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Logica, metafisica e teologia. La ricezione del Parmenide nel medioplatonismo

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ  DEGLI  STUDI  DI  SALERNO  

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

DOTTORATO IN RICERCHE E STUDI SULL’ANTICHITÀ, IL

MEDIOEVO E L’UMANESIMO DI SALERNO (RAMUS)

CURRICULUM 2: FILOSOFIA

DELL’ETÀ ANTICA, TARDO-ANTICA, MEDIEVALE E

UMANISTICA

(FITMU)

XXIX Ciclo

Coordinatore: Chiar.mo Prof. Giulio d’Onofrio

Titolo Tesi di Dottorato:

“Logica, metafisica e teologia.

La ricezione del Parmenide nel medioplatonismo”

Tesi di dottorato di:

Chiara Bonuglia

Tutor:

Chiar.mo Prof. F. Ferrari

Tutor:

Chiar.mo Prof. Ch. Helmig

Co-tutor:

Chiar.mo Prof. F. Fronterotta

ANNO  ACCADEMICO  2016/2017  

 

(2)
(3)

Logica, Metafisica e Teologia.

La ricezione del Parmenide nel Medioplatonismo

Indice

Introduzione 1

I – L’interpretazione Logica del Parmenide 32

§ 1.1 Il Parmenide, confutazione o esercizio logico? 33

§ 1.2 Alcinoo 38

§ 1.3 Lucio e Nicostrato 53

§ 1.4 Calveno Tauro e l’esegesi di Parm. 152d-153b 66 II – L’interpretazione ‘Metafisica’ del Parmenide 72

§ 2.1 L’Accademia antica 72

§ 2.1.1 Speusippo 79

§ 2.1.2 Senocrate 97

§ 2.2 Eudoro d’Alessandria e la rinascita del pitagorismo 103 § 2.3 L’esegesi matematizzante del platonismo.

Nicomaco di Gerasa e Teone di Smirne 127

§ 2. 3.1 Nicomaco di Gerasa 128

§ 2. 3.2 Teone di Smirne 148

§ 2. 4 Moderato di Gades 158

III – L’interpretazione Teologica del Parmenide 180

§ 3.1 Numenio di Apamea 180

§ 3.2 Alcinoo 201

§ 3.3 L’ Anonimo Commentario al Parmenide 213

Conclusioni 241

(4)

Premessa

Questo studio è il frutto di una ricerca sul Parmenide di Platone e si concentra sulla sua ricezione nell’epoca medioplatonica. Tale ricerca prosegue i miei passati studi su Platone, un autore a me particolarmente caro, al quale ho dedicato molto tempo e la cui lettura ha caratterizzato i miei scorsi anni. Negli ultimi tre, in particolare, ho avuto l’opportunità di approfondire il ‘medioplatonismo’, un periodo della storia della filosofia antica di cui conoscevo poco, e che è giunto ad appassionarmi. Ringrazio il Prof. Franco Ferrari, che ha sicuramente acceso in me l’interesse per questi studi, nei confronti del quale nutro una grande stima e anche un grande affetto. A Lui esprimo un ringraziamento speciale. Desidero manifestare la mia sincera gratitudine nei confronti del Prof. Francesco Fronterotta. Le Sue lezioni, ormai molti anni fa, furono illuminanti; oggi, la Sua competenza, la Sua disponibilità e serietà, continuano ad essere per me motivo di grande crescita. Entrambi hanno supervisionato e guidato la mia ricerca ed esprimo Loro la mia riconoscenza.

Ringrazio molto il Prof. Christoph Helmig che ha accolto con entusiasmo la mia co-tutela all’università di Köln, aiutandomi e supportandomi. Ringrazio anche il Prof. Michele Abbate, che spesso mi ha aiutata nel corso della ricerca, offrendomi sempre validi consigli, aiuti e un costante appoggio.

Ancora, desidero ringraziare il Prof. Giulio d’Onofrio, per il Dottorato FiTmu, per la presenza, la costanza, la guida. Ringrazio poi il Prof. Armando Bisogno e il Dr. Renato de Filippis per il Loro costante affiancamento nelle attività del dottorato.

Per i consigli, le osservazioni e la disponibilità dimostratami, sento di dover ringraziare il Prof. Riccardo Chiaradonna, la Prof. Angela Longo, e ancora, il Dr. Federico Maria Petrucci, e la Prof. Angela Ulacco. Ognuno di Loro, per motivi diversi, mi ha aiutata e a ciascuno vorrei esprimere la mia gratitudine. In particolare, vorrei dichiarare il mio debito nei confronti delle ricerche e degli studi condotti da Riccardo Chiaradonna e da Federico M. Petrucci, di cui mi sono avvalsa ampiamente per la scrittura della presente tesi di Dottorato.

La mia riconoscenza va alla signora Serafina Figliuzzi, ex docente di lingua greca e latina, che in anziana età ha avuto la grande pazienza di insegnarmi il greco antico. Il suo amore per il sapere e la sua disposizione a condividerlo mi hanno arricchito moltissimo.

Ringrazio per la loro umanità e generosità, Anna Pavani e Ogul Öncel, entrambi mi hanno aiutata offrendomi amicizia e sostegno a Köln, rivelandosi ora due amici.

Agli amici numerosi e preziosi, esprimo la mia graditudine. La loro vicinanza è stata per me fondamentale.

Grazie a Jacopo, il cui ampio sorriso mi ha sempre rassicurata donandomi anche nelle giornate più dure la leggerezza necessaria con cui ingannare le difficoltà. La sua costante presenza è stata per me preziosa e insostituibile. Per il sostegno, grazie a Stefano Ricciutelli, a Natale Mirti, a Francesca Condò, a zio Giancarlo. Grazie ai colleghi del Dottorato, in particolare a Federica d’Ercole e a Daniele

(5)

Granata, ora fidati amici.

Desidero riservare un pensiero ai miei genitori, per il loro supporto e per il loro impegno. Senza la forza e l’ottimismo di mia madre e senza la curiosità intellettuale di mio padre, le cui domande mi hanno da sempre accompagnata e stimolata, non sarei giunta a questo traguardo. Loro due mi hanno insegnato l’importanza dell’onestà, il valore del lavoro e il rispetto per gli altri e a loro devo un’immensa gratitudine.

Infine, un grazie speciale a mia sorella, Ilaria, sulla quale ho sempre potuto contare e che mi ha aiutata incondizionatamente. Più di tutto desidero ringraziarla per ciò che è diventata, per essersi dimostrata una donna forte, risolutiva e coraggiosa. L’ammirazione che oggi nutro nei suoi confronti non fa che accrescere ulteriormente la stima che già provavo per lei.

Ringrazio tutti coloro che mi sono stati accanto e che direttamente e indirettamente hanno contribuito alla scrittura della mia tesi di Dottorato, delle cui lacune ed eventuali refusi la responsabilità è soltanto mia.

(6)

Non è possibile esprimere con adeguate parole il mio debito nei confronti di una persona a me tanto cara, assieme alla quale ho condiviso il meglio e il peggio dei miei anni e con la quale ho potuto sperimentare una reale empatia. A lei, la mia più grande amica, sono legata dal vincolo dell’amicizia, grazie al rapporto vero e duraturo che ho avuto l’opportunità e la fortuna di provare.

A lei un mio sentito grazie, per la sincerità, il sostegno, l’impegno. Per avermi spronata, per aver creduto in me, per lo spirito di condivisione, per l’ostinatezza, l’attenzione che mi ha dimostrato; a suggello dell’amicizia passata e per la fiducia che nutro in lei, le dedico questo scritto.

(7)

Introduzione.

Finalità della ricerca

Il presente studio ha il fine di stabilire il ruolo che il Parmenide di Platone ha avuto nella filosofia medioplatonica. La presente ricerca si prefigge dunque di rispondere a una domanda chiave: il Parmenide era integrato nelle letture e nelle esegesi dei medioplatonici? E, se sì, che ruolo rivestiva in esse? Tale quesito sarà affrontato prendendo in considerazione alcuni fra i più importanti autori medioplatonici ed esaminando, per ognuno, quegli aspetti del loro pensiero che verosimilmente mostrano una dipendenza dal Parmenide platonico. In via preliminare, va sottolineato che questo tema presenta difficoltà peculiari nella misura in cui in tutti i testi medioplatonici che ci sono pervenuti, spesso in forma indiretta e frammentaria, la presenza del Parmenide appare piuttosto marginale e a stento dimostrabile. E tuttavia, come tenterò di mettere in luce, negli scritti di cui disponiamo sono comunque rintracciabili degli elementi che giustificano l’ipotesi di una ricezione specifica e in un certo senso rilevante del dialogo nel medioplatonismo.

Ogni autore verrà dapprima presentato in maniera generale, inquadrandone di volta in volta il contesto filosofico e le dottrine centrali. In seguito, verranno esaminati i passi più promettenti per la presente ricerca, al fine di mostrare particolari concezioni e teorie riconducibili a, o ricavabili da, quanto stabilito da Platone nel

Parmenide. Nella maggior parte dei casi le connessioni riscontrate fra il Parmenide e

l’autore affrontato consistono in similitudini terminologiche, affinità contenutistiche, e riproposizioni di tematiche presenti nel Parmenide. In ogni caso, la chiusura di ogni sezione (ognuna corrispondente all’esame di un autore, o di uno o più specifici nuclei dottrinali), presenterà delle brevi conclusioni generali, nelle quali saranno espressi dei giudizi relativi all’eventuale presenza e al ruolo del Parmenide.

La divisione in capitoli della presente ricerca, strutturata in interpretazioni ‘logiche’, ‘metafisiche’ e ‘teologiche’1

, è ricalcata dal commentario al Parmenide di                                                                                                                

1    

Nonostante queste categorie rappresentino dei ‘contenitori tematici’, esse non vanno prese rigidamente, poiché costituiscono perlopiù un criterio organizzativo atto a disporre l’argomento in maniera più ordinata.  

(8)

Proclo. In quest’opera (631.11-641.14) 2, Proclo distingue in maniera piuttosto netta questi tre filoni interpretativi ricavandoli dalla tradizione precedente, e fornisce in questo modo una prova dell’effettiva esistenza di una relativamente ampia tradizione esegetica del Parmenide3. Tuttavia, Proclo non accosta nessun nome alle linee interpretative da lui individuate, dunque non è affatto semplice capire a chi egli alludesse. La scansione procliana, ad ogni modo, lascia spazio per ammettere che egli non si riferisse solamente ai suoi più vicini predecessori neoplatonici, ma autorizza ad ipotizzare anche l’esistenza di interpretazioni del Parmenide pre-plotiniane. Ciò che è stabilito da Proclo rappresenta una buona — ma non l’unica — motivazione per esaminare in maniera più approfondita e puntuale l’eventualità di una ricezione medioplatonica del Parmenide.

Su questa base, il fine della presente indagine non è solo dimostrare che il

Parmenide fosse letto durante il medioplatonismo, vagliando di volta in volta in modo

rigoroso le basi per questa ipotesi, ma anche e soprattutto cogliere le ripercussioni che la sua validazione ha nella considerazione che abbiamo dei medioplatonici. Ciò implica che talvolta l’analisi, a partire dall’ipotetica presenza del Parmenide in alcuni autori, giungerà a negarne l’effettiva veridicità. Il lettore di queste pagine vi troverà, quindi, perfino dei giudizi critici nei confronti di alcuni studi che hanno accreditato l’ipotesi che il Parmenide sia stato rilevante nel medioplatonismo. Ad esempio, nella sezione dedicata all’Anonimo Commentario al Parmenide si giungerà a respingere la tesi di G. Bechtle, il quale propose una datazione medioplatonica dello scritto4

. D’altro canto, emergeranno numerosi e interessanti testimonianze a conferma del fatto che il Parmenide fosse letto e usato in modo pregnante dagli autori medioplatonici. Tali conferme si dimostreranno decisive per stabilire che il Parmenide ha avuto delle ripercussioni non trascurabili sul pensiero medioplatonico.

Questa ricerca mira a stabilire che:                                                                                                                

2

C. Luna / A.-Ph. Segonds (éd.), Proclus. Commentaire sur le Parménide de Platon, t. I-V (8 voll.), Les Belles Lettres, Paris 2007-2013.

3

È bene notare sin da subito che Proclo non parla esplicitamente di ‘interpretazioni metafisiche’ del Parmenide. Egli, piuttosto, si esprime affermando che vi erano alcuni interpreti i quali vedevano nel Parmenide un’indagine sull’Essere (περὶ τοῦ ὄντος; Procl. In Parm. 635.33) e relativa ai ‘πράγματα’. La modalità di intendere questo tipo di interpretazioni come ‘metafisiche’ o ‘ontologiche’ corrisponde a una maniera moderna di riassumere l’atteggiamento esegetico di cui parlerebbe Proclo. Cfr. G.-R. Morrow / J.-M. Dillon (eds.), Proclus’ Commentary on Plato’s Parmenides, Princeton University Press, Princeton 1987, p. 32.

4

G. Bechtle, The Anonymous Commentary on Plato’s ‘Parmenides’, Verlag Paul Haupt, Bern-Stuttgart-Wein 1999.

(9)

1) Il Parmenide — in particolare la seconda parte del dialogo (Parm. 137b1-166c5) — ha costituito per molti medioplatonici una sorta di modello argomentativo per la trattazione dei rapporti fra unità e molteplicità e, in maniera analoga, per quelli fra principio primo e principiati. In questo senso, il Parmenide avrebbe fornito una struttura logico-argomentativa di riferimento, utilizzata come supporto al Timeo e, in parte, per la Repubblica, che restano di fatto i testi principalmente interpretati e utilizzati dagli autori medioplatonici (con un’evidente priorità per la prima opera). 2) Alcuni filosofi medioplatonici ricorsero all’esercizio dialettico del Parmenide, in particolar modo alla prima serie di deduzioni logiche (Parm. 137c4-142a8), rintracciandovi un modello di riferimento per la ‘teologia negativa’.

3) Più in generale, il presente studio contribuirà alla comprensione delle dinamiche legate alla diffusione del corpus platonico, gettando luce su aspetti decisivi dello sviluppo del medioplatonismo come la sistematizzazione del pensiero platonico, la generale tendenza alla ‘teologizzazione’ del paradigma eidetico e la formulazione di gerarchie ontologico-metafisiche.

Il Parmenide di Platone: alcuni cenni

Secondo l’ordine tetralogico tradizionalmente adottato dagli editori antichi e moderni5

, il Parmenide è il primo dialogo della terza tetralogia. Esso è conservato da tre testimoni primari principali: il Bodleianus Clarkianus 39 (codex B), che è il più importante fra quelli in nostro possesso in quanto contiene le prime sei tetralogie platoniche; il Venetus (codex T, Append. Class, IV, I, coll. 542); il Vidobonensis

Suppl. Gr. 7 (codex W) 6

. Diogene Laerzio riporta come sottotitolo del dialogo ‘Sulle                                                                                                                

5

Le opere di Platone sono state divise in nove gruppi di quattro da Trasillo, l’astrologo e grammatico vissuto alla corte di Tiberio. Non è del tutto certo che Trasillo fu il primo a curare la raccolta dei testi platonici, poiché vi sono alcune tracce che farebbero pensare a una divisione tetralogica o trilogica precedente all’epoca di Trasillo (Cfr. Mar. Ter. Varro, De ling. lat. VII 37; 88; Diog. Laert. Vit. Phil. III 56-62). Ad ogni modo, la divisione tetralogica è rimasta tradizionale ed è ancora impiegata, ad esempio, nell’edizione Oxoniense di Platone.

6

Tra i testimoni secondari vale la pena richiamare il Tubingensis M b 14 (codex C) e il Marcianus gr. 185 (codex D, coll. 576), talvolta portatori di lezioni di un certo interesse, benché probabilmente non antiche. Vi è poi un certo numero di papiri e alcune testimonianze relative al dettato del Parmenide ricavabili dalla tradizione indiretta. Cfr. F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Laterza, Bari 1998, pp. 6-8.

(10)

idee’ (Περὶ ἰδεῶν), il che fa evidentemente riferimento al contenuto dell’opera, mentre con la caratterizzazione come λογικός egli ne definì l’orientamento filosofico generale, identificandolo, appunto, come ‘logico’ assieme al Politico, al Cratilo e al

Sofista7

.

Gli studiosi sono generalmente concordi nel collocare la stesura del dialogo fra il 370 e il 365 a.C. determinando, in questo modo, che il Parmenide apparterrebbe alla fase matura della produzione letteraria di Platone. Probabilmente esso è stato scritto in seguito al Fedone, alla Repubblica e al Menone, e prima dei ‘dialoghi dialettici’, ossia il Sofista e il Politico.

Ad ogni modo, è difficile stabilire con certezza quale sia la data di composizione del dialogo, come, in generale, la stessa operazione risulta difficoltosa anche per molti degli altri dialoghi platonici. Inoltre, va tenuto presente che è probabile che Platone avesse l’abitudine di tornare a più riprese sui suoi dialoghi, revisionandoli e perfezionandoli; tutto ciò complica ulteriormente la questione della datazione degli scritti8

. Tuttavia, esistono dei criteri grazie ai quali possiamo stabilire delle collocazioni temporali indicative; ad esempio, il fatto che il Parmenide presupponga la cosiddetta versione standard della teoria delle idee platonica9

, ci permette di stabilire che il Parmenide debba appartenere a una fase piuttosto avanzata della produzione platonica.

Il Parmenide rappresenta senza dubbio uno fra i più enigmatici dialoghi di Platone. La complessità di questo testo ha fatto sì che molti filosofi, dall’antichità ad oggi, si siano cimentati nel proporre delle interpretazioni del dialogo volte a stabilirne l’argomento principale e a decifrarne i contenuti. Proprio l’opacità relativa al tema principale del Parmenide ha permesso che esso si prestasse ad essere interpretato in vari modi, a seconda degli orientamenti filosofici e degli interessi specifici degli

                                                                                                               

7

Cfr. Diog. Laer. Vit. phil. III 49. 8

Cfr. F. Ferrari (a cura di), Platone. Parmenide, Bur, Milano 2004, Introd. pp 18-20. Cfr. anche M. Vegetti, Solo Platone non c’era, in «Paradigmi», 62 (2003), pp. 261-277, particol. p. 263. Segnalo che nel corso della scrittura, relativamente al Parmenide, farò riferimento all’edizione di F. Ferrari appena indicata.

9

Con versione ‘standard’ intendo la dottrina delle idee platonica come presentata nel Fedone, nella Repubblica e nel Simposio, che presenta una caratterizzazione delle idee come fisse, immutabili, imperiture e del tutto trascendenti rispetto ai sensibili che ne partecipano e ne costituiscono le copie divenienti.

(11)

autori che se ne servirono10

.

In linea di massima, le diverse linee interpretative del dialogo possono essere ridotte a due filoni principali: quello ‘metafisico-positivo’ e quello ‘logico-critico’11.

Il primo tipo di esegesi vede la possibilità di rintracciare nel Parmenide una dottrina positiva di Platone. A questa modalità aderirono, ad esempio, i neoplatonici, che vedevano nel Parmenide una trattazione della teoria dell’uno superessenziale, i cui rapporti con ciò che da esso deriva sarebbero stati indagati soprattutto nelle serie deduttive che costituiscono la γυμνασία contenuta nel dialogo (coincidente con la ‘seconda parte’ del Parmenide12

). L’altro filone intepretativo intende l’esercizio dialettico come una reductio ad absurdum dell’eleatismo13

, portavoce del quale sarebbe il personaggio di Parmenide (assieme a Zenone), e la cui presenza è legata soprattutto alla maniera ‘fisicista’ di intendere i rapporti di partecipazione connessi alla teoria delle idee platonica. La seconda modalità di interpretare il Parmenide, nel suo versante più propriamente logico-analitico, legge la seconda parte del Parmenide come un esercizio finalizzato all’acquisizione di una strumentazione logico-linguistica legata alla sintassi e alla connesione fra i concetti14

.                                                                                                                

10

Per una breve rassegna sulla storia delle interpretazioni del Parmenide si veda, F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide…, op. cit., pp. 106-122.

11

Cfr. F. Ferrari, Platone. Parmenide, op. cit., Introd. pp. 11-18; cfr. anche Id., Unità e oggetto del Parmenide. Problemi e proposte, in M. Barbanti / F. Romano (a cura di), Il Parmenide di Platone e la sua tradizione. Atti del III Colloquio Internazionale del Centro di Ricerca sul Neoplatonismo, Cuecm, Catania 2002, pp. 85-107.

12

Con ‘seconda parte’ intendo la porzione del dialogo che si estende da 137b1 a 166c5, ossia tutta la serie di argomentazioni logiche che costituiscono l’esercizio dialettico del Parmenide. Un autore contemporaneo che aderisce all’interpretazione metafisico-ontologica è, ad esempio, J. Halfwassen, Der Aufstieg zum Einen. Untersuchungen zu Platon und Plotin. 2., erweiterte Auflage, Saur, München-Leipzig 20062 (Teubner, Stuttgart 19921), p. 265 e sgg.

13

Per questa modalità interpretativa, si veda soprattutto H.-F. Cherniss, Parmenides and the «Parmenides» of Plato, in «American Journal of Philology», 53 (1932), pp.122-138 (rist. in L. Tarán [ed.], Selected Papers, Brill, Leiden, pp. 281-297; G. Calogero, Studi sull’eleatismo, tipografia del Senato, Roma 1932, cap. V, il «Parmenide» platonico, pp. 269-311; Id., Plotino, Parmenide, e il «Parmenide», in Atti del Convegno internazionale sul tema: ‘Plotino e il neoplatonismo in Oriente e in Occidente’, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1974, pp, 49-59.

14

Il ‘padre’ di questa linea interpretativa fu G. Ryle, il quale inaugurò la modalità di leggere il Parmenide in chiave logico-analitica. Cfr. G. Ryle, Plato’s ‘Parmenides’, in «Mind», 48 (1939), pp. 129-151, particol. p. 145 (= R.-E. Allen [ed.], Studies in Plato’s Metaphysics, Routledge and Kegan Paul, London 1965, pp. 97-147). Degno di nota per gli studi ‘analitici’ del Parmenide è J. Akrill, il quale riconoscerebbe nel Parmenide la prima esibizione di un nuovo orientamento platonico, la cui filosofia nei dialoghi tardi avrebbe il compito di indagare le relazioni che sussistono fra i concetti attraverso lo studio del linguaggio. Questo compito si darebbe in contrapposizione alla modalità propria dei dialoghi platonici giovanili, nei quali Platone avrebbe avuto lo scopo di comprendere il mondo sensibile. Secondo Akrill, nei dialoghi maturi Platone avrebbe esibito una dottrina delle idee secondo la quale esse non sono più caratterizzate da un preciso statuto ontologico, essendo invece concepite come strumenti a priori per la definizione del significato delle parole e in grado di garantire la significatività del discorso. Cfr. J.-L. Akrill, ΣΥΜΠΛΟΚΗ ΕΙΔΩΝ, in «Bullettin og the Institute of

(12)

Il fatto che il Parmenide si presti ad essere interpretato in vari modi, sia dagli interpreti moderni, sia, come vedremo più avanti, da quelli antichi, dipende fondamentalmente dall’ambiguità insita nel dialogo stesso. Non solo, infatti, non viene esplicitato quale sia l’oggetto specifico che gli interlocutori del dialogo si propongono di indagare, ma il Parmenide stesso si presenta scisso in due parti, le quali sono tanto diverse l’una dall’altra da rendere difficoltoso il collegamento fra le due15. In effetti, nonostante si possa riconoscere una certa continuità nelle due parti

che costituiscono il Parmenide, il problema dell’unità del dialogo costituisce una delle difficoltà maggiori nell’interpretazione dell’opera platonica.

Il Parmenide prende avvio dalla proposta di Socrate di rileggere la prima ipotesi del primo argomento di Zenone16

. Quest’ultimo, a sua volta, intendeva difendere la tesi parmenidea dell’unità del tutto attraverso la confutazione dell’ipotesi ‘che i molti siano’ (127d6-128e4). Le contraddizioni mostrate da Zenone relativamente all’ammissione della molteplicità si scontrano con la tesi dell’esistenza delle realtà intelligibili, separate dal mondo empirico che Socrate vi appone. Socrate, dunque, ricorre alla formulazione della dottrina delle idee come obiezione alle assurdità che secondo Zenone deriverebbero dall’accettare la molteplicità del reale. Ogni cosa empirica, infatti, sarebbe secondo Socrate ‘una’ in virtù della partecipazione all’idea dell’unità, e ‘molteplice’ secondo la partecipazione all’idea di molteplicità, non determinando in questo modo che unità e molteplicità (in quanto contraddittori l’uno rispetto all’altro) coesistano nello stesso tempo e relativamente allo stesso sensibile, se non per partecipazione a dei diversi corrispettivi eidetici. In questo modo, secondo Socrate, la teoria delle idee platonica sarebbe in grado di sciogliere tutte le contraddizioni che Zenone connette alla molteplicità sensibile17

, l’ammissione della quale, secondo Zenone, avrebbe comportato un’infrazione del                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

Classical Studies», 2 (1955) (= R.-E. Allen, Studies in Plato’s Metaphysics, op. cit., pp. 199-206 e = G. Vlastos (ed.), Plato I: Metaphysics and Epistemology, Doubleday & Anchor, New York 1970, pp. 201-209). Le intuizioni di Akrill, furono in un certo senso estremizzate da G. Owen, per il quale si veda soprattutto, L. Owen, Platon on not-Being, in G. Vlastos, Plato I…op. cit., pp. 223-267 (= G.-E.-L. Owen [ed. by M. Nussbaum], Logic, Science and Dialectic, Collected Papers in Greek Philosophy, Cornell University Press, Ithaca-New York, pp. 104-137).  

15

G. Ryle ipotizzò che il Parmenide, così come lo conosciamo, rappresenterebbe, in realtà, l’unione di due scritti diversi; cfr. G. Ryle, Plato’s Progress, Cambridge University Press, Cambridge 1966 (tr. it. M. Stefanoni, in G. Cambiano, Per una lettura di Platone, Guerini e Associati, Milano 1991, pp. 220-226).

16

Sembrerebbe che Zenone avesse scritto un’opera costituita di quaranta argomenti atti a mostrare l’assurdità della tesi della molteplità dell’essere. Cfr. Procl. In Parm. 694, 23-25.

17

(13)

principio di non contraddizione18

. Socrate, inoltre, nota che nel caso descritto non vi sarebbe alcun tipo di contraddittorietà; diversamente, invece, sarebbe se l’analisi di Zenone non si limitasse al campo sensibile ma pretendesse di valere anche per le realtà intelligibili, mostrando in questo modo che l’idea dell’unità sarebbe in sé molteplice e quella di molteplicità sarebbe in sé una. In altre parole, secondo Socrate, l’opposizione fra uno e molteplice, e il riconoscimento che la stessa cosa possa essere simile e dissimile (129b1-c2), considerata sul piano sensibile non recherebbe problemi, poiché il meccanismo della partecipazione dei sensibili alle forme sarebbe in grado di disinnescare quella che agli occhi di Zenone doveva implicare una inaggirabile contraddittorietà. La partecipazione ‘verticale’ fra sensibile e idea non comporta infatti l’identificazione del sensibile con la forma che è di per sé inalterabile. Al contrario, seria e problematica sarebbe la medesima questione applicata alla dimensione intelligibile. Il mondo delle idee platoniche è infatti costituito di Forme di per sé autosufficienti e perfette che non debbono la loro esistenza, né tantomeno il predicato che essenzialmente pertiene loro, a un’altra entità cui esse debbano partecipare a loro volta. La partecipazione, in effetti, non ha valenza biunivoca; essa funziona solamente per i sensibili.

Ad ogni modo, Zenone, aderendo al monismo parmenideo, e in particolare a un monismo di tipo predicazionale (per il quale ogni singola realtà si identifica nella sua totalità con il predicato che la definisce), non riconosce la validità dell’argomento di Socrate. Secondo Zenone, infatti, la partecipazione delle idee da parte dei sensibili determinerà anch’essa delle assurdità: se il sensibile coincide totalmente con l’idea partecipata ciò comporterà la conseguenza assurda che l’idea, in quanto presente nella sua interezza nei particolari che la partecipano, si troverà ad essere separata da se stessa (131b1-2); oppure, se il sensibile partecipa solamente di una parte dell’idea, la partecipazione apporterà una scissione dell’idea nella quale sarà inevitabilmente introdotta la molteplicità, facendo sì che essa non sia più essenzialmente una.

Tutte le difficoltà ravvisate da Zenone contro l’accettazione dell’ipotesi del pluralismo ontologico e della teoria delle idee fanno in realtà capo a una concezione essenzialmente fisicista e fisicizzante delle relazioni di partecipazione che sono intese da Zenone ‘alla lettera’, cioè come un concreto ‘prendere parte’ del sensibile all’idea partecipata. Allo stesso tempo, una tale concezione si basa sull’adozione di una                                                                                                                

18

(14)

prospettiva che schiaccia totalmente la dimensione predicativa su quella identitaria19

. Al contrario, Socrate, nel suo ragionamento, ricorre alla distinzione tra l’ ‘è’ identitario e l’ ‘è’ copulativo (o partecipativo) che consente di salvaguardare la separazione fra idee e sensibili, riabilitando in qualche modo anche il dato fenomenico20

e la molteplicità che caratterizza il mondo sensibile.

La prima parte del Parmenide rivela dunque l’impossibilità di conciliare due posizioni fondamentalmente antitetiche: quella eleatica, che intende la partecipazione in termini spazializzanti e la analizza con categorie mereologiche, e dall’altra parte quella platonica, esibita tramite il personaggio di Socrate, che ricorre alla partecipazione come uno strumento efficace per mostrare l’incommensurabilità fra idea e partecipante e per meglio specificare il relativo rapporto di ‘modello/copia’.

La concezione esposta da Socrate si serve inevitabilmente del concetto di separazione ontologica fra le forme e i particolari partecipanti. Quest’ammissione determina però un’ulteriore conseguenza. Se, infatti, le forme devono essere concepite nella loro assoluta austerità come è possibile che esse siano conosciute?

In seguito al dibattito fra Socrate e Zenone, l’anziano Parmenide, che nel dialogo figurava come autorevole spettatore del confronto fra in due, giunge anch’egli a presentare delle argomentazioni critiche relative alla dottrina delle idee. Parmenide quindi, approfondisce la questione dell’estensione del campo eidetico (affronta cioè il problema di quali oggetti debbano ammettere un’idea corrispondente), esamina la nozione di partecipazione e infine affonta il tema della conoscibilità delle idee da parte degli uomini a partire dall’assunto della loro separatezza ontologica.

In questo modo Parmenide arriva ad ipotizzare che un eventuale interlocutore, pur se avverso alla teoria delle idee esposta da Socrate, a un certo punto potrebbe perfino acconsentire ad essa, fermo restando, però, che alle idee, così come profilate da Socrate, sia del tutto negata la possibilità di una loro conoscenza da parte degli uomini (135a4-5). Ecco che, in questo modo, nel dialogo è proclamata quella che è definita essere ‘la difficoltà più grande’ (μέγιστον δὲ τόδε, 133-135b4). Se infatti si assume fino in fondo che le idee esistono in sé e per sé (αὐτὰ καθ᾽αὑτά), mentre le cose empiriche esistono solamente in virtù della partecipazione alle idee; e se si accetta la netta separazione (χωρισμός) fra i due mondi (quello dell’essere proprio                                                                                                                

19

Cfr. Ivi, pp. 31-33. 20

(15)

delle idee, e quello del divenire proprio dei sensibili), allora bisognerà anche ammettere la totale inconoscibilità delle idee da parte degli uomini. Inoltre, dati questi assunti come premesse, ne risulterà anche che esiste una scienza che pertiene gli intelligibili e un’altra che assume come contenuto le cose cose empiriche; gli uomini, appartenendo alla sfera sensibile non avranno in alcun modo accesso alle verità dei generi superiori, pertenendo loro solamente la ‘conoscenza’ dei sensibili. Se ciò è vero, accadrà inoltre che, dall’altro versante, chi possieda la scienza suprema delle idee sarà necessariamente la divinità, con la conseguenza che quest’ultima, relegata al mondo delle forme e limitata dalla invalicabile separazione ontologica, non potrà esercitare alcuna azione sulle cose umane né, tantomeno, conoscerle21

.

Alla fine, l’ipotesi eidetica introdotta da Socrate determina due difficoltà principali, entrambe legate al presupposto del χωρισμός ontologico sul quale si appoggia la dottrina delle idee stessa. Assunta seriamente la partecipazione, ne conseguiranno, dunque, i seguenti interrogativi:

• se le idee sono partecipate dalle cose, potranno esse conservare il loro status di enti supremi che si definiscono in base alla loro perfezione e fissità? È dunque ammissibile una partecipazione che tenga conto e rispetti una così netta separazione come quella che caratterizza la ‘teoria dei due mondi’ platonica? E, dal versante eidetico:

• se le idee sono radicalmente separate, in che modo esse possono essere partecipate dalle cose empiriche? 22

Il collegamento fra la prima e la seconda parte del Parmenide dovrebbe connettersi a questi due interrogativi. Vediamo in che modo.

Parmenide sembra arrestarsi di fronte al fatto che le idee sembrano veramente non essere conoscibili per gli uomini. Eppure, egli afferma: ‘se qualcuno, di fronte a tutte le difficoltà appena enumerate e ad altre simili, non sarà disposto ad ammettere che esistono forme degli enti e non separerà una forma determinata per ciascun                                                                                                                

21

Cfr. F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide…, op. cit., pp. 75-77. 22

Cfr. Ivi, p. 78. Interessante è la soluzione di F. Ferrari, il quale riconosce che la separazione fra idee e partecipanti potrebbe essere intesa come una separazione di tipo asimmetrico. In quest’ottica sarebbero solamente le idee ad essere veramente separate, nella misura in cui esse sono del tutto autosufficienti. I sensibili, al contrario, dal momento che non esistono in se stessi, non potrebbero dirsi del tutto separati, poiché dipendenti dalle idee cui essi partecipano. La nozione di separazione, spiegata in questo modo, avrebbe anche il vantaggio di recuperare il peculiare significato di ‘somiglianza’ che si dà nella relazione ‘modello/copia’, tipica della descrizione dei rapporti fra idee e partecipanti (accanto alla relazione di ‘causa/causato’). Anche in quest’ultimo caso, sarebbero i sensibili (copie) a somigliare alle forme (modelli), e non viceversa. Cfr. F. Ferrari, Platone. Parmenide, op. cit., Introd. pp. 93-96.

(16)

singolo tipo di realtà, non avrà dove rivolgere il pensiero perché non è disposto a concedere che esista un’idea sempre identica di ciascuno degli esseri, e così facendo distruggerà completamente la potenza delle dialettica (δύναμις τοῦ διαλέγεσθαι)’ 23.

Nonostante tutte le difficoltà implicate nell’ammissione della partecipazione, Parmenide sembra in qualche modo comprendere la rilevante portata filosofica dell’ipotesi eidetica. Ciò nonostante, a questo punto del dialogo, Parmenide sposta la discussione sulla pertinenza metodologica delle argomentazioni di Socrate. Parmenide avvisa, quindi, che non basta essere consapevoli della necessità delle idee; occorre prima di tutto possedere delle solide basi logiche e dialettiche che rendano in grado di condurre l’argomentazione in maniera esatta. Socrate, nonostante lo slancio bello e divino che mostra spingerlo verso i ragionamenti (135d2-3), necessiterebbe ancora di una formazione adeguada in grado di sorreggere e difendere le sue affermazioni.

È dunque con questo monito che l’esercizio dialettico è inaugurato. Un esercizio propedeutico, dunque, alla formazione di un giovane filosofo, simile a quello di cui si era servito Zenone all’inizio del dialogo allorché aveva intenzione di confutare l’ammissione della molteplicità.

Parmenide fornisce allora delle direttive in base alle quali l’esercizio dovrà essere svolto. Bisognerà che vengano analizzate le conseguenze che derivano dall’ammettere un’ipotesi, sia ponendo l’ipotesi iniziale in maniera affermativa, sia in maniera negativa. Per entrambi i casi l’ipotesi andrà analizzata considerando l’oggetto dell’ipotesi da due differenti punti di vista, ossia in relazione a se stesso e in relazione alle altre cose24

.

Parmenide propone quindi di partire dalla propria ipotesi, ponendo, dunque, che l’uno sia e ipotizzando anche, secondo le linee direttive annunciate, che l’uno non sia. Ad ogni ipotesi (quella positiva: ‘se l’uno è’, e quella negativa ‘se l’uno non è; εἴ τε ἕν ἐστιν εἴ τε μὴ ἕν), corrisponderanno quattro serie deduttive: le prime due relative all’oggetto dell’ipotesi considerato prima in relazione a se stesso e poi in relazione alle altre cose; le seconde due, relative alle altre cose considerate prima in se stesse e poi considerate in rapporto all’oggetto dell’ipotesi. L’esercizio, in questo modo, sarà costituito da otto serie di deduzioni, quattro per ogni ipotesi di partenza.

Il fatto che Parmenide espliciti che che si debba partire dall’uno in sé,                                                                                                                

23

Cfr. Plat. Parm. 135b5-c2. Trad. F. Ferrari. 24

(17)

proponendo di esaminare la ‘sua’ ipotesi (τοῦ ἑνος αὐτοῦ; 137b3), lascerebbe spazio per pensare che l’oggetto della seconda parte del Parmenide, che coincide in toto con lo svolgimento dell’esercizio dialettico, tratti dell’uno del poema di Parmenide25. In

realtà non abbiamo elementi sufficienti per comprendere a che cosa propriamente corrisponda l’uno analizzato nelle serie deduttive della seconda parte del Parmenide.

Fra gli studiosi, vi è chi ha pensato di poter identificare l’uno delle serie deduttive con l’uno del poema di Parmenide, chi l’ha identificato con l’idea dell’unità (parallelamente all’idea della molteplicità identificata negli ‘altri dall’uno’) 26

, oppure, ancora, chi con l’unità aritmetica o con la monade intesa come principio dei numeri27

. Franco Ferrari fa giustamente notare i rischi della pretesa di voler identificare l’uno con una sola entità. Egli spiega che sarebbe più ragionevole abbandonare la convinzione che con il termine ‘uno’ Parmenide si stia riferendo alla medesima realtà in tutte le serie deduttive che costituiscono l’esercizio. Costituendo esso un allenamento dialettico, molto probabilmente l’oggetto dell’esercizio potrebbe non essere sempre lo stesso, proprio perché l’intento della γυμνασία potrebbe mirare ad affinare la metodologia, indipendentemente dagli oggetti trattati. Di fatto la γυμνασία offrirebbe spunti per identificare l’oggetto dell’esercizio in diversi modi senza del resto fornire elementi tali da poterne prendere per vero nessuno in maniera definitiva28.

Dal canto nostro, sembrerebbe che Platone, nelle serie deduttive che costituiscono l’esercizio dialettico, stia rinviando al rapporto di partecipazione che si pone fra le idee e i sensibili29

. Probabilmente ogni serie deduttiva pone in esame un                                                                                                                

25

Cfr. L. Brisson, Platone. ‘Parmenide’, ed. it. a cura di A. Riccardo, Loffredo, Napoli 1998 p. 44 e sgg. (= L. Brisson, Platon, Parménide, Flammarion, Paris 1994); Id., S’il (le monde) est un. La seconde partie du ‘Parménide’ de Platon considérée du point de vue de Parménide et de Zénon, in M. Barbanti / F. Romano, Il Parmenide di Platone…, op. cit., pp. 41-57.

26

Ad esempio, cfr. S.-C. Rickless, How Parmenides Saved the Theory of Forms, in «Philosophical Review», 107 (1998), pp. 501-554.

27

Cfr. A. Graeser, Prolegomena zu einer Interpretation des zweiten Teils des Platonischen ‘Parmenides’, Haupt, Bern 1999, pp. 21 e passim; Id., Platons ‘Parmenides’, Steiner, Stuttgart 2003, pp. 41-51. Per una veloce trattazione dei vari modi di interpretare l’uno delle ipotesi del Parmenide si veda, F. Ferrari, Platone. Parmenide. Introd. pp. 124-128.

28

F. Ferrari, Platone. Parmenide. Introd. pp. 128-130. 29

Similmente alla posizione di F. Fronterotta, al quale rinvio per maggiore chiarezza. Cfr. F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide…, op. cit., pp. 89-91, 104-105; Id., ΜΕΘΕΧΙΣ. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche. Dai dialoghi giovanili al Parmenide, Scuola Normale Superiore, Pisa 2001, pp. 296-297. Cfr. anche R.-E. Allen, Plato’s Parmenides, University of Minnesota Press, Minneapolis 1998, pp. 183-184 e C.-C. Meinwald, Plato’s ‘Parmenides’, Oxford University Press, Oxford 1991, p. 177 n. 10 e passim. (In entrambi questi due

(18)

aspetto della partecipazione la quale, effettivamente, trova delle risposte differenti a seconda se la si giudichi dal punto di vista eidetico oppure da quello dei sensibili. Con ciò si intende dire che quando, ad esempio, l’ ‘uno che è’ è analizzato in relazione a se stesso, esso esibisce delle caratteristiche proprie delle idee intese al di fuori della partecipazione. Al contrario, quando l’ ‘uno che è’ è analizzato in rapporto agli altri dall’uno, esso mostrerebbe le conseguenze per le idee poste in relazione alla partecipazione dei sensibili, ma sempre dal punto di vista dell’uno. Quando, invece, si analizzano le conseguenze degli altri dall’uno posti in relazione all’ ‘uno che è’, (propriamente nella terza serie deduttiva), le conseguenze che ne derivano sarebbero valide per i partecipanti proprio perché analizzati dal punto di vista partecipativo, e così via per tutte le altre serie di deduzioni logiche. Si ritiene, dunque, che l’ ‘uno che è’, posto in relazione agli ‘altri dall’uno’, potrebbe riassumere la situazione di generale paradigmaticità delle idee rispetto ai partecipanti, cioè ai molti che rappresentano la pluralità delle cose empiriche.

In generale, inoltre, molte delle aporie presenti nella prima parte del dialogo si ripresentano nel corso dello svolgimento dell’esercizio, nel quale spesso compaiono categorie spaziali, temporali (o concetti derivati dalle scienze matematiche), che funzionano come una sorta di categorie da applicare alla particolare situazione ‘ontologica’ che ogni serie potrebbe significare.

Alla luce di tutto ciò sembra lecito poter cogliere degli indizi che lascerebbero pensare che gli argomenti dibattutti nella prima parte del Parmenide possano essere gli stessi affrontati nella seconda parte, sebbene in questa essi siano trattati in maniera più astratta, in base a schemi logici e secondo la precisa metodologia proposta da Parmenide. Ad esempio, nella prima parte del Parmenide possiamo osservare che: 1) l’opzione della pluralità degli enti è vagliata per mezzo dell’applicazione del metodo ipotetico di Zenone; 2) la soluzione alle contraddizioni che emergono da questa ipotesi sono combattute da Socrate per mezzo della formulazione dell’ipotesi eidetica, che garantisce l’esistenza per ogni partecipante molteplice di un corrispettivo stabile e unitario (l’idea); 3) la difficoltà più grande enunciata da Socrate constisterebbe nel mostrare che l’idea è in sé contemporaneamente una e molteplice; 4) il meccanismo della partecipazione è analizzato da Zenone e da Parmenide in base a categorie spazializzanti e mereologiche.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

studi gli autori considerano l’uno come assimilabile alla forma platonica in generale). Per questi spunti, cfr. F. Ferrari, Platone. Parmenide, op. cit., Introd. p. 127 n. 224.

(19)

Tutti questi argomenti, ed altri ancora che non è possibile analizzare qui nel dettaglio, farebbero pensare che la corrispondenza ‘uno-idee’ o ‘uno-sfera intelligibile’, e quella ‘altri dall’uno-cose empiriche’, sia stata in qualche misura preannunciata nel corso delle prime argomentazioni del Parmenide.

Una differenza fra la prima e la seconda parte del Parmenide risiederebbe nel fatto che il dialogo fra gli eleati e Socrate, che è trattato nella prima parte, presenta degli argomenti aporetici che difficilmente possono essere risolti, a causa della mancanza di esperienza del giovane Socrate. Nella seconda parte, invece, la discussione tenuta fra Parmenide e il giovane Aristotele manifesterebbe una metodologia che, allorché acquisita, permetterebbe a Socrate di giungere a dimostrare la plausibilità della sua proposta e a sciogliere le aporie legate alla teoria delle idee.

Il fatto che l’esercizio abbia finalità propeduetiche non è inconciliabile con un’interpretazione della seconda parte del Parmenide che riconosce nell’oggetto dell’ipotesi un contenuto preciso. La metodologia che propone Parmenide deve essere adeguatamente esercitata proprio perché gli argomenti di cui Socrate mostrava di voler discutere meritavano di poggiare su una solida struttura logico-argometantiva. Non a caso, il metodo che l’esercizio intende potenziare è il metodo dialettico, notoriamente utilizzato da Platone per la ‘conoscenza’ delle idee.

La proposta di identificare l’uno delle ipotesi con la paradigmaticità eidetica, e gli altri dall’uno con i sensibili, presenta comunque dei limiti e delle difficoltà. Ad esempio, è difficile sostenere questa interpretazione senza chiedersi perché mai, allora, Platone avrebbe sottinteso le idee con ‘l’uno’, applicandovi delle categorie spaziali e temporali che risultano essere del tutto inadeguate alla costituizione stessa delle idee (essendo essenzialmente del tutto inalterabili e perfette) 30

.

Si può concludere, allora, che l’esercizio dialettico costituisca una ginnastica filosofica di alto livello pur non ammettendo che Platone abbia qui trascurato l’oggetto del discorso. Ci sembra che l’ ‘uno’ e gli ‘altri dall’uno’, seppur non corrispondano puntualmente alle idee e ai partecipanti, indaghino in una maniera del tutto peculiare i rapporti di partecipazione fra sensibili e idee, analizzati da più punti di vista a seconda dell’articolazione delle serie deduttive.

Di seguito si propone uno schema nel quale compare la struttura delle serie                                                                                                                

30

Cfr. F. Fronterotta, ΜΕΘΕΧΙΣ. La teoria platonica delle idee…,op. cit., p. 293 e F. Ferrari, Platone. Parmenide, op. cit., Introd. p. 126.

(20)

deduttive del Parmenide, con le relative conseguenze cui giunge ognuna.

Serie: Conseguenze:

1a

(137c4-142a8) esamina le conseguenze per l’uno considerato in se stesso.

l’uno non partecipa dell’essere, e non possiede alcun tipo di determinazioni. Non è e non è uno; non può essere nominato né definito né opinato né conosciuto.

2 a

(142b1-157b5)

esamina le conseguenze per l’uno in relazione agli altri (= uno che partecipa dell’essere).

l’uno possiede e può possedere ogni tipo di determinazione.

3a

(157b6-159b1)

esamina le conseguenze degli altri dall’uno considerati in rapporto all’uno che è.

gli altri dall’uno possiedono e possono possedere ogni tipo di determinazione.

4a

(159b2-160b4)

esamina le conseguenze per gli altri dall’uno considerati in rapporto a se stessi.

gli altri dall’uno non sono in grado di assumere alcun tipo di determinazione.

5a

(160b5-163b6)

esamina le conseguenze per l’uno che non è, considerato in rapporto agli altri dall’uno.

l’uno che non è (= che non si identifica con gli altri dall’uno = è diverso dagli altri dall’uno), possiede una serie di caratteristiche e non ne possiede alcune altre. Di esso, si dà scienza, conoscenza, opinione e discorso.

6a (163b7-164b4)

esamina le conseguenze per l’uno che non è, considerato rispetto a sé.

l’uno che non è (= che non partecipa affatto dell’essere), non è, non sarà, né sarà mai in un certo modo; esso è privo di ogni tipo di

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determinazione.

7a

(164b5-165e1)

esamina le conseguenze per gli altri dall’uno, considerati in rapporto all’uno che non è.

gli altri dall’uno potranno solamente sembrare, ammettendo una serie di apparenze, compresa quella dell’unità (= appaiono uno ma non sono uno).

8a

(165e2-166c5)

esamina le conseguenze per gli altri dall’uno considerati in rapporto a se stessi e considerando che l’uno non è.

gli altri dall’uno non possono assumere nessuna determinazione né possono ammettere alcun tipo di apparenza (= non sono e non appaiono).

La corretta comprensione di questo schema e delle conseguenze che derivano dall’analisi dei vari rapporti in cui sono posti l’uno e gli altri dall’uno dipende in larga parte dalla corretta individuazione dell’uso del senso del verbo essere in questione. L’esercizio dialettico, infatti, si serve di un’alternanza nell’uso dell’ ‘è’, che in alcuni casi va inteso nel suo senso esistenziale (ad esempio, nella sesta serie di deduzioni in cui la negazione si riferisce precisamente all’essere dell’uno), in altri, nel suo senso identitario-predicativo (come nella quinta serie in cui il non essere dell’uno indica il non essere ‘qualcosa’ di determinato, e, al pari, il suo essere diverso da ciò che egli non è).

Il Parmenide tra medioplatonismo e neoplatonismo: status quaestionis

Non vi sono dubbi sul fatto che il Parmenide presenti delle difficoltà interpretative notevoli. Se la prima parte del dialogo mostra una serie di aporie, per lo più legate alla maniera eleatica di intendere la dottrina delle idee e la loro partecipazione da parte dei sensibili (mostrando, peraltro, quanto Platone stesso fosse consapevole dei ‘limiti’ della sua dottrina e dando prova della sua particolare perspicacia, difendendosi in anticipo dalle eventuali critiche che gli si potevano muovere31

), la seconda parte del                                                                                                                

31

Assumo implicitamente che Platone non abbia revisionato la dottrina delle idee in maturità come, al contrario, alcuni studiosi hanno creduto, ravvisando proprio nel Parmenide uno fra i dialoghi nei quali Platone avrebbe mostrato un simile ripensamento a proposito delle idee. Fra questi ultimi,

(22)

dialogo risulta ancora più intricata e difficoltosa. Nonostante ciò, anzi probabilmente anche grazie all’indecifrabilità che domina l’esercizio dialettico, il Parmenide ha avuto una lunga tradizione.

Fra le più importanti letture del dialogo vi è quella di Plotino. Egli infatti, in

Enneadi V, 1, 8, 1-27, afferma che la dottrina delle tre ipostasi (uno, intelletto,

anima), era stata già espressa da Platone nel Parmenide, e più precisamente nelle prime tre serie deduttive del dialogo. Secondo Plotino, la prima serie di deduzioni, nella quale si giunge a negare all’uno qualsiasi tipo di determinazione, corrisponderebbe alla prima ipostasi (l’Uno); alla seconda serie, che discute dell’uno che partecipa dell’essere, corrisponderebbe la seconda ipostasi dell’Intelletto; infine al passo 155e3-157b4 (che analizza l’ ‘uno che è’ nei suoi rapporti con il tempo e interpretato dai neoplatonici come una serie deduttiva a sé), corrisponderebbe la terza ipostasi. In questo modo Plotino, riconoscendo nell’uno dell’esercizio dialettico ‘l’Uno oltre l’essere’ e, più in generale, derivando dal dialogo platonico i capisaldi della sua filosofia, avrebbe dato l’avvio ad una precisa interpretazione del Parmenide, che sarebbe sopravvissuta nei filosofi successivi influenzando tutto il neoplatonismo. L’operazione esegetica attuata da Plotino avrebbe così reso il Parmenide ‘il dialogo platonico di riferimento per eccellenza e l’archeologia fondamentale in cui il neoplatonismo ha trovato l’essenza della propria teologia e della filosofia tout

court’32

. In effetti, la lettura plotiniana del Parmenide fu ripresa dai suoi discepoli Amelio e Porfirio, e approfondita in seguito soprattutto dagli esponenti neoplatonici della scuola di Atene, fondata da Plutarco di Atene e successivamente retta da Siriano e da Proclo. L’interpretazione neoplatonica del Parmenide33

sarebbe stata poi portata,                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

alcuni ritennero che Platone, nei dialoghi più tardi, avrebbe modificato la dottrina delle idee considerando queste come definitivamente separate dalle copie materiali, rinunciando in un certo senso, ad intendere le idee come cause efficienti. Altri, invece, riconoscendo l’esistenza effettiva di un’evoluzione del pensiero platonico, hanno sostenuto che le idee, a partire dal Parmenide, si sarebbero ridotte a semplici concetti, privi di esistenza reale, con la funzione di categorie generali del pensiero, specialmente del linguaggio. Per i primi, cfr. H. Jackson, Plato’s Later Theory of Ideas, II: the ‘Parmenides’, in «Journal of Philology», 9 (1881), pp. 287-331; A.-E. Taylor (ed.), Philosophical Studies, Macmillan & Co., London 1934, pp. 28-90; per i secondi, cfr. G. Ryle, Plato’s ‘Parmenides’, art. cit., pp. 129-151; G.-E.-L. Owen, The Place of the ‘Timaeus’ in Plato’s Dialogues, in «Classical Quarterly», 3 (1953), pp. 79-95 (=E.-R. Allen [ed.] Studies in Plato’s Metaphysics, op. cit., pp. 313-338); W.-D. Ross, Plato’s Theory of Ideas, Claredon Press, Oxford 1951.

32

F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide…, op. cit., p. 107. 33

Per l’interpretazione neoplatonica del Parmenide segnalo gli studi di: F.-M. Cornford, Plato and Parmenides, Routledge and Kegan Paul, London 1939, pp. v-ix, 131-134; L. Brisson, Annexe I, Les interprétations du ‘Parménide’ dans l’antiquitè, pp. 71-81, in Id., Platon. Parménide, op. cit.; J. Combès, Damascius lecteur du ‘Parménide’ dans l’Antiquité, in Id., Études Platoniciennes, Jêrome Millon, Grenoble 1989, pp. 65-99; Id., Negativité et procession des principes chez Damascius, in

(23)

per un certo verso, alle sue estreme conseguenze da Damascio (V-VI sec. d.C.), il quale nelle sue opere (nel De primis principiis e nell’in Parmenidem), avrebbe affermato la totale non conoscibilità dell’uno come principio primo, a sua volta derivato dall’uno della prima serie deduttiva della seconda parte del Parmenide, affermandone l’assoluta ineffabilità e consolidando in questo modo la teologia negativa. Damascio, inoltre, offre un’interpretazione per ogni serie deduttiva del

Parmenide, identificando ognuna di esse con un corrispettivo ontologico: dall’Uno

ineffabile rinvenuto nella prima serie, fino al nulla assoluto e imperscutabile che corrisponde alla nona serie di deduzioni. In sostanza, Damascio individua nella prima serie deduttiva l’uno totalmente ineffabile; nelle successive quattro serie, la natura dell’essere in tutte le sue declinazioni, e, infine, nelle ultime quattro serie (dalla sesta alla nona, che costituiscono le serie negative dell’esercizio dialettico), egli ravvisa la struttura del mondo empirico e diveniente, delineando nel complesso una complicata gerarchia di principi34

.

A quanto sembra, dunque, fu Plotino colui che per primo decretò una ‘riscoperta’ del Parmenide platonico, determinandone la sua fortuna successiva: in effetti, in base all’inaugurazione del sistema ipostatico da parte di Plotino e considerando il grande sviluppo che la tradizione esegetica del Parmenide ha avuto in tutto il neoplatonismo, si tende ad assumere che il Parmenide sia stato il testo capitale per i neoplatonici, mentre che il Timeo lo sia stato per il periodo precedente a Plotino, che convenzionalmente è chiamato ‘medioplatonismo’.

Ora, è innanzitutto necessario riconoscere che una scansione così netta come quella appena delineata semplifica estremamente la questione della ricezione dei due importanti dialoghi platonici. Il Timeo fu senza ombra di dubbio il testo centrale per il medioplatonismo. Allo stesso tempo, però, sarebbe scorretto pensare che il Parmenide assunse primaria importanza nel neoplatonismo a scapito del Timeo. Se infatti Plotino ammise di connettere la dottina delle tre ipostasi al Parmenide platonico, non per questo declassò il Timeo. Al contrario, Plotino mantenne e, sotto certi aspetti, perfino                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

AA.VV., Recherches sur la tradition platonicienne [Platon, Aristote, Proclus, Damascius], Vrin, Paris 1977, pp. 119-141; F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide…, op. cit., pp. 106-110; L.-P. Gerson, The ‘Neoplatonic’ Interpretation of Plato’s Parmenides, in «The International Journal of the Platonic Tradition», 10/1 (2016), pp. 65-94.

34

Cfr. L.-G. Westerink / J. Combès, (éd.), Damascius. Traité des Premiers Principes. Vol I: De l’ineffable e de l’un. Vol. II: De la triade et de l’unifié; Vol. III: De la procession de l’unifié, Les belles lettres, Paris 1986; e L.-G. Westerink / C. Luna / A.-Ph. Segonds / J. Combès (éd.), Damascius. Commentaire sur le Parménide de Platon, Les belles lettres, Paris 2003. Si veda anche F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide…, op. cit., pp. 107-110.

(24)

rafforzò il ruolo di preminenza del Timeo, che riveste una posizione centrale nelle

Enneadi e nella costruzione del platonismo plotiniano. La questione va dunque posta

in termini differenti. Confermata la centralità del Timeo nel medioplatonismo, e riconoscendo che una scansione troppo netta che vede una corrispondenza precisa fra un dato periodo filosofico a uno specifico testo non è realmente efficace, occorre domandarsi se davvero le vicende connesse all’interpretazione del Parmenide siano collegate solamente a Plotino o se, invece, non sia esistita una precedente tradizione esegetica del Parmenide, collocabile proprio nel medioplatonismo.

Come già accennato, nel medioplatonismo il Timeo costituiva il testo principale di riferimento per lo studio e la corretta comprensione del pensiero di Platone. Quella di ‘medioplatonismo’ è una nozione storiografica resa autorevole da K. Praechter35

per designare il periodo che grossomodo si estende fra il I sec. a.C. e il III d.C., che si caratterizza per una forte tendenza all’esegesi testuale. Questa pratica, in effetti, fu inaugurata proprio durante il medioplatonismo e contestualmente alla riscoperta dei veteres, elemento che pure costituisce una delle caratteristiche proprie del movimento. Proprio la pratica del commento ai testi autorevoli è in effetti uno dei dei tratti peculiari che contraddistinguono il medioplatonismo36

. Il Timeo fu il testo maggiormente commentato dagli autori medioplatonici, i quali avevano lo scopo di mostrare la compiutezza e la sistematicità del pensiero di Platone: in questo periodo si assiste a un vero e proprio revival del platonismo, e molti degli aspetti della dottrina platonica furono riabilitati in reazione allo scetticismo Accademico e dogmatizzati.

                                                                                                               

35

Cfr. F. Ueberweg (hrsg. von K. Praechter), Grundriss der Geschichte der Philosophie, I: Die Philosophie des Altertums, Berlin 1926 e L. Catana, The Origin of the Division between Middle Platonism and Neoplatonism, in «Apeiron», 46 (2013), pp. 166-200.

36

La letteratura sul medioplatonismo è piuttosto corposa e negli ultimi anni gli studi sugli autori medioplatonici sono decisamente cresciuti di numero. Mi limito a segnalare alcuni più recenti studi di riferimento: P. Donini, Medioplatonismo e filosofi medioplatonici. Una raccolta di studi, in «Elenchos» XI (1990) pp. 79-93; F. Ferrari,I commentari specialistici alle sezioni matematiche del Timeo, in A. Brancacci (a cura di), La filosofia in età imperiale, Bibliopolis, Napoli 2000, pp. 171-224; Id., Verso la costituzione del sistema: il medioplatonismo, in «Paradigmi» 21, Roma 2003, pp. 345-54; Id., Esegesi, commento e sistema nel medioplatonismo, in A. Neschke-Hentschke (hrsg.), Argumenta in Dialogos Platonis, Teil I: Platoninterpretation und ihre Hermeneutik von der Antike bis zum Beginn des 19. Jahrunderts, Akten des internationalen Symposions vom 27.-29. April 2006 im Istituto Svizzero di Roma, Schwabe Verlag, Basel 2010, pp. 51-76; M. Bonazzi / R. Chiaradonna, Prima di Plotino: le correnti filosofiche in età imperiale, in R. Chiaradonna (a cura di), Filosofia tardoantica, Carocci Editore, Roma 2012, pp. 25-46, particol. p. 25 e sgg; A. Michalewski,La puissance de l’intelligible. La théorie plotinienne des Formes au miroir de l’héritage médioplatonicien, Leuven University Press, Leuven 2014, pp. 9-45; F.-M. Petrucci, L’esegesi e il commento di Platone (a partire dall’esegesi della cosmogonia del Timeo), in «Rivista di storia della filosofia», 2 (2015), pp. 295-320.

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