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Effetti ipoglicemici ed anti obesita di un estratto di Eruca sativa su modello sperimentale di sindrome metabolica

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

EFFETTI IPOGLICEMICI ED ANTIOBESITÀ DI UN

ESTRATTO DI ERUCA SATIVA SU MODELLO

SPERIMENTALE DI SINDROME METABOLICA

Relatori

:

Prof. Calderone Vincenzo

Prof.ssa Testai Lara

Candidata:

Granata Silvia

ANNO ACCADEMICO 2017/18

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INDICE

INTRODUZIONE………...1

1. Glucosinolati e la loro fonte vegetale……….1

1.1 Cosa sono i Glucosinolati e loro biosintesi………...1

1.2 Brassicaceae………...…..3

1.3 Ruolo dei glucosinolati nelle piante……….6

1.4 Attivazione dei glucosinolati nell’uomo………..7

2. Isotiocianati e solfuro di idrogeno H2S………..9

2.1 Isotiocianati: donatori di H2S………...9

2.2 Solfuro di idrogeno H2S……….11

2.2.1 Azioni fisiologiche del solfuro di idrogeno H2S………13

3. Benefici dei glucosinolati……….16

3.1 L’infiammazione………...16 3.2 L’invecchiamento………..18 3.3 Il rischio cardiovascolare………...19 3.4 Oncologia………...23 3.5 La sindrome metabolica……….25 3.6 L’obesità………28

SCOPO DELLA RICERCA………32

MATERIALI E METODI………33

1. Sperimentazione animale………...33

2. Trattamento………33

3. Protocollo sperimentale………..34

4. Test enzimatico sul tessuto adiposo………34

4.1. Citrato sintasi………..34

4.2. Protocollo sperimentale della citrato sintasi sul tessuto adiposo………35

5. Analisi dei dati………...37

6. Analisi istologica dei campioni biologici………...37

6.1. Analisi istologica del tessuto adiposo: colorazione Ematossilina – Eosina……….37

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RISULTATI E DISCUSSIONE………...42 BIBLIOGRAFIA……….51

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INTRODUZIONE

1. Glucosinolati e la loro fonte vegetale

1.1 Cosa sono i Glucosinolati e loro biosintesi

I Glucosinolati sono una classe di metaboliti secondari anionici contenenti azoto (N) e zolfo (S), anche conosciuti come B-tioglucoside-N-idrossisolfati, esteri cis-N-idrossiminosolfati o S-glucopiranosile tioidrossimati, che sono stati trovati principal-mente nelle piante appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae.

I glucosinolati condividono una struttura centrale comune che presenta una catena late-rale solforata e una frazione agliconica variabile (catena latelate-rale R) che deriva da diversi tipi di precursori aminoacidici. In base all’origine del gruppo R, i glucosinolati si distin-guono in alifatici, aromatici e indolici (Cavaiuolo et al. 2014).

I glucosinolati alifatici generalmente derivano da leucina, valina, metionina, isoleucina e alanina, mentre quelli indolici e aromatici derivano rispettivamente da triptofano e fe-nilalanina o tirosina (Sánchez-Pujante et al. 2017). La biosintesi dei glucosinolati aro-matici non è del tutto nota, mentre è conosciuta la biosintesi dei glucosinolati alifatici e indolici (Liu et al. 2016).

Questi composti si formano attraverso tre passaggi principali: allungamento della catena laterale dell’aminoacido di partenza; formazione del core tipica dei glucosinolati; modi-ficazioni secondarie della catena laterale (Halkier et al. 2006, Sotelo et al. 2016). Duran-te l’allungamento della caDuran-tena, agli aminoacidi alifatici ed aromatici sono introdotti gruppi metilenici, a cui segue la deaminazione per formare il corrispondente acido 2-oxo grazie all’attività dell’enzima aminotrasferasi degli aminoacidi a catena ramificata (BCAT). Poi si ha una reazione di isomerizzazione catalizzata dall’enzima isopropilma-lato isomerasi (IPMI) e infine la reazione di decarbossilazione ossidativa, catalizzata

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dall’isopropilmalato deidrogenasi (IPMDH) (Ishida et al. 2014; Robin et al. 2016; Søn-derby et al. 2010).

La formazione del core della struttura del glucosinolato inizia con la conversione degli aminoacidi della catena laterale in aldossime mediante l’azione del citocromo P450 mo-noossigenasi (CYP79). Le aldossime sono ossidate dal citrocromo CYP83 per formare composti aci-nitro, e successivamente sono trasformati in S-alchil-tioidrossimati e tioi-drossimati grazie all’azione della phi-glutatione S-transferasi (GSTF), della tau-gluta-tione S-transferasi (GSTU) e della carbon-solfuro liasi (SUR1). Questi tioidrossimati vengono sottoposti a due successive reazioni enzimatiche per formare la struttura dei glucosinolati in cui intervengono gli enzimi uridine difosfato glicosiltransferasi (UGT74) e sulfotransferasi (SOT).

Figura 2. Biosintesi del core della struttura del glucosinolato. GSTF phi-glutatione

S-transferasi, GSTU tau-glutatione S-S-transferasi, SUR1 carbon-solfuro liasi, UGT74 uri¬dina difosfato glicosiltransferasi 74, SOT solfotransferasi.

Nel caso dei glucosinolati indolici, il triptofano non viene allungato mediante l’introdu-zione del gruppo metilenico ma i passaggi per la formal’introdu-zione del core sono simili.

L’ultimo passaggio della sintesi dei glucosinolati riguarda la modificazione della catena laterale, che può avvenire mediante ossidazione, idrossilazione, metossilazione, alcheni-lazione e benzoialcheni-lazione (Sønderby et al. 2010).

La variazione della concentrazione dei glucosinolati nelle colture è determinata dalle ri-sposte genetiche, influenzate dalle interazioni con l’ambiente. Gli specifici meccanismi

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responsabili di tali grandi variazioni sono complessi e non ancora ben compresi. I livelli della biosintesi di glucosinolati dipendono da segnali di difesa della pianta, quali acido salicilico, etilene ed acido jasmonico; il crosstalk, sinergico o antagonistico, tra questi tre composti determina la relativa espressione genica che porta alla sintesi di un gluco-sinolato alifatico od indolico od aromatico. Geni quali CYP79B2, CYP79B3, CYP79F1 e CYP79F2 regolano la via di biosintesi dei glucosinolati e determinano il profilo com-plessivo in glucosinolati del tessuto (Mikkelsen et al. 2003).

1.2 Brassicaceae

La maggior parte delle piante che risulta essere ricca di glucosinolati come metaboliti secondari appartiene alla famiglia delle Brassicaceae, anche conosciuta come famiglia delle Crucifereae. Le piante di questa famiglia sono facilmente distinguibili da una co-rolla cruciforme (ovvero a forma di croce), sei stami (con i due esterni più corti rispetto ai quattro interni), una capsula spesso con un setto e a linfa acquosa pungente. Si tratta di piante erbacee, raramente arbustive, che hanno foglie semplici, spesso dissette, prive di stipole. Presentano fiori ermafroditi, attinomorfi, generalmente portati in racemi ter-minali. Il frutto è costituito da una siliqua e presenta semi che hanno nel tegumento mu-cillagini. I glucosinolati sono presenti in tutte le parti della pianta, ma soprattutto nei semi.

La famiglia delle Brassicaceae comprende circa 375 generi e 3200 specie e ciò è dovuto al fatto che i confini tra le specie sono stati scarsamente delineati fino al 2006 e solo in seguito, mediante l’utilizzo di tecniche di biologia molecolare, è stato possibile definire in modo migliore la tassonomia di questa famiglia di piante.

Le piante appartenenti a questa famiglia sono prevalentemente distribuite nelle regioni temperate di entrambi gli emisferi ed ogni specie presenta un diverso profilo di glucosi-nolati. Di solito, una singola specie di pianta può contenere fino a quattro differenti glu-cosinolati in quantità significativa, e anche quindici diversi gluglu-cosinolati minori (Verkerk et al. 2009, Franzke et al. 2011).

Le piante commestibili di questa famiglia che sono più comunemente consumate inclu-dono i broccoli, i cavoletti di Bruxelles, il cavolo, il cavolfiore (tutte varietà della Bras-sica oleracea), la senape (BrasBras-sica nigra, Sinapis alba), il ravanello (Raphanus sativus), il wasabi (Eutrema japonicum), i capperi (Capparis spinosa), il crescione (Lepidium

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tivum), e la rucola (Eruca sativa) (Dinkova-Kostova et al. 2012, LeCoz et al. 2006, Mo-reno et al. 2006).

Nella tabella seguente possiamo osservare alcuni dei glucosinolati noti presenti nelle piante appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae.

Tabella 1. Piante appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae o Crucifereae e alcuni

dei loro glucosinolati.

PIANTE GLUCOSINOLATI

Brassica oleracea L. var. italica

(Broccoli)

Glucorafanina Glucoiberina

Sinigrina

Brassica oleracea L. var. botrytis

(Cavolfiore)

Glucoiberina Glucoibervirina

Brassica oleracea L. var.

gemmifera

(Cavoletti di Bruxelles)

Glucoiberina

Raphanus sativus L.

(Ravanello) Glucorafanina

Lepidium peruvianium G. (prima Lepidium meyenii L.)

(Maca)

Glucotropaeolina p-metossibenzilglucosinolato

Eruca sativa Mill.

(Rucola)

Glucorafanina Glucoerucina

Numerose piante appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae, dunque, sono una com-ponente importante della dieta umana in tutto il mondo e queste, attraverso la loro as-sunzione, sono un’ottima fonte di sostanze fitochimiche tra cui glucosinolati (e loro me-taboliti), sostanze fenoliche e altri antiossidanti tra cui le vitamine (C, K1, etc) e anche minerali essenziali (Ca, Mg, Na, K, Fe, Zn, etc). È stato osservato che il consumo rego-lare di queste piante, grazie a queste loro componenti, ha determinato degli effetti posi-tivi sulla salute, come ad esempio la riduzione di malattie cardio-vascolari e diverse ti-pologie di tumori (Comhaire et al. 2014, Jahangir et al. 2009, Raiola et al. 2017).

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Gran parte degli effetti benefici osservati sono attribuibili, grazie ad opportuni studi di ricerca, ai glucosinolati, come glucorafanina, glucobrassicina e glucoerucina, e la loro concentrazione all’interno delle piante potrebbe essere aumentata mediante appropriati accorgimenti nella coltura (Vaughn et al. 2005, Bell et al. 2017).

Un miglioramento nella genetica e nel contenuto fitochimico attraverso la coltura delle Brassicaceae deve essere sinergico con miglioramenti nell’agronomia e metodi di colti-vazione. Quando si cerca di migliorare le concentrazioni di glucosinolati in questo mo-do bisogna considerare degli importanti aspetti, che inclumo-dono le appropriate varietà del-la specie, del-la disponibilità dell’acqua, del-la temperatura locale, il tempo di raccolta e del-la fase di crescita, le risposte all’utilizzo di fertilizzanti, livelli di luce. È stato, infatti, riportato che il contenuto di glucosinolati aumenta grazie a migliorati e più controllati metodi di coltivazione, anche fino a dieci volte nel caso dei broccoli e cavolfiori e fino al doppio per il ravanello (Bjorkman et al. 2011, Sodhi et al. 2002, Aires et al. 2006, Hanschen et al. 2017, Engelen-Eigles et al. 2006, Schreiner 2005).

Prima che queste piante vengano consumate, esse vengono sottoposte a processi di lavo-razione, sia industriale che culinaria, come taglio, tritulavo-razione, cottura (cottura a vapore, frittura e cottura a microonde, p.e.), congelamento e scongelamento. Questi processi, come anche la stessa masticazione, vanno ad influenzare il contenuto di glucosinolati. Difatti, possono causare:

• Idrolisi enzimatica da parte dell’enzima mirosinasi (principale responsabile della degradazione dei glucosinolati, di cui si parla nel paragrafo 1.3);

• Inattivazione della mirosinasi;

• Lisi cellulare e liscivazione dei glucosinolati, dei prodotti della loro degradazio-ne e mirosinasi in acqua di cottura;

• Degrado termico dei glucosinolati e dei loro prodotti di degradazione; • Aumento dell’estraibilità chimica dei glucosinolati;

• Perdita di cofattori enzimatici (come acido ascorbico e ferro) (Verkerk et al. 2009).

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1.3 Ruolo dei glucosinolati nelle piante

La maggior parte dei glucosinolati si trova in ogni organo della pianta, sebbene cambi la loro concentrazione e anche la loro composizione anche a seconda dello stadio di svi-luppo della pianta. I livelli e le forme chimiche dei glucosinolati sono fortemente dipen-denti dalla specie della pianta e dalla sua varietà così come dalle condizioni ambientali, nutrizionali e di crescita.

Nelle piante i glucosinolati sono accompagnati dalla presenza degli enzimi beta-tioglu-cosidasi conosciuti come mirosinasi. Questi enzimi sono responsabili dell’idrolisi dei glucosinolati, permettendo la formazione di isotiocianati, nitrili, tiocianati, goitrina e epitionitrili; tanto è vero che, in condizioni normali, glucosinolati e la mirosinasi sono localizzati in compartimenti separati all’interno della pianta ed entrano in contatto solo in presenza di uno stimolo biotico o abiotico. La mirosinasi è localizzata in specializzate cellule prive di glucosinolati che vengono chiamate “cellule di mirosinina” (Kelly et al. 1998, Tian et al. 2018).

Dunque, i glucosinolati e i loro derivati sono coinvolti nella reazione di difesa della pianta contro diverse tipologie di stress (Bones et al. 2006, Martìnez-Ballesta et al. 2013, Vergara et al. 2006, Mitho ̈fer at al. 2012, Verkerk et al. 2009).

Figura 3. Prodotti di reazione di idrolisi dei

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Tra gli stimoli biotici, troviamo il danneggiamento del tessuto a causa della masticazio-ne da parte di erbivori o del taglio durante la preparaziomasticazio-ne della pianta come pasto. Esso è difatti una delle cause scatenanti l’innesco della reazione di difesa, che porta al contat-to tra glucosinolati e mirosinasi. I prodotti dell’idrolisi vengono rilasciati e agiscono come agenti tossici e deterrenti per un vasto numero di erbivori. Inoltre, sono state an-che trovate evidenze della loro attività antifungina nelle piante, in quanto la loro con-centrazione nelle piante aumenta in caso di infezione fungina, e evidenze nella loro atti-vità come agenti antimicrobici contro batteri patogeni (Textor et al. 2009, Ishida et al. 2014, Wittstock et al. 2010, Aires et al. 2009, Sotelo et al. 2015).

Lo stress abiotico nelle piante è causato prevalentemente da cambiamenti dei fattori am-bientali, e influenza fortemente i processi fisiologici delle piante, tra cui l’aumento o la diminuzione nella sintesi dei metaboliti secondari. I glucosinolati e i loro derivati sono presenti in risposta, per esempio, all’aumento dei livelli di salinità, stress idrico causato da alte temperature e dalla siccità (Martìnez-Ballesta et al. 2013, Sánchez-Pujante et al. 2017).

1.4 Attivazione dei glucosinolati nell’uomo

L’attivazione dei glucosinolati nell’uomo può avvenire durante due modalità principali. La prima prevede l’idrolisi catalizzata dall’enzima endogeno delle Brassicaceae, ovvero la mirosinasi. L’attività della mirosinasi nelle verdure fresche, infatti, produce rapida-mente isotiocianati già durante la masticazione.

Si crede comunque che i glucosinolati possano raggiungere nell’uomo l’intestino crasso prima di essere idrolizzati e questo perché, se la mirosinasi nella pianta è inattiva, essi non possono essere degradati dall’enzima alfa-amilasi e dalla pepsina gastrica e nem-meno dalla pancreatina, presenti nei tratti precedenti (Lai et al. 2010, Elfoul et al. 2001). L’enzima mirosinasi (tioglucoside glucoidrolasi) è l’unico enzima noto che idrolizza specificamente i glucosinolati. Ciononostante, è stato scoperto che il microbiota intesti-nale umano può idrolizzare la glucorafanina – glucosinolato che rilascia sulforafano come isotiocianato – in modello sperimentale in vitro in cui si mima l’ambiente anaero-bico dell’intestino umano (Kellingray et al. 2014).

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Il microbiota intestinale è difatti il maggiore responsabile della produzione di mirosinasi nel corpo e variazioni individuali della microflora, dovute principalmente a fattori am-bientali, genetici e anche a patologie, porta a differenze nell’idrolisi dei glucosinolati in vivo e quindi nella produzione dei suoi derivati a seguito dell’assunzione delle compo-nenti edibili delle Brassicaceae.

Queste differenze che portano ad un profilo farmacologico differente sono prevalente-mente dovute a polimorfismi di geni che codificano per gli enzimi del metabolismo di fase 1 ed anche alla modulazione della trascrizione di questi geni operata da fattori am-bientali e a xenobiotici (Tian et al. 2017).

Tramite studi in vitro si ha avuto conferma dell’abilità di metabolizzare glucosinolati da parte di specifiche specie batteriche presenti nell’intestino umano, tra cui Escherichia coli, Bacteroides thetaoiotaomicron, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Lac-tobacillus agilis e alcune specie di Peptostreptococcus spp. e Bifidobacterium spp. (Li et al. 2011, Palop et al. 1995, Tian et al. 2017).

Nonostante il numero limitato di studi sul metabolismo batterico dei glucosinolati, è chiaro che questa capacità metabolica non è limitata a un singolo filotipo o ad una famiglia di specie batteriche. Come abbiamo visto, i batteri che idrolizzano i glucosino-lati possono essere sia Gram-positivi che Gram-negativi. In aggiunta, l'habitat di questi batteri non è limitato al tratto gastrointestinale, sebbene la maggior parte degli studi sia correlata ai batteri intestinali per la loro associazione con i glucosinolati assunti con la dieta. Si trovano anche nel terreno e sono stati isolati da fonti vegetali.

Ci si aspetta, inoltre, molto probabilmente che col tempo verranno scoperti altri microbi, archei, lieviti e funghi in grado, a loro volta, di metabolizzare i glucosinolati. Infatti, è già segnalata la presenza di mirosinasi in Aspergillus niger e altri funghi (Narbad et al. 2018).

Recentemente, i ricercatori stanno mirando ad incrementare la crescita a livello intesti-nale di batteri con attività simile alla mirosinasi, ovvero di idrolisi dei glucosinolati, e quindi incrementare la conversione in isotiocianati quando l'uomo ingerisce delle verdu-re crucifeverdu-re cotte, in quanto è il caso maggioverdu-re in cui la mirosinasi endogena risulta es-sere inattivata (proprio a causa della cottura), facendo sì che l'esposizione agli isotiocia-nati dipenda dal microbioma intestinale. Si tratta è una strategia importante che mira a

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massimizzare i benefici per la salute delle verdure crocifere (Angelino et al. 2015, Ab-baoui et al. 2018).

2. Isotiocianati e solfuro di idrogeno H2S

2.1 Isotiocianati: donatori di H2S

Gli Isotiocianati sono uno dei prodotti di degradazione dei glucosinolati attraverso una reazione di idrolisi catalizzata dall’enzima mirosinasi.

L'attività funzionale degli isotiocianati risiede nella natura elettrofilica dell'atomo di car-bonio del gruppo isotiocianato -N=C=S, caratterizzante la sua struttura chimica e dal quale prende il nome. Questo gruppo è in grado di provocare reazioni di addizione con vari nucleofili.

Gli isotiocianati si distinguono a seconda del gruppo variabile R che lega l’azoto.

È stato osservato che gli isotiocianati naturali, derivati dall’idrolisi dei glucosinolati pre-senti nelle piante della famiglia delle Brassicaceae, hanno degli effetti benefici molto si-mili a sostanze donatrici del solfuro di idrogeno H2S (Kashfi et al. 2013). Per questo

motivo sono state effettuate delle indagini, attraverso degli studi che hanno previsto l’uso di varie misurazioni: amperometriche, spettrofotometriche, gas cromatografia ac-coppiata alla spettrofotometria. In questo modo è stato possibile avere la conferma che gli isotiocianati sono sostanze naturali capaci di rilasciare H2S, con profilo di donatori

lenti (Martelli et al. 2014, Citi et al. 2014).

Grazie a questi studi, quindi, è stato confermato che il corredo di effetti molto somi-glianti a quelli di H2S che caratterizza gli isotiocianati è dovuto al fatto che esse sono di

fatto delle molecole in grado di determinare il rilascio lento di H2S. Questa caratteristica

Figura 4. Struttura generale di un isotiocianato e

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fa sì che gli isotiocianati siano dei composti donatori di H2S ideali per l’uso clinico; il

lento rilascio di solfuro di H2S comporta l’instaurarsi di basse e durature concentrazioni

di tale gas. Infatti, una rapida formazione di H2S, come quella che è determinata

dall’idrosolfito di sodio, NaHS, può causare effetti avversi, tra cui un eccessivo e acuto abbassamento della pressione arteriosa, ed è seguita da una rapida eliminazione del gas. Per questo motivo l’idrosolfito di sodio non può essere utilizzato nella pratica clinica, ma solamente a fini sperimentali. La presenza o l’assenza di L-Cisteina o di altri tioli organici ha dimostrato avere un ruolo importante nel processo di rilascio di H2S; infatti,

il suo rilascio può essere influenzato dalla loro presenza e ciò fa sì che gli isotiocianati siano dei donati di solfuro di idrogeno “smart”, in quanto rilasciano il gas-trasmettitore solo in un ambiente biologico (Martelli et al. 2014).

Ad oggi l’isotiocianato naturale più studiato è il sulforafano. Esso è ottenuto dall’idrolisi catalizzata dalla mirosinasi del glucosinolato glucorafanina ed è in grado di interagire positivamente con diverse patologie tra cui l’ipertensione, l’aterosclerosi, l’ischemia, ma anche l’infiammazione, il cancro, la sindrome metabolica e l’obesità. Gran parte dei suoi effetti son dovuti alla capacità di determinare l’up-regolazione del fattore Nrf2, ma anche degli enzimi detossificanti del metabolismo di fase II (Martins et al. 2018, Bai et al. 2015, Raiola et al. 2017, Gründemann et al. 2018).

Gli isotiocianati liberati dall’idrolisi di alcuni dei glucosinolati osservati nella Tabella 1 sono visibili nella tabella 2.

Tabella 2. Isotiocianati derivanti da alcuni glucosinolati noti.

GLUCOSINOLATI ISOTIOCIANATI

Glucorafanina Sulforafano

Glucoerucina Erucina

Glucotropaeolina Benzil isotiocianato

Sinigrina Allil isotiocianato

Esistono anche degli isotiocianati di sintesi, un esempio è il para-carbossifenil isotiocia-nato (4CPI). Questa molecola ha dimostrato di essere effettivamente un doisotiocia-natore di H2S, attraverso opportune misurazioni (amperometriche, spettrofotometriche, gas

cro-matografia accoppiata a spettrofotometria di massa), e di determinare gli effetti attribuiti ad esso. Infatti, come approfondito nel paragrafo 2.2.1, questo composto, grazie alla

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berazione di H2S, ha mostrato effetti vasorilascianti e cardio-protettivi nei confronti del

danno da ischemia/riperfusione (I/R). In particolare, nel modello sperimentale in vivo di ischemia miocardica seguita da riperfusione nel ratto è stata osservata la riduzione dell’estensione delle aree ischemiche, e in un modello sperimentale ex vivo su cuore di ratto e di topo sottoposti a danno da I/R è stata dimostrata la capacità di preservare la funzione contrattile, riducendo le aritmie tipiche di questo danno. Il meccanismo d’azione è riconducibile all’interazione e attivazione dei canali del potassio mito-condriali ATP-dipendenti KATP, e ciò è stato confermato dal fatto che l’utilizzo

dell’acido 5-idrossi decanoico (5-HD), bloccante di questi canali ha completamente annullato l’effetto del para-carbossifenil isotiocianato. Gli effetti vasorilascianti sono stati osservati sia nel modello ex vivo di aorta isolata di ratto, dove il 4CPI ha quasi abolito la capacità di vasocostrizione indotta da noradrenalina, che nel modello di misurazione del flusso coronarico nel cuore di ratto isolato e perfuso. Inoltre, ha anche mostrato effetti anti-nocicettivi nel dolore neuropatico indotto da paclitaxel in un grup-po e da oxaliplatino in un altro grupgrup-po (farmaci antitumorali) in modelli sperimentali in vivo su topi, in uno studio che ha previsto la sperimentazione oltre che del para-carbossifenil isotiocianato anche dell’allil isotiocianato, che è un isotiocianato di origine naturale (presente nella Tabella 2) (Testai et al. 2016, Di Cesare Mannelli et al. 2017, Martelli et al. 2014).

2.2 Solfuro di idrogeno H2S

Il solfuro di idrogeno o acido solfidrico H2S è un gas incolore, contraddistinto dal

carat-teristico odore di uova marce, percepibile a concentrazioni molto minori (anche fino a 400 volte) rispetto alle sue concentrazioni tossiche. La sua ossidazione produce zolfo elementare (S), ossido di zolfo (SO2) e solfati, come l’acido solforico (H2SO4). A

segui-to dell’idrolisi si ha formazione dei suoi ioni idrosolfuro (HS-) e solfuro (S2-). Il solfuro

di idrogeno rimane indissociato in una soluzione acquosa a pH 7.4 almeno per un terzo della sua concentrazione iniziale ed è permeabile alla membrana plasmatica, in quanto la sua solubilità nei solventi lipofili è cinque volte maggiore che nell’acqua (Wang 2002).

Da circa 300 anni, il solfuro di idrogeno è noto per la sua tossicità. La sua azione tossica è dovuta all’inibizione della respirazione mitocondriale.

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Sono noti due principali effetti dell'esposizione ad H2S nell'uomo:

• infiammazione locale e effetti irritativi sulle membrane umide, inclusi gli occhi e le vie respiratorie, causati dall’azione diretta del solfuro di idrogeno sui tessuti; • H2S inalato a concentrazioni sufficientemente elevate che causano intossicazione

sistemica che spesso porta alla morte.

Se il paziente viene spostato rapidamente in un luogo vicino non contaminato e viene attuata prontamente la respirazione artificiale, il recupero rapido può essere previsto, an-che se possono presentarsi sequele. Infatti, l'avvelenamento sistemico si verifica solo quando la quantità di solfuro di idrogeno assorbito nel sangue supera quello che può es-sere detossificato e/oppure eliminato (Beauchamp et al. 1984, Wang 2002).

Nel 1996 il solfuro di idrogeno H2S è stato descritto per la prima volta come un

media-tore endogeno da Abe e Kimura, i quali hanno osservato come il gastrasmettimedia-tore solfu-ro di idsolfu-rogeno H2S è fondamentalmente coinvolto nella regolazione omeostatica di vari

distretti, tra cui il sistema nervoso, ma anche il sistema endocrino, il sistema cardiova-scolare, il sistema respiratorio e il sistema gastrointestinale.

Con ulteriori studi è stato osservato che alte concentrazioni di H2S (circa 50 µM)

causa-no una completa inibizione del quarto complesso della catena di respirazione mitocon-driale, mentre invece più basse concentrazioni (minori di 20 µM) stimolano la fosforila-zione ossidativa ed aumentano la biosintesi di ATP.

H2S presenta dei meccanismi d’azione aspecifici in quanto è una sostanza con azione

antiossidante. Difatti, interagisce con i sistemi redox, previene la caduta di glutatione, sopprime la produzione delle specie reattive dell’ossigeno ROS e riduce gli eventi associati allo stress ossidativo. L’azione antiossidante è conseguenza di meccanismi più complessi, come ad esempio l’attivazione del meccanismo antiossidante operato dal fattore di trascrizione nucleare eritroide-2 o Nrf2. Questo fattore, infatti, regola l’espressione genica di una grande varietà di enzimi citoprotettivi antiossidanti e della fase II di disintossicazione (Calvert et al. 2009, Hourihan et al. 2013).

Inoltre, presenta anche un’azione specifica legata all’interazione con dei target specifici: si tratta dei canali ionici del potassio ATP-dipendenti KATP e voltaggio-dipendenti KV7.

Il solfuro di idrogeno attiva entrambi i canali ionici del potassio, allontanando la cellula dallo stato eccitatorio (Zhao et al. 2001, Nicholls et al. 1982, Testai et al. 2015). Questi canali sono localizzati sia a livello del sarcolemma sia a livello mitocondriale, dove essi

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giuocano un ruolo critico nella regolazione delle funzioni mitocondriali e, di conseguenza, anche nel metabolismo di tutta la cellula. I canali ionici del potassio mitocondriali hanno un ruolo decisivo nelle patologie cardiovascolari (tra cui l’infarto del miocardio), nelle patologie neurodegenerative ed anche nei tumori. L’attivazione dei canali ionici mito-KATP mostra proprietà citoprotettive, effetti cardioprotettivi e

protezione dalla condizione di morte indotta dall’ipossia, protezione dei neuroni dal danno ischemico sia in modelli sperimentali in vitro che in vivo. L’attivazione dei canali ionici mito-KV7 induce cardio-protezione e la loro modulazione in patologie

neuronali viene sfruttata per il trattamento dell’epilessia e della sclerosi laterale amiotrofica (Citi et al. 2018, Martelli et al. 2013, Jung et al. 2003, Noto et al. 2016, Yamada et al. 2005).

2.2.1 Azioni fisiologiche del solfuro di idrogeno H2S

H2S è un gas-trasmettitore che influenza molte funzioni del nostro corpo, come abbiamo

precedentemente accennato, in quanto coinvolto nella regolazione dell’omeostasi di vari distretti.

Nel sistema cardiovascolare, H2S ha dimostrato avere svariate azioni. In primis, esso

determina il rilasciamento della muscolatura liscia vascolare, attraverso un meccanismo d’azione che prevede l’attivazione dei canali ionici del potassio ATP-dipendenti KATP

ed anche dei canali ionici del potassio voltaggio-dipendenti KV7 delle cellule della

muscolatura liscia. Dunque, si tratta di un regolatore del tono muscolare in condizioni fisiologiche e la sua produzione risulta essere ridotta in alcuni tipi di ipertensione. H2S

ha dimostrato avere anche un ruolo di protezione dell’endotelio vascolare, e di essere un cardioprotettivo endogeno contro il danneggiamento causato dall’ischemia. Inoltre, riduce il peggioramento delle lesioni causate dall’aterosclerosi (con un effetto definito anti-aterogeno) e determina l’inibizione dell’aggregazione e adesione piastrinica. A livello del sistema cardiovascolare, in aggiunta di quanto già detto, H2S risulta essere

particolarmente importante quando il controllo mediato dal monossido di azoto NO è compromesso, costituendo di fatto una rete di sicurezza per la funzionalità del sistema cardiovascolare stesso (“cross talk”) (Zhao et al. 2001, Yan et al. 2004, Testai et al. 2015, Qiao et al. 2010, Schleifenbaum et al. 2010). Il solfuro di idrogeno H2S va a

ridurre la perossidazione dei lipidi nel cuore a seguito del danno ischemico del miocardio indotto da isoproterenolo e fa ciò tramite la azione scavenging di H2O2 e O

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(Geng et al. 2004). Dunque, l’effetto antinfiammatorio dell’H2S è benefico per la

protezione cardiovascolare, in quanto agisce andando a sopprimere la generazione di ROS, l'aumento delle espressioni di citochine di adesione cellulare e l'induzione dell'apoptosi, che sono stati tutti considerati i principali promotori della patologia (Pan et al. 2011, Wang et al. 2009). La somministrazione di H2S sia precedente all’ischemia

che in concomitanza con la riperfusione determina un recupero considerevole del danno miocardico e di ischemia-riperfusione sia in vitro che in vivo (Xiao et al. 2018). In uno studio sperimentale in cronico nei topi, condotto da Barr et al (2015), è stato possibile osservare come l’H2S ha un effetto positivo sulla sindrome metabolica ed anche sul

rischio cardiovascolare da essa causato. Lo studio ha previsto la divisione in gruppi dei topi: un gruppo con dieta standard e due gruppi con dieta ricca di grassi HF per ventiquattro settimane. Alla fine di questo periodo di tempo è stato osservato, come previsto, un incremento del peso, dei livelli di glicemia, dei livelli di insulina e di colesterolo nel siero e di intolleranza al glucosio ed una diminuzione dei livelli di H2S

libero nel sangue e nel cuore rispetto ai topi del gruppo di controllo. In seguito, uno dei gruppi con dieta HF ha subito un supplemento di SG-1002, donatore di H2S, nella dieta

(20 mg/kg/die), mentre l’altro gruppo ha continuato con la sola dieta HF per ulteriori ventiquattro settimane. Al termine di queste, è stato osservato un miglioramento delle condizioni sopracitate rispetto al gruppo non trattato; inoltre, i topi di questo gruppo hanno sviluppato cambiamenti meno severi per quanto riguarda la fibrosi e l’ipertrofia cardiaca. Inizialmente i due gruppi erano indistinguibili, ma dalla metà del trattamento sono state visibili differenze tra i due gruppi con dieta HF (Barr et al. 2015).

Nel sistema nervoso centrale, H2S regola importanti funzioni: esso infatti contribuisce

all’induzione del potenziamento a lungo termine dell’ippocampo, la qual cosa risulta essere molto importante per l’apprendimento e la memoria, e questo è possibile in quanto va ad agire mediante la sensibilizzazione dei recettori NMDA glutammato. Oltre a ciò, presenta anche degli effetti neuroprotettivi, in quanto sono stati osservati dei livelli bassi della concentrazione di solfuro di idrogeno in pazienti affetti dal morbo di Alzheimer e dalla corea di Huntington (Kimura et al. 2005, Paul et al. 2014).

Nel sistema endocrino non è ben chiaro il coinvolgimento, ma si ipotizza il controllo nella secrezione dell’insulina. Il deficit di solfuro di idrogeno nelle persone affette da diabete può essere una delle cause preponderanti nella patogenesi delle malattie cardio-vascolari associate a questa patologia.

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Nel sistema gastrointestinale il solfuro di idrogeno determina un rilasciamento dose-dipendente della muscolatura liscia di ileo e colon, andando in questo modo a regolare la motilità intestinale. Questa sua azione è dovuta alla interazione coi canali ionici del potassio ATP-dipendenti KATP, e ciò viene confermato dal fatto che i bloccanti di questi

canali ne impediscono l’effetto. Inoltre, il solfuro di idrogeno, sempre mediante lo stes-so meccanismo d’azione, riduce il dolore indotto dalla distensione del colon-retto nei ratti, manifestando dunque anche un effetto anti-nocicettivo. Altre sue attività a livello del sistema gastrointestinale si possono osservare a livello dello stomaco. Infatti, il sol-furo di idrogeno determina più effetti, ovvero: un miglioramento del flusso sanguigno gastrico; una riduzione della produzione dei mediatori infiammatori; un aumento della produzione di prostaglandine. In questo modo comporta di conseguenza una protezione della mucosa gastrica dai danni associati a vari fattori, tra cui lo stress e l’utilizzo di de-terminati farmaci. La produzione endogena di H2S è elevata nei siti di danno della

mu-cosa e ciò contribuisce alla promozione significativa della guarigione. A sostegno di ciò, in uno studio con ratti affetti da colite, indotta da una singola instillazione nel colon di acido dinitrobenzene solfonico, la somministrazione di un donatore di H2S (diallil

solfuro) ha determinato un significativo aumento della velocità di risoluzione della coli-te (Magierowski et al. 2015, Fiorucci et al. 2006, Wallace et al. 2018).

Nel sistema respiratorio, infine, evoca una risposta rilasciante a livello delle cellule di muscolatura liscia bronchiale. Questa sua azione, però, non è dovuta all’attivazione dei canali del potassio KATP. Attraverso sperimentazioni in vitro su modelli cellulari di

ma-stociti di ratti leucemici (linea cellulare RBL-2H3) si è visto che la sua azione a livello di questo sistema è determinata dalla sua capacità di inibire la degranulazione dei ma-stociti. A sostegno di questo suo meccanismo d’azione, vi è anche un modello speri-mentale dell’asma nei topi dove si sono potuti osservare degli effetti anti-asmatici del solfuro di idrogeno (Roviezzo et al. 2015, Kubo et al. 2007, Martelli et al. 2015).

Per quanto riguarda l’infiammazione, l’H2S porta ad una inibizione significativa della

secrezione della proteina infiammatoria citochina IL-1β nei monociti U937 trattati con un alto contenuto di glucosio. Questa citochina è un importante mediatore della risposta infiammatoria e l’inibizione della sua secrezione porta ad un effetto antiinfiammatorio, che può anche andare a prevenire condizioni patologiche come l’aterosclerosi; difatti, studi su animali hanno dimostrato che la sovra espressione del suo recettore od anche l’esposizione ad un elevato quantitativo di IL-1 β va ad incrementare la progressione

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dell’aterosclerosi (Jain et al. 2014, Qamar et al. 2012, Dinarello 2009). Inoltre, l’H2S si comporta da scavenger delle specie reattive dell’ossigeno H2O2 e O2-, anche se la

cineti-ca di reazione e la sua concentrazione endogena nell'intervallo da nanomolare a micro-molare sono troppo basse per designare l'H2S come antiossidante cellulare, ed è quindi

più probabile che la sua protezione dalle ROS sia dovuta all’attivazione dell’Nrf2 ed anche alla sua capacità di mantenere o ripristinare lo stato di glutatione cellulare (Kesz-ler et al. 2010, Longen et al. 2016, Carballal et al. 2011, Furne et al. 2008).

3. Benefici dei glucosinolati

Attraverso diversi studi sperimentali, i glucosinolati hanno dimostrato avere degli effetti benefici relativamente alle seguenti condizioni patologiche: obesità; rischio cardiova-scolare; sindrome metabolica; infiammazione; cancro.

Figura 5. Condizioni patologiche su cui i glucosinolati hanno effetti benefici.

3.1 L’infiammazione

L’infiammazione, o flogosi, è la reazione di un tessuto vascolarizzato ad un danno loca-le causato da agenti loca-lesivi. Nel 3000 a.C. Celso descrisse i segni cardinali dell’infiammazione, che sono: rubor, o arrossamento, dovuto alla persistente dilatazione del letto vascolare periferico (arteriole, capillari, venule); calor, o calore, che è la conse-guenza all’aumento del flusso ematico nel microcircolo; tumor, o rigonfiamento, causa-to dall’aumencausa-to della permeabilità dell’endotelio e l’accumulo nell’interstizio di

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ponenti del plasma e leucociti trasmigrati per diapedesi, e questo accumulo costituisce l’essudato; dolor, o dolore, che è molto soggettivo ed emotivo, ma anche soglia-dipendente, ed è dovuto alla tensione e compressione tissutale presente; functio laesa, ovvero perdita di funzione o inibizione riflessa dei movimenti muscolari causata dal do-lore e dalla limitazione meccanica conseguente la tumefazione. L’infiammazione può essere causata da agenti eziologici che comprendono sia cause endogene (immunologi-che, chimiche) che cause esogene (biologi(immunologi-che, chimi(immunologi-che, fisiche). La componente cellu-lare coinvolge i leucociti, che normalmente risiedono nel sangue e si spostano nel tessu-to infiammatessu-to mediante l’attraversamentessu-to dell’endotelio vascolare dalle venule post-capillari per aiutare a contrastare l’infiammazione in un processo che prende il nome di migrazione leucocitaria. Alcuni leucociti agiscono come fagociti, ingerendo batteri, vi-rus e detriti cellulari, mentre altri rilasciano dei granuli enzimatici che danneggiano gli invasori patogeni. I leucociti rilasciano anche mediatori infiammatori che sviluppano e mantengono la risposta infiammatoria (Kaspers et al. 2015, Ferrero-Miliani et al. 2007). Gli isotiocianati liberati dai glucosinolati, tra cui il sulforafano, son in grado di modula-re i processi infiammatori principalmente grazie alla riduzione e/o inibizione dell’attività del fattore nucleare kappa-light-chain enhancer di cellule B attivate (NFkB). La regolazione di questo fattore, mediata dagli isotiocianati, è attribuita alla prevenzione della degradazione delle molecole inibitorie kappaB (IkB) e quindi alla inibizione della traslocazione nel nucleo e induzione di trascrizione. È noto che l’NFkB regola l’espressione dell’enzima pro-infiammatorio ciclo-ossigenasi 2 (COX-2), che è respon-sabile degli elevati livelli di prostaglandine ed è un enzima chiave nell’induzione dei processi infiammatori. Il sulforafano liberato dalla glucorafanina sopprime sia l’mRNA della COX-2 che i livelli della proteina, attraverso l’inibizione della capacità di legame del DNA di NFkB attraverso la via di segnalazione della PAP-chinasi (Batra et al. 2010, Gilmore et al. 2006, Heiss et al. 2001, Shan et al. 2009, Shan et al. 2010, Lee et al. 2016).

In un modello sperimentale in vivo, viene notata l’azione antiinfiammatoria del benzil isotiocianato, liberato dalla glucotropaeolina. L’obesità indotta dalla dieta ricca di grassi è associata con l’infiammazione nel tessuto adiposo e per dimostrare l’effetto del benzil isotiocianato a livello molecolare, è stato estratto l’RNA dal tessuto adiposo bianco e sono stati determinati i livelli di mRNA dei geni marcatori specifici dei macrofagi in-clusi F4/80, Cd11b, Cd11c e la citochina pro-infiammatoria TNF-α. Inoltre, sono stati valutati anche i livelli di mRNA del gene antinfiammatorio Cd206 e quelli del gene

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la leptina. Nel tessuto adiposo bianco dei topi trattati con benzil isotiocianato rispetto a quelli del controllo è stata osservata una migliore espressione del gene Cd206 antin-fiammatorio e anche una minore espressione del gene della leptina (Alsanea et al. 2017).

3.2 Invecchiamento

L’invecchiamento è il processo biologico in cui si verifica l’alterazione ed il decadimen-to delle funzioni vitali. Esso rappresenta il principale fatdecadimen-tore di rischio conosciudecadimen-to per gran parte delle patologie umane: difatti, due terzi delle morti ogni giorno sono causate dalle malattie correlate all’età. L’invecchiamento dipende da una serie di cause geneti-che, ambientali e stocastiche.

È stato stabilito che la dieta svolge un ruolo centrale nel rimanere in salute durante tutta la vita. L’iniziativa dell’Accademia Nazionale Keck Futures, il futuro della salute uma-na, ha definito la salute come la abilità di un sistema di mantenere o tornare all’omeostasi in risposta a dei cambiamenti. Nei mammiferi, la restrizione calorica ha ritardato più volte l’insorgenza della malattia, prorogando il periodo di stato di buona salute, e siccome la composizione della dieta influenza la salute è stato ipotizzato che la restrizione calorica ed alcuni fattori dietetici possono prevenire le malattie legate all’età (Kon et al. 2010, Colman et al. 2009, Weindruch et al. 1982, Mattison et al. 2012, Vau-zour et al. 2010, VauVau-zour 2012).

L’invecchiamento è altrettanto caratterizzato dall’accumulo di danni ossidativi. Le ma-cromolecole danneggiate si possono accumulare a causa della ridotta attività antiossi-dante o dell’aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) (Yu 1996, Pe-rez et al. 2009). Uno dei target dell’aumento della produzione dei ROS è il fattore corre-lato al fattore nucleare-eritroideo-2 o Nrf2, che è un fattore di trascrizione che controlla l’espressione di un ampio numero di enzimi antiossidanti ed enzimi detossificanti di fa-se II, come ad efa-sempio la NADH deidrogenasi 1, l’eme ossigenasi 1, la glutatione S-transferasi, la glutatione perossidasi e la gamma-glutamilcisteina sintasi. Nei roditori con restrizione calorica, l’up-regolazione e l’incremento dell’attività dei prodotti di que-sto gene è stato più volte descritto ed il consumo di sostanze bioattive quali metaboliti secondari delle piante, come polifenoli od anche glucosinolati, risulta essere una delle strategie più sicure per beneficiare di miglioramenti nella salute e quindi

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nell’invecchiamento (Venugopal et al. 1996, Rushmore et al. 1990, Nguyen et al. 2009, Xia et al. 1995, Giller et al. 2013).

Tra queste piante rientrano le Brassicaceae e i glucosinolati in esse contenuti. Difatti, il sulforafano liberato dall’idrolisi del glucosinolato glucorafanina fa parte delle sostanze in grado di attivare il fattore Nrf2, in quanto reagisce con i gruppi tiolici di questa pro-teina (Dinkova-Kostova et al. 2004). Il sulforafano è un potente induttore dell’Nrf2 ed ha la capacità di accumularsi nelle cellule come coniugato del glutatione. Keap1 è una proteina ricca di cisteina che funge da sensore di regolazione dell’attivazione del segna-le dell’Nrf2 da diverse classi di mosegna-lecosegna-le. Utilizzando la spettrometria di massa per risegna-le- rile-vare addotti sul Keap1 ricombinante trattato con sulforafano, è stato possibile osserrile-vare che questo isotiocianato modifica più domini del Keap1. Analisi di follow-up hanno de-terminato che la cisteina 151 è uno dei quattro residui di cisteina che sono modificati in modo preferenziale da esso, così da permettere all’Nrf2 di sfuggire alla degradazione da parte del proteasoma; in questo modo l’Nrf2 è stabilizzato e può traslocare nel nucleo per indurre la trascrizione dei suoi geni bersaglio (Zhang 2000, Dinkova-Kostova et al. 2002, Hong et al. 2005, Hu et al. 2011, McMahon et al. 2010, Kobayashi et al. 2009, Hu et al. 2006).

3.3 Il rischio cardiovascolare

Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel mondo occidenta-le. L’incidenza di problemi vascolari aumenta all’aumentare della presenza di fattori di rischio, che influiscono comportando un logoramento o una disfunzione di uno o più funzioni del sistema circolatorio, portando all’evento secondario che può essere infarto del miocardio, insufficienza cardiaca, ed altri eventi. I fattori di rischio possono essere distinti in fattori di rischio non modificabili, quali l’età anagrafica, l’invecchiamento e il sesso, e in fattori di rischio modificabili, tra cui le abitudini come il fumo e la sedenta-rietà. Le malattie cardiovascolari sono una classe di malattie che coinvolgono il cuore o i vasi sanguigni, tra cui la cardiopatia ischemica, la cardiopatia ipertensiva e la malattia delle arterie periferiche. Generalmente queste malattie sono correlate all’ipertensione, all’aterosclerosi, all’obesità od anche al diabete. Sebbene la nostra comprensione della patologia e del trattamento dell'aterosclerosi e delle malattie cardiovascolari sia note-volmente migliorata negli ultimi 100 anni e le terapie continuino ad evolversi, il pro-blema globale riguardante le patologie cardiovascolari è molto complesso. Queste

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lattie stanno aumentando anche nei paesi in via di sviluppo, in quanto l’industrializzazione della società porta ad un aumento del consumo di alimenti ricchi di calorie, la facile reperibilità di prodotti contenenti tabacco (sigarette) e riduce l’attività fisica necessaria per svolgere i lavori più impegnativi (Rafieian-Kopaei et al. 2014, Nunez-Cordoba et al. 2011, Kovacic et al. 2011).

Lo stress ossidativo giuoca un ruolo centrale nella patofisiologia dei disordini cardiaci; infatti, elevati livelli di stress ossidativo risultati dall’incremento della generazione car-diaca delle ROS contribuiscono alle disfunzioni contrattili ed endoteliali, alla necrosi ed alla apoptosi dei miociti e al rimodellamento della matrice extracellulare nel cuore (Hal-ter et al. 2014, Ichihara 2013). Ci sono due tipi di meccanismi antiossidanti molecolari coinvolti nella protezione della cellula contro lo stress ossidativo e la tossicità elettrofi-la: gli antiossidanti diretti sono redox-attivi e di breve durata, necessitano di rifornimen-to o rigenerazione, e possono anche evocare effetti pro-ossidanti, mentre gli antiossidan-ti indiretantiossidan-ti possono o meno essere redox-atantiossidan-tivi, non vengono consumaantiossidan-ti, hanno emivite lunghe ed è poco probabile che possano evocare effetti pro-ossidanti. Pertanto, la ricerca attuale si concentra sulla caratterizzazione e la convalida di alimenti che siano funziona-li poiché promuovono la salute e mirano specificamente alle difese antiossidanti endo-gene. Studi epidemiologici hanno indicato che l'assunzione di verdure appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae è correlata a un ridotto rischio di malattie cardiovascolari, in quanto esse contengono appunto i glucosinolati che liberano gli isotiocianati; questi possono produrre la proteina cardioprotettiva redox-regolata detta tioredossina (Trx) e quindi il consumo di queste verdure è benefico per il cuore (Dinkova-Kostova et al. 2008, Masutani et al. 2009).

L’incidenza dell’ipertensione aumenta notevolmente con l'età; essa è una delle principa-li cause di insorgenza delle malattie cardiovascolari e la sua prevenzione può svolgere di conseguenza un ruolo cruciale. Lo stress ossidativo causato dalla ridotta produzione di ossido nitrico e/o dall'aumentata produzione di ROS può favorire la disfunzione en-doteliale e, pertanto, l'aumento dello stress ossidativo rappresenta uno dei possibili fat-tori di aumento dell’incidenza dell'ipertensione (Higashi et al. 2012). È stato dimostrato che una dieta contenente verdure della famiglia delle Brassicaceae, come i broccoli ad alto contenuto di glucorafanina, diminuisce lo stress ossidativo e i problemi ad esso as-sociati nei ratti maschi spontaneamente ipertesi colpiti da ictus. Uno dei metaboliti più importanti e noti della glucorafanina è il sulforafano che è stato inoltre anche utile per

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migliorare la pressione sanguigna (Senanayake et al. 2012). Per quanto riguarda il mec-canismo alla base della protezione dall'ipertensione che è mediata dal sulforafano, vi è evidenza che l'up-regolazione indotta da questo isotiocianato per gli enzimi di fase II del metabolismo conduce ad una riduzione dello stress ossidativo e ciò è stato sperimentato nella cellula vascolare, in particolare nei ratti spontaneamente ipertesi. È stato scoperto che, nella patogenesi dell'ipertensione, i livelli basali di glutatione cellulare coniugato, di glutatione reduttasi e di glutatione perossidasi sono significativamente inferiori nelle cellule muscolari lisce dei ratti spontaneamente ipertesi rispetto a quelle dei ratti normo-tesi. Il sulforafano, a concentrazione di 0,05-1 μM, ha indotto l’aumento significativo e concentrazione-dipendente nei livelli di glutatione coniugato e di proteina HO-1, nelle attività di glutatione reduttasi e glutatione perossidasi nelle cellule muscolari lisce dei vasi in entrambi i ceppi di ratto (Wu et al. 2001). In uno studio successivo, è stato inol-tre dimostrato che il sulforafano ha determinato l’incremento significativo del contenuto di glutatione coniugato, la riduzione dei livelli di glutatione coniugato ossidato, la dimi-nuzione della nitrosilazione delle proteine e l’aumento delle attività degli enzimi gluta-tione reduttasi e glutagluta-tione perossidasi. Questi cambiamenti sono correlati ad un miglio-ramento del rilassamento endoteliale che è indipendente dall'aorta e ad una pressione ar-teriosa significativamente più bassa (Wu et al. 2004). Anche l’estratto di Eruca sativa 4,28% (p/p), contenente il glucosinolato glucoerucina che libera l’isotiocianato erucina, ha un’azione antiipertensiva e ciò è stato osservato mediate l’iniezione intravenosa del suo estratto metanolico nei ratti normotesi e nei ratti con ipertensione indotta con NaCl. Questa iniezione ha determinato una diminuzione significativa della pressione arteriosa media sia nei ratti normotesi che in quelli ipertesi, anche se è risultata essere più effica-ce nei ratti ipertesi (Salma et al. 2018). In un altro studio in vivo con ratti normotesi e ratti spontaneamente ipertesi sono state effettuate misurazioni della pressione arteriosa, prima e a seguito della somministrazione di erucina (10 mg/kg). Ha mostrato che nei ratti normotesi, erucina ha determinato una leggera e non significativa diminuzione del-la pressione, mentre invece del-la diminuzione è stata significativa nei ratti spontaneamente ipertesi (Martelli et al. 2019).

L’aterosclerosi è, come abbiamo detto prima, presente in diverse malattie cardiovascola-ri, tra cui l’infarto miocardico, l’ictus e la malattia delle arterie periferiche. Le lesioni aterosclerotiche sono individuate preferenzialmente sulle pareti esterne dei rami e delle curvature arteriose, dove il flusso locale è disturbato. Il flusso sanguigno laminare stabi-le e uno sforzo di taglio estabi-levato e prolungato possono andare a modulare l'espressione di

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geni e proteine che proteggono dall'aterosclerosi nelle cellule endoteliali. Nrf2 è stato identificato quale fattore di trascrizione indotto dallo sforzo di taglio e che è responsabi-le dell'espressione genica di mediatori antiossidanti. D’altra parte, è stato anche dimo-strato che questo fattore viene anche indotto in regioni di flusso sanguigno laminare sta-bile del sistema vascolare in vivo (Nigro et al. 2011). L'aterosclerosi è anche associata a una condizione infiammatoria a lungo termine della parete arteriosa: l'aumentata espres-sione di molecole di adeespres-sione cellulare come la molecola di adeespres-sione intercellulare-1 (ICAM-1) e la molecola di adesione cellulare vascolare-1 (VCAM-1) è associata ad una aumentata proliferazione di cellule muscolari lisce vascolari, portando ad una maggiore formazione di lesioni neo-intimali o aterosclerotiche. Dunque, è stato studiato l'effetto del sulforafano sull'espressione delle molecole di adesione cellulare vascolare-1 in vitro con cellule muscolari lisce vascolari di topo. Il pre-trattamento di queste cellule per due ore con sulforafano, a concentrazioni di 1-5 𝜇g/mL, ha inibito in modo dose-dipendente l’espressione della proteina TNF𝛼-indotto della molecola di adesione cellulare vascola-re-1 ed ha anche soppresso la produzione, sempre TNF𝛼-indotta, delle specie reattive dell’ossigeno intracellulari. Questi studi sperimentali dimostrano come il sulforafano ha degli effetti positivi sulle lesioni aterosclerotiche, sopprimendo dunque l’infiammazione (Kim et al. 2012).

È stato dimostrato che la lesione ischemica seguita da danno da riperfusione è cruciale nelle principali malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, come l'ictus e l'infarto del miocardio (Kleikers et al. 2012). In uno studio, sono stati utilizzati dei ratti alimentati con broccoli; dopo 30 giorni, questi ratti sono stati sacrificati e i loro cuori prelevati ed, in seguito, perfusi ed isolati. Questi sono stati sottoposti ad ischemia per 30 minuti, al termine dei quali è seguita la riperfusione la durata di 2 ore. È stato possibile notare come il trattamento con i broccoli ha fornito una significativa cardio-protezione, evidenziata dal miglioramento della funzione ventricolare post-ischemica, dalla ridotta dimensione del miocardio che ha subito l’infarto e dalla diminuzione dell'apoptosi dei cardiomiociti, insieme ad una significativa riduzione dell'attività del citocromo c ed anche dell'attività del pro-caspase 3 (Mukherjee et al. 2008). La produzione di ROS è una iniziale causa di danno al miocardio a seguito di ischemia e riperfusione. Le ROS formatesi durante lo stress ossidativo possono stimolare la perossidazione dei lipidi, l’ossidazione delle proteine in uno stato inattivo e causare anche la rottura dei filamenti di DNA (Venardos et al. 2007).

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3.4 Oncologia

Il cancro è una delle maggiori cause di mortalità in tutto il mondo. È la seconda causa di morte più comune in Europa e sta diventando anche una delle principali cause di morte negli anziani. La cancerogenesi è un processo molecolare che presenta molteplici pas-saggi, ed è indotto da cambiamenti genetici ed epigenetiche che determinano delle ano-malie nei meccanismi di controllo che vigilano sulla proliferazione delle cellule, sull’apoptosi, sulla differenziazione cellulare e sulla senescenza. È generalmente diviso in stadi di iniziazione, di promozione e di progressione. L’iniziazione del cancro è do-vuta ad un evento genetico od epigenetico, come ad esempio qualcosa che causa una let-tura scorretta del codice genetico o perdita del normale controllo dell’espressione dei geni, in quanto il cancro è caratterizzato dalla divisione e proliferazione cellulare incon-trollate. La promozione si verifica dopo che c’è stato il danno cellulare iniziale, quando un segnale chimico od un evento stimolano l’espansione della cellula danneggiata in un clone di cellule malate. La progressione è lo stadio in cui il gruppo di cellule tumorali aumenta diventando un tumore maligno o diversi tumori.

Il fatto che ci siano degli stadi identificati come intermedi tra cellule normali e cellule maligne che possono durare fino a vent’anni prima della conclamazione di cancro, e te-nendo in considerazione anche che alcune tipologie di tumore hanno un’incidenza che dipende dall’età, suggerisce che il processo cancerogeno avviene lentamente e durante un intervallo protratto di tempo. Questa informazione, teoricamente, ci permette di ave-re l’opportunità di interveniave-re con cambiamenti nello stile di vita o di chemopave-revenzio- chemoprevenzio-ne prima che si abbia un tumore maligno conclamato.

La chemoprevenzione è definita come l’utilizzo di agenti naturali o sintetici che inibi-scono o prevengono lo sviluppo di cancro. L’obiettivo della chemoprevenzione è di ri-tardare la comparsa del cancro così come quello di diminuire la sua incidenza. Effetti-vamente, la chemoprevenzione richiede l’uso di agenti privi di tossicità che vanno ad inibire specifici step molecolari dello sviluppo del tumore. La dieta è una fonte di com-posti bioattivi che possono inibire il cancro e quando questa non provvede a fornire ab-bastanza di questi composti può incrementare il rischio di insorgenza di cancro. Analisi di studi epidemiologici hanno generalmente constatato che un consumo di frutta e ver-dura è inversamente associato all’incidenza di cancro e alla mortalità da esso determina-ta (von Meyenfeldt 2005, Doll et al. 1981).

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Evidenze epidemiologiche hanno dimostrato una forte connessione tra il consumo di verdure appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae, come broccoli, rucola, cavolfiore, ed una diminuzione del rischio di insorgenza di cancro in numerosi organi. È stato, in-fatti, osservato che nel 67% degli studi riportati su questo tema il consumo di verdure di questa famiglia diminuisce il rischio di insorgenza del cancro, soprattutto per quanto ri-guarda il cancro ai polmoni e allo stomaco ma anche il cancro alla prostata (Verhoeven et al. 1996, Cohen et al. 2000).

Gli isotiocianati liberati dai glucosinolati sembrano esplicare i loro effetti anticancero-geni in importanti steps, specialmente in quelli coinvolti nella detossificazione, nell’infiammazione, nella regolazione del ciclo cellulare e nella modulazione epigeneti-ca. Un meccanismo ben conosciuto mediante cui gli isotiocianati mediano la chemopre-venzione è l’abilità di indurre l’espressione degli enzimi di fase II del metabolismo (tra cui glutatione S-transferasi, NADH-chinone-ossidoreduttasi) e così facendo incremen-tano la detossificazione degli agenti cancerogeni, riducendo il rischio di insorgenza di cancro (Hanausek et al. 2003, Latte et al. 2011, Wattenberg et al. 1981, Kensler et al. 1997). Questo meccanismo d’azione è stato dimostrato sia dal sulforafano, liberato da glucorafanina, che dall’erucina, liberata dal glucosinolato glucoerucina (Jakubikova et al. 2005, Hanlon et al. 2008). Inoltre, gli isotiocianati sono in grado di cambiare i fattori di rischio epigenetici di insorgenza di cancro attraverso l’inibizione dell’attività dell’enzima istone deacetilasi HDAC; questo è un altro dei meccanismi d’azione esple-tati dal sulforafano e dall’erucina, oltre a quello di diminuire lo stato di fosforilazione di tutte le isoforme dell’istone H1 nelle cellule umane del tumore alla vescica (Gerhauser et al. 2013, Li et al. 2016, Abbaoui et al. 2017, Gründemann et al. 2018). In un altro studio, è stata valutata l’attività antitumorale dell’erucina sulla linea cellulare AsPC-1 di adenocarcinoma pancreatico umano ed ha mostrato una significativa riduzione, concen-trazione-dipendente, della vitalità delle cellule trattate con 30 e 100 µM di erucina. Sono stati osservati, inoltre, effetti pro-apoptotici ed anche l’inibizione sia della migrazione di tali cellule sia del loro ciclo cellulare, ad ulteriore dimostrazione delle potenzialità anti-tumorali di questo isotiocianato (Citi et al. 2019).

3.5 La sindrome metabolica

La sindrome metabolica è un termine universalmente utilizzato dal 1998-99 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS per indicare una situazione clinica

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la quale ci sono diversi fattori tra loro correlati che concorrono ad aumentare la possibi-lità di sviluppare patologie a carico dell’apparato circolatorio, diabete ed anche diversi tumori (alla mammella, alla prostata, del pancreas, del rene, del fegato, dell’ovaio, del cervello) (Alberti et al. 1998). Per poter parlare di sindrome metabolica bisogna che sia-no presenti almesia-no tre dei seguenti fattori: obesità addominale, misurata come la circon-ferenza della vita tenendo in considerazione il sesso (per la donna > 88 cm, per l’uomo > 102 cm); aumento della pressione arteriosa o ipertensione (P sistolica ≥ 130 mmHg e P diastolica ≥ 85 mmHg); aumentata glicemia o concentrazione ematica di glucosio a digiuno ( > 110 mg/dL); bassi livelli delle lipoproteine ad alta densità HDL (< 40 mg/dL nell’uomo e < 50 mg/dL nella donna); ipertrigliceridemia o aumento dei livelli plasmatici di trigliceridi (> 150 mg/dL). Da studi pubblicati nell’ultima decade, si stima che da un quarto ad un terzo di adulti nel mondo presenta una condizione di sindrome metabolica, pur avendo background etnici diversi. I dati raccolti dal 1999 al 2010 dalla National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) negli Stati Uniti d’America mostrano che, nella fascia degli adulti con età maggiore di 20 anni, la sin-drome metabolica è presente nel 25,5% degli individui; ciononostante bisogna tenere in considerazione che sono aumentate l’incidenze di iperglicemia (dal 12,9% al 19,9%) e dell’obesità addominale, in quanto la circonferenza addominale è aumentata dal 45,4% al 56,1% (Beltran-Sanchez et al. 2013). In Europa, gli studi della DECODE (Epidemio-logia del Diabete: analisi collaborativa dei criteri diagnostici in Europa) che compren-dono dati raccolti da nove popolazioni studiate in Finlandia, nei Paesi Bassi, nel Regno Unito, in Svezia, in Polonia e in Italia mostrano che il 41% degli uomini e il 38% delle donne, con un’età compresa tra 47 e 71 anni, presentano i criteri di diagnosi della sin-drome metabolica (Gao et al. 2008). L’elevata presenza della condizione di sinsin-drome metabolica non è un’esclusiva delle popolazioni del Nord America e dell’Europa, ma è anche presente nelle popolazioni asiatiche, come in India (presente con una mera per-centuale del 5% nelle zone rurali, mentre aumenta nelle zone urbane), in Corea (circa il 25%), in Giappone (36% per gli uomini e circa il 10% per le donne) e in Cina (in cui si ha una situazione somigliante all’India) (Pandit et al. 2012). Inoltre, la frequenza della sindrome metabolica aumenta anche con l’età: l’analisi dei dati degli USA dallo studio di coorte ha mostrato che si ha un incremento di circa il 50% dai 50 anni in su, e nello specifico a 8 anni di follow-up la percentuale aumenta dal 21% al 34% per gli uomini e dal 12,5% al 24% nelle donne (Wilson et al. 2005).

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La manifestazione della sindrome metabolica è anche associata ad altre patologie prima-rie. Per esempio, le donne con diagnosi di sindrome dell’ovaio policistico presentano un’obesità addominale con una percentuale che va dal 40% all’85%; oltre a ciò, le stes-se prestes-sentano altri fattori che rientrano nella sindrome metabolica, quali dislipidemia, ipertensione ed insulino-resistenza. Difatti, le donne che soffrono della sindrome dell’ovaio policistico hanno il doppio di probabilità di avere sindrome metabolica ri-spetto alle altre donne con la stessa età (Randeva et al. 2012). Anche i pazienti siero-positivi all’HIV possono sviluppare dismetabolismi, tra cui iperlipidemia, deposito cen-trale di tessuto adiposo, intolleranza al glucosio ed anche insulino-resistenza; essi han-no, inoltre, anche il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Per questa tipologia di popolazione, la prevalenza della sindrome metabolica cambia abbastanza a seconda delle diverse coorti analizzate (Gutierrez et al. 2012).

La sindrome metabolica, per definizione, non è una malattia ma un insieme di fattori predisponenti che, uniti insieme, collocano il soggetto in una fascia di rischio elevata per malattie, in particolare patologie cardiovascolari ed il diabete; dunque bisogna agire per migliorare le diverse criticità di questa sindrome, laddove necessario, intervenire con terapie farmacologiche ed anche attraverso modificazioni dello stile di vita. Infatti, contribuiscono alla sindrome metabolica lo stile di vita, l’ambiente, la dieta ed anche la componente genetica (Randeva et al. 2012, Apridonidze et al. 2005, Glueck et al. 2003, Moran et al. 2010).

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Possono essere molto utili le modificazioni della dieta, andando ad introdurre le verdure delle piante Brassicaceae, in quanto queste hanno dimostrato di avere sulla sindrome metabolica gli effetti in Figura 6 (Jeon et al. 2013, Shah et al. 2016, An et al. 2010). In uno studio che ha previsto l’utilizzo di un modello sperimentale in vivo su topo con obesità, indotta da una dieta ricca di grassi, è stato dimostrato che l’esposizione del topo all’estratto etanolico di Brassica rapa (50 mg/kg/die) risulta aver degli effetti nell’espressione dei geni correlati con la lipolisi e nell’attivazione della protein-chinasi dipendente dall’AMP (AMPK), suggerendo che quindi gli estratti delle Brassicaceae possano essere usati come agenti anti-obesità sicuri ed efficaci. In un altro studio in vi-vo, l’estratto della Brassica rapa è stato usato come supplemento della dieta in soggetti umani sovrappeso per un periodo di 10 settimane. Al termine dell’esperimento, c’è stato un incremento significativo della concentrazione delle lipoproteine ad alta densità HDL e riduzione significativa del rischio cardiovascolare, della concentrazione di acidi grassi liberi e di adipsina (An et al. 2010).

In un altro studio l’estratto di Brassica oleraceae è stato utilizzato come supplemento per 28 giorni nell’alimentazione di ratti con diabete-indotto da dieta HF e da iniezione di streptozocina; in questo studio si è osservato come l’estratto (dosi usate: 200, 400 e 800 mg/kg) ha determinato una riduzione significative del peso corporeo ed anche nell’intake di cibo e acqua (Shah et al. 2016). È stato anche dimostrato che l’estratto di Brassica oleracea, sia acquoso che metanolico, è in grado di inibire la perossidazione li-pidica nelle lipoproteine a bassa densità LDL che sono state isolate da dei volontari sani umani (Kural et al. 2011). Inoltre, in un altro studio che ha previsto l’utilizzo di due estratti di yamato-mama (Brassica rapa), uno contenente 14,9 mg/kg/die di gluconapina e l’altro 16,9 mg/kg/die di sinigrina, si è visto che esso è in grado di ridurre l’ipertrigliceridemia postprandiale nei topi grazie alla presenza, appunto, dei glucosino-lati (Washida et al. 2010).

Evidenza sulla glicemia è data anche dallo studio sulla maca (Lepidium peruvianium), pianta peruviana sempre appartenente alla famiglia delle Brassicaceae e che presenta il glucosinolato glucotropaeolina. In questo studio in vivo in cronico, un gruppo di topi ha subito induzione del diabete tramite iniezione di streptozocina quindi son stati divisi in diversi sottogruppi, tra cui uno sottoposto a supplementazione con l’estratto di maca (5 mg/mL) per 7 giorni. Al termine del trattamento, si osserva come i livelli di glucosio ematico nei topi normali non subisce alcuna modificazione seppur con il supplemento presente nella dieta, mentre i topi trattati con l’estratto di maca che presentano

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indotto mostrano una diminuzione significativa della glicemia (Gonzales et al. 2013). Un’altra evidenza per quanto riguarda la glicemia è data da uno studio che vede come protagonisti gli estratti di due varietà differenti di broccoli: un estratto di Broccolo Fio-laro (Brassica oleracea L. convar. Italica botrytis (L.) Alef. var. cymosa Duch.) ed un estratto di Cavolo Nero (Brassica oleracea acephala L. convar. acephala (DC.) Alef. var. sabellica L.). Lo studio sperimentale prevedeva l’induzione del diabete mellito tramite iniezione d streptozocina in tre gruppi di ratti, mentre un gruppo rimane come controllo sano. In entrambi i gruppi è stata osservata una diminuzione significativa della glicemia rispetto al gruppo diabetico non trattato. Inoltre, tramite questo studio sono stati esami-nati anche i livelli di colesterolo totale, tramite analisi del plasma dei ratti, e si è potuto notare come l’aumento del colesterolo totale causato, in questo caso, dalla iniezione di streptozocina è risultato essere ammortizzato dagli estratti del broccolo fiolaro e del ca-volo nero. Da questo studio, dunque, son stati osservati gli effetti benefici dell’estratto di Brassica oleracea sia per quanto riguarda la glicemia che per quanto riguarda il cole-sterolo totale nel ratto (Mollica et al. 2018).

Un altro studio, invece, ha dimostrato l’azione della glucotropaeolina, che libera benzil isotiocianato. Questo modello sperimentale in cronico prevedeva la separazione dei topi in tre gruppi tutti alimentati con una dieta ricca di grassi HF per otto settimane; per due volte a settimana un gruppo riceveva l’iniezione due volte a settimana dell’estratto di benzil isotiocianato (12,5 mg/kg). È stato osservato come l’isotiocianato ha contenuto l’incremento di peso indotto dalla dieta HF, sebbene l’intake di cibo fosse il medesimo. È stato inoltre osservato un ridotto accumulo di grassi a livello del tessuto epatico degli animali trattati con con l’isotiocianato rispetto al gruppo HF. Ciononostante, si è potuto notare come il benzil isotiocianato vada a determinare una diminuzione dei valori ema-tici di glucosio e di insulina. Di conseguenza, da questo studio si sono ottenuti dei dati che dimostrano l’attività protettiva del benzil isotiocianato contro l’iperglicemia, l’iperinsulinemia e l’insulino-resistenza indotte da una dieta HF (Alsanea et al. 2017).

3.6 L’obesità

L’obesità è una condizione medica caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo che può condurre ad effetti negativi sulla salute, finanche a ridurre l’aspettativa di vita dei soggetti che la presentano. Viene definita attraverso l’indice di massa corporea (BMI o body mass index), il quale mette a confronto il peso e l’altezza;

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