUARIGIONE OSSEA

[Lindhe 2009]

La guarigione di un qualsiasi tessuto leso può esitare in una sostituzione con un tessuto che differisce, per morfologia e funzione, dal tessuto originale oppure con una restitutio ad inegrum dello stesso. Nel primo caso parleremo di riparazione, mentre nel secondo di rigenerazione.

La guarigione del tessuto osseo comprende sia fenomeni di riparazione che di rigenerazione; la prevalenza di uno dei due fenomeni è ampiamente ascrivibile alla natura della lesione. Vari fattori risultano determinanti nella guarigione di una ferita ossea:

• la proliferazione adeguata di vasi nella ferita;

• la stabilizzazione del coagulo e del tessuto di granulazione;

• la presenza o meno di un accrescimento interno di tessuto non osseo o fibroso, il quale ha elevata attività proliferativa;

• l'eventuale contaminazione batterica.

La guarigione della ferita ossea comprende quattro fasi: 1. formazione del coagulo sanguigno;

2. pulizia della ferita; 3. formazione di tessuto;

4. modellamento e rimodellamento del tessuto.

Queste fasi si susseguono in sequenza ordinata, anche se possono sovrapporsi in determinate sedi.

La guarigione ossea è regolata da fattori di crescita ed altre citochine che, in condizioni ideali, mimano lo sviluppo embrionale dell'osso; consentendo rigenerazione dell'osso, piuttosto che la sua sostituzione con tessuto cicatriziale fibroso. Questo processo è regolato nello specifico dalla superfamiglia di geni del fattore di crescita trasformante β (TGF-β), che codificano un gran numero di molecole di segnale extracellulare, fra cui le BMP.

Le proteine morfogenetiche ossee (BMP) sono il gruppo maggiormente studiato di fattori di crescita coinvolti nel processo di guarigione dell'osso; esse stimolano la formazione sia di osso, sia di cartilagine, agendo su specifici recettori delle cellule progenitrici mesenchimali. Solo un sottoinsieme di BMP (BMP-2, -4, -7 e -9), tuttavia, si è dimostrato osteoinduttivo,

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vale a dire capace di indurre la formazione di osso de novo.

Atri fattori di crescita coinvolti nella guarigione ossea sono prodotti dalle cellule infiammatorie e dalle piastrine, un esempio sono IGF-I e IGF-II, TGFβ-1, PDGF e FGF-2. La matrice ossea funge da riserva per tali sostanze, che vengono attivate durante la fase di riassorbimento della matrice stessa, ad opera di enzimi litici chiamati metalloproteinasi. L'ambiente acido che si viene a creare durante i processi infiammatori attiva i fattori di crescita latenti, i quali agiscono sulla chemioattrazione, proliferazione e differenziazione delle cellule mesenchimali in osteoblasti.

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1.4 CENNI ANATOMICI DEL PROCESSO

ALVEOLARE

[Lindhe 2009]

Con il termine processo alveolare si definisce quella porzione di mandibola o di osso mascellare che contiene gli alveoli dentari e la cui forma e spessore è funzionalmente correlata all'eruzione, alla posizione, nonché alla morfologia degli elementi dentari.

La stretta relazione con gli elementi dentari è un elemento di distinzione fra il processo alveolare e l'osso basale, il quale si trova, appunto, alla base del processo alveolare; tuttavia il limite fra le due strutture non è un limite netto.

Il processo alveolare è costituito da due pareti esterne di osso corticale, le lamine corticali vestibolare e linguale, se riferita al processo alveolare inferiore, oppure palatale, se riferita al processo alveolare superiore. Fra queste lamine corticali è compresa una parte centrale di osso trabecolare, costituito da trabecole ossee e midollo osseo. Le lamine corticali esterne sono in continuità con l'osso che riveste internamente gli alveoli, ovvero l'osso alveolare proprio, il quale può essere identificato anche con i termini di lamina cribriforme (termine anatomico), lamina dura (termine radiografico), oppure osso fibroso (termine istologico).

L'osso alveolare proprio è l'osso in cui si ancorano le fibre di Sharpey, ovvero fibre collagene penetranti che nel loro insieme formano il legamento parodontale. È quindi chiaro come il processo alveolare assuma un ruolo fondamentale nell'unità di sostegno del dente, il parodonto, che viene complessivamente definito l'insieme di formazioni in rapporto con la radice ed il colletto del dente, con la principale funzione di garantire la fissazione del dente al tessuto osseo dei mascellari tramite un particolare tipo di articolazione che prende il nome di gonfosi, nonché quelle di attutire le sollecitazioni meccaniche che il dente subisce, e di conservare l'integrità superficiale della mucosa masticatoria della cavità orale.

Oltre che all'osso alveolare ed il legamento parodontale, il parodonto comprende altri due tessuti: la gengiva ed il cemento radicolare.

Tornando nello specifico ad analizzare il processo alveolare, a lamina corticale è costituita da osso lamellare, ovvero osso formato da lamelle concentriche e lamelle interstiziali.

L'osso spugnoso invece, che si trova internamente alla lamina corticale, contiene trabecole di osso lamellare, che nell'adulto sono ricoperte da un tessuto ricco di adipociti e cellule provenienti dallo stroma mesenchimale; queste cellule, che sono definite cellule totipotenti, possono essere indotte a formare tessuto osseo, oppure a differenziarsi in cellule emopoietiche e quindi anche osteoclasti. Le trabecole di osso spugnoso hanno un orientamento non casuale,

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ma che deriva strettamente dalla direzione e dall'intensità delle sollecitazioni meccaniche; questo permette la dispersione e la distribuzione delle forze meccaniche masticatorie e di quelle derivanti da altri tipi di contatto fra i denti.

Gli spessori ossei delle superfici vestibolare e palatale del processo alveolare variano da una regione all’altra. Il piano osseo genericamente risulta di maggior spessore a livello delle superfici palatale e vestibolare dei denti molari, e più sottile nella regione anteriore della bocca.

Inoltre nelle regioni degli incisivi e dei premolari l’osso compatto posto a livello della superficie vestibolare dei denti è molto più sottile di quello posto a livello della superficie linguale degli elementi dentari; il contrario di quanto accade nella regione dei molari, dove l’osso compatto è più spesso a livello della superficie vestibolare rispetto a quella linguale.

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1.5 MODELLI DI RIASSORBIMENTO ALVEOLARE

E CLASSIFICAZIONE

La condizione di edentulia, sia essa parziale o totale, determina un progressivo riassorbimento del processo alveolare e dei tessuti molli di rivestimento. Questo fenomeno è legato principalmente alla perdita di funzione da parte dell'osso alveolare e dei tessuti molli parodontali.

In accordo col principio della matrice funzionale di Moss, secondo cui il volume osseo a livello mascellare non è geneticamente determinato, ma dipende strettamente dalle necessità funzionali mediate dai tessuti molli in cui i mascellari sono contenuti, la perdita degli elementi dentali determina il venir meno degli stimoli biomeccanici che hanno una fondamentale importanza nel mantenere un fisiologico volume osseo [Moss 1979].

Tale perdita determina nei primi 6 mesi un riassorbimento osseo marcato che in seguito si attesta ad una media di circa 0,1 mm/anno; questo riassorbimento può essere accelerato da patologie concomitanti oltre che dall’età e dal sesso [Schropp 2003].

Quindi a seguito della perdita di un elemento dentario abbiamo un modellamento osseo che crea una contrazione dimensionale della cresta, che comporta notevoli svantaggi in

previsione di una riabilitazione implanto-protesica.

Il deficit è sia orizzontale che verticale, ma in rapporto non paritario: orizzontalmente la perdita di osso a 6 mesi va dal 29% al 30%, equivalente a 2.46 – 4.56 mm, per una media di 3.79 mm; l'altezza ossea si riduce dall'11% al 22%, corrispondente a 0.8 – 1.5 mm, per una media di 1.24 mm [Tan 2012].

La velocità di riassorbimento è massima nei primi tre mesi, riducendosi gradualmente nel periodo successivo.

I tessuti molli tendono ad aumentare in spessore, a seguito dell'estrazione, come riportato nello studio di Iasella et al. (2003); la crescita dei tessuti molli a livello crestale, può clinicamente mascherare il reale riassorbimento dell'osso sottostante ed essere sfruttato per minimizzare l'impatto estetico di un'eventuale riabilitazione.

Anche nell'edentulia estesa o totale, il processo di riassorbimento, pur variando notevolmente da individuo ad individuo, segue dei modelli abbastanza simili tra di loro che consentono una classificazione dei diversi quadri di atrofia.

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quella di Misch nel 1987, di Cawood e Howell nel 1988, di Favero-Brånemark nel 1994 e più recentemente di Chiapasco nel 2001.

La classificazione più seguita è quella di Cawood e Howell (1988), la quale suddivide i quadri di atrofia in 5 classi per il mascellare superiore e 6 classi per la mandibola. Queste classi, dalla prima alla quinta per il mascellare e dalla prima alla sesta per la mandibola, procedono da un processo alveolare completamente normale fino ad arrivare ad una condizione di perdita completa della cresta alveolare e rimaneggiamento dell'osso basale per quanto riguarda la mandibola.

Gli Autori analizzarono in 300 crani secchi il processo di riassorbimento dei mascellari in avvenuto dopo la perdita degli elementi dentari.

Essi hanno dimostrato che:

I. l'osso basale, in seguito alla perdita degli elementi dentari, non cambia in modo sostanziale la propria morfologia se non quando è sottoposto a stimoli irritativi cronici (ad esempio, protesi incongrue).

II. Il processo alveolare si riassorbe secondo schemi abbastanza costanti e specifici per sede interessata e cioè:

• nel mascellare superiore il processo di riassorbimento è ad andamento prevalentemente orizzontale e centripeto, con precoce riassorbimento della corticale vestibolare e conservazione della corticale palatale, sia nel settore posteriore che anteriore;

• nella mandibola il modello di riassorbimento è differente a seconda che si prenda in esame il settore anteriore o i settori latero-posteriori: nella regione interforaminale il riassorbimento è per lo più di tipo orizzontale centripeto (come nel mascellare superiore) con conservazione della corticale linguale; nei settori posteriori viceversa, il riassorbimento avviene prevalentemente in senso verticale.

La combinazione delle due modalità di riassorbimento induce un aspetto “vecchieggiante” al paziente e crea una condizione di pseudo terza classe.

Come già accennato, sulla base delle osservazioni fatte, Cawood e Howell hanno suddiviso i quadri di atrofia in 5 classi per il mascellare superiore e 6 per la mandibola:

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Classe I dentatura presente.

Classe II cresta alveolare postestrattiva immediata.

Classe III cresta alveolare post-estrattiva tardiva con

riossificazione dell' alveolo post-estrattivo e processo alveolare arrotondato ma adeguato in altezza e spessore.

Classe IV cresta con altezza adeguata ma spessore

insufficiente, definita “a lama di coltello”.

Classe V cresta piatta, inadeguata sia in altezza che

spessore.

Classe VI Classe esistente solo per la mandibola: cresta

depressa, con atrofia dell'osso basale. Le varie classi si associano a morfologie ossee differenti a seconda della sede

(mascellare anteriore o posteriore, mandibola anteriore o posteriore). Inoltre settori diversi dello stesso mascellare possono presentare simultaneamente differenti classi di atrofia.

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1. 6 CLASSIFICAZIONE DELLA QUALITA'

OSSEA

La qualità ossea, oltre che la sua quantità, risulta essere non trascurabile da un punto di vista clinico, soprattutto in previsione di una riabilitazione implanto-protesica.

La qualità ossea viene identificata in base alle caratteristiche dell'osso, ed in particolare al rapporto fra le sue componenti corticale e midollare.

Una classificazione molto utilizzata è quella di Lekholm e Zarb (1985), basata appunto sul rapporto tra componente corticale e midollare. Tali autori hanno individuato 4 classi ossee:

Classe I L’osso è compatto, formato quasi

esclusivamente da osso corticale ( sinfisi mentoniera)

Classe II L’osso è formato da una corticale spessa, in

presenza di una spongiosa densa (corpo mandibolare e premaxilla)

Classe III L’osso è costituito da una corticale un po’

meno spessa, con una spongiosa meno densa, ma sempre ben vascolarizzata (corpo mandibolare e premaxilla)

Classe IV L’osso è formato da una corticale sottile e da

una spongiosa di bassa densità (settori posteriori del mascellare superiore)

Un'altra classificazione ampiamente utilizzata è la classificazione di Misch (1990), la quale è una classificazione radiografica della qualità dell'osso.

Distinguiamo varie classi in base all’attenuazione che un fascio fotonico subisce, dopo aver

attraversato il corpo oggetto di studio; l’attenuazione è direttamente proporzionale alla densità elettronica del tessuto, la quale viene misurata secondo la scala Hounsfield (HU, Hounsfield

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Unit) che comprende 2000 diverse tonalità di grigio, dal nero al bianco. I valori in HU ottenuti dall’indagine radiografica, vengono rapportati alla densità dell’acqua che per convenzione misura 0 HU. In questo modo otterremo una scala di misurazione composta da 2000 unità, da -1000 HU corrispondente all’aria e +1000 H corrispondente al tessuto osseo compatto.

Utilizzando questa scala siamo in grado di distinguere quattro tipologie di osso a differente densità identificate dalla lettera “D” associata ad un numero da 1 a 4.

Tipo di osso Caratteristiche cliniche

Tipo D1 Osso corticale denso Tipico della regione basale

sinfisaria. È scarsamente irrorato quindi guarisce più lentamente, inoltre richiede un maggior torque per la preparazione e questo provoca un maggior riscaldamento dell’osso. Per questo motivo è poco indicato per il posizionamento di impianti e la fissazione di innesti.

Tipo D2 osso corticale crestale denso o

poroso di un certo spessore, con grossolana trabecolatura interna.

Rappresenta la qualità ossea ottimale ed è presente nel corpo mandibolare e nella zona frontale del mascellare.

La corticale è

sufficientemente spessa per garantire una stabilità primaria ai mezzi di fissazione e agli impianti. La buona vascolarizzazione della

spongiosa garantisce

adeguato sostegno ai fenomeni riparativi ossei.

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Tipo D3 osso con sottile cresta corticale porosa e fine trabecolatura interna.

Ha caratteristiche ideali. Lo possiamo ritrovare nella zona fronto-laterale del mascellare e nella zona laterale della mandibola.

Tipo D4 fine trabecolatura spongiosa

che occupa quasi tutto il volume osseo

È un osso poco denso. La sua corticale è molto sottile e non permette un’adeguata stabilità primaria degli impianti inseriti. Non è dunque valido dal punto di vista chirurgico. La valutazione di densità ossea secondo Misch (D1, D2, ecc.) è puramente clinica e la relazione densità ossea/ unità Hounsfield ha valore indicativo, per questo non deve essere considerata in senso assoluto.

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1.7 EVOLUZIONE ANATOMO-PATOLOGICA DELLA

FERITA POST-ESTRATTIVA

Microscopicamente le alterazioni che si verificano a carico della cresta alveolare in seguito ad estrazione di un singolo elemento, si notano una serie di processi biologici ben documentati nel modello animale [Almer 1969, Araujo & Lindhe 2005, Cardaropoli 2003]. Questi processi possono essere suddivisi, ai fini didattici, in due serie di eventi tra loro relazionati: (1) processi intra-alveolari e (2) processi extra-alveolari [Lindhe 2009] .

(1) PROCESSI INTRA-ALVEOLARI

Secondo gli studi condotti da Amler (1969), le prime 24 ore dopo estrazione dentaria sono caratterizzate dalla formazione del coagulo ematico nell’alveolo.

Entro 2-3 giorni il coagulo viene gradualmente sostituito da tessuto di granulazione. Dopo 4-5 giorni, l’epitelio dai margini dei tessuti molli inizia a proliferare per coprire il tessuto di granulazione nell’alveolo.

Circa una settimana dopo l’estrazione, l’alveolo contiene tessuto di granulazione, tessuto connettivo neo-formato e nella porzione apicale dell’alveolo è in corso la formazione di osteoide.

Dopo 3 settimane, l’alveolo contiene tessuto connettivo, l’osteoide presenta i primi segni di mineralizzazione e l’epitelio ricopre la ferita.

Alla 6° settimana di guarigione, la formazione ossea nell’alveolo è ben evidente e si possono osservare le trabecole di tessuto osseo di nuova formazione.

È necessario puntualizzare che questi dati non includono le fasi tardive di guarigione , ovvero i processi di modellamento e rimodellamento osseo, ma si focalizzano sulla fase precoce di guarigione e sui tessuti marginali della ferita.

Per comprendere le fai di modellamento e rimodellamento, è necessario citare lo studio di Cardaropoli 2003, condotto su cani beagle.

Ai cani venivano estratte, tramite il sollevamento di un lembo a spessore totale, le radici distali di premolari mandibolari; i lembi mucosi venivano riposizionati in modo da garantire un’adeguata copertura dell’alveolo post- estrattivo. La guarigione dei siti estrattivi veniva monitorata con campioni bioptici ottenuti ad intervalli tra 1 e 6 giorni.

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Approfondiamo adesso le quattro fasi principali delle guarigione ossea:

• Formazione del coagulo ematico

Immediatamente dopo l’estrazione dentaria, il sangue proveniente dai vasi sangugni sezionati riempie la cavità postestrattiva. Le proteine derivate dai vasi e dalle cellule danneggiate danno il via al processo di coagulazione che porta alla formazione della rete di fibrina; nel frattempo le piastrine cominciano ad aggregarsi e interagiscono con la rete di fibrina per produrre il coagulo ematico che agisce da tappo e blocca il sanguinamento.

La formazione di un appropriato coagulo ematico è cruciale per i futuri processi di guarigione: il coagulo contiene sostanze che influenzano le cellule mesenchimali (cioè i fattori di crescita) e promuovono l’attività delle cellule infiammatorie. Tali sostanze indurranno e amplificheranno, perciò, la migrazione di vari tipi cellulari nella ferita estrattiva, così come la loro proliferazione e differenziazione nel coagulo.

Il passo successivo per avere formazione di nuovo tessuto è la rimozione del coagulo, che avviene grazie alla fibrinolisi e segna l'inizio della seconda fase: la fase di pulizia della ferita o fase macrofagica.

• Fase di pulizia della ferita

Fase caratterizzata dalla migrazione e dall'azione di cellule infiammatorie che migrano nella ferita, fagocitano batteri e tessuto danneggiato e ripuliscono il sito prima che la formazione di nuovo tessuto possa cominciare. Le prime cellule a colonizzare il sito sono i granulociti neutrofili successivamente sopraggiungono i macrofagi. Dopo che i

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detriti sono stati rimossi e la ferita ripulita, i neutrofili vanno incontro ad un processo di morte cellulare programmata detto apoptosi e sono quindi rimossi dal sito grazie all’azione dei macrofagi. Questi ultimi non hanno solo il compito di ripulire la ferita ma rilasciano anche fattori di crescita e citochine che promuovono ulteriormente migrazione, proliferazione e differenziazione delle cellule mesenchimali con potenziale osteogenetico.

• Angiogenesi e deposizione di matrice ossea

In questa fase, penetrano nell’alveolo strutture vascolari provenienti dai residui del legamento parodontale, cellule mesenchimali e fibroblasto-simili, sempre provenienti dai residui del legamento parodontale e dall’osso circostante. Le cellule mesenchimali cominciano a proliferare e a depositare componenti della matrice nello spazio extracellulare; un nuovo tessuto, il tessuto di granulazione, sostituisce gradualmente il coagulo ematico. Il suddetto tessuto contiene macrofagi e un grande numero di cellule simili e di vasi sanguigni di nuova formazione. Le cellule fibroblasto-simili continuano a rilasciare fattori di crescita, a proliferare e a depositare una nuova matrice extracellulare che guida la crescita di ulteriori cellule e permette l’ulteriore differenziamento del tessuto. I numerosi vasi sanguigni di nuova formazione garantiscono l’apporto di ossigeno e nutrienti che sono necessari, dato il crescente numero di cellule che si assetta nel nuovo tessuto. Il processo di intensa sintesi mostrato dalle cellule mesenchimali è chiamato fibroplasia, mentre la formazione di nuovi vasi è chiamato angiogenesi. Attraverso la combinazione di questi due processi viene a formarsi un tessuto connettivo provvisorio.

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La sostituzione del tessuto connettivo con tessuto osseo avviene primariamente lungo le strutture vascolari; le cellule osteoprogenitrici, i così detti periciti, migrano e si riuniscono in prossimità dei vasi. Essi possono differenziarsi in osteoblasti che producono una matrice di fibre collagene, dall’aspetto “intrecciato”, l’osteoide.

La mineralizzazione inizia in un secondo momento all’interno dell’osteoide mentre gli osteoblasti continuano a depositare matrice; occasionalmente tali cellule rimangono bloccate all’interno del tessuto in via di mineralizzazione e diventano osteociti.

L’osso formatosi in questa fase è osso non lamellare, caratterizzato da una rapida deposizione, che avviene con estroflessioni a dito di guanto lungo il decorso dei vasi, da una matrice collagene poco organizzata, da un grande numero di osteoblasti “intrappolati” nella matrice mineralizzata e dalla sua bassa capacità di resistenza al carico.

Con l’intrappolamento degli osteociti nel tessuto osseo viene a formarsi il primo gruppo di osteoni, detti osteoni primari.

Durante questa fase precoce di guarigione, il tessuto osseo nella parete dell’alveolo (lamina dura) è rimosso e sostituito da osso non lamellare, ciò avviene entro poche settimane.

• Modellamento e rimodellamento tissutale

L’osso non lamellare offre una struttura stabile (scaffold), una riserva di cellule osteoprogenitrici e un ampio supporto sanguigno per le funzioni cellulari e per la

Osso non lamellare (o wooven bone)

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mineralizzazione della matrice. La fase di modellamento e rimodellamento osseo porta alla maturazione di questo tessuto ed alla sua trasformazione in osso lamellare. In questo processo, gli osteoni primari sono sostituiti con osteoni secondari. L’osso non lamellare è dapprima riassorbito fino ad un certo livello, che stabilirà la cosiddetta linea di inversione, a partire dalla quale verrà formato nuovo osso con osteoni secondari; questa fase può impiegare diversi mesi.

Una tappa importante del processo di guarigione dell’alveolo riguarda la formazione di un cappuccio di tessuto duro che chiude l’entrata marginale all’alveolo. Questo cappuccio è inizialmente costituito di osso non lamellare ma è successivamente rimodellato e sostituito da osso lamellare che si porrà in continuo con la lamina corticale alla periferia del sito edentulo. Questo processo è chiamato corticalizzazione .

Anche a seguito della guarigione della ferita i tessuti nel sito estrattivo continueranno ad adattarsi alle richieste funzionali; in questo caso non vi è più alcuno stress provocato da forze generate durante la masticazione e altri contatti occlusali, viene così meno il bisogno di osso mineralizzato nell’area precedentemente occupata dal dente. La porzione apicale del cappuccio di tessuto duro si rimodellerà principalmente in midollo osseo ed in molti pazienti edentuli l’intera cresta alveolare regredirà come risultato di un adattamento continuo alla mancanza di stimoli funzionali.

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(2) PROCESSI EXTRA-ALVEOLARI

In un esperimento sui cani di Araujo & Lindhe (2005) sono state esaminate attentamente le alterazioni del profilo della cresta edentula che si verificano in seguito ad estrazione dentaria. Dopo lo scollamento di un lembo a spessore totale, le radici distali dei premolari mandibolari sono state rimosse, i lembi sono stati quindi riposizionati e suturati in modo da coprire l’alveolo estrattivo. Campioni bioptici sono stati prelevati dopo 1, 2, 4, 8 settimane di guarigione. Le sezioni seguivano il piano vestibolo-linguale.

Sono state identificate delle differenze anatomiche fra i due versanti della ferita post estrattiva: il vesdante vestibolare e quello linguale/palatale. Innanzitutto la parete alveolare linguale risulta più ampia rispetto alla vestibolare, inoltre uno strato di osso alveolare propriamente detto (lamina dura) occupa la porzione più interna della parete ossea sia vestibolare che linguale. Tuttavia è interessante notare che nei primi 2 millimetri marginali del versante vestibolare tutto il tessuto mineralizzato è composto da lamina dura ed è utile ricordare che tale lamina dura fa parte dell’apparato d’attacco del dente; questo tessuto, quindi, non svolgerà più alcuna funzione dopo estrazione dentaria e sarà riassorbito.

• 1 settimana dopo l’estrazione.

Abbiamo già visto che in questa fase l’alveolo è occupato dal coagulo. Inoltre, un cospicuo numero di osteoclasti può essere ritrovato all’esterno e all’interno delle pareti vestibolare e linguale. La presenza di osteoclasti sulla superficie più interna delle pareti alveolari indica che la lamina dura è in corso di riassorbimento.

2 settimane dopo l’estrazione.

Nelle porzioni apicale e laterale dell’alveolo abbiamo la presenza di osso non lamellare di nuova formazione, mentre le parti centrale e marginale sono occupate da tessuto connettivo provvisorio. Nelle porzioni marginale ed esterna delle pareti alveolari possono essere osservati molti osteoclasti. In più parti lungo le pareti alveolari, la lamina dura è stata sostituita da osso non lamellare.

4 settimane dopo l’estrazione

.

L’intero alveolo è occupato da osso non lamellare, contemporaneamente nelle porzioni marginale ed esterna delle pareti ossee è presente un gran numero di osteoclasti, i quali

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si dispongono anche lungo le trabecole di osso non lamellare presenti nelle zone centrale e laterale dell’alveolo. L’osso non lamellare di nuova formazione sta cominciando ad essere sostituito da osso più maturo.

8 settimane dopo l’estrazione

.

Uno strato di osso corticale ricopre l’ingresso al sito estrattivo. È avvenuta la cosiddetta corticalizzazione. In questa fase, l’osso non lamellare presente alla 4° settimana è sostituito da midollo osseo e da qualche trabecola di tessuto osseo lamellare. Sul versante esterno e coronale delle pareti ossee linguale e vestibolare si notano segni di riassorbimento del tessuto duro. La lamina vestibolare è posizionata apicalmente rispetto alla controparte linguale.

Quindi, il margine della parete linguale rimane, con buona approssimazione, immutato, mentre il margine della parete vestibolare si sposta apicalmente di alcuni millimetri. Esistono almeno due spiegazioni a tale osservazione sperimentale: per prima cosa, prima dell’estrazione, 1-2 millimetri marginali della parete vestibolare sono interamente rappresentati da osso alveolare propriamente detto (lamina dura), che è un tessuto funzionale facente parte del legamento parodontale; solo la frazione interna della cresta linguale contiene lamina dura. La lamina dura, come riportato precedentemente, verrà gradualmente riassorbita in seguito alla perdita del dente in quanto tessuto funzionale. Dal momento che la regione crestale della lamina vestibolare contiene più lamina dura della controparte linguale, la perdita maggiore di tessuto duro si verificherà vestibolarmente.

In secondo luogo è stato appurato che un trauma chirurgico che comporti lo scollamento di un lembo e la separazione del periostio dal tessuto osseo sottostante, esita in un riassorbimento superficiale [Staffileno 1966, Wood 1972], il quale risulterà in una riduzione maggiore a carico della sottile parete ossea vestibolare rispetto alla più ampia parete linguale.

Premessi questi risultati, occorre domandarsi quanto il processo di guarigione nel modello animale sia sovrapponibile con quello dell'osso umano.

In questi termini sono state avanzate delle critiche da diversi autori [Van der Weijden 2009, Tan 2012]; è stata ipotizzata una differenza fra l'entità del riassorbimento delle componenti alveolari nel modello canino di Araujo e Lindhe (2005) e nell'uomo. In particolare nell'uomo sia la componente vestibolare che quella linguale/palatale dell'alveolo post-estrattivo,

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sembrano essere ugualmente soggette a riassorbimento; entrambe mostrano una contrazione di circa 2 mm.

Al contrario gli studi sul cane mostrano, come detto precedentemente, un riassorbimento più marcato della componente vestibolare rispetto alla componente linguale/palatale, con una differenza dimensionale di circa 2 mm fra queste. Altri studi condotti sull'uomo confermano i risultati di Araujo e Lindhe [Nevins 2006, Barone 2012].

Questa divisione della letteratura dovrebbe forse essere ulteriormente indagata prendendo in considerazione altre variabili oltre che le misure ossee; un esempio sono i cambiamenti a livello dei tessuti molli ed eventuali fattori sistemici che possono influenzare la il rimodellamento osseo nell'uomo.

La guarigione delle ferite post-estrattive dipende dagli eventi molecolare e cellulari che si susseguono; sembra quindi logico assumere che la guarigione finale possa essere influenzata da fattori che influiscono su tali processi [Van der Weijden 2003].

vi è una serie di fattori possono esercitare una qualche influenza sulla guarigione, come fattori sistemici, compreso la salute generale del paziente e le abitudini viziate come il tabagismo. Fattori locali includono le ragioni dell'estrazione, il numero dei denti estratti, la condizione dell'alveolo post-estattivo, il biotipo tissutale, il sito di appartenenza dell'elemento estratto. Uno studio prospettico a 6 mesi sembra suggerire che l'abitudine al fumo possa influenzare significativamente la guarigione in senso negativo [Saldanha 2006] ; i pazienti fumatori riportavano riduzioni dimensionali più accentuate rispetto ai pazienti non fumatori.

Il meccanismo specifico per cui il fumo influenzerebbe negativamente la guarigione non è del tutto noto; parte degli effetti negativi sono stati attribuiti alla nicotina contenuta nel fumo di tabacco.

La nicotina è, di fatto, una delle sostanze maggiormente citotossiche e vasoattive; basandosi sulle osservazioni di Saldanha è ragionevole aspettarsi una riduzione della cresta ossea maggiore di 0.5 mm nei fumatori rispetto ai non fumatori.

Un altro fattore che influisce sulla guarigione della ferita post-estrattiva è la presenza di una concomitante malattia parodontale, che facilmente si ritrova nelle cause di estrazione.

Uno studio di Ahn (2008) afferma che la rigenerazione ossea nei siti affetti da malattia parodontale, avviene più lentamente rispetto ai siti sani; il pattern di guarigione, inoltre, risulta più complicato e meno predicibile.

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1.7 INNESTI E RIDGE PRESERVATION

[Lindhe 2009, Misch 2008]

Il concetto fondamentale della ridge preservation (RP) risiede nella funzione di ausilio fornito al coagulo dal materiale innestato.

Normalmente il coagulo fornisce un'impalcatura biologica attraverso la quale i vasi sanguigni possono proliferare e migrare, fino a colmare l’intera struttura alveolare; esso inoltre agisce anche da agente osteoinduttivo mediante la cessione di fattori di crescita che contribuiscono alla guarigione dell’alveolo.

La RP si propone di ottimizzare e velocizzare questi due processi fondamentali attraverso i quali avviene la guarigione ossea, vale a dire la funzione di scaffold e l'induzione attiva.

Per comprendere il motivo di tale intervento è necessario sottolineare i limiti della guarigione naturale: il principale difetto del coagulo è la grande vulnerabilità nei confronti delle forze, trazionanti e comprimenti, create dai movimenti masticatori.

Il coagulo in balia di traumi meccanici o di barotraumi va incontro ad un certo grado di instabilità e, talvolta al collasso; l'obiettivo delle procedure rigenerative è, quindi, quello di impedire che queste forze disturbino il processo di guarigione.

Altro obiettivo della RP è quello di impedire che gli epiteli mesenchimali, favoreggiati da una più rapida proliferazione rispetto all'osso, vadano a colonizzare il sito post-estrattivo.

La presenza di materiale da innesto modifica quindi gli eventi ed il pattern di guarigione della ferita chirurgica; il tipo di azione che il materiale esercita sulla ferita dipende dalla natura del materiale stesso: esistono materiali con funzioni attive (osteogenesi e osteoinduzione) o passive (osteoconduzione).

I tipi di innesto si differenziano per la loro origine in:

• autologhi; ovvero un trapianto di tessuti da un sito donatore ad un sito ricevente nella medesima persona.

• alloplastici o sintetici; sono materiali di natura non biologica o biologica di sintesi, alcuni esempi sono l'idrossiapatite, il fosfato di calcio, il carbonato di calcio, le vetroceramiche bioattive.

• Xenogeni; materiali che provengono da individui di specie differente, come osso bovino e osso suino.

• Allogenici; materiali provenienti da un individuo della stessa specie ma geneticamente dissimile, un esempio sono l'osso demineralizzato deproteinizzato liofilizzato

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(DFDBA) e l'osso deproteinizzato liofilizzato (FDBA).

Le proprietà che caratterizzano un innesto sono la capacità osteogenetica, la capacità osteoconduttiva, la capacità osteoinduttiva.

Si definisce osteogenesi la capacità delle cellule osteoblastiche, proprie dell'innesto, di produrre osso; questa proprietà è riscontrabile solamente negli innesti autologhi.

Si definisce osteoinduzione la capacità di rilasciare in loco sostanze che inducono la differenziazione osteoblastica delle cellule mesenchimali del sito ricevente. Questa proprietà è riscontrabile negli innesti autologhi e allogenici; in questi ultimi tende a diminuire all'aumentare delle procedure di sterilizzazione e deproteinizzazione per eliminare la carica antigenica.

Si definisce osteoconduzione la capacità di fornire un'impalcaura per gli osteoblasti in situ, per permetterne la migrazione e l'apposizione di nuova sostanza osteoide; questa proprietà si riscontra in innesti autologhi, allogenici, alloplastici e xenogeni.

L'innesto possiede un'ulteriore caratteristica: la biocompatibilità. Con tale termine si indica il grado di tolleranza reciproca che si instaura tra il materiale e l’organismo [Williams 1982]. Il meccanismo principale che permette la crescita di nuovo osso a livello del sito innestato è l'osteocondzione, cioè la proprietà del materiale di fornire uno scaffold adeguato per la colonizzazione da parte dei vasi sanguigni neoformati e, conseguentemente delle cellule osteogeniche provenienti dai tessuti circostanti [Brugnami 1999, Scarano 2010]. Tenuto in conto tale fatto, ai fini della ridge-preservation, risulta superfluo l'utilizzo di materiali autologhi, con proprietà osteogenetiche; considerando anche che tale tipo di innesto prevede un sito donatore, e quindi una maggiore morbilità postoperatoria.

Tuttavia risultati costanti negli innesti ossei sono difficilmente raggiungibili, perché spesso vengono adottate tecniche similari, senza tener conto del volume osseo e della posizione del sito da trattare.

Il clinico dovrebbe considerare diverse variabili, alcune delle quali correlate fra loro, prima di optare per una particolare tecnica o materiale da innesto:

1. assenza di infezioni;

2. chiusura primaria del lembo; 3. mantenimento dello spazio; 4. immobilizzazione dell'innesto;

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6. vascolarizzazione dell'osso ospite; 7. fattori di crescita;

8. proteine morfogenetiche; 9. tempo di guarigione;

10. dimensione e topografia del difetto.

(1) ASSENZA DI INFEZIONI

A livello osseo le infezioni innescano un processo flogistico che determina l'abbassamento del pH fino a valori addirittura inferiori a pH 2; queste condizioni sono sfavorevoli alla deposizione ossea e ne favoriscono, al contrario, la demineralizzazione e il riassorbimento. Si evince da questa premessa che la presenza di fenomeni infiammatori a livello del sito innestato compromette non solo la formazione del volume di osso desiderato, ma può causare un'ulteriore perdita ossea rispetto a quella che avremmo osservato in assenza di intervento. Prima dell'innesto osseo, quindi, sarebbe preferibile eliminare tutte le possibili fonti di contaminazione microbica, compito non esattamente facile in un ambiente polimicrobico come il cavo orale.

La contaminazione batterica avviene principalmente per tre motivi: • contaminazione endogena;

• mancanza di adeguate procedure asettiche durante la procedura chirurgica; • mancata guarigione per prima intenzione dei tessuti molli.

Per il raggiungimento delle concentrazioni adeguate di un farmaco antibiotico sistemico è necessario avere un apporto ematico all'interno dell'innesto; in caso questo non sia assicurato e l'innesto sia a rischio di contaminazione batterica, è possibile aggiungere antibiotico, con azione topica, al materiale da innesto stesso. A questo scopo vengono frequentemente utilizzate le tetracicline, soprattutto in ambito di innesti parodontali in virtù della loro proprietà trofica sulle fibrille di collagene, esse però non sono l'indicazione principale negli innesti ossei poiché chelano il calcio e arrestano il processo di formazione ossea. Penicillina, cefalosporina e clindamicina possono essere mescolate al materiale da innesto in quanto non influiscono sul processo di rigenerazione ossea, la formulazione migliore dovrebbe essere quella per assunzione parenterale, onde a evitare la presenza di eccipienti non idonei per il sito di innesto.

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(2) CHIUSURA PRIMARIA DEL LEMBO

Premettendo che la chiusura primaria del lembo non è una condizione imprescindibile nel caso dell'innesto alveolare, per completezza segnaliamo che in altri tipi di innesto essa ha un forte potere prognostico sulla riuscita dell'innesto stesso.

La chiusura primaria dei tessuti molli assicura la guarigione per prima intenzione, diminuisce il disagio postoperatorio e risulta una fase obbligata per la predicibilità della rigenerazione ossea.

La complicanza postoperatoria più frequente dell'innesto intraorale è la riapertura delle linee di incisione; questo avviene poiché il tessuto osseo dev'essere avanzato sopra un volume osseo maggiore rispetto a quello di partenza e la tensione che si viene a creare sulla linea di incisione può lacerare i tessuti molli. Inoltre il lembo giacciono su un materiale da innesto o su una membrana barriera, il che non rappresenta una condizione ideale per l'apporto ematico e la presenza di fattori di crescita locali necessari alla guarigione.

Esistono linee guida generali per ridurre questa complicanza:

• l'incisione primaria, quando possibile, dovrebbe essere fatta nel tessuto cheratinizzato; ciò riduce il sanguinamento durante la fase operatoria e, poiché vengono recisi vasi di calibro minore rispetto a quelli del tessuto non cheratinizzato, minimizza l'edema postoperatorio, che potrebbe aggiungere tensione alla linea di incisione.

• Quando possibile l'apporto ematico del lembo ribaltato dovrebbe essere mantenuto; ciò è possibile con un accurato studio del disegno del lembo, variabile in base alla sede dello stesso.

• La guarigione della ferita per prima intenzione dovrebbe avvenire in assenza di tensioni; questo è realizzabile mediante incisioni di rilascio verticali e incisioni di rilascio periostali nel caso di un lembo a spessore totale.

• Apposizione di fattori di crescita sull'innesto, come il plasma ricco di piastrine (PRP, Platelet-Rich Plasma) o il fattore di crescita dell'endotelio vascolare (VEGF, Vascular Endotelial Growth Factor), che promuovono la formazione di collagene e vasi sanguigni.

• La scelta del materiale da sutura dovrebbe essere fatta considerando le dimensioni dell'innesto osseo e le caratteristiche del materiale stesso. L'acido poiglicolico (PGA, Vicryl) si è dimostrato essere ottimale per la maggior parte delle procedure da innesto,

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in quanto mostra una reazione tissutale più lieve rispetto agli altri materiali riassorbibili e mantiene una tensione sufficiente per le prime due settimane. Negli innesto ossei di grandi dimensioni è consigliabile optare per suture non riassorbibili per ottenere una chiusura primaria; infatti le suture riassorbibili perdono circa il 50% della loro forza tensile dopo 14 giorni e possono essere associate ad una riapertura della linea di incisione.

• Anche la scelta di una specifica modalità di sutura segue dei criteri di base; innanzitutto è necessario sapere che ogni penetrazione del tessuto da parte della sutura causa una zona non vitale di circa 1 mm, che necessita di guarigione. Quando le suture sono troppo vicino al margine o troppo fitte, la zona necrotica può comprendere la linea di incisione, determinando una riapertura della stessa. Le suture a punti staccati dovrebbero essere effettuate a 3-5 mm di distanza dai margini dell'incisione e con un'equivalente distanza fra loro. L'eccessivo numero di punti di sutura staccati inficiano l'apporto ematico e aumentano il rischio di apertura della linea di incisione; lembi che necessitano di più di 4 punti di sutura staccati dovrebbero essere meglio accostati con suture continue.

Prima di essere suturati tessuti molli dovrebbero accostarsi passivamente.

• Dopo la sutura è possibile applicare una leggera pressione sulla ferita per 3-5 minuti, questa procedura dovrebbe eliminare l'essudato al di sotto del lembo e favorire l'attecchimento dello stesso.

• Possono infine essere somministrati farmaci corticosteroidei sistemici per ridurre l'edema postoperatorio.

Nel caso venga usata una protesi provvisoria senza appoggio diretto sulla linea di incisione.

(3) MANTENIMENTO DELLO SPAZIO

Il mantenimento dello spazio nell'area del sito d'innesto è fondamentale per il volume d'osso che si desidera ottenere; lo spazio dev'essere mantenuto sufficientemente a lungo affinché l'osso possa riempire l'area del difetto.

A questo fine vengono utilizzate delle membrane barriera: un foglio di materiale che ricopre il sito d'innesto e previene la crescita del tessuto molle sovrastante.

La membrana agisce come una barriera selettiva che impedisce fisicamente la crescita di tessuto fibroso, senza però ostacolare l’apporto ematico che, grazie a un’adeguata

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vascolarizzazione, permette alle cellule osteogenetiche originate dall’osso di rigenerarsi, colmando lo spazio vuoto.

Si possono riconoscere dei requisiti strutturali propri di tutte le membrane barriera: • biocompatibilità del materiale, per non innescare processi flogistici locali: ciò

consentirà una guarigione dei tessuti;

• caratteristiche di superficie tali da impedire il passaggio di tessuto connettivo fibroso al di sotto della membrana stessa, nel sito di guarigione;

• permeabilità selettiva che permetta lo scambio di nutrienti ma impedisca il passaggio cellulare;

• mantenimento dello spazio stabile e duraturo, al fine di poter meglio consentire la stabilizzazione del coagulo e la conseguente formazione ossea voluta;

• maneggevolezza tale da permettere al clinico di plasmarla adattandola alle situazioni anatomiche incontrate.

Le membrane si dividono in riassorbibili e non riassorbibili in base alla loro capacità di essere degradate dai tessuti ospiti mediante comuni processi flogistici di riassorbimento.

La non riassorbibilità implica inoltre la necessità di un secondo intervento chirurgico di rimozione.

(4) IMMOBILIZZAZIONE DELL'INNESTO

La stabilizzazione dell'innesto al letto ricevente sottostante è di primaria importanza per ottenere una rigenerazione ossea predicibile.

Se le porzioni di materiale da innesto particolato o gli innesto a blocco sono mobili non è possibile assicurare un'impalcatura stabile e un apporto ematico adeguato per per l'osso in formazione; esiste il rischio che l'innesto venga incapsulato da materiale fibroso e sequestrato. In maniera analoga quando le membrane barriera o le viti di fissaggio si destabilizzano, vengono incapsulate da tessuto fibroso. Esistono numerose metodiche per assicurare la fissità dell'innesto e della membrana: viti, graffette da osso, protesi fisse provvisorie dotate di ganci e alloggi che evitano forze dirette sul sito innestato.

(5) FENOMENO ACCELERATORIO REGIONALE

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innescata da una noxa patogena, caratterizzata da una più rapida forazione tissutale, rispetto a quella che si avrebbe in un normale processo di rigenerazione regionale.

Questo fenomeno fa in modo che la guarigione avvenga dalle 2 alle 10 volte più velocemente rispetto a quella che si avrebbe con il metabolismo fisiologico del tessuto; si innesca entro pochi giorni dalla lesione e raggiunge un picco entro 1 e 2 mesi, per esaurirsi dopo circa 4 mesi. La durata e l'intensità del RAP sono direttamente proporzionali al tipo e alla qualità dello stimolo, nonché al sito in cui è stato prodotto; nell'osso esso varia in funzione dell'estensione del danno, dalla quantità di tessuto molle coinvolto e dalla configurazione del trauma.

Un trauma chirurgico è in grado di evocare un RAP, che include il rilascio da parte di piastrine di citochine come il PDGE (Platelet-Derived Growth Factor) e TGF (Trasforming Growth Factor), e aumenta la disponibilità di cellule osteogenetiche nel sito donatore.

Quando il RAP è inadeguato, ad esempio in caso di lenti processi destruenti patologici (fibroartrosi, osteoporosi, fenomeni reumatoidi, etc.), può verificarsi un processo di guarigione incompleto con la formazione di un callo che viene rimpiazzato da osso lamellare; questa evoluzione è associata a mancato attecchimento dell'innesto o unione ritardata.

Il RAP è accompagnato da una risposta sistemica definita fenomeno acceleratorio sistemico (SAP, Systemic Acceleratory Phenomenon), simile a quello che si osserva localmente; il mancato raggiungimento di un RAP adeguato sembra essere correlato a condizioni mediche sistemiche, incluso diabete mellito, neuropatie periferiche, denervazione sensitiva zonale, danni da radiazione e malnutrizione.

(6) VASCOLARIZZAZIONE DELL'OSSO OSPITE

I vasi sanguigni del letto ricevente sono indispensabili sia per mantenere la vitalità delle cellule osteogenetiche, se si parla di innesto autologo, sia per favorirne la migrazione e l'attività in caso di altri materiali.

Un alveolo post-estrattivo si riempie d'osso perché i vasi derivanti dall'osso formano nel sito un tessuto di granulazione e prevengono la migrazione delle cellule epiteliali nel sito stesso; sono quindi necessari 4-6 mesi perché il coagulo e quindi il tessuto di granulazione vengano sostituiti da osso.

Per permettere ai vasi dell'osso di penetrare nel sito innestato dovrebbero esserci spazi disponibili fra le particelle dell'innesto. Quando viene usato osso autologo in blocco, la parte trabecolare fornisce questi spazi, mentre la parte corticale è deficitaria in questo senso, per la

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sua superficie più densa, ed è caratterizzato da una lenta rivascolarizzazione.

(7) FATTORI DI CRESCITA

I fattori di crescita o Growth Hormones (GH) rappresentano un ampio ed eterogeneo gruppo di ormoni locali di natura proteica, che promuovono la crescita delle cellule dotate dello specifico recettore superficiale. Come già citato i fattori di crescita ossea potenziano la formazione e la mineralizzazione del tessuto osseo, inducono la differenziazione delle cellule mesenchimali in cellule ossee ed innescano un meccanismo auto alimentante per la produzione di altri fattori di crescita.

Attualmente, grazie alla tecnologia del DNA ricombinante, i fattori di crescita possono essere prodotti in laboratorio e commercializzati; n questo modo è possibile utilizzare questi biomateriali per arricchire il sito da trattare con fattori di crescita naturali. Un esempio è il PRP (platelet rich plasma), un concentrato piastrinico omologo che si immette nel sito chirurgico al fine di arricchirlo di fattori di crescita di derivazione piastrinica.

(8) PROTEINE MORFOGENETICHE DELL'OSSO

Le BMPs si differenziano dai fattori di crescita per la loro azione sulla chemiotassi e sulla differenziazione osteoblastica di cellule multipotenti, mentre non hanno alcun effetto di stimolo su osteoblasti maturi (mancano di proprietà mitogene).

Con il termine BMP indichiamo un ampio gruppo di polipeptidi, di cui i sotogruppi osteogenetici sono le BMP -1, -2, -3, -4, -6 e -7.

La tecnologia ricombinante consente la sintesi di BMP-2 e BMP-7; le aree di applicazione che si stanno sviluppando per l'utilizzo di BMP ricombinante sono innesti ossei estesi (come il rialzo di seno mascellare), ampi difetti parodontali e l'interfaccia osso-impianto.

(9) TEMPO DI GUARIGIONE

Il lasso di tempo necessario per il riassorbimento dell'innesto e la generazione di nuovo osso è variabile e dipende da fattori locali, come il numero delle pareti ossee rimanenti, la quantità di osso autologo nell'innesto e la dimensione del difetto, senza considerare alterazioni sistemiche che influiscono sul metabolismo osseo.

Come regola generale se il volume dell'innesto è inferiore ai 5mm vengono consigliati 4-6 mesi per la guarigione; se le dimensioni dell'innesto risultano maggiori di 5mm spesso si considerano 6-10 mesi per la guarigione.

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(10) DIMENSIONE E TOPOGRAFIA DEL DIFETTO

La dimensione del difetto è molto importante e da essa dipendono numerose variabili: il periodo di guarigione, la vascolarizzazione, la scelta del materiale da innesto, le opzioni di protesizzazione provvisoria.

Maggiore è il difetto osseo e maggiore sarà il periodo necessario alla maturazione ossea; d'altro canto quando il sito è piccolo è possibile eseguire contestualmente l'innesto e l'inserimento implantare, facendo attenzione che quest'ultimo non sia funzionalizzato.

La topografia del sito innestato è anch'essa un fattore chiave per una rigenerazione ossea predicibile; basti pensare che in un difetto osseo a cinque pareti ( vestibolare, linguale, mesiale, distale e apicale) lo spazio viene mantenuto e l'innesto viene immobilizzato dalle pareti stesse, è inoltre assicurato un buon apporto ematico e di fattori di crescita; questo rappresenta una condizione ideale per la crescita ossea. Nel caso di un difetto a cinque pareti si può utilizzarequalsiasi tipo di materiale da innesto riassorbibile.

Un difetto a quattro pareti è una condizione piuttosto frequente e la parete persa è solitamente la lamina vestibolare dell'alveolo; in queste condizioni non si ha il mantenimento dello spazio e un adeguato apporto ematico proveniente dall'osso, ma piuttosto una vascolarizzazione da parte di un tessuto molle. Per ottenere contorni e volumi ideali dell'osso debbono essere utilizzate procedure di rigenerazione con membrana.

I difetti ossei a due o tre pareti vengono trattati in maniera simile a quelli a quattro pareti; tuttavia, poiché il difetto ha dimensioni maggiori è indicato l'utilizzo di materiale autologo, di conseguenza è necessario considerare la morbilità di un sito donatore.

La prima cosa da valutare, a seguito dell'estrazione dentaria, è lo spessore delle lamine ossee palatali e vestibolare e la loro altezza rispetto al volume osseo desiderato; quando una delle due lamine è più sottile di 1,5 mm, o quando si vuole ottenere un'altezza maggiore, è indicato un innesto dell'alveolo.

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2.0 INTRODUZIONE ALLO STUDIO

L'estrazione dentaria è da sempre una delle procedure più frequentemente eseguita in odontoiatria ed è una procedura non priva di complicanze: sono state, infatti, ben documentate alterazioni dimensionali della cresta alveolare residua, dove incorriamo in un marcato rimaneggiamento della struttura ossea.

Entro il primo anno di guarigione della ferita postestrattiva, circa il 50% del volume osseo in direzione vestibolo-linguale viene persa e la riduzione della cresta è più pronunciata dal lato vestibolare, rispetto al lato linguale o palatale: come conseguenza di questo rimodellamento tissutale differenziato, il centro del sito edentulo si sposta verso la faccia linguale o palatale della cresta alveolare [Barone 2008, Van der Weijden 2009, Covani 2011].

Oltre alla suddetta variazione dell'architettura macroscopica dell'osso, il fenomeno di rimodellamento conseguente alla guarigione della ferita postestrattiva, comporta anche una variazione nella struttura micoscopica dell'osso, con perdita di osso fibroso ( o bundle bone ) che riveste la cavità alveolare ed aumento della componente ossea spugnosa [Araújo 2005, Van der Weijden 2009].

L'entità e l'intensità di tali fenomeni è massima nei primi tre mesi di guarigione, dove si perde il 30% del volume osseo, come dimostrato da un gran numero di studi su modello animale [ Almer 1969, Schropp 2003, Araújo 2005].

La guarigione ossea avviene a livello microscopico con una serie di fenomeni cellulari, che portano in ultima analisi alla sostituzione del coagulo formatosi entro 24h dall'estrazione, con osso lamellare e midollo osseo; tra queste due situazioni si interpongono una serie di stati intermedi, altamente dinamici e caratterizzata dalla compartecipazione di numerosi tipi di cellule e tessuti.

Subito dopo l'estrazione dentaria abbiamo sanguinamento, formazione e stabilizzazione di un coagulo; entro una settimana dall'estrazione è possibile reperire un gran numero di osteoclasti all'interno ed all'esterno delle pareti ossee vestibolare e linguale/palatale dell'alveolo. Ciò indica che nella prima settimana le pareti alveolari vengono interessate da fenomeni di riassorbimento a carico dell'osso fibroso ( o bundle bone ), ovvero quella parte di osso alveolare che fa parte dei tessuti di sostegno del dente, e che andrà in atrofia a seguito della perdita dell'elemento stesso.

Entro due settimane dall'estrazione ritroviamo osso immaturo neoformato ( o osso a fibre intrecciate o woven bone ) nella parte apicale e laterale dell'alveolo; la parte centrale e

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marginale sono invece occupate da un tessuto connettivo provvisorio. In diverse parti dell'alveolo è possibile apprezzare la sostituzione di osso a fibre intrecciate al posto dell'osso fibroso precedentemente presente.

Entro quattro settimane dall'estrazione l'intero alveolo risulta occupato da osso a fibre intrecciate, le cui trabecole sono tappezzate di osteclasti, così come le pareti alveolari; è in atto un nuovo processo di riassorbimento che coinvolgerà l'osso a fibre intrecciate fino alla sua sostituzione con osso maturo.

Entro otto settimane dall'estrazione si verifica la corticalizzazione: un sottile ponte di osso corticale ricopre l'accesso al sito estrattivo; l'osso a fibre intrecciate è stato sostituito da midollo osso e trabecole di osso lamellare e vi sono segni di riassorbimento osseo ancora in atto esternamente ed apicalmente alle pareti ossee vestibolare e linguale/palatale.

Entro l'ottava settimana di guarigione la maggior parte del riassorbimento osseo è stato compiuto, e riscontriamo un'asimmetria nelle due pareti ossee alveolari: la cresta ha subito un maggior riassorbimento sul suo versante vestibolare, e quindi la parete vestibolare è localizzata più apicalmente della sua controparte linguale/palatale [ Cardaropoli 2003].

La ragione del gap formatosi fra le due pareti alveolari è da ricercarsi in primis nell'identità istologica del della parete ossea vestibolare, il cui spessore è determinato in gran parte da osso fibroso, il quale invece è presente in misura minore nella cresta linguale/palatale [ Cardaropoli 2005 , Araùjo 2009 ].

L'osso fibroso è un tessuto funzionalmente correlato alla presenza del dente, in quanto costituisce una parte fondamentale del suo apparato di sostegno, e scompare gradualmente dopo la perdita dello stesso. Secondariamente la parete ossea sul versante linguale/palatale è marcatamente più ampia di quella vestibolare e si ipotizza che quest'ultima possa subire maggiormente il fenomeno di riassorbimento superficiale a causa dell'interruzione vascolare periostea, conseguente al sollevamento del lembo chirurgico a pieno spessore [Araùjo 2005, Fickl 2008].

La sfida cruciale che i clinici si trovano ad affrontare a seguito di un'estrazione dentaria è rappresentata dalla scelta della modalità di gestione della cresta postestrattiva, in previsione di una futura riabilitazione implantoprotesica o protesica rimovibile; infatti, se l'alveolo post-estrattivo non viene trattato in modo adeguato, aumenta il rischio di avere una contrazione dimensionale della cresta, ovvero un tangibile ostacolo al risultato estetico e funzionale del caso finalizzato.

Sono stati studiati diversi approcci per preservare o implementare la dimensione ed il profilo della cresta alveolare dopo estrazione dentaria, tra cui l'uso di vari innesti o materiali da

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riempimento come autoinnesti, alloinnesti, xenoinnesti e/o membrane.

I più recenti studi, sugli animali come sull'uomo, hanno mostrato che la sostituzione di xenoinnesti in tasche postestrattive fresche promuoveva la formazione di tessuto osseo de novo, in particolare nella porzione marginale del sito estrattivo; venivano inoltre mantenute le dimensioni delle pareti di tessuto osseo ed il profilo della cresta risultava quindi essere preservato [Horowitz 2012].

La conclusione a proposito delle procedure di “ ridge preservation” o “ socket preservation” è che esse possono aiutare nel ridurre le modificazioni dimensionali successive ma non prevengono completamente il riassorbimento osseo, quindi dovremmo aspettarci sempre una perdita in altezza ed in larghezza a livello crestale; tuttavia, in comparazione ad alveoli naturalmente guariti, l’innesto di biomateriali eterologhi contribuisce alla configurazione di un miglior sito per il posizionamento implantare e minimizza la necessità di una procedura di rigenerazione guidata dell'osso (GBR) con simultaneo inserimento implantare [Barone 2008, 2012 , Morjaria 2012, Thalmair 2013].

Per quanto riguarda la performance di differenti materiali da innesto, invece, non ci sono ancora evidenze in letteratura che ci suggeriscano la predominanza di un materiale rispetto ad un altro [Chiapasco 2009, Horowitz 2012, Vignoletti 2012].

Le valutazioni istologiche e istomorfometriche su uno dei materiali maggiormente utilizzato nelle procedure di innesto, ovvero l'osso bovino deproteinizzato (DBB), mostrano una modificazione della fase precoce di formazione del tessuto duro negli alveoli; la limitazione del riassorbimento osseo, che si traduce clinicamente con la preservazione delle dimensioni crestali, sembra essere ascrivibile a questo particolare pattern di guarigione modificata. [Araùjo 2010, Nahles 2013]

Gli Autori suggeriscono che la guarigione modificata sia da attribuirsi alla presenza di cellule multinucleate che accorrono nel sito, approdando all'innesto xenogenico; entrando nel particolare, i siti trattati con innesti xenogenici presentano una sostanziale quantità di osso neoformato solamente nella parte apicale della tasca, laddove il materiale da innesto risulta invece assente, mentre nelle rimanenti porzioni delle tasche, è possibile osservare una matrice connettivale provvisoria, che circonda la maggior parte delle particelle di osso bovino, la cui superficie risulta ferquentemente, ma non sempre, rivestita da cellule multinucleate.

Infine il pattern di guarigione biologica è prettamente correlato al tipo di biomateriale utilizzato per l'innesto, se non riassorbibile oppure lentamente riassorbibile.

Il riassorbimento e la completa sostituzione con nuovo osso è l'outcome ideale per un materiale da innesto, questo perché la persistenza di un residuo dell'innesto potrebbe

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disturbare il processo di osteointegrazione implantare; non è inoltre da escludersi un'eventuale reazione infiammatoria da corpo estraneo da parte dell'ospite. La velocità di riassorbimento di un materiale da innesto varia notevolmente; alcuni materiali si riassorbono rapidamente, il che può andare a discapito della loro stabilità dimensionale, quindi della loro utilità, soprattutto se i siti trattati si trovano in zone estetiche. Questa minaccia ha portato la ricerca a sviluppare sostituti ossei più stabili, perciò minormente riassorbibili. Considerando l'osso autologo il materiale standard per l'innesto, un sostituto osseo dovrebbe avere persumibilmente simili proprietà: come già detto l'idrossiapatite di origine bovina è uno dei materiali da innesto maggiormente studiato [Hallman 2008]; esso mostra capacità osteoconduttive e viene incorporato nel tessuto osseo dell'ospite in maniera similare agli innesti di osso autologo. Ciononostante, sembra non essere particolarmente coinvolto dalle cellule osteoclastiche e dal processo di rimodellamento osseo, quindi, può permanere nel tessuto per l'intera vita del paziente senza essere riassorbito e sostituito da tessuto osseo [Hallman 1998, Pagliani 2010].

Una possibile spiegazione di questo fenomeno è la perdita della componente collagenica a cui l'idrossiapatite bovina va incontro a causa dei processi di deproteinizzazione che servono ad abbattere la carica antigenica del materiale.

Il meccanismo del riassorbimento infatti, pur non essendo ancora totalmente noto, è probabilmente collegato alla presenza di collagene, che induce l'adesione delle cellule osteoclastiche sulla superficie ossea in corso di riassorbimento [Wang 1010].

Un recente studio sul coniglio vaglia il riassorbimento di particelle di osso suino collagenato, riportando la presenza di ottime proprietà osteoconduttive e rapido riassorbimento [Nannmark 2008]. Il riassorbimento di osso suino collagenato è stato anche descritto in uno studio

istologico di Barone (2012), in cui si indicava una maggior formazione di osso de novo ed una riduzione della percentuale di materiale non riassorbito a 6 mesi dall'innesto.

Gli autori suggeriscono che la presenza di collagene induca l'adesione degli osteoclasti alla superficie delle particelle di biomateriale.

Altri autori hanno studiato il comportamento biologico dell'osso suino non collagenato come materiale da innesto, e non hanno trovato segni di riassorbimento [Orsini 2006, Scarano 2009], questo supporta l'idea che la presenza di collagene induca un riassorbimento del materiale da parte di osteoclasti.

Fatte queste premesse, questo studio prospettico, randomizzato ( randomized-controlled ) multicentrico, si propone di confrontare il pattern di guarigione dimensionale, la qualità dell'osso formatosi de novo e il successo implantare in siti con estrazioni multiple in relazione a due differenti tipi di xenoinnesti: uno a lento riassorbimento (Apatos by Tecnoss-Ostebiol)

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