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"Sepsi da Klebsiella pneumoniae-KPC: esperienza nell'ospedale di Pisa nel biennio 2012-2013"

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Direttore Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore Prof. Giulio Guido

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN

MEDICINA E CHIRURGIA

“L’epidemia di sepsi da Klebsiella pneumoniae-KPC

nell’Ospedale di Pisa: casistica 2012-2013”

Relatore

Chiar.mo Prof. Francesco MENICHETTI

Candidato

Sig./Dott. Francesca MANGANI

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Indice

Sezione I : INTRODUZIONE 1. Introduzione ... 3-5 2. Caratteristiche microbiologiche ... 6-8 3. Epidemiologia ... 9-18 4. Metodiche di laboratorio ... 19-32 5. Caratteristiche cliniche ed opzioni terapeutiche ... 33-48

Sezione II : STUDIO

6. Materiali e metodi ... 49 7. Risultati ... 50-58 8. Discussione e conclusioni ... 59-62

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1. Introduzione

Klebsiella pneumoniae è un bacillo gram negativo della famiglia delle Enterobacteriaceae considerato un comune saprofita di uomo e animali, che colonizza il tratto gastrointestinale, cute e nasofaringe oltre a ritrovarsi in varie nicchie ambientali (suolo,acqua..).

In passato è stato considerato importante causa di infezioni community-acquired soprattutto forme severe di polmonite con esiti necrotizzanti , che attualmente è diventata più rara. Dagli anni 70’ l’epidemiologia di Klebsiella pneumoniae è notevolmente cambiata poichè è diventato un germe comune sopratutto in ambito ospedaliero e conseguentemente una causa importante di infezioni nosocomiali.

In vari studi di prevalenza sono stati infatti riportate prevalenze di colonizzati di oltre l’80%, sopratutto a livello gastrointestinale ma anche nasofaringeo e cutaneo a testimoniare l’elevata capacità di colonizzazione del germe. A ciò si è affiancata la progressiva acquisizione di antibiotico resistenza che ha consentito la sua persistenza e la rapida diffusione nei contesti ospedalieri e in strutture Long term health care.

Nei decenni 70’-80’ infatti Klebsiella pneumoniae ha progressivamente acquisito resistenza plasmide mediata agli aminoglicosidici per poi acquisire plasmidi codificanti β lattamasi a spettro espanso (ESBLs), comuni anche ad altre Enterobacteriaceae, che possiedono ampia specificità di substrato in quanto capaci di idrolizzare quasi tutte le penicilline e cefalosporine comprese quelle di terza generazione. A ciò si è aggiunta successivamente l'acquisizione di resistenza anche verso i fluorochinolonici per l’accumulo di mutazioni cromosomiali, per cui i carbapenemici sono rimasti fino al 2000 l’unica e prima classe di antibiotici di scelta per il trattamento delle infezioni severe da Gram negativi ESBLs produttori [1].

Tuttavia a partire dalla fine anni 90’ una nuova classe di enzimi batterici capaci di inattivare anche i carbapenemi, nota come Klebsiella pneumoniae carbapenemasi (KPCs), si è rapidamente diffusa a partire dagli Stati Uniti (1996, primo caso in North Carolina ) al nordest Usa, Porto Rico e da qui a livello globale con Israele e Grecia attualmente considerate zone endemiche [2].

Questa rapida disseminazione nell’ultimo decennio è attribuibile ad almeno tre ordini di fattori : l’incremento della mobilità internazionale, la modalità di trasmissione paziente-paziente con un alta percentuale di reservoir rappresentata dai soggetti colonizzati a livello gastrointestinale e il trasferimento interspecie degli elementi plasmidici di resistenza [2]. Infatti Kpc è una β lattamasi che idrolizza i carbapenemici (carbapenemasi), appartenente alla classe A di Ambler, generalmente codificata da un gene plasmidico e capace di idrolizzare tutte le penicilline, le cefalosporine, aztreonam e i carbapenemici [2].

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La localizzazione plasmidica di KPCs, di cui negli anni sono state individuate 13 varianti alleliche, è responsabile della estrema versatilità e rapidità di trasmissione di tale meccanismo di resistenza sia intra che extraspecie batterica in quanto non si ritrova esclusivamente in Klebsiella pneumoniae, ma è stato identificato anche in altri generi della famiglia delle Enterobacteriaceae quali : Escherichia, Proteus, Serratia, Salmonella e anche Acinetobacter b. e Pseudononas spp. [2].

A tal proposito la CDC in un report del 2009 parla infatti di Carbapenem-Resistant Enterobacteriaceae (CRE) per sottolineare le dimensioni non solo geografico-epidemiologiche del problema [3].

La diffusione globale dei germi CRE in ambito nosocomiale pone notevoli problemi sia di ordine clinico sia per l’impatto in termini di sanità pubblica. Raramente infatti Kp.-KPC da luogo a infezioni esclusivamente community acquired in quanto i fattori di rischio per colonizzazione/infezione sono tutti associati con contatti in ambiente nosocomiale quali precedenti terapie antibiotiche, ospedalizzazioni prolungate, degenze in ICUs con la necessità di devices multipli (CVC, cateteri arteriosi, emodialisi, ventilazione meccanica) e varie condizioni di immunodepressione quali pazienti sottoposti a trapianto d’organo o con patologie linfoproliferative.

Infatti importanti studi retrospettivi (Zarkotou et al. 2011; Tumbarello et al. 2012; Qureshi et al. 2012) hanno documentato che Klebsiella pneumoniae- KPC è responsabile di varie tipologie di infezioni sia localizzate, in forma di infezioni del tratto respiratorio inferiore o urinarie, sia sistemiche (batteriemia primaria o secondaria), soprattutto in pazienti debilitati per la presenza di varie comorbidità associate (pazienti neoplastici o con disordini onco-ematologici con neutropenia post-chemioterapia, diabetici, trapiantati, con scompenso cardiaco e insufficienza renale e/o epatica in stadio avanzato) tutte associate ad alti tassi di mortalità che vanno dal 39% ad oltre il 50% a seconda della casistica in studio [106,107,108] .Data la frequente criticità di tali pazienti si impone un trattamento tempestivo, aggressivo e rapidamente efficace poichè la colonizzazione/infezione da Kp.-KPC pone vari ordini di problemi al clinico .

Innanzitutto la difficoltà di identificazione microbiologica tramite le metodiche automatizzate tradizionali che tendono a sottostimare la prevalenza della carbapenemico resistenza da cui la necessità di utilizzare ulteriori tecniche specifiche per l’identificazione microbiologica [1,2,4].

A ciò si affianca la difficoltà terapeutica per la limitata disponibilità di antibiotici efficaci in quanto la frequente multiantibioticoresistenza riscontrata restringe il campo di utilizzo a pochi antimicrobici (colistina, tigeciclina, rifampicina e meno frequentemente aminoglicosidi), da usare in terapie di combinazione per evitare ulteriori pressioni selettive, ma di cui non è stato ancora stabilito uno schema terapeutico ottimale.

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Tutto ciò comporta ritardo nella gestione efficace di tali infezioni con i conseguenti elevati tassi di mortalità/morbidità [3,4].

Alla luce di ciò in attesa di nuovi potenziali farmaci efficaci e di ulteriori studi su terapie di combinazione con quelli attualmente utilizzabili, è cruciale il contenimento della diffusione dell’infezione implementando tra loro sia adeguate misure di sorveglianza per l’identificazione precoce dello stato di colonizzazione/infezione sia mettendo in atto sets di provvedimenti per prevenire la disseminazione intraospedaliera come suggerito dalle linee guida CDC [2,4].

Inoltre, oltre alla diffusione in ambiente ospedaliero, un ruolo importante è rivestito dai ricoveri multipli in strutture per lungodegenza che fanno da punto di convergenza di pazienti ad alto rischio e quindi da auto amplificazione della cross-trasmissione tra pazienti e strutture sanitarie con notevole impatto sulla disseminazione loco regionale e nazionale [2] . Da ciò la necessità di implementare adeguati protocolli di sorveglianza attiva e di controllo infettivologico sulla base di linee guida stilate su scala nazionale e internazionale per consentire il contenimento di un fenomeno che ha ormai assunto una diffusione epidemica globale.

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2. Caratteristiche microbiologico-molecolari

Carbapenemasi

Classificazione

Le carbapenemasi sono β-lattamasi che idrolizzano i carbapenemici e che conferiscono resistenza a un vasto spettro di antibiotici β-lattamici, ovvero tutte le penicilline, le cefalosporine e i monobactamici, come le ESBLs, includendo a differenza di quest’ultime anche i carbapenemici.

Le carbapenemasi sono state classificate in base all’omologia di struttura aminoacidica in 4classi (A;B;C;D) secondo la classificazione molecolare di Ambler .

Le classi A,C,D sono accomunate dalla presenza nel sito attivo di un residuo di serina mentre la classe B si differenzia per la presenza dello ione Zinco come fattore di attività e sono per questo definite Metallo β lattamasi (MβLs). Di queste le classi A,B,D sono le più importanti riscontrate nei patogeni responsabili di infezioni nosocomiali.

β-Lattamasi Classe A

Le β-lattamasi di classe A sono caratterizzate da un meccanismo idrolitico che richiede un residuo di serina in posizione 70. Queste comprendono penicillinasi, cefalosporinasi dei gruppi TEM, SHV e CTX-M che non idrolizzano i carbapenemici e anche ulteriori gruppi che possiedono attività carbapenemasica [21].

Le β-lattamasi di classe A con attività carbapenemasica possono avere codifica cromosomiale o plasmidica. Gli enzimi a codifica cromosomiale includono SME (Serratia marcescens enzyme), NMC (non metalloenzyme carbapenemase) e IMI (imipenem-idrolyzing), quest’ultime due identificate in isolati di Enterobacter [22,23].

Gli enzimi a codifica plasmidica comprendono KPC (Klebsiella pneumoniae Carbapenemase) e GES (Guiana extended spectrum), quest’ultimo descritto sia in Klebsiella pneumoniae sia in Pseudomonas aeruginosa [8,21].

Le più importanti carbapenemasi di classe A sono il gruppo delle Klebsiella pneumoniae carbapenemasi (KPCs) di cui attualmente sono state identificate 13 varianti genotipiche. L’analisi genetica ha evidenziato che la classe di enzimi KPC sono codificati dai geni bla kpc,

localizzati all’interno di una struttura trasposonica altamente conservata (Tn4401) localizzata su plasmidi trasferibili [24,25].

Tn4401 è un trasposone di 10kb, che è stato riscontrato in oltre sette diversi plasmidi di dimensioni variabili da 12 a 80 kb, la cui struttura molecolare contribuisce a spiegare la rapida capacità di disseminazione dei geni bla KPC .

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Infatti Tn4401 è delimitato alle estremità da due “target side duplications(TSD)” e contiene due sequenze ripetute invertite a cui seguono la trasposasi tnpA, la risolvasi tnpR e due sequenze di inserzione (ISkpn6 e 7) che a sua volta sono delimitate da altri tipi di sequenze TDS, il che indica il verificarsi di eventi di trasposizione tra loro indipendenti. (fig.1)

Fig1. Struttura del trasposone Tn4401 [26]

Si ritiene che siano proprio le ISkpn6 e 7 ad aver contribuito alla genesi della struttura del Tn4401 e favorito la mobilitazione dei geni bla KPC. Dall’analisi delle sequenze poste ai lati

dell’inserzione di ISkpn7 è emersa la presenza di una sequenza di 39 kb (IRR1) che è stata

interrotta dall’inserzione di ISkpn7.(fig. 2)

Fig2. Struttura del trasposone Tn4401 [24]

Perciò si ritiene che per la genesi del Tn4401 siano necessari tre steps:

- Inserzione di un primo trasposone con i geni tnpR e tnpA delimitato dalle sequenze IRL e IRR1 a monte del gene blaKPC

- Successiva inserzione di ISkpn6 e 7 rispettivamente dopo e prima gene bla KPC che

comportava l’interruzione dell’IRR1 del trasposone iniziale

- Forzando così la trasposasi a riconoscere un'altra sequenza (IRR) localizzata però molto a valle del gene blaKPC portando all’escissione del trasposone Tn4401, contenente il gene bla,

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che può andare ad inserirsi in corrispondenza di una nuova sequenza target diventando così mobilizzabile e inseribile in varie sedi plasmidiche [24].

Ulteriori conferme di quest’ultime proprietà derivano da un altro studio condotto analizzando 16 isolati K.pn che esprimono il gene blaKPC provenienti da 5 continenti (fig. 3),

in cui si rileva la presenza di cloni diversi portatori di plasmidi diversi, ma con identica struttura geneticacorrispondente al Tn4401 e contenente il gene blaKPC , la quale può essere

all’origine della mobilitazione dei geni KPCs e la loro conseguente rapida disseminazione in K.pn e in altre specie batteriche (includendo E.coli, Pseudomonas a., Salmonella, Serratia, Enterobacter) su scala globale [25,26,27,28].

no. Isolate type

Origin KPC-2

TnpA ISKPN7 ISKPN6 Deletion, bp SHV TEM CTX-M OXA 1 YC USA + + + + –100 SHV-11 TEM-1 – OXA-9 2 GR Greece + + + + –100 SHV-11 TEM-1 – OXA-9 3 K271 Sweden + + + + –100 SHV-11 TEM-1 – OXA-9 4 KN2303 Colombia + + + + None SHV-11 – – –

5 KN633 Colombia + + + + None

OKP-A TEM-1 CTX-M-12 – 6 INC H1521-6 Colombia + + + + None SHV-1 TEM-1 CTX-M-15 – 7 INC H1516-6 Colombia + + + + None SHV-1 TEM-1 CTX-M-15 – 8 HPTU 27635

Colombia + + + + None

OKP-B

– – –

9 HPTU

2020532

Colombia + + + + None

OKP-A TEM-1 CTX-M-12 –

10 A28006 Brazil + + + + None

SHV-11 TEM-1 CTX-M-2 –

11 A28008 Brazil + + + + None

SHV-11 TEM-1 CTX-M-2 –

12 A28009 Brazil + + + + None

SHV-11 TEM-1 CTX-M-2 –

13 A28011 Brazil + + + + None

SHV-11 TEM-1 CTX-M-2 OXA-9

14 A33504 Brazil + + + + None

SHV-11 TEM-1 CTX-M-2 OXA-9 15 475 Israel + + + + –200 SHV-11 – CTX-M-15 – 16 588 Israel + + + + –200 SHV-11 TEM-1 – OXA-9 Fig 3. Origine geografica e struttura di Tn4401 in 16 isolati di K.pn [26]

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Inoltre tale studio evidenzia che questi plasmidi di Klebsiella pneumoniae KPC possono contenere anche altre β-lattamasi, quali blaTEM, bla SHV e il più diffuso blaCTX-M-15

appartenente alle ESBLs, il che complica ulteriormente l’identificazione su base fenotipica dei produttori di KPC [26].

3. Epidemiologia KPCs

Complessivamente CRE sono relativamente poco frequenti sia in Usa sia a livello globale prima del 1992.

Infatti i dati del National Nosocomial Infection Surveillance sistem (NNIS) dal 1986-1990 riportano che solo il 2,3% su 1825 isolati di Enterobacter erano non suscettibili all’imipenem [13].

I primi reports risalenti agli anni 90’ descrivono che la carbapenemico resistenza tra le Enterobacteriaceae era principalmente dovuta o all’iperespessione di β-lattamasi AmpC o a ESBLs purchè in associazione con mutazioni delle porine dell’outer membrane che conferiscono ridotta permeabilità di membrana [8,14,15,16].

A ciò si è poi aggiunto l’ulteriore meccanismo rappresentato dalle carbapenemasi, di cui la prima, appartenente alla classe A di Ambler, fu identificata nel 1993 (NmcA) e a cui seguirono le altre.

Tra le Carbapenemasi di classe A le più comuni sono il gruppo delle KPCs [7].

Il primo ceppo produttore di Kpc era una Klebsiella pneumoniae isolata nel 1996 in North Carolina attraverso il programma di sorveglianza Intensive Care Antimicrobial Resistance Epidemiology ( ICARE) [2,4,5,7,8] e inizialmente denominata Kpc-1 di cui fu dimostrata l’origine plasmidica, l’analogia di sequenza con altre carbapenemasi di classe A (specialmente Sme-1) e di attività funzionale, dimostrandosi capace di idrolizzare carbapenemici (imi-meropenem) oltre a cefalosporine a spettro espanso e aztreonam [5,8]. Seguirono ulteriori reports che continuavano a documentare isolati kpc positivi negli ospedali di New York City dal 1997 al 2001 [9] e poi in forma epidemica, interessando anche altre Enterobacteriaceae, in numerosi ospedali degli stati di New York, New Jersey con rapida estensione alla costa nordest degli Usa. [10,17,18,19].

Durante questi outbreaks dall’analisi molecolare tramite PCR sono state identificate le varianti enzimatiche KPC-2, di cui successivamente si è dimostrata l’identità strutturale con l’iniziale KPC-1, e KPC-3 [9,30].

Ulteriori nuove varianti (KPC-4-5,-6,-8,-10) furono identificate negli anni successivi (2003-2009) in Puerto Rico [31] dove, in uno studio di sorveglianza, KPCs furono identificate nel

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43% degli isolati, includendo anche E.coli, P.aeruginosa e A. baumanii, e rivelandosi un dato piuttosto elevato considerate le piccole dimensioni dell’isola [32]. (Fig.4)

Klebsiella pneumoniae carbapenemase (KPC) resistance genotypes listed by year of first identification and geographic distribution

blaKPC Year of identification Distribution

KPC-1 1996 USA (North Carolina)

KPC-2 1998–1999 USA, Israel, China, Greece, Italy, Brazil, France, Colombia, Taiwan KPC-3 2000–2001 USA, Israel

KPC-4 2003 Puerto Rico, Scotland

KPC-5 2006 Puerto Rico KPC-6 2003 Puerto Rico KPC-7 2007–2008 USA KPC-8 2008 Puerto Rico KPC-9 2009 Israel KPC-10 2009 Puerto Rico KpC-11 2010 Greece (Fig.4 )

I dati CDC del 2009 riguardanti le infezioni nosocomiali mostravano un aumento della prevalenza di CR tra gli isolati di K.pn da <1% nel 2000 all’8% nel 2007 con picchi del 38% in New York City nel 2008. [20].

Un report 2007-2009 del SENTRY Antimicrobial Surveillance Program, che ha esaminato i dati forniti da 42 ospedali per un totale di 2049 isolati K.pn, ha riportato il seguente trend di prevalenza di K.pn-KPC in USA : la maggiore incidenza si ha nell’area Medio-Atlantica (in media 28,6%) seguita dalla East North Region (2,4%) con un trend complessivo in aumento 3,1%-3,8% [11].

Dall’analisi molecolare con PFGE e multilocus sequence typing (MLST) di un campione di isolati di K.pn.-KPC inviati al CDC nel periodo 1996-2008 è emerso che la diffusione di KPCs è di tipo clonale per la presenza di un clone dominante, ST258, individuato in circa il 70% di tutti gli isolati analizzati [33].

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Attualmente in USA vengono segnalati isolati KPC in 39 su 50 stati . (Fig. 5) [12]

Fig. 5 Diffusione KPCs in Usa aggiornata a Settembre 2013 [12]

La prima comparsa di KPC al di fuori degli USA è stata riscontrata nel 2005 in un ceppo di K.pn-KPC-2 in Israele.

Successivamente da uno studio condotto su un totale di 4.149 isolati K.pn dal 2004-2006, è emerso che il 60% degli isolati apparteneva ad un singolo clone e portava il gene blaKPC-3 e i

rimanenti erano di cloni diversi con il gene blaKPC-2 .

Dato che i due geni differiscono solo per un residuo amminoacidico si è ipotizzato, data la loro coesistenza nello stesso contesto ospedaliero, che sia avvenuto un evento mutazionale con successiva diffusione clonale [34].

Dalla successiva analisi PFGE, il clone dominante era anche in questo caso ST258 correlato ai ceppi statunitensi ma il plasmide portatore del gene kpc-3 era diverso la cui origine rimane poco chiara, probabilmente per trasferimento orizzontale tra altri patogeni enterici, che sembra invece il meccanismo di diffusione principale degli altri cloni non-ST258 portatori di KPC-2 individuati [35].

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Nel 2007 l’incidenza ha raggiunto un picco del 42% con mortalità attribuibile nei pazienti con batteriemia del 50% a cui è seguito un importante caduta dell’incidenza dopo l’implementazione a livello nazionale di misure di contenimento delle infezioni [36].

Parallelamente nel 2005 si è avuta la prima segnalazione di due isolati di K.pn KPC-2 in Colombia, da notare da pazienti che non avevano viaggiato all’estero, [37] e due anni dopo fu registrata una epidemia da Kl.pn-KPC-3 il cui caso indice era un paziente che aveva viaggiato in Israele dove era endemica KPC-3 [38] da cui il ruolo dei viaggi internazionali nella diffusione mondiale delle CRE.

Si è quindi avuta un’ampia diffusione di KPC sia tra altre Enterobacteriaceae sia in Pseudomonas spp. [39] estendendosi in maniera endemica anche a Brasile e Argentina. (dati SENTRY 2008-2010).

Oltre alla Colombia nel 2004 è stato registrato il primo caso Kl.pn-KPC nella provincia dello Zhejiang (Sudest China) che è rimasta epicentro dei casi e da li la successiva diffusione all’intero paese dove, da uno studio condotto su 13 ospedali localizzati in varie province, è emerso che KPC-2 è la variante dominante ma da un clone diverso, ST11, anche se strettamente correlato al ST258 [41].

Bassa Prevalenza

Nonostante la contiguità geografica con gli Usa, il Canada rappresenta un paese a bassa prevalenza con il primo caso nel 2008 autoctono, altri casi sporadici di cui la maggior parte di importazione da Usa o Grecia e complessivamente limitati a Toronto e Ottawa a cui hanno seguito solo 7 casi KPC-3 durante 2009-2010 in forma di focolaio epidemico localizzato [40]. Analoga situazione in Australia dove si registrano <1% di casi e tutti di importazione.

Le ragioni di questa bassa prevalenza risiedono in una storia di maggiore attenzione al controllo delle infezioni da K.pn-MDR con l’istituzione precoce (dal 2004) di procedure di sorveglianza per CRE su pazienti provenienti da altri paesi, la prevalenza di trasferimenti per ragioni geografiche dal continente asiatico anziché da USA o Sud Europa o Israele dove le situazione è endemica e la pratica dell’antibiotic stewardship già attiva nelle ICUs [4].

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14 KPCs in Europa

Il primo isolato documentato in Europa risale al 2005 in Francia da un paziente precedentemente ospedalizzato a New York [42] a cui seguirono nel 2008 ulteriori reports di analoghi casi di importazione da Grecia e Israele. La tendenza in questo paese si è mantenuta stabile anche negli anni successivi ad oggi registrando solo focolai nosocomiali sporadici.

Analoga situazione nei paesi del Nord Europa anche se in UK si è passati da una situazione di casi sporadici di ST 258 Kl.pn tutti di importazione da zone endemiche fino al 2009 a un’impennata di casi tra 2010-2012 dovuta a diffusione orizzontale di plasmidi correlati a quello Israeliano più che a espansione clonale [43].

Attualmente UK si caratterizza da un pattern epidemiologico di coesistenza di vari tipi di carbapenemasi con prevalenza simile tra KPCs e i gruppi VIM e NDM [44].

Situazione opposta nel Sud Europa dove spiccano come paesi endemici la Grecia e l’Italia [45]. (fig. 7)

In Grecia fino al 2006 la carbapenemico-resistenza era dovuta principalmente al gene bla VIM-1[46]. Dopo il primo caso di importazione greca in Francia e Svezia, durante 2007-2008, si è

avuta la prima segnalazione di K.pn-KPC-2 a Creta con successiva diffusione negli ospedali di Atene, che restano l’epicentro dei casi, e da qui, rapidamente a livello nazionale. Da uno studio di sorveglianza iniziato nel 2008 condotto su 40 ospedali è emerso che tale diffusione epidemica era legata all’espansione clonale del ceppo ST258 dominante in Usa e Israele [47]. Attualmente ST258 rimane il ceppo dominante ma, a peggiorare potenzialmente la situazione epidemiologica, si sono aggiunti altri 10 cloni di cui almeno tre tipi (ST 147-323-383) sono coportatori di KPC-2 e VIM anche se la frequenza di isolamento di quest’ultimi al momento si mantiene bassa (<10%) [47,48] su un totale di 53% di K.pn-KPC stimato al 2010. A differenza di altri paesi Europei invece in Grecia non sono stati segnalati KPC-3, NDM e OXA-48 [48].

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Proportion of Carbapenems Resistant (R+I) Klebsiella pneumoniae Isolates in Participating

Countries in 2012

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[Sporadic occurrence (stadio 1), Single –Hospital Outbreaks (stadio 2a), Indipendent Hospital outbreaks (st.2b) , Regional spread (stadio 3),Interregional spread (stadio 4),Endemic (stadio 5)]

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Dalla figura 8 emerge la situazione epidemiologica in Europa secondo i risultati di un recente report che ha interessato 39 paesi europei, in cui si documenta il peggioramento del quadro dal 2010 al 2013 con 17 paesi che hanno aumentato il loro stadio epidemiologico in particolare l’Italia [53].

Nello stesso report si sottolinea inoltre la disomogeneità tra i paesi europei nell’aver attivato o meno un sistema di sorveglianza e/o aver implementato le linee-guida preventive che consentano di limitare l’ulteriore diffusione.

Si rileva infatti che misure chiave per limitare la diffusione dei CRE sono sia l’identificazione precoce, attraverso la messa a punto di adeguate metodiche di laboratorio microbiologico, sia il contenimento della diffusione attraverso lo screening del paziente e dei contatti oltre che di misure di controllo delle infezioni.

Per questo motivo è stato istituito in Europa il programma EuSCAPE per costruire una rete epidemiologica basata sui dati di laboratorio microbiologico per la identificazione dei CRE in Europa [53].

In Italia

Il primo isolamento di K.pn-KPC avviene nel 2008 a Firenze in un paziente ricoverato per infezione addominale complicata in cui dall’analisi genetica fu rilevato blaKPC-3 appartenente

a ST258, ceppo dominante in USA e Israele [49].

A ciò è seguita una rapida diffusione su tutto il territorio nazionale interessando ospedali di varie regioni (Roma, Padova, Verona, Palermo); in particolare uno studio di sorveglianza condotto su due ospedali di Padova tra Giugno2009-Dicembre 2011 ha contribuito a caratterizzarne l’epidemiologia molecolare e clinica in quanto ha documentato l’iniziale diffusione di KPC-3 ST258 e KPC-2 ST147, affiancata da due nuovi ceppi (ST527-ST37) meno rappresentati, prevalentemente confinata alle ICU che poi si è diffusa anche ai reparti medici, chirurgici e strutture per lungodegenza dimostrando la rapida capacità di mobilitazione dei geni KPC favorita sia dalla intrinseca struttura genica sia dal tipo di organizzazione dei percorsi sanitari di mobilitazione/trasferimento dei pazienti e del personale sanitario intra- e interospedaliera [50].

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Infatti i dati riportati dal sistema di sorveglianza EARS-NET per l’Italia, mostrano un brusco e importante aumento dell’incidenza di carbapenemico-Resistenza in K.pn dall’1-2% nel 2006-09 al 30% nel 2011 confermato dai risultati della rete di sorveglianza Micronet (2,2% nel 2009—19,4% nel 2012) [51] e da uno studio condotto a livello nazionale che ha coinvolto 25 lab. di microbiologia promosso dalla Società Italiana Microbiologi Clinici (AMCLI) per indagare la diffusione di CRE in Italia [52].

In questo studio emerge che anche in Italia la CRE è principalmente mediata da K.pn-KPC appartenenti ai ceppi ST258 (portatore degli alleli KPC-3 o -2) e ST512 mentre il contributo di altre carbapenemasi (VIM-1,OXA-48) è molto più limitato (9,2% / 1,3% ) così come quello di altre Enterobacteriaceae.

Inoltre conferma la distribuzione intraospedaliera con interessamento diffuso e prevalente delle ICUs (42%) e a seguire anche dei reparti di medicina (32.4%) e chirurgici (21.5%), il che è da tenere in considerazione nel pianificare le strategie di controllo infettivologico.

A tal proposito a partire dal 2012 è stato prospettato dall’Istituto Superiore di Sanità uno studio prospettico di coorte appaiato per stimare la mortalità attribuibile a K.pn-KPC su un campione di ospedali italiani di cui però a tutt’oggi non si hanno risultati [61].

Le uniche misure preventive adottate fino a oggi sono state disomogenee e solo sulla base di alcune esperienze regionali come il sistema di sorveglianza e controllo CRE avviato in Emilia Romagna nel 2011 [55] a cui sono seguiti, a partire da inizio 2013, risultati incoraggianti in termini di riduzione del numero di infezioni cliniche in particolare delle batteriemie [56]. Inoltre soltanto da febbraio 2013 il Ministero della Salute ha emesso una circolare su “Sorveglianza e Controllo delle infezioni da batteri produttori di carbapenenemasi” nella quale, su spunto delle linee guida di prevenzione CRE dell’ECDC, si ribadisce l’importanza delle misure di controllo da adottare a livello locale e regionale, si richiede la notifica dei casi di batteriemia da Kl.pn e E.coli CRE e vengono proposte linee-guida nazionali per sorveglianza attiva delle colonizzazioni da CRE e controllo della trasmissione in ambiente ospedaliero [57].

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4. Metodiche di laboratorio

Come visto l’alto tasso di trasmissibilità dei geni carbapenemasi localizzati su elementi plasmidici , spesso co-portatori di altri meccanismi di resistenza, impone la necessità dell’identificazione precoce dei ceppi produttori di carbapenemasi sia per prevenirne la diffusione sia per guidare la terapia antibiotica.

Tuttavia l’identificazione degli isolati con KPCs e altre carbapenemasi rimane difficoltoso per numerosi fattori comportando quindi una sottostima della reale prevalenza e incidenza dell’ “epidemia carbapenemasi” *2+.

L’attuale metodica di routine adottata dai laboratori di microbiologia si basa sulle raccomandazioni promulgate dalle linee guida del CDC e fatte proprie dall’AMCLI (Associazione italiana microbiologi clinici) per cui l’identificazione dei produttori di carbapenemasi si basa come primo step sull’analisi dei test di suscettibilità ai carbapenemici tramite sistemi automatizzati o metodiche di diffusione su piastra.

L’identificazione tramite sistemi automatizzati si è rivelata problematica dato che sono stati riportati risultati molto variabili che vanno da meno del 7% a oltre 87% di ceppi Kl.pn-KPC riportati come sensibili all’imipenem o meropenem a seconda delle metodiche usate *5+. Da uno studio statunitense condotto per valutare la sensibilità/specificità delle varie metodiche per l’identificazione di Kpcs è emerso che nessuna metodica ha dimostrato il 100% di sensibilità/specificità.

Il metodo di micro diluizione in brodo ha la più alta sensibilità (>90%) con tutti e tre i carbapenemici testati (meropenem/imipenem/ertapenem) rispetto ai sistemi automatizzati (Vitek2, Microscan, Phoenix), all’E-test e diffusione su piastra che davano risultati molto più variabili con sensibilità >90% ottenibile solo testando ertapenem, che si è dimostrato l’indicatore più sensibile di presenza di KPCs indipendentemente dalla metodica usata *58+ come raccomandato anche da CDC.

Inoltre vari altri studi hanno sottolineato la difficoltà di identificazione dei fenotipi produttori di carbapenemasi con i sistemi automatizzati con una ampia variabilità tra loro in termini di sensibilità/specificità. In particolare i sistemi automatizzati non riescono ad avere una sensibilità/specificità, che dimostri una adeguata ricaduta clinica riguando la terapia, nell’individuazione dei meccanismi non-carbapenemasici di resistenza, mediati dall’ESBLs o AmpC combinati con perdita di porine, che presentano valori di MIC sovrapponibili rispetto a KPCs percui la non-suscettibilità a ertapenem non è sempre specifica di produzione di carbapenemasi [59,60].

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Anche il test di sensibilità eseguito usando la metodica E-test può dare risultati variabili con possibili difficoltà interpretative legate alla possibile crescita di colonie sparse all’interno della zona di inibizione creando problemi nella lettura dell’esatto valore di MIC che tende ad essere sovrastimato anche se in genere in misura minore rispetto ai sistemi automatizzati [59].

Ciò ha ricadute importanti in termini di appropriatezza terapeutica.

Infatti secondo uno studio osservazionale eseguito da Sbrana F. et al che ha messo a confronto due regimi terapeutici carbapenem sparing (tigeciclina+gentamicina o colistina) formulati sulla base dei valori di MIC ottenuti con Vitek 2 e E-test, è emerso che il regime terapeutico scelto era da considerarsi appropriato, in termini di risposta terapeutica e di sopravvivenza a 30 giorni dopo la dimissione, nel 12% dei casi sulla base delle MICs individuate con Vitek2 e arrivava al 100% basandosi sull’E-test. Alla luce di tali risultati gli autori suggeriscono che i risultati delle MICs ottenuti con i sistemi automatizzati dovrebbero essere confermati con metodi di secondo livello come l’E-test prima di considerare i valori dell’antibiogramma come definitivi. Va comunque sottolineato che tali risultati restano da confermare data l’esiguità del numero di campioni e della tipologia di pazienti esaminati [74].

Queste difficoltà identificative son legate a vari fattori :

Il primo problema che si incontra è che la presenza di KPCs non sempre conferisce un alto livello di resistenza ai carbapenemici in vitro ma può esprimersi anche solo come ridotta suscettibilità che rimane al di sotto del breakpoint di sensibilità [17] . Infatti, per esprimere la piena resistenza ai carbapenemici in genere è necessaria la presenza di un secondo meccanismo di resistenza quali l’alterazione di permeabilità della membrana esterna per mutazioni delle porine oppure la coesistenza di ESBLs o AmpC β-lattamasi o altri tipi di carbapenemasi [2,8].

Di conseguenza questa riduzione di suscettibilità può non venir segnalata dalle metodiche di identificazione in quanto rientra sempre al di sotto del range di sensibilità interpretando quindi come “sensibile” ceppi che in realtà in vivo sono resistenti ai carbapenemici.

In aggiunta a ciò la capacità di identificazione con sistemi automatici può venir meno se la quantità di inoculo batterico analizzato è inferiore rispetto ai valori raccomandati (5x105 CFU/ml) e si ritiene che questa sia la principale causa di risultati falsi negativi. [59]

Inoltre la resistenza KPC-mediata è espressa in modo eterogeneo tra specie batteriche diverse rendendo molto difficoltoso stabilire un valore di cut-off uniforme per l’identificazione fenotipica di resistenza *2+.

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Alla luce di ciò nel 2010 i valori di breakpoints per i carbapenemici sono stati rivisti e abbassati sia da CLSI sia dall’EUCAST per consentire una migliore identificazione degli isolati carbapenemico-resistenti. (Fig. 9)

Fig. 9.Clinical and Laboratory Standards Institute Interpretive Criteria for Carbapenems and Enterobacteriaceae [69]

Inoltre nell’influenzare la sensibilità dell’identificazione oltre al tipo di metodica hanno un ruolo i valori di riferimenti usati in quanto nel caso dei carbapenemici i breakpoints EUCAST sono più alti dei quelli CLSI. (Fig. 10)

Fig. 10 Breakpoint values for carbapenems according to the US (CLSI) and European (EUCAST) guidelines, as updated June 2010 (MIC values, mg/L)

CLSI

EUCAST

S (≤) R (≥) S (≤) R (≥) Imipenem 1 4 2 8 Meropenem 1 4 2 8 Ertapenem 0,5 2 0,5 1 Doripenem 1 4 2 8

Tra i carbapenemici l’ertapenem sembra il miglior candidato per l’identificazione dei produttori di carbapenemasi dato che i valori di MICs sono di solito minori di quelli di altri carbapenemici. Previous breakpoints (M100-S19)MIC (lg/mL) Revised breakpoints (M100-S20)MIC (lg/mL)

Agent Susceptible Intermediate Resistant Susceptible Intermediate Resistant

Doripenem . . . ≤1 2 ≥4

Ertapenem ≤2 4 ≥8 ≤0.25 0.5 ≥1

Imipenem ≤4 8 ≥16 ≤1 2 ≥4

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Alla luce di questa rivisitazione dei breakpoints, secondo le linee guida sia EUCAST sia CLSI è consigliato e sufficente basarsi solo sui valori di MICs e riportarli cosi come trovati (“Reported as found”) senza eseguire ulteriori test di ricerca fenotipica del meccanismo di resistenza se non per studi epidemiologici o per scopi di controllo delle infezioni [61,62]. In realtà queste indicazioni sono state poste in discussione da vari studi in cui si afferma che l’identificazione dei produttori di carbapenemasi basandosi solo sui valori di MICs può mancare di sensibilità in quanto bassi livelli di resistenza ai carbapenemici è stata osservata in modo variabile in Enterobacteriaceae e Acinetobacter per tutte le classi di carbapenemasi (kpcs, MBLs, Oxa 48) da cui quindi l’importanza di identificarne il tipo *71+. Inoltre tali studi sottolineano le ricadute negative delle indicazioni CLSI/EUCAST sia in termini di capacità di sorveglianza epidemiologica sia clinico-terapeutici data la scarsità di successo di regimi monoterapeutici con carbapenemici in casi di sensibilità in vitro, molto probabilmente correlata al rischio di esercitare una pressione selettiva in vivo autoselezionando ceppi con maggiori livelli di resistenza ai carbapenemici [63,64].

Non c’è tuttavia accordo su quale debba essere il valore cut-off di MIC a cui riferirsi per avviare ulteriori test per l’identificazione dell’attività carbapenemasica.

Da tale studio vengono proposti ulteriori test su tutti gli isolati di Enterobacteriaceae con valori di MIC per ertapenem ≥ 0,5 mg/L oppure MIC per imipenem e meropenem ≥ 1mg/L o comunque su qualsiasi isolato che mostri anche una lieve riduzione di suscettibilità ai carbapenemici [63].

Anche L’AMCLI concorda su questa linea di pensiero e consiglia nella pratica di laboratorio di sospettare la produzione di carbapenemasi in tutti gli isolati di Enterobacteriaceae con valori di MIC superiori ai rispettivi cut-off epidemiologici (ECOFF) dei ceppi wild-type della specie corrispondente. Siccome però le metodiche usate per determinare le MIC non consentono di misurare valori di MIC dei carbapenemici nel range dei valori ECOFF, viene raccomandato di procedere ai test fenotipici quando si hanno MIC per meropenem ≥ 0.5mg/L o diametro dell’alone di inibizione ≤ 25mm preferendo il meropenem perché dotato di maggiore specificità rispetto a imipenem e ertapenem. [65]

Alla luce di ciò sono stati messi a punto vari test fenotipici da poter usare nella attività diagnostica di routine per le conferma della produzione di carbapenemasi.

La metodica suggerita dal CLSI è il test di Hodge modificato (MHT) [61].

In tale test viene seminato un ceppo di E.coli suscettibile su una piastra Mueller-Hinton al cui centro viene posto un dischetto meropenem o imipenem e il ceppo da testare viene strisciato in prossimità del dischetto di antibiotico e in linea retta verso la periferia della piastra. La crescita del ceppo di E.coli vicino al disco di antibiotico o lungo la striscia

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evidenzia la presenza di attività carbapenemasica. Infatti viene cosi evidenziata la riduzione dell’attività del carbapenemico saggiato nei confronti del ceppo indicatore sensibile mediata dalla carbapenemasi prodotta dal ceppo in esame [61]. (Fig. 11)

Fig. 11. Freccia rossa, ceppo Kl.pn-KPC positivo ; freccia blu,ceppo Kl.pn-KPC negativo

Tale metodica secondo alcuni studi ha buona sensibilità/specificità nell’individuare la produzione di carbapenemasi *58+ ma ha ridotta specificità nell’identificare il tipo di carbapenemasi , con risultati falsi positivi per ceppi produttori di AmpC o ESBLs di tipo CTX-M con ridotta permeabilità della membrana esterna [67].

Inoltre sono stati riportati falsi negativi in caso di ridotta espressione della carbapenemasi, il che è stato osservato soprattutto con ceppi produttori di MBLs o con bassi valori di MIC per i carbapenemi.

Altro problema è che Il test di Hodge, oltre ad essere time-consuming perché richiede almeno 24-48h per la sua lettura, è più difficilmente standardizzabile e si è dimostrato operatore dipendente nell’interpretazione dei risultati *65+.

Risultati contrastanti emergono da uno studio osservazionale condotto da Ana Paula Cury, condotto esaminando 1521 isolati di Enterobacteriaceae resistenti all’ertapenem, (in cui è stato identificato con metodiche di genetica molecolare che il 30% degli isolati era portatore del gene blaKPC) che ha messo in evidenza che il test di Hodge modificato, messo a confronto con le metodiche molecolari, poteva raggiungere un valore predittivo negativo del 100% e una concordanza del 98% con i test molecolari, se adeguatamente standardizzato e utilizzato con scopi epidemiologici per individuare i ceppi di Klebsiella pneumoniae produttori di carbapenemasi [68].

Per superare i problemi di specificità del MHT sopratutto in contesti epidemiologici in cui sono coesistenti altri meccanismi di carbapenemico resistenza, è stato proposto un altro test fenotipico che si basa sull’utilizzo di dischetti di carbapenemici combinati con composti derivati dall’acido boronico. Tali composti sono gli unici inibitori delle serino βlattamasi con

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azione diretta sul loro sito attivo pur non avendo una struttura βlattamica e hanno capacità inibente sia su AmpC, varie β lattamasi di classe A oltre ad alcune ESBLs (CTX-M).

In tale test l’alone di inibizione attorno al dischetto contenente il carbapenemico viene confrontato con l’alone di inibizione attorno al dischetto con carbapenemico ed acido boronico, se il diametro del secondo alone è almeno 5mm maggiore del diametro del primo alone il test è considerato positivo per produzione di KPCs [69]. (Fig. 12)

Fig.12. Piastra con dischetti di meropenem (MRP) e meropenem+PBA (MR+BO)

Vari studi hanno dimostrato che tale test usando carbapenemici più o meno acido fenilborico (PBA) ha elevata sensibilità (100%) e specificità (97,6%) nell’identificazione di KPC in particolare usando meropenem, imipenem e cefepime addizionati con 400µg di PBA rispetto sia ad altri substrati antibiotici che ad altri dosaggi e/o tipologia di derivato boronico , come l’acido aminofenilboronico (APBA) che mostra minore affinità e quindi minore attività inibente verso KPCs [70,71].

Alla luce di questi dati oltre alla facile eseguibilità pratica e interpretativa dei risultati, tale test si rivela molto utile quando si saggiano ceppi appartenenti a specie che non producono naturalmente AmpC quale Klebsiella pneumoniae, ma va tenuto presente che possono esservi falsi positivi in caso di ceppi produttori di tali enzimi (Enterobacter,Serratia..) o con ceppi che hanno acquisito Ampc plasmidica o mutanti con iperespressione di AmpC. In questi contesti è utile eseguire il test di inibizione con cloxacillina in quanto inibisce le AmpC ma non le KPCs [65].

Oltre a tali metodiche su piastra, alcuni studi hanno valutato l’utilità della spettrometria a UV e MALDI-TOF non solo come metodiche di identificazione e classificazione epidemiologica dei clusters di ceppi batterici, ma anche come test di conferma della presenza di carbapenemasi come meccanismo di carbapenemico resistenza. Questa metodica si basa sulla misurazione con spettrometro UV (Lunghezza d’onda 297nm) dello

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spettro di idrolisi dell’imipenem prodotto da parte di un estratto batterico contenente carbapenemasi ottenuto dopo 18h da brodo di coltura.

Tale metodica ha dimostrato 100% sensibilità e 98,5% di specificità nell’identificazione di qualsiasi classe di carbapenemasi (A(KPCs); MBLs..) distinguendole così da meccanismi non carbapenemasici di resistenza (AmpC;ESBLs.)[63].

Ha il vantaggio di essere una tecnica di facile eseguibilità oltre a fornire risultati rapidi nell’arco di 1-2.5h che la rendono una metodica utile soprattutto in contesti di epidemia con costi più contenuti rispetto alle metodiche molecolari di tipo PCR.

Un importante vantaggio rispetto alle metodiche fenotipiche su piastra è la standardizzazione della metodica che ne riduce l’operatore dipendenza. Altro aspetto promettente risiede nella sempre maggiore diffusione di tali strumentazioni e software di elaborazione dati nei laboratori di microbiologia per l’identificazione dei ceppi batterici [72,73].

Tuttavia il limite principale di tale metodica, anche rispetto ai test fenotipici, è l’incapacità di discriminare i diversi tipi di carbapenemasi e comunque resta ancora una metodica time consuming perché richiede uno step preliminare di almeno 12h di coltura in brodo [63]. Alla luce di ciò le metodiche molecolari basate su tecniche PCR rimangono il gold standard per l’identificazione e differenziazione delle classi di carbapenemasi in quanto sull’amplificato possono essere applicate le tecniche di sequenziamento che consentono l’identificazione dell’esatto tipo di carbapenemasi *63+.

Sono state sviluppate molteplici tecniche PCR consentendo una notevole riduzione dei tempi di refertazione entro le 4-6h con metodiche di PCR convenzionale, che scendono sotto le 3h con metodiche PCR real-time, pur mantenendo una elevata sensibilità e specificità [63]. In particolare sono stati condotti vari studi che documentano l’utilità delle metodiche PCR real time multiple che consentono di identificare i vari alleli dei geni delle serino-carbapenemasi (kpc 2-11) in modo rapido, con elevata sensibilità-specificità ed evitando la tappa di sequenziamento post-amplificazione che sarebbe richiesta con la PCR convenzionale consentendo così un risparmio di tempo e di carico di lavoro [74]. Questa metodica di identificazione delle varianti alleliche KPCs si è prospettata utile soprattutto per scopi epidemiologici per consentire la ricostruzione delle tappe evolutive delle varianti dei geni blaKPC oltre alla loro distribuzione geografico-epidemiologica [74].

In uno studio condotto da Monteiro et al. si documentano ulteriori sviluppi di queste metodiche con finalità extra-epidemiologiche perché viene proposta una variante di multiplex real-time PCR con analisi delle “melting-curves” che, a differenza della PCR convenzionale, consente l’identificazione contemporanea dei più comuni tipi di carbapenemasi (KPC,GES;IMP,VIM,NDM;OXA-48) eventualmente coesistenti negli isolati

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batterici in esame in una singola reazione, con il 100% di concordanza dei risultati con i dati ottenuti dalle metodiche di sequenziamento convenzionale e con tempi di refertazione di 3h [75].

Uno studio italiano condotto per la prima volta su larga scala (300 isolati) ha anch’esso evidenziato la piena concordanza (100%) in termini di sensibilità/specificità con le metodiche tradizionali di PCR-sequenziamento, di una nuova PCR real-time (NucliSens EasyQ KPC Test) che presenta una sensibilità analitica di 4CFU/reazione, una elevata capacità complessiva di processamento (48 campioni in 24h), che la rendono particolarmente utile in caso di grande quantità di isolati da testare come in situazioni epidemiche, e tempi di refertazione sotto le 2h il che è di fondamentale importanza per il clinico per poter iniziare più precocemente possibile terapie mirate e adeguate e per mettere in atto rapidamente le misure di isolamento dei pazienti [76]. Analoghi risultati sono stati evidenziati da un altro studio italiano che ha testato la metodica NASBA (nucleic acid sequence-based amplification) con lo stesso tipo di PCR real time (NucliSens EasyQ KPC Test) ponendo in luce la rapidità di identificazione dei geni blaKPC.. [77]

Le limitazioni che accomunano queste tecniche molecolari sono i costi mediamente elevati, la frequente necessità di personale esperto, anche se questo aspetto è meno marcato nelle metodiche NucliSens EasyQ PCR real-time, e la capacità di identificare solo i geni noti per cui teoricamente non verrebbero identificate nuove eventuali varianti [63].

Alla luce di ciò un importante sviluppo nelle metodiche di identificazione può essere apportato dal Carba NP Test II. Si tratta di un test biochimico che si basa sull’idrolisi in vitro del carbapenemico imipenem che viene identificata sotto forma di cambiamento del valore di pH da parte di un indicatore (rosso fenolo) che vira da rosso a giallo arancio. Tale test, tramite l’utilizzo di inibitori specifici quali tazobactam per le KPCs e EDTA per le Metallo-βLs, consente di rilevare non sono la presenza di attività carbapenemasica, ma l’identificazione dei differenti tipi di carbapenemasi (Classi A,B e D) con una sensibilità e specificità del 100% e con la possibilità di individuare anche nuove carbapenemasi emergenti (non-A,B o D) a differenza delle tecniche molecolari. (Fig. 13)

Alla pari di queste fornisce risultati rapidi in meno di 2h ma con costi molto più contenuti e senza richiedere personale iperspecializzato, consentendone così l’implementazione in qualsiasi laboratorio di microbiologia [63,78].

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Fig 13. Schema interpretativo del Carba NP Test II [78]

Ulteriori studi hanno paragonato il Carba NP test (CNP) con l’ MHT evidenziando un livello di sensibilità simile (CNP 100% vs MHT 98%) ma con maggiore specificità per l’CNP (100% vs 80%) oltre ad una maggiore rapidità nell’ottenimento dei risultati *79+.

Uno studio francese di P.Nordmann et al. ha sottolineato come l’utilizzo del Carba NP Test consenta di risparmiare almeno 24h nei tempi di identificazione e propone il suo possibile utilizzo sia direttamente su isolati batterici ottenuti dalle piastre di semina delle emocolture sia su colonie batteriche cresciute su mezzi di coltura prima dell’esecuzione dei test di suscettibilità antimicrobica sia direttamente su campioni fecali precedentemente sottoposti a mezzi di screening [80]. Oltre alla tempistica, la potenzialità di utilizzo direttamente su campioni clinici attribuisce valore aggiunto a tale metodica che gli autori propongono sia per l’identificazione dei casi di infezione sia per lo screening dei pazienti colonizzati *63+. (Fig. 14)

Im ipen em + Zn 2+ +T az oba ct am

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Fig. 14 Strategy for identification of carbapenemase-producing Enterobacteriaceae. The time needed to perform the test is indicated before each test. The number off flasks indicates the degree of specialization needed to perform the test; the number of $ indicates the relative cost of each test [80].

Per quanto riguarda le metodiche di screening dei pazienti colonizzati, dal momento che il

reservoir delle Enterobacteriaceae è principalmente la flora intestinale, i tamponi rettali e

campioni fecali sono le tipologie di campioni più utilizzate tenendo presente tuttavia la possibilità di colonizzazione anche a livello orale, respiratorio e urinario [81].

Tali campioni possono venir direttamente esaminati su specifici terreni su piastra .

La metodica consigliata da CDC consiste nella semina del tampone rettale previo arricchimento in 5ml di Tryptic Soy Broth con un dischetto di meropenem o ertapenem(10µg) seguita da una fase di incubazione a 35°C in aria ambiente per 18h e la successiva semina di 100µl di tale brodo di coltura su piastra agar-MacConkey con incubazione nelle stesse condizioni per altre 24-48h [81] .Tale metodica anche se molto sensibile ha lo svantaggio di richiedere tempi lunghi di refertazione (almeno 72h) e di imporre ulteriore carico di lavoro [82].

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In alternativa il primo tipo di terreno selettivo ad essere impiegato è stato il CHROMagar KPC che è un terreno cromogeno specificamente formulato per la ricerca di batteri con scarsa sensibilità ai carbapenemi che secondo uno studio israeliano sembrava molto promettente in quanto forniva elevati livelli di sensibilità/specificità sia paragonato con le metodiche PCR (100% e 98.4% rispettivamente) sia con l’utilizzo del più comune agar McConkey (92.7% e 95.9%) con il vantaggio pratico della facilità di lettura e del riconoscimento delle colonie sospette [82,83].

Tuttavia studi successivi ne hanno dimostrato i limiti di sensibilità in quanto riesce ad identificare i batteri carbapenemico resistenti soltanto se esibiscono un alto livello di resistenza come nel caso dei ceppi identificati nello studio israeliano. Ponendo a confronto infatti il CHROMagar-KPC con l’ agarMacConkey con dischetto di imipenem (1µg/ml) e agarMacConkey con dischetti di imipenem, meropenem e ertapenem, è stato evidenziato che la metodica con agarMacConkey e dischetto di imipenem(1µg/ml) era quella a più elevata sensibilità (84.9%) e specificità (94.3%) con accuratezza complessiva del 92.1% nell’identificare ceppi carbapenemico resistenti anche in contesti epidemiologi in cui i ceppi in esame erano multiclonali e avevano valori di MIC variabili in un ampio range consentendo così di rilevare anche quegli isolati che mostravano livelli di resistenza relativamente bassi [84] .

Per cercare di superare i limiti di sensibilità del CHROMagar è stato valutato un altro tipo di terreno cromogeno supplementato con carbapenemico, il Brilliance CRE Agar, che mostra una buona sensibilità nell’identificare isolati produttori di KPCs ma anche VIM e IMP, che

spesso mostrano bassi livelli di MICs, con limite di sensibilità tra 1x101 e 1,5x102 CFU/ml.

Inoltre un altro vantaggio è rappresentato dalla facilità e rapidità di riconoscimento delle diverse specie batteriche in base alle differenze di colore delle colonie con un colore blu brillante caratteristico della Kl.pn che si differenzia dal rosa pallido di E.coli o dal marrone di

P. Aeruginosa o da colonie non colorate di A.baumannii consentendo così di differenziare

rapidamente i ceppi Gram negativi carbapenemico resistenti appartenenti alle

Enterobacteriaceae da quelli non fermentanti, data l’emergenza di ceppi di E.coli NDM-1

positivi e A.baumannii OXA positivi [85].

Uno dei più recenti mezzi di screening che sembra ulteriormente superiore al CHROMagar e al Brilliance CRE Agar è il SUPERCARBA, che a differenza degli altri contiene ertapenem, zinco solfato e cloxacillina, e che ha dimostrato eccellenti capacità di identificazione di ogni tipo di carbapenemasi comprese le OXAs.

Infatti in due studi francesi condotti su 142 e 114 isolati di Enterobacteriaceae e produttori di varie classi di carbapenemasi (KPCs, NDM, VIM, IMP, OXA-48), SUPERCARBA ha dimostrato maggiore sensibilità (96,5%) rispetto al Brilliance CRE (76,3%) e al CHROMagar

(43%) con limite di identificazione di KPCs, NDM-1, OXA-48, OXA-181 tra 1x101 e 1x102

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identificazione di VIM e IMP è stata inferiore rispetto alle altre classi di carbapenemasi

(limite identificazione 1x101 – 1x106 CFU/ml) nonostante l’aggiunta di zinco solfato con

l’intento di aumentare l’espressione di MβLs. Nonostante ciò questo mezzo di screening si presenta innovativo poiché, grazie alla presenza di ertapenem a bassa concentrazione (0.25 µg/ml), zinco solfato e cloxacillina, consente di individuare rispettivamente, isolati produttori di carbapenemasi con bassi livelli di resistenza quali gli OXAs, quelli che esprimono Mβls e, con la presenza di cloxacillina che agisce come inibitore delle cefalosporinasi AmpC, di ottenere l’inibizione della crescita di ceppi carbapenemico resistenti non produttori di carbapenemasi (Enterobacter cloacae, Enterobacter a., Serratia m.. AmpC e ESBLs positivi) che frequentemente sono coesistenti in grandi quantità nei campioni analizzati, migliorandone così la capacità di identificazione [63,86,87].

In alternativa alle metodiche di screening su piastra vari studi hanno documentato l’elevata efficacia delle metodiche molecolari basate su real-time PCR direttamente su campioni clinici quali tamponi rettali o bottiglie di emocultura con sensibilità nell’ordine del 97% contro il 77% dei metodi di screening su piastra con accorciamento dei tempi di refertazione di almeno 24h contro le 64-72h [88,89,90].

Risultati promettenti sono stati ottenuti anche con l’utilizzo di una metodica con tecnologia

DNA microarray (Check-KPC/ESBL kits) che riesce ad identificare i geni blaESBL e blaKPC su DNA

estratto direttamente da emocolture positive anche prima dell’identificazione di specie consentendo una riduzione dei tempi di refertazione di 18-20h e con una elevata concordanza con i test fenotipici (sensibilità 94.4% e specificità 100% usando la metodica di lisi dell’acqua per lo step di estrazione del DNA) *104+.

Sono necessari tuttavia ulteriori studi che su più larga scala ne confermino le potenzialità e valutino l’impatto sull’outcome clinico di una più precoce conoscenza del meccanismo di resistenza implicato.

Nell’ottica della rapidità di identificazione dei portatori di KPCs come fondamentale strumento per ridurne la diffusione tramite la precoce istituzione delle misure di isolamento da contatto dei pazienti, un recente studio italiano condotto su 216 tamponi peri rettali e nasali ha proposto un ulteriore tipologia di PCR real time che a differenza delle altre consente di ridurre ulteriormente i tempi di refertazione a 2h, in quanto evita lo step di inoculo del tampone di screening su mezzi di coltura o brodo di arricchimento per massimizzarne la possibilità di identificazione, con sensibilità e specificità rispettivamente del 100% e 98% [91].

Tuttavia queste metodiche molecolari mostrano i loro limiti nella capacità di differenziazione tra isolati carbapenemico resistenti mediati da KPCs e non-KPCs oltre alla incapacità di identificare le varianti alleliche KPCs 2-12 che secondo alcuni studi rappresenta una informazione importante per il clinico che va oltre gli scopi esclusivamente epidemiologici [91,105].

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Infatti secondo studi recenti è emerso che le ulteriori varianti alleliche identificate negli anni successivi alla prima hanno mostrato profili di resistenza diversi, documentati sia direttamente su campioni clinici sia paragonando le attività di idrolisi enzimatica, per cui la conoscenza dell’esatta variante allelica potrebbe consentire a livello terapeutico un uso più mirato dei singoli carbapenemici o inibitori β lattamici nell’ottica di una migliore

antimicrobial stewardship [38,94,95].

Con questa prospettiva risulta promettente una metodica alternativa al sequenziamento standard basata su tecnologia DNA microarray che consente la rapida identificazione e genotipizzazione dei geni KPCs tramite particolari sonde oligonucleotidiche che identificano i polimorfismi singol-nucleotidici che differenziano le varianti alleliche KPCs.

Tutto ciò direttamente su DNA estratto da campione urinario, senza necessità di precedenti step di coltura, con tempi di refertazione di 5-6h e con un limite di sensibilità in un range tra

4x103 CFU7ml e 360 CFU/ml a seconda della tecnica di estrazione del DNA usata. La

performance di tale metodica in termini di sensibilità e specificità deve essere ulteriormente studiata, ma importanti vantaggi sono rappresentati dalle informazioni aggiuntive che fornisce rispetto alle PCRs, la rapidità di refertazione e l’utilizzo direttamente su campioni urinari facilmente reperibili [94].

Nonostante tutti i sopradetti vantaggi, le metodiche molecolari sono relativamente costose e richiedono laboratori logisticamente attrezzati oltre che personale esperto, il che ne limitano ancora un utilizzo diffuso.

Alla luce di ciò uno studio italiano di Giani et al. del 2012 ha proposto l’utilizzo di una metodica su piastra, il test di screening diretto KPC (DKST), come alternativa alle PCRs e alle altre metodiche colturali di screening precedentemente descritte. In questa metodica viene inoculato direttamente il tampone rettale su piastra McConkey agar su cui vengono posti un dischetto di meropenem (10µg) e un altro dischetto con meropenem e acido fenilboronico (APB 600µg) e viene incubata per una notte a 37°C. Si considera positiva la crescita di colonie batteriche lattosio fermentanti di aspetto mucoide senza alone di inibizione misurabile attorno al dischetto di meropenem e con un alone di almeno >5mm attorno all’altro dischetto. Tale metodica ha un livello di sensibilità inferiore rispetto alle PCRs e le altre metodiche colturali in quanto identifica in maniera ottimale solo i portatori con alta carica di colonizzazione microbica, che rappresentano anche la maggioranza dei casi specialmente se presente una concomitante infezione, tuttavia ha il vantaggio di fornire più direttamente informazioni riguardo al meccanismo di resistenza coinvolto senza necessità di ulteriore carico di lavoro per il laboratorio.

Altro vantaggio è l’economicità e la facilità di esecuzione che lo rendono utilizzabile in tutti i laboratori senza necessità di personale ultra specializzato [92].

Attualmente le indicazioni dell’AMCLI per lo screening dei pazienti colonizzati da CRE indicano che la metodica più diffusamente utilizzata è la semina diretta su terreno selettivo ( MacConkey agar) per bacilli aerobi GRAM negativi con dischetto di meropenem (10 µg) perché presenta i seguenti vantaggi :

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- lettura dei risultati dopo 16 – 20h e possibilità dunque di comunicare con relativa tempestività al reparto un risultato presuntivamente positivo anche se in caso di esito negativo è opportuno effettuare una seconda lettura dei terreni dopo 24 ore .

- Altro vantaggio è il riconoscimento delle colonie sospette e conseguente contenimento dei test di conferma, comunque necessari per le conferma della produzione di carbapenemasi. Inoltre concordano con le conclusioni dello studio precedentemente citato per cui l’aggiunta di un dischetto di meropenem addizionato di acido fenilboronico potrebbe consentire il riconoscimento della produzione di enzimi del tipo KPC evitando dunque la necessità di test di conferma in caso di esito positivo [82].

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5. Caratteristiche cliniche e Terapia

Klebsiella Pneumoniae-KPCs può manifestarsi da un punto di vista clinico in forma di colonizzazione asintomatica e/o infezioni in varie sedi con tipologia simile a quelle dei ceppi wilde-type ma con differenze in termini di contesto clinico e di mortalità generale ed attribuibile.

Per quanto riguarda lo stato di portatore la sede principale di colonizzazione è il tratto gastroenterico anche se non vanno escluse la colonizzazione in sede cutanea, tracheale e urinaria e , nonostante sia clinicamente asintomatica, rappresenta comunque una condizione da non sottovalutare. Infatti secondo vari studi la colonizzazione rappresenta la potenziale fonte di successive infezioni clinicamente manifeste in circa il 9% dei portatori [ 96,97,98].

Vari studi concordano che i fattori di rischio per la colonizzazione o infezione con Kl.pn-KPC sono associati sia con le condizioni di base e comorbidità del paziente sia con l’esposizione all’ambiente nosocomiale.

I fattori di rischio per la colonizzazione da Kl.pn –KPC che sono stati identificati sono: l’allettamento/ospedalizzazione prolungata, il numero di devices e cateteri (catetere urinario, CVC, port..), procedure invasive quali la tracheotomia, il numero cumulativo di trattamenti antibiotici somministrati, in particolare cefalosporine a spettro espanso, fluorochinolonici e glicopeptidi oltre alla permanenza in ICU, l’utilizzo di ventilazione meccanica, la vicinanza di letto a pazienti colonizzati e la permanenza alla dimissione in case di cura/strutture per lungodegenza. [98,99,100] Sono ancora scarse le conoscenze riguardo la durata e i fattori di rischio per la persistenza dello stato di portatore. Da uno studio Israeliano di Feldman et al. condotto su un totale di 125 portatori di KPC messi in follow-up con tampone rettale di screening per 5 mesi dopo dimissione ospedaliera, è emerso che il tasso di positività dei tamponi rettali è più alto quando lo screening viene fatto entro i primi 30 giorni dal primo isolamento positivo per poi declinare nei mesi successivi e che per quei pazienti che avevano acquisito Kl.pn-KPC oltre 4 mesi prima delle dimissioni era meno probabile la persistenza dello stato di portatore. Questi pazienti infatti avevano Charlson Index più bassi, tasso di mortalità inferiore e venivano dimessi a casa e non in strutture per lungodegenza (LTCF).

Infatti la percentuale di pazienti identificata come “portatori persistenti” era molto più alta in coloro che avevano acquisito lo stato di portatore entro i 4 mesi precedenti (61% vs 28%) e ciò si associava a condizioni cliniche complessivamente più scadenti con alti tassi di comorbidità che imponevano l’utilizzo di cateteri/devices e l’ingresso e dimissione in LTCFs. In particolare la permanenza in LTCFs con alti livelli di cura (ventilazione meccanica) riveste un ruolo importante nella colonizzazione e permanenza dello stato di portatore data l’elevata prevalenza di nuove colonizzazioni da Kl.pn-KPC nei pazienti ricoverati (12% secondo uno studio di Feldman; >7 volte rispetto a pz non ricoverati secondo uno studio di Prabaker et al.) per cui anche coloro che potenzialmente potrebbero negativizzarsi possono comunque ricolonizzarsi durante successivi

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ricoveri in tali strutture ed essere a loro volta il reservoir che ne amplifica l’ulteriore disseminazione [96,101].

Per quanto riguarda i fattori di rischio per il successivo sviluppo di infezioni in pazienti colonizzati, oltre a quelli già citati precedentemente che predispongono alla colonizzazione, si aggiungono: la presenza di condizioni di immunodepressione quali diabete mellito, pazienti neoplastici sottoposti a trattamenti chemioterapici, sottoposti a trapianto d’organo/cellule staminali, sottoposti a precedenti procedure invasive (tracheotomizzati, inserimento di CVC, presenza di ferite chirurgiche) oltre a terapie antibiotiche con penicilline antipseudomonas e carbapenemici [97,98,113].

Esistono pochi studi in letteratura spesso limitati a singoli case reports riguardo le caratteristiche cliniche e le tipologie di infezioni da Kl.pn-KPC che possono essere di vario tipo: endocarditi, polmoniti nosocomiali, UTI, infezioni di ferita chirurgica, infezioni postoperatorie, specialmente dopo interventi di chirurgia addominale in condizioni di emergenza, infezioni dei tessuti molli, ma le più frequentemente riportate sono batteriemie (dal 30% al 52% a seconda degli studi), specialmente in presenza di CVC, polmoniti (24-30% [104,106]) di cui in ICU specialmente in forma di VAP (27,6% [103]), e UTIs (10-17%) con la maggiore incidenza dei casi nelle ICUs e a seguire anche negli altri reparti medici e chirurgici [103,104,105,106].

Vari studi concordano sul più alto tasso di mortalità osservato nelle infezioni da Kl.pn-KPC rispetto al ceppo wilde-type.

Infatti già i primi studi condotti su pazienti con batteriemia da Kl.pn.-KPC in Usa nel 2005 hanno riportato tassi di mortalità dal 47% al 66% [10] seguiti da risultati simili ottenuti anche da altri studi in Israele (Borer et al. 2009; mortalità cruda 72% e mortalità attribuibile 50%), e da altri tre importanti studi retrospettivi successivi condotti in Grecia (Zarkotou et al. 2011), in Usa (Qureshi et al.2012) e in Italia (Tumbarello et al. 2012) [106,107,108].

Questi ultimi studi in particolare hanno il merito di aver analizzato gli alti tassi di mortalità focalizzando l’attenzione sui cosidetti “predittori di mortalità” ovvero prendendo in considerazione tutte le possibili variabili, sia generali del paziente,sia dell’infezione propriamente detta sia legate al trattamento antibiotico istituito, che potenzialmente possono influenzare il tasso di mortalità.

Le variabili correlate alle condizioni del paziente che sono state considerate sono rappresentate da: l’età, sesso, il tasso di comorbidità (Charlson Comorbidity Index), terapie immunosoppressive, durata dell’ospedalizzazione e precedenti ricoveri in particolare in ICU, precedenti interventi chirurgici, precedenti procedure invasive (inserimento di CVC, sondino naso gastrico, catetere di Foley, procedure endoscopiche), nutrizione parenterale, ventilazione meccanica.

Oltre a ciò vengono prese in considerazione anche variabili correlate all’infezione quali la presentazione in forma di sepsi grave o shock settico, oppure in forma di batteriemia CVC correlata, la fonte dell’infezione e la sua capacità di controllo; infatti le batteriemie primitive sono associate a peggior outcome rispetto a quelle da CVC [107].

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