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MARX II: il Capitale e la rivoluzione

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(1)

KARL MARX

Il Capitale e la rivoluzione

(2)

Il Capitale (1867-1885

postumo-1895-postumo)

Ne Il capitale, l’opera marxiana di maggior impegno, il

filosofo di Treviri tenta di dare una fondazione

complessiva

alle

sue

riflessioni

precedenti,

analizzando a fondo e con dovizia di particolari

economici lo sviluppo del sistema sociale e politico

capitalista.

Ciò avviene sulla base di uno sguardo “anatomico” che

lo disseziona minuziosamente per indagarne i

principi che, interagendo, regolano la sua esistenza.

(3)

La merce

Il Capitale inizia con l’analisi della merce.

Essa ha un duplice valore

VALORE D’ USO: riguarda la qualità della merce e la sua capacità di soddisfare un bisogno.

VALORE DI SCAMBIO: data la possibilità di scambiare merci differenti (ad esempio 20 chili di caffè con venti metri di tela), riguarda quel minimo comun denominatore che permette di raffrontarle e valutare l’equità di uno scambio (ciò che mi permette di dire che 20 chili di caffè sono scambiabili con 20 metri di tela). Tale minimo comun denominatore corrisponde alla “quantità di

(4)

La merce-forza lavoro

Anche la forza lavoro umana è una merce, cioè viene

pagata e cambiata sul mercato:

il proprietario della forza lavoro, l’operaio, la vende in

cambio di un salario al proprietario del capitale, cioè

dei mezzi di produzione. Quest’ultimo la paga in

modo corrispondente alla quantità di lavoro

socialmente necessario per produrla. Cioè: per

produrre la forza lavoro dell’operaio è necessario

fornirgli un valore corrispondente alle cose

necessarie perché egli mantenga se stesso e la sua

famiglia.

(5)

IL LAVORO PRODUCE VALORE

A differenza delle altre merci, però, il lavoro produce

valore.

Il capitalista compra la forza lavoro dell’operaio e lo

costringe a lavorare 12 ore. Ma in 6 ore il lavoratore

paga il suo mantenimento (che corrisponde al

salario percepito).

Nelle 6 restanti egli lavora a vantaggio del capitalista

che non lo paga. Questo lavoro non pagato produce

un valore che Marx chiama PLUSVALORE.

(6)

Plusvalore

Il capitalista, dopo aver pagato l’operaio (capitale variabile) e

dopo aver pagato i mezzi di produzione (capitale

costante), riserva per sé il resto. La differenza tra il

valore prodotto dall’operaio nelle ore di lavoro non

pagato e il capitale investito nei salari e nei mezzi di

produzione è il profitto del capitalista secondo il

seguente processo

Denaro 1 (capit. var. + capit. cost.) – M (merce cioè forza

lavoro) – Denaro 2 (plusvalore) dove Denaro 2 è

maggiore di Denaro 1…da leggersi così:

Il denaro investito nel pagamento degli operai e dei mezzi di

produzione consente l’utilizzo di una merce, la forza

lavoro degli operai, che produce una quantità di beni

corrispondenti ad una quantità di denaro superiore a

quella investita.

(7)

Plusvalore relativo e assoluto

Come si aumenta il plusvalore?

1) Prolungando la giornata di lavoro (plusvalore

assoluto).

2) Migliorando la produttività attraverso una

migliore organizzazione del lavoro, grazie alla sua

divisione e all’impiego di macchine al fine di

consentire che ciò che prima il singolo operaio

produceva in un ora, adesso lo possa produrre in

mezz’ora (plusvalore relativo).

Tra gli effetti del miglioramento dell’organizzazione

del lavoro vi è anche l’economia delle spese.

(8)

Che cosa ci guadagna il capitalista?

L’aumento del plusvalore relativo è dato dall’aumento della produttività, per cui un dato bene viene prodotto in meno tempo. Si produce un numero maggiore di beni nella stessa giornata di lavoro. Per esempio se la giornata è lunga 1O ore, e prima si producevano 100 pezzi di una data merce (ricavando 100 dalla sua vendita), ora nella stessa giornata se ne producono 200 (ricavando il doppio). Ma sappiamo che la giornata di lavoro è divisa in due: il tempo in cui l’operaio lavora per sostentarsi e sopravvivere e il tempo di pluslavoro che egli è costretto a dare al capitalista. Ora se prima l’operaio impiegava 5 ore per ripagare il suo sostentamento (che ha valore 50) ora ne impiega 2,5. Ciò vuol dire che, rimanendo la giornata invariata, il pluslavoro aumenta a 7.5 ore…e così aumenta il plusvalore (150 invece che 50).

(9)

E il prezzo della merce?

Ma avevamo detto che il valore di una merce corrisponde alla

quantità di lavoro socialmente necessario per produrla. Quindi

se l’operaio lavorasse meno tempo, la suddetta quantità

dovrebbe diminuire e dunque dovrebbe diminuire anche il suo

prezzo. Il capitalista che adesso produce 200 pezzi dovrebbe

pertanto venderli alla metà del loro prezzo originario vanificando

ogni guadagno (infatti tornerebbe a guadagnare 100 e per

ripagare l’operaio dovrebbe tornare a farlo lavorare 5 ore)?

(10)

Quantità SOCIALMENTE necessaria

Il valore di scambio di una merce è data dalla quantità di lavoro

socialmente necessaria per produrla, ma questo socialmente

non riguarda il singolo produttore, ma la media di tutti i

produttori delle merci di uno stesso tipo. Di conseguenza,

mentre il valore sociale della merce rimarrebbe pressoché

invariato, il capitalista, unico tra i suoi concorrenti, ne

produrrebbe il doppio. Ergo, più o meno il capitalista

produrrebbe un valore 200 nello stesso tempo di prima,

consentendo all’operaio di ripagare il valore 50 del suo

sostentamento in 2,5 ore e aumentando il plusvalore da 50 a

150.

(11)

Schema 1

Il valore una merce

il lavoro

di

è dato da socialmente necessario per produrla nel capitalismo è utilizzo di forza lavoro è retribuita con il salario Che produce più valore del suo costo

cioè plusvalore

che è la fonte del

profitto

(12)

Schema 2

Il plusvalore si aumenta

migliorando l’organizzazione del lavoro, cosa che riduce il lavoro necessario a produrre un oggetto

aumentando le ore di lavoro

Plusavalore assoluto

Ciò si può ottenere promuovendo la

cooperazione

Che comporta

l’economia delle spese

per i mezzi di sussistenza e l’aumento della forza lavoro

consolidando la divisione del lavoro

investendo nei macchinari che parimenti potenziano la forza lavoro

(13)

Saggio di plusvalore

Il plusvalore è il lavoro dell’operaio che il capitalista non paga.

Il profitto è il guadagno del capitalista al netto degli investimenti che egli deve compiere per

migliorare la produzione, investimenti che vanno ad aumentare il capitale costante. Dunque

il saggio di plusvalore, cioè la percentuale di lavoro non pagato che permette al capitalista

di ricavare più denaro di quello che ha investito nella merce-forza lavoro, sarà data dal rapporto tra il plusvalore stesso e il lavoro pagato (capitale variabile).

Saggio di plusvalore = Plusvalore capitale variabile

Se in un’unità produttiva si ha un saggio di plusvalore mensile 10 vuol dire che il lavoro pagato al mese è per esempio di 1.000 euro (questi soldi vanno in tasca all’operaio) mentre il lavoro non pagato che il capitalista incamera è 10.000 (ergo 10.000: 1000 = 10; 1000 + 10.000=11.000 è invece il valore complessivo dei beni prodotti dall’operaio in un mese di lavoro); invece se, più onestamente, il saggio di plusvalore fosse 0,5 significherebbe che 1000 euro è il valore del lavoro pagato, e 500 è il valore del lavoro incamerato (500:1000=0,5 che, moltiplicato per cento, è il 50% perché il plusvalore 500 è il 50% del capitale variabile 1000).

(14)

Il saggio di profitto (1)

Il saggio di profitto, cioè la percentuale del guadagno effettivo,

rispetto alle spese complessive del capitalista, sarà dato dal rapporto tra il plusvalore e il capitale costante sommato al capitale variabile.

saggio di profitto = plusvalore

capit. costante + capitale variabile

Ciò significa che, rimanendo nel primo esempio, nei 10.000 euro di plusvalore sono compresi anche i soldi che è necessario investire nelle macchine, nelle infrastrutture e nella loro nella manutenzione ordinaria e straordinaria. Quindi supponiamo altri 1000 euro mensili. Pertanto se il saggio di plusvalore era 10, quello di profitto è sempre inferiore [10.000: (1000 + 1000)] = 5 (x 100= 500%).

(15)

La concorrenza e i suoi effetti

Siccome il capitalista deve affrontare la concorrenza, e non può far lavorare il lavoratore oltre un dato numero di ore (perché oltre un certo livello diviene improduttivo), dovrà aumentare il plusvalore relativo, investendo in macchinari per aumentare la produttività. Ma proprio a causa della concorrenza la media del valore di scambio della merce diminuirà e il prezzo degli investimenti supererà presto il livello di aumento della produttività rispetto al concorrente, facendo inevitabilmente calare il saggio di profitto. Ciò che io produco, se gli altri lo producono nello stesso tempo diminuirà complessivamente di prezzo, mentre a me rimarranno sul gobbo le spese per il miglioramento della produzione. Infatti se voglio guadagnarci devo essere io l’unico a produrre una data quantità di pezzi in un tempo convenientemente breve. Se tutti lo fanno viene meno il gap tra la quantità di lavoro che io immetto nella merce e quella che immette la media dei produttori e quindi il mio vantaggio.

Profitto = plusvalore

capitale cost. + capitale variabile

Se aumenta il capitale costante, rimanendo tendenzialmente invariato, o aumentando in misura minore, il plusvalore diminuirà la percentuale complessiva di profitto.

(16)

Esempio (prima parte)

Per esempio, ricordando la formula:

Saggio di profitto = plusvalore

capitale costante + capitale variabile,

dato un plusvalore 1000, un capitale costante 100 e un capitale variabile 100, il saggio di profitto è 1000: (100+100) = 5 (x 100=500% perché il pv – 1000 -

è il 500% della somma di cv e cc - 200),

se si intende aumentare il plusvalore relativo, bisogna aumentare la produttività, migliorando i macchinari con un investimento di 100 e ottenendo all’inizio un aumento di plusvalore di 750 perché le macchine moltiplicano la forza lavoro dell’operaio rispetto alla media. Quindi all’inizio si avrà un

aumento del saggio di profitto: (1000+750): (200+100) = 5,8 (x 100 =580%

(17)

Esempio (II parte)

Ciò consentirebbe al capitalista di guadagnare complessivamente una cifra maggiore dalla vendita del prodotto battendo la concorrenza.

Ma, per effetto della concorrenza stessa, che adeguerà i mezzi di produzione, il prezzo della merce (dato dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrla) diminuirà, annullando l’aumento di plusvalore. Si renderanno necessari successivi investimenti che produrranno però un aumento sempre inferiore di plusvalore, perché le innovazioni e i miglioramenti organizzativi consentono di guadagnare sempre meno rispetto al costo della ricerca e degli investimenti per arrivare ad approntarli.

Dunque il saggio di profitto è destinato a diminuire.

Per esempio se il successivo investimento di 100 produce un aumento di plusvalore di 300, si avrà (1000+ 300): (300+100) = 3.25;

poi, dopo l’ennesimo adeguamento della concorrenza che annulla l’aumento di plusvalore ottenuto

un ulteriore investimento di 100 che produrrà 200 di plusvalore darà il seguente saggio di profitto (1000+200): (400+100) = 2,4 e così via.

(18)

Cannibalismo capitalista

La diminuzione tendenziale del saggio di profitto, renderà più spietata la concorrenza e farà rimanere in gara solo i capitalisti più grandi e forti che tenderanno a costituire monopoli, cannibalizzando i più deboli. La morte di numerose imprese e la razionalizzazione della produzione per mezzo di sempre più diffusi e potenti macchinari porteranno ad un

aumento della disoccupazione, che aumenterà la miseria dell’

“esercito di lavoro di riserva” (il proletariato disoccupato). Nel contempo il proletariato occupato, sottoposto a sfruttamento sempre più rigido, generale, universale, si compatterà sempre più, acquisendo coscienza di se stesso proprio grazie alle comuni condizioni di vita e sofferenza. Questo processo giungerà fino al punto in cui la forza

d’urto di questo proletariato spezzerà il sempre più debole involucro

capitalista.

(19)

Il comunismo

In base al processo prima descritto il capitalismo genera

dentro se stesso la propria negazione e produce dal

cuore delle sue contraddizioni la società comunista

senza classi,

senza divisione del lavoro,

senza proprietà privata e

(20)

Senza classi

Il proletariato dominante eliminerà le contrapposizioni di classe. Infatti esso, essendo l’unico gruppo sociale senza averi, è pure l’unico gruppo

senza interessi. Per questo, una volta giunto al potere, sarà in grado di

eliminare la conflittualità di classe stessa fondata sulla contrapposizione degli interessi:

«All’interno della dinamica della lotta di classe il proletariato, se da un lato è inserito in modo subalterno nei rapporti classisti della società borghese, dall’altro, configurandosi come classe senza interessi classisti da difendere, diviene portatore di un universalismo di parte potenzialmente in grado di risolvere l’ambivalenza dei rapporti classisti stessi» (A. Ciniero, recensione a Luca Basso, Socialità e isolamento: la

singolarità in Marx, Carocci, Roma, 2008 in www.dialetticaefilosofia.it

).

[con «universalismo di parte» si intende la capacità di una «parte» cioè di un gruppo sociale – il proletariato - di pensare per il tutto, cioè di tener conto di una giustizia generale che coinvolga non solo la sua parte, ma tutta la società)

(21)

Senza divisione del lavoro

La fine della contrapposizione di classe è il risultato

del venir meno dell’ingiustizia legata alla divisione

del lavoro e alla sua conseguente gerarchizzazione

(soprattutto la divisione macroscopica tra lavoro

manuale e intellettuale).

Quindi, non essendovi più qualcuno che pretende di

guidare il lavoro altrui, espropriandone i prodotti, è

tolto nel contesto di una totale autogestione

operaia della produzione, ogni fondamento

all’emergere di un gruppo privilegiato che opprime

gli altri lavoratori.

(22)

Senza proprietà privata

La proprietà privata dei mezzi di produzione

(non quella di beni individuali di consumo)

coincide con la possibilità da parte del

proprietario di sfruttare i lavoratori. Se invece

essa viene socializzata, si consentirà ai lavoratori

di riappropriarsi del loro lavoro, evitando che

uno solo possa ricattarli e offrire loro la

possibilità di lavorare al prezzo della sottrazione

di una parte del frutto del lavoro stesso.

(23)

Senza Stato

L’estinzione dello Stato coincide con l’estinzione di un’autorità che, esterna al processo di umanizzazione del mondo svolto attraverso il lavoro, ne decida le condizioni a vantaggio di un gruppo sociale e a svantaggio di un altro. Lo Stato ha sempre rappresentato il modo in cui la classe dominante organizza, esprimendo il suo potere coercitivo, la società e stabilisce leggi che non sono altro che la forma universale che ha assunto al difesa dei propri privilegi e interessi di classe. Laddove il proletariato riorganizza la società in modo universalistico, cioè eliminando l’espropriazione del lavoro affinché tutti i soggetti coinvolti possano pienamente godere dei suoi frutti, non è più necessaria una grande sovrastruttura che presieda autoritativamente al funzionamento della società e al mantenimento coattivo di una situazione che, invisa alla maggior parte delle persone, solo i dominanti possono accettare.

(24)

La fase intermedia: la dittatura del proletariato

In un primo momento vi sarà però la semplice espropriazione dei capitalisti e l’occupazione dello Stato da parte di una nuova classe dominante il proletariato. Ma il proletariato ha come unico interesse l’eliminazione alla radice delle condizioni di sfruttamento, quindi non potrà dar vita ad uno Stato quale

comitato d’affari della classe dominante. Lo Stato, man mano

che il processo di eliminazione della proprietà privata andrà avanti, tenderà progressivamente a venir meno, realizzando quel salto nella libertà in cui “alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra classi subentra un’associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”.

(25)

Elementi critici 1

Tra i meriti di Marx va annoverata la scoperta e

valorizzazione dell’elemento economico nello sviluppo

storico delle civiltà.

Tuttavia

Marx lo ha assolutizzato dicendo che l’ordine dei fatti

economici coincide con l’ordine dei fatti storici

Questa è una dottrina metafisica che è stata smentita da

tutte quelle ricerche che hanno individuato l’importanza

della sovrastruttura culturale anche nella determinazione

dei fatti economici (cfr. M. Weber, L’etica protestante e lo

(26)

Elementi critici 2

La dialettica come legge universale dello

sviluppo storico appare più metafisica che

scientifica, giacché non teme smentite dai

fatti. Infatti tutto ciò che potrebbe smentirla

viene concepito come una contraddizione che

in realtà conferma la veridicità del processo

dialettico.

(27)

Elementi critici 3

Non si può considerare la religione l’oppio

dei popoli poiché è un assunto non

dimostrato che essa distolga gli occhi

degli uomini da questa terra. In realtà,

alcuni marxisti hanno dimostrato che

essa

può

avere

ed

ha

avuto

effettivamente un carattere liberante.

(28)

Elementi critici 4

• L’estetica e l’arte nella sua dimensione storica,

secondo Marx dovrebbero rappresentare la

sovrastruttura di strutture ormai tramontate.

Tuttavia le opere prodotte nei periodi antichi

continuano a parlarci e ad interessarci,

malgrado i rapporti di produzione siano

profondamente mutati. Ciò non è spiegabile

attraverso lo schema del materialismo storico.

(29)

Elementi critici 5

• Le previsioni su come doveva svilupparsi sia il regime capitalistico, sia quello del socialismo, una volta realizzata la rivoluzione, non si sono avverate. Il capitalismo monopolistico non ha distrutto se stesso ma si è ulteriormente sviluppato cercando di affrontare sul piano legislativo i suoi problemi. Il mercato si è dimostrato lo strumento più efficiente per produrre ricchezza, cosa che è condizione necessaria alla sua redistribuzione. La classe operaia ha progressivamente goduto di tale redistribuzione non contro il sistema, ma dentro il sistema (Bernstein). Una filosofia che voleva essere prassi e dimostrare la sua verità nella prassi, è stata dalla prassi storica smentita quando si è mostrata l’impossibilità del passaggio dalla dittatura del proletariato alla società senza classi e il socialismo reale non è riuscito ad andare oltre all’organizzazione di un capitalismo di Stato, burocratico, accentratore ed oppressore, che ha fallito nella sua missione storica di emancipare il lavoro.

(30)

Elementi critici 6

• La teoria economica marxista ha concepito il

valore di una merce in base al suo costo (in

termini di lavoro impiegato per produrla),

mentre l’andamento dei prezzi, cioè il valore di

scambio, si è dimostrato dipendente non dal

costo ma dalla minore o maggiore rarità del

prodotto rispetto alla sua domanda. E ciò

nasce dalla capacità della merce di soddisfare

bisogni culturalmente plasmati.

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