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La garanzia di inamovibilita, tra certezze e prospettive di riforma

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Academic year: 2021

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1. L’inamovibilità nel periodo pre-costituzionale

1.1 La magistratura nel Regno di Sardegna

Al momento dell’unificazione, l’assetto della magistratura nel regno sabaudo era quello più immediatamente riconducibile al sistema francese. Il tratto caratterizzante era rappresentato dal forte impianto gerarchico, costituito, da un lato, dal ministro della Giustizia e dall’altro, dai vertici della Corte di Cassazione (che aveva cominciato a funzionare il 1 Maggio del 1848) e delle Corti di Appello (originariamente Senati del Regno). Le norme relative all’Ordine Giudiziario, e il nome non era certamente casuale, in quanto voleva sottolinearsi la distinzione dai due “veri poteri”, quello legislativo e quello esecutivo, erano contenute in appena sei articoli (68-73); dedicato all’inamovibilità era l’articolo 69, che così recitava: “ I Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio. ”

Si trattava di un articolo estremamente sintetico, con l’affermazione, tuttavia, di due importanti concetti: la nomina regia dei giudici, i quali, pertanto, dovevano necessariamente essere fedeli alla Monarchia, e l’estensione della inamovibilità ai giudici (e quindi non ai pubblici ministeri) non di mandamento dopo tre anni di servizio. Restava ancora da sciogliere il nodo sull’ampiezza di tale garanzia, cioè se essa fosse riferita solo alla sede o solo al grado, oppure ad entrambi, nodo che venne sciolto nel 1851, allorchè, con la legge Siccardi, venne riconosciuta l’inamovibilità piena dei magistrati giudicanti e considerato come essenziale al trasferimento (definito al tempo tramutamento) il consenso del giudice.

La scelta di inserire l’inamovibilità nello statuto Albertino non era stata casuale, ma molto aveva a che fare con l’estrazione sociale dei giudici del tempo, che si potevano categorizzare tra quelli di Ancien Régime, quelli della scuola imperiale francese e quelli, infine, della scuola moderna, tutti accomunati, tuttavia, dalla fedeltà alla monarchia e da un forte senso di indipendenza, fondato sul prestigio ed il potere di una cerchia ristretta di tecnici e nobili (appena duecento al tempo), che già avevano sperimentato l’inamovibilità quali componenti dei vecchi Senati; come ebbe a dire, sempre nel 1851, Federico Sclopis, l’inamovibilità, infatti, era una “franchigia, riconosciuta per prudenza, mantenuta con saviezza dei nostri Re e dei Ministri dello Stato”, in base alla quale “i magistrati, se non di diritto, si

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riconoscevano almeno di fatto inamovibili”. Questo sistema1

apparentemente garantista, considerati i tempi, era però fortemente indebolito sia dalla flessibilità dello Statuto Albertino, con la possibilità per il legislatore di derogare alle disposizioni in materia di ordine giudiziario in qualunque momento, sia dall’impianto fortemente gerarchico, incentrato sulla Corte di Cassazione, a cui era assegnato il compito di provocare l’azione disciplinare, su richiesta del pubblico ministero, e sul Ministro di Grazia e Giustizia, titolare del potere di sorveglianza e di convocazione. Ad una inamovibilità di diritto, quindi, non faceva seguito una inamovibilità di fatto, in quanto il giudice poteva facilmente essere esposto a pene disciplinari, avvertimenti, censure e sospensioni.

E di ciò si ebbe conferma poco dopo, quando Camillo Benso, conte di Cavour, divenne presidente del Consiglio nel 1852 e sorsero contrasti tra il governo e parte della magistratura in merito ai provvedimenti in materia ecclesiastica: diverse sanzioni, anche molto pesanti, colpirono diversi magistrati (quali Ignazio Costa della Torre e Carlo De Virj) senza alcuna garanzia di inamovibilità. Il culmine dello scontro si raggiunse con la nomina, nel 1853, di Umberto Rattazzi quale Ministro di Grazia e Giustizia, nominato dal sovrano per diventare “La Marmora della Magistratura” e fautore della prima legge sull’ordinamento giudiziario nel 1859 che limitò l’estensione dell’inamovibilità al solo grado. 2

1.2 Gli anni della Destra

L’ordinamento Rattazzi venne gradualmente esteso agli altri Stati preunitari e le nomine dei magistrati vennero legittimate direttamente dal sovrano, confermando una volta di più l’interesse-necessità di disporre di un corpo giudiziario fedele in questo momento di transizione. Celebri i processi relativi ai “moti politici” di quegli anni, nei quali i magistrati rispondevano direttamente al Ministro della Giustizia e documentazione degli stessi veniva scrupolosamente preservata anno dopo anno presso il Ministero, in base alle province.

E proseguirono le epurazioni dalla magistratura, denunciate a più riprese dai giornali e memoriali dell’epoca, come quelle che colpirono la Corte di Cassazione e di Appello di Palermo nel

1 A.Meniconi, Storia della Magistratura, cit.31 2 A.Meniconi, Storia della Magistratura, pag.35

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1862: si contano 52 casi, tra trasferimenti, collocamenti a riposo e in aspettativa, tutti ovviamente senza il consenso dei diretti interessati. 3 Nel 1865 venne emanato il nuovo ordinamento giudiziario, questa volta italiano, che definiva il p.m. come “rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria, introduceva l’accesso per concorso accanto alla persistente nomina ministeriale e trasformava i giudici di mandamento in pretori, ma la sostanza delle cose non cambiava: la struttura giudiziaria era fortemente gerarchizzata e nelle circolari del ministro i Primi Presidenti e Procuratori generali si definivano guardasigilli di distretto; in una circolare dell’allora ministro Michele Pironti (magistrato divenuto ministro), si chiedeva ai presidenti di fornire informazioni personali sugli orientamenti politici dei magistrati loro dipendenti”.

A segnalare il rapporto, per non dire commistione, tra politica e magistratura risulta utile citare qualche dato: dei 45 guardasigilli tra il 1848 e il 1899, 21 furono magistrati, tra cui il già citato 4 Michele Pironti, accusato ironicamente,durante il suo mandato, di aver operato una gran quantità di trasferimenti di sede di giudici e pubblici ministeri, dimostratisi non sufficientemente duri in alcuni processi politici e successivamente costretto alle dimissioni.

O ancora, ben l’otto per cento dei senatori in tutta la storia del Regno provennero dalle fila della magistratura e dei 43 primi presidenti e procuratori generali delle quattro corti di Cassazione e delle diciotto Corti d’Appello, iscritti nel primo ruolo organico della magistratura del 1 Gennaio 1866, 27 finirono al Parlamento Nazionale (e tra questi otto ministri) e sette degli otto capi di Cassazione divennero Senatori: una vera e propria osmosi,5 quindi, ritenuta indispensabile dal governo, ma che certo non permetteva una piena indipendenza (basti pensare a tutti i trasferimenti arbitrari) della magistratura; ancora nel 1879, Giuseppe Mirabelli, prima magistrato e poi Senatore vicino alla destra Italiana, pubblicava un’accorata denuncia in un suo famoso pamphlet dal titolo “L’inamovibilità della magistratura nel Regno d’Italia”.

Ad operare come una sorta di filtro tra la bassa magistratura e la politica ci pensava, paradossalmente, l’alta magistratura, che

3 A.Meniconi, Storia della Magistratura, pag.43 4 A.Meniconi, Storia della Magistratura, pag.49 5 A.Meniconi, Storia della Magistratura, pag.50

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tuttavia così rafforzava la sua posizione di comando all’interno della gerarchia, minando fortemente l’indipendenza interna. Le sorti dei giovani magistrati dipendevano spesso dall’essere finiti sotto l’ala protettiva dei magistrati di grado superiore, o dall’avere una qualche forma di appoggio in politica; in alternativa, l’unica speranza di avere una carriera, o più semplicemente essere trasferiti presso una sede gradita, passava dall’accettare sedi sgpiacevoli, molto spesso collocate al Sud; secondo una commissione speciale istituita presso il Senato nel 1886 per studiare una riforma dell’ordinamento giudiziario, ogni anno era soggetto al trasferimento il 18% dell’organico, che saliva al 28% nel caso delle preture. 6

Celebri furono le lettere di raccomandazione che affollavano gli uffici del Gabinetto del Ministero, nella speranza di ottenere quanto richiesto; una pratica questa, che contraddistinse l’intera età liberale, tant’è che il Ministro Orlando, nel 1908, dovette inserire nella legge sulle guarentigie un’apposita prescrizione, con la quale intimava ai magistrati di astenersi scrupolosamente dal ricorrere a raccomandazioni.

Torniamo all’ordinamento giudiziario del 1865 ed in particolare ad uno degli articoli più rilevanti (e destinato ad essere adoperato numerose volte), dello stesso:

Art.199: “I funzionari dell’ordine giudiziario che hanno, a termini dell’art.69 dello Statuto, acquistato l’inamovibilità, non possono essere privati del loro grado, o sospeso, nè posti, senza il loro consentimento, in disponibilità, in aspettativa o riposo, anche con pensione, salvo nei casi previsti dalla presente legge, e secondo le forme prescritte. Possono bensì per l’utilità del servizio essere tramutati da una corte o da un tribunale ad altra corte o tribunale, con parità di grado o di stipendio.

L’ultimo paragrafo della disposizione rappresentò per decenni la spada di Damocle con la quale il governo trasferiva arbitrariamente magistrati che avevano emesso sentenze sgradite al governo, o, più semplicemente, erano stati indisciplinati. La formula “utilità del servizio”, infatti, era così ampia da permettere l’applicazione per qualunque circostanza, con l’unica garanzia, ove si fosse acquisita l’inamovibilità, di mantenere il grado o (e qui la congiunzione disgiuntiva ha un peso significativo) lo stipendio. Veniva adottata nei fascicoli dei

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magistrati la formula “trasferimento senza colpe”, per indicare quelle ipotesi in cui il tramutamento non era punitivo e quindi il giudice godeva di un’indennità.

Ai trasferimenti punitivi (senza possibilità di difesa) si affiancavano i poteri del Ministro della Giustizia, in quanto titolare dell’alta sorveglianza su tutte le Corti, i tribunali e i giudici dello stato (art.65 dello Statuto) e quelli dei presidenti delle Corti, i quali raccoglievano nelle Note Caratteristiche (obbligatorie dal 1865) gli sviluppi delle carriere dei giudici che presso tali Corti operavano, inserendo giudizi sia sulla professionalità, che sulla condotta privata e talvolta politica dell’interessato, senza alcuna garanzia procedurale nè forma di pubblicità. A seconda dei casi, i presidenti potevano provvedere mediante ammonimento, o attivazione del vero e proprio procedimento disciplinare presso il pubblico ministero (con sanzioni pesantissime quali la sospensione dal servizio o dallo stipendio), che, come già detto rispondeva direttamente al Ministro, il quale poteva, a sua volta, autonomamente ricorrere all’ammonimento, convocando il magistrato, o al procedimento disciplinare. Dell’ammonimento (la più diffusa delle sanzioni) o di qualunque altro provvedimento, restava traccia indelebile nel fascicolo del giudice, in cui rifluivano anche le numerosissime lettere anonime, da cui spesso scaturivano micro-inchieste destinate a cessare poco dopo, ma che in taluni casi potevano portare a sanzioni, anche ai trasferimenti per utilità di servizio dell’art.199. Un sistema di controllo fitto e con scarsissime garanzie, dominato dalle figure dei presidenti di Corte e dal Ministro coadiuvato da pubblici ministeri, nel quale la garanzia dell’inamovibilità, pur prevista, veniva spesso facilmente aggirata.

1.3 Gli anni della Sinistra

Gli anni che seguirono furono dominati dalla Sinistra e dalla lotta all’imparzialità sostenuta dalla stessa: nel 1876 il ministro Mancini attaccò il decreto Vigliani, che aveva istituito le commissioni locali, in quanto lasciavano poco spazio all’esecutivo e creavano “magistrature regionali”; tre anni dopo seguì l’abolizione ad opera del ministro Tajani (ex magistrato), con la contestuale introduzione del trasferimento senza consenso per quei magistrati che avessero operato presso la stessa sede per almeno dieci anni. La permanenza ultra decennale, infatti, produceva danni al prestigio dell’ordine

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giudiziario e poteva suscitare, a detta del ministro, dubbi, anche

infondati , sull’imparzialità del magistrato, oltre a contribuire al rafforzamento del regionalismo giudiziario, considerato come una vera e propria malattia. Seguirono 122 trasferimenti d’ufficio. Più 7

in generale gli anni della Sinistra furono caratterizzati da un numero più alto di trasferimenti rispetto agli anni precedenti. Nel suo secondo mandato (tra il 1885 e il 1887), tuttavia, il ministro Tajani presento un progetto di riforma organica della Magistratura; tra i punti più rilevanti, l’estensione dell’inamovibilità anche ai pubblici ministeri, che restavano dipendenti dall’esecutivo in quanto titolari di una “missione revocabile”, da parte dello stesso e la maggiore specificazione dei requisiti per i quali si poteva essere trasferiti, senza consenso, per i giudici: permanenza presso la stessa sede per cinque anni, l’essere nati in quella sede, avere rapporti di parentela con avvocati o procuratori esercenti. Restava in ogni caso la possibilità di trasferimento d’ufficio per ragioni di pubblico servizio, accertate da una commissione presso le Corti d’Appello. Tra le proposte della riforma vi era anche l’istituzione di un Consiglio Superiore della Magistratura e l’unificazione delle corti di Cassazione. La riforma non trovò alcuna applicazione nel breve periodo, ma molte delle innovazioni presenti divennero, negli anni seguenti, realtà.

Nel frattempo veniva istituita una Commissione consultiva centrale per le promozioni ed i tramutamenti, con poteri esclusivamente consultivi e senza un’articolazione locale. Formata da quattro consiglieri di Cassazione e da un pubblico ministero eletti dalla corte di Cassazione di Roma e con carica annuale, il compito della Commissione era quello di coadiuvare il ministro in merito alla valutazione delle carriere, anche alla luce di quell’utilità di servizio ex art 199, per la quale venne reintrodotto il diritto del magistrato ad essere ascoltato. Si trattava di un primo timido tentativo di inserire un sistema centralizzato che potesse permettere al magistrato di prevedere e controllare i passaggi della propria carriera, e col passare del tempo, i pareri della Commissione finirono per diventare vincolanti, poichè il ministro era privo di validi strumenti per un’analisi oggettiva delle capacità dei magistrati secondo i criteri dell’anzianità e del merito. I poteri della Commissione furono ampliati dal ministro Zanardelli, che estese il numero dei

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componenti a nove e la durata della carica a tre anni, e attribuì alla commissione il giudizio sulla magistratura requirente, in seguito all’unificazione delle carriere. Inoltre, poichè meccanismo ordinario di selezione dei magistrati diventava il concorso (restava al Ministro solo un potere residuale di nomina per i gradi direttivi), la Commissione finì per diventare il vero centro di gestione delle carriere dei magistrati, sebbene ancora estremamente rilevanti restassero i pareri dei capi degli uffici.

1.4 La riforma del ministro Orlando

Gli anni successivi si trascinarono senza particolari riforme, anche se continuarono i tramutamenti ad opera dei governi di magistrati ritenuti politicamente scomodi, attraverso il rimando all’utilità di servizio o le ragioni di pubblico servizio. La prima vera svolta si ebbe con il ministro Vittorio Emanuele Orlando, che presentò il suo disegno di legge alla Camera dei Deputati il 20 Novembre del 1907, titolato “Guarentigie e disciplina della Magistratura”. Alla magistratura, affermava Orlando, era “necessaria la più ampia e insospettabile indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni, affinchè la giustizia fosse e apparisse estranea e superiore alla ragion politica ed ai conflitti dei partiti”. Inoltre il ministro aggiungeva che “l’autoritarismo è, direi quasi, germogliato naturalmente dai sentimenti dominanti nel corpo della magistratura Italiana” e che il magistrato “appariva (e si sentiva) più un funzionario, un collega piuttosto che un antagonista dei funzionari dell’ordine amministrativo che avrebbe avuto il compito di controllare”, dimostrando di cogliere 8 perfettamente lo stato di dipendenza dalla politica che, nonostante le diverse riforme degli anni precedenti, aveva contraddistinto la breve storia della Magistratura Italiana. La riforma Orlando si compose di due leggi, approvate nel 1907 e nel 1908, dedicate rispettivamente alla istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura e alle garanzie dei magistrati. Il CSM veniva istituito presso il Ministero, era presieduto dal primo Presidente della Corte di Cassazione di Roma e composto dal procuratore Generale presso la stessa Corte, da sei consiglieri e tre sostituti procuratori generali di Cassazione e da nove componenti, nominati con regio decreto su deliberazione del Consiglio dei Ministri e su proposta del Ministro di Giustizia,

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scelti tra magistrati di grado non inferiore a quello di primo presidente di Corte d’Appello. Venne suddiviso in due sezioni: la prima con competenza su concorsi e promozioni dei magistrati di grado superiore a quello di consigliere di Cassazione, la seconda avente le medesime competenze, ma per tutti gli altri magistrati. A livello locale, presso ogni Tribunale e Corte d’Appello, vennero istituiti i Consigli giudiziari, dall’assetto parzialmente rappresentativo: accanto ai capi degli uffici ed al più anziano dei presidenti di sezione, vennero aggiunti due rappresentanti eletti annualmente dall’assemblea generale del circondario o del distretto, col compito di provvedere a classificare annualmente i giudici, “secondo il grado di merito per capacità, dottrina, operosità e condotta” (molte di queste formule sono, di fatto, rimaste invariate per lunghissimo tempo).

L’idea di fondo di queste riforme era quella di regolamentare in modo più preciso e severo, ma anche più garantito e sicuro, la gestione della carriera, ponendo al centro del sistema il neonato C.S.M.. Al ministro restavano tuttavia poteri non indifferenti, tra cui la possibilità di disporre le nomine ai posti più elevati, o quella di poter contrastare le valutazioni tecniche di promovibilità del C.S.M., anche se, per questa ipotesi, venne introdotto l’obbligo di deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri. Il ministro poteva, infine, continuare ad assegnare avvocati e professori universitari alle cariche giudiziarie, ma diveniva necessario il parere del Consiglio Superiore della Magistratura. Lo stesso Orlando, consapevole dei propri poteri, affermò che al ministro spettava “la direzione e l’alta sorveglianza che il ministro continuava ad esercitare sulla magistratura” e che le novità9 introdotte andavano pur sempre contemperate con la lettera dello Statuto, che affermava che la nomina del giudice era prerogativa regia.

Per quanto riguarda le garanzie, l’inamovibilità (sempre che fossero trascorsi i tre anni previsti dallo Statuto), venne estesa, dopo ben 50 anni, anche alla sede ed investì finalmente i pretori (la cui carriera era stata fusa con quella dei giudici, con una diversa funzione). Inoltre, riprendendo la vecchia legge Sicciardi, venne vietato il tramutamento dei giudici senza il loro consenso, salvo specifici casi previsti tassativamente dalla legge, tra cui sicuramente spiccava un prototipo di “incompatibilità ambientale” (tema oggi costantemente discusso): il magistrato poteva infatti

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essere allontanato dalla sede, qualora si riscontrasse l’impossibilità per qualsiasi causa, anche incolpevole, di amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario (in questo caso il tramutamento era disposto dal Governo, sentito il CSM). Per accertare le responsabilità dei magistrati venivano istituiti consigli disciplinari ed al vertice posta la Suprema Corte Disciplinare, con il compito di giudicare sia i giudici, sia i pubblici ministeri, che godevano per la prima volta di alcune garanzie procedimentali. La lista degli illeciti veniva completata da una clausola generalissima di chiusura che così disponeva: “il magistrato deve tenere, in ufficio e fuori, una condotta tale da non renderlo immeritevole della fiducia e considerazione di cui deve godere e da non compromettere il prestigio dell’ordine giudiziario”. La lista dei

doveri era elencata agli art 5 e ss.

Veniva inoltre vietato l’ancora diffusissimo ricorso alle raccomandazioni; le sanzioni erano comminate per tutti i giudici dai consigli disciplinari, mentra alla SCD spettava la gestione dei magistrati di grado superiore al giudice e dei ricorsi in appello contro le decisioni di consigli disciplinari.

La Suprema Corte Disciplinare era costituita presso il Ministero della Giustizia, formata da sei magistrati (quelli di grado superiore che facevano parte del CSM), sei senatori, che non fossero avvocati o appartenenti all’ordine giudiziario, nominati dal consiglio dei Ministri su proposta del ministro di Giustizia ed, infine, dal primo presidente della Corte di Cassazione di Roma. Titolare unico dell’azione disciplinare restava il Ministro di Giustizia, che spesso, tuttavia, ne delegava l’esercizio al pubblico ministero. La novità principale consisteva nell’essere giudicati da un consiglio a composizione mista, in cui erano presenti anche componenti laici, anche se politicamente interessati come i Senatori.

Il C.S.M. dimostrò sin da subito una grande accortezza nel delimitare la propria posizione rispetto ai poteri del Ministro, ma col passare del tempo i giudizi emessi dell’organo finirono per avere un peso predominante per le carriere dei magistrati.

Dal canto suo la Suprema Corte Disciplinare tenne spesso un atteggiamento paternalistico, che probabilmente non piacque al Ministro Orlando che avrebbe voluto una “disciplina di ferro”: le decisioni che portarono alla rimozione di alcuni magistrati furono infatti poche, e principalmente dovute a comportamenti considerati immorali per il tempo; quale esempio può citarsi il

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caso di un giudice, tale G.T., che nel 1910 fu rimosso perchè accusato di “frequentare bettole di basso ordine, di giocare, mangiare e bere sempre in compagnia di affaristi e operai”, o “di aprire la propria casa ai contadini”, in sostanza di “vivere sempre con il popolo”. Nei pochi anni in cui operò, dal 1909 al 1923, la 10 Corte esaminò circa 294 casi e contribuì, in una certa misura, a costruire un primo nucleo di garanzie nei confronti dei magistrati; più in generale, in quegli anni, si affermò una visione nuova del giudice, più indipendente rispetto alla politica. Erano novità, tuttavia, destinate ad avere i giorni contati, poichè si avvicinava l’avvento del Fascismo; l’ultima riforma di rilievo, fu il R.d 1978 del 14 dicembre 1921 (decreto Rodinò), che estese l’inamovibilità ai pretori e ammise l’elettività, sia pure di secondo grado, da parte di tutto il corpo giudiziario del C.S.M., a cui vennero peraltro aggiunti quattro componenti laici, nella figura di quattro professori della Facoltà di Giurisprudenza di Roma.

1.5 Le riforme del Fascismo

Con l’avvento del Fascismo si aprì un periodo di costante trasformazione del sistema giudiziario che raggiunse il suo apice con l’ordinamento Grandi del 1941, ma procediamo per gradi. Nel 1923, l’allora ministro di Grazia e Giustizia Oviglio, iniziò a porre le basi per la irreggimentazione e gerarchizzazione della magistratura: venne soppressa l’elettività dei Magistrati del C.S.M., introdotta due anni prima con il decreto Rodinò, ridotti il numero dei componenti da quattordici a cinque (più cinque supplenti), esclusivamente di nomina ministeriale, reintrodotto il concorso per la Cassazione, sottratte al C.S.M. le funzioni relative alla classificazione dei magistrati ai fini delle promozioni ai gradi della Corte di Cassazione (affidate ora ad una apposita commissione esaminatrice, di nomina ministeriale), rafforzata la discrezionalità del Ministro in merito alle nomine e durata dell’incarico degli uffici direttivi delle Corti d’appello e della Corte di Cassazione; infine, sostituito il sistema di elezione diretta dei consigli giudiziari con la nomina dei componenti da parte del primo presidente di ciascuna corte d’appello.

Per quanto riguarda l’inamovibilità, essa venne eliminata per i pretori ed estesa ai soli giudici, ed il trasferimento fu reso

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possibile per “qualsiasi motivo”, di fatto cancellando i progressi apportati dai decreti Orlando e Rodinò.

Sempre nel 1923, con l’avvento di De Stefani, si ebbe la prima “epurazione”: per i magistrati, infatti, venne disposta la dispensa dal servizio, come per i pubblici impiegati, per motivi generici di esuberanza e improduttività. Le ragioni del provvedimento vennero ricondotte al necessario riordino delle circoscrizioni giudiziarie, ma erano evidenti le motivazioni di natura politica. Venne istituita un’apposita commissione, composta da 4 magistrati, dotati di una sconfinata libertà di apprezzamento, che poteva facilmente sfociare in arbitrio, come ebbe a dire uno dei componenti, Antonio Raimondi, nelle memorie da questi lasciate. I magistrati colpiti dalla prima ondata di epurazioni furono ben cento e tra questi, particolare attenzione venne dedicata ai vertici della Cassazione, con l’allontanamento sia di Lodovico Mortara, primo presidente, sia di Raffaele de Notaristefani, procuratore generale: chiaro era l’obiettivo del governo di affermare il controllo pieno sui vertici della magistratura, peraltro ora fortemente gerarchizzata, attraverso l’allontanamento di due figure scomode e così legate ai governi liberali, e la nomina di sostituti vicini al regime fascista. 11

Le epurazioni o trasferimenti punitivi colpirono anche, e non poteva essere diversamente, diversi componenti dell’Agmi, spesso diffidati direttamente da Mussolini in persona.

La svolta autoritaria venne pienamente incarnata da Alfredo Rocco, nominato ministro nel 1925, che istituì nel 1926 il Tribunale Speciale (difficile era infatti trovare tra i magistrati ordinari soggetti disposti a svolgere attività repressiva antifascista) e venne rafforzata la gestione dei trasferimenti d’ufficio, dipendente ora dalla stesso Ministro e mirata ad eliminare tutti i componenti non politicamente allineati al regime. Nel 1925 venne anche approvata la nuova legge sulla dispensa dal servizio per “incompatibilità con le direttive politiche” ed estesa, nonostante le proteste in aula di componenti fascisti quali lo stesso Oviglio, alla magistratura. L’obiettivo della riforma era chiaro e venne esplicitato sia da Rocco che da Mussolini: il governo, si diceva, doveva realizzare la rivoluzione fascista e ciò significava “eliminare dalla compagine burocratica gli elementi che non rispondevano spiritualmente a quelle che erano le direttive politiche e morali del fascismo”, 12 magistrati inclusi

11 A.Meniconi, Storia della Magistratura, pag.149 12 A.Meniconi, Storia della Magistratura, cit. pag.150

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(l’estensione del decreto nei loro confronti avvenne nel 1926). I primi ad essere colpiti furono i vertici dell’AGMI, che si era già sciolto il 21 Dicembre del 1925, in seguito alla riforma dei rapporti collettivi di lavoro e dei sindacati.

Le riforme fasciste avevano aggravato il “carrierismo”, che già piagava il corpo giudiziario (basti pensare alla prassi delle raccomandazioni che non era mai cessata), rendendo in tutto e per tutto simile la posizione dei magistrati rispetto agli altri funzionari pubblici. E se a ciò si aggiunge la svolta in senso gerarchico di quegli anni, la carriera dei magistrati dipendeva interamente dalle scelte e dagli apprezzamenti dei superiori, tutti rigorosamente scelti dal governo, indebolendo forse ancor più di quell’esterna, l’indipendenza interna e ritornando ad un sistema che per certi versi ricordava quello dei primi decenni dell’Italia post-unitaria. La centralità degli uffici direttivi, segnatamente della Cassazione, fu accentuata quando, nel 1926, il presidente della Corte di Cassazione venne posto a capo del C.S.M, di fatto consegnando a questi il potere più assoluto sui destini dei magistrati di grado inferiore.

Nel 1932, l’allora ministro Pietro De Francisci, successore di Rocco, chiese espressamente ai capi delle corti, nell’ambito della riforma delle promozioni di quell’anno, di inviare al ministro “un parere sulla condotta pubblica e privata del magistrato e sulle sue speciali attitudini ai vari rami del servizio”; due anni dopo, il ministro fu ancora più esplicito, ordinando ai capi delle Corti di valutare, ai fini della progressione di carriera, le “benemerenze politiche” dei giudici 13 (quali l’iscrizione al PNF o la partecipazione alla marcia su Roma): l’indipendenza della magistratura, in sostanza, era stata annullata.

Il ruolo del Ministero di Giustizia, presso cui operavano soprattutto magistrati vicini al regime, specialmente dopo la nomina di Rocco, era cresciuto nel corso degli anni ed era di fatto diventato l’organo esclusivo dell’amministrazione, non soltanto della giustizia, ma delle carriere dei magistrati. Sempre più frequente divenne l’uso delle circolari per modificare sia gli aspetti processuali che elementi molto più rilevanti per l’indipendenza dei magistrati, quali i criteri per la progressione ed il reclutamento: la magistratura venne tramutata in un vero e proprio apparato burocratico, al pari di qualunque altra funzione amministrativa, e su di essa dominava la figura del Ministro di

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Grazia e Giustizia. Fondamentale, all’interno del Ministero, era l’Ufficio Superiore del Personale (e degli affari generali), che fu presidiato per ben dodici anni (dal 1932 al 1943) dal magistrato Camillo Cantarano; nei fascicoli personali dei magistrati abbondavano le tracce della sua influenza e dei tentativi continui da parte dei colleghi di entrare nelle sue grazie, al fine di ottenere la tanto agognata promozione o il trasferimento presso una sede più gradita. Molti magistrati, quindi, si adagiarono ai cambiamenti apportati dal Fascismo e, pur non rendendosi paladini del nuovo regime, certo non fecero granchè per ribellarvisi, più interessati alla promozione o al cambio di sede, che a combattere una battaglia probabilmente persa in partenza; i pochi magistrati “ribelli”, infatti, finivano per essere o trasferiti presso sedi disagiate o rimossi dal servizio, senza alcuna garanzia.

E le poche garanzie che erano state introdotte dal decreto Orlando vennero sostanzialmente rimosse: fu infatti eliminata la tipizzazione degli illeciti e lasciata esclusivamente la disposizione residuale ed aggiunta, come causa di dispensa dal servizio, l’incapacità, per qualsiasi altro motivo, ad adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio. Dai consigli disciplinari furono esclusi i componenti elettivi, mentra la composizione della Suprema Corte Disciplinare rimase inalterata, ma la sua attività fu sempre meno frequente ed a fianco dei giudizi per condotte considerate disonorevoli anche in età liberale, si aggiunsero le accuse di disfattismo e antifascismo (circa una cinquantina di casi).

1.6 L’ordinamento Grandi

In realtà la fascistizzazione vera e propria della magistratura arrivò soltanto nel 1941, con l’emanazione del decreto Grandi. Nella relazione alla riforma, il Ministro così spiegava cosa dovesse intendersi per indipendenza della Magistratura: “ Questa

indipendenza nel pensiero giuridico moderno non importa già che la giurisdizione costituisca un potere autonomo dello Stato, dovendo anch’essa informare la sua attività alle direttive generali segnate dal governo per l’esercizio di ogni pubblica funzione: ma

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significa soltanto che la giurisdizione non deve subire influenze perturbatrici dei suoi giudizi, da qualsiasi parte provengano. 14

In questa ottica si pongono le numerose modifiche introdotte dall’ordinamento Grandi: il carattere di pronuncia giurisdizionale attribuito in precedenza alla decisione della Suprema Corte Disciplinare veniva soppresso, trasformandosi in mero parere da riferire al Ministro della Giustizia, detentore esclusivo del potere disciplinare; venivano rimossi dalla composizione della Suprema Corte i senatori, mentre si rafforzava la presenza degli altri magistrati; il procedimento diventava completamente amministrativo ed accentrato, senza possibilità di appello, in quanto, poichè il tutto avveniva in un’unica istanza dinanzi alla Suprema Corte; non era più possibile farsi assistere da un avvocato, ma soltanto da altro magistrato e non era ammesso appello neanche contro le decisioni del Ministro.

Al Ministro era ora espressamente attribuita l’alta vigilanza su tutti i magistrati italiani (prima si parlava di sorveglianza).

La garanzia dell’inamovibilità, che scattava dopo tre anni dal conseguimento del grado di giudice, era indebolita ulteriormente: bastava, infatti, che il giudice non amministrasse giustizia nel modo richiesto dalle esigenze dell’ufficio. Veniva contestualmente istituita un’apposita Commissione Centrale, formata dal presidente e dal procuratore generale della Cassazione e da un magistrato di Cassazione scelto dal Ministro, destinata ad occuparsi proprio di tali trasferimenti, insieme alle ipotesi di dispensa per infermità o debolezza di mente di natura permanente o accertata inettitudine, attraverso un procedimento più breve e meno garantito rispetto a quello previsto dinanzi alla Suprema Corte Disciplinare.

Si ritornava alla unificazione del concorso e dell’uditorato, anche se furono mantenuti distinti i ruoli, consentendo, però, una maggiore scelta tra i due percorsi; tra i requisiti richiesti per accedere al concorso venivano aggiunti l’appartenenza alla razza italiana e l’iscrizione al Pnf.

In materia di promozioni erano poi ripristinate le commissioni nominate dal ministro, sottraendo, in tal modo, la competenza al C.S.M.

Era inoltre ristabilita la possibilità di accedere alla Cassazione per anzianità e non più per solo concorso, ma si abbassava a 65 anni l’età per il collocamento (era settanta). Scarse, invece, le

14 Relazione del Guardasigilli al re, n.29, riportata da Devoto, Ordinamento

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modifiche relative alla revisione della geografia giudiziaria, in quanto l’ordinamento ripropose, in larga misura, l’assetto previsto dalla legge del 1865.

L’ordinamento Grandi, nonostante l’abrogazione di intere sue sezioni, continua ad essere in vigore; in particolare sono diverse le disposizioni di rilievo ancora contenute in esso: si pensi, ad esempio ai capi III, IV e V del titolo secondo in materia di competenza ed organizzazione dei tribunali, Corti d’Appello e Corte di Cassazione, o al capo I del titolo III relativo al Pubblico ministero (costituzione ed attribuzione) o, ancora, agli articoli dedicati alle supplenze ad alle applicazioni (art.110) ed alle ipotesi di incompatibilità (art. 16-19)

1.7 La legge sulle guarentigie

Nel 1946, poco prima del referendum, venne emanata la cosiddetta legge delle guarantigie, il Regio Decreto Legislativo 31 maggio 1946, n. 511 su iniziativa dell’allora guardasigilli Togliatti, che abrogò tutte, o quasi, le disposizioni più repressive del Decreto Grandi, il quale, tuttavia, rimase il testo di riferimento per la normativa sull’ordinamento giudiziario: le riforme più importanti riguardarono l’estensione dell’inamovibilità relativa alla sede anche ai pubblici ministeri, ma restava la possibilità del trasferimento d’ufficio, per tutti i magistrati, qualora questi non potessero amministrare giustizia “nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario” (art.2, comma 2) e fu mantenuto il potere di alta sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari, mentre quello sui pubblici ministeri venne modificato da direzione a vigilanza.

Titolare dell’azione disciplinare restava il Guardasigilli, ora affiancato dal procuratore generale della Cassazione, ma il giudizio spettava alla Corte Disciplinare (che ritornava ad operare) e ai tribunali disciplinari, che venivano contestualmente istituiti; la novità principale consisteva nel fatto che tali organi godevano di giurisdizione piena e le sentenze emesse non erano soggette ad alcun gravame da parte del Ministro di Giustizia (ad eccezione di alcuni, limitati, casi di revisione).

Restava predominante, tuttavia, la struttura gerarchica all’interno degli uffici, poichè ai dirigenti continuavano ad essere assegnati poteri di sorveglianza.

Il CSM fu reso elettivo, ma potevano farne parte soltanto magistrati di almeno quarto grado, sicchè il controllo dello stesso

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restava saldamente in mano ai vertici della magistratura, accentuando il fenomeno della gerarchizzazione. L’organo aveva il potere di esprimere parere vincolante sui trasferimento di ufficio di giudici inamovibili e nei casi di dispensa per infermità, debolezza di mente ed inettitudine, mentre restava meramente obbligatorio il parere nel caso di trasferimento di ufficio di pubblici ministeri. Fu inoltre reso nuovamente competente in materia di scrutini per le promozioni in Corte d’Appello ed in Cassazione. Restava al Ministro il potere di assegnare incarichi direttivi, e tenuto conto del sistema interno agli uffici giudiziari, è semplice capire come, soprattutto a livello di indipendenza interna, non fossero stati compiuti passi in avanti rispetto al sistema fascista. Come per l’ordinamento Grandi, anche la legge sulle guarentigie è rimasta in vigore. Particolare menzione meritano i prime tre articoli, dedicati, in varia misura, all’inamovibilità. Il primo articolo (I magistrati non possono essere privati delle funzioni e dello stipendio, collocati in aspettativa, in disponibilità o a riposo, oppure essere destinati ad altra sede o ad altre funzioni, se non nei casi e nelle forme previsti dal presente decreto) non ha necessitato di interventi, in quanto risulta conforme all’art.107, comma 1, della costituzione. Il riferimento a tutti i magistrati rappresentò una piccola rivoluzione nel 1946 e fu oggetto di ampia discussione in seno all’Assemblea Costituente. Per quanto riguarda il secondo articolo, questo verrà ampiamente trattato nei capitoli successivi, mentre il terzo attiene alla dispensa dal servizio in ipotesi in cui un magistrato non può adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio per qualsiasi infermità, giudicata permanente, o per sopravvenuta inettitudine. Tali situazione patologiche possono essere permanenti o temporanee, nel secondo caso il magistrato può, su conforme parere del Consiglio superiore, essere collocato di ufficio in aspettativa fino al termine massimo consentito dalla legge.

É inoltre ammesso, ove la situazione l'infermità o la sopravvenuta inettitudine lo consenta, di svolgere attività amministrative presso il Ministero della Giustizia, nei limiti dei posti disponibili. In ogni caso, il parere sulla dispensa spetta al Consiglio superiore della Magistratura.

Le ragioni di tale dispensa sono facilmente intuibili: il magistrato, infatti, si trova in una condizione psico-fisica non adeguata a svolgere le proprie funzioni, con relative conseguenze, non soltanto sul regolare andamento dell’amministrazione della

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giustizia, ma sulla stessa indipendenza ed imparzialità del magistrato.

2. L’inamovibilità nei lavori preparatori ed in Costituzione

2.1 Le prime sedute: il problema dell’inquadramento del Pubblico Ministero

Le prime questioni sull’inamovibilità e più in generale sul titolo IV della Costituzione, iniziarono ben presto in assemblea costituente e seppur condivisa fosse l’intenzione di modificare il sistema magistratuale allora vigente, molto differenti furono gli approcci adottati. La prima riunione sul tema è del 5 Dicembre del 1946, quando Giovanni Leone si soffermò sulla importanza di abolire la distinzione della magistratura per gradi ed “ introdurre

una visione nuova del potere giudiziario, che va pertanto distinto in organi e non in gradi ” 15 L’obiettivo era quello di realizzare “

l'indipendenza da qualsiasi forza estranea al potere giudiziario per quanto attiene all'organizzazione delle promozioni e ad attuare lo sganciamento del corpo giudiziario dalla gerarchia degli altri impiegati dello Stato ” ; restava da capire come ciò si 16 sarebbe realizzato e quali magistrati sarebbero stati coinvolti. Strumentale a tale obiettivo era certamente il principio di

15 Seduta 5 dicembre 1946 Assemblea Costituente,

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16 Seduta 5 dicembre 1946 Assemblea Costituente,

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inamovibilità, di cui si iniziò a discutere circa un mese dopo: nella seduta datata 8 Gennaio 1947, l’allora relatore Calamandrei chiese se l’inamovibilità dovesse o meno essere riconosciuta , 17

domanda a cui l’onorevole Targetta rispose osservando “ che la Costituzione francese stabilisce l'inamovibilità soltanto per i magistrati giudicanti, [...] che la situazione che è stata creata al Pubblico Ministero dal decreto Togliatti del maggio 1946, che gli ha esteso l'inamovibilità, sia pure in forma meno piena che ai giudici, non sia facilmente migliorabile senza creare inconvenienti.” 18

Il problema dell’estensione della garanzia di cui sopra al Pubblico Ministero fu tema profondamente dibattuto in Assemblea, destinato ad incidere sia sulla formulazione dell’art 107, che, più in generale, sulla disciplina costituzionale della magistratura inquirente.

Nella seduta del 10 Gennaio, infatti, tema centrale fu proprio il ruolo da assegnare a tale figura: prevalse la tesi che lo configurava come un Magistrato, sostenuta proprio da Calamandrei, oltre a Mannironi ed Ambrosini, con relativa estensione dell’inamovibilità, mentre più complesso fu definire il rapporto con il potere esecutivo. L’onorevole Leone Giovanni, infatti, che aveva proposto anche di rimuovere la garanzia dell’inamovibilità, propose di inserire che “ Il Pubblico Ministero

dipende dal Ministro della giustizia ” . 19

La proposta di Leone non era infondata, in quanto storicamente il Pubblico Ministero era sempre stato sottoposto alla direzione del ministro di Giustizia e si trattava, al contempo, di capire quanto si volesse sganciare il potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato; era chiaro che accettare la figura di un pubblico ministero come magistrato (titolare della inamovibilità) indipendente dal potere esecutivo rappresentava, al tempo, una vera e propria rivoluzione, come peraltro dichiarato da diversi costituenti, la quale avrebbe certamente causato risvolti politici, tra cui particolare peso assumeva l’esautorazione del Ministro di Giustizia, fino ad allora vero e proprio “dominus” della magistratura inquirente.

17 Seduta 8 Gennaio 1947 Assemblea Costituente,

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18 Seduta 8 Gennaio 1947 Assemblea Costituente,

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19 Seduta 10 Gennaio 1947 Assemblea Costituente,

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A complicare le discussione ci pensava la difficoltà di inquadrare precisamente la figura del Pubblico Ministero, che, come giustamente affermato dall’onorevole Laconi, era “ un organo che

ha un doppio carattere. È organo del potere esecutivo, in quanto promotore dell'azione penale, e conferisce alla pubblica accusa tutti i crismi della legalità; né possono esservi preoccupazioni sulla legalità della sua azione, in quanto si tratta di un magistrato, che gode in pieno delle garanzie della Magistratura e, in primo luogo, della inamovibilità.

Occorre quindi studiare come conciliare i due caratteri; mantenere la figura del magistrato, con le garanzie relative, e porlo sotto l'alta direzione del Ministro, dandogli la figura di rappresentante del potere esecutivo ” . 20

Si giunse infine a votare tale proposta:

“ Il Pubblico Ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati ed è sottoposto alla vigilanza del Ministro della giustizia”, di cui

soltanto la prima parte fu approvata, poichè si ritenne il secondo inciso come in contraddizione rispetto al primo .” 21

Restava da capire in quale articolo inserire la disposizione ed a quale momento della carriera dei magistrati collegare la garanzia; si decise di inserire la disposizione nell’allora art 23 (destinato a diventare l’attuale art. 107) e di scegliere quale dies

a quo la conclusione del periodo di tirocinio.

Questo l’articolo votato alla fine della seduta:

«I magistrati di qualunque grado, sia giudicanti che del Pubblico Ministero, diventano inamovibili dopo il tirocinio. Essi non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, retrocessi, trasferiti ad altra sede o anche semplicemente destinati ad altre funzioni se non col loro consenso, ovvero per deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dalla legge sull'ordinamento giudiziario».

2.2 La posizione del Ministro di Grazia e Giustizia

Non vennero presentati ulteriori mozioni fino all’approvazione del primo progetto di costituzione elaborato dalla Commissione, ad eccezione dell’emendamento, presentato da Calamandrei ed approvato il 30 Gennario del 1947, il quale stabilì che “ Il potere di promuovere l'esame disciplinare contro i magistrati spetta al 20 Seduta 10 Gennaio 1947 Assemblea Costituente

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Ministro della giustizia, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario”. 22

Tale emendamento, tuttavia, non fu inserito nell’articolo 107 (al tempo articolo 99), ma nell’art.105 (allora art.97).

L’emendamento Calamandrei nasceva dal dibattito, successivo alla approvazione dell’ art. 23 di cui sopra, sul ruolo residuo da assegnare al Ministro della Giustizia. Sempre durante la seduta del 30 Gennaio, l’onorevole Targetti aveva proposto di inserire un comma 3-bis, il quale stabiliva che “ Il Ministro della giustizia

provvede alla organizzazione dei servizi relativi

all'Amministrazione della giustizia ed esercita l'alta vigilanza sul funzionamento dei servizi stessi e degli uffici giudiziari” . 23

Il timore di Targetta era che il ministro di Giustizia, privato di qualunque potere, non avesse più alcun senso di esistere; per citare le sue parole, l’onorevole affermò “ di ritenere necessario

includere l'articolo proposto, a meno che non se ne voglia includere uno opposto, che cioè stabilisca la abolizione del Ministro. Siccome non crede che questo sia il desiderio di alcuno dei Commissari, crede opportuno, specialmente dopo che si è approvata la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura estromettendone il Ministro, vicepresidente, affermare la sopravvivenza del Ministro della giustizia, anche in regime repubblicano, con l'affermazione di queste mansioni. Dire che il Ministro esercita l'alta vigilanza sul funzionamento degli uffici giudiziari è quanto meno si possa dire della funzione che logicamente spetta al Ministro della giustizia.” 24

2.3 Il rapporto tra Magistratura e gli altri poteri dello Stato

Quello della posizione da assegnare al Ministro di Grazia e Giustizia rappresentava soltanto una parte del problema più generale costituito dai rapporti tra la magistratura, riconosciuta dall’art 104 come potere dello stato (anche se definito ordine) e gli altri poteri: così come si era riconosciuta la Presidenza del CSM, organo preposto ad attuare le garanzie costituzionali nei confronti dei magistrati, al Presidente della Repubblica (e la vicepresidenza ad uno dei componenti laici), per evitare che il CSM e più in generale la magistratura, diventassero organi di autogoverno, così si cercò di mantenere un colllegamento tra la

22 Seduta 30 Gennario 1947 Assemblea Costituente 23 Seduta 30 Gennario 1947 Assemblea Costituente 24 Seduta 30 Gennario 1947 Assemblea Costituente

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stessa ed il potere esecutivo, anche se in forma debole, come dimostrato dall’approvazione dell’emendamento Calamandrei. Anche dopo l’approvazione del primo progetto definitivo , le posizioni in seno all’assemblea non furono tutte concordi, tra chi si dichiarava soddisfatto, come l’onorevole Bozzi, poichè “ era

stato sancito solennemente il principio della distinzione rispetto alla sola funzione, e non più ai grad i” 25, chi lamentava che l’inamoviblità non fosse sufficiente a garantire l’indipendenza, soprattutto quella interna, quali l’onorevole Crispo, il quale ebbe a dire che “L'inamovibilità è, difatti, una garanzia soltanto per quei giudici che hanno raggiunto i supremi gradi della carriera, o che sono al termine di essa, per modo che, nell'uno o nell'altro

caso, non possono avere alcuna preoccupazione di

avanzamento. Il giovane magistrato, invece, che ha il legittimo desiderio di farsi innanzi, e d'essere promosso ai gradi superiori, non è mai del tutto indipendente, perché, ove non sia gradito, egli avrà davvero la sua particolare inamovibilità, quella di restare sempre allo stesso posto, nello stesso grado.

Non si risolve, adunque, il problema della indipendenza o della competenza morale del giudice, quando si pretende di garantirla con la inamovibilità stabilita nell'articolo 99.

Questo articolo 99, per altro, demanda al Consiglio Superiore della Magistratura il giudizio sulla dispensa o sulla sospensione dal servizio, sulle retrocessioni, sui trasferimenti o destinazioni ad altra sede o funzione, per modo che la garanzia dipende dalla deliberazione del Consiglio Superiore, e su di essa può evidentemente influire il modo in cui è composto il Consiglio stesso”. 26

C’erano, inoltre, coloro che lamentavano che la funzione di pubblico ministero affidata al Ministro della giustizia nei procedimenti disciplinari a carico di magistrati potesse tramutare il Ministro stesso da promotore di giustizia in giudice, consigliando di trasferire tale funzione al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, e chi, ancora, suggeriva una contestuale riforma dell’ordinamento giudiziario per evitare che il “carrierismo” minasse l’inamovibilità dei magistrati: per citare le parole dell’onorevole Vinciguerra “ se una

modifica vi deve essere nell'ordinamento giudiziario, io mi augurerei che fosse la modifica che desse, come unico sistema 25 Seduta 6 Novembre 1947 Assemblea Costituente

26 Seduta 7 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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di promozione, quello dell'anzianità e lasciasse libera soltanto la facoltà, a chi lo vuole, di poter avere la promozione attraverso il concorso per esami. Niente promozioni per il solo merito, distinto o meno che fosse. Vi sono le promozioni di categoria e di grado, le quali, affidate al potere irrefrenato del Ministro, tolgono ogni valore alla inamovibilità. Non si è fatto molto con la inamovibilità, perché il potere esecutivo, se non ha il mezzo di punire, ha quello di ricompensare. La promovibilità è tra le sue mani un mezzo di influenza tanto efficace, e conseguentemente così pericoloso quanto l'amovibilità; specialmente se si tratta di una promovibilità arbitraria. Per tal modo l'inamovibilità diventa una pura lustra. Ciò ci induce a ritenere che la promozione di grado debba avvenire per l'anzianità di servizio.” 27

Le diverse rivendicazioni avevano tutte un fondamento e portarono a quella situazione di compromesso rappresentata dal titolo IV della costituzione e, per quanto qui interessa, dell’articolo 107: non si deve infatti dimenticare che l’Italia viveva un momento fondamentale della sua storia, ma pur sempre di transizione: cambiamenti eccessivamente radicali, soprattutto nei rapporti tra i poteri dello stato (ed il riconoscimento della magistratura come potere rappresentava in sè una piccola rivoluzione), avrebbero potuto causare problemi di difficile risoluzione. Per citare le parole illuminanti dell’onorevole Villabruna: “ Certo, la soluzione ideale difficilmente si può trovare in questa materia. Da un lato v'è l'aspirazione di rendere la Magistratura più indipendente possibile; dall'altro, v'è una esigenza che tutti avvertiamo: non possiamo considerare la Magistratura come un astro isolato e vagante al di fuori di ogni sistema. Anche la Magistratura deve muoversi nell'ambito della sovranità dello Stato e deve collaborare con gli altri poteri dello Stato, per l'attuazione di tale sovranità. Sì, è difficile trovare una soluzione ideale; mi pare tuttavia che il progetto, su questo punto, abbia trovato una soluzione abbastanza felice, allorquando, dopo aver stabilito le necessarie garanzie, le opportune difese, che possono garantire l'indipendenza della Magistratura nel suo funzionamento interno, sia per quanto riguarda la carriera dei magistrati, sia per quanto riguarda il governo interno della Magistratura di fronte alla necessità di creare un collegamento tra la Magistratura e gli altri poteri dello Stato, ha stabilito, al capoverso dell'articolo 97, che il Ministro 27 Seduta 7 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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della giustizia promuove l'azione disciplinare contro i magistrati, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario”. 28 O, secondo le parole dell’onorevole Veroni: “ L'onorevole Bozzi ha detto che per

autogoverno si deve intendere soltanto quello amministrativo; ma ciò non è completamente esatto: quando i magistrati chiedono l'autogoverno vanno molto al di là di questa funzione amministrativa che l'onorevole Bozzi vorrebbe riconoscere all'autogoverno stesso. I magistrati vogliono con l'autogoverno poter provvedere essi alle nomine, alla destinazione e alla rimozione dei magistrati, avere l'iniziativa e il controllo della disciplina della classe, governare, insomma, su tutto quello che attualmente costituisce il potere del Ministro della giustizia. Ora nessuno può e deve contestare, alla classe dei magistrati, piena

autonomia ed indipendenza, senza pervenire però a

quell'autogoverno, che farebbe di essi una casta chiusa, quasi appartata dal vivere civile.

Una tale tendenza, che non tutti i magistrati possono volere e possono desiderare, dovendo anch'essa, la classe dei giudici, considerarsi uno degli elementi essenziali della vita febbrile del Paese, condurrebbe il giudice e la sua classe ad appartarsi, per governare unicamente il proprio ordine, per provvedere alla propria disciplina, per amministrarne le finanze, per regolarne l'andamento, ecc.

Ecco perché noi diciamo che il decreto 31 maggio 1946 sulle guarentigie della Magistratura, che prevede la soluzione del problema dell'indipendenza attraverso l'inamovibilità del giudice, ed estendendola anche al pubblico ministero, questo decreto è — secondo l'opinione nostra e secondo quella che era, allora, l'opinione della classe dei magistrati — quanto di più può desiderarsi e concedersi, oltre di che, nelle condizioni attuali del nostro Paese, non è consentito andare”. 29

2.4 Le discussioni finali: il problema del carrierismo ed il rinvio alla legge sull’ordinamento giudiziario

28 Seduta 7 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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29 Seduta 12 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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Il 14 Novembre, l’onorevole Leone Giovanni fece il punto della situazione, affermando, in primo luogo, che l’inamovibilità non poteva che essere così definita, affermando che “La

Costituzione, nel riaffermare solennemente l'inamovibilità del giudice, non può, per il divieto di passare a formulazioni dettagliate, che limitarsi all'affermazione di principio che l'inamovibilità non può essere toccata se non nei casi e con le garanzie previste dalla legge sull'ordinamento giudiziario. Ma è evidente che la nuova legge sull'ordinamento giudiziario dovrà assicurare a questa garanzia dell'inamovibilità il massimo rispetto, trattandosi della fondamentale, elementare, indefettibile condizione per l'indipendenza del giudice. Questo non è soltanto un augurio; è una certezza, anzi è qualche cosa di più che, nella qualità e con la responsabilità di Relatore della Commissione, ho il dovere di sottolineare: è una direttiva che la Carta costituzionale intende segnalare al futuro legislatore dell'ordinamento giudiziario italiano.” 30

In secondo luogo, con riferimento al problema del carrierismo, a cui si collegava anche il più generale problema dell’indipendenza interna, sottoposta a profonde critiche dall’onorevole Mancini, soprattutto nel momento in cui, si domandava, “ abbiamo fatto penetrare nell'interno della Magistratura il soffio pericoloso dell'elettorato, che naturalmente determina passioni, desideri, risentimenti, favoritismi, ditemi come può essere garantita nell'interno della Magistratura quella indipendenza assoluta che si pretende all'esterno? ” 31

La risposta di Leone Giovanni ribadì, da un lato, come non fosse la Costituzione il testo relegato ad occuparsi di disposizioni specifiche sull’avanzamento di carriera, dall’altro, che aver stabilito che i magistrati si distinguessero solo in base alle funzioni rappresentava un punto di svolta in quanto “ Tale

affermazione sta a significare che l'ordine giudiziario si articola non in base ad una gerarchia di gradi, che è incompatibile con la pienezza dell'essenza giurisdizionale, ma in base ad una distinzione di attribuzioni, cioè di competenze.

Da tale principio possono derivarsi alcune applicazioni pratiche notevoli, e cioè:

30 Seduta 14 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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31 Seduta 14 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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a) innanzitutto, si realizzerà quell'auspicato sganciamento della carriera dei magistrati dalla equiparazione ai gradi dell'amministrazione statale, che costituisce un serio ostacolo per una urgente impostazione del problema della retribuzione dei magistrati;

b) in secondo luogo, si potrà ritenere, come esattamente avvertiva l'onorevole Calamandrei, che lo stipendio del magistrato ed, in generale, la stessa carriera dal magistrato, come progettava Zanardelli, non debba essere in relazione al grado, bensì ad altri elementi, tra i quali l'anzianità. 32

In entrambi i casi, come si vede, Leone Giovanni rimetteva alla nuova legge sull’ordinamento giudiziario - che nelle idee dei costituenti avrebbe dovuto seguire poco dopo ed abrogare l’ordinamento Grandi - il compito di attuare specificamente i principi sanciti in Costituzione; sfortunatamente, come sappiamo, ciò non avvenne, contribuendo e non poco, a prolungare una situazione di incertezza, dovuta al fatto che il testo di riferimento rimase il decreto Grandi (il quale, come visto nel capitolo 1, muoveva da presupposti completamente opposti a quelli costituzionali), aggravata ancora di più dall’istituzione tardiva, soltanto nel 1958, del CSM, che soprattutto durante i suoi primi anni di funzionamento, non placò i dubbi di coloro che si erano interrogati sulla effettività dell’indipendenza interna. Durante gli ultimi giorni di lavoro di assemblea si ritornò a discutere dell’allora art.99:

I magistrati sono inamovibili.

Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, retrocessi, trasferiti o destinati ad altra sede o funzione se non col loro consenso o con deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, per i motivi e con le garanzie di difesa stabiliti dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

I magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di gradi.

Il pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati.

2.5 La stesura finale: il problema irrisolto del Pubblico Ministero

32 Seduta 14 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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Se è vero che non crearono particolari patemi i primi tre commi, assai più discusso fu l’ultimo comma, relativo alle garanzie da assegnare al Pubblico Ministero.

La questione risultava particolarmente delicata, data la complessità della funzione, che, come giustamente ravvisato in assemblea, venne definita come figura dai contorni non precisi, per citare le parole dell’onorevole Targetti . Più precisamente, fu 33 l’onorevole Grasso a proporre di modificare l’ultimo comma e collegare la discliplina delle garazie alla legge sull’ordinamento giudiziario. L’onorevole, infatti, faceva giustamente notare come inevitabile fosse, per il pubblico ministero, in virtù della sua funzione di difesa degli interessi dello Stato all’interno di tutti i processi di cui fosse parte, il rapporto con il potere esecutivo, sicchè non modificare l’ultimo comma avrebbe significato inserire una disposizione eccessivamente rigida e rischiosa, mentre molto più flessibile risultava rimettere alla legge ordinaria (che, tuttavia, tardò notevolmente ad arrivare) la specificazione delle ulteriore garanzie da assegnare al pubblico ministero. 34

Si ritenne, citando le parole dell’onorevole Bettiol, che “le

funzioni del pubblico ministero non devono essere incapsulate accanto a quelle del giudice, ma devono essere tenute distinte. È proprio dei regimi totalitari il concetto di voler considerare il pubblico ministero come un organo della giustizia, mentre in tutti i regimi liberali esso è considerato come un organo del potere esecutivo” 35

La soluzione finale adottata fu certamente il risultato di un compromesso. Che fu causa di diversi problemi interpretativi, di cui parleremo a breve. Non credo, tuttavia, che l’esito potesse essere differente: troppo forte, da una parte, il retaggio storico (ed anche il confronto con la Francia), e troppo rischiosi i risvolti politici, se fosse passata la prima versione dell’allora art.99.

Il testo coordinato dal Comitato di Redazione fu il seguente:” I

magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata con il loro consenso, o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario.

33 Seduta 26 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

http://www.nascitacostituzione.it

34 Seduta 26 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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35 Seduta 26 Novembre 1947 Assemblea Costituente,

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Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare.

I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Il testo è sostanzialmente rimasto invariato, ad eccezione del primo comma, che ha ricevuto alcune modifiche formali, che non hanno, tuttavia, alterato il significato sostanziale.

Questo l’attuale art.107 della costituzione:

I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso.

Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare.

I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

2.6 Analisi dell’art. 107

Quando si parla di inamovibilità, si fa riferimento ad una garanzia che non riguarda esclusivamente i magistrati, essendo essa prevista anche per certi settori della pubblica amministrazione, al fine di garantire lo svolgimento delle funzioni in condizioni di autonomia ed indipendenza. La peculiarità della norma qui esaminata sembra debba essere ricercata, in primo luogo, nel fatto che essa, per la sua collocazione, conferisce alla detta garanzia la copertura costituzionale: la quale, oltre che per il profilo formale, sembra di particolare incidenza per il fatto che sottolinea la preminente funzione strumentale che ad essa deve essere attribuita.36 Il legislatore ha infatti introdotto un ulteriore strumento per l’attuazione dei principi di indipendenza e autonomia previsti all’art 104, comma 1. In secondo luogo, il

36 G.Branca e AA.VV, Commentario alla Costituzione, La magistratura, Art.

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riferimento espresso ai magistrati comporta l’applicabilità dell’istituto sia alla magistratura giudicante che a quella requirente, per le quali, tuttavia, tale norma va coordinata con la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 107 (vedi infra).

L’inamovibilità, inoltre, si estende, oltra che alla sede, anche alla funzione, sebbene non vi sia ancora accordo sul significato da attribuire a tale termine, ossia se si intenda fare riferimento alla funzione come tipo generale, ovvero alla specifica attribuzione di un ufficio. Al di là del dubbio interpretativo, tuttavia, sembra sia legittimo affermare che con essa si conferisce allo stato giuridico del magistrato un carattere di stabilità permanente, che lo rende del tutto autonomo anche nei confronti dell’organo di governo della magistratura.37 Il primo comma dell’art.107, infatti, può essere visto come estensione dell’art. 105: il legislatore ha attribuito soltanto al C.S.M. il potere di emettere provvedimenti che possono incidere sulla garanzia in questione, ma allo stesso tempo ne delimita l’ambito di intervento, in quanto tali atti possono essere emanati solo alle condizione elencate nel I comma, vale a dire il consenso del magistrato, ovvero per i motivi previsti dalla legge, (introducendo sul tema una riserva) ed in tale ultima circostanza devono contestualmente essere rispettate le garanzie di difesa, disposte dalla stessa legge. Da tale considerazione deriva anche l’assunto che l’inamovibilità del magistrato può essere superata solo nei casi in cui il suo operato sia suscettibile di sindacato in sede, lato sensu, contenziosa , 38

poichè è soltanto in tale sede che possono operare le garanzie di difesa.

Si badi bene, tuttavia, che la garanzia di inamovibilità non assume, a differenza della garanzia di indipendenza ed autonomia ex art.104, valore assoluto ed incondizionato, ma può incontrare limiti ogniqualvolta vi sia l’esigenza di tutelare diverse situazioni giuridiche che pure trovano copertura costituzionale. Non è un caso, infatti, che il legislatore, proprio nell’art.107, abbia operato un rinvio alla legge sull’ordinamento giudiziario: si deve quindi parlare di garanzia tecnico-strumentale, che esiste fintanto che questa serva a garantire l’autonomia dell’ordine giudiziario (indipendenza esterna), ma soprattutto l’indipendenza

37 G.Branca e AA.VV, Commentario alla Costituzione, La magistratura, Art.

104-107, pag 142

38 G.Branca e AA.VV, Commentario alla Costituzione, La magistratura, Art.

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