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L'importanza dell'etica nella gestione aziendale

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia

Management e Controllo

Tesi di laurea

L'importanza dell'etica nella gestione aziendale

Il caso Paper Converting Machine Company Italia S.p.A.

Il Candidato

Egerta Hoti

Il relatore

Prof. Marco Giannini

Il correlatore

Dott. Riccardo Salvadori

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INDICE

Introduzione ……….……….… Pag. 4

Capitolo 1

Etica Morale e la sua declinazione in ambito aziendale

1.1

Razionalità Limitata………..……….… » 17

1.2 Libertà Responsabile………..… » 18

Capitolo 2

Gestione del Personale e l’Azienda come comunità

2.1 Leadership……….… » 24

Capitolo 3

Crisi Aziendali ed Obiettivi di breve e lungo periodo

Capitolo 4

Strategie e vantaggi competitivi

4.1 Innovazione……….………..……….… » 46 4.2 Sostenibilità………..………..… » 49 4.3 Comunicazione…...………..… » 55 4.4 Reputazione………..………..… » 59 Conclusioni……….……….… Pag. 61

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Capitolo 5

Il Caso Aziendale

Introduzione

……….………... Pag. 63 5.1 Cenni storici...…….………..……….… » 65 5.2 La Crisi e la Ristrutturazione………..… » 72 5.3 Il Successo e la Crescita..………..… » 75

5.4 La revisione delle Procedure Organizzative.………..… » 79

5.5 La Sfida………....………..… » 82

5.6 Strategy Deployment, Comunicazione e Fiducia…………..…… » 83

Conclusioni

……….………... Pag. 87

Bibliografia ……….……….… Pag. 89

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INTRODUZIONE

Ogni impresa è un sistema complesso che opera in una realtà articolata.

Tale complessità oggi è costituita dalla variabilità delle esigenze dei mercati, dalla pluralità degli interessi spesso fra di loro contrastanti, seppur legittimi, dalle problematiche associate agli impatti di diversa natura che la gestione di ogni attività comporta, dalla necessità spesso di dover ricercare punti di compatibilità tra esigenze di sostenibilità e business, dalle esigenze di competitività, dalla ricerca delle necessarie economie di scala e così via

Oggi ogni impresa che intenda dare prosperità duratura al proprio business non può sottrarsi dal tentativo di governare tale complessità.

La difficoltà del contesto nel quale le aziende oggi si trovano ad operare comporta che qualsiasi modello di gestione, preso a sé stante, rappresenti una riduzione di tale complessità e, come tale, non è in grado di cogliere in modo appropriato le esigenze di ogni singola impresa.

Occorre quindi un approccio flessibile che avvicini il modello alla realtà. Ciò è perseguibile solo attraverso una cultura nuova, capace di declinare per quanto necessario, in modo semplice, una molteplicità di modelli, o parti di essi, integrabili e configurabili secondo le esigenze di ogni singola impresa rappresentando di volta in volta una soluzione adattata, attraverso una stringente logica di senso, al contesto interno ed esterno all'azienda.

L'obiettivo di questa tesi è quello di analizzare alcuni modelli che portano ad un vantaggio competitivo derivante da strategie aziendali incentrate sulla dimensione etica e morale delle scelte aziendali.

Normalmente si parla di etica e morale in tante discipline e stona sentir parlare in un ambito aziendale. Andremo ad analizzare come questo concetto, puramente filosofico, viene adottato in una realtà economica.

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L'etica porta con sé altri due concetti fondamentali che è la responsabilità sociale delle imprese e la libertà responsabile. La responsabilità dell’impresa assume una connotazione più ampia, non essendo più limitata alla necessità di garantire un profitto a coloro che forniscono il capitale ma dovendosi estendere alla tutela degli interessi di tutta una serie di interlocutori sociali con i quali l’impresa tesse una fitta rete di rapporti e di interazioni e che sono in grado, direttamente o indirettamente, di condizionarne le sorti.

La libertà responsabile si traduce nell'importanza che si dà alle persone coinvolgendole, incrementando la loro consapevolezza e la loro motivazione, stimolando la loro iniziativa e dando un contributo in più al miglioramento dell'azienda. Questo approccio gioca un ruolo importantissimo al conseguimento di un ottimo risultato economico.

Tutto ciò può essere possibile solo se si crea un clima aziendale diretta a stimolare il senso di appartenenza delle persone, attivando rapporti di solidarietà, la piena condivisione degli obiettivi aziendali.

In questo modo ogni azienda sarà diretta al profitto e solo così potrà portare avanti il suo senso di eticità, mettendo al sicuro le persone che lavorano.

Il ruolo centrale viene assunto dal leader etico e quindi colui che aumenta la soddisfazione e il benessere del lavoratore, aumenta i comportamenti pro sociali, migliora la significatività del compito con ripercussioni positive sulla performance lavorativa, crea un ambiente dinamico, protettivo e soprattutto di fiducia.

Proprio per il suo fine economico il concetto di etica verrà spesso messo in discussione in quanto l'attività aziendale ripercuote in un ambiente dinamico e in continuo cambiamento. Parliamo dell'azienda sotto i colpi della crisi e il conseguente approccio nei confronti dell'etica.

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Il primo passo per fare fronte alle situazioni di crisi è l'esigenza di trovare un vantaggio competitivo da poter dare una prosperità duratura al proprio business. Ad oggi il vantaggio competitivo passa attraverso il business sostenibile e quindi strategia etica che diventa una delle condizioni di sopravvivenza e sviluppo di lungo periodo.

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CAPITOLO 1

Etica Morale e la sua declinazione in ambito aziendale

L'azienda, nella definizione tradizionale o, meglio, in un certo stile di management, è il luogo dove si produce, si deve rendere, il cui unità di misura è il profitto. A primo impatto, etica, morale e azienda sembrano tre elementi lontani, distanti, che appaiono quasi in conflitto, come due mondi le cui dimensioni sembrano incomunicabili, quasi a rappresentare il bene da una parte ed il male dall'altra. Come primo passo proviamo a dare una definizione alla parola etica e alla parola morale.

L'etica (termine derivante dal greco antico ἔθος (o ἦθος), ethos, "carattere", "comportamento", "costume", "consuetudine") studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale.

Il termine morale, deriva dal latino: moralis, derivante da mos, moris (costume). La morale è l'insieme dei valori o principi ideali in base ai quali l'individuo e la collettività decidono liberamente la scelta del proprio comportamento.

Tali valori si originano dalla realtà sociale, si riferiscono all'organizzazione economica e giuridica, si rifanno alle tradizioni di una collettività e quindi mutano nel loro percorso storico perciò possiamo dire che la morale viene definita in base al contesto storico in cui ci troviamo.

Spesso i termini etica e morale sono usati come sinonimi, ma si presume vi siano una o più differenze. Accade però spesso che una coppia di parole, entrate con lo stesso significato in una lingua, vengano poi convenzionalmente usate per esprimere significati leggermente diversi.Nel caso di etica e di morale non esiste però nessuna convenzione universalmente accettata. Noi faremo una distinzione di

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questo tipo: «morale» indica le norme di comportamento, «etica» la riflessione sul fondamento, la possibilità, l'applicabilità delle norme di comportamento.

Quindi possiamo dire che la morale è l’insieme dei principi generali che guidano il nostro comportamento e le nostre relazioni; l’Etica è la pratica, la modalità della loro applicazione. E’ difficile dare una definizione dell’etica perché non è solo morale ma soprattutto propensione a fare il bene, a preoccuparsi degli altri. Essere etici non significa solo fare ciò che si deve fare, ma farlo al meglio, cioè bene. Normalmente si parla di morale in ambito sociale, politico, religioso, dove il termine non è dissonante, si amalgama bene con il contesto e non desta domande. A nessuno stona sentir parlare di morale in tali contesti. Quando invece si inizia a parlare di morale, o comportamento morale, sul posto di lavoro, o in azienda, sembra che si vogliano accostare temi molto lontani fra loro.

Non si tratta più di un tema di competenza esclusiva di filosofi, moralisti o sociologi; così, si correlano i valori etici, ad esempio, al sistema legislativo ed a quello giuridico, alla politica, alla comunicazione, alla medicina, allo sport, all'arte in tutte le sue varie manifestazioni, alle varie professioni, quella del medico, dell'insegnante, dell'ingegnere o dell'architetto. Quindi anche di coloro che esercitano l'attività economica, quest'ultima percepita negli aspetti e nelle dimensioni le più diverse: manifatturiera, finanziaria, dei servizi; la si affronta anche in termini dimensionali, ed allora, la si correla all'economia globale, a quella locale, ai possibili settori, alle aziende multinazionali ed a quelle regionali, alle grandissime unità economiche ed alle minori aziende.

Cosa è l’etica nel contesto aziendale attuale? Possiamo considerarla solo un insieme di regole? E le regole sono un limite, allo sviluppo dell’impresa, o le fondamenta per la sua costituzione e crescita?

Se l’etica è una branca della filosofia che indaga intorno al comportamento pratico dell'uomo di fronte ai due concetti del bene e del male, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti e la morale è la caratteristica della condotta umana, che influisce sulla

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collettività, allora l’etica e la morale nel contesto aziendale sono il modo di interpretare il proprio ruolo professionale nella società in funzione delle attese dei diversi portatori di interesse aziendale. Ma lo stesso ruolo dell’impresa intesa come portatrice ultima dei diversi interessi aziendali nella società è oggi un ambito di riflessione e discussione.

Apparentemente questo tema offre più domande che risposte.

Le recenti crisi finanziarie di scala globale hanno dato occasione di ripensare alle dinamiche economiche e di diffondere l’idea che il libero mercato e la responsabilità sociale sono due aspetti inscindibili. Non c’è libero mercato se non c’è responsabilità sociale?

È noto che molti concetti molto importanti dell'etica e della politica hanno subito una notevole evoluzione col trascorrere del tempo1.

In base a quali parametri è possibile valutare l’attività di un’impresa?

Uno dei concetti più importanti che abbiamo sinora imparato è che l’obiettivo principale di chiunque svolga un’attività imprenditoriale è quello di conseguire il più elevato profitto possibile, cioè di massimizzare, attraverso un’opportuna combinazione delle risorse materiali, umane e finanziarie a sua disposizione, la differenza positiva tra i ricavi e i costi di produzione. Secondo tale impostazione, dunque, il parametro fondamentale sarebbe proprio il profitto, vale a dire la capacità dell’impresa di aumentare la ricchezza di coloro che hanno fornito all’impresa stessa il capitale necessario, cioè dei cosiddetti shareholders.

La teoria secondo la quale l’impresa deve rispondere del proprio operato ad un’unica categoria di soggetti, gli azionisti, affonda le sue radici nella concezione utilitaristica dell’economia tipica della scuola classica e di autori quali Smith e Ricardo, secondo i quali le scelte dei singoli operatori economici, guidate esclusivamente dall’obiettivo del massimo guadagno personale e non ostacolate o vincolate dall’intervento esterno dello Stato, conducono ad una situazione

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10 socialmente ottimale, cioè al massimo utilizzo delle risorse e al pieno impiego della forza lavoro.

La scuola classica, dunque, non nega il ruolo sociale delle imprese, vale a dire il fatto che esse abbiano una responsabilità non solo nei confronti di chi ha fornito loro il capitale ma anche della collettività, ma ritiene che esse assolvano automaticamente tale compito nel momento in cui perseguono i propri interessi; la ricerca del profitto, quindi, garantendo gli interessi degli azionisti, garantirebbe anche gli interessi dell’intera collettività (crescita del reddito, piena occupazione ecc.).

In epoca abbastanza recente, tale impostazione è stata sostenuta da un economista del calibro di Milton Friedman, secondo cui l’unica responsabilità sociale dell’impresa è la massimizzazione del profitto (Capitalismo e libertà, 1962), poiché solo in tal modo si garantisce l’utilizzo ottimale delle risorse e la creazione di posti di lavoro, così da ottenere un impatto positivo sulla società civile, ed ha favorito l’elaborazione di teorie più sofisticate incentrate sulla necessità dell’impresa di creare valore per gli azionisti cosiddetti Shareholders Value Approach2. In ogni caso, che si tratti semplicemente di ottenere il massimo profitto

o, in modo più sofisticato, di creare valore, il concetto di base non cambia: la realizzazione degli obiettivi degli azionisti è la stella polare dell’attività dell’impresa e deve guidare il management nell’assunzione delle decisioni più importanti.

L’idea secondo la quale ciò che fa felici gli azionisti fa felice automaticamente l’intera collettività ha cominciato ad essere messa seriamente in discussione negli Stati Uniti intorno agli anni ’30 del secolo scorso, quando le drammatiche conseguenze della grave crisi del 1929 e i tentativi , in buona parte riusciti, di

2 Il termine inglese shareholder vuol dire semplicemente azionista. Con l'espressione shareholder

value approach si fa riferimento a una concezione della gestione d'impresa, prevalente nel mondo anglosassone, rivolta soprattutto al rendimento del capitale, ossia alla profittabilità. Il contesto teorico di riferimento è l'economia neoclassica, per la quale il contributo dell'impresa al benessere sociale sta nella sua produttività e competitività. Il modello shareholder value approach si contrappone al modello stakeholder value approach, noto anche come modello renano perché è tipico dell'Europa continentale

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11 scaricare i costi dei fallimenti finanziari sulle classi medie misero a nudo le inefficienze di un sistema basato in modo spinto sul libero mercato e, soprattutto, evidenziarono come gli obiettivi dei differenti gruppi sociali non fossero necessariamente convergenti. Il sostanziale fallimento delle teorie economiche liberiste, di impostazione classica e neoclassica, e il contemporaneo successo di quelle keynesiane, basate sulla necessità di un intervento diretto dello Stato nell’economia, finalizzato a realizzare una maggiore equità sociale anche attraverso politiche economiche redistributive del reddito e della ricchezza (il cd. Welfare State), misero dunque in primo piano la necessità di ripensare al ruolo sociale delle imprese e di abbandonare una concezione che privilegiava il solo interesse degli azionisti. Si trattava, in altri termini, di considerare l’impresa non più soltanto come una macchina per la produzione di profitti ma come parte integrante di un ambiente più ampio, costituito da una pluralità di forze economiche, politiche e sociali che interagiscono con l’impresa stessa e nei cui confronti essa è responsabile. Occorreva mettere in discussione, quindi, l’idea per la quale l’impresa si fa carico di tali responsabilità nel momento stesso in cui tende alla realizzazione del profitto. Le drammatiche conseguenze sociali della crisi del 1929, l’aumento generalizzato dei livelli di inflazione e di disoccupazione causato dalla grave crisi petrolifera mondiale dei primi anni ’70, il comportamento spregiudicato di molti gruppi multinazionali che hanno sfruttato le risorse dei paesi più poveri senza contribuire al loro sviluppo, l’esplodere dei problemi ambientali e, soprattutto negli ultimi anni, il succedersi di scandali finanziari hanno dimostrato che le cose non stanno esattamente così e che la dimensione economica dell’attività delle imprese non può essere perseguita senza tenere conto dei suoi effetti sociali. Proprio in quanto parte di un contesto più ampio, non più limitato ai suoi azionisti, all’impresa si chiede oggi di essere etica, oltre che efficace ed efficiente.

Sebbene questa nuova concezione del ruolo etico e sociale delle imprese abbia cominciato a diffondersi intorno agli anni ’30, è solo negli anni ’80 che essa ha ricevuto una vera e propria formalizzazione teorica, grazie alla teoria degli

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12 stackeholders3 elaborata da Robert Edward Freeman.

Tutto ciò però non esclude di prendere in considerazione l'etica di Kant, per trovare i fondamenti su cui costruire un'impresa etica centrata su uomini e donne.

Kant sosteneva:

Si diventa cittadini smettendo di essere sudditi, riconoscendo:

1. tanto maggiori i guadagni, tanto maggiori i doveri nei confronti della collettività

2. espulsione per chi si sottrae alle proprie responsabilità

3. punizione per chi maltratta i propri inferiori

4. tassazione equa e fondo di assistenza per coloro che hanno subito incidenti sul lavoro

Cominciava così a delinearsi il concetto di responsabilità sociale delle imprese (in inglese Corporate Social Responsibility, CSR4), secondo il quale la responsabilità

dell’impresa assume una connotazione più ampia, non essendo più limitata alla necessità di garantire un profitto a coloro che forniscono il capitale ma dovendosi estendere alla tutela degli interessi di tutta una serie di interlocutori sociali con i quali l’impresa tesse una fitta rete di rapporti e di interazioni e che sono in grado,

3gli stackeholders sono tutti quei soggetti che, in maniera più o meno diretta, sono portatori di

interessi nei confronti dell’impresa, influenzandone l’attività ed essendone nel contempo influenzati. Si tratta, com’è evidente, di una categoria molto ampia, nella quale rientrano sia coloro che sono in grado di esercitare una pressione diretta e immediata sull’attività dell’impresa (i cd. stackeholders primari, come i proprietari, i dipendenti, i fornitori, i clienti e i concorrenti) sia quei soggetti che, pur non interagendo quotidianamente con l’impresa, sono comunque in grado di influenzarne nel lungo termine i comportamenti, influendo ad esempio sul clima sociale e sul contesto generale in cui l’impresa si trova ad operare (i cd. stackeholders secondari, tra i quali rientrano, ad esempio, i sindacati, le associazioni di consumatori, i mass media).

4 La Responsabilità sociale d'impresa (nella letteratura anglosassone corporate social

responsibility, CSR) è, nel gergo economico e finanziario, l'ambito riguardante le implicazioni di natura etica all'interno della visione strategica d'impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d'impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività.

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13 direttamente o indirettamente, di condizionarne le sorti.

Dare una maggiore importanza al ruolo etico e sociale delle imprese e alla loro responsabilità nei confronti di una vasta categoria di soggetti non vuol dire affatto mettere in secondo piano il profitto, che è e resta l’obiettivo principale dell’impresa, ma significa solo sottolineare come l’adozione di un comportamento socialmente responsabile costituisca oggi la condizione necessaria per ottenere un risultato economico soddisfacente.

Si tratta di una convivenza difficile, quasi impossibile di due mondi differenti di pensare e di operare, oppure è una correlazione intima, una congiunzione feconda e profonda?

Non è una domanda di immediata risposta dato che quando parliamo di etica, facciamo riferimento a un concetto che, per sua natura pura, non dovrebbe richiedere compromessi. È altrettanto vero che, in un ambito economico, per poter assumere un comportamento etico, si richiedano senz'altro compromessi. Come possiamo notare, tutto ciò cade in contraddizione, appunto per la natura stessa dell'etica morale.

E' evidente che potrebbe essere utile trovare un equilibrio tale da poter svolgere l'attività aziendale, la quale ha come scopo il profitto, fondamentale per la sua sopravvivenza.

Gli obiettivi di profitto o in generale performance sono intesi non coincidenti o addirittura divergenti rispetto agli obiettivi di eticità. L'elemento sulla base del quale possiamo trovare una sorta di convergenza fra etica e profitto riguarda la stabilità di medio periodo. Le strategie di massimizzazione del profitto sono supportate da una organizzazione stabile, persone motivate e allineate con valori dell'azienda. Non esiste il raggiungimento del profitto senza una cura delle persone che presentano la loro opera in azienda. Negli anni si è tentato di ridurre la variabilità della produttività fra le persone impiegate in azienda attraverso sistemi che prescindono dalla motivazione. Eccetto rari casi, questa strada si è rivelata un

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fallimento.

Ancora oggi le persone motivate sono più produttive di persone poco motivate. Come facciamo a incrementare il grado motivazionale delle persone?

Ci sono sistemi di incentivazione economici, ma anche questi, eccetto alcuni casi, non sono riusciti a cambiare le cose.

Facciamo riferimento alla piramide dei bisogni di Maslow5.

Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari, necessari alla sopravvivenza dell'individuo, ai più complessi di carattere sociale.

L'individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. Questa scala è internazionalmente conosciuta come "La piramide di Maslow".

Cosa migliora la motivazione dopo che un dipendente riesce facilmente a mantenere la propria famiglia?

5Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di

"Hierarchy of Needs" (gerarchia dei bisogni o necessità) e la divulgò nel libro Motivation and Personality del 1954

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L'efficienza degli incentivi economici diminuisce drasticamente con l'aumentare degli incentivi economici (utilità marginale della retribuzione è decrescente). Chiediamoci cosa ci fa alzare la mattina con gioia e intenzioni di impegno. I medici di “Medici senza frontiere” fanno in condizioni di pericolo per la propria vita, una cosa che farebbero comodamente stando nel proprio paese di nascita, con livelli retributivi eccellenti. Cosa li motiva? Un fine superiore, il prestare la propria conoscenza ai dimenticati, ai perseguiti a tutti coloro che hanno bisogno. E' il giuramento di Ippocrate (la regola) che in conseguenza della morale, soggettiva, delle persone fa sì che, liberamente, si carichino di gravosi e rischiosi compiti che la maggior parte delle persone non è disposta ad accollarsi.

La motivazione nasce se esiste un fine superiore, non misurabile o quantificabile, che spesso si trova nell'area di definizione della morale. Leadership e etica facilitano lo sviluppo della motivazione ma non ne sono l'elemento fondamentale. Quale fine superiore possiamo trovare nella nostra attività giornaliera in azienda se il successo dell'azienda non è considerato un fine superiore, ma anzi un appropriarsi del valore della propria opera da parte dell'azienda? Anche se lo trovassimo, varrebbe per tutti? In una fase di crisi la salvezza del posto di lavoro unisce le persone che operano in azienda. Cosa dobbiamo cercare di fare per motivare le persone che operano in una azienda che riscuote successo sui mercati, che ha performance eccellenti dal punto di vista patrimoniale, economico e finanziario?

Noi intendiamo riflettere sull'uomo e sui suoi comportamenti e, quindi, anche su quelli di natura economica, in particolare, in questo momento ci interessano i presupposti che lo guidano, che lo spingono e lo stimolano a fare e che, pertanto, costituiscono il suo costante punto di riferimento e di confronto.

Come è possibile parlare compiutamente di etica e morale da attribuire alle aziende? Quali sono i principi economici cui ci riferiamo?

Non c'è dubbio che l'operatività giornaliera in un'azienda crea una certa correlazione fra valori di etica, morale e performance aziendali. La correlazione

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consiste nel capire se etica, morale e profitto possano essere tre obiettivi che tendono a mantenere un percorso parallelo all'interno dell'azienda oppure potrebbero comportare delle convergenze. D'altra parte, possiamo dire, che questa correlazione è conseguenza di un'estesa attività di mediazione culturale, e quindi, espressione della dimensione raggiunta dalla cultura dell'ambiente6 in cui

l'organizzazione aziendale disegna la propria traiettoria di vita. I valori di etica, morale e cultura aziendale possono condurre a definire i codici di comportamento degli individui. Il giusto equilibrio tra questi tre elementi potrebbe permettere all'azienda di parlare di etica e di morale in ambito economico nonostante l'etica e la morale non sia un concetto puramente economico.

Precedentemente abbiamo detto che la morale è un insieme di principi generali che guidano il nostro comportamento e le nostre relazioni ma se ci soffermiamo ad analizzare, per un attimo, la natura umana e alcune sue facoltà, notiamo la capacità delle persone di distinguere il bene dal male: la ragione, l’ispirazione, l’intuizione e la coscienza soprattutto. Un'altra facoltà che appartiene alle persone è quella di acquisire un comportamento etico in base alla volontà di ognuno di noi. La volontà, in questo contesto, viene intesa come la nostra capacità di poter perseguire delle scelte e quindi decidere se si vuole avere un comportamento etico o meno.

Tutte queste facoltà, in effetti, funzionano ma a condizione che siano state educate e programmate in modo corretto. Purché si sia ricevuto un insegnamento dell’etica e della morale, che è proprio quella di insegnarci “cosa fare e come fare”. In altre parole di fornirci una “mappa” per poterci orientare7.

Perfezionare la parte razionale umana e lo sviluppo graduale delle virtù umane, potrebbe essere l'obiettivo della pratica dell'etica.

6 Armstrong, M. (2003): Manuale per la gestione delle risorse umane, Practice, KoganPage,

London

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1.1 RAZIONALITÀ LIMITATA

L'etica è quindi un fatto di ragione. Ogni essere razionale possiede la morale e cioè un bagaglio di principi, in quanto sente il dovere e la necessità di scegliere.

La teoria economica classica presuppone che l'individuo, l'homo oeconomicus, sia dotato di razionalità assoluta e che effettui delle scelte in base ad una funzione di utilità, capace di fissare degli obiettivi in base a delle preferenze che vengono ritenute univoche e stabili; individuare tutte le possibili alternative percorribili per raggiungere quell'obiettivo e scegliere l'alternativa che ottimizza il raggiungimento degli obiettivi.

Nella realtà tutto ciò è difficile che accada dato che risulta alquanto improbabile che un soggetto possa essere a conoscenza di tutte le alternative di azioni possibili e per di più, la raccolta delle informazioni ha un costo. Bisogna considerare anche che le preferenze degli individui cambiano e non possono essere rappresentate in maniera rigida.

Da queste considerazioni deriva il concetto di razionalità limitata nella quale si suppone che un soggetto non sia a conoscenza di tutte le alternative possibili e delle conseguenze che ne derivano dato che la razionalità limitata prevede che gli individui abbiano una percezione imprecisa delle proprie preferenze.

Un'interpretazione più realistica della razionalità viene rappresentata dalla intersoggettività, ossia la consapevolezza che le scelte dei soggetti sono condizionate anche dalle scelte effettuate da altri soggetti dotati di autonomia. Ed è esattamente qui che nasce il concetto di libertà in azienda. Senza libertà, è evidente che non si possa parlare di agire morale.

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1.2 LIBERTA' RESPONSABILE

Ma quando scegliamo si è veramente liberi? Abbiamo una vera libertà in azienda o siamo condizionati dalle nostre scelte da regole, usanze, abitudini, rapporti e relazioni con i colleghi e con i superiori? Posso esprimere il mio pensiero senza incorrere in problemi o senza che venga giudicato in modo che la mia crescita in azienda ne venga compromessa? Posso dimostrare e rendere palesi le mie debolezze o semplicemente di poter esprimere il fatto di non conoscere qualche cosa, senza che questo comprometta la mia reputazione? E una volta che anche lo facessi, troverei un ambiente che mi permetta, mi lasci libero di portare avanti ciò che ho scelto?

La risposta probabilmente, è che non c'è una vera libertà in azienda, perché non c'è un ambiente che la promuove, ma che piuttosto la limita.

Senza libertà sembra evidente che non si potrà parlare di agire morale.

Senza libertà si subirà, ovviamente, la perdita di quello slancio, di quella iniziativa delle persone e anche quella limitazione di crescita che è merce preziosa per il conseguimento degli obiettivi che una azienda si prefigge.

Ovviamente non è una libertà senza controllo, ma una libertà il cui confine viene lasciato alla valutazione della persona. Il lavoro del leader sarà quello di far capire a ogni persona il proprio confine in quel momento, così da poterlo riconoscere e agire in libertà dentro quell'ambito, chiedendo aiuto quando gli eventi necessitino azioni più grandi di lei.

E quindi come dovrebbe procedere un'azienda per poter effettuare questo tipo di crescita del personale?

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CAPITOLO 2

Gestione del personale e l'azienda come comunità

Azienda come comunità di persone: “clima aziendale”

Qualunque unità aziendale è una “comunità di persone” i cui comportamenti, le persone, appunto risultano organizzate e coordinate per realizzare un'attività economica, cioè per attivare un processo di creazione del valore, impegnando strumenti ed adottando modalità d'uso direttamente conseguenti alle conoscenze possedute dai componenti di quella comunità.

Non si tratta pertanto, di un semplice “insieme” di persone riunite per motivi del tutto occasionali, né di pura “organizzazione”: l'azienda dovrebbe essere molto di più; essa rappresenta ed esprime visivamente l'unione di più persone, le quali intendono raggiungere i medesimi obiettivi perché spinti dagli stessi valori, condividendo le difficoltà che si frappongono al conseguimento delle mete prefissate, contribuendo ad individuare ed a disegnare i percorsi operativi più idonei al loro raggiungimento, interagendo per armonizzare e comporre unitariamente gli interessi che possono apparire fra loro divergenti od in contrasto.

In effetti una collettività di persone assume valenze comunitarie quando i suoi componenti agiscono reciprocamente e nei confronti di altri, non appartenenti alla collettività stessa, anteponendo più o meno consapevolmente i valori, le norme, gli interessi della collettività a valori, norme e interessi personali.

Le caratteristiche di ogni comunità e, pertanto, anche di quella aziendale, si ritrovano nel fatto che i soggetti che la compongono scelgono di maturare una specifica identità, scelgono di acquisire un elevato senso di appartenenza e attivano fra loro rapporti di solidarietà.

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20 In effetti, ogni organismo aziendale si caratterizza e si individua per l'attività economica che esso realizza, per le capacità professionali e le abilità richieste, per le tecnologie impiegate, per la qualità dei beni fabbricati e dei servizi resi, per il modo di rapportarsi alle altre unità aziendali che operano sul medesimo scenario, per la sensibilità ambientale avvertita nell'attivare i processi di creazione del valore, per i modelli organizzativi adottati ecc.

I rapporti che si creano fra i componenti la comunità aziendale, non hanno il solo carattere della reciproca conoscenza quando esiste, ma della solidarietà nel senso che i successi degli organi e delle funzioni aziendali, sono i successi di tutto l'organismo socio – economico, come le difficoltà gestionali di un organo risultano pesi sopportati dall'azienda nel suo insieme.

Comunità vuol dire piena condivisione, parità reciproca fra i componenti, pur nelle differenze funzionali individualmente assunte, e questa si realizza quando i modelli di governo aziendale riescono a condurre i vari interessi che si manifestano all'interno dell'unità socio – economica, armonizzandoli con l'ambiente esterno. L'azienda, infatti, deve mantenersi in equilibrio, senza che un gruppo di persone, portatori di uno specifico interesse, prevalga sugli altri.

Occorre riflettere sui modi di manifestazione dei poteri e dei diritti di governo aziendale e sui conseguenti doveri e responsabilità, poiché il mancato bilanciamento, rappresenta il motivo forte che genera accese tensioni e dannosi conflitti.

Tutti i gruppi di persone interni all'azienda, allora, devono contribuire alla predisposizione delle linee strategiche ed alla attuazione dei piani operativi, beneficiando tutti dei risultati economici positivi che eventualmente conseguono dalle azioni intraprese: si tratta di predisporre strutture di governo e di controllo in cui i rappresentanti di quei gruppi possano legittimamente e responsabilmente contribuire a disegnare le traiettorie di sviluppo dell'organismo aziendale, senza prevaricare competenze e legittimi poteri, ma considerando il prevalere dell'ottica della concomitanza di interessi piuttosto che quella della contrapposizione.

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21 Pur essendo numerosi gli elementi che contribuiscono a creare quello che potremo definire “clima aziendale8”, spesso non sono percepiti come tali e soprattutto ne

viene sminuita l'importanza, rivelando negli attori interni all'azienda una miopia gestionale che mina inesorabilmente la comunità aziendale, provocando nel medio andare disastrosi risultati gestionali e compromettendo l'armoniosità della struttura patrimoniale.

Ad esempio la presenza di capi dispotici, arroganti e “distanti”, generalmente caratteristiche di persone non autorevoli e miopi, contribuisce a creare un'atmosfera di sfiducia e di tensione. Analoghi effetti sono provocati dal seguire procedure non trasparenti nell'assunzione del personale dipendente, dall'adozione di un sistema incentivante troppo verticistico, che fa godere dei vantaggi derivanti dal raggiungimento di positivi risultati economici solo i componenti dell'alta direzione e pochi altri, oppure dall'implementazione di una struttura retributiva di cui non sono chiare le meccaniche di assegnazione.

Anche la definizione di obiettivi gestionali non tanto ambiziosi o sfidanti, quanto irraggiungibili, stressa inutilmente la struttura e genera un diffuso senso di sfiducia, come sentirsi “lontani” dal centro del potere aziendale. Del resto, non esiste sentimento più nocivo al buon clima aziendale che il sentirsi isolato, non percependo più il senso dell'appartenenza alla comunità aziendale che invece dovrebbe agire come unità di intenti; il servizio del lavoro viene prestato senza provocare emozioni ed avvertire interesse, mentre si percepisce un diffuso senso di alienazione e la singola persona si sente trascurata, inutile, non compresa, incapace, sfruttata, generando lassismo nell'assunzione di responsabilità, noncuranza per efficace ed efficiente realizzazione dei processi di creazione del valore, menefreghismo per i risultati aziendali raggiunti o raggiungibili.

8Il clima aziendale è un fenomeno percettivo ed è per questo che La grande sfida della

psicologia del lavoro consiste nel valorizzare il rapporto tra organizzazione e persone,

evidenziando come organizzare un lavoro non voglia dire solamente renderlo più produttivo, ma anche più gradevole, è puntando anche sugli aspetti impliciti, informali, simbolici, latenti nelle organizzazioni che si può valorizzare e rendere più dignitoso il lavoro stesso come fonte di soddisfazione e benessere e come uno dei mezzi atti a migliorare la qualità della vita.

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22 Per questo è importante che i valori aziendali siano non tanto descritti in una specifica “carta” quanto consapevolmente condivisi dalla globalità delle persone che compongono la comunità aziendale perché espressione di un comune orizzonte culturale

Ogni azienda, ovviamente, così facendo, sarà diretta al profitto, alla generazione di risorse finanziarie. Il profitto remunera gli azionisti, permette di fare nuovi investimenti, mette al sicuro l'azienda, quindi le persone e le loro famiglie per il futuro sempre che non si rivelino investimenti sbagliati. Investire di per sé non mette al sicuro l'azienda. Anzi, il senso dell'investimento è assumere nuovi rischi. Riguardo alla soddisfazione del cliente, miglior prezzo, miglior qualità, tempi di consegna più brevi, non li abbiamo dimenticati, continuano ad essere fondamentali per la continuità dell'attività aziendale. Ma tutti questi risultati non si ottengo grazie alle persone?

Ogni decisione che si prende in azienda coinvolge sempre le persone quindi bisogna prendersi cura delle persone, trasmettere a loro che valgono, che sono importanti, renderle partecipi e coinvolgerle nei processi, far sì che percepiscano ciò che fanno come proprio, e loro raggiungeranno gli obiettivi importanti per l'azienda, per il bene di tutti.

I macchinari possono aumentare la produttività a un tasso misurabile, le procedure nuove possono portare a notevoli miglioramenti, ma solo le persone sono in grado di produrre stupefacenti “salti quantistici”, sono capaci di fare dieci volte di più di quanto avrebbero pensato9.

E allora cosa c'è di rischioso?

Il rischio è di perdere di vista la misura e rimanere abbagliati dalla necessità di ottenere il massimo profitto. L'ossessivo fine di ottenere il massimo profitto, oltre a generare un ambiente di lavoro non idoneo allo sviluppo di relazioni armoniche,

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23 fa sì che l'imprenditore o il manager; in questo caso non si può parlare di leader, si apra alla possibilità di scelte che possono mettere tutta l'azienda in difficoltà.

Per esempio la scelta di contrarre ulteriori debiti, per ulteriori investimenti (nuovi impianti, capannoni, macchine, personale), in un mercato instabile e con un fatturato non consolidato, rischia di rivelarsi un boomerang disastroso quando il lavoro diminuirà e i costi resteranno. (Infatti, per definizione, il massimo profitto è “il massimo” e difficilmente si ottiene sempre il massimo ogni anno).

Allora l'imprenditore valuterà razionalizzazioni del personale, con riduzioni o spostamenti della produzione in aree del mondo a basso costo di mano d'opera, tenderà a ridurre in modo anche irrazionale i costi, andando a intaccare gli investimenti volti alla sicurezza e al rispetto dell'ambiente, senza contare l'impatto, ovviamente non positivo, sulla vita delle persone,

L'ossessivo fine di portare l'azienda al massimo profitto, e quindi, un atteggiamento miope dell'imprenditore riguardo le esigenze aziendali, abbiamo detto che può mettere tutta l'azienda in difficoltà.

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24 2.1 Leadership

Fino a qui abbiamo indicato cosa c'è da fare, invece ora vedremo anche come si può fare. Vale a dire come si può introdurre in azienda una leadership etica ed essere un leader etico?

Prima di tutto definiamo il termine leadership etico.

La leadership etica è un concetto relativamente recente; a seguito dei frequenti scandali non solo in ambito aziendale, ma anche in quello politico, la ricerca ha cominciato a focalizzarsi sullo studio dell’etica e dei valori.

Tuttavia è bene non generalizzare, anzi questi esempi servono proprio a differenziare i leader etici da quelli assolutamente non etici.

Gli scandali aziendali, politici, religiosi, hanno prodotto un’attenzione particolare al valore della moralità e dell’integrità nel leader. Ma quando un leader è etico? La risposta sta nella definizione di etica e cioè la definizione dello status di un certo comportamento e la distinzione di quest'ultimo in buono o cattivi, in giusto o ingiusto, moralmente lecito o moralmente inappropriato.

La leadership etica riguarda, quindi, cosa i leader dovrebbero fare. Parlare di etica nelle organizzazioni significa parlare dunque di un tema che risente moltissimo delle condizioni storiche, culturali, giuridiche ed economiche che caratterizzano un determinato contesto in un certo momento. Questa definizione di etica ha dunque una contraddizione interna: dovrebbe essere oggettiva e razionale ma, allo stesso tempo, essendo valori e cultura-dipendente, non può che risentire della cornice storica, contestuale e culturale entro cui parliamo di etica.

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La leadership etica 10 viene definita come “la dimostrazione di condotte

normativamente appropriate attraverso le azioni personali e le relazioni interpersonali, e la promozione delle stesse condotte ai dipendenti attraverso una comunicazione a due vie, il rinforzo, il decision-making.” Avere condotte normativamente appropriate, ad esempio, tramite onestà, fiducia, parità e cura, è la base per rappresentare un modello da imitare (Bandura, 1986).

La leadership etica non è solo qualcosa “che è giusto fare”, “che si deve fare perché è giusto essere etici ed integri dal punto di vista morale”, certo è importante essere etici, ma essere etici è innanzitutto vantaggioso ed utile.

È stato studiato infatti che la leadership etica, la congruenza di un leader con condotte normativamente appropriate ha effetti benefici, in questo caso, sui dipendenti:

 Aumenta la soddisfazione e il benessere lavorativo11

Quando una persona sta bene ed è soddisfatta del proprio lavoro, migliora anche la performance e la produttività aziendale, con inevitabili vantaggi per il leader che è il portavoce e il rappresentante principale dei risultati raggiunti.

 Aumentano i comportamenti pro sociali12

Le persone, percependo di essere in un’organizzazione giusta, si aiutano di più, ovvero assumono tutti quei comportamenti pro sociali e di altruismo non esplicitamente richiesti né pagati nel contratto di lavoro ma che comunque giovano all’organizzazione (ad es. aiutare i colleghi). In un’azienda dove c’è altruismo, la performance e la produttività migliora.

10 Fonte: Brown, Trevino e Harrison (2005, p. 120) 11 Fonte: Avey, Wernsing, Palanski, 2012

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 Migliora la significatività del compito con ripercussioni positive sulla performance lavorativa13

 I dipendenti considerano il compito più importante quando ad esso si associano giusti i valori e le credenze condivise. Questo porta a farli lavorare meglio e ad avere performance migliori.

 Il 62,5% della varianza nella fiducia è spiegata dalla leadership etica14 In

altre parole non c’è fiducia se non c’è etica. La fiducia è fondamentale per la relazione leader-dipendente, in quanto solo se il dipendente da fiducia, legittima la posizione del leader, legittima le sue decisioni, e dunque le facilita, le appoggia e le rende più efficaci.

 I leader etici vengono valutati più positivamente dai propri subordinati15.

Per raggiungere questo obiettivo serve una visione chiara e coinvolgente, all'interno di un nuovo modello di business sostenibile, volta alla crescita personale16.

Quindi si parla molto di vision17 e cioè l'insieme degli obiettivi di lungo periodo

che i leader vogliono definire per la propria azienda. Il manifesto della vision dovrebbe essere tale da spronare i membri dell'organizzazione e renderli orgogliosi di farne parte.

Il grande rischio della vision è che restino solo parole. Una vision deve essere all'interno di un modello di business sostenibile.

13 Fonte: Piccolo, Greenbaum, Den Hartog, Folger, 2010 14Fonte: Craig, Gustafson, 1998

15Fonte: Brown et al., 2005

16 Sergio Casella, La Morale Aziendale 2014

17Con il termine Vision si intende l'insieme degli obiettivi di lungo periodo che il Top

Management vuole definire per la propria azienda, comprendere anche la visione generale del mercato e l'interpretazione di lungo periodo del ruolo dell'azienda nel contesto economico e sociale. Viene utilizzato nella gestione strategica per indicare la proiezione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori e le aspirazioni di chi fissa gli obiettivi

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27

Come abbiamo detto in precedenza, il profitto è necessario non solo per gli azionisti, ma soprattutto per garantire un futuro alle persone che lavorano in azienda ma sembra che sia diventato l'unica priorità. Occorre pensare in modo diverso e aprire le menti a nuove forme e dinamiche.

Invece di parlare di profitto, potrebbe esser utile cambiare i termini prima delle strutture: parlare di stabilità economica, che ci viene garantita dalla creazione di un business sostenibile. Tale sistema deve mettere soprattutto al riparo dalle fluttuazioni del mercato, da azioni rischiose volte alla ricerca di elevati profitti spesso temporanei, dalle azioni della concorrenza, dalle crisi economiche. L'obiettivo è ottenere un risultato operativo stabile, anche se non elevatissimo, ma costante.

Ma quali sono i compiti di una leadership, su cosa si deve concentrare un leader etico e cercare di realizzare per far crescere l'azienda in cui opera con questo nuovo modello di leadership?

La leadership deve creare un ambiente dinamico e protettivo. Dinamico, perché deve essere sempre pronto a cambiare per adeguarsi alle mutate esigenze interne ed esterne. È molto difficile lasciar cadere le vecchie idee e le vecchie abitudini, questo perché, anche se non servono più, danno sicurezza, perché le conosciamo. Il leader, quindi, deve promuovere la capacità di cambiamento, generando così un ambiente dinamico.

Protettivo, perché c'è attenzione alla persona, un sincero rapporto di cura, volto alla crescita, all'aiuto del più debole.

Il raggiungimento di questo obiettivo porta all'azienda un grandissimo vantaggio competitivo, perché tocca l'intimo delle persone e queste si spenderanno al massimo delle loro possibilità, perché hanno ricevuto un bene, un'attenzione, una cura e ci daranno indietro il loro impegno

L'elemento fondamentale per costruire un ambiente protettivo è la fiducia. Ci sono eventi che danno l'opportunità di conquistare la fiducia delle persone, soprattutto

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nei momenti più difficili, dove l'emotività gioca un ruolo fondamentale. In queste situazioni, come leader, si ha l'attenzione delle persone e si ottiene la loro fiducia quando si è disposti a mettere in gioco se stessi, il proprio status, la propria condizione e farsi uguali agli altri.

Un altro obiettivo cui un leader deve tenere è quello di creare un ambiente dove tutti possano avere un ruolo che abbia un senso e la libertà di inseguire il successo personale. Si devono mettere le persone in condizioni di esprimersi, di agire, anche di osare. Questa non si ottiene però senza sforzo e impegno, prevede una crescita delle persone.

Tutto ciò di cui abbiamo parlato fino a qui è supportato da una buona comunicazione, una comunicazione aperta, profonda, volta a sostenere la crescita delle persone, ma anche aumentare la comprensione e cioè la consapevolezza e la conoscenza di sé. La conoscenza di sé è la capacità di riconoscere un'emozione in noi stessi, nel momento stesso in cui si presenta, e di poterla utilizzare per dare un risultato, e implica il saperci monitorare, ovviamente significa essere consapevoli di chi siamo e di ciò che si prova.

Se so riconoscere un'emozione e se so gestirla con il mio comportamento, allora saprò cosa fare. Queste capacità che vengono chiamate intelligenza emotiva, ci permettono di comprendere sempre di più noi stessi, ma soprattutto gli altri. Si ha cosi l'empatia creando un contatto con questa persona. Estendendo questa capacità, sarà possibile farlo anche con il team o gruppi di persone attraverso l'abilità sociale. Indubbiamente una buona comunicazione esercita una maggiore influenza sugli altri: se ci si comporta in modo onesto, attento e responsabile nei loro confronti, è molto probabile che si riesce a coinvolgerli e motivarli.

Coinvolgere le persone significa renderle partecipi nella definizione degli obiettivi.

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29 L'organizzazione aziendale prevede un organigramma gerarchico dove più sei in alto, più hai potere, ma non è detto che tu abbia le competenze per prendere tutte le decisioni che necessitano in tutte le aree e per tutte le persone che stanno sotto di te. Questo potrebbe portare a un'inefficienza dovuta proprio dallo scarso o assente coinvolgimento delle persone negli obiettivi.

In definitiva gli imprenditori generano idee e iniziano e costruiscono le imprese. Sono responsabili per le prestazioni delle loro aziende, da aree come il servizio clienti e le vendite alle pubbliche relazioni e lo sviluppo del prodotto. Se gli imprenditori non conducono efficacemente le proprie organizzazioni, le loro organizzazioni potrebbero cominciare a soffrire di fattori come il morale dei dipendenti dell'azienda e le loro scarse relazioni con i clienti.

Sono quattro le caratteristiche fondamentali di una leadership: Visione

Un carattere distintivo di un leader è la sua naturale capacità di definire scenari futuri nuova ponendo le basi per determinare la direzione per la sua azienda, il suo reparto o il team di lavoro. I leader hanno intrinsecamente seguaci e coloro che sono ispirati dai leader si basano su tale capacità. Impostare un percorso per il futuro e stabilire i passi per realizzare la sua visione è ciò che un leader efficace fa per far sì che i suoi dipendenti si muovano nella stessa direzione.

Comunicazione

Avere visione senza buone capacità di comunicazione è poco utile. Un leader ha bisogno di forti capacità di comunicazione per trasmettere indicazioni e orientamenti ad altri leader e dipendenti e per ispirare. Queste due cose, visione e comunicazione, sono essenziali e creano la coesione all'interno di un team. Il leader ha bisogno dei suoi dipendenti per capire come i loro ruoli si allineano con la missione18 e la visione complessiva dell'azienda. Per la sua importanza, il leader

18 La mission ha come scopo ultimo la giustificazione stessa della sua esistenza, e al tempo stesso

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ha bisogno di aiutarli a capire perché dovrebbero condividere la visione. Empatia

L'empatia è la capacità di mettersi a disposizione di un'altra persona e di capire le emozioni che attraversa in una determinata situazione. Questo è un elemento critico dell'intelligenza emotiva19. I leader hanno la capacità di sentire le lotte, la

rabbia, la tristezza e la frustrazione dei dipendenti durante i momenti difficili sul lavoro. Riconoscono anche il ruolo che la vita personale e familiare svolge nella motivazione e nelle prestazioni di un dipendente. Essi mostrano interesse genuino per la vita dei loro dipendenti.

Adattabilità

Mentre i leader devono essere disciplinati abbastanza per restare con le loro convinzioni e scelte durante tempi impegnativi, devono anche essere adattabili. I primi leader del XXI secolo tendono a sottolineare il lavoro dei dipendenti e la leadership partecipativa. Ciò significa che prendono in considerazione gli interessi, le idee e i feedback dei dipendenti. Inoltre rispondono attivamente ai punti di forza e alle debolezze dei loro dipendenti e li mettono in posizioni per avere successo. Assegnano attività che soddisfano i talenti dei dipendenti e aiutano i dipendenti a stabilire obiettivi da raggiungere. In sostanza, ottengono il massimo del loro talento.

Una buona leadership può essere la prima fonte del vantaggio competitivo e può portare risultati nel corso degli anni. La leadership dell’organizzazione è il fattore più importante per determinare il successo aziendale. Il ruolo del top management è decisivo, ma da solo non è sufficiente, in quanto la responsabilità dovrebbe

è più esaustivo e pone e risolve le questioni di fondo relative all'organizzazione. In tal caso può essere visto anche come una sorta di strategiadi lungo periodo. Secondo alcuni un buon mission statement dovrebbe rispondere alle tre domande fondamentali:

Chi siamo?

Cosa vogliamo fare? Perché lo facciamo?

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comunque essere condivisa fra tutti i dirigenti dell’organizzazione. I manager devono assumere un ruolo pro-attivo nel costruire una cultura aziendale che sostenga i comportamenti propensi all’innovazione.

Questo implica che si vada oltre la mera prospettiva degli interessi degli azionisti e cioè al solo profitto. Pensare al solo profitto, limita i diritti di tutti i portatori di interesse e la possibilità di attribuirlo a lungo periodo soprattutto in tempi di crisi. Un eccesso di focalizzazione nel breve porta a risultati non sostenibili nel lungo periodo. Le soluzioni che funzionano nel breve termine spesso hanno effetti collaterali negativi dirompenti a medio-lungo termine.

Questa dimensione è strettamente collegata a quella della leadership: una strategia sostenibile e vincente infatti è spesso figlia della visione a lungo termine e deve essere allineata alla Missione aziendale e alla cultura dell’organizzazione.

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CAPITOLO 3

Crisi Aziendali e obiettivi di breve e lungo periodo

Di solito non si è interessati solo al guadagno ma si tende anche a “strizzare” i costi per produrre velocemente profitto e guadagnare nel più breve tempo possibile. Rimane questo, generalmente, il primo approccio quando si ha un periodo di crisi. Per un'azienda che si trova a dover abbassare i costi di produzione, con l'obiettivo di riuscire a rimanere nel Break Even Point20, in un periodo di tempo limitato, si

tende a ridurre i costi che riguardano, principalmente, il personale. È la soluzione più veloce e di rientro immediato nel contenimento dei costi. Questo perché l'azienda ha un obiettivo da portare avanti e cioè quella di fare profitti, l'essenza di ogni attività economica.

E allora chiediamoci come cambia l’etica aziendale sotto i colpi della crisi? Già in tempi meno drammatici, abbiamo visto esempi clamorosi di aziende che a seguito di un cambiamento strategico hanno modificato l’approccio alla gestione dei rapporti etico-sociali e delle relazioni con il personale: non è un mistero, per esempio, che con l’avvento di Lou Gerstner al vertice dell’IBM, il colosso informatico abbia ridisegnato la propria strategia concentrandosi sui servizi ad alto valore aggiunto e abbia fortemente ridimensionato la struttura per ridurre i costi operativi. Il cambiamento di rotta ha comportato l’abbandono dello stile gerarchico, della politica dell’impiego a vita e di un welfare aziendale che aveva pochi eguali anche in Italia. Più recentemente, un’altra grande multinazionale nota da sempre per il suo stile soft e per la sua attenzione alla responsabilità sociale, la Unilever, ha cambiato strategia concentrandosi sui prodotti a più alta redditività e dismettendo numerosi brand: la conseguenza è stata la chiusura di varie unità e

20 Il Break Even Point è un valore che indica la quantità, espressa in volumi di produzione o

fatturato, di prodotto venduto necessaria a coprire i costi precedentemente sostenuti, al fine di chiudere il periodo di riferimento senza profitti né perdite.

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l’eliminazione di migliaia di posizioni. Un cambiamento non da poco, per un’azienda che ha sempre avuto la politica di non licenziare, se non in casi estremi. Stiamo parlando di aziende leader, ricche di risorse finanziarie, tecniche e umane. Per aziende più “normali”, l’impatto della crisi sarà ancora più pesante su quei valori etici che costituiscono peraltro il fondamento del loro modus operandi. Qui bisogna porsi una domanda, che non è assolutamente retorica: l’etica aziendale è qualcosa di imprescindibile, o è volatile, nel senso che basta poco per modificarla? Dai due esempi di prima (e se ne potrebbero fare tanti altri), la risposta apparirebbe scontata: l’etica aziendale, direbbero i cinici, vale finché le cose vanno bene In tempi di crisi e di licenziamenti e di cassa integrazione, l’etica sembra fare fatica a stare in piedi.

In tempi di crisi, molte aziende hanno fatto tagli al personale, non hanno rinnovato contratti a tempo determinato, o peggio, non hanno dato il superamento della prova a persone che erano in fase di stage o con un contratto a progetto.

La crisi sembra aver acuito il comportamento poco etico delle aziende e sembra aver portato alla ribalta ragionamenti interni come “mors tua vita mea”, (meglio licenzino te piuttosto che me!) La recessione sembra aver fatto perdere di vista a molti il comportamento etico, colleghi un tempo uniti ora si battono per un unico posto di lavoro, le aziende sembrano assumere comportamenti poco eleganti e a volte poco chiari.

La fairness (equità) è una possibilità per le aziende che vogliono riuscire e superare la crisi, dato che un comportamento corretto riconduce sempre ad un comportamento altrettanto corretto. Il lavoratore che percepisce fairness da parte dell’azienda è inevitabilmente indotto a comportarsi bene! La correttezza spinge la gran parte delle persone verso un maggiore impegno ed una maggiore dedizione, che portano sempre ad un risultato lavorativo superiore rispetto alla performance del lavoratore che non percepisce fairness, ma che avverte, invece, scarso comportamento etico da parte della propria azienda. Laddove il lavoratore percepisce un fairness, cioè slealtà e scorrettezza, è portato inevitabilmente a ricambiare con lo stesso atteggiamento; se invece egli percepisce fairness, in

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qualche modo sarà indotto a comportarsi correttamente.

E allora comprensibile quanto sia importante, in tempi di crisi, un approccio etico, un comportamento corretto, anche negli scenari peggiori, perché solo questo aiuta le aziende nei rapporti con i lavoratori e solo questo induce i lavoratori ad adottare lo stesso approccio di correttezza. Adottare un approccio di correttezza significa assicurarsi che i dipendenti si sentano trattati in modo equo e che le decisioni siano prese in modo equo. È necessario riuscire a riconoscere l'importanza che si dovrebbe dare ai dipendenti e talvolta avrebbe maggior valore prestare una rilevante attenzione su come si sentono e se avvertono un comportamento corretto o meno da parte dell'azienda, piuttosto che sul loro livello generale di retribuzione, vantaggi, opportunità di promozione ecc.

Bisogna rendere chiara l'equità. Dare ai dipendenti informazioni complete sul processo decisionale. Fornire spiegazioni chiare per le decisioni, in particolare quelle che potrebbero essere impopolari e scomodo da discutere. Dare a loro l'opportunità di esprimere la loro prospettiva e fornire risposte adeguate ai punti che sollevano.

Una recente ricerca rileva che quando le persone si concentrano sul potere che detengono (cioè il loro controllo sulle risorse), trattano gli altri meno equamente. Tuttavia, quando si focalizzano sul rispetto che hanno agli occhi di altre persone, le trattano più equamente.

Quali sono le conseguenze sui dipendenti che si sentono trattati in modo giusto o ingiusto?

L'elenco dell'effetto che seguono giudizi di equità da parte dei dipendenti è esteso e comprende le prestazioni del lavoro, il comportamento extra ruolo, l'impegno, la fiducia e la ritorsione.

Perché la gente si preoccupa tanto dell'equità?

Una teoria diretta sottolinea che l'incontro con la flessibilità nell'organizzazione del lavoro comunica un messaggio sull'inclusione e il rispetto, che fa sì che i dipendenti si sentano come una parte importante dell'organizzazione e quindi

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vogliono lavorare duramente per conto di essa21.

Ogni organizzazione deve affrontare la sfida di motivare la sua forza lavoro. La ricerca sull'equità organizzativa evidenzia generalmente che i dipendenti sono più motivati quando hanno la percezione che le risorse organizzative sono allocate in modo equo, che le decisioni organizzative sono prese in modo equo e che la loro struttura li tratta in modo altrettanto equo.

In questo modo, un approccio "gestionale caratterizzato da correttezza" motiva i dipendenti a lavorare in collaborazione per il bene a lungo termine dell'organizzazione e dei suoi membri. Un tale obiettivo di contributo tende a rigenerare comportamenti etici e può rappresentare una prima fonte di vantaggio competitivo in azienda.

Ad oggi molte aziende si confrontano con i loro competitors facendo leva su le informazioni che hanno a disposizione per riuscire ad essere sempre all'avanguardia di ciò che potrebbe accadere in modo da essere sempre pronti a ogni cambiamento esterno. Per arrivare ad ottenere questo obiettivo è necessario che si abbandoni l'approccio del management tradizionale, data la loro incapacità di collegare la strategia di lungo termine, e che si adotti il programma di sfruttare la capacità degli asset intangibili22. Questa strategia è diventata più determinante della capacità di investire in asset fisici e investirli efficacemente.23

21 Fonte: Tyler, T. R., & Blader, S. L. 2000

22 Gli asset intangibili sono definiti dalla semplice somma del Capitale Umano – conoscenze e

competenze possedute dalle persone – e delle Proprietà Intellettuali – marchi registrati, brevetti – di una società, tralasciando, ad esempio, quegli elementi che, per quanto legati al capitale umano posseduto, caratterizzano qualità proprie dell’organizzazione: la cultura aziendale, i processi gestionali ecc. Nel tentativo di definire la composizione del Capitale Intellettuale, è bene ricordare che il termine asset intangibili non descrive l’insieme di beni immateriali di un’azienda ma, piuttosto, una serie di risorse non facilmente traducibili in termini finanziari, a causa della mancanza di criteri standardizzati per una loro valutazione monetaria

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CAPITOLO 4

STRATEGIE E VANTAGGI COMPETITIVI

Ogni impresa è un sistema complesso che opera in una realtà articolata.

Tale complessità oggi è costituita dalla variabilità delle esigenze dei mercati, dalla pluralità degli interessi spesso fra di loro contrastanti, seppur legittimi, connessi all'attività di impresa, dalle problematiche associate agli impatti di diversa natura che la gestione d'impresa comporta, dalla necessità spesso di dover ricercare punti di compatibilità tra esigenze di sostenibilità e business, dalle esigenze di competitività, dalla ricerca delle necessarie economie di scala e così via

Oggi ogni impresa che intenda dare prospettive di prosperità duratura al proprio business non può sottrarsi dal tentativo di governare tale complessità.

La difficoltà del contesto nel quale le aziende oggi si trovano ad operare comporta che qualsiasi modello di gestione, preso a sé stante, rappresenti una riduzione di tale complessità e, come tale, non è in grado di cogliere in modo appropriato le esigenze di ogni singola impresa.

Occorre quindi un approccio flessibile che avvicini il modello alla realtà. Ciò è perseguibile solo attraverso una cultura nuova, capace di declinare per quanto necessario, in modo semplice, una molteplicità di modelli, o parti di essi, integrabili e configurabili secondo le esigenze di ogni singola impresa configurando di volta in volta una soluzione adattata, attraverso una stringente logica di senso, al contesto interno ed esterno all'azienda.

É l’etica un vincolo ulteriore all’azienda, un costo, qualcosa che genera uno svantaggio competitivo rispetto ad un’eventuale concorrenza meno etica?

Gli studi degli ultimi 20-25 anni hanno mostrato che il discorso non è così scontato, poiché pare che in molti casi essere etici sia conveniente, anzi alcuni studiosi

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affermano che l’eticità è una delle condizioni di sopravvivenza e sviluppo di lungo periodo dell’azienda.

Di controverso ci si può porre allora un’altra domanda: che valore morale ha comportarsi eticamente quando ciò contribuisce anche al successo competitivo? Per rispondere bisogna innanzi tutto ricordare che l’etica dell’economia aziendale è una disciplina che studia come il decisore del sistema aziendale si rapporta all’etica:

le condizioni per avere delle strategie etiche tali da mantenere in equilibrio il sistema aziendale, includendo in particolare sia le relazioni con l’etica pura e personale di coloro che hanno a che fare con l’azienda, sia rapporti con eventuali membri minoritari del decisore; si può parlare più specificamente in questo caso di etica strategica24 perché una buona strategia etica è anche utile all’azienda ed

al suo profitto.

Facciamo un passo indietro e prima di considerare la strategia etica è necessario adottare una strategia in generale. Quindi proviamo a definire quella che sarà la strategia migliore e in particolare, su ciò che caratterizza una corporate strategy25

veramente efficace. Partiamo dal presupposto che non esiste una corporate strategy corretta per definizione.

Negli anni ottanta, Porter elabora il noto modello delle forze competitive, teso ad indagare le modalità attraverso le quali un'impresa costruisce posizioni di vantaggio competitivo difendibili.

24 Per la Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, il successo aziendale è etico quando è

finalizzato al Bene Comune, cioè quando le strategie aziendali vincenti migliorano le condizioni di vita degli uomini senza discriminazioni e violazione di diritti morali. In questo caso il profitto deve essere uno strumento per realizzare il Bene Comune

25 La corporate strategy è la via lungo la quale un'azienda cerca di creare valore attraverso la

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Cinque forze competitive: 1. Barriere all'entrata,

2. Minaccia di prodotti sostitutivi, 3. Potere contrattuale di acquirenti 4. Potere contrattuale di fornitori,

5. Livello di concorrenzialità tra le imprese.

Sono identificate come fattori in grado di “fare la differenza” nel livello di profittabilità delle industrie e dei relativi segmenti. In aggiunta, il posizionamento competitivo di successo all'interno dei vari settori risulta dipendere non solo dalla struttura dei costi26, ma anche dalla differenziazione delle produzioni. Le strategie

di posizionamento cost leadership27 e differentiation28 che possono essere

applicate in un campo di azione ampio (l'intero settore) o ristretto (focalizzazione su specifici segmenti), richiedono, poi, di strutturare la catena del valore29 interna

all'impresa in modo che le aree di attività primarie30 e attività di supporto31

26 il riferimento è alle tradizionali economie di scala generate da risorse di natura tecnologica o

dall'introduzione di metodi gestionali quali il just-in-time

27 La Cost Leadership è un concetto sviluppato da Michael Porter e utilizzato in strategia aziendale.

Descrive un modo per stabilire il vantaggio competitivo. La leadership dei costi, fondamentalmente, significa il minor costo di funzionamento nel settore, le aziende leader a livello di costo competono sul prezzo e sono molto efficaci in una tale forma di concorrenza, con una struttura a basso costo e gestione

28 La Differentation richiede lo sviluppo di un prodotto o servizio che offre attributi unici che

siano valutati dai clienti e che i clienti percepiscono di essere migliori o diversi dai prodotti della concorrenza

29L'andamento dei costi può essere meglio compreso disaggregando l'azienda nelle sue attività

strategicamente rilevanti. A questo scopo Porter ha proposto lo strumento della catena del valore il valore è qui la somma che i compratori sono disposti a pagare per quello che un'azienda fornisce loro. Al fine di esaminare le aree di intervento per la costituzione di un vantaggio competitivo, nello schema di Porter l'impresa è disaggregata in nove attività interdipendenti, di cui cinque primarie e quattro di supporto.

30 Le Attività Primarie sono quelle connesse alla creazione fisica del prodotto, alla sua

commercializzazione e consegna ai compratori e all'assistenza post-vendita 1) logistica in entrata; 2) attività operative; 3) logistica in uscita; 4) marketing e vendite; 5) servizi.

31 Le Attività di supporto forniscono gli input e l'infrastruttura che consentono lo svolgimento

delle attività primarie. Ogni attività presuppone l'impiego di materiali acquistati, risorse umane e diverse combinazioni di tecnologie. Ad ogni attività si ricollegano i rispettivi costi, di cui viene messa in evidenza la struttura. 1) attività infrastrutturali; 2) gestione delle risorse umane; 3)

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