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Attivita fisica adattata nella bassa disabilità: la ginnastica nella protesi d'anca

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

_____________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE

DELLE ATTIVITA’ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

Presidente: Prof. Gino Santoro

“Attività fisica adattata nella bassa disabilità: la ginnastica nella protesi

d’anca”

RELATORE

Chiar.mo Prof. Alberto Franchi

__________________________________

CANDIDATO

Sig. Cecilia Coppola

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2

Indice

Introduzione………... 4

1. ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’ANCA……….... 5

1.1 Descrizione anatomica del bacino……….. 5

1.2 Descrizione anatomica del femore………..7

1.3 Anatomia dell’articolazione coxofemorale………... 9

1.4 Anatomia funzionale dell’anca………..11

1.5 I muscoli dell’anca………..12

2. CHIRURGIA PROTESICA E INTERVENTI ALL’ANCA………....14

2.1 Protesi totale o artroprotesi………...16

2.2 Protesi parziali o endoprotesi………....20

2.3 Le componenti dell' artroprotesi totale………...….22

3. LE PROBLEMATICHE A CARICO DELL’ANCA………....24

4. LE LINEE GUIDA NELLA PROTESI DI ANCA ( regione toscana Società della Salute Area Vasta Pisana)………...44

5. IL PROTOCOLLO DI LAVORO STANDARD SECONDO LE LINEE GUIDA DELLA SOCIETA’ DELLA SALUTE……….47

6. L’ESAME MORFOLOGICO E FUNZIONALE……….55

6.1 Il grado di escursione articolare e di allungamento………....56

6.2 Le capacità condizionali………57

6.2.1 La forza……….57

6.2.2 La resistenza………..58

6.2.3 La velocità……….60

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6.3.1 Le capacità coordinative generali………..61

6.3.2 Le capacità coordinative speciali………..62

7. L’ESAME MORFOLOGICO E FUNZIONALE DEI CASI TRATTATI……….….64

7.1 Caso 1……….….64

7.2 Caso 2……….….65

7.3 Caso 3……….….67

8. PROTOCOLLO DI LAVORO PERSONALIZZATO……….…68

8.1 Protocollo di lavoro personalizzato per il caso 1……….…69

8.2 Protocollo di lavoro personalizzato per il caso 2……….…74

8.3 Protocollo di lavoro personalizzato per il caso 3……….83

8. CONCLUSIONI………..88

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Introduzione

In questa tesi affronteremo come un intervento di protesi d’anca vada a influire sul miglioramento delle capacità funzionali e della qualità della vita in soggetti affetti da problematiche a livello dell’articolazione coxofemorale.

Le cause di queste problematiche possono essere individuate in una serie di fattori endogeni ed esogeni quali ad esempio le abitudini di vita.

Un ruolo importante viene anche svolto dalla carenza di movimento (ipocinesi), in quanto ogni organo ha quella capacità funzionale che corrisponde al suo grado di sollecitazione.

L’attività fisica migliora il tono muscolare, favorisce la coordinazione dei movimenti, migliora l’equilibrio, agisce sulla densità ossea.

Vedremo quindi l’importanza di un protocollo di attività motoria dopo l’intervento affinché il soggetto recuperi una buona funzionalità articolare che sia in grado di permettergli di svolgere le attività quotidiane senza particolari problemi.

Un ruolo importante nella ripresa della perfetta efficienza spetta, infatti, alla rieducazione motoria.

Gli obiettivi del programma motorio sono il recupero della forza muscolare, di una buona articolarità e della coordinazione motoria.

Il protocollo di esercizi sarà programmato partendo da un esame morfologico e funzionale del soggetto che vada a valutare la sua forma fisica attraverso l’analisi del grado di escursione articolare e di allungamento muscolare, delle capacità condizionali e delle capacità coordinative.

Scopo di questa tesi è quindi quello di fornire un protocollo di esercizi che sostenga il soggetto dopo una prima fase riabilitativa per un completo recupero funzionale e un miglioramento della qualità della vita.

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1. ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’ANCA

1.1 Descrizione anatomica del bacino

Fig. 1 (sinistra) osso del bacino visto lateralmente; (destra) osso del bacino visto medialmente.

L’osso dell’anca è un osso piatto, pari e simmetrico, derivato dalla fusione di tre parti: l’ileo, l’ischio e il pube ma viene tuttavia considerato come un’unica entità (1).

Ha una forma irregolarmente quadrilatera, offre quindi a considerare due facce, una interna e una esterna, e quattro margini.

La faccia esterna presenta nel suo centro una profonda cavità approssimativamente sferica detta acetabolo.

Tale cavità è delimitata da un lembo osseo circolare, il margine dell’acetabolo, interrotto in tre punti, corrispondenti ai punti di fusione dei primitivi abbozzi ossei. Il solco tra ischio e pube è ben evidente e prende il nome di incisura

dell’acetabolo.

Al di sopra dell’acetabolo, la faccia esterna dell’osso dell’anca presenta una vasta superficie piana, la faccia glutea, percorsa da due linee rugose a andamento semilunare, le linee glutee anteriore e posteriore.

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Al di sotto dell’acetabolo si trova il forame otturatorio, delimitato in alto dai corpi dell’ischio e del pube, in basso dai rami inferiori delle stesse parti; tale foro è chiuso da una membrana fibrosa che dà attacco a muscoli su entrambe le superfici.

La faccia interna dell’osso è suddivisa in due porzioni da una linea obliqua in basso e in avanti, la linea arcuata, al di sopra della quale si estende una superficie piana detta fossa iliaca.

Immediatamente dietro all’origine della linea arcuatasi trova la faccetta auricolare dietro la quale si estende un’area accidentata, la tuberosità iliaca, sulla quale prendono attacco i legamenti sacroiliaci posteriori.

Tra la linea arcuata e il forame otturatorio si trova una vasta superficie pianeggiante che corrisponde esternamente all’acetabolo.

Il margine anteriore dell’osso può essere scomposto in due porzioni. La prima è pressoché verticale, mentre la seconda piega in avanti e medialmente formando con la precedente un angolo di circa 140°.

Il margine anteriore dall’alto al basso presenta: due protuberanze, le spine iliache anteriori; un’ incisura; una cresta smussa detta eminenza ileo pettinea; una superficie pianeggiante detta superficie pettinea; una cresta tagliente detta cresta pettinea; un tubercolo, il tubercolo pubico.

Il margine posteriore è molto più accidentato: nella sua parte superiore troviamo le spine iliache posteriori.

Al di sotto della spina inferiore si trova la grande incisura ischiatica delimitata in basso dalla spina ischiatica, che a sua volta forma il margine superiore della piccola incisura ischiatica.

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Il margine superiore è denominato cresta iliaca ed è leggermente incurvato a S. Il margine inferiore inizia indietro con la tuberosità ischiatica e termina in avanti con una faccetta ovalare, la faccetta della sinfisi pubica, destinata ad articolarsi con l’omologa faccetta del lato opposto.

1.2 Descrizione anatomica del femore

Fig 2 (sinistra) femore visto anteriormente; (destra) femore visto posteriormente.

Il femore è un osso lungo che da solo forma lo scheletro della coscia. Vi si distinguono una diafisi e due epifisi.

La diafisi non è esattamente rettilinea, ma incurvata ad arco a concavità posteriore; è prismatico e presenta tre facce (anteriore, posteriore e posterolaterale) e tre margini(mediale, laterale e posteriore).

Il margine posteriore è rugoso e viene denominato linea aspra sul cui decorso si trova il foro nutritizio.

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In basso la linea aspra si biforca e ciascuno dei due rami termina in corrispondenza di un condilo delimitando un triangolo a base inferiore detto triangolo popliteo.

In alto invece la linea aspra è tripartita e forma lateralmente la linea pettinea. L’estremità superiore presenta una testa e due rilievi denominati trocanteri.

La testa è sferica e volge in alto, in avanti e medialmente. Al suo centro troviamo una depressione, la fovea capitis, che dà attacco a un’estremità del legamento rotondo del femore.

La testa è sostenuta da un segmento osseo prismatico rettangolare detto collo anatomico alla cui base si trovano i due trocanteri: lateralmente e in alto si ha il grande trocantere; medialmente e in basso il piccolo trocantere, uniti dalla creste intertrocanterica. Al di sotto del piccolo trocantere si trova il collo chirurgico che segna il confine tra diafisi e epifisi.

L’estremità inferiore del femore presenta una vasta superficie articolare per le tibia e la rotula che in avanti si configura a puleggia con due versanti obliqui. I due versanti continuano in basso e indietro con i condili, separati dalla fossa intercondiloidea.

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9 1.3 Anatomia della coxofemorale

Fig. 3(sinistra) articolazione dell’anca vista anteriormente; (destra) articolazione dell’anca vista posteriormente

L’articolazione coxofemorale è una tipica enartrosi che unisce il femore all’osso dell’anca.

L’osso dell’anca vi concorre con una cavità articolare quasi emisferica, l’acetabolo, e il femore con la testa femorale che rappresenta circa i 2/3 di una sfera piena di 4 o 5 cm di diametro.

Le superfici articolari non sono perfettamente corrispondenti, un cercine glenoideo, il labbro dell’acetabolo, provvede ad ampliare la superficie della cavità e renderla atta a contenere la testa del femore.

Il labbro acetabolare ha anche un importante ruolo nell’unione tra femore e anca e rappresenta un mezzo di contenimento dell’articolazione e passa a ponte sull’incisura dell’acetabolo convertendola in foro.

Non tutta la cavità glenoide prende parte diretta all’articolazione; nel suo centro, infatti, si trova una depressione quadrilatera, la fossa dell’acetabolo, non rivestita di cartilagine articolare, ma di periostio. Da questa fossa nasce un legamento a

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sezione rettangolare, il legamento rotondo del femore, che va a terminare sulla fovea capitis della testa femorale.

I mezzi di unione sono rappresentati dalla capsula articolare a cui si aggiungono tre legamenti di rinforzo e un legamento intraarticolare, il legamento rotondo. La capsula articolare è un manicotto fibroso inserito prossimalmente sul contorno dell’acetabolo e sul labbro acetabolare e distalmente sulla linea intertrocanterica. I legamenti di rinforzo longitudinali sono il legamento ileo femorale, ischio femorale e pubofemorale. Essi non sono altro che porzioni ispessite della capsula. Il legamento ileo femorale ha forma a ventaglio; origina al di sotto della spina iliaca antero inferiore con due fasci che divergono a ventaglio, il fascio obliquo, diretto al margine anteriore del grande trocantere e il fascio verticale, verso la parte più bassa della linea intertrocanterica.

Il legamento pubofemorale nasce dal tratto pubico del ciglio acetabolare, dall’eminenza ileo pettinea e dal ramo superiore del pube per perdersi nella capsula davanti al piccolo trocantere.

Il legamento ischiofemorale dal lato ischiatico del ciglio cotiloideo si porta in fuori, alla fossa trocanterica.

Accanto a questi legamenti si descrive la zona orbicolare che è un fascio di rinforzo profondo con fibre ad andamento trasversale. La zona orbicolare si stacca dal margine dell’acetabolo e dal labbro acetabolare, in profondità dell’inserzione del legamento ileo femorale e, passando dietro al collo del femore, ritorna a fissarsi sul punto di origine.

Il legamento rotondo del femore si estende dalla fovea capitis per poi raggiungere con due radici i bordi dell’incisura dell’acetabolo.

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La sinovia presenta la caratteristica disposizione delle diartrosi. Riveste la superficie interna alla capsula e, giunta alle sue inserzioni, va a rivestire porzioni intracapsulari dei capi ossei fino ai limiti delle cartilagini articolari.

Essa forma una guaina completa al legamento rotondo.

1.4 Anatomia funzionale dell’anca

L’articolazione coxofemorale pone grossi problemi sia nei confronti della statica corporea, sia nella dinamica della marcia e della corsa. La pelvi appoggia bilateralmente sulle teste femorali; la funzionalità dell’appoggio è legata direttamente al perfetto centraggio dell’articolazione, ossia a un’esatta geometria architettonica dei capi articolari.

Come tutte le enartrosi, la coxofemorale è un’articolazione molto mobile.

Opera principalmente a sostegno del tronco durante i movimenti della deambulazione.

I movimenti del femore sono di estensione e flessione su un asse trasversale, di abduzione e adduzione su un asse anteroposteriore e di rotazione interna e esterna su un asse verticale.

L’asse trasversale del movimento di flesso estensione sfiora l’apice del grande trocantere e attraversa l’inserzione laterale del legamento rotondo.

Quando il ginocchio è flesso a meno di 90°, l’ampiezza dell’escursione flessoria corrisponde a un angolo di 120°; l’estensione è assai più limitata e corrisponde a un’ampiezza di circa 15°. Il movimento di estensione è arrestato dai legamenti ileofemarale e pubofemorale.

Dei movimenti di abduzione e adduzione, il primo è più ampio e riveste importanza maggiore. L’escursione totale di questo movimento è di circa 80° ed è

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massima con l’anca in lieve flessione e rotazione esterna; il legamento va a limitare soprattutto il movimento di adduzione.

Il movimento di rotazione si svolge intorno a un asse che passa per il centro della testa del femore raggiungendo il punto centrale dell’epifisi inferiore, tra i condili. L’escursione totale di questo movimento in stazione eretta corrisponde a 50-60°; è maggiore quando l’anca è in atteggiamento di flessione.

La rotazione esterna e quella interna sono arrestate rispettivamente dai legamenti ileo femorale e ischio femorale.

1.5 I muscoli dell’anca

I muscoli dell’anca si dividono in interni ed esterni.

I muscoli interni dell’anca sono il muscolo ileopsoas e il muscolo piccolo psoas I muscoli esterni dell’anca sono i muscoli grande, medio e piccolo gluteo, il muscolo piriforme, i muscoli gemelli superiore e inferiore, i muscoli otturatori esterno e interno e il muscolo quadrato del femore.

I muscoli interni dell’anca

Il muscolo ileopsoas si trova nella regione lomboiliaca e nella regione anteriore della coscia ed è formato da due distinte porzioni, il muscolo grande psoas e il muscolo iliaco che si uniscono per inserirsi sul femore. Il muscolo grande psoas origina dalle facce laterali dei corpi dell’ultima vertebra toracica e delle prime quattro vertebre lomabari. Il muscolo iliaco ha forma a ventaglio e origina dal labbro interno della cresta iliaca, dalle due spine iliache anteriori e dall’incisura fra esse interposta, dai 2/3 superiori della fossa iliaca, dal legamento ileo lombare e dall’ala del sacro.

Il muscolo ileo psoas flette la coscia sul bacino, adduce il femore e lo ruota lateralmente e flette il tronco.

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Il muscolo piccolo psoas, piccolo e fusiforme, origina dalle facce laterali dei corpi dell’ultima vertebra toracica e della prima lombare, è posto davanti al grande psoas e va a inserirsi sull’eminenza ileo pettinea. La sua azione principale è quella di tendere la fascia iliaca.

I muscoli esterni dell’anca

Il muscolo grande gluteo è il più superficiale e il più sviluppato dei muscoli della regione glutea. Origina dalla parte posteriore del labbro esterno della cresta iliaca, dalla linea glutea posteriore, dalla fascia lombo dorsale, dalla cresta laterale del sacro e del coccige e dalla fascia del muscolo gluteo e si inserisce sulla linea aspra del femore e con i fasci più superficiali sulla porzione laterale della fascia lata. Esso estende e ruota lateralmente il femore oppure estende il bacino.

Il muscolo medio gluteo è posto sotto e davanti al grande gluteo, origina dalla faccia esterna dell’osso dell’anca tra le linee glutee anteriore e posteriore e va a inserirsi sulla faccia esterna del grande trocantere. Esso abduce il femore e lo ruota esternamente con i suoi fasci posteriori o internamente con i suoi fasci anteriori. Prendendo punto fisso sul femore ha un’azione di estensione e di inclinazione laterale del bacino.

Il muscolo piccolo gluteo origina dalla faccia esterna dell’osso dell’anca, davanti alla linea glutea anteriore e si inserisce sulla superficie anteriore del grande trocantere. Contraendosi abduce e ruota medialmente il femore; con punto fisso a livello femorale, inclina omolateralmente il bacino.

Il muscolo piriforme è situato in parte all’interno e in parte all’esterno della pelvi. I suoi fasci originano dalla faccia anteriore dell’osso sacro e si inseriscono sull’estremità superiore del piccolo trocantere. Contraendosi ruota lateralmente il femore.

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Ha un’azione stabilizzante sull’articolazione coxofemorale.

Il muscolo gemello superiore origina dalla faccia esterna e dal margine inferiore della spina ischiatica. Il muscolo gemello inferiore origina dalla faccia esterna della tuberosità ischiatica. Entrambi si dirigono orizzontalmente e in fuori e vanno a inserirsi sul tendine del muscolo otturatore interno e tramite esso, sulla fossa trocanterica del femore. Con la loro azione, ruotano esternamente il femore e stabilizzano l’articolazione dell’anca.

Il muscolo otturatore interno prende origine dalla membrana otturatoria, dal contorno interno del foro otturatorio, i fasci convergono verso il piccolo forame ischiatico e si inseriscono nella fossa trocanterica del femore..

Contraendosi ruota lateralmente il femore e contribuisce alla stabilizzazione dell’articolazione dell’anca.

Il muscolo otturatore esterno prende origine dal contorno del foro otturatorio e dalla benderella sottopubica; le sue fibre si portano lateralmente, in alto e indietro, circondando l’articolazione coxofemorale e vanno a inserirsi sulla fossa trocanterica del femore. Con la sua azione ruota lateralmente il femore e stabilizza l’articolazione dell’anca.

Il muscolo quadrato del femore origina dalla superficie esterna della tuberosità ischiatica e si inserisce al lato della cresta intertrocanterica del femore. Agisce ruotando lateralmente il femore e contribuisce a stabilire l’articolazione dell’anca.

2. CHIRURGIA PROTESICA E INTERVENTI ALL’ANCA

L’artroprotesi d’anca è un’articolazione artificiale realizzata in leghe metalliche, materiali plastici e/o ceramiche, che sostituisce l’articolazione coxo-femorale ammalata e ormai alterata.

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Eliminando la fonte del dolore in modo efficace e permanente consente al paziente un miglioramento della mobilità articolare.

La protesi d’anca è generalmente costituita da due componenti: la coppa cotiloidea, fissata all'osso iliaco del bacino, e la componente femorale, formata dal collo e dallo stelo che viene inserito nel canale midollare del femore. Sullo stelo viene poi assemblata una testa protesica, in metallo o ceramica, che si articolerà con la superficie interna della coppa. La fissazione delle componenti all'osso, un tempo spesso demandata al cemento acrilico, è oggi più frequentemente biologica, ovvero affidata alla penetrazione dell'osso nella superficie porosa della protesi (2).

Ci sono diversi motivi per cui può essere consigliato un intervento chirurgico di protesi d'anca. Le persone che beneficiano di protesi di anca spesso hanno:

• Dolore all'anca che limita le attività quotidiane, come camminare o piegarsi.

• Dolore all'anca che continua durante il riposo, sia di giorno che di notte.

• Rigidità all'anca che limita la capacità di spostarsi o di sollevare la gamba.

• Mancata guarigione con altri metodi come farmaci anti-infiammatori, fisioterapia, o plantari.

• La mancata guarigione con altri trattamenti come farmaci antiinfiammatori, infilitrazioni di cortisone, infiltrazioni di Acido Ialuronico, fisioterapia, o altri interventi chirurgici.

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16 2.1 Protesi totale o artroprotesi

L'artroprotesi è l'asportazione e la sostituzione protesica sia della testa del femore che della coppa acetabolare.

Questo tipo di protesi, formato da una componente acetabolare (o cotiloidea) e da una femorale, viene applicato nelle persone che usano frequentemente e normalmente la propria articolazione.

Fig 4 protesi totale o artroprotesi

Tutti i modelli di protesi d'anca attualmente impiegati possono essere suddivisi in tre tipologie:

 L’artoplastica cementata in cui viene usato il cemento per fissare la protesi. Il cemento utilizzato è un cemento acrilico a polimerizzazione rapida che ha lo scopo di colmare completamente lo spazio tra la superficie protesica e il tessuto osseo. L’impianto risulta così immediatamente stabile e il paziente può camminare, salvo

controindicazioni, già dopo alcuni giorni dall’intervento. Vengono utilizzate soprattutto in pazienti che posseggono un tessuto osseo

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estremamente povero, vale a dire osteoporotico e di debole resistenza meccanica;

 L’artoplastica non cementata, in cui le componenti vengono fissate all'osso mediante un accoppiamento diretto. Sono stati sviluppati dispositivi protesici senza cemento che raggiungono il fissaggio tramite press-fit e successiva crescita biologica. Con la tecnica del press-fit lo stelo della protesi viene forzato nella cavità midollare ossea preparata, mentre l'acetabolo della protesi viene fissato nella cavità cotiloidea, ottenendo così la stabilizzazione, tramite innesto, dell'impianto nel femore.

In tal modo viene assicurata una stabilità primaria della protesi mediante forzatura meccanica, per raggiungere poi una stabilità secondaria grazie all’ancoraggio biologico, dovuto alla crescita e al rimodellamento del tessuto osseo circostante. Per questo motivo le protesi non cementate sono spesso ricoperte con materiale rugoso (porous coated) nei cui interstizi può crescere ed integrarsi il tessuto osseo. Con la tecnica della crescita biologica il fissaggio avviene quindi grazie allo sviluppo osseo in una superficie porosa. L'ancoraggio biologico richiede alcune settimane per cui il decorso operatorio è più lungo di quello necessario per le protesi cementate: il paziente può rimettersi in piedi già alcuni giorni dopo l'intervento, ma solo dopo almeno quarantacinque giorni può camminare caricando completamente l'arto. Le protesi non cementate vengono utilizzate per lo più in pazienti giovani con alte richieste fisiche.

 L'artroplastica ibrida consiste in una combinazione di elementi cementati e non cementati; più comunemente sono usati uno stelo femorale cementato e una coppa acetabolare non cementata. La cementazione dello stelo,

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usando le tecniche attuali, consente un carico più precoce e senza limitazioni e presenta una frequenza più bassa di lieve dolore alla coscia, mentre il fatto di lasciare la componente acetabolare non cementata evita le conseguenze della frammentazione e dell'allentamento del cemento. In molti centri la protesi ibrida è ora la tecnica preferita per l'artroplastica primaria nei pazienti oltre i 60 anni.

Fig. 5:Protesid'anca: (a)-(d) cementata; (b) ibrida; (c)-(e) non cementata.

La vita della protesi dipende dal processo d’integrazione fra due entità

profondamente diverse: osso e protesi. Il primo ha una struttura complessa e in costante evoluzione, mentre la seconda ha una struttura notevolmente sollecitata,

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sia dall’ambiente chimicamente aggressivo, sia dai carichi indotti dall’attività motoria.

L’integrazione totale fra queste due entità è attualmente irraggiungibile, non solo per le diverse proprietà meccaniche delle due componenti ma anche per

l’impossibilità della protesi di modificarsi in relazione al continuo cambiamento dell’ambiente circostante.

Per questo non si può pensare di realizzare una protesi che assicuri una durata illimitata dell’impianto, ma si può cercare di affinare sempre più il processo di ottimizzazione dell’impianto stesso. Ciò significa trovare una soluzione che alteri il meno possibile la distribuzione del carico e delle tensioni fisiologiche originarie e, nello stesso tempo, che assicuri un ancoraggio duraturo.

La ricerca di un buon ancoraggio ha portato alla nascita di due diverse scuole di pensiero: una fa riferimento a protesi cementate e l’altra a quelle non cementate. Entrambe le soluzioni presentano problemi comuni, come la reazione tissutale agli inevitabili prodotti dell’usura e problemi specifici.

L’uso di protesi cementate comporta in generale i seguenti problemi:

 reazione necrotica dell’osso dovuta al calore durante la polimerizzazione del cemento, che è costituito da una resina acrilica che indurisce con una reazione esotermica (producendo temperature dell’ordine di 80°C);

 scarse caratteristiche meccaniche del cemento, soprattutto in termini di resistenza alla fatica, alle quali si affiancano problemi di invecchiamento, con decadimento delle proprietà meccaniche nel tempo: il cemento tende a fessurarsi o sbriciolarsi e a mobilizzare l’impianto;

 elevate tensioni all’interfaccia tra stelo e cemento, dovute alla forte

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contro 210.000 MPa per le leghe Cr-Co e 107.000 MPa per le leghe di titanio), che provocano nel tempo il distacco dello stelo dal cemento. L’utilizzo di protesi non cementate elimina i problemi connessi all’utilizzo del cemento, ma presenta alcuni aspetti critici:

 ottenimento di una stabilità primaria (di tipo meccanico);

 ottenimento di una stabilità secondaria (di tipo biologico);

 schermatura delle tensioni trasmesse (stress-shielding), soprattutto nella regione prossimale del femore che risulta sollecitata in misura

notevolmente inferiore rispetto alle condizioni fisiologiche del femore intatto: questa situazione costituisce il presupposto per l’insorgere di problemi di riassorbimento osseo (3), (4), (5).

2.2 Protesi parziali o endoprotesi

L'endoprotesi sostituisce, con una superficie artificiale, solo metà dell’articolazione dell'anca, solitamente la componente femorale.

Per endoprotesi si intende quindi la sostituzione parziale della sola componente femorale e l'accoppiamento dell'impianto con l'acetabolo fisiologico del bacino. Viene eseguita più comunemente a seguito di fratture al collo del femore.

La testa del femore viene quindi rimossa e sostituita con una protesi femorale, di tipo cementato o non cementato.

Questo intervento viene eseguito su persone particolarmente anziane che non utilizzano molto l'articolazione.

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In tali pazienti, con limitazioni funzionali gravi e/o con importanti malattie generali, la scelta di applicare un'endoprotesi riduce i tempi chirurgici e permette una veloce ripresa della verticalità e della deambulazione.

Nel paziente giovane o comunque funzionalmente più attivo, la presenza della testa protesica a diretto contatto con il cotile osseo può portare ad un'usura precoce del cotile stesso, detta cotiloidite.

E' quindi necessario rioperare il paziente per “completare” l'intervento applicando un cotile protesico.

In questo modo l'endoprotesi viene trasformata in un'artroprotesi.

Nei pazienti giovani e/o più attivi quindi, anche in presenza di frattura, si procede subito all'applicazione di un'artroprotesi totale dell'anca, sostituendo sia il femore prossimale che il cotile.

L’endoprotesi può essere unipolare o bipolare.

L'endoprotesi unipolare è costituita da una componente femorale che si articola direttamente con la superficie cartilaginea nativa dell'acetabolo.

L'endoprotesi bipolare è costituita da una componente femorale che si articola con una coppa inserita senza fissaggio nel nativo acetabolo.

La coppa è generalmente realizzata in polietilene con un supporto di metallo e può normalmente muoversi all'interno della cavità acetabolare nativa, come risultato dell'assenza di fissaggio (6).

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22 Fig. 6 protesi parziale o endoprotesi.

2.3 Le componenti dell’artroprotesi totale

L'artroprotesi o protesi totale d'anca può essere suddivisa concettualmente in varie parti (3):

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• cotile (o coppa acetabolare o acetabolo protesico): è la parte che viene fissata al bacino mediante viti, cemento chirurgico, avvitamento o forzamento meccanico nell'acetabolo primario. Può presentarsi rivestito di idrossiapatite, che aumenta l'ancoraggio biologico, filettato o poroso;

• testina (o epifisi protesica): è la parte terminale della componente femorale, normalmente di forma sferica, che si accoppia con la cavità interna del cotile per formare l'articolazione protesica. La testina può essere un solo pezzo con lo stelo oppure modulare, cioè separata dallo stelo femorale e ad esso fissata durante l'intervento mediante accoppiamento conico. E' disponibile in diametri diversi (7);

• stelo: è la parte che viene inserita nella cavità femorale ed è fissato mediante cemento chirurgico o meccanicamente. Può anche essere rivestito da uno strato di idrossiapatite per aumentare l’osteointegrazione.

Può essere standard (impiantabile sia a destra che a sinistra) oppure anatomico (stelo destro o stelo sinistro);

• collo: può essere definito come la porzione di stelo che unisce la testina, o il cono di fissaggio, al corpo dello stelo;

• colletto: presente in alcuni modelli protesici, è una linguetta solidale con lo stelo che all'inserimento di questo nel canale femorale, dovrebbe appoggiarsi sulla parte superiore del femore trasferendogli parte del carico.

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3. LE PROBLEMATICHE A CARICO DELL’ANCA

Fratture

La frattura dell'anca è la conseguenza più grave di una caduta nelle persone anziane con osteoporosi. L'87% fino al 96% dei pazienti con frattura dell'anca hanno 65 anni o più. La frattura dell'anca è una malattia molto grave, è la seconda causa di morte negli Stati Uniti d'America dopo le malattie cardio-vascolari. Uno studio scientifico ha infatti dimostrato che la sopravvivenza di una persona diminuisce drammaticamente subito dopo una frattura dell'anca. I tassi di mortalità all'anno sono di circa il 12-37% in questi pazienti. Circa la metà di questi pazienti, inoltre, non sono in grado di riconquistare la loro capacità di vivere in modo indipendente. Le fratture dell'anca sono anche un enorme problema sociale: a livello mondiale, si prevede che il numero totale di fratture dell'anca superi i 6 milioni entro il 2050. Un totale di 310.000 individui sono stati ricoverati in ospedale con fratture dell'anca negli Stati Uniti solo nel 2003, secondo i dati forniti dall' US Agency for Healthcare Research and Quality, che rappresentano il 30% di tutti i pazienti ospedalizzati. Circa un terzo (101.800) dei pazienti con fratture dell'anca si sottopongono ad intervento chirurgico di sostituzione protesica.

Le fratture del femore si verificano più comunemente in seguito ad una caduta o ad un colpo diretto al lato dell'anca. Alcune condizioni mediche come l'osteoporosi, il cancro, o lesioni da stress possono indebolire l'osso e rendere l'anca più suscettibile alla rottura. In casi gravi, è possibile per un anziano fratturarsi il femore semplicemente con una torsione dell'anca con il paziente in piedi senza caduta.

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Il paziente con una frattura dell'anca avrà dolore alla parte alta della coscia esterna o nell'inguine. Avvertirà un forte disagio con qualsiasi tentativo di flettere o ruotare l'anca.

Se l'osso era già indebolito da una malattia (come una frattura da stress dovuta anche all'osteoporosi o al cancro), il paziente avvertirà dolore all'inguine o alla coscia per un periodo di tempo già prima della frattura. Se l'osso è completamente rotto, la gamba può sembrare più corta della gamba sana. Il paziente spesso terrà la gamba fratturata in una posizione anomala con il piede e il ginocchio rivolti verso l'esterno (rotazione esterna).

La diagnosi di una frattura del femore dell'anca è generalmente fatta con una radiografia dell'anca e del femore.

In alcuni casi, se il paziente cade e si lamenta di dolore all'anca, una frattura incompleta potrebbe non vedersi con una normale radiografia. In tal caso, la risonanza magnetica può essere consigliata. La risonanza magnetica di solito è in grado di mostrare una frattura nascosta.

In generale, ci sono tre diversi tipi di fratture dell'anca. Il tipo di frattura dipende da quale area del femore è coinvolta:

• Fratture intracapsulari.

• Fratture pertrocanteriche.

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Le fratture intracapsulari si verificano a livello del collo e della testa del femore, e sono generalmente all'interno della capsula. La capsula è l'inviluppo di tessuti molli che contiene il liquido lubrificante e nutriente dell'anca. Fratture intracapsulari sono state trovate in pazienti significativamente più giovani (media 72 anni), con un rapporto donne a uomini di 1,3: 1 (8) (9). Le fratture pertrocanteriche si verificano tra il collo del femore e una prominenza ossea inferiore chiamata piccolo trocantere. Il piccolo trocantere è un punto di attacco per uno dei principali muscoli dell'anca (l'ileopsoas). Le fratture generalmente incrociano nella zona tra il piccolo trocantere e il grande trocantere. Il grande trocantere è la sporgenza ossea che si può sentire sotto la pelle sulla parte esterna dell'anca. Esso agisce come un altro punto di inserzione dei muscoli. Le fratture pertrocanteriche sono quelle che si verificano più frequentemente (81,5%); l'età dei pazienti era più alta (80 anni in media). Le fratture sottotrocanteriche si verificano sotto il piccolo trocantere, in una regione che si trova tra il piccolo trocantere e una superficie a circa 2-3 cm più sotto. In casi più complessi, la frattura può coinvolgere più di una di queste zone.

Una volta effettuata la diagnosi della frattura dell'anca, saranno valutate le condizioni di salute e mediche generali del paziente. In casi molto rari, il paziente può essere così malato che la chirurgia non è consigliabile. In questi casi,

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il comfort generale del paziente e il livello di dolore devono essere soppesati contro i rischi dell'anestesia e della chirurgia.

La maggior parte dei chirurghi concordano sul fatto che per questi pazienti è meglio l'intervento chirurgico e che questo venga eseguito abbastanza rapidamente, in genere entro le 48 ore. Tuttavia è altrettanto importante massimizzare la loro salute medica generale prima dell'intervento chirurgico per assicurare la sicurezza dei pazienti e diminuire i rischi dell'intervento chirurgico. Questo può significare prendere tempo per ricoagulare il sangue nei pazienti scoagulati, per fare studi diagnostici ematici, cardiaci e altro.

L'intervento chirurgico riduce il dolore, consente la mobilizzazione e la deambulazione precoci, riduce il rischio di piaghe da decubito, trombosi ed embolie polmonari dovuti all'immobilizzazione a letto.

I pazienti che potrebbero essere candidati per il trattamento non chirurgico, invece, sono quelli che o sono troppo malati per sottoporsi a qualsiasi forma di anestesia o le persone che non erano in grado di camminare già prima della loro frattura.

Prevenzione delle fratture dell'anca

La prevenzione di queste fratture è senza dubbio il miglior trattamento.

Capire le cause di queste fratture ci aiuta a prevenirle: molte fratture dell'anca sono dovute alla scarsa qualità dell'osso e alle cadute. Con l'avanzare dell'età, la qualitá delle nostre ossa è influenzata da fattori genetici, dall'alimentazione e dall'esercizio fisico e dalla perdita ormonale. Non possiamo cambiare i nostri geni, ma possiamo controllare la nostra alimentazione e il livello di attività e se necessario, prendere farmaci per l'osteoporosi.

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Ci sono cose che durante la vostra vita potete fare per mantenere e migliorare la vostra resistenza ossea.

La resistenza ossea diminuisce con l'avanzare dell'età. Le ossa possono diventare molto deboli e fragili (una condizione chiamata osteoporosi). L'osteoporosi si sviluppa spesso nelle donne dopo la menopausa e negli uomini in età avanzata. Questo disturbo non è altro che un assottigliamento osseo che mette le persone a maggior rischio di fratture, in particolare le fratture dell'anca, del polso e della colonna vertebrale.

Artrosi

L’artrosi è una malattia reumatica di tipo degenerativo con interessamento primitivo della cartilagine articolare e con modificazioni secondarie di tutti i restanti componenti articolari.

L’artrosi rappresenta da sola il 50% di tutte le malattie reumatiche. Il sesso femminile è più colpito rispetto al sesso maschile.

Può essere classificata in:

 Artrosi primaria quando non possiamo riconoscere dei fattori di causa

 Artrosi secondaria quando siamo in grado di riconoscere dei fattori causali ben precisi quali: diabete, artrite reumatoide, gotta, condrocalcinosi, fratture, displasia congenita dell’anca, obesità.

L’esordio della malattia è subdolo tanto che il paziente difficilmente si rivolge al medico in fase precoce.

Con il progredire della malattia le alterazioni degenerative delle superfici articolari determinano la comparsa di dolore e una progressiva limitazione dell’ampiezza dei movimenti.

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Il dolore è presente sia alla palpazione sia ai movimenti attivi e passivi ed è aumentato dal movimento e dal carico prolungato, mentre tende a ridursi con il riposo.

Nelle fasi avanzate di malattia il dolore può persistere anche a riposo.

La gravità del quadro radiografico non è sempre rapportabile allo stadio clinico della malattia. I segni radiografici possono precedere i sintomi e viceversa.

Nel caso di artrosi dell’anca o coxartrosi il dolore è inizialmente di tipo nevralgico irradiato in regione antero-mediale della coscia fino al ginocchio, successivamente si manifesta in regione inguinale.

La sintomatologia dolorosa insorge ai primi passi e dopo carico prolungato, successivamente diviene costante.

Nelle fasi più avanzate si ha ipotrofia muscolare dei glutei e del quadricipite. Si può anche osservare un accorciamento dell’arto interessato.

La mobilità viene compromessa velocemente; nelle fasi più precoci di malattia viene limitata l’intrarotazione e quindi l’estensione, l’abduzione, l’adduzione e infine la flessione.

Il trattamento deve essere rivolto a migliorare le condizioni che favoriscono l’instaurarsi della malattia come ad esempio l’eccesso ponderale e quindi vanno intraprese una dieta e un’attività fisica regolare.

Nella maggior parte dei pazienti affetti da osteoartrosi, l'attività fisica moderata permette un aumento della funzionalità articolare e una riduzione del dolore (10).

Nelle persone in sovrappeso, il calo ponderale può rappresentare un fattore importante, in quanto garantisce da una parte una riduzione del dolore, dall'altra un aumento della funzionalità e una riduzione della rigidità e dell'affaticamento, riducendo la necessità di una terapia farmacologica. Una metanalisi condotta nel

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2009 ha dimostrato che l'educazione del paziente alla gestione della malattia permette una riduzione media della percezione del dolore del 20% rispetto all'uso dei soli antinfiammatori nei pazienti affetti da coxartrosi (10).

Parallelamente va iniziata una terapia a base di farmaci. Il paracetamolo è il trattamento farmacologico principale nell'osteoartrosi (11) (12).In alcuni casi ha dato esito positivo anche il trattamento con un inibitore dell'interleuchina 1, la diacereina. Una review della Cochrane del 2005 ha indicato in diacereina un trattamento lievemente, ma significativamente, più efficace del placebo nel ridurre il dolore e rallentare la progressione dell'osteoartrite dell'anca (13).

Molto utile è anche una terapia fisica(elettroterapia, ultrasuoni) e una chinesi terapia che fondamentalmente consiste nella mobilizzazione attiva e passiva dell’articolazione allo scopo di ripristinare e/o mantenere la normale mobilità articolare e impedire l’ipotrofia muscolare che necessariamente consegue all’immobilità.

L'allenamento funzionale, con la gestione dell'andatura e dell'equilibrio, è raccomandato per permettere un miglioramento della propriocezione, utile a ridurre il rischio di traumi da caduta nei pazienti più anziani (14).

Quando la sintomatologia dolorosa diviene tale da limitare notevolmente l’autonomia deambulatoria del paziente deve essere presa in considerazione la possibilità di un intervento chirurgico di sostituzione protesica dell’articolazione dell’anca che ha lo scopo di ridare il movimento articolare in assenza di dolore.

Alterazioni congenite

La displasia dell’anca è una malformazione congenita relativamente frequente la cui incidenza nelle popolazioni di razza bianca oscilla tra l’1% ed il 5%

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prediligendo il sesso femminile con un rapporto che può giungere nei confronti dei maschi fino a 5:1.

Recentemente, si è deciso di abbandonare la definizione displasia congenita dell’anca (congenital dysplasia of the hip – CDH) in favore della formula displasia dello sviluppo dell’anca (developmental dysplasia of the hip - DDH) che illustra più compiutamente il fatto che le alterazioni anatomiche che si osservano in questa patologia hanno sì origine da una alterazione di sviluppo avvenuta in epoca prenatale, ma che tali alterazione evolvono durante tutto il periodo della crescita dell’individuo.

L’esito finale che si potrà osservare in età adulta dipenderà quindi dall’entità dell’alterazione congenita iniziale, dalle modalità di sviluppo a cui andrà successivamente incontro l’articolazione anche in relazione agli stimolo meccanici a cui sarà sottoposta, nonché alla precocità ed all’efficacia dei possibili rimedi terapeutici che le saranno dispensati.

Queste brevi considerazioni rendono conto di come si possano osservare quadri anatomo-patologici di DDH estremamente variabili per gravità. La classificazione più utilizzata e più utile, perché consente di quantificare l’alterazione anatomica, è quella di Crowe.

Essa calcola l’entità della dislocazione verticale della testa femorale rispetto al paleocotile in percentuale rispetto al diametro della testa femorale stessa.

Poiché nelle forme più gravi, la testa femorale può presentarsi gravemente alterata ed addirittura assente, il calcolo percentuale viene reso possibile da una formula che tiene conto dell’altezza globale del bacino.

Le lussazioni inferiori al 50% vengono definite di grado I, quelle tra il 50% ed il 75% di grado II, quelle tra il 75% ed il 100% di grado III e quelle superiori al

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100% di grado IV. Le alterazioni anatomiche in corso di DDH interessano sia l’acetabolo che l’estremo prossimale del femore.

Nelle forme di displasia meno gravi, l’acetabolo è più piccolo ed evidenzia una ridotta profondità.

Il tetto acetabolare è spesso sfuggente e corto e la parete anteriore è ipoplasica mentre quella posteriore mantiene un certo grado di consistenza.

Nei casi di lussazione, il cotile si colloca in una sede diversa da quella originaria e si presenta come una neoarticolazione in corrispondenza della parte esterna dell’ala iliaca con l’appoggio della testa femorale assicurato da un tetto osteofibroso e da una capsula ipertrofica.

Le alterazioni a carico del femore comprendono le alterazioni di orientamento a carico di collo e di forma a carico della testa e l’aumento della torsione femorale. Il terzo prossimale del femore può presentarsi ipoplasico con un canale midollare di piccole dimensioni e con una retroposizione del gran trocantere che altera la funzione muscolare.

La DDH rappresenta una delle cause più frequenti di indicazione alla protesi totale d’anca nell’adulto. Si può ricordare che il dolore nell’anca displasica è precoce – in media compare nelle donne a 37 anni e nell’uomo a 54 – e spesso precede le alterazioni radiografiche. All’età di 60 anni il 50% dei soggetti con un anca displasica ha già subito un intervento all’anca.

L’applicazione di una protesi d’anca è una delle possibili soluzioni per i pazienti affetti da DDH. E’ intuitivo che le alterazioni anatomiche che si possono

incontrare pongono dei problemi aggiuntivi tanto che nei primi anni settanta si considerava la displasia come una possibile controindicazione all’applicazione di una protesi d’anca.

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Artrite reumatoide

L'artrite reumatoide è una poliartrite infiammatoria cronica, anchilosante e progressiva a patogenesi autoimmunitaria e ad eziologia sconosciuta, principalmente a carico delle articolazioni sinoviali (15).

L'anca è coinvolta in circa il 30-40% dei pazienti con artrite reumatoide, cioè in una percentuale considerevolmente più bassa rispetto alle altre grosse

articolazioni, come il ginocchio e la spalla, e la frequenza con cui l'anca va incontro al trattamento chirurgico è un diretto risultato dei progressi dell'artroplastica della stessa articolazione.

Il processo infiammatorio a carico dell'anca inizialmente si manifesta con i classici caratteri della sinovite.

Per adattarsi al versamento, l'anca assume la posizione a cui corrisponde la minore pressione sinoviale, ossia si presenta flessa, extraruotata e addotta.

Le deformità si strutturano rapidamente e sono dimostrabili nella maggioranza dei pazienti, al momento della visita.

Il principale disturbo per il paziente è il dolore, che è in genere localizzato all'inguine, alla natica o all'esterno della coscia, ma occasionalmente è riferito principalmente al ginocchio, creando problemi diagnostici e soprattutto di timing terapeutico quando le due articolazioni sono coinvolte contemporaneamente. Quando il dolore non è controllabile mediante analgesici o addirittura impedisce sistematicamente il sonno, allora è necessaria la terapia chirurgica.

Anche la rigidità e le deformità possono rappresentare una valida indicazione, poiché minacciano la validità e l'autonomia del paziente.

La rigidità, il dolore e la tumefazione calda variano durante il giorno, manifestandosi maggiormente durante le prime ore del mattino (16).

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L'artroplastica totale ha dato buoni risultati nell'anca reumatoide, con una risoluzione del dolore in oltre il 90% dei pazienti.

Per quanto riguarda invece il recupero funzionale dell'arto inferiore, c'è da

sottolineare che dipende molto dalle condizioni delle altre articolazioni, in genere coinvolte in misura variabile ancor prima dell'anca. Buoni risultati sono stati riportati in caso di simultanea artroplastica totale di entrambe le anche o di entrambe le ginocchia. C'è poca esperienza in merito e il recupero postoperatorio è più difficoltoso.

La riabilitazione postoperatoria non presenta particolari problemi, sebbene il coinvolgimento delle articolazioni degli arti superiori da parte della malattia può impedire l'uso di supporti deambulatori. La mobilizzazione può iniziare in genere 3-4 giorni dopo l'intervento e, nella maggior parte dei casi, il paziente può lasciare l'ospedale entro 2 settimane.

L’operazione può dare in seguito alcune complicanze tra cui anemia, trombosi venosa profonda, infezioni, allentamento.

Tuttavia gli eccellenti risultati a breve e a lungo termine e l'impossibilità pratica di procedure alternative fanno dell'artroplastica totale il trattamento di scelta nella gestione chirurgica dell'anca reumatoide.

Obesità

La prevalenza di pazienti in sovrappeso è in costante aumento nella popolazione generale.

Il 67,1% degli uomini e il 53,0% delle donne nel nostro paese hanno un indice di massa corporea (BMI) ≥ 25 kg / m2. Il 23,3% degli uomini e il 23,9% delle donne hanno un BMI ≥ 30 kg / m2 (17). I dati della popolazione mondiale sono simili a questo (18).

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Come definito da BMI, 1 ogni 3 americani è in sovrappeso (19). È noto che l'obesità ha un'influenza negativa sulla formazione di osteoartrite (20).

Un maggiore BMI porta ad un aumento del rischio di aver bisogno di una protesi articolare.

La circonferenza della vita e il rapporto vita-fianchi sono stati meno fortemente associati a questo rischio (21).

Diversi studi hanno esaminato l'influenza dell’ obesità sulla necessità di una endoprotesi sostituzione dell'articolazione (22) (23).

I pazienti obesi con artrosi grave, deviazione assiale, e l'instabilità legamentosa sono una grande sfida per il chirurgo (24). Questi pazienti spesso non hanno la capacità di postoperatorio cuscinetto peso parziale.

Manca uno studio in letteratura moderna che occupa l'influenza dell'obesità sulla scelta dell'impianto individuale.

Ci sono studi che dimostrano che l'obesità è associata ad un aumentato rischio di infezione e di guarigione della ferita (25).

Tuttavia, un gran numero di persone affette da obesità sembra considerare che i benefici superano i rischi (26).

Questo studio mostra che il tempo di impianto primario di una protesi totale dell'anca è significativamente influenzata dalla fase di obesità.

Nello studio, i pazienti che hanno avuto un BMI superiore necessitano di un’ endoprotesi di sostituzione articolare in età più giovane.

E 'evidente che l'impianto principale è stata effettuato a punteggi

significativamente più bassi di funzione (HHS, HSS) con l'aumento del BMI. Questo suggerisce che i pazienti super-obesi sono stati trattati molto più cautamente rispetto ai pazienti in sovrappeso o normali. Negli stadi più alti di

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obesità, sono stati effettuati più interventi di protesi cementata totale dell'anca rispetto alle alternative completamente cementate o ibride. Una spiegazione per questo potrebbe essere il tempo più breve di un intervento chirurgico per le protesi cementate. Questo a volte può diventare necessario in questa popolazione ad alto rischio. L'obesità è associata a comorbidità multiple come il diabete di tipo II e malattie cardiovascolari (27).

È noto che i pazienti obesi hanno un alto rischio di formazione di osteoartrite. A causa del carico elevato, pazienti obesi spesso hanno una buona qualità ossea. Eppure, nei pazienti obesi che hanno una mancanza di attività fisica e talvolta disordini ormonali, una qualità ossea più povera è frequente. Tuttavia, questi pazienti spesso non manifestano reclami a causa del loro basso livello di attività (28).

Pazienti super-obesi con problemi, come le deviazioni dell'asse e l’instabilità legamentosa sono spesso esortati a perdere peso nella fase preoperatoria. In questo gruppo di pazienti, il rischio di complicazioni a seguito di sostituzione delle articolazioni sembra essere inferiore se la chirurgia bariatrica è eseguita prima (29).

Operazioni di protesi d’anca possono essere eseguite in tutte le fasi di obesità con un rischio relativamente basso perioperatorio.

La prevalenza di pazienti in sovrappeso è in costante aumento nella popolazione generale. È noto che l'obesità ha un'influenza negativa sulla formazione di osteoartrite. Un indice di massa corporea maggiore porta ad un aumento del rischio di aver bisogno di una protesi articolare.

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L'inattività fisica è un importante problema di salute in tutto il mondo (30). American Physical Linee guida di attività per gli anziani, compresi quelli con patologie croniche, consigliano 30 minuti di moderata intensità di esercizio di almeno 5 giorni alla settimana per una salute ottimale (31), (32).

Prove da studi epidemiologici suggeriscono che gli adulti attivi possono ridurre il rischio di frattura dell'anca dal 20% al 60% rispetto agli adulti sedentari (33) (34), tuttavia, il tipo, la frequenza, l'intensità e la durata delle attività necessarie per la salute delle ossa degli adulti non sono ben definiti.

Gli studi che si sono concentrati sugli uomini tendono a dimostrare un beneficio da attività simile a quello trovato per le donne.

A partire da gennaio 1986, la Health Professionals Follow-up Study ha arruolato 51 529 operatori sanitari di sesso maschile di età superiore ai 40 anni che vivono negli Stati Uniti.

Sul questionario iniziale, i partecipanti hanno fornito una storia medica e

informazioni su stili di vita e fattori di rischio legati al cancro, malattie cardiache e altre condizioni mediche.

Lo studio di follow-up ha inviato questionari ogni 2 anni per aggiornare le caratteristiche individuali e di identificare le diagnosi incidenti.

Ogni questionario ha valutato il tempo trascorso in attività ricreative e all'aria aperta.

Sono stati scelti otto tipi di attività: cammino, jogging, corsa (≤ 10 minuti / miglio), ciclismo, ginnastica o attrezzi per il fitness, tennis, squash, e nuoto. Per ogni attività sul questionario è stato assegnato un equivalente metabolico (MET), ovvero il tasso metabolico associato a tale attività calcolato in confronto al tasso di riposo.

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I punteggi per le attività nella lista variavano da 2 MET per il cammino a 7 MET per il jogging e 12 per la corsa.

E’ stato calcolato il dispendio energetico per ogni attività, come il MET punteggio moltiplicato per le ore dichiarate trascorse a settimana (MET-h / sett).

Nello studio la popolazione è stata seguita dal 1986 al 2010.

Sono stati esclusi gli uomini di origine africana antenati americani o asiatici (<3% della coorte) a causa dei differenti rischi di frattura. La popolazione finale dello studio comprendeva 35 996 uomini.

E’ stata esaminata l'attività fisica discrezionale e l’inattività ogni 2 anni in relazione al rischio di frattura dell'anca tra gli uomini di età superiore a 50 anni oltre 24 anni di follow-up in Health Professionals Follow-up Study.

Negli uomini la cui attività principale era il cammino, 4 o più ore alla settimana è stato associato un rischio inferiore del 43% .

Non è stata osservata alcuna associazione tra attività faticose o corsa e il jogging e il rischio di fratture dell'anca negli uomini. Sebbene l'attività faticose aumenta la forza muscolare, e l'impatto da corsa e jogging in particolare migliora la densità ossea, queste attività sono anche associati a un più alto rischio di caduta (33), che può compensare i benefici. D'altra parte, la maggior parte degli uomini di mezza età e gli anziani del nostro campione hanno fatto poco in esecuzione e jogging, il che rende difficile osservare un possibile beneficio.

L'attività fisica regolare può funzionare in diversi modi per prevenire fratture dell'anca. La maggior parte delle fratture derivano da una caduta (35), e gli studi clinici hanno dimostrato che l'attività regolare può ridurre le occasioni di caduta (36), (31) attraverso il miglioramento della forza muscolare (38), (39) e

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Esercizi con pesi e allenamento di resistenza possono anche ridurre il rischio di frattura poiché aumentando il carico meccanico su osso, si promuove il

rimodellamento e l’ aumento della densità (42) (43).

In generale, gli studi prospettici hanno riportato minori rischi di frattura dell'anca in uomini attivi rispetto a quelli inattivi di mezza età e anziani.

In Norvegia, gli uomini sedentari hanno avuto un significativo 150% maggiore rischio di frattura dell'anca rispetto a quelli che hanno partecipato a sport a livello amatoriale almeno 3 ore alla settimana (44).

In Danimarca, il rischio era inferiore del 25% nei partecipanti ad attività di moderata intensità per 2 o più ore a settimana rispetto agli uomini sedentari (45). Entrambi gli studi hanno valutato le attività con una semplice scala di attività a 4 livelli; Pertanto, i dettagli del tipo e l'intensità non possono essere esaminate. Uno studio americano ha registrato un significativo rischio inferiore del 49% negli uomini impegnati in esercizi attivo per 1 o più ore al giorno rispetto agli uomini che hanno lavorato per meno di mezz'ora, con una sorprendentemente grande riduzione del rischio.

Più di recente, lo studio “Tromsø” ha seguito uomini di età compresa 55 anni e più per 15 anni dopo una valutazione in base al tempo trascorso all’area aperta e in attività per il tempo libero che è stato poi utilizzato per la classificazione in 3 livelli di attività.

Uomini nel livello più alto da moderata a elevata attività hanno avuto un significativo rischio inferiore del 37% di frattura rispetto agli uomini sedentari. Camminare è stato associato linearmente a una diminuzione del rischio di frattura dell'anca negli uomini del nostro campione.

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Un ritmo più veloce a piedi è stato anche associato a un minor rischio, forse a causa di un maggiore impatto sulle ossa. Altri studi hanno riportato un minor rischio di frattura dell'anca per gli uomini che camminavano che per gli uomini sedentari.

Inoltre, camminare può prevenire le fratture dell'anca attraverso altri fattori oltre al miglioramento dellla densità ossea, come il miglioramento dell’equilibrio, della forza muscolare degli arti inferiori e la riduzione delle cadute.

E 'importante valutare l'inattività in relazione al rischio di frattura dell'anca, perché comportamenti sedentari e l'attività sono parametri da tenere in considerazione.

Stress da sovraccarico

Le fratture da stress rappresentano il 15% delle lesioni subite dagli atleti, il 4% delle quali si verificano in prossimità della pelvi (46).

Esse rappresentano uno spettro di malattie delle ossa da un infortunio precoce (reazione da stress) fino al fallimento catastrofico delle ossa (frattura).

L’osso normale comincia ad alterarsi quando viene esposto a ripetuti attacchi da parte di forze eccessive. Queste forze possono derivare da un guasto del muscolo vicino per assorbire le forze di taglio che agiscono sull’ osso o verificarsi a seguito di trazione muscolare diretta sull'osso stesso (47). Queste forze da sovraccarico alterano il normale meccanismo omeostatico osseo permettendo alla funzione osteoclastica di predominare e incitare la formazione della ferita (48) (49).

Sono stati identificati diversi fattori di rischio per lo sviluppo di una lesione da sforzo.

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I fattori di rischio intrinseci includono: il sesso femminile, l'amenorrea, la bassa densità minerale ossea, una ridotta massa corporea magra, una povera capacità aerobica, il gene valgo, e la discrepanza tra la lunghezza delle gambe (47), (48), (49).

I fattori estrinseci comprendono: una rapida progressione del programma di allenamento, il cammino su una superficie irregolare o angolata, gli sport di corsa e di salto, calzature inadeguate, il fumo, e una nutrizione povera (50), (51), (52) . Lesioni da stress pelvico possono verificarsi a livello dell’osso sacro, del ramo pubico inferiore, e fratture da stress a livello femorale(53), (54).

Le fratture da stress sul sacro e inferiore rami pubico sono considerati a basso rischio. Le fratture del collo del femore rappresentano meno del 10% di tutte le fratture da stress e sono considerate le lesioni ad alto rischio in quanto possono provocare un alto tasso di morbilità.

In generale, la gestione comporta la rimozione dalla attività fino a quando i sintomi si sono risolti.

Durante questo periodo, è importante mantenere la forma fisica cardiovascolare, la forza muscolare, e il controllo neuromuscolare.

Ridotta attività come il cammino in acqua o il ciclismo può spesso essere eseguita per mantenere la forma fisica.

La prevenzione delle lesioni da stress in futuro dovrebbe essere tentata attraverso l'educazione del paziente e del personale di formazione / coaching. La corretta progressione di un programma di allenamento è necessaria per ridurre il sovraccarico del sistema muscolo-scheletrico.

La rapida progressione dell’allenamento o l’ improvvisa introduzione di interval training pesante devono essere evitate. Un allenamento trasversale e una regolare

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esposizione a superfici di allenamento diverse possono anche ridurre il sovraccarico ciclico delle ossa.

Tumori ossei

Stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riportano che ogni anno oltre 10 milioni di persone sviluppano un tumore e solo nel 2000 sono stati stimati circa 6,5 milioni di decessi nel mondo.

Lo scheletro rappresenta la terza localizzazione di metastatizzazione delle cellule tumorali, è invece raramente sede di tumori primitivi. Nonostante la prognosi è spesso infausta, alla chirurgia ortopedica spetta un ruolo fondamentale

nell’approccio globale al paziente; infatti è in grado di migliorare nettamente la qualità della vita.

I tumori che colpiscono l’osso si possono classificare in tumori primari, originati nel maggior numero di casi dal tessuto osseo o dal tessuto cartilagineo, e tumori secondari o metastatici originati da cellule tumorali provenienti da tumori formatisi in altri organi (mammella, polmone, prostata).

Il tumore primario dell’osso è abbastanza raro (1 caso su 100.000 abitanti),

interessa soprattutto i giovani con una età media vicina ai 20 anni e con il 50% dei casi diagnosticati prima dei 59 anni. Il tumore può insorgere in tutti i segmenti ossei: nei bambini e nei giovani adulti sono interessate soprattutto le ossa che hanno una crescita rapida come, per esempio, le parti terminali delle ossa lunghe (femore, ossa del braccio), ma non sono escluse altre sedi come ginocchio, bacino, spalla e mandibola (soprattutto negli anziani).

La classificazione più seguita è quella istogenetica che distingue i vari tumori a seconda del tipo cellulare da cui originano. I tumori maligni primitivi vengono così classificati:

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A) tumori originati dal tessuto osseo (osteogenici): · osteosarcoma;

· osteosarcoma iuxtacorticale;

B) tumori originati dalla cartilagine (condrogenici): · condrosarcoma;

· condrosarcoma mesenchimale;

C) tumori gigantocellulari (osteoclastomi); D) tumori provenienti dal midollo osseo: · sarcoma di Ewing;

E) tumori di origine vascolare : · angiosarcoma;

F) tumori ossei metastatici.

Una corretta e tempestiva diagnosi dei tumori dell’osso permette al chirurgo di poter trattare la lesione nel miglior modo possibile al fine di aumentare le probabilità di un successo terapeutico.

Per la maggior parte dei tumori primitivi la probabilità di guarigione e la scelta del trattamento più adatto dipendono da diversi fattori come l’aggressività e lo stadio della malattia, la possibilità di asportarla completamente con l’intervento

chirurgico, i risultati delle analisi effettuate e le condizioni generali del paziente. I principali trattamenti per il tumore dell’osso sono la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia, spesso utilizzate in combinazione. L’utilizzo combinato di chemioterapia e chirurgia rappresenta il trattamento elettivo per tutte le forme ad alto grado di malignità. Per le forme a basso grado di malignità, è previsto solo il trattamento chirurgico.

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4. LE LINEE GUIDA NELLA PROTESI DI ANCA

Le protesi articolari sono una procedura che viene eseguita ormai routinariamente con lo scopo di ridurre il dolore, migliorare la funzione e correggere le deformità articolari.

Grandi sforzi sono stati eseguiti negli anni per migliorare la tecnica chirurgica e la qualità degli impianti.

Non meno importante è la spinta tesa a migliorare l’approccio riguardante gli aspetti di preparazione pre-operatoria del paziente sia dal punto di vista informativo sia dal punto di vista fisico.

Un recupero veloce permette di migliorare il risultato della chirurgia con un netto vantaggio per il paziente, ma anche per le amministrazioni specialmente nell’attuale clima economico che riduce continuamente i budget a disposizione. In letteratura ci sono diverse pubblicazioni che hanno studiato il risultato sul recupero funzionale del paziente sulla base dei programmi pre-operatori di preparazione del paziente.

La lezione pre-operatoria ai pazienti è ormai riconosciuta come una parte integrante del percorso clinico della protesica degli arti inferiori. La lezione generalmente ricopre i seguenti argomenti: la procedura chirurgica con i suoi benefici, rischi e complicazioni, il controllo del dolore, il percorso riabilitativo fino al recupero completo. Generalmente la lezione è supportata da materiale didattico raccolto in un libro o illustrato in filmati. È ormai dimostrato da molteplici lavori che la lezione è in grado di rendere adeguate le aspettative del paziente, ridurre i giorni di ricovero, controllare ansia e dolore, ridurre le complicanze (una tra tutte la lussazione nella protesi d’anca). In tale sede può

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inoltre essere cominciata una rieducazione preventiva del paziente che impara a svolgere gli esercizi fondamentali che dovrà affrontare dopo l’intervento.

Non esiste una definizione precisa di coaching, ma è stato descritto come un metodo per sbloccare il potenziale di una persona per massimizzare la propria performance, per incoraggiare la persona a riconoscere la propria creatività, trovare le soluzioni all’ostacolo concentrandosi sul presente e essere orientata agli obiettivi da raggiungere.

Negli ultimi anni, il coaching ha ricevuto particolare attenzione come metodo per migliorare i comportamenti e gli stili di vita dei pazienti, ricevendo attenzione crescente in pubblicazioni scientifiche in differenti ambiti riabilitativi acuti o cronici. In letteratura viene adottato ormai da tempo la figura del coach rivolto al paziente con problematiche principalmente cardiologiche, diabetiche e oncologiche al fine di promuovere una consapevolezza della malattia e di stimolare la ricerca di aspetti motivazionali che possano far migliorare lo stato psico-emozionale del paziente. In ambito ortopedico, l’attenzione all’educazione e alla motivazione del malato, ma soprattutto del contesto familiare che lo circonda, si sposa perfettamente con i percorsi di recupero rapido che rientrano sotto il nome di Fast-Track.

 Selezione del paziente e indicazione chirurgica

 Stratificazione del rischio e lezione pre-operatoria: Tutti i pazienti sono chiamati a una visita preoperatoria 2 mesi prima dell’intervento programmato. In tale sede vengono eseguiti tutti gli accertamenti per verificare l’operabilità e la classe di rischio del paziente.

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 Preparazione specifica per il Fast Track: I pazienti candidati a un percorso riabilitativo rapido vengono convocati per una seconda lezione personalizzata con il fisioterapista interamente dedicata agli aspetti riabilitativi accelerati.

 Pre-abilitazione all’intervento chirurgico: In pratica tutti i pazienti a prescindere dal percorso che seguiranno, prima dell’intervento hanno già appreso: come eseguire i passaggi posturali supino-seduto e seduto-in piedi in autonomia, come utilizzare le stampelle con schema a due e tre tempi, come eseguire gli esercizi di rinforzo muscolare isometrico degli arti inferiori in sicurezza, come salire e scendere le scale, come eseguire in sicurezza le comuni attività quotidiane. Il percorso di recupero funzionale in seguito a un intervento di sostituzione

protesica dell’arto inferiore è stato migliorato sotto molteplici aspetti che vanno dal miglioramento della tecnica chirurgica e dei materiali protesici, alla gestione delle perdite ematiche e il controllo del dolore.

Le finalità e gli obiettivi della seduta di rieducazione preoperatoria sono quelli di fornire informazioni generali sul percorso di riabilitazione postoperatorio e sulle principali precauzioni da adottare per minimizzare il rischio di lussazione. Risultano fondamentali anche adeguate istruzioni sugli ausili utilizzati durante il ricovero ospedaliero (antibrachiali, calzature adeguate, alza-water, cuscino in posizione seduta e decubito laterale) e istruzioni per il corretto allineamento posturale dell’atro operato nell’immediato postoperatorio (leggera abduzione, rotazione neutra e scarico).

Sono inoltre fornite indicazioni sul tipo di contrazioni isometriche (glutei,

quadricipiti) da effettuare con l’arto operato e su esercizi di ginnastica respiratoria (costale, diaframmatica) e di attivazione in flesso-estensione delle tibiotarsiche per la prevenzione delle complicanze polmonari e vascolari.

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Inoltre, il chirurgo ortopedico ti spiegherà i rischi potenziali e le complicanze della chirurgia di protesi d'anca, comprese quelle relative alla chirurgia stessa