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Studio sul riesame e l’aggiornamento del Piano HACCP ai fini dell’esportazione di prodotti a base di latte in Cina: il caso della Centrale del Latte della Toscana S.p.A.

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SCIENZE E TECNOLOGIE DELLE PRODUZIONI ANIMALI

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

Corso di Laurea Magistrale in

TESI DI LAUREA

Studio sul riesame e l’aggiornamento del Piano HACCP ai fini

dell’esportazione di prodotti a base di latte in Cina: il caso della

Centrale del Latte della Toscana S.p.A.

Candidata:

Dott.ssa Margherita Tanzi

Relatore:

Prof. Carlo D’Ascenzi

_________________________________ __________________________________

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INDICE

Introduzione ... 6

1 La Centrale del Latte della Toscana S.p.A. ... 8

1.1 Aspetti preliminari ... 8

1.2 La nascita della Centrale del Latte ... 10

1.3 Da Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno S.p.A. a Centrale del Latte della Toscana S.p.A. ... 16

1.4 I prodotti ... 19

1.4.1 Tipologie di trattamento ... 19

1.4.2 Linee di prodotto ... 19

1.5 Investimento di Mukki nelle certificazioni ... 22

2. Analisi del mercato cinese e sostenibilità da parte di Mukki dell’apertura di una linea commerciale con la Cina ... 25

2.1 Considerazioni preliminari ... 25

2.2 Il cambiamento delle abitudini alimentari ... 27

2.2.1 Effetti sull’evoluzione della domanda di prodotti lattiero-caseari ... 32

2.3 La crescente attenzione per la sicurezza alimentare e l’evoluzione della legislazione ... 36

2.3.1 Le aspettative di sicurezza alimentare nei consumatori cinesi ... 36

2.3.2 L’evoluzione della legislazione alimentare ... 37

2.3.3 Il Libro Bianco cinese ... 42

2.4 Gli standard di sicurezza alimentare in Cina ... 44

2.4.1 Livelli e tipologia di standard applicati in Cina ... 44

2.4.2 Fonti e nomenclatura degli standard nazionali ... 45

2.4.3 Fonte e nomenclatura degli standard professionali ... 46

2.4.4 Fonti e nomenclatura degli standard locali ... 46

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2.5 Standard cinesi per i prodotti a base latte e per le bevande ... 48

2.5.1 GB 14881 – 2013 China’s General Hygiene Regulation for Food Production ... 48

2.5.2 GB 12693 – 2010 Good manufacturing practice for milk products ... 49

2.5.3 GB 2760 - 2015 Chinese standards for Food Additives ... 49

2.6 GB 7718 – 2018: standard dell’etichettatura degli alimenti preconfezionati ... 51

2.7 Gli adempimenti necessari all’esportazione in Cina ... 53

2.7.1 La registrazione degli stabilimenti abilitati ... 55

2.7.2 La registrazione dei prodotti alimentari ... 59

3 Il riesame e l’aggiornamento del Piano HACCP della Centrale del Latte della Toscana S.p.A. ... 67

3.1 Introduzione ... 67

3.1.1 Riferimenti normativi principali ... 67

3.2 I presupposti del riesame ... 69

3.2.1 Articolazione del riesame ... 70

3.3 La revisione dei pericoli ... 71

3.3.1 Categoria “radioattività” ... 72

3.3.2 Additivi per il trattamento delle acque aggiunti in caldaia ... 72

3.3.3 Contaminanti nell’aria utilizzata in azienda come aria compressa ... 73

3.3.4 Programmi di Prerequisiti ... 74

3.4 Ridefinizione dei Diagrammi di Flusso ... 77

3.5 Analisi dei Pericoli (ANP) ... 79

3.5.1 Analisi dei Pericoli 000001: Materia Prima ingresso ... 81

3.5.2 800002: Processo di Pastorizzazione ... 81

3.5.3 800003: Processo di Risanamento Termico UHT e ESL ... 85

3.5.4 000500: Prodotti Addizionati ... 88

3.5.5 800100: Processo di Confezionamento ... 89

3.6 Aggiornamento dei criteri di monitoraggio e dei limiti critici (Griglie di Controllo) ... 92

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3.7 La nuova Matrice ... 94

PARTE SPERIMENTALE: VALUTAZIONE DEL pH COME INDICATORE DI EFFICACIA DEL PIANO HACCP ... 96

4. Introduzione ... 97

4.1 Il pH nei prodotti lattiero-caseari ... 98

4.1.1 Il significato del pH ... 98

4.1.2 Equilibrio acido – base ... 98

4.1.3 La composizione chimica del latte ... 99

4.2 Fattori che fanno variare il pH del latte ... 102

4.2.1 Fattori che agiscono sul latte crudo ... 102

4.2.2 Fattori che agiscono sul pH all’arrivo in Azienda ... 103

4.2.3 Sterilizzazione prima dell’inizio del trattamento termico ... 105

4.2.4 Lavaggio finale dopo il trattamento termico ... 105

4.2.5 Lavaggio Serbatoi di stoccaggio e linee ... 106

4.3 La gestione delle non conformità agli standard di pH ... 107

4.3.1 Modalità di ricampionamento ... 107

4.3.2 Destinazione prodotto non conforme ... 108

5 Materiale e Metodi ... 110

5.1 Gli indici di “capacità di processo” ... 110

5.1.1 L’indice di capacità Cp ... 112

5.1.2 L’indice della capacità effettiva del processo Cpk ... 112

5.1.3 Gli indici Pp e Ppk ... 113

5.1.4 I prodotti oggetto dell’analisi di capacità di processo ... 113

5.2 Limiti applicati dall’azienda ... 114

5.3 Dati elaborati ... 114

5.4 Elaborazione statistica ... 114

6 Risultati ... 115

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6.1.2 Latte fresco pastorizzato “Alta Qualità Toscano” ... 117

6.1.3 Latte Extended Shelf Life Intero ... 119

6.1.4 Latte UHT parzialmente scremato ... 121

6.2 Quadro d’insieme ... 124 7 Considerazioni e conclusioni ... 127 ALLEGATO A ... 129 Bibliografia ... 130 Sitografia ... 138 Ringraziamenti ... 140

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Introduzione

La seguente tesi è stata realizzata sulla base delle esperienze acquisite durante il tirocinio svolto presso la Centrale del Latte della Toscana S.p.A. per un periodo di 3 mesi.

Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale tema hanno una duplice natura. L’economia del mondo sta cambiando, l’entrata in scena di nuovi protagonisti, come la Cina, fa sì che risulti fondamentale per le aziende che vogliono partecipare attivamente a questa evoluzione conoscere quali sono le nuove opportunità e come poterne entrare in contatto.

L’obiettivo di questa tesi di laurea è, quindi, in primo luogo lo studio descrittivo del settore alimentare cinese, con particolare riferimento agli standard alimentari cinesi richiesti alle aziende lattiero-casearie che si pongano l’obiettivo di esportare dall’Italia in Cina i propri prodotti. Successivamente, visto la volontà della Centrale del Latte della Toscana di voler aprire un canale di commercio con la Cina, è stato riesaminato ed aggiornato il Piano HACCP aziendale, implementando gli standard cinesi.

A completamento dello studio che ha portato alla proposta di aggiornamento del piano HACCP, abbiamo voluto valutare la valenza del pH quale indicatore di efficacia del sistema di gestione della sicurezza alimentare applicato dall’azienda, utilizzando l’analisi della capacità di processo (Process Capability Analysis) nella determinazione dei range di affidabilità. L’analisi della capacità di processo è un metodo che consente di quantificare la capacità di controllo dei processi produttivi e fornisce indicazioni per eventuali interventi migliorativi.

Abbiamo quindi applicato l’analisi della capacità di processo per verificare se l’andamento del pH dei prodotti aziendali sia correlato con la corretta applicazione del piano HACCP. Sotto il profilo dei contenuti e dei metodi applicati, l’elaborato si articola in quattro parti, per un totale di sette capitoli.

La prima parte, comprendente il primo capitolo, è dedicata alla descrizione del contesto produttivo dell’azienda Mukki. Sono evidenziati in sintesi la storia dell’Azienda, come è nata l’idea di una Centrale del Latte a Firenze e di come questa idea si sia potuta sviluppare fino ad oggi. La descrizione del contesto di concentra quindi sui prodotti attualmente commercializzati, le diverse linee di produzione, le tecnologie applicate e gli strumenti applicati alla gestione delle garanzie aziendali. La metodologia di ricerca si è basata su fonti storiche reperite presso Mukki.

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La seconda parte, comprendente il capitolo 2, è dedicata all’analisi del contesto cinese. Si parte dalla descrizione degli attuali trend del più grande mercato mondiale, focalizzando sui cambiamenti in atto delle abitudini alimentari, correlati con la nuova sensibilità alla sicurezza alimentare maturata dalla popolazione e con il nuovo assetto normativo, profondamente innovativo fra il 2009 e il 2015, anche in conseguenza alle emergenze sanitarie partite dalla Cina. Lo sviluppo della tesi si concentra quindi sull’identificazione degli standard cinesi applicati ai prodotti a base di latte ed agli adempimenti amministrativi necessari per aprire linee di esportazione in Cina. Il notevole lavoro svolto ha potuto condurre a sintetizzare l’elenco dei requisiti e degli adempimenti amministrativi richiesti dalle autorità cinesi. La metodologia di ricerca si è basata sull’analisi di documenti cinesi e di materiale messo a disposizione dal Ministero della Salute italiano.

La terza parte, comprendente il capitolo 3, è dedicata al riesame del sistema di gestione della sicurezza alimentare adottato da Mukki, con il fine principale di verificare la sostenibilità delle garanzie richieste dai requisiti cinesi. Il lavoro di analisi svolto ha condotto al riesame con alcune proposte di aggiornamento. La metodologia di lavoro si è basata sull’applicazione di criteri internazionali con cui condurre l’analisi del piano HACCP e l’implementazione dei nuovi obiettivi coerenti con i requisiti cinesi.

Infine, la quarta parte della tesi, a partire dal quarto capitolo è descritta la parte sperimentale. Si inizia con un’introduzione sul significato del pH, per poi passare all’applicazione della metodologia di analisi.

Nel sesto capitolo, infine, si procede a commentare i risultati ottenuti dall’analisi dei dati, esponendo gli elementi più rilevanti dell’indagine svolta.

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1 La Centrale del Latte della Toscana S.p.A.

1.1 Aspetti preliminari

La Centrale del Latte della Toscana S.p.A., meglio nota con il brand commerciale Mukki, è un’azienda lattiero-casearia con sede legale e amministrativa ubicata nell’area Mercafir del quartiere Novoli nella zona nord-ovest di Firenze. L’attuale stabilimento, inaugurato nel 2005, si estende in un’area complessiva di circa 37.000 mq di cui 17.600 mq coperti ed è da considerarsi uno degli impianti più moderni e tecnologicamente avanzati del settore in tutta Italia, utilizzando tecnologie per la valorizzazione della materia prima a completamento della filiera del latte, nonché attualmente la più grande azienda toscana del settore.

Il 1° ottobre 2016 è avvenuta la fusione tra “Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno S.p.A.” e “Centrale del Latte di Torino & C. S.p.A.”, andando a costituire “Centrale del Latte d’Italia S.p.A.”; contestualmente alla fusione, “Centrale del Latte d’Italia S.p.A.” ha provveduto a conferire l’ex “Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno S.p.A.” in “Centrale del Latte della Toscana S.p.A.”.

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Lo scenario lattiero – caseario italiano negli ultimi anni è passato da una situazione di relativa tranquillità ad una di forte incertezza e turbolenza. L’accentuarsi della concorrenza, anche estera, la costante diminuzione del consumo di latte fresco, la legittimazione del latte microfiltrato, la crescita della grande distribuzione con il prodotto fresco a marchio proprio in vendita a prezzi molto bassi, hanno messo il comparto a dura prova (Cervelin, 2004).

Il latte che si va a prendere appena munto dal lattaio rappresenta un’immagine stereotipata, del passato, che oggi non esiste più. Oggi il latte è un prodotto alimentare il cui valore è misurabile in termini di sicurezza, eccellenza organolettica, qualità nutrizionale, garanzie sull’origine e molto altro (Cervelin, 2004).

In questo scenario la Mukki ha avviato un percorso finalizzato all’adeguamento delle strategie aziendali in funzione delle evoluzioni del mercato.

In questo capitolo verrà descritta come è nata l’idea di una Centrale del Latte a Firenze e di come questa si sia concretizzata, fino ad oggi.

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1.2 La nascita della Centrale del Latte

Il latte è un alimento primario, ricco di sostanze nutritive, preziose per la crescita come per la vita. Questo è noto a tutti da sempre, ma il punto debole del latte è sempre stato la sua conservazione e la sua distribuzione, perché facilmente contaminabile ed alterabile. Da quando, nella seconda metà dell’800 si scoprì che il latte poteva diventare un veicolo di malattie infettive e di vere e proprie epidemie, si pose il problema delle tecniche e delle procedure di conservazione e di distribuzione di massa (Cervelin, 2004).

Due obiettivi che da quel momento sono stati perseguiti insieme nel contesto degli enormi cambiamenti sociali che hanno caratterizzato gli ultimi secoli. L’espansione delle città, dove si raccoglieva una popolazione di lavoratori e di impiegati, che non potevano più usufruire delle forme di consumo diretto del latte presenti nei villaggi e nelle campagne imponeva la riorganizzazione dei sistemi di approvvigionamento e distribuzione del latte. La distribuzione del latte richiedeva l’adozione di nuove tecnologie in grado di garantire contemporaneamente non soltanto qualità e sicurezza alimentare, ma anche disponibilità a prezzi contenuti. Tanto più che fino a quel momento i consumi di latte erano andati di pari passo con la produzione nell’area territoriale di riferimento, al punto che per questo meccanismo si potrebbe dire che non c’era un vero e proprio mercato nazionale del latte. Consumi e prezzi di un alimento a così relativo basso costo e a così alto valore alimentare rimanevano legati ai sistemi locali di produzione e di distribuzione (Cervelin, 2004). Il mercato del latte toscano si era affacciato all’alba del XX secolo carico di problemi irrisolti e arretratezze: il primo nodo riguardava la modernizzazione del sistema di rifornimento nel territorio urbano, un problema che procedeva in parallelo con l’avanzare dei processi di urbanizzazione ed era stato spesso demandato dalle autorità locali alla iniziativa dei grandi agricoltori, raccolti nei comizi agrari. Il secondo, riguardava il ciclo del latte, che non solo non era sviluppato nella forma articolata oggi nota (Cavazzoli, 2002), ma presentava, rispetto a realtà più progredite, quali dell’Emilia e della Lombardia, forti aspetti di frammentazione e di segmentazione negli ancora brevi passaggi fra la produzione ed il consumo (Pagliai, 2010).

L’immissione in commercio di un prodotto fresco e vivo, con la stessa qualità del latte crudo ma al tempo stesso privo di germi patogeni e con un numero di microrganismi tale da poterne garantire la conservazione necessaria alla distribuzione e al consumo, ha importo il cambiamento della produzione e della distribuzione del latte. Le soluzioni tecnologiche praticabili, dalla sterilizzazione alla pastorizzazione, si sono potute sviluppare

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in aziende di grandi dimensioni, in grado di sostenere gli alti costi. I piccoli e medi produttori, tipici dei sistemi agroalimentari italiani, non presentavano le condizioni necessarie da poter sostenere l’evoluzione di processi e prodotti. (Cervelin, 2004). Da qui lo sviluppo di strutture cooperative, dalla produzione alla distribuzione, con la frequente partecipazione dello Stato o delle amministrazioni locali, direttamente interessate alla corretta gestione di un bene alimentare di primaria importanza.

L’aspetto sociale della questione, quindi, non poteva essere risolto che nel quadro di un servizio pubblico, anche perché in Italia la produzione di latte salvo nella pianura padana, era legata a sistemi agrari non evoluti e, al contrario dei paesi europei più progrediti, non si era formata una vera e propria industria lattiero-casearia (Pagliai, 2010).

L’origine della Centrale del Latte va ricercata nella Firenze degli anni Trenta, quando la crescente concentrazione della popolazione fece sorgere in città la domanda di latte fresco. In questa città, fin dal 1930, si era giunti a vietare la vendita ambulante del latte e si cominciò a pensare alla creazione di vere e proprie latterie autorizzate (Cervelin, 2004). La municipalità di Firenze rispose a questa esigenza nel 1934 l’amministrazione podestarile varò la costituzione di consorzi tra le categorie coinvolte nel settore: un Consorzio Produttori di latte, un Consorzio fra gli Esercenti Latterie e un Consorzio Trasportatori Latte (Pagliai, 2010).

Si trattava di una nuova configurazione della filiera del latte alimentare promosso dalla normativa approvata con il Regio decreto del 9 maggio 19291, n° 994, “Regolamento sulla vigilanza igienica del latte destinato al consumo diretto”, che regolamentava la produzione, la raccolta, il trasporto, il commercio del latte, compreso l’esercizio delle latterie e delle centrali del latte. Ecco che, nel giugno del 1934, venne emanato un decreto con il quale si conferiva in via esclusiva l’approvvigionamento del latte al Consorzio Produttori, e la vendita del latte fresco al Consorzio Esercenti Latterie, prevedendo per i due enti l’obbligo di far controllare il latte da otto ufficiali sanitari appositamente nominati (Cervelin, 2004). I provvedimenti adottati durante il fascismo non erano riusciti a estendere il consumo del latte al ceto urbano più svantaggiato, né ad assicurare un alimento integro, salubre e di alto valore proteinico che costituisse un maggior apporto alla popolazione (Camparini, 1930).

1 Il fondamentale regolamento “tecnico” emanato nel 1929, definito anche “Carta del Latte”, può essere

considerato lo spartiacque nel comparto dei primi del Novecento per gli estesi riferimenti all’istituzione di Centrali del Latte nei Comuni.

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Lo scoppio della guerra, insieme alle sue tragiche conseguenze, rese più gravi i problemi dell’approvvigionamento delle derrate alimentari specialmente per le popolazioni delle città (Carnevale et al, 2003). Durante il secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra, per gli eventi bellici prima, e per le difficoltà di assestamento poi, i servizi di raccolta del latte cercarono in Italia di assicurare faticosamente il rifornimento all’intera popolazione. Questa fase, caratterizzata dalla necessità di procedere velocemente nel ristabilimento di condizioni minime di vita per tutti, ebbe come scopo immediato il controllo igienico-sanitario sulla produzione, ma soprattutto perseguì il fine primario di fronteggiare le gravi difficoltà alimentari della popolazione civile. Il primo intervento, in tal senso, consistette nel reperimento di una quantità sufficiente di latte per il fabbisogno urbano (Pagliai, 2010).

Alla Centrale del Latte si cominciò a pensare fin dal 19452. Inizialmente si crearono due centri di raccolta del latte gestite da due cooperative sotto il controllo dell’Ente Comunale di Consumo. Si trattava dell’Ente Toscano Approvvigionamenti Latte (ETAL) e la Cooperativa Fiorentina Latte e Derivati, che andava a sostituire il precedente “Consorzio Produttori” e il “Consorzio Esercenti Latterie”. Questi organismi nel ’46 vennero formalmente investiti della funzione di Centro di raccolta per il latte importato da altre province o regioni, l’” E.T.A.L.”, e per il latte prodotto nella provincia di Firenze, la “Coop. F.L.&D.” (Cervelin, 2004).

Anche le organizzazioni internazionali, nella primavera del 1950, avevano espresso, senza riserve, il loro sostegno per l’impianto di una Centrale urbana dopo aver raccolto dati statistici della produzione e del commercio del latte per la valutazione de fabbisogno della popolazione italiana in relazione alle disponibilità prebelliche (Pagliai, 2010).

Ecco come, nel 1951 arrivò la costituzione della Centrale del Latte, grazie alla determinazione del Sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, a conclusione dell’iter burocratico che consentiva di beneficiare del Programma per le Centrali del Latte messo a punto dall’UNICEF3 e dall’Amministrazione Aiuti Internazionali. In particolare, circa 1 / 4 dei

2 Fino al 1945 non era esistito alcun centro di raccolta del latte che per requisiti preludesse alla definitiva

sistemazione della materia con l’istituzione di una Centrale: l’approvvigionamento continuava ad avvenire su richiesta dei privati, mentre l’intervento delle autorità sanitarie si limitava a saltuarie ispezioni negli esercizi commerciali o nei confronti dei trasportatori di derrate alimentari.

3 Il United Nations International Children’s Emergency Fund (UNICEF) era un organo sussidiario

dell’Assemblea Generale dell’ONU, che ereditò nel 1947 la funzione dell’United Nations Relief and

Rehabilitation Administration (UNRRA). L’UNRRA era un’organizzazione internazionale con sede a

Washington, istituita il 9 novembre del 1943 per assistere economicamente e civilmente i Paesi usciti gravemente danneggiati durante la Seconda guerra mondiale, anche con l’acquisto e la distribuzione alla

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costi venivano sostenuti dall’Amministrazione Aiuti Internazionali, che venivano forniti dall’UNICEF sotto forma di macchinari. Per incrementare il limitato consumo di latte occorreva un intervento sulle scelte degli italiani, tramite una ininterrotta opera di informazione che inducesse ad un cambiamento delle abitudini alimentari (Pagliai, 2010). L’obiettivo era dotare le comunità aderenti degli strumenti necessari per aumentare la distribuzione e l’approvvigionamento del latte, migliorandone il profilo igienico sanitario. Il “programma UNICEF”, denominato Milk Machinery Program, prevedeva la fornitura da parte dell’Amministrazione per gli Aiuti internazionali (AAI)4 degli impianti e dei macchinari necessari per la produzione5. In cambio le centrali si impegnavano a distribuire gratuitamente il corrispondente valore in latte pastorizzato ad istituti di beneficienza. Si posero così i fondamenti per la realizzazione di un unico stabilimento per la produzione del latte (Segreto, 1996). Inoltre, con la nascita della Centrale del Latte le fasi della lavorazione e della distribuzione furono riunite sotto il controllo di un unico ente, lasciando agli organismi comunali la verifica delle condizioni organolettiche ed igieniche dell’alimento (Cervelin, 2004). All’atto pratico, con l’istituzione di una Centrale, si tese a passare dal semi monopolio del venditore a domicilio se pur organizzato in associazioni di categoria, ad una organizzazione su base industriale che provvedesse direttamente alla distribuzione del latte, dopo averlo opportunamente trattato (Pagliai, 2010).

popolazione bisognosa di generi alimentari di prima necessità e fra questi il latte; entrata a far parte delle Nazioni Unite nel 1945, fu sciolta il 3 dicembre 1947.

4 Nel 1945 il governo italiano stipulò un accordo con il governo degli Stati Uniti d'America per l'esecuzione

del programma assistenziale statunitense per l'estero, previsto dall'United Nations Relief and Rehabilitation

Administration, UNRRA, costituitasi già nel 1943. L'iter di tale accordo si concluse il 4 luglio 1947, mentre,

dal punto di vista legislativo, si ebbero, in materia, i decreti 19 marzo 1945, n. 79, 8 ottobre 1946, n. 301, 9 settembre 1947 n. 1004. Il primo di questi decreti istituì la Delegazione del governo italiano per i rapporti con l'UNRRA. Il decreto del 19 settembre 1947, n. 1006, pur mantenendo la normativa precedente, modificò la denominazione in Amministrazione per gli aiuti internazionali, a seguito della soppressione dell'UNRRA, avvenuta nello stesso anno. L'Amministrazione aveva come finalità il controllo sull'attuazione dell'accordo stipulato con gli Stati Uniti d'America e la gestione del relativo fondo, come stabilito nel decreto legislativo del 9 settembre 1947, n. 1004. Curava, inoltre, lo sviluppo delle attività assistenziali, la promozione delle direttive suggerite dalle moderne dottrine ed esperienze, i collegamenti con gli organismi assistenziali stranieri ed internazionali e la cooperazione con altri enti costituitisi per fini sociali.

5 Il programma alimentare Unicef si affiancava a quello tessile (Unrra tessile), per la lavorazione e

distribuzione di ingenti quantitativi di tessuti e calzature, e a quello edilizio, a favore dei sinistrati e dei senzatetto (Unrra-Casas), entrambi attuati tramite appositi comitati tecnici.

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Nei limiti imposti dalla rigidità dei bilanci e con l’opposizione delle forze liberali all’eccessiva ingerenza del comune nel campo dei servizi e dell’economia, La Pira si mosse affinché il 27 agosto 1951 si costituisse il “Consorzio per la Centrale del Latte di Firenze” in forma di società per azioni con un capitale sociale di 5.250.000 lire, rappresentato da 5.250 azioni da 1.000 lire ciascuna, suddivise fra Consorzio Agrario, Cooperativa Latte e Derivati, Cassa di Risparmio di Firenze e Banca Nazionale del Lavoro (Cervelin, 2004).

Si determinano così le premesse per la costituzione di una vera e propria Centrale del Latte a Firenze che, in effetti vide la luce nel quadro dei gravi problemi economici e sociali della ricostruzione. Si consideri che i consumi di latte, crollati durante la guerra, ripresero a crescere in maniera consistente negli anni successivi alla fine del conflitto. Erano i tempi in cui Alberto Sordi nell’Americano a Roma (1954) buttava via il fiasco e la pastasciutta per una bottiglia di latte. In questo contesto, ancora influenzato dai danni prodotti dalla guerra all’agricoltura e al patrimonio zootecnico, prese forma l’idea della Centrale del Latte a Firenze, così come in altre città italiane (Cervelin, 2004).

In realtà l’incremento del consumo di latte andò a contraddistinguere il cambiamento dello stile alimentare degli italiani, e con esso la rinascita dalla Seconda guerra mondiale.

A Firenze, intanto, si procedeva alla costruzione dello stabilimento della Centrale del Latte. I lavori dello stabilimento di via Circondaria, iniziati nel febbraio del 1953, si conclusero nel dicembre del 1954. L’azienda impiegava centoventicinque persone nelle varie attività. Con diciassette furgoni distribuiva ottantamila bottiglie di latte, circa metà da mezzo litro e poco di più da un litro (Cervelin, 2004). La Centrale entrata in attività con 90 Figura 3: Composizione societaria del Consorzio per la Centrale del Latte di Firenze al momento della sua costituzione

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dipendenti, dopo alcuni mesi, il numero del personale (fra impiegati, operai e dirigenti) era salito a 125 (Bonifazi et al, 1996).

Una ordinanza del sindaco La Pira (4 dicembre 1954) stabiliva le norme per la raccolta del latte, il trasporto, i controlli igienici, il trattamento, la distribuzione al pubblico e le caratteristiche organolettiche del prodotto. Il latte, con la sua percentuale di grassi (non scremato) doveva giungere al consumatore esclusivamente dentro le bottiglie sigillate. Era proibito ai lattai aprire le bottiglie e frazionare il contenuto. L’ordinanza specificava che entro il 31 gennaio 1955 tutte le latterie dovevano essere munite di frigorifero per la conservazione del prodotto (Cervelin, 2004).

Durante l’esercizio del 1955 si stimò fossero conferiti in Centrale a cura del Consorzio Produttori 166 mila ettolitri di latte locale, integrati da conferimenti extraprovinciali nella misura di 46 mila ettolitri (Bonifazi et al, 1996).

Nel 1963, mentre La Pira era ancora sindaco, a seguito di una ristrutturazione aziendale e al fallimento della "Cooperativa latte e derivati", il Comune di Firenze decide di acquistare 5000 azioni (pari al 95%) della società, lasciando le quote minori alla Cassa di Risparmio di Firenze e alla Banca nazionale del lavoro.

Tuttavia, le cose non erano semplici e la Centrale del Latte rimase una S.p.A., con tutti i vantaggi gestionali che comportava6, nonostante la proprietà pubblica del capitale.

La Centrale del Latte operava in regime di monopolio, detenendo l'esclusiva nella raccolta, nella produzione e nella distribuzione del latte al consumo (Cervelin, 2004).

6 L’adozione della forma giuridica di Società per Azioni per un’azienda destinata ad erogare un pubblico

servizio fu una decisione molto contrastata, poiché al tempo la forma pressoché esclusiva per tale gestione era rappresentata dall’azienda municipalizzata. La governance della S.p.A. invece si rivelò fin dall’inizio una scelta ottimale. In fase di avvio tale assetto permise di conciliare gli indirizzi politici interni all’amministrazione comunale e di interfacciare la nuova realtà con il mondo finanziario.

Figura 4: Composizione societaria del Consorzio per la Centrale del Latte di Firenze nel 1964

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1.3 Da Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno S.p.A. a Centrale

del Latte della Toscana S.p.A.

La concorrenza dei privati, produttori di latti “speciali”, e la crisi della produzione locale di latte imposero alla Centrale del Latte di Firenze l’adozione di nuove strategie produttive e commerciali, di pari passo con l’ampliamento del tradizionale bacino di approvvigionamento della materia prima. La scelta della Centrale fiorentina fu quella di migliorare, diversificare ed ampliare la gamma di prodotti.

Per rendere più efficiente l’azienda e ridurre le spese di gestione, fu avviato un vasto programma di riammodernamento degli impianti. L'azienda va ad assumere sempre più una dimensione regionale. Collaborando con le centrali delle maggiori città toscane, gestendo sia il servizio di produzione che quello di raccolta e distribuzione.

Nel 1966 fu lanciato sul mercato “Mukkilatte”, un latte omogeneizzato, intero e fresco, che divenne ben presto il marchio leader dell’azienda. Questo prodotto fu il primo in Italia ad essere commercializzato nelle confezioni rettangolari Brik che conservano in modo perfettamente sterile il prodotto contenuto.

A completare la gamma dei prodotti, si aggiunse a partire dal 1968 la produzione del latte “uperizzato” a lunga conservazione. L’introduzione del nuovo prodotto, che usciva dalla Centrale del Latte di Pistoia, era l’inizio di una politica di accordi produttivi e commerciali destinata a svilupparsi fino a raggiungere nel 1983 un risultato significativo con la fusione fra la Centrare fiorentina e quella di Pistoia. Nasceva, così, il “Consorzio per le Centrali del Latte di Firenze e Pistoia”. Subito dopo, a seguito di accordi fra le Centrali pubbliche toscane, fu lanciata una linea di prodotti “latte toscano”, proposto con lo stesso marchio e confezionato a Firenze, Livorno, Pistoia e Viareggio. Nel 1973 si estendeva il marchio della Centrale fiorentina anche ad altri prodotti, come formaggi tipici e perfino caffè, mentre a Livorno iniziava la produzione di yogurt naturale e alla frutta.

Alla fine degli anni Settanta la gamma dei prodotti commercializzati dalla Centrale comprendeva dieci tipi di latte, cinque dei quali a lunga conservazione, due qualità di panna, burro, yogurt, crema per caffè-malto, nonché formaggio pecorino e mozzarella, e poi il “Mukkicacao”.

Nel 1982 la particolare sensibilità e attenzione dedicata alle dinamiche del mercato portarono alla fusione della Centrale del Latte di Firenze con la Centrale del Latte di Pistoia. Nacque così il Consorzio per la Centrale del Latte di Firenze e Pistoia S.p.A.

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Nel 1993 si conclusero le trattative avviate già nel 1990 con il Consorzio provinciale livornese. Gli enti livornesi acquisirono il 12% del capitale sociale e la Società cambiò il nome in “Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno S.p.A.”.

Nel 1986 è nata la prima linea di prodotto latte "Selezione Mugello". Si tratta di un latte fresco proveniente da poche stalle del territorio del Mugello.

Pochi anni dopo, nel 1998, la Centrale acquisisce il "Centro latte di Lucca" proprietario del marchio "Cremlat", allargando e consolidando il carattere regionale, di cui sono espressione i due marchi ben affermati e apprezzati dai consumatori: Mukki e Cremlat. Nello stesso anno compare il marchio del "Podere Centrale", una linea di prodotti realizzata secondo il metodo dell'agricoltura biologica e inizia della collaborazione con l'ospedale pediatrico "Meyer" di Firenze.

Con scelte aziendali dimostratesi oculate, la Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno andava ad assumere il ruolo di leader in Toscana nel latte fresco, detenendo una quota di mercato di oltre il 60% e servendo più di 10.000 punti di vendita dalla Liguria al Lazio.

La sede storica di via Circondaria, giacente su terreni di proprietà comunale sui quali dovrà passare la linea ferroviaria ad alta velocità, viene lasciata nel 2005; lo stabilimento si sposta nella attuale struttura di via dell'Olmatello, in zona Novoli dove, grazie a impianti moderni e tecnologicamente avanzati, viene ampliata la produzione di generi a base di latte fresco.

Figura 5: Composizione societaria del Consorzio per la Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno nel 1993

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Nel febbraio del 2015 viene avviato il percorso di aggregazione tra Centrale del Latte di Torino & C. S.p.A. e la Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno S.p.A. che si completerà il 30 settembre 2016 con la nascita di Centrale del Latte d’Italia S.p.A.

Contestualmente alla fusione è avvenuto il conferimento da parte della Centrale del Latte d’Italia S.p.A. dell’azienda Mukki, facente capo alla Centrale del Latte di Firenze, Pistoia e Livorno, in una nuova società, interamente posseduta dalla Centrale del Latte d’Italia S.p.A. avente sede legale in via dell’Olmatello, denominata Centrale del Latte della Toscana S.p.A.

La Centrale del Latte d’Italia S.p.A. rappresenta in Italia il terzo polo nel latte fresco ed Extended Shelf Life (ESL) per volumi commercializzati. La Società nella configurazione attuale è il risultato di una strategia di crescita volta alla creazione di un polo interregionale specializzato nella produzione e nella commercializzazione di prodotti lattiero-caseari che aggrega realtà e marchi a livello locale, accumunati da valori essenziali quali la qualità, la sicurezza, la territorialità e la valorizzazione della filiera zootecnica delle regioni interessate.

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1.4 I prodotti

La Centrale realizza un’ampia gamma di prodotti che si differenziano per materia prima e processo produttivo di trasformazione.

La materia prima locale viene raccolta giornalmente presso le stalle di conferimento situate prevalentemente nel territorio regionale. I fornitori nazionali ed esteri sono operatori che hanno rapporti stabili con l’azienda. Il loro latte crudo viene trasportato da ditte trasportatrici qualificate. I messi di trasporto sono automezzi coibentati e refrigerati.

Presso la zona “ricevimento” dello stabilimento, vengono effettuate al momento dell’arrivo le prime analisi del prodotto, per consentire l’accettazione o l’eventuale rifiuto, qualora siano presenti difformità rispetto agli standard richiesti. La materia prima viene quindi stoccata nei serbatoi destinati al latte crudo. Da qui il prodotto viene poi trasferito agli impianti di trasformazione, per iniziare il ciclo di lavorazione che lo condurrà alla realizzazione del prodotto commerciale a cui è destinato.

1.4.1 Tipologie di trattamento

Le tipologie di trattamento comprendono il latte fresco pastorizzato, il latte alto pastorizzato o ESL (Extended Shelf Life) ed il latte sterilizzato UHT.

Latte fresco pastorizzato. Il latte è sottoposto ad un unico processo di pastorizzazione entro 48 ore dalla mungitura ad una temperatura di almeno 72° C per un tempo di 15 secondi.

Latte alto pastorizzato o ESL (Extended Shelf Life). Il latte subisce un trattamento termico più intenso rispetto al latte fresco; la temperatura è compresa tra 80° e 135° C, per un tempo che può variare da 1 a 4 secondi (valori standard 121° C per 2 – 4 secondi) ma inferiore al latte UHT, al fine di prolungare la shelf life.

Latte sterilizzato UHT. Il trattamento a temperatura ultra – alta consiste nel portare il latte ad una temperatura elevata, tra 135° e 150° C, per qualche secondo solamente.

1.4.2 Linee di prodotto

Le diverse linee di prodotti realizzati dalla Centrale del Latte della Toscana S.p.A. differenziabili per l’origine della materia prima e per processo produttivo sono descritte qui di seguito.

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• Linea 100% Toscana: ad oggi sono 59 le stalle selezionate in tutta la Toscana che conferiscono la materia prima per la produzione del latte Mukki 100% Toscano. A questa linea appartengono: Latte intero di Alta Qualità, Latte parzialmente scremato, la mozzarella realizzata da un caseificio della provincia di Pistoia, ma anche un vasto assortimento di Yogurt in vasetto (intero e magro). A questa linea appartengono inoltre uova provenienti da allevamenti regionali.

• Selezione Mugello: dal 2013 Mukki e gli allevatori del Mugello sono impegnati in un progetto di tutela e valorizzazione della filiera bovina da latte: un percorso sostenibile al fine di produrre una materia prima sempre migliore, nel rispetto dell’ambiente, degli animali e della comunità. A questa linea appartiene il Latte intero di Alta Qualità e il Latte Parzialmente Scremato.

• Selezione Maremma: latte proveniente solamente da 16 aziende agricoli presenti nella provincia di Grosseto che, giorno dopo giorno, lavorano con cura e passione per garantire una materia prima eccellente. Ritroviamo il Latte intero e il Latte parzialmente scremato.

• Il Podere Centrale Bio: la linea di prodotti biologici “Il Podere Centrale Bio” nasce nel 1998. I prodotti di questa linea provengono da allevamenti che effettuano la conduzione agricola e l’allevamento del bestiame basati su principi e regole del disciplinare biologico. Il latte biologico, ovviamente, sia nella fase di raccolta che di pastorizzazione e confezionamento, è tenuto costantemente separato rispetto al latte convenzionale. I prodotti della linea sono: Latte ESL intero, Latte ESL parzialmente scremato, Latte ESL Alta Digeribilità, Latte UHT intero, Latte UHT Parzialmente Scremato, oltre alla Ricotta, allo Stracchino, alla Burrata e Stracciatella, una vasta gamma di Yogurt e le uova.

• Funzionali: dalle competenze e professionalità della nostra “Ricerca e Sviluppo” e grazie alle tecnologie e agli impianti all’avanguardia è nato il progetto “Mukki Programma Salute” con l’obiettivo di realizzare prodotti specifici e innovativi per rispondere in modo efficace alle esigenze nutrizionali dei consumatori. La ricerca Mukki ha messo a punto tre prodotti: Benessere Cuore (con l’aggiunta di Omega 3), Benessere Ossa (con l’aggiunta di Calcio e vitamina D) e Linea e Benessere (latte scremato con fibre e vitamine). I prodotti di questa linea si ritrovano sia ESL che UHT. Inoltre, in questa linea è presente il Latte ad Alta Digeribilità, a ridotto contenuto di lattosio (ESL e UHT).

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• Mukki Bimbo: nasce dalla collaborazione tra Mukki e gli esperti in nutrizione infantile dell’Ospedale Pediatrico Meyer, latte formulato per la crescita che risponde alle specifiche esigenze nutrizionali dei bambini nella fascia d’età da 1 a 3 anni. Il latte utilizzato proviene esclusivamente dalle migliori stalle toscane. Disponibile sia ESL che UHT.

• Linea Veg: ideale per chi vuole un’alternativa vegetale fatta esclusivamente con ingredienti di alta qualità, 100% vegetale. Tutti i prodotti sono senza lattosio, preparati con materie prime di provenienza italiana e arricchiti con calcio e vitamine. All’interno si può trovare bevande a lunga conservazione nei gusti Soia, Riso e Avena.

• Linea Mukki: Latte Fresco Intero Alta Qualità, Latte UHT Intero, Latte UHT Parzialmente Scremato, Uperlatte UHT Parzialmente Scremato, Mukki Minibrik Intero, Mukki Minibrik Parzialmente Scremato, Mukki Minibrik Latte al Cacao, Burro, Ricotta, Mascarpone. Stracchino, Mozzarella, Panna UHT, Panna Spray UHT, Panna Fresca, Yogurt da bere bianco e nei gusti frutta.

• Smuthie: bevanda a base di latte magro (ESL), realizzato solo con prodotti naturali, senza l’aggiunta di conservanti né coloranti, senza tracce di glutine, con pochi zuccheri ed un basso tenore di grassi.

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1.5 Investimento di Mukki nelle certificazioni

Un grande contributo per l’accrescimento dell’azienda sia produttivo che gestionale, l’ha dato senza dubbio l’adozione, per tappe successive, di un Sistema di Gestione Integrato, conforme alle seguenti Norme internazionali: Norma UNI EN ISO 9001:2015; Norma UNI EN ISO 22000:2005; Food Safety System Certification (FSSC); Global Standard for Food Safety (BRC); International Food Standard (IFS); Norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005; Norma BS OH SAS 18001:2007; Norma UNI EN ISO 14001:2004; Norma SA 8000:2008; Certificato Halal.

✓ La certificazione UNI EN ISO 9001:2015 per il Sistema di Gestione della Qualità (SGQ), è stata conseguita nel 1996. È stata la prima certificazione ottenuta dall’azienda, sulla cui base sono stati costruiti tutti gli altri sistemi di gestione. Riguarda la gestione dei processi aziendali con il fine di garantire il pieno rispetto dei requisiti relativi al prodotto, sia quelli imposti dalla normativa cogente, che quelli concordati con i clienti. La sua applicazione permette un miglioramento continuo dei processi aziendali e assicura al cliente la conformità dei requisiti; ✓ La certificazione UNI EN ISO 22000:2005 per il Sistema di Gestione Sicurezza

Alimentare (SGH), conseguito nel 2012. La norma è stata pubblicata nel settembre 2005 con il fine di mettere le aziende della filiera agroalimentare nelle condizioni di poter gestire in modo efficace i rischi alimentari attraverso l’applicazione dei principi della comunicazione interattiva, del sistema di gestione e controllo delle produzioni, della rintracciabilità, delle buone pratiche igieniche, dei programmi di manutenzione di attrezzature, edifici e disinfezione, dell’HACCP;

✓ La Certificazione Food Safety System Certification (FSSC) è una certificazione finalizzata alla sicurezza alimentare, che l’azienda ha conseguito nel 2014;

✓ La certificazione Global Standard for Food Safety (BRC) per la Sicurezza Alimentare è stata conseguita nel 2013. È uno standard globale specifico per la sicurezza dei prodotti agroalimentari. Obiettivo della norma è fare in modo che i fornitori della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) siano in grado di assicurare la qualità, la legalità e la sicurezza dei prodotti alimentari proposti ai consumatori. I requisiti fanno riferimento ai sistemi di gestione qualità, al metodo HACCP, alle norme di buona fabbricazione (GMP), alle buone pratiche di laboratorio (GLP) ed alle buone pratiche igieniche (GHP);

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✓ La certificazione International Food Standard (IFS) per la Sicurezza Alimentare è stata conseguita nel 2013. La norma, affine alla BRC, è stata messa a punto dagli operatori della GDO di Francia, Germania ed Italia. L’obiettivo è quello di condividere un metodo di valutazione per qualificare e selezionare i fornitori di prodotti alimentari, garantendo il rispetto dei requisiti di qualità e sicurezza degli alimenti oltre che il rispetto delle norme di legge che regolano il settore;

✓ La certificazione UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 per il Sistema di Gestione del Laboratorio di Analisi è stata conseguita nel 1998. Il Sistema di Gestione Laboratorio definisce e monitora i requisiti tecnici ed organizzativi del Laboratorio, in modo che siano garantiti i riferimenti metrologici, l’affidabilità e la ripetibilità delle procedure impiegate, l’uso di strumentazioni adeguate, la competenza del personale, l’imparzialità del personale addetto alle prove e del giudizio tecnico emesso dal laboratorio;

✓ La certificazione BS OH SAS 18001:2007 per il Sistema di Gestione Salute e Sicurezza sul luogo di lavoro (SGL) è stata conseguita nel 2009. Il SGL ha la finalità di perseguire attraverso la gestione dei processi produttivi la minimizzazione dei rischi relativi all’igiene e la sicurezza nelle attività lavorative che si svolgono sia all’interno dell’azienda che nei depositi periferici;

✓ La certificazione UNI EN ISO 14001:2004 per il Sistema di Gestione Ambientale (SGA) è stata conseguita nel 2008. Il SGA ha la finalità di perseguire attraverso la gestione dei processi produttivi la minimizzazione del rischio ambientale e la conformità ai requisiti normativi in materia ambientale (smaltimento rifiuti, approvvigionamento idrico, ecc.);

✓ La certificazione biologica è stata conseguita nel 2006. Il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente e del benessere animale trova la sua massima espressione nell’agricoltura biologica. L’attenzione alle materie prime biologiche e il loro corretto utilizzo nel processo produttivo sono garantiti dal certificato biologico. ✓ La certificazione Halal è stata conseguita nel 2019. La certificazione Halal serve ad

attestare che i prodotti delle filiere agroalimentari siano conformi alle norme etiche ed igienico sanitarie, della legge e della dottrina dell’Islam, quindi commercializzabili in tutti i Paesi di religione islamica. È uno strumento fondamentale al servizio delle aziende all’interno delle strategie per l’internazionalizzazione.

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Il Sistema di Gestione è strutturato in modo da ottimizzare, in funzione del campo di applicazione di ogni singola certificazione, l’utilizzo delle risorse tecnologiche, umane e strutturali, sviluppando un approccio integrato alle decisioni aziendali in chiave di pianificazione, sviluppo e rendicontazione che prevede:

• Il coinvolgimento e l’integrazione di tutte le funzioni aziendali;

• Un sistema di rapporti e comunicazione rivolto all’interno ed all’esterno dell’azienda;

• La promozione di una cultura organizzativa di crescita del modello adottato;

• La pianificazione e la ricognizione di obiettivi e performance, sulla scorsa di auditing periodici, azioni correttive e preventive.

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Figura 7: Previsione di crescita della classe media cinese per gli anni 2005 - 2020

2. Analisi del mercato cinese e sostenibilità da parte di Mukki

dell’apertura di una linea commerciale con la Cina

2.1 Considerazioni preliminari

A partire dagli anni ’90, la Cina rappresenta una delle economie più dinamiche e in evoluzione del pianeta. Non è un caso che tale area insieme all’India, alla Russia e al Brasile, vada a formare il gruppo delle economie emergenti definite con il nome di Paesi BRICS7 (O’Neill, 2003).

Lo sviluppo economico ha influenzato inevitabilmente anche la struttura e le abitudini della società cinese. Questa, infatti, benché ancora caratterizzata da una forte sperequazione sociale, mostra una classe media in forte crescita (figura 7) e un segmento ad alto reddito sempre più definito. Tali fasce della società, oltre ad avere una condizione economica in continuo miglioramento, stanno evolvendosi da un punto di vista culturale, cominciando ad inserire nella millenaria tradizione culinaria cinese non solo prodotti locali maggiormente innovativi (Wu et al, 1995), ma anche elementi di altre culture, prima fra tutte quella occidentale. Questa apertura sta interessando anche le abitudini alimentari, aprendo il dinamico e vivace mercato cinese all’importazione di prodotti agroalimentari europei di qualità, dalle notevoli potenzialità di espansione (Marchesini et al, 2008).

7 BRICS è un acronico, utilizzato in economia internazionale, che individua cinque paesi (Brasile, Russia,

India, Cina e Sudafrica) accumunati da alcune caratteristiche simili, tra le quali: la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e sono stati caratterizzati, nell’ultimo decennio, da una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale.

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Fortunatamente i consumatori cinesi si rivelano estremamente curiosi, come dimostrato da uno studio condotto da Till nel 2014, con il 65% degli intervistati che si dicono disposti a provare nuovi prodotti, e solo un 11% che invece dichiara di non volerli provare (Till et al, 2014).

L’apertura del mercato alimentare cinese presuppone la conoscenza e l’ottemperanza dei requisiti cinesi di sicurezza alimentare e di comunicazione al consumatore. Le aziende che intendono commercializzare i loro prodotti con la Cina devono prestare massima attenzione alla conformità dei prodotti, alle normative vigenti ed alle procedure necessarie all’importazione.

Nella prospettiva che la Centrale del Latte della Toscana avvii una linea commerciale con la Cina, la parte iniziale della tesi è dedicata all’identificazione degli Standard Alimentari Cinesi ed alla verifica della loro corretta implementazione dalla Centrale del Latte della Toscana. Prima però descriveremo un quadro generale sullo stato della sicurezza alimentare in Cina, andando ad approfondire i problemi che hanno portato ad una ricerca sempre maggiore del concetto di qualità nella popolazione della Repubblica Popolare Cinese.

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2.2 Il cambiamento delle abitudini alimentari

Secondo il sociologo francese Bourdieu: “Il gusto classifica, e classifica ciò che classifica” (Bourdieu, 1984). Questa espressione sta a significare che tutto ciò che mangiamo non deriva solo dalla nostra scelta personale e dai nostri gusti, ma è influenzato anche dalla società in cui siamo cresciuti e dal contesto sociale. I gusti, che dovrebbero essere sinonimo di libertà di scelta, in realtà sono fortemente determinati dall’ambiente, dalla condizione economica, sociale e dal livello di educazione dell’individuo. Per questo motivo, ogni individuo tenderà sempre a preferire la cucina tipica del luogo in cui si vive. Regole scritte e non scritte esistono in ogni coltura, come ad esempio chi è il responsabile della cucina e del servire, per chi cucinare, dove mangiare, in che tipo di occasioni. Tutti i comportamenti legati al consumo alimentare sono vincolati dalla cultura. Il comportamento alimentare, una volta formato, ha una continuità nel tempo (Ma, 2015).

Il modo di mangiare in Cina è molto diverso da quello europeo, sia per quanto riguarda i prodotti consumati, sia rispetto all’atto del pasto in sé.

Le origini della cultura alimentare cinese risalgono alla dinastia Shang (1600 - 1048 a.C.). In quel periodo, Yin Yin, una personalità politica di primaria rilevanza e grande cultore dell’alimentazione, formulò la teoria dell’armonizzazione dei prodotti alimentari, secondo la quale i cinque sapori (dolce, acido, amaro, piccante e salato) corrispondono alle esigenze nutrizionali dei cinque principali organi del corpo (cuore, fegato, milza/pancreas e reni) (Calosso, 2010).

La Cina sfama un quinto della popolazione mondiale, con meno dell’8% della superficie arabile totale e circa il 15% delle aree verdi e pascoli del mondo. (Chen et al, 2010). Rappresenta il primo produttore mondiale di alimenti, nonché il primo mercato in termini di volume di consumi. In aggiunta a ciò, le importazioni di cibo dall’estero continuano a far segnare tassi di incremento impressionanti (Zhou et al, 2012).

All’inizio del secolo scorso la Cina era un’economia agraria popolata per lo più da piccoli agricoltori di sussistenza. Negli anni ’50, l’agricoltura cinese è stata collettivizzata. La sua popolazione è raddoppiata da 550 milioni nel 1950 ad oltre 1 miliardo nel 1980. Il paese però era ancora in gran parte in grado di mantenere l’autosufficienza alimentare, grazie alle diete vegetali (Poor et al, 2014).

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La struttura del consumo di cibo in Cina, a partire dal 19808 ha subito notevoli cambiamenti, sia in termini di consumi, sia per quanto attiene alla composizione stessa di tali consumi. In generale, si osserva un significativo declino del consumo di verdura e grano, mentre pesce, carne, uova e latticini continuano ad essere consumati in quantità ed occasioni sempre maggiori (Zhou et al, 2012). Come descrivono le figure 8,9,10 e 11 l’assunzione energetica pro capite ha raggiunto il suo apice tra la metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90; poi, la sua leggera diminuzione è stata accompagnata da uno spostamento dei modelli alimentari verso l’aumento del consumo di alimenti di origine animale, oli vegetali e alimenti trasformati. In particolare, questo tipo di trasformazione di preferenze alimentari è stato osservato accadere ad un ritmo variabile in funzione dello stato economico dell’area geografica di riferimento. In generale, questa tendenza ha riguardato la popolazione urbana prima della popolazione rurale, le città costiere, che sperimentano lo sviluppo economico prima e più velocemente, prima delle regioni interne (Hu and Zhou, 2015).

Non è un caso, dunque, che gli esperti mondiali di nutrizione parlino di cambiamento radicale della dieta in Cina.

Figura 8: Consumo energetico totale pro capite al giorno, Cina (China Health and

Nutrition Survey).

8 Primo anno dall’apertura al libero commercio, avvenuta nel 1978, grazie ad una serie di riforme

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Figura 10: Percentuale di energia derivante dai carboidrati, Cina (China Health and Nutrition Survey)

Figura 9: Percentuale di energia derivante dalle proteine, Cina (China Health and Nutrition Survey)

Figura 11: Percentuale di energia derivante dai grassi, Cina (China Health and Nutrition Survey)

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I principali fattori che conducono i consumatori cinesi a provare alimenti che non appartengono alla propria tradizione sono essenzialmente tre:

1. Aumento del reddito.

2. Aumentata disponibilità di diverse tipologie di alimenti nei mercati locali, grazie al miglioramento dei trasposti e delle infrastrutture.

3. Aumento degli scambi commerciali con l’estero, a seguito di riforme economiche di fine anni ’70.

Lo sviluppo economico ha influenzato inevitabilmente la struttura e le abitudini della società cinese: benché ancora caratterizzata da una forte sperequazione sociale tra classi sociali e aree geografiche, si è consolidata una classe media in forte crescita e anche un segmento ad alto reddito. I “nuovi ricchi” (che sono il 10% dei 1,425 miliardi di cinesi), oltre ad avere una condizione economica in continuo miglioramento, stanno evolvendosi dal punto di vista culturale, cominciando ad inserire nella millenaria tradizione culinaria cinese prodotti locali innovativi ed elementi di altre culture, prima fra tutte quella occidentale. Si osserva così un declino nei consumi di verdura e un progressivo aumento nei consumi di cibi più costosi come pesce, uova, latticini, con una spesa per i generi alimentari raddoppiata tra il 2000 e il 2010 (Zhou et al, 2012).

Figura 12: Consumo di cibo per categoria alimentare in aree rurali e urbane della Cina (National Bureau of Statistics, China).

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Sebbene gli abitanti rurali abbiano meno opportunità di accedere a prodotti e ristoranti occidentali, la crescente urbanizzazione porta molti di loro a trasferirsi in città per cercare opportunità di lavoro più redditizie, potendo così acquistare nuovi beni alimentari. È stato osservato come l’urbanizzazione abbia effetto non solo sulla quantità alimentare consumata, ma anche sulla scelta di cosa consumare, calcolando un aumento di prodotti di origine animale che varia dai 4,2 ai 7,2 chili in base alla dimensione della città in cui si trasferisce un residente rurale (Bertoli, 2008; Huang et al, 2015).

Si stima che entro il 2020, circa 850 milioni di persone, che rappresentano il 60% della popolazione totale, vivranno in aree urbane, contro i 650 milioni del 2010.

Approssimativamente il 20% di questi 850 milioni di persone saranno migranti di prima generazione provenienti dalle zone rurali. Il processo di urbanizzazione alimenta la crescita del mercato dei consumatori ampliando l’accessibilità e la disponibilità di beni di qualità superiore (Atsmon et al, 2012).

Come verrà approfondito successivamente, l’incremento generalizzato del reddito cinese, seppure non omogeneo, ha comportato una crescente domanda per prodotti alimentari sicuri, innovativi e di alta qualità che stanno portando alla rimodulazione organizzativa del settore agroalimentare nazionale ed internazionale. Secondo Euromonitor International (2008), il trend che riguarda l’attenzione per gli alimenti salutari nella Cina è destinato a crescere nei prossimi anni.

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Ulteriore aspetto che sta suscitando particolare interesse da parte degli studiosi è l’attenzione dei consumatori non solo al prodotto in quanto tale ma anche al processo produttivo utilizzato (Barcellos et al, 2010). Ciò sembra derivare dalla convinzione che ad ogni processo produttivo corrisponda una qualità differente del prodotto finale che concerne sia gli attributi intrinseci che quelli di tipo etico e ambientale (Grunert, 2005). L’attitudine a considerare rilevante il processo produttivo ha considerevoli effetti non solo sulla domanda aggregata dei consumatori ma anche sulla produzione e sulla società. Molte azioni legislative descritte nel paragrafo successivo, che impongono nuove regole alla produzione e agli agenti economici delle filiere agro-alimentari, sono frutto di queste istanze (Del Giudice et al, 2012).

Per quanto riguarda la marca, il consumatore cinese non cerca l’identificazione valoriale; ciò che gli interessa di un brand straniero non è il mondo culturale che l’ha originato né l’insieme di valori e ideali che la marca in sé incarna e trasmette, bensì il riferimento all’elevato standard di vita che caratterizza la realtà da cui la marca proviene. L’ostentazione del prodotto/brand straniero di successo genera riconoscimento, inclusione sociale, svolgendo una funzione “abilitante” (Bertoli, 2008).

2.2.1 Effetti sull’evoluzione della domanda di prodotti lattiero-caseari

Alcuni alimenti sono estranei al consumatore cinese: due esempi significativi sono i latticini ed il vino. Ciò non significa che questi alimenti non si trovino nel territorio cinese o che non piacciano ai suoi abitanti, ma che ci sia bisogno di una preparazione all’introduzione di certi cibi nella cultura e nella quotidianità di un popolo (Del Giudice et al, 2012).

Prendiamo i prodotti caseari e i latticini ad esempio. Fino agli anni ’90 questo tipo di alimenti era del tutto escluso dalla dieta della maggior parte dei cinesi (Wang et al, 2008). La ragione principale però è che molti cinesi, e degli abitanti del Sud-est asiatico, sono intolleranti al lattosio (circa il 90% degli adulti ed il 30% dei bambini) e quindi non digeriscono perfettamente latte e derivati, con conseguenze più o meno gravi.

Oggi, però, sempre più consumatori, soprattutto nei grandi centri metropolitani, consumano latte, yogurt e gelati (Wang et al, 2008). Anche perché il governo cinese sta cercando di promuovere il consumo di latte come importante fonte di calcio e proteine, raccomandandone un consumo quotidiano, promuovendo il latte, e più in generale i prodotti lattiero-caseari, nella dieta abituale dei consumatori cinesi. Non è che

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improvvisamente i cinesi non sono più intolleranti al lattosio: semplicemente non lo sono tutti e l’intolleranza ha effetti più o meno sopportabili.

Indubbiamente la domanda di questi prodotti, che è cresciuta nel corso dell’ultima decade e nel quinquennio 2014 – 2019, potrebbe continuare a crescere ad una media del 9,76% all’anno.

Per quanto riguarda la produzione interna di latte, negli ultimi cinque decenni, ha conosciuto due grandi fasi: una produzione molto bassa (prima del 1979) e una rapida espansione (dal 1979). Prima del 1979, la produzione cerealicola aveva la priorità e risorse molto limitate potevano essere destinate alla produzione di latte. Il latte liquido ed il latte in polvere erano quasi gli unici prodotti disponibili e il governo forniva latte sotto forma di razionamento ai neonati, ai malati e agli anziani, principalmente ai prezzi stabiliti dallo Stato nei mercati urbani. Nel 1979 sono iniziate le riforme economiche rurali. La zootecnia è stata uno dei pochi settori che sono stati riformati e regolamentati. Il governo ha adottato un’ampia gamma di misure per promuovere la produzione lattiero – casearia, tra cui la concessione di prestiti agevolati per investimenti, le sovvenzioni per l’alimentazione, la fornitura di razze migliorate e di assistenza tecnica ai produttori. Inevitabilmente la produzione di latte ha iniziato ad aumentare rapidamente (Zhou et al, 2002).

Non ci deve stupire, quindi, il fatto che la Cina ha uno dei più bassi livelli di consumo pro capite di latte nel mondo, con una media di 5 kg all’anno dal 1998 al 2001. Comunque, questa statistica nasconde il fatto che il consumo varia molto da una regione all’altra e dalle zone rurali a quelle urbane. In molte regioni del paese, il latte e i prodotti lattiero – caseari non fanno parte della dieta locale (in particolare nella Cina meridionale), mentre in altre regioni vi è una storia più lunga di produzione e consumo di latte (come nella Mongolia interna, Shangai e Pechino) (Glosser, 1999; Dharmasena et al, 2015).

Ecco che le famiglie urbane rappresentano la maggiore componente del consumo di latte in Cina, anche se l’incremento dei consumi è ostacolato da problemi di sicurezza alimentare (Cheng et al, 2014). Secondo delle indagini sulle famiglie urbane, l’acquisto di prodotti lattiero – caseari ha rappresentato l’1,4% della spesa familiare totale nel 2002, mentre la stessa percentuale è stata dello 0,9% nel 1995 (Zhou et al, 2002). È amentato anche il consumo di Yogurt (o “latte acido” come lo chiamano in Cina), come rappresenta la figura 14.

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Figura 14: Variazioni nella composizione dei prodotti lattiero-caseari consumati dai residenti urbani.

“I have a dream that every Chinese, especially children, could have half a kilogram of dairy product every day”9. Queste parole, pronunciate dal premier cinese nel 2006 Wen Jiabao, dopo aver visitato un caseificio, illustrano il crescente favore cinese per il latte bovino. Il mercato cinese del latte è cresciuto di una stima del 42% dal 2006 al 2010 (Afoakwa, 2008; Xiu et al, 2010).

Il consumo di latte liquido è aumentato del 39% negli ultimi 5 anni, soprattutto nelle aree urbane (Bean e Zhang, 2003).

Inoltre, le emergenze alimentari legate al settore lattiero-caseario, come lo scandalo della melamina del 200810 (Afoakwa, 2008; Xiu et al, 2010), hanno ridotto la fiducia dei cinesi nei prodotti lattiero-caseari interni ed hanno aumentato quella indirizzata verso il latte importato (Liem et al, 2015). Secondo il rapporto “EU SME Center” infatti, entro il 2018, l’Associazione di Industrie Alimentari prevede che la Cina potrebbe diventare il maggior consumatore di prodotti alimentari importati, con sostanziali incrementi nella domanda di latticini.

9 “Ho il sogno che ogni cinese, in particolare bambini, possa avere mezzo chilogrammo di prodotti lattiero –

caseari ogni giorno”.

10 La melamina, un composto chimico utilizzato per la produzione di plastica e solventi, era stato usato

nell'alimento affinché sembrasse più "ricco" in proteine, provocando la morte di almeno 6 bambini e l’intossicazione di più di 6000.

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Altro fattore che conferma la Cina come importante importatore di latte e prodotti lattiero – caseari è l’aumento dei prezzi del latte sul mercato interno, dovuto alla scarsità delle risorse alimentari per gli animali, in particolare del foraggio (Gale et al, 2016).

Se si considera il futuro dell’industria lattiero – casearia cinese, appare chiaro come la domanda continuerà a crescere e potrebbe accelerare nel tempo. Le politiche che promuovono la produzione e la commercializzazione di prodotti sia nazionali che importati devono essere rafforzate per ridurre i vincoli dell’offerta che attualmente limitano i consumi. La maggiore apertura al mondo esterno, il rapido aumento dei redditi e il cambiamento dei canali di vendita al dettaglio continueranno senza dubbio ad aumentare la domanda. Molti dei prodotti lattiero – caseari cinesi sono e continueranno ad essere prodotti a livello nazionale (ad esempio, latte liquido e gran parte dello yogurt e gelato), il che rende necessario l’ulteriore sviluppo di un settore lattiero – caseario efficiente che fornisca una sufficiente quantità di latte di alta qualità e sicuro (Fuller et al, 2004).

Quindi, per concludere, secondo uno studio condotto da Teresa del Giudice svolto nel 2012, il consumatore cinese propenso all’innovazione delle sue abitudini di consumo alimentare è giovane, risiede in città culturalmente ed economicamente vitali e dinamiche, si caratterizza per non essere sensibile alla tradizione, per desiderare una vita densa di nuovi stimoli, per avere una percezione del cibo nazionale come non l’unico capace di assicurare salubrità e gusto (del Giudice et al, 2012), è curioso di provare nuovi prodotti ed influenza le decisioni di acquisto dei propri genitori (Qui et al, 2011).

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2.3 La crescente attenzione per la sicurezza alimentare e l’evoluzione

della legislazione

2.3.1 Le aspettative di sicurezza alimentare nei consumatori cinesi

La sicurezza alimentare, definita come la garanzia che gli alimenti non causeranno danni al consumatore quando sono preparati e consumati secondo la loro destinazione d’uso, è una questione globale che riguarda la salute delle popolazioni sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo (Lam et al, 2013).

Le preoccupazioni per la sicurezza di prodotti alimentari nazionali sono emerse solamente all’inizio del XXI secolo, aggravate ed alimentate da una serie di emergenze alimentari, l’uso illegale di coloranti o additivi nocivi nei prodotti alimentari e la vendita di alimenti fraudolenti o scaduti (Cheng et al, 2014).

In Cina, negli ultimi dieci anni sono stati ufficialmente segnalati meno di 20.000 casi di importanti intossicazioni alimentari all’anno. Nel 2012, ad esempio, sono stati segnalati 6685 incidenti, in gran parte attribuibili ad agenti microbici (56,1%), seguiti da animali o piante tossiche (14,8%) e contaminazione chimica (5,9%) (Lam et al, 2013).

L’idea di cibo come elemento importante per la salute è fortemente radicata nella tradizione cinese. Essa è direttamente collegata al pensiero Yin Yang, che considera il cibo non solo come elemento necessario al sostentamento, ma anche come fondamento del benessere psico-fisico dell’individuo. Secondo questo principio, i sentimenti e gli stati d’animo degli individui possono essere regolati tramite l’assunzione di cibo, e anche le malattie vengono curate prestando attenzione alla dieta, ricorrendo ai farmaci solo quando strettamente necessario.

La riscoperta cinese dell’importanza delle caratteristiche nutrizionali e della sicurezza degli alimenti segna un punto di svolta nel mercato. I cinesi negli ultimi anni spendono sempre di più in prodotti per la salute. Tra il 2004 e il 2011 la spesa cinese per la salute è più che raddoppiata, crescendo da 51 a 102 dollari a persona annui, grazie all’aumento del reddito e alle politiche del governo iniziate con il dodicesimo piano di sviluppo quinquennale, in cui è stata menzionata per la prima volta l’industria alimentare.

L’Italia con i suoi prodotti e la fama della dieta mediterranea ha tutte le carte in regola per entrare nel mercato e ricoprire un ruolo primario, rispondendo perfettamente alle nuove esigenze dei consumatori cinesi. In seguito al miglioramento del tenore di vita, i

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