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Prevenzione dell'obesita e dei disturbi del comportamento alimentare: elaborazione di un progetto di educazione alimentare per la scuola secondaria di primo grado

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in

Scienze della Nutrizione Umana

TESI DI LAUREA

PREVENZIONE DELL’ OBESITÀ E DEI DISTURBI DEL

COMPORTAMENTO ALIMENTARE: ELABORAZIONE DI UN

PROGETTO DI EDUCAZIONE ALIMENTARE PER LA

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

Relatore

Prof. Dr. Giovanni GRAVINA

Correlatore

Dr.ssa Carla PICCIONE

Candidata

Valeria MARCHI

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4.3 Selezione dei contenuti e programma degli incontri 45

4.3.1 Abitudini alimentari 48

4.3.2 Polisensorialità e legame tra cibo-memoria/cibo-ricordo 53 4.3.3 L’influenza delle emozioni sulle scelte alimentari 55

4.3.4 Social media e realtà 58

VALUTAZIONE E DISCUSSIONE DEI RISULTATI

61

CONCLUSIONE

79

ALLEGATI

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Allegato 1: “La piramide alimentare” 81

Allegato 2: “L’ottagono delle forze alimentari per crescere in salute”

e Linee guida AAP 2016 82

Allegato 3: “10 suggerimenti per scoprire il gusto di mangiare insieme” 83 Allegato 4: “Test CREA sulle abitudini alimentari” 84

Allegato 5: “Test ad hoc d’entrata” 85

Allegato 6: “Scheda applicativa laboratorio dell’olfatto” 86 Allegato 7: “Caleidoscopio e termometro emotivo” 86

Allegato 8: “Vocabolario emotivo” 87

Allegato 9: “Scheda applicativa laboratorio del gusto” 87

Allegato 10: “Test ad hoc d’uscita” 88

Allegato 11: “Homework (piramide delle preferenze alimentari)” 89

Allegato 12: “Homework (cibo ed emozioni)” 90

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Introduzione

Per secoli il rapporto con il cibo è stato connesso all’istinto di sopravvivenza, e gli esseri umani hanno convissuto con il rischio o con la reale mancanza di cibo sufficiente per vivere. Nel tempo, la relazione con il cibo è andata arricchendosi di ulteriori significati di tipo culturale e sociale. Le abitudini e le tradizioni alimentari, la cucina, i modi di preparare il cibo e il suo consumo, hanno raccontato di noi, di chi siamo, delle nostre origini e della società, rappresentando, in qualche modo, anche un simbolo dei rapporti sociali stessi (Douglas M., 1972).

Negli ultimi 50 anni, nei paesi occidentali e industrializzati, la grande disponibilità di cibo, la spinta al consumo globale, la maggiore automazione, la diffusione di colture e allevamenti intensivi, la facilità di conservazione e di trasporto degli alimenti, le migliori condizioni generali di vita, hanno progressivamente modificato il rapporto con il cibo, sempre meno condizionato da abitudini, tempi naturali, tradizioni culturali e radici territoriali, a favore di stili alimentari (Giordo P., 2015) con nuove caratteristiche: la destrutturazione dei pasti, il consumo fuori casa dei pasti, la maggiore propensione agli acquisti self-service (Briamonte L. and Giuco S., 2010), la riduzione dei tempi di preparazione dei pasti, la maggiore ricerca e il consumo di alimenti ready to cook o ready to eat, le modifiche del timing tradizionale (la giornata viene frantumata in molteplici occasioni di consumo istantaneo, talora sregolato, di alimenti reperibili in ogni istante, indipendentemente dalla stagionalità, e spesso poveri di qualità nutrizionale). Questi cambiamenti, insieme alla maggiore sedentarietà, al diffondersi dei fast-food, al consumo di bibite zuccherate, alla presenza sul mercato di alimenti a più alta densità energetica, all’aumento generale delle porzioni, hanno favorito, nella popolazione generale, un aumento dell’intake

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energetico giornaliero e una maggiore tendenza all’aumento di peso (Rolls B. J., et.

al., 2002).

La sovrabbondanza di cibo e la sedentarietà, insieme alle caratteristiche dello stile di vita sopra descritte, hanno portato alla definizione di ambiente obesogenico1 (Pirgon Ö. e N. Aslan, 2015). Al contempo, con l’aumento dell’aspettativa di vita media, sono andate aumentando anche le malattie croniche metaboliche e degenerative connesse al sovrappeso (ipertensione arteriosa, diabete, malattie cardiovascolari e osteoarticolari) (Morris J.N., 1953).

Condizioni di obesità o sovrappeso sono oggi ritenute problemi di sanità pubblica e tra le principali cause di morte (Zolot J., 2017), l’obesità infantile negli ultimi vent’anni ha registrato un aumento del 60%; bambini e ragazzi con sovrappeso o obesità sono soggetti a complicanze mediche come la sindrome metabolica, diabete e patologie cardiovascolari (Giuliana V. et al., 2018), e psicologiche, e hanno una maggiore possibilità di sviluppare Disturbi del Comportamento Alimentare2.

Paradossalmente infatti negli ultimi decenni, insieme all’aumento della prevalenza dell’obesità, si è verificato anche un aumento della prevalenza e dell’incidenza dei Disturbi del Comportamento Alimentare. L’allarme e le preoccupazioni per i danni della sovralimentazione insieme alle spinte sociali verso la magrezza hanno determinato infatti un focus sul controllo dell’alimentazione e del peso corporeo che, in soggetti vulnerabili, può favorire l’insorgenza di anoressia, bulimia o disturbo da alimentazione incontrollata.

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Vista la diffusione e la prevalenza di patologie connesse all’alimentazione negli ultimi decenni sono state promosse molte iniziative di prevenzione ed educazione alimentare volte a sensibilizzare ragazzi, docenti e famiglie rispetto una sana alimentazione ed un corretto stile di vita.

Rispetto ai contenuti di questi interventi, in un recente documento ministeriale, si è sottolineata la necessità di promuovere una Cultura Alimentare attraverso approcci educativi sistemici, portando l’attenzione ai prodotti, ai soggetti e alle risorse ma anche ai saperi umanistici e scientifici e alle relazioni che intercorrono tra essi (MIUR, 2015). Sono stati inoltre individuati i contenuti e le metodologie degli interventi che hanno mostrato evidenza di maggiore efficacia nel cambiamento di comportamenti non salutari (Ministero della salute, 2013).

Su queste basi, all’interno del protocollo tra Regione Toscana, Comune di Pisa, A.O.U. Pisana, ASL Toscana Nordovest e Università di Pisa, denominato “Pisa città che mangia sano”, è stato realizzato a Pisa un progetto di prevenzione dell’Obesità e dei Disturbi Alimentari che da alcuni anni viene effettuato presso istituti scolastici del Comune di Pisa, in collaborazione con l’Associazione La vita oltre lo specchio Onlus (Associazione dei familiari di soggetti affetti da disturbi Alimentari) .

A partire da questa esperienza la tesi espone l’intervento di prevenzione di Disturbi Alimentari e Obesità svoltosi in due Istituti Superiori di Pisa con i seguenti obiettivi: accrescere le conoscenze e le preferenze per abitudini alimentari adeguate alla salute, promuovere un’esperienza positiva di scoperta del gusto degli alimenti, aumentare la consapevolezza relativa al rapporto cibo-emozioni e implementare lo sviluppo critico verso messaggi veicolati tramite i media, ridurre l’internalizzazione dell’ideale estetico di magrezza e lo stigma per l’obesità.

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La tesi riporta in una prima parte la descrizione e l’approfondimento dei temi sopra esposti, nella seconda parte viene presentato il progetto di prevenzione con la descrizione dell’intervento effettuato e la valutazione dei risultati.

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Capitolo 1

Il Sovrappeso e l’Obesità

1.1 Epidemiologia

L’aumentata prevalenza dell’obesità costituisce ormai un problema di sanità pubblica a livello mondiale; il sovrappeso è una delle cause principali e prevenibili di mortalità e morbilità per malattie cardiovascolari, diabete, tumori e malattie croniche (OMS, 2013).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dal 1980 l’obesità nel mondo è più che raddoppiata, gli adulti in sovrappeso rappresentano il 39% e i soggetti con obesità sono il 13.4% della popolazione generale.

Obesità e sovrappeso, considerati problemi dei Paesi ricchi, stanno crescendo anche nei Paesi a basso e medio reddito. L’OMS dichiara che in Africa il numero di bambini in sovrappeso è quasi raddoppiato dai 5,4 milioni del 1990 ai 10,6 milioni nel 2014, mentre in Asia nel 2014 quasi la metà dei bambini sotto i 5 anni era in sovrappeso (Figura1). Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE, 2014) il 64,3% della popolazione degli Stati Uniti è in sovrappeso e di questi la metà è affetta da obesità.

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Figura 1: Obesity prevalence in girls (A); Obesity prevalence in boys (B) (Imperial College di Londra & Organizzazione mondiale della sanità (Oms), 2017).

La prevalenza dell’obesità infantile e adolescenziale sta crescendo in tutto il mondo con dati preoccupanti: in occasione del secondo World Obesity Day, Nazioni Unite e FAO (organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura) hanno esposto i dati di uno studio dell’OMS che riporta come il numero di bambini e adolescenti con obesità tra i 5 e i 19 anni sia incrementato di 10 volte negli ultimi 40 anni. Lo studio ha analizzato le misurazioni di peso e altezza (BMI) di circa 130 milioni di persone di età superiore ai 5 anni, esaminando come la prevalenza di obesità sia cambiata in tutto il mondo dal 1975 al 2016. Durante questo periodo i tassi di obesità nei bambini e negli adolescenti sono aumentati da meno dell’1% nel 1975 a quasi il 6% (50 milioni) nelle ragazze e quasi l’8% nei ragazzi (74 milioni) (Figura 2).

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Figura 2: Average BMI of girls across the globe in 1975 and 2016 (A); Average BMI of boys across the globe in 1975 and 2016 (B) (Imperial College London and WHO).

Rispetto alla popolazione italiana i dati ISTAT riportano che il 25% delle donne e il 41% degli uomini è in sovrappeso e il 10% di entrambi sono soggetti a obesità. Nel 2000 i bambini con obesità risultano essere il 4% e quelli in sovrappeso il 20%, soprattutto nella fascia d’età 6-13 anni.

Da dati ISTAT del 2016 sugli stili di vita in Italia, in diverse fasce di età, emerge che oltre 23 milioni di persone (39,2% della popolazione generale) dichiarano di non praticare attività fisica, con alcune differenze di genere: sedentario il 43,4% delle donne il 34,8% degli uomini (ISTAT, 2016).

Nonostante questi aspetti negativi relativi allo stile di vita, negli ultimi anni, per la maggiore educazione ad una sana alimentazione e la promozione dell’attività fisica, il trend positivo per obesità e sovrappeso sembra essersi arrestato.

L’Italia dal 2001 partecipa allo studio internazionale HBSC (Health Behaviour in School-aged Children - Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), promosso dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS, che coinvolge ogni 4 anni, nei 44 paesi aderenti, un campione di studenti di 11, 13 e 15 anni. I dati 2014 mostrano rispetto alla precedente rilevazione del 2010, una diminuzione della percentuale di ragazzi in sovrappeso in tutte le fasce di età. La diminuzione è particolarmente

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evidente tra gli 11enni (dal 23,3% al 19% nei maschi e dal 17,1% all’13,5% nelle femmine) (Figura 3 A). Anche per quanto riguarda l’obesità, si osserva un lieve calo, più evidente nei 13enni (dal 4,5% al 3,3 % nei maschi e dal 2,4% al 1,3% nelle femmine) (HBSC, 2014) (Figura 3 B).

Figura 3: Diminuzione sovrappeso (A) e obesità (B) in soggetti tra gli 11 e i 15 anni dal 2010 al 2014.(Health Behaviour in School-aged Children - Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare,2014.)

Dati recenti dell’indagine Okkio alla Salute, raccolti attraverso l’utilizzo di metodologie e strumenti standardizzati (questionari e misurazioni dirette) e con la partecipazione a livello nazionale di 2.604 classi, 45.902 bambini e 48.464 genitori, distribuiti in tutte le regioni italiane, mostrano nel 2016 una relativa stabilità del sovrappeso, e un lieve trend in diminuzione per l’obesità (EpiCentro a cura di CNaPPS, 2017) (Figura 4).

Figura 4: Andamento nel tempo di sovrappeso e obesità tra i bambini di 8-9 anni (EpiCentro a cura di CNaPPS, 2017).

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Dai dati del 2016 di Okkio alla Salute è emerso che: soltanto il 34% dei bambini pratica attività sportiva strutturata per non più di un’ora a settimana, il 18% non ha fatto attività fisica il giorno precedente l’indagine e solo un bambino su 4 si reca a scuola a piedi o in bicicletta. Rimane stabile al 44% il dato dei bambini che possiede una TV nella propria camera, aumenta invece e passa da 35% nel 2014 al 41% nel 2016 la percentuale dei bambini che guarda la TV e/o gioca con i videogiochi/tablet/cellulare per più di 2 ore al giorno.

Per quanto riguarda l’errata percezione dei genitori relativa allo stato ponderale e all’attività motoria dei propri figli, i dati evidenziano che, tra le madri di bambini in sovrappeso o con obesità, il 38% ritiene che il proprio figlio sia sotto-normopeso e solo il 30% pensa che la quantità di cibo da lui assunta sia eccessiva (EpiCentro a cura di CNaPPS, 2017).

Dai dati ISTAT del 2019, in un progetto effettuato su un campione di età compresa tra i 3 e i 17 anni, si è registrato che la prevalenza di obesità e sovrappeso presenta caratteristiche diverse a seconda della fascia di reddito (maggiore prevalenza di obesità nelle fasce a basso reddito), del genere e delle diverse aree geografiche:

- il 25,2% dei bambini ha un eccessivo peso corporeo con lieve maggiore prevalenza i maschi (il 5,4% in più rispetto alle femmine)

- differenze i rilevano tra Nord e Sud del Paese con il tasso più alto di sovrappeso registrato in Campania (35,4%) ed il più basso in

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- il tasso di sovrappeso rilevato nel Nord-ovest è del 18,8%, nel Nord-est 22 5 Centro 24,2%, al Sud 32,7% e nelle Isole 29,9% (ISTAT, 2019).

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1.2 Eziopatogenesi: ambiente obesogenico ed altre cause

L’obesità ha una genesi multieziologica a cui concorrono diversi fattori genetici, endocrino-metabolici, ambientali, economici, sociali e anche psicologici, come il mangiare per sopprimere le emozioni negative a cui consegue l'up-regolazione dell'appetito (Incledon E. et al., 2011) (Hemmingsson E., 2014). Proprio per i molteplici fattori in gioco gli interventi terapeutici basati solamente su dieta e attività fisica si sono spesso rivelati poco efficaci (Bhupathiraju, S. e Hu, F., 2016), soprattutto a medio-lungo termine.

È stato dimostrato inoltre che i comportamenti alimentari nei bambini e il rischio di obesità infantile sono associati ad abitudini alimentari dei familiari, stress e depressione (El-Behadli A.F. et al., 2015). Altri possibili fattori riportati in letteratura sono fattori perinatali, (Davis E.F. et al., 2012) (Lau E.Y. et al., 2014), le dimensioni al parto (Yu. Z.B. et al., 2011), il catch-up growth (Taveras E.M. et al., 2011), il tipo di allattamento (Grummer-Strawn L.M. et al., 2004), l’uso di antibiotici nella prima infanzia (Schwartz B.S. et al., 2016), il microbiota (Kalliomäki M. et al., 2008) ed esperienze di vita avverse o traumatiche nella prima infanzia (Fuemmeler B.F. et al, 2009).

Le cause principali per lo sviluppo di sovrappeso e/o obesità risultano essere:

• PREDISPOSIZIONE GENETICA

I fattori ereditari sembrano essere responsabili del 30-50% della variazione di adiposità (Bouchard C., 1997). L'obesità poligenica è di gran lunga la più comunemente osservata, ma sono stati identificati diversi difetti genetici e sindromi monogeniche

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associate all'obesità, che rappresentano però la causa di obesità infantile solo in una minima percentuale di casi (1-4%) (Reinehr T. et al, 2007). Nei bambini con sindromi genetiche, l’obesità è in genere ad esordio precoce ed associata ad altre peculiari caratteristiche cliniche come bassa statura, dismorfismi, ritardo dello sviluppo o disabilità intellettiva (ritardo mentale), alterazioni visive o sordità.

Un recente interessante campo di ricerca relativo alle cause dell’obesità riguarda infine il possibile ruolo dei fattori epigenetici, che, modificando l'interazione tra ambiente, microbioma e nutrizione, possono contribuire a promuovere l'aumento di peso (Chang L. e Neu J., 2015).

• AMBIENTE, ALIMENTAZIONE E SEDENTARIETA’

Nel passato, per molti secoli, la ricerca del cibo è stata dettata dalla sua scarsità e caratterizzata da una limitata varietà di cibo, le informazioni sull’alimentazione erano principalmente basate su gusto, esperienza e carenze nutrizionali. L’era contemporanea è invece caratterizzata dall’abbondanza di cibo soprattutto industriale e le informazioni sull’alimentazione sono basate su consigli, pubblicità e preoccupazione per la salute (Gravina G., 2015). Nel 1996 viene coniato il termine “ambiente tossico” riferito ai fattori sociali ed economici che hanno favorito l’aumento dell’obesità nei Paesi Occidentali (Battle E.K. e Brownell K.D., 1996).

Il rapporto con il cibo, in particolare cosa, quando e come mangiamo, negli ultimi 50 anni, è cambiato radicalmente con il graduale passaggio da una società basata sull’agricoltura ad una società dei consumi. Gli alimenti sono diventati disponibili per un ampio segmento della popolazione, mentre l'opportunità di lavorare fisicamente e consumare energia è diminuita. Con la diffusione del benessere e della comunicazione, sono cambiate le modalità delle scelte alimentari, dell'approvvigionamento, del

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consumo di cibo e della gestione delle attività quotidiane. L'industria pubblicitaria e quella alimentare hanno promosso nuove preferenze attraverso messaggi e segnali associati agli alimenti e alle immagini del cibo (Jones S.C. et al., 2010) (Levitsky D.A. e Pacanowski C.R., 2011). Il marketing pubblicitario alimentare per i bambini è particolarmente redditizio, in quanto genera fidelizzati futuri acquirenti di determinati prodotti, come indicato da una ricerca su PubMed che, usando i termini "marketing alimentare" e "bambini", ha prodotto 756 articoli, 600 dei quali pubblicati dopo il 2000. Considerando le molte ore di esposizione quotidiana sedentaria a media e dispositivi elettronici da parte di bambini e adolescenti (Effertz T. e Wilcke A.C., 2012) (Mink M. et al., 2010), le tecniche pubblicitarie utilizzate (Pettigrew S. et al., 2012) (Speers S.E. et al, 2011) hanno favorito l’aumento del consumo calorico quotidiano, l’aumento dell'uso di bevande zuccherate, di snack dolci e contenenti grasso in eccesso, di porzioni abbondanti e preferenza per cibi con indici glicemici elevati (Ford C.N. et al., 2013) (Nicklas T.A. et al., 2008).

Al contempo si è assistito alla diffusione di stili di vita che riducono il dispendio calorico quotidiano, come la riduzione dei livelli di attività fisica e l'aumento del tempo trascorso in attività sedentarie con l'uso di televisione, computer, telefoni e tablet (Taber D.R. et al., 2013) (Nelson M.C. et al, 2006). La quantità di tempo trascorso con i videogiochi, (Stettler N. et al., 2004) e a guardare la televisione, così come la presenza di una televisione nella camera da letto di un bambino, appaiono essere direttamente correlate alla prevalenza dell'obesità nei bambini e negli adolescenti (Falbe J. et al., 2013) (Gilbert-Diamond D. et al., 2014). La fruizione di videogiochi e altre attività sedentarie nei bambini è inoltre associata al maggiore consumo di cibi ipercalorici e di bassa qualità nutrizionale (Lipsky L.M. et al., 2012).

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L’ambiente “obesogenico”, la sedentarietà, la grande disponibilità di alimenti e bevande ad alto contenuto calorico, iperpalatabili e a basso costo, insieme all'abbondanza di messaggi pubblicitari e segnali esterni, ha contribuito, in soggetti vulnerabili, specie nelle fasce di età infantile, all’affermarsi di modelli di consumo alimentare, che alterano i meccanismi fisiologici di controllo del sistema fame/sazietà, naturalmente preposti al mantenimento dell'equilibrio energetico e del peso corporeo (Corsica J.A. e Hood M.M., 2011) favorendo l’aumento dell’apporto energetico e del peso corporeo, insieme alla maggiore incidenza di diabete di tipo II (T2DM), malattie cardiovascolari, ipertensione, depressione e alcuni tipi di cancro (Cordain L. et al., 2005).

• NUCLEO FAMILIARE

L’ambiente familiare può esprimere sia fattori di rischio che di protezione per sovrappeso e obesità infantile.

Esempio la dimensione del calore/cura nella relazione genitore/adolescente può essere importante in relazione all'assunzione dietetica negli adolescenti (Berge J.M. et al., 2010).

Lo stile genitoriale (per esempio stabilire o meno limiti sull'assunzione di cibi non salutari, adottare comportamenti sedentari o giocare con i bambini all'aperto) e le abitudini alimentari dei genitori (ad esempio fornire l’accesso a frutta e verdura, non controllare l'ambiente alimentare) influenzano la salute del bambino, modellandone i comportamenti quotidiani della dieta e dell'attività fisica (Alejandra Ochoa and Jerica M. Berge,2017).

I pasti in famiglia sono stati suggeriti come potenziale fattore protettivo rispetto alla possibilità di sviluppare obesità (McIntosh W.A. et al., 2009). Una maggiore frequenza

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dei pasti in famiglia è associata a un maggiore consumo di frutta e verdura (Robertson W. Et al., 2008) (Neumark-Sztainer D., 2003), calcio e cereali integrali (Larson N.I. et al., 2007), livelli più bassi di comportamenti incongrui di controllo del peso e abbuffata (Neumark-Sztainer D. et al., 2008) (Haines J. et al., 2010) e una migliore salute psicosociale negli adolescenti (Eisenberg M.E. et al., 2004).

Alcuni studi hanno anche riportato un'associazione tra strutture familiari e comportamento dei bambini. Ad esempio, l'analisi trasversale dei dati di 3798 adolescenti americani ha mostrato che il livello di attività fisica riportato era più alto nei ragazzi che vivevano con la madre, rispetto a quelli che non vivevano con la madre (Schmitz K.H. et al., 2002). Uno studio prospettico di 3 anni su 279 adolescenti svedesi (12 anni di età al basale) ha rilevato che le ragazze che vivono in famiglie in cui i genitori avevano divorziato, presentavano maggiori preoccupazioni legate al controllo del peso, rispetto a quelle che vivevano con entrambi i genitori (Gillander Gådin K. e Hammarström A., 2002).

Esiste poi, un vasto corpo di ricerche, nei paesi industrializzati, che dimostra maggiore prevalenza di obesità in bambini con peggiore stato socioeconomico dei genitori. Fattori predittivi più rilevanti per il sovrappeso e l’obesità in età infantile sono un livello di istruzione genitoriale inferiore, un più basso grado di educazione professionale, basso reddito, spazio di vita limitato per persona e genitori single (Shrewsbury V. e Wardle J., 2008) (Lange D. et al., 2010).

Su queste basi, una revisione sistematica degli studi sulla prevenzione dell'obesità infantile (Waters E. et al., 2011) ha suggerito la possibile efficacia di interventi incentrati sulla modifica dell'ambiente di vita familiare.

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1.2.1 Le forme di obesità

Da un punto di vista eziologico, si distinguono due tipologie di obesità:

- ESSENZIALE cioè che dipende soprattutto dallo stile di vita, caratterizzato da un ridotto consumo di energia e/o un aumentato introito di calorie, e talora associato a comportamenti alimentari disregolati, dall’iperfagia fino a compulsione con abbuffate, e/o a disturbi dell’umore, quali ansia e depressione.

- SECONDARIA presente in meno del 5% dei casi e derivante da altre malattie note cioè da cause non legate direttamente al solo introito eccessivo di calorie o al minor consumo di energia. L’obesità secondaria può essere dovuta a malattie endocrine quali ipotiroidismo, ipercortisolismo (morbo di Cushing), sindrome dell’ovaio policistico, ipogonadismo, deficit di GH, insulinoma e pseudoipoparatiroidismo (Speiser P.W. et al., 2005), a danni ipotalamici con interessamneto dei centri di fame e sazietà (trauma cranico, craniofaringioma, infezioni, malformazioni), a disturbi mentali o neurologici e a farmaci (insulina, beta bloccanti, cortisone, litio) (W.S. Leslie et al., 2007).

1.3 Le conseguenze dell’obesità

Le conseguenze dell’eccesso ponderale si possono suddividere in:

- PRECOCI (si manifestano nel bambino) - TARDIVE (si manifestano in età adulta)

Nei bambini, obesità e sovrappeso possono determinare una serie di conseguenze precoci sia di carattere fisico che psichico. L’obesità infantile è associata ad una

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maggiore possibilità di sviluppare alcune patologie in età adulta come diabete, dislipidemie e ipertensione (Kumar S. e Kelly A.S., 2017).

Malattie associate all’obesità possono essere: patologie cardiovascolari (come ipertensione, ischemia ed emorragia cerebrali, infarto del miocardio e scompenso cardiaco, aritmie fino a morte improvvisa) (Crowley D.I. et al., 2011) (Sorof J. e Daniels S., 2002), patologie respiratorie (deficit respiratorio di tipo restrittivo e sindrome delle apnee notturne) (Spilsbury J.C., 2015), patologie urologiche (microalbuminuria, insufficienza renale, calcolosi alle vie urinarie che porta ad incontinenza urinaria) (Today Study Group., 2013), patologie ginecologiche (alterazione del ciclo mestruale, oligomenorrea fino ad amenorrea, sindrome dell’ovaio policistico) (Legro R.S. et al., 2013), malattie metaboliche (diabete mellito tipo II, iperuricemia, ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, steatosi epatica non alcolica, calcolosi biliare) (Tsai et al., 2006) (Calcaterra V. et al., 2008) (Pinhas-Hamiel O. et al., 1996), danni osteoarticolari da sovraccarico con degenerazione artrosica (gonartrosi, coxartrosi, discopatie dorso-lombari).

Rispetto alle possibili cause di sviluppo dell’obesità sono da richiamare i fattori relativi al periodo pre-natale e perinatale; l'idea che l'ambiente intrauterino possa essere di fondamentale importanza per la successiva salute dei bambini è accertata da numerosi studi che documentano come la riprogrammazione fetale da parte dell'ambiente intrauterino possa avere un impatto duraturo sulla salute dei bambini (Bateson P. et al., 2004).

Le condizioni di salute della madre possono avere conseguenze sia per il rischio di sviluppare obesità che complicanze metaboliche (Ludwig D.S. e Currie J., 2010). Una

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crescita intrauterina inadeguata appare associata a obesità infantile, diabete di tipo 2 e malattia coronarica (Barker D.J., 2007).

Un elevato peso materno pre-gravidico e un eccessivo aumento di peso in gravidanza sono fattori di rischio per i bambini, specie se “nati grandi” per età gestazionale (Whitaker R.C. e Dietz W.H., 1998) (Yu Z. et al., 2013), per il successivo sviluppo di anomalie metaboliche, specie di tipo glucidico. Anche il diabete gestazionale nella madre ha un ruolo documentato nella predisposizione dei nati al successivo sviluppo di diabete di tipo 2 (Dabelea D. et al., 2008) (Gillman M.W. et al., 2003).

Oltre ai fattori pre- e perinatali, altro elemento di cui tener conto è il maggior rischio di obesità in età adulta per i soggetti con obesità infantile. Un aumento di peso in giovane età soprattutto nel periodo pre-adolescenziale comporta un aumento del volume delle cellule adipose e una maggiore difficoltà nel perdere peso. Sebbene vi siano variazioni nelle stime tra gli studi che esaminano la questione della persistenza, ci sono evidenze che un buon numero dei bambini con obesità diventino adulti con obesità (Power C. et al., 1997), (Freedman D.S. et al., 2004). Il rischio di obesità in età adulta è maggiore per bambini con obesità da più tempo, per quelli con obesità più grave (Freedman D.S. et al., 2007) e per quelli con genitori anch’essi con obesità (Whitaker R.C. et al., 1997). La comparsa di condizioni associate all'obesità durante l'infanzia ha dimostrato di portare a una precoce insorgenza di complicanze mediche correlate (Pavkov M.E. et al., 2006).

Anche le conseguenze sociali dell'obesità, specie in età infantile, possono contribuire alla difficoltà nella gestione del peso. I bambini in sovrappeso tendono a proteggersi da commenti e atteggiamenti negativi, potendo cercare cibo come conforto. Inoltre, i bambini in sovrappeso tendono ad avere meno amici rispetto ai bambini di peso normale, il che si traduce in una minore interazione sociale e gioco e in più tempo

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trascorso in attività sedentarie (Niehoff V., 2009). L'attività fisica è spesso più difficile per i bambini con sovrappeso e obesità poiché spesso hanno difficoltà a rispettare le aspettative e le richieste prestazionali.

Negli ultimi anni sono cresciute l’attenzione e la ricerca relative alle implicazioni psicologiche dell’obesità, soprattutto quella infantile. I ragazzi con sovrappeso e obesità vengono spesso derisi, emarginati, colpiti da atti di bullismo, favorendo lo sviluppo di senso di insicurezza, inadeguatezza e minore autostima, fattori predisponenti per ansia e depressione (Rankin J. et al., 2016).

La stigmatizzazione delle persone con obesità è diffusa e può causare conseguenze negative. Lo stigma del peso è spesso tollerato nella società a causa delle convinzioni secondo cui lo stigma e la vergogna motiveranno le persone a perdere peso. Tuttavia, piuttosto che motivare un cambiamento positivo, lo stigma favorisce comportamenti alimentari disregolati, fino al binge eating, isolamento sociale, minore ricorso alle cure sanitarie, riduzione dell'attività fisica, tutti fattori che peggiorano l'obesità e creano ulteriori barriere al cambiamento dei comportamenti disfunzionali.

Inoltre, le esperienze di stigmatizzazione del peso possono compromettere la qualità della vita, specialmente per i giovani (Stephen J. Pont et al., 2017) (Ackard D.M. et al., 2003) (Jansen W. et al., 2008)

Questi aspetti sono rinforzati dalle pressioni sociali verso la magrezza per il genere femminile (O’Dea J.A., 2005) e verso la muscolosità per il genere maschile, pressioni che facilitano alti livelli di insoddisfazione corporea specie in età adolescenziale. (Austin S.B. et al., 2009) (Kostanski M. et al., 2004).

La conseguenza più grave è quella che dal piano psicologico il disagio passi poi ad un piano psicopatologico: l’obesità infantile per sé, ma anche la sola insoddisfazione corporea, rappresentano un significativo fattore di rischio per lo sviluppo di Disturbi

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del Comportamento Alimentare (Gruppo Regionale Tecnico Multidisciplinare sui DCA, 2013) con maggiore prevalenza nel sesso femminile (Lundstedt G. et al., 2006) (Decaluwé V. e Braet C., 2003) (Decaluwé V. et al., 2003).

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Capitolo 2

I disturbi del comportamento alimentare

2.1 Epidemiologia

Sebbene l’insorgenza di un DCA possa talvolta avvenire in età infantile o adulta, nella maggior parte dei casi l’esordio è collocabile in età adolescenziale (fra 12 e 18 anni): in recenti pubblicazioni la prevalenza stimata fra adolescenti e giovani adulti è di 0.3-1.0% per il disturbo anoressico, 0.51-2% per il disturbo bulimico e 1.2-2.15% per il BED (Preti A. et al,, 2009) (Smink F.R., Van Hoeken D. & Hoek H.W., 2012) (Swanson S.A., 2011).

Tra i disturbi del comportamento alimentare l’incidenza dell’anoressia nervosa è stimata essere di almeno 8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne, mentre è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra gli uomini. Per quanto riguarda la bulimia nervosa l'incidenza è stimata essere di almeno 12 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne e di circa 0,8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra gli uomini. Non ci sono dati attendibili, invece, per quanto riguarda l’incidenza del disturbo da alimentazione incontrollata BED (binge-eating disorder) (Ministero della salute, 2013).

Gli studi di prevalenza condotti in Italia sono relativamente pochi, per la maggior parte limitati a realtà regionali. Uno studio di Favaro A. e coll. (Favaro A. et al., 2003) fornisce uno spaccato della diffusione dei disturbi alimentari nel Nord-Est Italiano con dati epidemiologici concordanti con la letteratura internazionale e probabilmente

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estendibili alla realtà della maggior parte del nostro paese. Lo studio, condotto su un campione di 934 ragazze di età compresa tra i 18 e i 25 anni residenti in due aree contigue della provincia di Padova stimava per l’Anoressia Nervosa una prevalenza puntuale dello 0.3% ed una prevalenza nell’arco di vita del 2.0%. La prevalenza puntuale della Bulimia era dell’1.8% mentre quella nell’arco di vita del 4.6%. Le forme di Anoressia sottosoglia registravano una prevalenza puntuale dello 0.7% e una prevalenza life-time del 2.6% mentre le forme atipiche di Bulimia raggiungevano una prevalenza puntuale del 2.4% e una prevalenza nell’arco di vita del 3.1%. La prevalenza di tutti i disturbi del comportamento alimentare nel campione era infine pari al 5.3%.

2.2 Cosa sono i DCA e Classificazione: il DSM-5

I Disturbi del Comportamento Alimentare, conosciuti anche con l’acronimo DCA, sono un gruppo eterogeneo di gravi e complesse patologie, ad eziologia multifattoriale. Per definizione “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o da comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale” (Dalle Grave R., 2013).

L’ultima versione del manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, il DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013), ha raggruppato i DCA in un’unica categoria diagnostica denominata Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione.

La sigla DSM-5 (derivante dall’acronimo del titolo dell’edizione statunitense

Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) indica la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, pubblicato da parte

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dell’American Psychiatric Association (APA) nella sua ultima revisione il 18 maggio 2013. Questo manuale rappresenta uno dei sistemi nosografici per disturbi mentali più utilizzato a livello mondiale sia nella clinica che nella ricerca.

La sezione «Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione» del DSM-5 elenca sei categorie diagnostiche principali più due residue, relative a sindromi parziali o più correttamente definite subcliniche, indicando per ciascuna categoria i criteri diagnostici che devono essere soddisfatti:

1. Pica

2. Disturbo da ruminazione

3. Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo 4. Anoressia nervosa

5. Bulimia nervosa

6. Disturbo di alimentazione incontrollata (disturbo da Binge-Eating) 7. Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione 8. Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione

Gli ultimi due gruppi includono disturbi alimentari atipici o con caratteristiche che non rientrano completamente nella descrizione delle altre principali forme individuate dal manuale; in questi ultimi due gruppi rientrano: anoressia nervosa atipica, bulimia nervosa a bassa frequenza e/o durata limitata, disturbo da binge-eating a bassa frequenza e/o durata limitata, disturbo da condotta di eliminazione, sindrome da alimentazione notturna.

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in un singolo quadro diagnostico la storia patologica complessa di un soggetto con DCA risulta essere molto difficoltoso (Milos, Spindler, Ulrich, & Fairburn, 2005).

Tra le forme di DCA definite nel DSM-5, le più frequenti come prevalenza all’interno della popolazione risultano essere: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo da alimentazione incontrollata (BED).

2.2.1 Anoressia nervosa

L’anoressia nervosa (AN) si caratterizza per:

- restrizione dell’apporto energetico che conduce ad una consistente perdita di peso corporeo;

- intensa paura di ingrassare o di diventare grassi anche se si è sottopeso; - alterazione della visione della propria immagine corporea.

L’anoressia nervosa si manifesta comunemente nella popolazione occidentale durante l’adolescenza o prima dell’età adulta, l’età d’esordio è compresa solitamente tra i 12 e i 25 anni, con un doppio picco di maggior frequenza a 14 e 18 anni. L’anoressia nervosa nei casi tipici inizia con restrizione calorica (dieta anche ferrea o periodi di semi-digiuno) e progressivo calo ponderale anche fino a peso corporeo molto basso. Alla dieta possono essere associati attività fisica eccessiva o altre forme non salutari per il controllo del peso come l’uso di lassativi o diuretici. Sintomi psichici comuni che peggiorano con la perdita di peso sono la depressione, il deficit di concentrazione, la perdita dell’interesse sessuale, l’ossessività e l’isolamento sociale. Il 20- 30 % delle persone affette da AN sviluppa una condizione cronica, in questi casi vengono danneggiati il funzionamento interpersonale e la carriera scolastica. Il tasso grezzo di

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mortalità è circa del 5% per le complicanze da malnutrizione e per il suicidio (Dalle Grave R., 2018).

2.2.2 Bulimia nervosa

La bulimia nervosa (BN) si caratterizza per: - ricorrenti episodi di abbuffate3 alimentari;

- comportamenti di compenso volti ad evitare l’aumento di peso;

- stima di sé eccessivamente influenzata dalla forma e dal peso del corpo.

L’esordio della bulimia nervosa, come per l’anoressia nervosa è più frequente in età adolescenziale o nella prima età adulta. Le abbuffate iniziano in genere durante o dopo un periodo di restrizioni dietetiche ma l’esordio può essere provocato da eventi stressanti o difficoltà personali ed emotive.

L’antecedente più comune dell’abbuffata è un’emozione negativa e l’introduzione compulsiva di cibo può servire a sedare l’ansia e la tensione (Bracci, 2015). Altri fattori scatenanti comprendono la rottura delle regole dietetiche rigide ed estreme, stati di umore disforico, sentimenti negativi, conflitti, eventi stressanti, sentimenti di vuoto e di solitudine ma anche la noia.

Per riprendere il controllo e gestire la paura di prendere peso conseguente all’abbuffata, la maggior parte dei soggetti utilizza pratiche di compenso collettivamente denominate “condotte di inappropriate di compenso”. Il vomito rappresenta la condotta compensatoria inappropriata più frequentemente utilizzata, ma

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altre condotte comprendono l’uso di lassativi e diuretici, l’attività fisica eccessiva e il digiuno.

Il 20-30 % delle persone con bulimia nervosa ha un decorso patologico protratto, il passaggio all’anoressia nervosa è raro, ma verso gli altri disturbi alimentari e il disturbo da binge-eating avviene nel 20% dei casi. Il tasso grezzo di mortalità è dello 0-2% (Dalle Grave R., 2018).

2.2.3 BED

Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorder (BED) viene definitivamente riconosciuto dal DSM-5 come categoria diagnostica distinta dei disturbi dell'alimentazione, con specifiche caratteristiche epidemiologiche e frequentissima associazione con l’obesità e i disturbi dell’umore. Nella popolazione generale con più di 18 anni la prevalenza del BED è 1,6% tra le femmine e 0,8% tra i maschi, mentre negli individui con obesità è del 10%.

Si tratta di una condizione caratterizzata da ricorrenti episodi di discontrollo alimentare causata da fattori psicologici in assenza di cause mediche o genetiche, spesso associata a grave sovrappeso.

I soggetti con BED, nelle abbuffate, mangiano grandi quantità di cibo, molto rapidamente fino a sentirsi spiacevolmente pieni anche se non hanno la sensazione di fame. Un tratto ampiamente diffuso tra questi pazienti è la bassa autostima, con tendenza all’umore depresso e spesso coesistono con la malattia altri disturbi mentali, come i disturbi dell'umore, di ansia e da uso di sostanze (Ministero della Salute, 2013) (Nizzoli & Barozzi, 2012).

L’età di esordio è variabile, fin dall’adolescenza, ma più frequente in età giovanile o adulta; a differenza di anoressia e bulimia, che hanno spiccata maggiore prevalenza

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per il sesso femminile (F:M = 9:1), nel BED la differenza di genere è meno accentuata (F:M = 4:2).

2.2.4 ARFID

ARFID, acronimo che sta per Avoidant/restrictive food intake disorder o disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, si riferisce ad una patologia, definita nel DSM-5, che unisce in un’unica categoria diagnostica per l’età infantile i disturbi della nutrizione con i disturbi dell’alimentazione.

Un disturbo dell’alimentazione o della nutrizione (per es., apparente mancanza d’interesse per il mangiare o per il cibo; evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo; preoccupazioni relativa alle conseguenze negative del mangiare) che si manifesta attraverso la persistente incapacità di soddisfare le necessità nutrizionali e/o energetiche appropriate, associato a uno (o più) dei seguenti aspetti:

- Significativa perdita di peso (o mancato raggiungimento dell’aumento ponderale atteso oppure una crescita discontinua nei bambini).

- Significativo deficit nutrizionale.

- Dipendenza dalla nutrizione parenterale o dai supplementi nutrizionali orali. - Marcata interferenza con il funzionamento psicosociale.

Non si manifesta esclusivamente durante il decorso dell’anoressia nervosa o della bulimia nervosa e non vi è focalizzazione o disagio per il peso o la forma del proprio corpo. Non è attribuibile a una condizione medica concomitante e non può essere spiegato da un altro disturbo mentale. Quando il disturbo dell’alimentazione si verifica

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nel contesto di un’altra condizione o disturbo la gravità del disturbo dell’alimentazione eccede quella abitualmente associata alla condizione o il disturbo e giustifica ulteriore attenzione clinica.

2.3 Fattori di rischio e mantenimento

I fattori di rischio per i DCA si possono dividere in: - Generali (età, genere, etnia)

- Individuali (genetici, psicologici, relazionali familiari, traumi o negative esperienze vitali, problemi dello sviluppo come obesità o problemi alimentari e nutrizionali nella prima infanzia, aspetti socioculturali e ambientali (Dalle Grave, 2018).

I principali fattori variabili su cui agire per un’opera di prevenzione sono:

Fattori socioculturali: pressione sulla magrezza, preoccupazione per il peso, dieting. Fattori psicologici: perfezionismo, bassa autostima, impulsività e disregolazione

emotiva e immagine corporea negativa.

Fattori familiari: interazioni difficili, disturbi dell’attaccamento, tensioni e conflitti

Nella società occidentale l’industria della moda promuove la magrezza, che viene associata a capacità e successo. L’interiorizzazione dell’ideale di magrezza/bellezza favorisce una eccessiva valutazione di sé attraverso il peso e le forme del corpo tendendo a ridurre la possibilità di autodeterminazione della donna che sembra non avere più libertà di scelta né autonomia sulla possibilità di “sentirsi accettabile” in altri modi se non quello del “dogma della magrezza”. Il confronto con modelli idealizzati, e spesso irrealistici, può rinforzare nelle giovani il senso di insicurezza e l’ansia

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riguardo alla propria adeguatezza favorendo l’insoddisfazione corporea tipica dei disturbi alimentari peso-correlati (Friederich H.C. et al., 2010).

All’insoddisfazione corporea si associa il “dieting”, cioè l’idea che la restrizione calorica e il controllo sull’alimentazione siano il normale comportamento alimentare. “Dieting” e insoddisfazione corporea rappresentano due rilevanti fattori di rischio per l’insorgenza di un disturbo Alimentare, e contribuiscono a mantenere il disturbo una volta instauratosi. La dieta ferrea e l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, cioè giudicare il proprio valore prevalentemente o esclusivamente in termini di peso e forma del corpo, sono riconosciuti infatti anche come meccanismi di mantenimento dei DCA (Ministero della Salute, 2013).

La pubertà è un periodo di grandi cambiamenti fisici e psicologici che possono determinare tensione, disagio e stress significativo; l’adolescente è particolarmente vulnerabile alle problematiche relative alla corporeità e al senso di sicurezza connesso a peso e forme corporee; l’adolescenza è una fase in cui l’identità non è ancora ben definita e c’è una tendenza a giudicare il proprio valore in termini di aspetto fisico se per il genere femminile è cruciale l’ideale di magrezza, negli ultimi anni, qualcosa di analogo è avvenuto anche per il genere maschile in cui il senso di adeguatezza sociale viene sempre più correlato al grado di muscolosità. Su queste basi l’idea della dieta può rappresentare un tentativo di risposta al disagio emotivo, una forma di soluzione all’insicurezza attraverso il controllo sull’alimentazione.

La dieta, in genere auto-prescritta, è caratterizzata da regole rigide riguardo a quando, cosa e quanto mangiare, e anche riguardo a situazioni sociali. Alla restrizione dell’intake calorico si associa la “restrizione dietetica cognitiva”, cioè il pensiero costante di associare l’alimentazione al tentativo di perdere peso. La restrizione

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cognitiva è un fattore di mantenimento perché aumenta le preoccupazioni e l’ansia per l’alimentazione, potendo anche favorire l’insorgenza di abbuffate (Dalle Grave 2018). Quanto descritto riguarda la popolazione generale, ma, insieme ai fattori socioculturali, all’insorgenza di un disturbo alimentare concorrono elementi psicologici soggettivi che rendono l’individuo maggiormente vulnerabile; tali elementi possono essere connessi sia a tratti di personalità (es. perfezionismo, bassa autostima) che ad esperienze familiari negative (es. lutti).

Alcuni studi rilevano come un ambiente familiare poco “caldo” affettivamente, i commenti critici o le prese in giro (“teasing”) riguardo al peso da parte dei familiari, così come la restrizione dietetica in età infantile, rappresentino fattori di rischio significativi per l’insorgenza di un disturbo alimentare (Neumark-Sztainer D. et al., 2007), (Berge J.M. et al., 2015), (Neumark-Sztainer D. et al., 2004), (Haines J. et al., 2010).

Alcuni fattori di rischio, come il dieting e l’insoddisfazione corporea, rappresentano come detto anche fattori di mantenimento dei DCA. Altri specifici fattori di mantenimento possono essere:

- l’evitamento dell’esposizione del proprio corpo e la sensazione di essere grassi che restringono gli interessi e la vita sociale portando ad isolamento

- il check del peso e del corpo: pesarsi frequentemente fa interpretare in modo scorretto minime variazioni di peso, lo scrutinare ripetutamente le parti del corpo che non piacciono amplifica i difetti percepiti e intensifica l’insoddisfazione del corpo incoraggiando la restrizione dietetica

- i rinforzi positivi cognitivi e sociali: solitamente nelle fasi iniziali del disturbo si sperimenta la spinta ad intensificare il controllo alimentare per il senso di padronanza

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e autocontrollo connesso alla perdita di peso, che viene riconosciuta anche socialmente come un successo; tali rinforzi si ridurranno progressivamente con l’evoluzione della malattia (Dalle Grave, 2018).

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Capitolo 3

La prevenzione

3.1 Livelli di Prevenzione

A partire dalla definizione di intervento preventivo, inteso come “qualunque attività mirata a ridurre morbilità e mortalità dovute ad una patologia”, vengono riconosciuti di consuetudine tre differenti livelli, in base al momento in cui l’attività preventiva viene svolta, secondo un originario sistema di prevenzione nel campo della salute pubblica, proposto dalla Commission on Chronic Illness nel 1957:

Prevenzione primaria: sono delle attività dirette che si propongono di mantenere la condizione di benessere, cercando di diminuire il numero di nuovi casi di un disturbo o di una malattia. La loro efficacia è misurata riscontrando una diminuzione dell’incidenza di quella determinata malattia. L’insieme di questi interventi è indirizzato al potenziamento di fattori utili e all’allontanamento o alla correzione dei fattori di rischio per impedire o ridurre la probabilità che si verifichi un evento avverso non desiderato, quindi l’insorgenza o lo sviluppo della patologia in soggetti sani (Dalle Grave R., 2013) (CNMR- Centro Nazionale Malattie Rare, 2014). Nel settore dei DCA questo tipo di interventi adottano un approccio educativo-didattico, dando informazioni su nutrizione, immagine corporea, disturbi dell’alimentazione e sui loro effetti dannosi. I risultati di queste azioni, molto diffuse in Italia negli ultimi decenni, non appaiono soddisfacenti perché se pure favorisce un incremento delle conoscenze, non ha dato esiti positivi riguardo alla modificazione degli atteggiamenti disfunzionali

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come l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo e dei comportamenti non salutari (Ministero della Salute, 2013).

Prevenzione secondaria: interviene su soggetti già ammalati, in uno stadio inziale, quindi l’obiettivo dell’intervento è quello di prevenire la progressione della patologia e la sua cronicizzazione, riducendo gli effetti negativi causati dalla stessa, accorciando il tempo che intercorre tra l’esordio e la richiesta di aiuto, con una diagnosi precoce ed il ricorso tempestivo alla cura (Dalle Grave R., 2013) (CNMR- Centro Nazionale Malattie Rare, 2014). L’efficacia di questo tipo di interventi è misurata da una diminuzione della prevalenza della malattia.

Prevenzione terziaria: sono delle attività mirate a ridurre le disabilità permanenti provocate da una malattia esistente o di contrastarne la progressione irreversibile. Questo tipo di prevenzione si realizza attraverso misure riabilitative e assistenziali del malato e si occupa quindi di ridurre l’impatto negativo di una patologia già conclamata ed in corso, gestendo quindi le cronicità o comunque limitare la comparsa sia di complicazioni tardive che di esiti invalidanti (Dalle Grave R., 2013) (CNMR- Centro Nazionale Malattie Rare, 2014).

Nel 1994 l’Institute of Medicine, ha proposto un nuovo sistema di classificazione che oggi è adottato dalla maggior parte degli operatori della salute che si occupano di prevenzione (Mrazek & Haggerty, 1994).

In riferimento ai destinatari degli interventi di prevenzione, si distinguono tre differenti categorie di programmi:

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Prevenzione universale

Sono programmi diretti alla popolazione generale o a un intero gruppo di una popolazione che non è stato identificato sulla base del rischio individuale. Prevenzione selettiva

Sono programmi diretti a un sottogruppo della popolazione il cui rischio di sviluppare una determinata patologia, ad esempio obesità o Disturbi Alimentari, è significativamente elevato, come evidenziato dai fattori di rischio biologici, psicologici o sociali.

Prevenzione indicata

Sono programmi diretti ad individui che sono stati identificati per avere sintomi tipici o prodromici rilevabili, nel nostro caso di obesità o Disturbi Alimentari (ISTISAN, 2012) (Dalle Grave R., 2013).

3.2 Interventi di Prevenzione per l’obesità

La prevenzione rappresenta un’arma necessaria (Sirchia G., 2004) per contrastare l’instaurarsi di abitudini nocive e la scuola dell’obbligo appare come il luogo più adatto dove svolgere tale attività sia per la facilità di entrare in contatto con tutta la popolazione giovanile che per la grande influenza che le abitudini del gruppo esercitano sul singolo individuo (SINU, 2001).

La scuola contribuisce a formare il modello di comportamento relativo ad alimentazione e attività fisica dei bambini e quindi può e deve giocare un ruolo strategico nell’instaurazione di un corretto stile di vita (Zenzen W., Kridli S., 2009). L’OMS con il programma Health Promoting Schools, sviluppatosi principalmente a livello europeo, attribuisce alla scuola un impegno per il benessere degli studenti e per

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un ambiente sano, sicuro e supportivo, da realizzare anche attraverso programmi di educazione alla salute (WHO, 1997). Le scuole che promuovono salute mettono in atto interventi volti a rafforzare l’autostima degli studenti, facilitando lo sviluppo delle loro potenzialità fisiche, psicologiche e sociali valorizzando l’impegno e i risultati degli studenti: considerando l’individuo come soggetto di apprendimento non come oggetto di apprendimento (Bertini M., Braibanti P. e Gagliardi M.P., 2004).

La scuola quindi, è il setting ideale per la promozione della salute. Alla base di tale approccio si trova il modello bio-psico-sociale di salute (Engel GL., 1977) (Schwartz Gary E., 1982) che opera per la creazione di un ambiente sociale di sostegno che possa influenzare la visione, la percezione e l’azione di tutti coloro che vivono, lavorano, giocano e imparano all’interno della scuola, costruendo un clima positivo che influisce sul modo in cui si strutturano le relazioni, sulle decisioni, i valori e gli atteggiamenti personali.

Sono stati svolti, fino ad ora vari interventi di prevenzione dell’obesità infantile nelle scuole con molteplici modalità di realizzazione, rispetto all’ambito di azione, ai contenuti proposti, alle strategie utilizzate. Questi interventi sono stati svolti con vari obiettivi: apportare cambiamenti nell’alimentazione, ridurre il consumo di cibi ad alto apporto calorico oppure promuovere il consumo di frutta e verdura (sia all’interno delle mense scolastiche, sia nelle abitudini delle famiglie degli studenti), ridurre il comportamento sedentario e aumentare l’attività fisica (attraverso il potenziamento del programma di educazione fisica) (ISTISAN, 2015).

Oltre che per i contenuti, gli interventi possono differenziarsi anche per il diverso orientamento delle azioni, volte al cambiamento ambientale o al cambiamento del comportamento individuale, per la fascia di età identificata come target, per gli attori

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coinvolti, per la durata del periodo di implementazione e per gli approcci teorici assunti a riferimento.

L’Evidence-Based Health Promotion applica i criteri dell’Evidence-Based Medicine (EBM) (Sackett D.L. et al., 1996) alla promozione della salute garantendo validità scientifica a interventi che sviluppano abilità e competenze personali e che incidono sui comportamenti (Jackson S.F. et al., 2001). Il problema dell’efficacia degli interventi di prevenzione rappresenta un nodo centrale che influenza le politiche sanitarie sia in termini di programmazione sanitaria che a livello di stanziamenti di fondi e destinazione di risorse.

Per una solida programmazione in sanità pubblica è fondamentale definire quali conoscenze scientifiche si possano considerare prove di efficacia e capire come rendere queste accessibili agli operatori sanitari.

Dal 2007 sono attivati tre sistemi di sorveglianza di popolazione specifici per fasce d’età; tra questi, nell’ambito del progetto “Sistema di indagini sui rischi comportamentali in età 6-17 anni”, il sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE utilizzato per monitorare la condizione di sovrappeso e obesità nei bambini e ragazzi delle scuole. Questo sistema viene impiegato a sostegno del governo locale per pianificare, indagare e valutare gli interventi dei Piani di prevenzione e promozione della salute, e rilevare i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi fissati nei Piani sanitari.

In Italia, nel 2010, l’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, nell’ambito del progetto “Programmi efficaci per la prevenzione dell’obesità: il contributo dei SIAN” finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute, ha elaborato un dossier sull’efficacia degli interventi per la prevenzione dell’obesità nei bambini e negli adolescenti, basata sulla revisione

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sistematica di 27 articoli riferiti a revisioni sistematiche o narrative pubblicate fino al 2008 (ARS Toscana, 2010).

Nei Rapporti ISTISAN del 2015, “Prevenzione dell’obesità nella scuola: indicazioni a partire dalle evidenze della letteratura”, sulla base delle revisioni in letteratura, vengono riportati programmi realizzati nella scuola per la prevenzione e il controllo dell’obesità nei bambini. Tra essi il Comitato Tecnico OKkio della Salute 2012 ha messo in evidenza alcuni interventi che ricorrono più spesso come strumento di supporto e di indirizzo per la programmazione e la realizzazione di interventi di prevenzione dell’obesità nelle scuole, ovvero: KOPS (Kiel Obesity Prevention Study), CATCH (Coordinated Approach to Child Health), SPARK (Sports, Play and Active Recreation for Kids), APPLE Project (A Pilot Programme for Lifestyle and Exercise), Eat Well and Keep Moving.

Nel lavoro citato gli Autori sottolineano come, considerata la multidisciplinarietà connaturata agli interventi di prevenzione e promozione della salute, non sia facile definire criteri di efficacia semplici e universali in quanto spesso il cambiamento conseguente l’implementazione di un intervento non viene determinato solo dall’intervento stesso, ma dall’interazione tra intervento, natura dei soggetti coinvolti e circostanze (Leone L., 2007) (Dennis R., 2000).

Dall’analisi svolta, pur non potendo stabilire quale tipo di intervento sia il più efficace, è tuttavia possibile individuare quali sono le principali caratteristiche che qualificano tali interventi preventivi e che risultano strategiche per il raggiungimento di migliori risultati. Viene confermata la validità e l’importanza degli interventi di prevenzione dell’obesità realizzati nella scuola, e vengono indicati i tipi di azioni potenzialmente di maggiore efficacia:

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Interventi multicomponenti in particolare quelli che combinano azioni mirate sia all’attività fisica che all’alimentazione. Dalle evidenze raccolte emerge che gli interventi che si focalizzano soltanto su un ambito, ad esempio la sola promozione di un’alimentazione sana, o il solo incremento dell’attività fisica, o la sola riduzione del comportamento sedentario, sono meno efficaci.

Interventi intersettoriali con il coinvolgimento dei diversi settori della comunità ottengono risultati positivi, anche in contesti svantaggiati. Nonostante l’osservazione di un gradiente sociale rispetto all’efficacia degli interventi preventivi sono stati ottenuti risultati anche nelle scuole dove la presenza di studenti con livello socioeconomico basso o appartenenti a minoranze etniche è particolarmente rilevante. Durata prolungata degli interventi. Non ci sono solide evidenze di efficacia degli interventi che durano meno di sei mesi e i risultati positivi aumentano per gli interventi con un periodo di implementazione più lungo. Il coinvolgimento dei genitori influenza positivamente l’intervento influenzato anche dal loro livello socioculturale e dalle loro aspettative. Le evidenze confermano la centralità del ruolo della famiglia sulla prevenzione dell’obesità e l’effettiva partecipazione dei genitori alle azioni realizzate a scuola e rivolte ai propri figli, sia come condivisione dell’intervento nel contesto scolastico sia come prolungamento delle azioni preventive anche nel contesto familiare con la creazione di una struttura sociale di supporto (Dalla Ragione, 2007-2008) (Dalle Grave R., 2013), al fine di creare interventi coordinati e continuativi che coinvolgano in misura maggiore i principali luoghi della formazione identitaria la famiglia e la scuola (Dalla Ragione, 2007-2008).

Utilizzo di una teoria del comportamento di riferimento per l’intervento, in particolare socio-cognitiva, ne favorisce l’efficacia.

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Adattamento culturale degli interventi ha risultati positivi per i ragazzi di gruppi appartenenti a minoranze etniche.

L’introduzione nelle attività routinarie e all’interno dell’offerta formativa scolastica e una loro istituzionalizzazione come azioni da svolgere regolarmente contribuisce a rafforzarne l’efficacia.

I risultati ottenuti dai programmi scolastici analizzati, permettono di suggerire a chiunque sia interessato ad approfondire i temi della prevenzione, alcune considerazioni base, da cui partire per la realizzazione e l’ottimizzazione di nuovi programmi preventivi:

• Gli interventi dovrebbero maggiormente indirizzarsi verso la promozione della salute;

• Gli incontri devono essere inseriti facilmente nel contesto dell’orario scolastico con lezioni di durata non superiore ai 60 minuti e dovrebbero adottare una strategia informativa che utilizza il dialogo e le discussioni aperte;

• I conduttori dei programmi devono essere preparati adeguatamente ed in maniera esaustiva prima d’iniziare l’intervento;

• Il programma deve essere precedentemente redatto in dettaglio su un manuale per facilitarne il monitoraggio della fedeltà e la divulgazione;

• È consigliabile (per verifica dell’efficacia), usare un gruppo di controllo che non sia stato scelto nella scuola in cui è applicato l’intervento di prevenzione; • I programmi dovrebbero utilizzare misure di esito qualitative e quantitative

per valutare gli esiti primari e secondari che si desiderano raggiungere e anche la possibile comparsa di effetti negativi;

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• Gli interventi devono essere continui e prolungati, con un follow-up a medio e lungo termine (Dalle Grave R., 2013).

3.3 Prevenzione integrata per DCA e Obesità

Numerose evidenze scientifiche, negli ultimi anni, hanno dimostrato come Obesità e DCA abbiano in comune molti fattori di rischio, culturali e individuali (Smolak L. & Thompson J.K. 2009).

Su queste basi, attualmente vengono proposti, per la prevenzione di queste patologie, modelli integrati di intervento (Gruppo Regionale Tecnico Multidisciplinare sui DCA, 2013) che coinvolgono differenti professionalità (psichiatri, psicologi, dietisti, nutrizionisti, medici, pediatri e neuropsichiatri infantili, educatori...).

La conoscenza dei fattori di rischio, dei fattori concausali e dei meccanismi di mantenimento è fondamentale nella pianificazione di interventi di prevenzione efficaci.

Uno dei principali motivi per pensare a una prevenzione comune a DCA e obesità è rappresentato dall’abbandono di un modello medico orientato verso il problema a favore di un modello integrato orientato verso il benessere, che abbia come obiettivo quello di sviluppare comportamenti salutari invece che ridurre comportamenti patologici (Austin et al., 2007). Programmi preventivi per l’obesità e i DCA, specie in passato, davano spesso indicazioni incongrue tra loro, così che messaggi e interventi diretti a contrastare una patologia, come quelli riguardanti il controllo del peso e delle calorie ingerite o l’insoddisfazione corporea, rischiavano di favorire gli altri (Austin et al., 2007).

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I programmi di prima generazione avendo adottato un approccio educativo (didattico) che descriveva i DA e l’Obesità e i loro effetti dannosi hanno determinato un incremento della conoscenza ma non una modificazione delle attitudini e dei comportamenti, mentre quelli di seconda generazione, che hanno affrontato alcuni fattori di rischio empiricamente stabiliti usando un approccio didattico, hanno ridotto alcuni fattori di rischio ma non i sintomi dei DA. Gli interventi di ultima generazione consistono invece in un approccio integrato alla prevenzione dello spettro dei disturbi peso-correlati (Austin et al., 2007), con modalità interattive, per favorire comportamenti sani di regolazione del peso, una alimentazione adeguata e una attività fisica regolare.

Per sviluppare interventi preventivi di questo tipo è essenziale individuare fattori di rischio comuni su cui agire per ridurne l’impatto e promuovere comportamenti protettivi e più salutari. come i comportamenti alimentari di dieting e l’insoddisfazione corporea. Interventi diffusi tramite materiale multimediale, basati sulla gestione salutare del peso sono risultati promettenti nel prevenire DCA e obesità. Un programma integrato per DCA e obesità sembra inoltre essere più efficace quando è rivolto a soggetti appartenenti a categorie a rischio e coinvolge i genitori o altre figure di riferimento come gli insegnanti.

Le linee guida dell’American Academy of Pediatrics (Neville H. Golden et al., 2016) attraverso studi osservazionali hanno identificato tra i principali comportamenti associati sia all'obesità che ai DCA negli adolescenti: il dieting, il teasing e l’insoddisfazione corporea.

In base a questi dati e ad altre evidenze della letteratura programmi integrati di prevenzione dell’obesità e dei DCA devono mirare all’adozione di un’alimentazione

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sana, non connessa alla restrizione calorica, e alla riduzione dello stigma per l’obesità e dell’idealizzazione della magrezza.

AA. in particolare E. Stice e colleghi, hanno condotto numerosi studi (Carolyn B. Becker e Eric Stice, 2017) per mettere a fuoco la rilevanza dei diversi fattori di rischio e le migliori possibili strategie di prevenzione.

Le ricerche hanno indicato come la pressione socioculturale per la magrezza promuova l'interiorizzazione dell’ideale di magrezza, che a sua volta aumenta l'insoddisfazione corporea e l’adozione dei comportamenti alimentari disfunzionali per il controllo del peso. Questi, a loro volta, aumentano il rischio di insorgenza di sintomi di disturbi alimentari. Una delle principali implicazioni dei risultati di queste ricerche è che può essere fruttuoso focalizzare gli interventi sulla riduzione dell'internalizzazione dell’ideale di magrezza, che è alla base della cascata degli altri fattori di rischio, e che può essere più facile da modificare rispetto alla pressione socioculturale per la magrezza.

Tra i diversi interventi realizzati a seguito di queste evidenze è da ricordare il programma manualizzato denominato “Body Project” di E. Stice: si tratta di un approccio non didattico in cui le giovani donne sono impegnate in attività di gruppo con una serie di esercizi verbali, scritti e comportamentali volti a esplorare gli effetti negativi della ricerca dell’ideale di magrezza. Attraverso la conduzione di esperti in tecniche di discussione tra pari, basate sulla dissonanza cognitiva, è stata verificata per questo tipo di intervento la possibilità di ridurre l’interiorizzazione dell'ideale di magrezza, l'insoddisfazione corporea e il ricorso alla dieta come strumento incongruo di controllo del peso corporeo (Stice, Chase, Stormer e Appel, 2001; Stice, Mazotti, Weibel, & Agras, 2000; Stice, Trost e Chase, 2003). Con un altro trial, della durata di tre anni, l’applicazione del “Progetto corpo” si è dimostrata efficace nel ridurre

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comportamenti alimentari incongrui, discontrollo alimentare e minore incidenza dell'obesità nel campione studiato rispetto al gruppo di controllo (Stice et al., 2006).

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Capitolo 4

Il Progetto: “Dal banco alla tavola #ciboemozioni”

Il progetto di educazione alimentare: “Dal banco alla tavola #ciboemozioni”, nasce come argomento di tesi nell’ottica di sviluppo di un programma di promozione delle buone pratiche alimentari da utilizzare come forma di prevenzione per sovrappeso / obesità e Disturbi del Comportamento Alimentare. La realizzazione pratica di questo lavoro è stata resa possibile dalla collaborazione tra l’Associazione “La vita oltre lo specchio” Onlus e due istituti scolastici del comune di Pisa.

Il progetto viene sviluppato seguendo un piano di intervento a più livelli che, tramite lezioni frontali didattiche e laboratori sensoriali, coinvolge sia i ragazzi che gli insegnanti nell’approccio del tema dell’alimentazione caratterizzata da fattori biologici, psicologici (emotivi), edonistici e culturali.

Per verificare l’efficacia dell’intervento sono stati somministrati agli alunni dei questionari relativi ad abitudini alimentari, importanza dei “sensi” e delle emozioni nel rapporto con il cibo, riconoscimento della fame, informazioni e credenze diffuse dai Social.

4.1 Identificazione dei destinatari

Il progetto è stato rivolto agli alunni (età media 12-13 anni) delle classi seconde degli istituti coinvolti. Hanno partecipato al progetto 12 classi per un totale di 271 alunni. E’ stato scelto il passaggio dall'infanzia all'adolescenza quale fase evolutiva importante e delicata dello sviluppo psicofisico che presenta aspetti specifici e significativi nel percorso di crescita della persona. In questo periodo i giovani sono

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