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Analisi sperimentale e numerica di una caldaia di piccola taglia alimentata a biomassa

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Academic year: 2021

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(1)

Università di Pisa

Corso di Laurea in

Ingegneria Chimica

Tesi di laurea magistrale

Analisi sperimentale e numerica di una caldaia

di piccola taglia alimentata a biomassa

Candidato:

Dario Di Mitri

Relatori:

Prof.ssa Chiara Galletti Prof. Marco Antonelli Dott.ssa Federica Barontini

Controrelatore:

Prof.ssa Maurizia Seggiani

(2)

Sommario

La preoccupazione mondiale sul riscaldamento globale e sulla limitata disponibili-tà di combustibili fossili hanno aumentato l’uso della biomassa per la produzione di energia. La combustione di biomasse è ampiamente vista come una delle aree chiave nello sviluppo di energia sostenibile.

Le caldaie a biomassa a letto fisso sono opzioni diffuse per i piccoli sistemi; tut-tavia, l’efficienza di combustione e le emissioni inquinanti sono ancora questioni aperte per il loro design.

Gli avanzamenti tecnologici potrebbero trarre vantaggio dagli strumenti di calcolo (CFD) per la loro capacità di risolvere un gran numero di equazioni in geometrie complesse; tuttavia, a causa delle strette interazioni tra i processi di trasferimento di massa e di calore, essi hanno bisogno di convalida con dati sperimentali. Questo lavoro descrive un’attività di modellazione sperimentale e CFD congiunta volta a indagare la combustione di biomasse in una caldaia a letto fisso di piccola taglia situata presso il centro di ricerca del CRIBE (Centro Interuniversitario di Ricerca sulle Biomasse da Energia) a Pisa.

La caldaia a biomassa a letto fisso è stata dotata di un sistema di controllo e misurazione per eseguire misure di temperatura e composizione di gas sia sopra il letto di biomassa (in sei diverse posizioni) sia allo scarico della caldaia. Diver-se condizioni di funzionamento, cioè rapporto di equivalenza e rapporto di flusso d’aria primario e secondario, sono stati utilizzati per indagare il loro effetto sulle prestazioni del processo di combustione.

Le misure di cui sopra sono state utilizzate per sviluppare e convalidare un modello numerico della caldaia. In particolare, il modello CFD è stato basato su un model-lo di flusso reattivo turbolento monofase nella camera di combustione accoppiato ad un modello del letto di biomasse off-line.

Quest’ultimo è stato trattato prima come un reattore in cui la biomassa subisce evaporazione, devolatilizzazione e ossidazione del carbonio, Approccio comune-mente usato in letteratura. I prodotti rilasciati costituiscono le condizioni di in-gresso del modello CFD. La procedura è iterativa per tener conto del trasferimento radiativo tra il letto di biomassa e la camera di combustione.

Si è notato come il campo termochimico risultante fosse fortemente dipendente dal livello di turbolenza in ingresso, che deve quindi essere attentamente valutato. Tuttavia questo approccio è incapace di tener conto della variazione spaziale dei valori misurati, evidenti dalle prove sperimentali.

Quindi è stato suggerito di rappresentare il letto di biomassa con un mezzo poroso con sorgenti positive di alcune specie chimiche (V olatili, CO2, H2O) ed energia e

(3)

Tale modello risulta anche promettente se si incontrano discrepanze in alcune po-sizioni che possono essere ulteriormente indagate.

(4)

Indice

1 Biomasse 1

1.1 Definizione . . . 1

1.2 Situazione italiana . . . 2

1.3 Conversione energetica delle biomasse . . . 6

1.3.1 Processi di conversione termochimica . . . 7

1.3.2 Processi di conversione biologica . . . 7

1.4 Caratteristiche delle biomasse . . . 8

1.4.1 Caratteristiche chimiche . . . 8

1.4.2 Caratteristiche fisiche . . . 8

1.4.3 Caratteristiche energetiche . . . 9

1.5 Vantaggi nell’uso della biomassa legnosa . . . 10

1.6 Svantaggi nell’uso della biomassa legnosa . . . 11

2 Combustione delle biomasse 13 2.1 Meccanismo di combustione . . . 13

2.1.1 Pirolisi . . . 14

2.1.2 Ossidazione del char . . . 14

2.2 Inquinanti . . . 16 2.2.1 Incombusti . . . 16 2.2.2 Particolato . . . 16 2.2.3 Ossidi di Azoto . . . 18 2.3 Tecnologie di combustione . . . 19 2.3.1 A letto fisso . . . 20 2.3.2 A letto fluido . . . 21 2.3.3 A letto trascinato . . . 21

2.4 Sistemi small-scale: ruolo della CFD . . . 22

3 Campagna sperimentale 25 3.1 Caso studio . . . 25

3.2 Circuito . . . 26

3.3 Sistema di stoccaggio e alimentazione . . . 27

3.4 Caldaia . . . 29

3.5 Evaporatore . . . 31

3.6 Alimentazione aria primaria e secondaria . . . 32

3.7 Strumentazione . . . 33

3.7.1 Termocoppie esterne e flussimetri . . . 33

3.7.2 Termocoppie interne . . . 35

3.7.3 Sistema di campionamento . . . 36

(5)

3.8.1 Analisi immediata . . . 38

3.8.2 Analisi elementare . . . 39

3.8.3 Analisi calorimetrica . . . 40

3.8.4 Analisi granulometrica . . . 41

3.9 Risultati delle analisi . . . 43

4 Risultati sperimentali 45 4.1 Introduzione . . . 45

4.1.1 Premesse . . . 45

4.1.2 Schema delle prove effettuate . . . 46

4.2 Bilanci materiali . . . 47

4.3 Granulometria grossolana . . . 48

4.4 Granulometria media e fine . . . 53

5 Modello numerico 57 5.1 Introduzione . . . 57

5.2 Modello del letto di biomassa . . . 57

5.2.1 Vapor d’acqua . . . 59

5.2.2 Volatili . . . 59

5.2.3 Anidride carbonica . . . 60

5.3 Modello del freeboard . . . 60

5.3.1 Dominio e griglia di calcolo . . . 60

5.3.2 Modelli fisici . . . 62

5.3.3 Parametri del risolutore . . . 63

5.4 Modelli a rilascio uniforme . . . 63

5.4.1 Ingresso attraverso tubazione . . . 64

5.4.2 Ingresso attraverso piastra forata . . . 65

5.5 Modello a letto poroso reattivo . . . 67

5.5.1 Bilanci materiali . . . 68

5.5.2 Sorgenti interne . . . 70

5.5.3 Condizioni al contorno al modello . . . 71

6 Risultati 72 6.1 Modelli a rilascio uniforme . . . 72

6.1.1 Velocità . . . 72

6.1.2 Turbolenza . . . 74

6.1.3 Temperatura . . . 75

6.1.4 Specie chimiche . . . 75

6.2 Modello a letto poroso reattivo . . . 78

6.2.1 Velocità . . . 78

(6)

6.2.3 Temperatura . . . 82

6.2.4 Specie chimiche . . . 85

6.3 Confronto tra i modelli . . . 88

6.4 Confronto con i dati sperimentali . . . 89

7 Conclusioni 92 7.1 Sviluppi futuri . . . 93

(7)

Elenco delle figure

1.1 Fonte: ENEA 2012 . . . 3

1.2 Fonte: Eurostat 2012 . . . 4

1.3 Fonte: ENEA 2012 . . . 5

1.4 Fonte: ENEA 2012 . . . 5

1.5 Metodi di conversione della biomassa vegetale . . . 6

2.1 Tecnologie di letto di caldaia . . . 19

3.1 Circuito impianto combustione biomassa . . . 26

3.2 Sistema di stoccaggio e alimentazione . . . 28

3.3 Caldaia CRIBE . . . 30

3.4 Evaporatore Kettle dell’impianto . . . 31

3.5 Ingressi aria secondaria nella caldaia . . . 32

3.6 Valvole a sfera per la regolazione dell’aria in ingresso . . . 32

3.7 Schema generale della strumentazione della caldaia . . . 33

3.8 Strumentazione esterna della caldaia CRIBE . . . 34

3.9 Strumentazione interna della caldaia CRIBE . . . 35

3.10 Sistema di campionamento gas in uscita . . . 36

3.11 Sistema campionamento volatili sul braciere . . . 37

3.12 Esempio di curva ottenuta da analisi immediata . . . 39

3.13 Prova granulometrica sul pioppo da granulometria grossolana . . . . 42

3.14 Diametri mediani delle tre granulometrie . . . 44

4.1 Schema generale delle prove sperimentali . . . 46

4.2 Andamenti rendimento ed eccesso d’aria, Granulometria grossolana 48 4.3 Temperatura fumi in uscita . . . 50

4.4 Andamenti composizioni dei fumi in uscita . . . 51

4.5 Andamenti temperature sul letto . . . 52

4.6 Andamenti rendimento ed eccesso d’aria granulometria media e fine 53 4.7 Temperatura fumi in uscita . . . 54

4.8 Andamenti composizioni dei fumi in uscita . . . 55

4.9 Andamento temperature a mtot = 0, 19 kg/s . . . . 56

5.1 Schema semplificato del letto fisso . . . 58

5.2 Dominio e griglia . . . 61

5.3 Dominio e griglia del letto . . . 67

6.1 Andamento della velocità nei modelli a rilascio uniforme a λ = 0 . . 73

6.2 Orientamento dei vettori di velocità nei modelli a rilascio uniforme a λ = 0 . . . . 74

6.3 Andamento dell’intensità di turbolenza nei modelli a rilascio uni-forme a λ = 0 . . . . 75

6.4 Andamento della temperatura nei modelli a rilascio uniforme a λ = 0 76 6.5 Andamento dell’O2 nei modelli a rilascio uniforme a λ = 0 . . . . . 76

(8)

6.6 Andamento della CO2 nei modelli a rilascio uniforme a λ = 0 . . . . 77

6.7 Andamento della CO nei modelli a rilascio uniforme a λ = 0 . . . . 77

6.8 Vettori e streamlines della velocità per λ = 0 . . . . 78

6.9 Vettori e streamlines della velocità per λ = 0, 6 . . . . 79

6.10 Vettori e streamlines della velocità per λ = 0, 8 . . . . 79

6.11 Vettori e streamlines della velocità per λ = 1 . . . . 80

6.12 Andamento dell’intensità di turbolenza e dettaglio del mezzo poroso per λ = 0 . . . 80

6.13 Andamento dell’intensità di turbolenza per λ = 0, 6 . . . . 81

6.14 Andamento dell’intensità di turbolenza per λ = 0, 8 . . . . 81

6.15 Andamento dell’intensità di turbolenza per λ = 1 . . . . 82

6.16 Andamento della temperatura sulla sezione della caldaia al variare di λ . . . 83

6.17 Andamento della temperatura sulla superficie di ingresso volatili al variare di λ . . . . 84

6.18 Andamento della concentrazione di O2 al variare di λ . . . . 85

6.19 Andamento della concentrazione di CO2 al variare di λ . . . . 86

6.20 Andamento della concentrazione di CO al variare di λ . . . . 86

6.21 Andamento della concentrazione di O2 sulla superficie del letto al variare di λ . . . . 87

6.22 Confronto andamenti delle temperature per λ = 0 . . . . 88

6.23 Confronto tra modello e realtà negli andamenti delle temperature al variare di λ sul braciere . . . . 90

6.24 Confronto tra modello e realtà negli andamenti delle temperature e delle specie al variare di λ in uscita dal freeboard . . . . 91

(9)

Elenco delle tabelle

3.1 Analisi delle tre granulometrie di pioppo . . . 43 5.1 Condizioni al contorno per modello con ingresso attraverso

tubazio-ne uniforme . . . 65 5.2 Condizioni al contorno per modello con ingresso attraverso piastra

forata . . . 66 5.3 Set di prove scelte nel modello . . . 68 5.4 Frazioni massiche prodotti di devolatilizzazione in ogni prova

mo-dellata . . . 69 5.5 Sorgenti nel mezzo poroso . . . 71 5.6 Condizioni al contorno per modello monofase turbolento reattivo . . 71

(10)

1

Biomasse

1.1

Definizione

L’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili sta diventando sempre più necessario se vogliamo raggiungere le modifiche necessarie per affrontare gli impatti del ri-scaldamento globale.

La biomassa è la forma più comune di energia rinnovabile, ampiamente utilizzata nel terzo mondo, ma fino a poco tempo fa, meno nel mondo occidentale.

Attualmente, molta attenzione è stata incentrata sull’individuazione di idonee spe-cie di biomasse, che possono fornire risultati ad alta energia per sostituire le fonti energetiche convenzionali di combustibili fossili.

Il tipo di biomassa richiesta è largamente determinato dal processo di conversione dell’energia e dalla forma in cui è richiesta l’energia [1].

La biomassa rappresenta sicuramente la più antica e durevole forma di energia impiegata nelle attività umane.

La sua recente riscoperta potrebbe segnare un effettivo passo avanti verso una sempre più marcata diversificazione delle fonti energetiche disponibili, oltre che un’auspicata minore dipendenza dai combustibili fossili, con ripercussioni positive su ambiente, società ed economia.

Ai sensi della legislazione europea e nazionale (Direttiva 2001/77/CE e D.Lgs. 387/2003) con il termine biomassa si intende: “ la frazione biodegradabile dei pro-dotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (compren-dente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani ”. Con il termine biomassa ci si riferisce quindi genericamente a tutto ciò che ha ma-trice organica, ogni tipo di materiale che origina dagli organismi viventi derivante direttamente o indirettamente dall’attività fotosintetica delle piante.

La biomassa è una fonte rinnovabile che presenta un utilizzo già efficiente come combustibile per generare energia.

Essa è legata comunque alla disponibilità di materia prima, che può essere ottenuta da rifiuti organici di origine urbana, agroindustriale o forestale oppure da apposite coltivazioni.

La brevità del periodo di ripristino fa sì che le biomasse rientrino tra le fonti di energia rinnovabili, in quanto il tempo di sfruttamento della sostanza è paragona-bile a quello di rigenerazione.

Le biomasse sono una fonte rinnovabile perché l’anidride carbonica (CO2) emessa

nel processo energetico è la stessa che la pianta ha fissato tramite la fotosintesi clorofilliana.

(11)

1.2

Situazione italiana

La biomassa è da sempre una principale fonte di energia per l’umanità e at-tualmente è stimata a contribuire all’ordine del 10-14% dell’approvvigionamento energetico mondiale.

Negli ultimi 10 anni, è stato rinnovata l’interesse, in tutto il mondo, nella biomassa come fonte di energia.

Ci sono diversi motivi per questo interesse:

• gli sviluppi tecnologici relativi alla trasformazione, alla produzione di col-ture ecc. Promettono l’applicazione della biomassa a costi inferiori e con un’efficienza di conversione più elevata di quanto non fosse stato possibile in precedenza.

• il settore agricolo dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, che sta produ-cendo surplus alimentari. Questa situazione ha portato ad una politica in cui il terreno è messo da parte per ridurre le eccedenze. Ciò rende desiderabile l’introduzione di colture alternative non alimentari.

• la minaccia potenziale causata dai cambiamenti climatici, a causa di elevati livelli di emissioni di gas a effetto serra (CO2 più importante), è

diventa-ta uno stimolo impordiventa-tante per le fonti energetiche rinnovabili in generale. Quando viene prodotta con mezzi sostenibili, la biomassa emette circa la stessa quantità di carbonio durante la conversione, come avviene durante la crescita vegetale. L’uso della biomassa, pertanto, non contribuisce alla formazione di CO2 nell’atmosfera [1].

Prendendo spunto dalle direttive europee, in Italia, anni fa, si sono fissati degli obiettivi nel territorio nazionale per lo sviluppo dell’energia derivante da biomasse. L’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo econo-mico sostenibile) ha fissato al 2020 il tetto che si vuole raggiungere nella produzione di energia da biomassa per i maggiori utilizzi di energia (elettrico, termico e dei trasporti).

(12)

Nella seguente figura 1.1 si mostrano gli obiettivi fissati dall’ENEA [2].

Figura 1.1: Fonte: ENEA 2012

Le biomasse permettono oggi un risparmio rilevante di combustibili fossili sia nei Paesi industrializzati, sia in quelli emergenti o a basso sviluppo tecnologico. Il potenziale delle biomasse tecnicamente utilizzabile a livello mondiale è poco più di 2000 Mtep/anno.

Fra i fattori determinanti per le previsioni sulla bioenergia vi è certamente la quan-tità di territorio potenzialmente interessata alla produzione di biomassa sia sotto forma di residui e sottoprodotti sia di coltivazioni dedicate.

Per quanto riguarda la potenziale diffusione delle coltivazioni dedicate alla produ-zione di biomassa, i fattori da considerare sono numerosi (strutturali, geografici, economici, sociali, ecc) e di non facile interpretazione.

Per quel che riguarda l’uso della biomassa vegetale a scopo energetico, in realtà il consumo è fortemente disomogeneo a livello geografico e regionale, in quanto strettamente correlato alla morfologia e al clima del territorio.

La legna rappresenta il 98,5% della quantità complessiva di biomassa vegetale consumata, mentre carbonella, gusci di noci, nocciole e mandorle e sansa costi-tuiscono un’esigua percentuale dei consumi e le ultime due tipologie hanno un carattere prettamente locale, cioè si consumano dove esistono le relative attività produttive.

Il potenziale globale, certamente elevato, con opportuni investimenti potrebbe cre-scere ulteriormente, fino a fornire una quota di copertura dei consumi nazionali di energia primaria pari almeno al 15%.

(13)

Dallo studio dell’Eurostat del 2012, mostrato in figura 1.2 sul consumo inter-no lordo italiainter-no di energie si può vedere come si utilizziinter-no ancora tantissimo i combustibili fossili e di come solo il 10% dell’energia nazionale proviene da fonti rinnovabili e di queste solo il 4,4% proviene da biomassa.

(14)

La situazione italiana, però, dal punto di vista erbaceeo e arboreo è molto florente, anche se poco e male sfruttato. Attualmente il 16% delle colture totali (erbacee e arboree) sono poi convertite a biomasse.

Nelle figure 1.3 e 1.4 sono mostrate le distribuzioni erbacee e arboree sul territorio nazionale dallo studio ENEA 2012 [2].

Figura 1.3: Fonte: ENEA 2012

(15)

1.3

Conversione energetica delle biomasse

La conversione della biomassa in energia (chiamata anche bioenergia) comprende un’ampia gamma di tipi e fonti di biomasse, opzioni di conversione, applicazioni di utilizzo finale e requisiti di infrastruttura.

Per poter recuperare l’energia del legame chimico presente nelle biomasse vegetali sono possibili differenti conversioni energetiche.

I fattori che influenzano la scelta del processo di conversione sono: il tipo e la quantità di materia prima di biomassa; la forma desiderata dell’energia, cioè i requisiti di utilizzo finale; standard ambientali; condizioni economiche; e fattori specifici del progetto.

Solamente alcune di queste sono già applicabili a livello industriale, e non tutte risultano economicamente convenienti rispetto all’utilizzo dei combustibili fossili [3].

(16)

1.3.1 Processi di conversione termochimica

Il calore prodotto può essere convertito in energia elettrica: il rapporto C /N deve essere superiore a 30 e l’umidità alla raccolta inferiore al 30%.

• combustione diretta: è il più semplice dei processi termochimici e consiste nell’ossidazione completa del combustibile a H2O e CO2 in presenza di aria.

Attuata, in generale, in apparecchiature (caldaie) in cui avviene anche lo scambio di calore tra i gas di combustione ed i fluidi di processo (acqua, olio diatermico, etc.). La combustione di prodotti e residui agricoli si attua con buoni rendimenti, se si utilizzano come combustibili sostanze ricche di glucidi strutturati (cellulosa e lignina) e con contenuti di acqua inferiori al 30%. Ad oggi tale processo costituisce la via principale verso la bioenergia. • gassificazione: processo in cui materiale ligno-cellusoico è

termochimicamen-te convertito in un gas a basso o medio potermochimicamen-tere calorifico inferiore, tramitermochimicamen-te la vaporizzazione dei componenti più volatili (gas di idrocarburi, idrogeno ecc.). Esso è il processo termochimico per cui la biomassa viene trasformata in un gas combustibile (detto syngas), sotto l’azione del calore ed in atmosfera controllata. Virtualmente qualsiasi tipo di biomassa può essere trasformata in un mix di gas, che può essere bruciato per alimentare un ciclo a vapore. • pirolisi: decomposizione di materiali organici, per mezzo di calore (tra 400◦C

e 800◦C) e in completa assenza di ossigeno. I prodotti sono sia gassosi, sia liquidi.

1.3.2 Processi di conversione biologica

Processi di fermentazione con il contributo di enzimi, funghi e micro-organismi. • digestione aerobica: metabolizzazione delle sostanze organiche per opera di

micro-organismi, il cui sviluppo è condizionato dalla presenza di ossigeno. • digestione anaerobica: avviene in assenza di ossigeno e consiste nella

demo-lizione, ad opera di micro-organismi, di sostanze organiche complesse con-tenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale, producendo gas (biogas).

• fermentazione alcolica: avviene per mezzo della presenza di lieviti in condi-zioni di ambiente privo di ossigeno.

(17)

1.4

Caratteristiche delle biomasse

1.4.1 Caratteristiche chimiche

Le biomasse legnose possono essere considerate dal punto di vista energetico come energia dal sole trasformata, attraverso il processo di fotosintesi, in energia chi-mica e stoccata all’interno delle piante sottoforma di molecole complesse ad alto contenuto energetico.

I principali componenti contenuti nelle biomasse forestali sono:

• la cellulosa: è la principale componente del legno, conferisce al legno resi-stenza, essendo particolarmente resistente agli agenti chimici.

• l’emicellulosa: presente in percentuali variabili.

Si trova nella parete cellulare delle piante e negli spazi lasciati liberi dalla cellulosa.

Come la cellulosa è insolubile in acqua, ma contrariamente a quest’ultima è solubile in soluzione acquosa alcalina.

• la lignina: è il componente che differenzia il legno dagli altri materiali vege-tali. Presente in percentuali che variano, conferisce rigidità alla pianta. Una frazione importante del legno è costituita dai composti inorganici (sali di calcio, magnesio, sodio, potassio, silicio, ecc) che solitamente si ritrovano, a com-bustione avvenuta, nelle ceneri.

La percentuale dei composti inorganici varia in funzione di diversi fattori, quali la tipologia di terreno, la specie arborea, l’organo della pianta.

Sebbene ci siano variazioni tra le diverse tipologie, il legno può considerarsi com-posto quasi interamente da tre elementi: carbonio (49 - 51%), ossigeno (41 - 45%), idrogeno (5 - 7%).

A differenza di altri combustibili, quali il carbone e il petrolio, esso contiene rela-tivamente basse quantità d’azoto, tracce di zolfo e di altri elementi minerali che vanno a costituire le ceneri (0,5 - 1,5%).

I rapporti percentuali tra i principali elementi influiscono in maniera determinante sulla qualità del legno come combustibile: alti contenuti di carbonio e idrogeno determinano un maggiore potere calorifico, mentre elevate presenze di ossigeno, azoto e ceneri danno luogo ad un effetto opposto.

1.4.2 Caratteristiche fisiche

Le caratteristiche fisiche del legno che incidono in maniera significativa sui processi di conversione energetica sono:

(18)

• l’umidità: che modifica i meccanismi di combustione.

La quantità d’acqua presente nel legno è estremamente variabile potendo assumere differenti valori in funzione della specie, dell’età, della parte della pianta considerata, della stagione e del luogo di provenienza.

In genere si ritrovano valori più bassi di umidità nelle latifoglie rispetto alle conifere, nelle parti basse rispetto alle parti alte, in estate rispetto all’inverno. L’umidità esprime la quantità di acqua presente nel legno; essa viene espressa in percentuale con riferimento al peso secco, ovvero al peso fresco.

• la densità: rappresenta sicuramente il più semplice e diretto indicatore di qualità del combustibile legno.

In effetti, il potere calorifico è direttamente proporzionale ad essa e la densità è espressa come rapporto tra la massa ed il volume entro cui è contenuta, e si misura in kg/m3.

• massa volumica sterica: impiegata per gli ammassi dei combustibili legnosi tal quali (legna da ardere, cippato e pellet) che presentano al loro interno spazi vuoti più o meno grandi in funzione della pezzatura e della forma.

1.4.3 Caratteristiche energetiche

Il valore combustibile di un vettore energetico può essere efficacemente rappresen-tato dal potere calorifico.

Esso è definito come la quantità di calore prodotta dalla combustione completa di un’unità di peso di un materiale energetico. In genere si usa esprimere tale valore in kcal/kg oppure in kJ/kg.

Il potere calorifico o calore di combustione quindi esprime la quantità massima di calore che si può ricavare dalla combustione completa di 1 kg di sostanza combu-stibile (o 1 m3 di gas) a 0C e 1 atm.

Il contenuto energetico può essere anche espresso in relazione al volume, come

kcal/l nel caso di combustibili liquidi, o come kcal/m3 se si stanno considerando combustibili solidi. Dalla conoscenza del peso specifico si può facilmente risalire al potere calorifico [4].

Convenzionalmente si definisce potere calorifico inferiore (oppure indicato con LHV Lower Heating Value) il potere calorifico superiore diminuito del calore di conden-sazione del vapore d’acqua durante la combustione.

Questo è il valore a cui si fa usualmente riferimento quando si parla di potere calorifico di un combustibile e di rendimento di una macchina termica.

Una comparazione tra il valore di riscaldamento del legno e quello di altri combusti-bili non può basarsi, ovviamente, sul solo potere calorifico, ma deve evidentemente tener conto anche dell’efficienza di combustione, la quale è una misura della quan-tità di energia prodotta rispetto a quella consumata.

(19)

Il potere calorifico delle biomasse legnose può variare in funzione di tipo di essenza, tipologia del legname, stato di conservazione, umidità presente nella biomassa.

1.5

Vantaggi nell’uso della biomassa legnosa

La biomassa rappresenta un immenso giacimento energetico, potenzialmente in grado di sostituire i tradizionali combustibili fossili, presentando inoltre svaria-ti vantaggi. La biomassa è una fonte energesvaria-tica rinnovabile, pertanto se gessvaria-tita correttamente, adottando una politica basata su uno sfruttamento sostenibile e mirando comunque ad una valorizzazione del patrimonio boschivo esistente, non è destinata all’esaurimento; difatti le piante, dopo il taglio, si rinnovano.

Inoltre comporta un ridotto impatto ambientale, che la rende perfettamente in linea con gli obiettivi prefissati dall’Accordo di Parigi, volti alla riduzione delle emissioni di gas serra, in particolare della CO2. Infatti, le piante sono dotate della

capacità di immagazzinare ingenti quantitativi di CO2, fissandoli nelle loro fibre

durante la crescita.

Quando il legno è sottoposto a combustione, restituisce in atmosfera la quantità di anidride carbonica che aveva, nel corso della propria vita, fissato: questa stessa quantità potrà essere assimilata, a sua volta, da altri organismi vegetali.

Perciò il bilancio dell’anidride carbonica, a differenza di quanto avviene per i com-bustibili fossili, è di perfetto pareggio. Essendo una risorsa ampiamente disponibi-le, di facile reperibilità e diffusa in modo abbastanza omogeneo su tutto il Pianeta, impiegata a livello locale, permetterebbe l’approvvigionamento di molte persone attualmente ancora sprovviste di energia elettrica.

Per i Paesi industrializzati, quali l’Italia, la biomassa potrebbe rappresentare un passo decisivo verso l’ampliamento del mix di fonti energetiche disponibili e so-prattutto verso una minore dipendenza dai principali produttori di idrocarburi. Con l’avvento e il perfezionamento di tecnologie innovative, quali le caldaie auto-matiche, si possono conseguire elevati rendimenti di combustione, fino all’80 - 90%, inoltre alcuni processi recentemente brevettati consentono la sua trasformazione in combustibili gassosi (syngas e biogas), e liquidi (biofuels) a ridotto impatto am-bientale. Offre inoltre la possibilità di essere impiegata in tecnologie e soluzioni impiantistiche ormai consolidate, analoghe a quelle predisposte per i combustibili fossili, non implicando pertanto eccessivi costi di riconversione, adattamento o ri-configurazione.

Le emissioni inquinanti ascrivibili alla conversione energetica della biomassa sono nettamente al di sotto dei valori comunemente registrati impiegando combustibili fossili. In particolare, la combustione di biomassa produce SOx in quantità

tra-scurabili e, mediante l’impiego di moderne tecnologie, il quantitativo di CO può essere contenuto e la produzione di polveri risultare inferiore.

(20)

energe-tiche: il prezzo della caloria prodotta a partire dal combustibile legno, in una qualsiasi delle sue forme (legna da ardere, cippato, pellet) è inferiore rispetto a quello relativo alle tradizionali fonti fossili. Ciò è dovuto al fatto che la biomassa attualmente non rappresenta ancora una risorsa strategica, e soprattutto in quan-to essa è esente da imposte, contrariamente a quanquan-to avviene per i combustibili fossili.

Il rafforzarsi dell’impiego di biomassa legnosa a fini energetici può inoltre garantire benefici economici, sociali ed ambientali alle comunità in cui sia possibile impian-tare una filiera per lo sfruttamento razionale del legname.

Gli interventi migliorativi volti allo sfruttamento sostenibile del patrimonio bo-schivo garantiscono una buona qualità dei boschi, preservandoli dall’abbandono e quindi dal degrado, prevenendo il dissesto idrogeologico, le frane e gli incen-di e proteggendo l’habitat della fauna selvatica, aiutandone la sopravvivenza e il ripopolamento.

1.6

Svantaggi nell’uso della biomassa legnosa

I motivi che ostacolano la diffusione dell’impiego della biomassa legnosa a fini energetici sono vari.

Uno di questi è l’assenza di una precisa programmazione, di una strategia nazio-nale e di un piano operativo di settore. Questo comporta difficoltà nelle procedure di autorizzazione, spesso troppo lente e complicate.

È da citare anche l’inadeguatezza degli strumenti di mercato che non sono anco-ra in ganco-rado di incentivare l’interesse dell’opinione pubblica verso un investimento economico in un progetto di energia da biomasse, condizione necessaria alla costi-tuzione di una domanda di combustibile sufficientemente ampia.

Per quanto riguarda le limitazioni fisiche, la biomassa è caratterizzata da una bas-sa densità energetica per cui, a parità di energia prodotta, implica un maggiore ingombro e peso, se confrontata ai tradizionali combustibili fossili.

Questo si traduce in un maggiore impegno di mezzi di trasporto e in una più onerosa movimentazione. Per non compromettere i benefici conseguenti al basso costo della materia prima, è necessario contenere il consumo di gasolio che risul-ta proporzionale alla disrisul-tanza percorsa. Sarebbe opportuno minimizzare anche il consumo dei mezzi di produzione, necessari all’abbattimento, alla spaccatura e alla sminuzzatura, proporzionale alla quantità di legname da trattare e al regime di produttività desiderato.

Affinché un impianto a biomassa si riveli vantaggioso dal punto di vista economico ed ambientale sarebbe necessario minimizzare la distanza tra il punto di approv-vigionamento e l’impianto: infatti vengono promosse le filiere corte e quindi locali del cippato. Le migliori condizioni economiche si hanno perciò nel momento in cui la biomassa sia prodotta e sfruttata a livello locale, meglio ancora qualora si

(21)

riscontri la presenza abbondante e continua, oltre che di legname, anche di scarti di origine agroindustriale.

Un altro aspetto significativo è dato dal costo d’investimento iniziale dell’impianto che non è certo trascurabile. All’inferiore costo del combustibile si contrappone il più elevato costo delle caldaie e in genere delle tecnologie.

Questo fatto è imputabile alle caratteristiche chimico-fisiche della biomassa: una miscela che racchiude varie essenze legnose di diversa pezzatura e tipologia e dal grado di umidità non omogeneo.

Il risparmio economico, conseguito durante l’intera vita dell’impianto, dovuto al minor costo del combustibile, è comunque in grado di controbilanciare e ripagare abbondantemente maggiori costi di acquisto, d’installazione relativi ad una cen-trale a biomasse. Il tempo di ritorno dell’investimento, a seconda della tecnologia adottata della scala dell’intervento (riscaldamento, collettivo e teleriscaldamento) e del livello di consumo, è normalmente fissato a 15 anni, per cui il guadagno economico nel riscaldamento a biomasse è garantito, anche se non immediato.

(22)

2

Combustione delle biomasse

2.1

Meccanismo di combustione

L’energia proveniente dai combustibili fossili costa di più rispetto alla stessa quantità di energia prodotta dalla conversione della biomassa. La biomassa non solo ha un considerevole potenziale energetico come fonte di combustibile, ma mo-stra anche un livello di costo ragionevole rispetto ad altre energie rinnovabili [5]. La combustione delle biomasse è un complesso processo che prevede una serie di reazioni chimiche il cui risultato finale è l’ossidazione del carbone a CO2 e

dell’i-drogeno ad acqua.

In condizioni di carenza di ossigeno, la combustione risulta incompleta ed accan-to ad idrocarburi incombusti si ha la formazione di composti tipici, quali CO, composti organici volatili (COV ), idrocarburi poliaromatici (IP A), particolato carbonioso (soot), ecc.

D’altro lato una combustione in eccesso d’aria, comporta temperature meno ele-vate.

I prodotti di combustione e le condizioni operative dipendono anche fortemente dalle proprietà specifiche delle biomasse, molto variabili a seconda dell’origine. Quando una biomassa viene gradualmente scaldata ad elevata temperatura, dopo una prima fase di essiccamento, rilascia una serie di composti volatili [6].

Queste specie si formano a causa di trasformazioni chimiche che avvengono al-l’interno della struttura della biomassa con la rottura di legami chimici presenti. Questa è la fase di devolatilizzazione o pirolisi.

I gas rilasciati incontrano quindi l’ossigeno dell’ambiente circostante e la combu-stione avviene, almeno inizialmente, in fase gassosa.

Contestualmente durante le trasformazioni chimiche della biomassa, si ha la for-mazione di un residuo carbonioso estremamente deidrogenato, usualmente definito char.

Il char non è più in grado di rilasciare composti volatili, ma il suo consumo avviene per ossidazione eterogenea prodotta dall’ossigeno che diffondendo all’interno della matrice porosa della biomassa reagisce con il carbonio residuo.

(23)

Questa ossidazione eterogenea risulta favorita dalla prima fase di volatilizza-zione, in quanto il rilascio dei gas incrementa la porosità del sistema e aumenta contestualmente la superficie per unità di volume migliorando in tal modo lo scam-bio tra gas e solido [7].

Riassumendo i passi tipici della combustione della biomassa risultano: • riscaldamento del solido

• essiccamento

• pirolisi con rilascio di composti volatili • combustione primaria in fase gas

• combustione secondaria eterogenea gas-solido

Da questa prima sommaria descrizione, risulta evidente come le problematiche e i fenomeni connessi alla combustione delle biomasse siano estremamente complessi. Tali aspetti risultano ancora più complicati se si considera la presenza di com-posti inorganici che finiscono per modificare la struttura stessa della biomassa ed interagire anche con le reazioni chimiche di degrado.

2.1.1 Pirolisi

Una particella di biomassa, riscaldata ad elevata temperatura, attiva un pro-cesso di reazioni, per lo più di tipo radicalico, che porta alla rottura di legami carbonio-carbonio o carbonio-ossigeno.

Da queste reazioni pirolitiche si formano molecole più piccole che possono costi-tuire la fase gassosa o il cosiddetto tar.

Per tar si intendono quelle specie idrocarburiche che, allo stato gassoso alla tempe-ratura del processo, tendono a condensare e passare in fase liquida alla tempetempe-ratura dell’ambiente circostante.

I prodotti leggeri gassosi rilasciati, in presenza di ossigeno, si ossidano formando una tipica fiamma diffusiva.

Contemporaneamente al rilascio di volatili, in fase solida (o meglio in quella fase solida/liquida detta metaplasto) si ha la formazione di composti aromatici sempre più policondensati e deidrogenati che portano alla progressiva formazione di char.

2.1.2 Ossidazione del char

Il char é molto poroso e in queste condizioni l’ossigeno diffonde facilmente nelle particelle.

La parte che brucia dipende sia dalle caratteristiche chimiche della reazione carbo-nio - ossigeno sulla superficie, sia dalla diffusione dell’ossigeno attraverso lo strato

(24)

limite e dentro la particella.

Inizialmente le prime reazioni portano alla formazione di una miscela di CO e

CO2.

Tipicamente le reazioni superficiali innalzano di 100◦C e 200◦C le temperature interne alla particella.

Le caratteristiche del processo dipendono dalla quantità di ossigeno, dalla tempe-ratura del gas, dalle dimensioni della particella e dalla sua porosità.

Di seguito si elencano le principali reazioni chimiche che avvengono nella zona di combustione: • C + 1 2O2 −−→ CO • C + O2 −−→ CO2 • C + CO2 −−→ 2 CO • C + H2O −−→ CO + H2 • C + 2 H2 −−→ CH4

Le prime due reazioni di combustione sono molto più veloci delle altre, le quali acquistano importanza solo quando si è in carenza di ossigeno (gassificazione).

(25)

2.2

Inquinanti

L’esigenza di produrre energia dalla combustione di biomasse nasce da due con-siderazioni principali.

Da un lato la necessità di nuove fonti energetiche rinnovabili per contribuire a so-stenere uno sviluppo mondiale che incrementa quotidianamente la richiesta ener-getica. Dall’altro un controllo delle emissioni di gas serra e in particolare di CO2.

Accanto a questi elementi positivi, occorre sottolineare come la combustione delle biomasse possa creare diversi problemi ambientali, soprattutto in impianti non ben progettati e controllati, come già parzialmente si è potuto dedurre dalla complessa composizione di queste sostanze.

Qui di seguito vengono discussi alcuni elementi essenziali riguardanti i principali inquinanti generati dalla combustione di biomasse.

2.2.1 Incombusti

Le condizioni ottimali per una completa combustione risiedono nelle cosiddette tre t (TTT): Temperatura (elevata), Tempo (lungo) e Turbolenza (efficace mesco-lamento).

I tempi caratteristici (dell’ordine del secondo) e le temperature possono essere ab-bastanza semplicemente raggiunti.

La temperatura pur non elevata come quella normalmente riscontrabile nella com-bustione di altri idrocarburi (a causa del minore potere calorifico delle biomasse, condizionato come abbiamo visto da una elevata quantità di ossigeno nella strut-tura, dall’umidità e dalla presenza di ceneri inorganiche) è comunque tipicamente superiore alle esigenze legate all’incompleta combustione (intorno ai 1000◦C). Il problema maggiore è legato a un efficace mescolamento tra l’aria e le parti solide. I reattori a letto fluido, in questo contesto, sono ovviamente preferibili ai letti fissi. Un’ulteriore attenzione va posta alla presenza di ceneri volanti inorganiche, le quali possono adsorbire composti idrocarburici formatisi nella fase di pirolisi e trasportarli nei fumi inibendo in tal modo la loro ossidazione.

2.2.2 Particolato

La combustione di biomasse produce elevate emissioni di particolato, anche al di sopra di 50 mg/m3 (11% volume di O

2) [8]. Le particelle emesse sono di tipo

primario ultrafine e iperfine, quindi ben al di sotto dei classici 10 µm (P M 10). Due sono le sorgenti alla base di questa formazione. Da un lato c’è la fuliggine, che si origina a causa del processo tipicamente diffusivo della fiamma. Nell’in-torno della particella, durante il periodo di volatilizzazione si ha una zona ricca in idrocarburi in prossimità della fiamma. Questi idrocarburi, in particolare i co-stituenti del tar, possono avere strutture aromatiche precorritrici della fuliggine.

(26)

L’elevata temperatura favorisce reazioni di pirolisi secondaria in fase gas con la deidrogenazione e policondensazione verso la nucleazione di particelle solide. Una volta formatisi questi nuclei non sono facilmente ossidabili e possono attraversare il fronte di fiamma, inoltre possono coalescere con altre particelle inorganiche. Dall’altro lato il contributo più elevato alla formazione di particelle è quello legato alle ceneri. Come abbiamo visto in precedenza, le biomasse hanno contenuti signi-ficativi di composti inorganici che possono formare particelle solide.

Il particolato composto dalle ceneri volanti può essere suddiviso in due parti: • grossolano (d > 1µm), contenente soprattutto Ca, Mg, Si, K e Al.

• fine (d < 1µm), la cui composizione è molto variabile a seconda della bio-massa di partenza.

Nel caso di particelle di legno gli elementi rilasciati dal combustibile e responsabili della formazione del particolato sono primariamente K, S, e Cl.

Questi nucleano in fase gas e su questa particella originaria si hanno reazioni di condensazione superficiale.

(27)

2.2.3 Ossidi di Azoto

Nel caso della combustione di biomasse, la formazione di ossidi di azoto (N Ox)

avviene prevalentemente attraverso l’ossidazione dell’azoto direttamente legato al combustibile, dato l’elevato contenuto di azoto, che come abbiamo visto può essere dell’ordine di 1-2% in peso.

Di relativamente minore importanza sono i meccanismi classici quali quello ter-mico (dovuto all’interazione tra azoto atmosferico e ossigeno) o quello cosiddetto prompt (veicolato dalla interazione tra idrocarburi e azoto atmosferico), in quan-to entrambi richiedono temperature relativamente elevate 1200◦C - 1300◦C, non sempre raggiungibili nel caso delle biomasse.

L’azoto contenuto nelle biomasse è chimicamente legato alla porzione organica, anche se tracce di azoto inorganico in forma di ioni ammonio sono state osservate. Generalmente, al fine di predire la formazione di N Ox, l’azoto legato al

combusti-bile viene ricondotto ad ammoniaca, acido cianidrico o cianuro di metile [9]. L’azoto legato può essere rilasciato insieme alle sostanze volatili, siano esse gas o tar, oppure trattenuto nel char.

La frazione di azoto che volatilizza dipende dal tipo di biomassa e quindi di legami, ma anche dalle condizioni operative.

Questa infatti aumenta con la quantità di ossigeno presente nel combustibile. A bassa temperatura o per bassi tempi di residenza l’azoto rimane preferenzialmen-te legato al residuo carbonioso, mentre alle alpreferenzialmen-te preferenzialmen-temperature viene rapidamenpreferenzialmen-te rilasciato.

(28)

2.3

Tecnologie di combustione

Esistono varie scale di impianto in base alle dimensioni dello stesso:

• Sistemi di combustione di piccola scala (< 100 kW h): sono impianti che bruciano solo biomassa di qualità; generalmente si usa come biomassa pellet o cippato. I forni solitamente sono a griglia fissa e sono utilizzati per il riscaldamento residenziale.

• Sistemi di combustione di media scala (tra 100 kW h e 20 M W h): sono utilizzati normalmente in impianti cogenerativi. I forni maggiormente usati sono di tipo underfeed-stokers a griglia mobile. Usano come combustibile segatura, cippato, residui forestali o agricoli.

• Sistemi di combustione di grande scala (> 20 M W h): sono principalmente centrali elettriche con potenza elettrica superiore a 100 M W e. Si usano forni letto fluido e come combustibili usano biomassa legnosa e residui agricoli. Quindi esistono in generale tre condizioni di flusso che definiscono tre tipi di forno: combustione a letto fisso, combustione a letto fluidizzato o combustione a letto trascinato.

(29)

Per i sistemi a letto fisso i combustibili da biomassa vengono bruciati così come sono raccolti o con una minima elaborazione preliminare; le dimensioni variano di molto, da 5 a 100 mm o anche superiori per i tronchi (fino a 50 cm).

Per i sistemi a letto fluido, i combustibili da biomassa vengono pellettizzati o scheggiati a 2-5 mm o più grandi in modo da soddisfare i requisiti di fluidizzazione. Per i sistemi a letto trascinato le particelle di combustibile da biomassa vengono normalmente ridotte a un ampio intervallo: dai 10 µm ai 1000 µm o più nel tentativo di assicurare il completo esaurimento in soli pochi secondi [10].

2.3.1 A letto fisso

I forni a letto fisso sono la tipologia impiantistica maggiormente diffusa.

Questo è dovuto alla loro semplicità, economicità e affidabilità di funzionamento. Possono essere alimentati da biomasse con diverso grado di umidità e nonostante grandi eccessi d’aria presentano rendimenti relativamente alti (fino all’80%). L’a-ria primaL’a-ria entra passando dal letto di combustibile nel quale avvengono la fase di pirolisi, gassificazione e ossidazione del char.

Si producono così volatili che bruciano nella sezione sovrastante il letto grazie al-l’ingresso in questo punto dell’aria secondaria. Comprendono generalmente due tipologie: a griglia e underfeed-stoker.

Le caldaie a griglia sono provviste di una camera di combustione interamente rive-stita da materiale refrattario, il sistema di alimentazione della biomassa, la griglia di combustione, il sistema di alimentazione di aria primaria e secondaria e il siste-ma di scarico delle ceneri.

Il ruolo centrale di questa tipologia di caldaia è della griglia che può dividersi in fissa, mobile, vibrante o rotante; la griglia ha il compito di sostenere e far avanzare la biomassa all’interno della camera di combustione favorendo il suo essiccamento e la reazione di combustione [11].

Gli underfeed-stokers invece si distinguono dalle caldaie a griglie per la modalità di ingresso della biomassa; sono i sistemi più economici e affidabili per taglie piccole soprattutto con biomasse con basso tenore di umidità.

La biomassa entra attraverso una coclea arrivando fino al letto nel quale viene in-trodotta aria primaria, la quale fa partire il processo ossidativo, che poi si completa nella sezione sovrastante in fase gas grazie all’introduzione di aria secondaria. Questo tipo di caldaia ha il vantaggio di poter lavorare con carichi parziali grazie alla facile gestione dell’alimentazione del combustibile.

Il principale svantaggio è invece che la formazione di cenere può interferire con la combustione rendendola instabile.

(30)

2.3.2 A letto fluido

Esistono i forni a letto fluido bollente (BFB – Bubbling Fluidised Bed) e quelli a letto ricircolante (CFB – Circulating Fluidised Bed).

I forni a letto fluido sono costituiti da una camera cilindrica verticale (riser) dove la biomassa brucia in un letto di materiale inerte (solitamente sabbia o dolomite) mantenuto in sospensione dall’aria comburente che è introdotta dal basso.

Con questa tipologia di forni si ha un maggiore controllo del processo di combu-stione grazie ad una più equilibrata e uniforme distribuzione del calore; così si può avere una temperatura di esercizio più bassa (700◦C - 800◦C) rispetto a quelli a letto fisso.

La trasmissione del calore è quindi quasi totalmente dovuta alla convezione grazie al miscelamento tra aria comburente e combustibile e solo in modo trascurabile per irraggiamento.

In questo modo si riesce ad avere una completa combustione con una più bassa richiesta di aria in eccesso e si possono usare miscele di diversi combustibili con diverso potere calorifico.

Importanti sono le dimensioni della biomassa e alle sue impurità; ecco perché que-sta deve essere pretrattata per ridurne la sua pezzatura ed avere misure omogenee e idonee per la fluidizzazione del letto [11].

Altro problema di questi sistemi è la presenza di polveri nel gas che rende indi-spensabile l’utilizzo di precipitatori e sistemi di pulizia della caldaia in modo da limitare le agglomerazioni tra le ceneri basso fondenti ed evitare la defluidizzazione del letto.

Anche la possibile presenza di materiale inerte nei gas di uscita è un problema di questi sistemi; quindi bisogna sempre reintegrarlo.

Tutto questo determina un maggiore costo di questi sistemi rispetto al letto fisso e quindi questi sono utilizzati maggiormente in impianti di taglia grossa dove si può più facilmente abbattere il costo totale di investimento per tutte queste accortezze.

2.3.3 A letto trascinato

Questi sistemi si usano per biomasse polverulenti e leggere come segatura o polvere di legno o paglia triturata nelle quali quindi le dimensioni delle singole particelle non supera i 20 mm e il tenore di umidità resta sotto il 20%.

Questi combustibili sono iniettati pneumaticamente all’interno del forno in miscela con la corrente di aria primaria che li trasporta e li mantiene in sospensione. Il flusso di questa miscela entrando in camera di combustione crea un vortice veloce che permette di avere una rapida e contemporanea pirolizzazione e gassificazione della biomassa.

(31)

di conversione e basse emissioni di ossidi di azoto.

Uno svantaggio di questa configurazione è il deterioramento del materiale isolante interno dovuto allo stress termico e corrosivo del flusso vorticoso di biomassa che si trova in camera di combustione.

Un’altra peculiarità di questo sistema è la presenza di un bruciatore ausiliario che realizza la fase di start-up dell’impianto: infatti si deve preliminarmente accen-dere la carica all’interno della camera di combustione finché la temperatura non raggiunge valori tali da poter consentire il funzionamento autonomo del forno.

2.4

Sistemi small-scale: ruolo della CFD

La biomassa è un’importante fonte di energia con poche emissioni inquinanti. Ci sono molti processi fisici e chimici coinvolti nella conversione termica delle biomas-se. L’industria di sistemi di combustione di biomassa small-scale si sono espansi nelle ultime decadi [12].

Le fornaci a biomassa small-scale ancora hanno generazione di alti livelli di emis-sioni di inquinanti a causa del ridotto volume e conseguentemente del basso tempo di residenza di combustione [13].

Quindi è richiesto tanto studio per poter migliorare questa tecnologia.

Tutte le opere a riguardo concordano sul fatto che vi è un’ampia gamma di azioni per migliorare le tecnologie disponibili in termini di emissioni. Ciò richiederebbe un’indagine approfondita sull’efficacia della camera di combustione e sull’ingres-so del combustibile, nonché sulle condizioni operative, comprese le caratteristiche della biomassa.

La simulazione CFD (Fluidodinamica Computazionale) può accrescere la compren-sione dei processi in sistemi nei quali è presente la combustione in quanto consente di risolvere diverse equazioni di trasporto che descrivono i fenomeni rilevanti in geometrie complesse.

Non tutti i fenomeni possono essere descritti dalla CFD nel dettaglio, ma essa dà una visione teorica del comportamento del sistema che aiuta a risolvere problemi operativi e permette la realizzazione di nuovi prototipi.

L’applicazione della CFD è impegnativa perché richiede una descrizione appro-priata delle reazioni omogenee e eterogenee, dei processi turbolenti, dei processi di trasferimento di massa e di calore (compresa la radiazione) e delle loro interazioni. Il livello di dettaglio del modello influenza fortemente la difficoltà della simula-zione; questo è importante per poter trovare l’assetto di simulazione migliore che coniughi tempi più brevi e migliore accuratezza nei risultati [14].

Recentemente sono stati proposti modelli completamente multifase. Tra questi, il modello Lagrangiano-Euleriano ha ricevuto una certa attenzione perché la sua capacità di trattare bene i fenomeni agisce sulla dimensione delle particelle. In particolare, la fase granulare della biomassa può essere risolta con il metodo degli

(32)

elementi discreti (DEM) opportunamente accoppiato con la CFD per la fase gas-sosa.

Esempi di questa strategia di modellazione sono forniti da [15] e da [16]. Tutta-via, è chiaro come un livello elevato di dettagli di modellazione richieda tempi e risorse di calcolo troppo elevati, spesso non bilanciati dagli alti livelli di incertezza che possono influenzare l’analisi (ad esempio dimensione e forma delle particelle, contenuto di umidità, sistema di alimentazione, ecc.).

Per questo motivo, gli approcci più usati in letteratura per la modellazione delle caldaie a biomassa, si basano su simulazioni CFD del freeboard monofasico reattivo turbolento. L’impatto del letto di biomassa viene preso in considerazione attra-verso condizioni al contorno (poste all’ingresso del freeboard del modello CFD, rappresentato dalla superficie superiore del letto di biomassa), che vengono soste-nute da una descrizione semplificata del letto di combustibile solido [17],[18],[19]. Questo è dovuto alla complessità di modellare l’interazione tra energia e flussi di massa (in reazioni eterogenee) tra la fase solida e la fase gas e la relazione intima tra esse e la radiazione data dallo scambio di calore [20].

Yin et al.[21] presentano un ampio campionario di strategie impiegate per model-lare sistemi di combustione di biomassa a letto fisso.

L’approccio solitamente usato è quello di separare la simulazione del letto dalla simulazione del freeboard (camera di combustione) nonostante siano fortemente accoppiati tra loro.

Letto e freeboard sono poi collegati da una superficie nella quale scambiano ener-gia e flussi di massa.

Alcuni autori rendono indipendenti le soluzioni delle due zone [22]; altri autori invece hanno sviluppato modelli di letti che catturano le variazioni nelle soluzioni del freeboard [23].

Il modello di combustione generalmente è suddiviso in due sottodomini: uno de-scrive la decomposizione termochimica del combustibile nel letto e l’altro dede-scrive la combustione in fase gas nel freeboard.

La predizione accurata dei prodotti di devolatilizzazione in fase gas gioca un ruolo fondamentale anche nella simulazione successiva visto che i gas in uscita dal letto sono condizioni al contorno nella fase di combustione in fase gas.

Le metodologie usate si basano sull’assunzione che la decomposizione della bio-massa nel letto è indotta da un forte flusso radiativo generato dalla combustione omogenea in fase gas nella camera di combustione. Questi gas sono prodotti dalla conversione della biomassa.

Il sottodominio del freeboard usa le caratteristiche di turbolenza, combustibile e specie ossidanti, e lo schema chimico per modellare il processo di combustione [24]. Conseguentemente, le previsioni su temperatura ed emissioni dipendono fortemen-te dal grado di semplificazione imposto nel modello a monfortemen-te.

(33)

Per predire la formazione delle specie gas dal letto si sono usati, in letteratura, diversi approcci di modellazione del letto: zero o uno dimensionali o anche multi-dimensionali.

Il primo tipo di questo approccio è molto semplice e consiste nell’usare dati spe-rimentali per definire le condizioni al contorno (Scharler et al. [25]). Tuttavia questo modello richiede dati sperimentali al di sopra del letto della biomassa, che a volte possono essere difficili da ottenere con accuratezza spaziale e temporale. Il secondo approccio consiste nello sviluppo di un modello semplificato del letto di biomassa che viene utilizzato per dare le condizioni al contorno per il modello del freeboard CFD. Ad esempio, il letto della biomassa può essere visto come uno o una serie di reattori CSTR perfettamente agganciati tra loro, in cui i bilanci di massa e di energia sono risolti con le conversioni prescritte di tutti i processi che avvengono (evaporazione, devolatilizzazione, ossidazione del char). Ciò può porta-re a condizioni al contorno uniformi (nel caso di un singolo porta-reattoporta-re) o a condizioni al contorno variabili (nel caso di una serie di reattori) [26],[27], costituite dalle specie chimiche, dalla portata e dalla concentrazione così come dalla temperatura. La complessa decomposizione termica non può essere simulata nel dettaglio e il grado di semplificazione è inversamente proporzionale all’accuratezza nei risultati e nel tempo di calcolo.

Per descrivere la combustione in fase gas nel freeboard viene usato solitamente l’approccio a tre dimensioni allo stazionario (modelli transitori sono usati occasio-nalmente).

Quindi solitamente si usano modelli EDM (Eddy Dissipation Model), EDC (Eddy Dissipation Concept) e FR/EDM (Finite Rate / Eddy Dissipation Model) [28].

(34)

3

Campagna sperimentale

3.1

Caso studio

La parte sperimentale di questa tesi è stata svolta presso il CRIBE (Centro di Ricerca Interuniversitario sulle Biomasse ed Energia) situato a San Piero a Grado (PI). Esso è stato inaugurato nel 2010 dal preesistente Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “E.Avanzi” dell’Università di Pisa. Nasce dalla col-laborazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, dell’Università di Pisa e della Scuola Superiore di Studi e Perfezionamento Sant’Anna. In questo centro si svolgono tutte le attività necessarie alla ricerca applicata alla produzione so-stenibile di biomasse agroforestali, alla loro trasformazione in energia termica ed elettrica e alla produzione di biocarburanti.

Tutto ciò avviene grazie a diversi impianti pilota che evidenziano come sia possibile creare una stretta connessione tra l’attività di ricerca e quella produttiva.

Nel CRIBE sono presenti i seguenti impianti pilota: impianto di produzione di bio-olio/biodiesel, un gassificatore a biomassa ligneo/cellulosica, una caldaia a cippato, una sala prove per motori a combustione interna a bioolio/biodiesel, un digestore anaerobico e un impianto di produzione di etanolo da biomassa ligneo/cellulosica. In questo lavoro di tesi si descrive primariamente l’impianto sperimentale di com-bustione della biomassa per poi focalizzare l’attenzione sulla caldaia a biomassa.

(35)

3.2

Circuito

Figura 3.1: Circuito impianto combustione biomassa

L’impianto di combustione della biomassa, come mostrato nella figura 3.1, è composto da:

• Un sistema di stoccaggio della biomassa

• Un sistema di alimentazione alla caldaia tramite coclea a vite • La caldaia

• Uno scambiatore con olio diatermico • Un Kettle evaporatore

Il vapore prodotto nel Kettle non si produce direttamente ma tramite un elemento intermedio: l’olio diatermico. Esso infatti si scalda in uno scambiatore presente nella caldaia stessa, a contatto con i fumi di combustione. L’olio poi passa in un fascio tubiero immerso in acqua all’interno di un Kettle evaporatore e cede all’ac-qua stessa l’energia necessaria a farla evaporare.

Questo vapore prodotto è poi quello utilizzato nelle varie utenze presenti nell’im-pianto.

(36)

3.3

Sistema di stoccaggio e alimentazione

La biomassa, che nel caso in questione è cippato, è stoccata all’esterno del ca-pannone nel quale si trova la caldaia.

Trattandosi di un impianto pilota e di una caldaia di piccola taglia, non è ne-cessario avere la classica stanza silo interrata, ma basta un silo esterno di forma rettangolare a cui è collegato un sistema di alimentazione all’interno del capanno-ne, dove è collocata la caldaia, tramite coclea.

Essa infatti prende il cippato dal silo e lo trasporta fin dentro il capannone. Il cippato arriva in testa ad un altro serbatoio più piccolo posto all’interno del capannone.

Questo serbatoio ha al suo interno due braccia rotanti che distribuiscono la bio-massa lungo tutta l’area.

Sotto queste braccia rotanti è presente una larga fessura nella quale si trova la coclea a vite che alimenta la caldaia.

Quindi il cippato entra uniformemente nella fessura e viene sospinto dalla coclea a vite fin dentro la caldaia.

La coclea ha un motore esterno da cui si possono regolare i giri al minuto dell’al-bero.

Per cippati diversi si utilizzano velocità di rotazione differenti a seconda della gra-nulometria del cippato e dalla sua conformazione.

(37)

(a) Silo di stoccaggio (b) Sistema di alimenta-zione aria e biomassa

(c) Estrattore a braccia rotanti (d) Ingresso biomassa

Figura 3.2: Sistema di stoccaggio e alimentazione

Nella figura 3.2 sono rappresentati in ordine il silo di stoccaggio, il serbatoio di alimentazione e l’estrattore con le braccia rotanti del circuito di combustione della biomassa.

(38)

3.4

Caldaia

La caldaia è stata progettata dalla Standardkessel Italiana s.r.l. e ha una po-tenza nominale di 140 kW.

Essa è una caldaia a letto fisso di tipo Underfeed Stoker ed è caratterizzata da una alimentazione laterale e da un letto rettangolare.

Il cippato entra lateralmente tramite la coclea e si posiziona all’interno del braciere rettangolare di circa 80 cm di lunghezza e 20 cm di largezza.

Sulle pareti esterne del braciere ci sono 64 finestrelle da cui entra l’aria primaria necessaria alla combustione della biomassa.

Sopra il braciere sono poi presenti 9 bocchelli di alimentazione dell’aria secondaria che continua la combustione in fase gas.

Lateralmente al braciere e dalla parte opposta all’alimentazione è presente il siste-ma di raccolta delle ceneri che periodicamente vengono poi eliminate siste-manualmente. Le caldaia complessivamente è lunga 1, 9 m, alta 3, 55 m e larga 1, 2 m. Tutte le misure specifiche sono indicate in figura 3.3(a).

Tutto intorno è camera di combustione nella quale i prodotti di devolatilizzazione della biomassa reagiscono e convogliano verso l’uscita della caldaia.

Prima che i fumi di combustione escano, essi incontrano lo scambiatore contenente olio diatermico freddo a cui cedono il calore necessario a fornirgli l’energia tale da produrre poi il vapore nella scambiatore Kettle.

L’uso dell’olio ha il vantaggio di poter arrivare sino a temperature intorno ai 350◦C in fase liquida e a pressione atmosferica.

Questo permette un buono scambio successivo per la produzione del vapore sen-za dover tenere la parte dei tubi dell’olio in pressione ed avere quindi maggiore sicurezza anche all’interno della caldaia.

(39)

(a) Dimensioni caldaia (b) Caldaia

(c) Sistema alimentazione e caldaia

(d) Sezione di uscita fumi

(40)

3.5

Evaporatore

L’evaporatore di tipo Kettle è l’elemento principale per la produzione del va-pore. Esso è caratterizzato lato tubi da un fascio tubiero nel quale circola l’olio diatermico e la to mantello dall’acqua che vaporizza.

L’olio entra riscaldato dai fumi di combustione e passando nel fascio dentro l’eva-poratore cede calore all’acqua in cui il fascio è immerso. In questo modo l’acqua evapora ed esce dall’evaporatore.

C’è una valvola a tre vie presente nell’ingresso dell’olio; essa serve a regolare la portata di ingresso dell’olio stesso in modo da regolare il calore cedibile all’acqua e quindi il vapore prodotto.

Il vapore che viene prodotto nell’evaporatore Kettle serve ad alimentare varie uten-ze del CRIBE. La linea principale va alla sala di prova PROMOTOR all’interno della quale si alimenta il motore sperimentale Wankel. Il vapore in uscita dal motore è poi condensato e rinviato all’evaporatore. Una linea secondaria va al gassificatore che può quindi essere usato quando ce ne è bisogno. Un’altra linea in fase di sviluppo è quella che collega il vapore uscente con un essiccatore che dovrebbe essiccare la biomassa prima di stoccarla e successivamente utilizzarla. Il vapore è poi condensato e rinviato all’evaporatore. Nel circuito che permette il ritorno del vapore condensato all’evaporatore come acqua c’è un degasatore che permette di eliminare i gas presenti, soprattutto l’ossigeno disciolto, nella corrente liquida. Questo permette di evitare problemi di corrosione poi nel circuito a valle.

(41)

3.6

Alimentazione aria primaria e secondaria

L’aria necessaria alla combustione è inviata a temperatura ambiente attraverso due ingressi differenti: l’aria primaria entra dalle finestrelle ai lati del braciere e l’aria secondaria entra attraverso un collettore e 9 ugelli posti sopra il braciere e tutti intorno ad esso.

Figura 3.5: Ingressi aria secondaria nella caldaia

L’aria, primaria e secondaria, viene alimentata mediante un ventilatore azio-nato manualmente attraverso un inverter. C’è anche un secondo ventilatore posto in testa alla caldaia che crea una leggera depressione di 20 Pa per permettere l’u-scita dei fumi di combustione. Lungo il tubo di alimentazione dell’aria, questo si divide in due tubazioni minori che alimentano aria primaria e aria secondaria. Su queste due tubazioni sono presenti due valvole a sfera che permettono l’apertura e la chiusura manuale dell’aria. Questo, insieme alla regolazione della velocità del ventilatore, tramite inverter, permette di cambiare le condizioni di esercizio delle prove sperimentali.

(42)

3.7

Strumentazione

Figura 3.7: Schema generale della strumentazione della caldaia

3.7.1 Termocoppie esterne e flussimetri

Per poter acquisire i dati durante le diverse prove sperimentali e poter poi im-postare il modello CFD sull’andamento della caldaia, è importante il sistema di misurazione.

Si utilizzano i seguenti strumenti:

• Termocoppia sull’ingresso dell’aria: essa è posta a monte della diramazio-ne dell’aria primaria e secondaria e permette di monitorare in continuo la temperatura dell’aria ingresso.

• Due flussimetri su ingressi aria (uno sull’ingresso dell’aria primaria e uno su quello dell’aria secondaria): sono anemometri a filo caldo che inviano la misura a quadro.

Sono montati dopo la diramazione di aria primaria e secondaria e permettono di leggere in continuo i valori delle portate delle due correnti in modo da modificarli poi attraverso l’inverter o le valvole sfera.

(43)

• Termocoppia sull’uscita della camera di combustione: essa rileva la tempe-ratura dei fumi di combustione prima che arrivino allo scambiatore con olio diatermico e cedono a questo calore.

La lettura della temperatura è in continuo a quadro.

• Termocoppia sull’uscita dalla caldaia: essa rileva la temperatura dei fumi di combustione dopo che si sono raffreddati cedendo calore all’olio diatermico nello scambiatore.

La lettura della temperatura è in continuo a quadro.

Nella figura 3.8 sono mostrate le strumentazioni prima descritte

(a) Termocoppie sul-l’uscita della camera di combustione e sul-l’uscita della caldaia

(b) Termocoppia sull’ingresso dell’aria (c) Anemometri a fi-lo caldo sull’ingresso dell’aria

(44)

3.7.2 Termocoppie interne

All’interno della caldaia, sulla superficie del braciere, dove avvengono le reazio-ni di combustione dei gas sviluppati dal processo di devolatilizzazione, ci sono 6 termocoppie che rilevano in 6 punti diversi la temperatura.

L’idea è quella di ottenere una mappatura della temperatura sulla superficie del braciere per poterla poi utilizzare per la validazione dei modelli CFD.

Le 6 termocoppie sono state divise in 2 gruppi: 3 sono posizionate lungo l’asse centrale del braciere e 3 lateralmente come mostrato in figura 4.8(a) dove è rap-presentato lo schema semplificato del letto e al suo interno si mostra la disposizione dei 6 punti corrispondenti alle 6 termocoppie. Essi si trovano in corrispondenza dei bocchelli di ingresso dell’aria secondaria.

(a) Punti di campionamento sul braciere visto dall’alto

(b) Termocoppie interne alla caldaia

(45)

3.7.3 Sistema di campionamento

La strumentazione prevede anche un sistema di campionamento dei gas in vari punti della caldaia:

• I gas in uscita dalla camera di combustione, dove c’è lo scambiatore con olio diatermico sono campionati con un sistema di campionamento dei gas incombusti della Environment S.A.

Si campionano così CO, CO2, O2 e N OX.

Parte dei fumi sono prelevati e inviati direttamente ad un analizzatore mo-strato nella seguente figura 3.10

Figura 3.10: Sistema di campionamento gas in uscita

• I prodotti di devolatilizzazione sono campionati negli stessi 6 punti in cui sono inserite le termocoppie sul piano orizzontale subito sopra il braciere, in modo tale da combinare, in tali punti, dati di specie e di temperature.

(46)

(a) Esterno

(b) Interno

Figura 3.11: Sistema campionamento volatili sul braciere

Per effettuare queste misure si è praticato un foro nella struttura della cal-daia sopra al bocchello di ingresso dell’aria. Si è inserito un tubo che passa parallelo al braciere e poi si curva a 90◦ arrivando all’altezza delle termocop-pie.

Dall’esterno questo tubo può ruotare e muovere lungo l’asse del braciere per raggiungere tutti i 6 punti di campionamento voluti.

I gas sono aspirati da due piccole pompe appartenenti ai due sistemi di ac-quisizione a disposizione: un micro GC e un sistema IR. I gas quindi passano attraverso dei filtri, per trattenere il TAR, e poi sono inviati a questi sistemi di acquisizione. Si campionano così O2, N2, H2, CH4, C2H6, C2H4, C2H2,

(47)

3.8

Caratterizzazione della biomassa

Per le prove si sono usati diversi tipi di cippato: • Cippato di pioppo a granulometria grossolana • Cippato di pioppo a granulometria intermedia • Cippato di pioppo a granulometria fine

La caratterizzazione dei cippati e le prove granulometriche sono state effettuate presso i laboratori del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale (DICI) del-l’Università di Pisa.

Sono state effettuate per la precisione le seguenti analisi: • Analisi immediata (proximate analysis)

• Analisi elementare (ultimate analysis) • Analisi calorimetrica

• Analisi granulometrica

3.8.1 Analisi immediata

Si effettua mediante analisi termogravimetrica (TGA) che consente di determi-nare la perdita di peso del campione, in ambiente controllato, in presenza di azoto e aria.

Il campione viene sottoposto ad un programma prestabilito di temperature in ba-se alla norma ASTM D5142 Moisture Volatile Ash, che prevede la determinazione dell’umidità dei volatili e delle ceneri.

Il programma termico prevede una parte iniziale di riscaldamento dalla tempe-ratura ambiente fino ad una tempetempe-ratura compresa tra 4◦C - 110◦C, seguito da un’isoterma di 10 minuti a tale temperatura, in modo da garantire la perdita totale di umidità contenuto nel campione.

Successivamente il campione viene riscaldato fino a 900◦C per analizzare la devo-latilizzazione, preferibilmente in ambiente inertizzato con azoto.

Una volta raggiunta tale temperatura il flusso di gas passa ad aria al fine di ossi-dare il char prodotto.

Dalla curva della perdita in peso in funzione del tempo (o della temperatura) in figura 3.12 si deducono gli intervalli di tempo in cui il peso rimane costante e quelli in cui il peso decresce nel tempo: misurando la differenza di peso tra i due tratti orizzontali è possibile ricavare i valori cercati.

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