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Risultati clinici, radiografici e densitometrici delle protesi di rivestimento.

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CAPITOLO 7

COMPLICANZE

COMPLICANZE GENERALI Tromboembolia

La trombosi venosa profonda rappresenta la complicanza più frequente, manifestandosi addirittura nel 50% dei casi, nonostante i progressi della tecnica chirurgica ed anestesiologica. Di questo 50% circa il 20% evolve in TVP prossimale (Ciagett et al. , 1992 ), pur decorrendo spesso in modo asintomatico. I presidi attuabili per la prevenzione della TVP e delle eventuali sequele, quali embolia polmonare, comprendono la terapia eparinica, la precoce mobilizzazione e la elasto-compressione. La profilassi eparinica riduce le percentuali di embolie polmonari mortali, che si abbassano dal 3,4-6% in assenza di terapia , alla 0,1% circa. Attualmente si fa uso di eparina a basso peso molecolare, che viene somministra dal giorno precedente l’intervento. In genere la profilassi si prolunga fino alla completa ripresa deambulatoria del paziente, comunque sempre per 45 giorni circa. Determinante anche la valutazione della situazione flebologica preesistente e degli eventuali fattori di rischio quali età avanzata, immobilizzazione prolungata, il fumo, l’obesità, l’uso di

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contraccettivi orali e le cardiopatie congestizie. Fin dalla prima giornata vengono fatti compiere al paziente esercizi a letto quali dorsiflessione del piede, modesta flessione del ginocchio e la contrazione isometrica del quadricipite.

Perdita Ematica

Durante l’intervento e nel post-operatorio si verifica una perdita ematica. Per tale motivo si somministrano delle emotrasfusioni e talvolta, se il sanguinamento post operatorio é notevole, si ricorre anche circuiti chiusi di drenaggio che consentano la reinfusione del sangue aspirato.

Paralisi Nervose

Le paralisi del nervo sciatico sono imputabili ad errate manovre operatorie, a lesioni traumatiche dovute all’introduzione della strumentario chirurgico, alla posizione del paziente e dell’arto durante l’intervento, oppure possono rappresentare una conseguenza degli atti operatori ( retrazioni, ematomi, compressioni sui piani scheletrici, ecc. ). Nei casi in cui la sofferenza neurogena sia collegata ad uno stiramento connesso alle pratiche operatorie o ad una compressione

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temporanea, generalmente il recupero e pressoché totale. Quando l’insulto nervoso è la conseguenza di compressioni meccaniche persistenti , o di recisioni anche solo parziali, si realizzano deficit neurotrofici irreversibili.

Lussazione

In corso di disamina degli “ advers events” conseguenti agli interventi di protesizzazione dell’articolazione coxofemorale, si nota come la lussazione costituisca una complicanza frequente, con percentuali variabili tra il 3% e lo 0,5%.

Tali percentuali sono relative a protesi i cui componenti vengano posizionati in modo corretto, poiché qualora gli elementi protesici non venissero orientati nella maniera più idonea, la probabilità che si realizzi una lussazione, aumenterebbe notevolmente.

Un cotile eccessivamente valgo ( più di 40° ) , o eccessivamente antiverso ( più di 25° ) , o retroverso di 7-1° ( Lewinnek et al. , 1978 ; Coventry MB, 1985 ), può facilitare la insorgenza di una lussazione. Analogamente, fattori legati al paziente quali, problemi neuro-muscolari ( ipotrofie, movimenti coreo-atetosici, ecc. ) , rigidità muscolari, mancanza di precauzione nell’evitare movimenti impropri

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nel post-operatorio ( soprattutto in soggetti alienati ), aumentano il rischio che tale complicanza si realizzi ( Kody e Amstutz, 1992 ). Le lussazioni di articolazioni protesizzate vengono spesso ricondotte dal paziente ad eventi traumatici che però, talvolta costituiscono solo un fattore slatentizzante di una complicanza già presente. Altre volte l’episodio è la conseguenza di una impropria protesizzazione.

Formazione di ossificazioni eterotopiche

Le ossificazioni eterotopiche para-articolari insorgono dopo un periodo di tempo variabile dall’atto chirurgico e possono condurre sia alla limitazione articolare, sia ad una sintomatologia algica, la quale necessita di interventi correttivi in misura maggiore rispetto al deficit funzionale stesso.

L’entità di queste formazioni viene valutata in base alla classificazione di Brooker, partendo da un grado 0, in assenza di l’anchilosi ossea (Brooker et al., 1973).

Costituiscono fattori di rischio favorenti la creazione di ossificazioni, la pre-esistenza di analoghe formazioni, la spondilite anchilopoietica, l’osteoartrosi ipertrofica (Bisia et al., 1976; Fahmy e Wroblewski, 1982); inoltre complicanze quali ematomi non drenati, possono

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presentare un’evoluzione ossificante. Nei casi in cui si presenta una maggiore probabilità di insorgenza di ossificazioni eterotopiche, può essere utile sottoporre il paziente, non oltre la terza giornata post-operatoria, ad un trattamento radiante locale con una dose di 600 millirad. Inoltre, si può somministrare indometacina, per os, per almeno tre settimane dopo l’intervento.

Uno dei principi su cui si basa la criteriologia valutativa è costituito da un controllo radiografico seriato nel tempo, allo scopo di studiare la progressione di eventuali modifiche loco regionali. Il riscontro di uno sviluppo osteogenetico atipico nei tessuti molli peri-articolari, è indice di insuccesso del trattamento e rende necessaria la riprotesizzazione, previa pulitura della cavità.

Dolore

Il dolore conseguente all’innesto protesico è espressione di un intervento non perfettamente riuscito, e quanto più precocemente insorge, tanto minore sarà la durata dell’impianto. Tale sintomo può essere imputabile ad uno squilibrio articolare, ad una infezione, ad una compressione nervosa, ad una incipiente ossificazione; complicanze che in tempi più o meno brevi, impongono una revisione chirurgica. Data la frequenza con la quale compare questo disturbo,la criteriologia

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valutativa ha riconosciuto al dolore un significato dirimente per ciò che riguarda la menomazione.

Infezioni

Un’altra complicanza temuta da pazienti e chirurghi, continua ad essere la sepsi profonda, che sovente necessita di ulteriori procedure chirurgiche quali la rimozione della protesi, resezioni ossee, eventuali reimpianti (in uno o in due tempi), ed eccezionalmente l’amputazione. Con l’introduzione dei nuovi antibiotici a scopo preventivo, i miglioramenti della tecnica sterile e l’uso di sale operatorie con flusso laminare, le percentuali del verificarsi di tale complicanza si sono ridotte notevolmente; mentre per i primi impianti variavano secondo le statistiche, dall’11% (Wilson et al., 1972), al 7% (Charnley, 1972), attualmente si attestano intorno allo 0,5% (Eftakhar et al., 1976). Nei casi di riprotesizzazione, invece, la percentuale è almeno raddoppiata (Nelson et al., 1980; Turner et al., 1982; Kavanaghet al., 1985).

L’infezione costituisce una delle cause di insuccesso dell’intervento e qualora la sua genesi sia attribuibile ad una contaminazione in ambiente chirurgico od ospedaliero, diviene motivo di rivalsa nei confronti della struttura e dell’operatore.

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Le cause che producono la sepsi sono varie e comprendono : la contaminazione durante l’intervento, l’ematoma di drenaggio, un focolaio di infezione a distanza, un precedente intervento chirurgico e l’infezione articolare.

La contaminazione durante la procedura chirurgica può avvenire sia attraverso una mancata sterilità che attraverso una contaminazione aerea. Sin dai primi anni ’60, molti autori hanno dimostrato che l’uso di un sistema di flusso laminare verticale e di un sistema “Body Exhaust”, riducono i tassi di un’infezione profonda ritardata.

Il secondo fattore che può provocare la sepsi, durante il decorso post-operatorio, è l’ematoma per mancato drenaggio, il quale deve essere evacuato chirurgicamente.

Dato che le infezioni perifocali sono tra le cause di una diffusione profonda del processo infettivo, è assolutamente necessario provvedere alla guarigione delle ulcere cutanee, soprattutto nei casi di una loro localizzazione in prossimità di impianti protesici, effettuando anche un’adeguata profilassi antibiotica.

Occorre sempre considerare la possibilità di una diffusione per via ematica da fonti distanti, quali foci dentali, polmoniti e sepsi delle vie urinarie.

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L’infezione articolare si manifesta con la massima frequenza, nei pazienti affetti da artrite reumatoide, spesso in condizioni di immunodeficienza. Non bisogna dimenticare, inoltre, i frequenti interventi subiti in precedenza da tali pazienti, con conseguente predisposizione a necrosi cutanee, che possono essere causa di processi infettivi profondi. Sono soggetti ad un rischio più elevato di sepsi, gli individui affetti da diabete mellito, per i problemi di cicatrizzazione delle ferite e coloro che hanno già subito un intervento chirurgico. Ciò può essere determinato dalla possibile presenza di un’infezione subclinica, da una diminuzione della resistenza locale a causa della cicatrice e della vascolarizzazione ridotta, dai tempi operatori prolungati e dalla difficoltà dell’intervento.

L’incidenza del processo infettivo può essere influenzata, in ultima istanza, dalla tecnica e dal tipo di protesi impiegate dal chirurgo.

COMPLICANZE SPECIFICHE: Fratture

Le fratture del collo del femore (vedi figura 15) sono la più importante e precoce complicazione dopo un intervento di protesi di rivestimento metallo-metallo e colpisce circa il 2 % dei pazienti. Fattori di rischio

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per la frattura del collo di femore sono sia fattori che sono associati al paziente, sia associati alla tecnica operatoria che fattori post-operatori.

FATTORI ASSOCIATI AL PAZIENTE:

essi includono il sesso è la qualità dell’osso femorale nella sua porzione prossimale. Il tasso di frequenza di frattura nella donna è circa il doppio che nell’uomo (31-32). Questa alta prevalenza di fratture può essere la conseguenza di una ridotta densità dell’osso nelle donne in post-menopausa, o un aumento del rischio di eccessiva penetrazione di cemento nell’osso osteoporotico.

FATTORI ASSOCIATI ALLA TECNICA OPERATORIA:

includono l’intaccatura della parte superiore del collo del femore e il posizionamento in varo della testa femorale relativamente al collo anatomico (33) (vedi figura 14). Con la componente femorale in posizione vara c’è una maggiore forza di trazione nella parte supero-laterale del collo del femore, e ciò aumenta lo shear-stress alla giunzione testa-collo della protesi ed inoltre va anche ad aumentare le forze compressive che vengono esercitate sull’osso (24).

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FATTORI INTRAOPERATORI:

sono rappresentati da una insufficiente esposizione o un incompleto insediamento della componente femorale (25).

Frattura del collo del femore

Notching

Questo fenomeno è caratterizzato da una sorta di intaccatura durante l’intervento chirurgico nella parte antero superiore della componente femorale ed è una delle cause di frattura.

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Intaccatura della parte superiore del collo del femore con linea di frattura.

Necrosi della testa del femore

La necrosi ossea si verifica a seguito della preparazione chirurgica del distretto osseo ospite ed è favorita dall’aggressività dei sistemi meccanici preposti al taglio ed alla fresatura scheletrica risultando maggiore con brocce o frese molto taglienti. Ne consegue che gli strumentari chirurgici e le tecniche più conservative sono certamente da preferire, ai fini del contenimento della necrosi, alle

tecniche più aggressive. Rhinelander et al. hanno inoltre dimostrato che un importante effetto negativo della fresatura scheletrica

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è l’interruzione del circolo endostale. Questo fenomeno gioca un ruolo assai importante nel determinismo delle zone di necrosi che si riscontrano sempre intorno ad impianti protesici mobilizzati dopo breve tempo.

Rilascio ioni

Nelle protesi metallo-metallo c’è un rilascio sierico cronico di ioni metallo con possibile danno cronico dall’esposizione dei tessuti ai metalli. In uno studio condotto da Daniel et al. (36), è stato paragonato il livello sierico di ioni cromo e cobalto tra pazienti sottoposti a protesi di rivestimento e pazienti operati di artroprotesi convenzionale con accoppiamento metallo-metallo e testa femorale di 28 mm. Ad un follow up di 4-6 anni non è stata riscontrata nessuna differenza

statisticamente significativa nei livelli ematici di cromo e cobalto tra i due gruppi di pazienti. Il rilascio di ioni metallo ed il loro possibile effetto nocivo a lungo termine rimane tuttavia un argomento

controverso che deve essere sempre monitorato in caso di accoppiamento metallo-metallo.

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CAPITOLO 8

MATERIALE e METODO

Presso la Clinica Ortropedica Universitaria di Pisa dal gennaio 2004 a dicembre 2007, sono stati eseguiti 67 interventi di sostituzione protesica dell’anca con protesi di rivestimento. Questo impianto è costituito da due componenti metalliche in cobalto-cromo-molibdeno e prevede una fissazione ibrida: superficie porous-coated rivestita di idrossiapatite press-fit per la componente acetabolare e fissazione con cemento per la componente femorale. Le coppe acetabolari hanno diametri compresi fra 44 e 66 mm e le teste femorali tra 38 e 58 mm ( ad ogni testa corrispondono due possibili diametri acetabolari). Dei 67 impianti 47 sono stati applicati a uomini e 20 a donne (Vedi figura 16).

La diagnosi è stata nel 98% dei casi di coxartrosi primitiva e nel 2% dei casi di coxartrosi secondaria a malattia di Legg-Calvè-Perthes.

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SESSO 70% 30% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% Maschi Femmine Figura 16

con un età media di anni 48 ( min. 38 anni e max. 65 anni ). Il follow-up va da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 24 mesi. Tutti gli interventi sono stati eseguiti con la via di accesso postero-laterale di Gibson-Moore, e successivamente sono stati valutati mediante la scheda Harris Hip Score. Per tutti i pazienti è stata eseguita inoltre una valutazione radiografica ad ogni controllo verificando il posizionamento delle componenti e la presenza di eventuali

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radiolucenze evolutive. Inoltre sono stati valutati anche attraverso un esame densitometrico ad un anno di distanza dall’impianto .

Valutazione Harris Hip Score

Sviluppato dal Dott. William Harris,un eccellente ortopedico del Massachussetts, è un valido strumento per valutare l’evoluzione dei pazienti dopo protesizzazione d’anca. È basato su un punteggio totale di 100 punti, ad ogni domanda è assegnato un certo punteggio basato sulla risposta. Le domande sono raggruppate in categorie. La prima categoria è il dolore. Per esempio, se il soggetto non ha dolore il suo punteggio per quella domanda sarà 44 punti, se il dolore è leggero saranno 40 punti, fino ad arrivare a 0 punti quando il soggetto ha un dolore disabilitante. La seconda categoria è la funzione. Se il soggetto non presenta zoppia, non fa uso di supporti per camminare e riesce a camminare più di sei scalini, il punteggio è di 33 punti; sarà minore se utilizza crucce, o se cammina meno di due scalini.

La terza categoria, valuta le attività del soggetto, e consiste di domande che prendono in considerazione come il soggetto riesce ad alzarsi da una sedia, come si allaccia le scarpe, se utilizza mezzi pubblici, dopo quanto tempo deve sedersi…

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Infine, viene valutato il Range Of Motion (R.O.M.) con un punteggio

massimo di 9 (26).

I risultati del HHS punteggio sono : 90-100= risultati eccellenti;

70-90= buoni; 60-69= scarsi; < 60= fallimento.

Valutando l’HHS i risultati del nostro studio sono stati:

- 50 pazienti hanno raggiunto secondo l’Harris hip score un punteggio risultato eccellente;

-12 pazienti un risultato buono; -4 pazienti scarso;

-1 pazienti un risultato scarso.

I risultati a breve termine hanno dimostrato da un punto di vista clinico ( Harris Hip Score ) nei casi presi in esame un alta percentuale di casi Ottimi: 90% , Buoni 6%. Solo 2% scarsi.

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Risultati radiografici

Da un punto di vista radiografico i pazienti vengono valutati con una radiografia in ortostatismo sia prima dell’intervento che dopo, così come ad ogni follow-up di controllo. Mentre la valutazione della componente acetabolare dopo un intervento di “resurfacing” è la stessa usata per la componente acetabolare di un comune intervento di artroplastica di anca, il controllo radiografico della componente femorale dopo “resurfacing” è un po’ più complesso. Nella valutazione della componente femorale noi dobbiamo tenere in considerazione sei importanti aspetti:

1-restringimenti o strozzature sul collo femorale, e questo è un fenomeno comune dopo un “resurfacing”. La causa di ciò non si conosce bene ancora, ma si pensa possa essere il risultato di un rimodellamento osseo dovuto allo stress shielding, o ad un impingement femoro-acetabolare, o a degli insulti vascolari…. Sicuramente questo aspetto radiografico è più comune nelle donne ed in quei pazienti che hanno un angolo di inclinazione valgo;

2-smerigliature sul collo del femore, esse possono localizzarsi sia nella parte superiore che inferiore;

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3-cambi dell’angolo tra l’asse della componente femorale e l’asse del femore, infatti un cambio progressivo di questo angolo può portare a fallimenti dell’impianto;

4-cedimento dell’impianto; 5-radiolucenza.

L’osservazione della radiolucenza intorno all’asse della componente femorale è importante. Amstutz e coll. (27) hanno dato un punteggio da 0 a 9 al progressivo cambiamento della radiolucenza, con valore di zero che significa NO radiolucenza fino al valore 9 che significa radiolucenza in tutte le zone intorno all’asse della componente femorale (vedi figura 17).

La radiolucenza deve essere osservata anche intorno alle tre zone della componente acetabolare (vedi figura 17).

6-osteolisi.

I risultati radiografici hanno dimostrato una eccellente integrazione sia dello stelo sia della coppa acetabolare. Inoltre le indagini radiografiche non hanno messo in evidenza radiolucenze.

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Figura 17

Risultati densitometrici

La densitometria ossea è un ottimo esame strumentale per verificare la densità minerale ossea ( Bone Mineral Density, BMD ) intorno alla componente femorale (14-15). Cohen and Rushton (28) dicono che è estremamente importante il corretto posizionamento del paziente durante l’esame per ottenere dei risultati precisi.

Dal nostro studio sono emersi risultati ottimi, con un valore di BMI medio di 1,120. Si è anche potuto constatare che valutando

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comparativamente il BMD a livello del collo femorale in entrambe le anche, i suoi valori sono in più del 50 % dei casi aumentati nell’anca con protesi di rivestimento a conferma di ciò che viene detto da uno studio condotto da Kishida et al. (vedi figure 19-20).

Figura 19

Densitometria anca non sana che riporta un valore di BMD a livello del collo femorale di 0.849.

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Figura 20

Densitometria anca protesizzata con un valore di BMD a livello del collo femorale di 1,052.

CASO CLINICO

Uomo di 53 anni trattato nel settembre 2006 e con controllo ad un anno di distanza.

Controllo pre-operatorio

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Controllo post-operatorio

Controllo ad un anno

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CAPITOLO 9

DISCUSSIONI

In letteratura sono presenti numerosi lavori che dimostrano l’efficacia ed i vantaggi offerti dalle protesi di rivestimento. La mini-invasività ossea, l’accoppiamento metallo-metallo e la testa femorale di grande diametro sono i principali responsabili di questi importanti vantaggi. In uno studio condotto da Daniel et al. (29) Su una serie di 446 protesi di rivestimento in 384 pazienti con meno di 55 anni ad un follow-up medio di 3,3 anni la sopravvivenza dell’impianto è stata pari al 99,78%. Un altro studio condotto da Treacy et. (30) Al. ha riportato una sopravvivenza dello stesso tipo di impianto a 5 anni dall’intervento chirurgico in 144 casi pari al 98%. Anche Amstuz et al. (31) hanno riportato risultati soddisfacenti su 400 protesi di rivestimento con una percentuale di sopravvivenza pari al 94,4% ad un follow-up medio di 3,5 anni. Nonostante queste casistiche riportino risultati ottimi a medio termine per ciò che riguarda la sopravvivenza dell’impianto, la protesi di rivestimento trova alcuni ostacoli ad una sempre più ampia diffusione a causa della pesante eredità degli insuccessi delle protesi di superficie di prima generazione. Se da un lato l’accoppiamento metallo-metallo e la fissazione non cementata

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della componente acetabolare hanno risolto possibili cause di fallimento, l’eventuale frattura del collo del femore rimane un forte deterrente per chi si affaccia a questo tipo di chirurgia dell’anca. In un recente studio multicentrico su 3429 protesi di rivestimento eseguite in 4 anni è stata registrata una percentuale di fratture femorali pari al 1,46% (50 casi) con una media del tempo di comparsa della frattura pari a 15,4 settimane.(32). Nel fallimento di questi 50 casi è stato dimostrato avere un ruolo decisivo il posizionamento in varo di più di 5° della componente femorale presente nel 71,1% dei casi e il

notching della corticale femorale superiore presente nel 46,6% dei

casi. L’ipotesi secondo cui la frattura del collo del femore possa dipendere dalla necrosi avascolare è stata recentemente confutata da studi che riportano una bassa incidenza di necrosi avascolare come causa di fallimento dell’impianto ad un follow-up medio di 3 anni.(33). Un argomento controverso riguardante le protesi di rivestimento rimane la problematica del rilascio sierico di ioni metallo con possibile danno cronico dall’esposizione dei tessuti ai metalli.(34). In uno studio condotto da Daniel et al. (35), è stato paragonato il livello ematico di ioni cromo e cobalto tra pazienti sottoposti a protesi di rivestimento e pazienti operati di artroprotesi convenzionale con accoppiamento metallo-metallo e testa femorale di

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28 mm. Ad un follow-up di 4-6 anni non è stata riscontrata nessuna differenza statisticamente significativa nei livelli ematici di cromo e cobalto tra i due gruppi di pazienti. Il rilascio di ioni metallici ed il loro possibile effetto nocivo a lungo termine rimane tuttavia un argomento controverso che merita di essere monitorato nel caso di ogni accoppiamento metallo-metallo.

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CAPITOLO 10

CONCLUSIONI

Il trattamento delle patologie dell’anca in pazienti giovani e attivi rappresenta una difficile scelta terapeutica.

I risultati a lungo termine dell’artroplastica convenzionale dell’anca seppur molto soddisfacenti in pazienti anziani, non sono altrettanto positivi in pazienti giovani.

Questi scarsi risultati clinici dipendono dalle elevate richieste funzionali dei pazienti più giovani e attivi che possono determinare una rapida usura delle componenti protesiche con conseguente aumento dei fallimenti dell’impianto. Le protesi di rivestimento dell’anca di nuova generazione sono state introdotte per soddisfare le esigenze di una popolazione di pazienti con elevate richieste funzionali. Le protesi di rivestimento rivestendo con sottili componenti metalliche entrambi i versanti articolari permette la massima conservazione bone stock del paziente ripristinando una corretta biomeccanica dell’articolazione dell’anca e mantenendo la propriocettività. Inoltre, la mini-invasività ossea della protesi di rivestimento pressoché totale sul versante femorale non richiede un maggior sacrificio osseo sul versante acetabolare se paragonata

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all’artroprotesi tradizionale.

Una moderna tribologia dei materiali garantisce inoltre bassissimi tassi di usura. Inoltre la revisione dell’impianto è molto più facile. Kishida et al. hanno anche analizzato l’effetto della protesi di rivestimento sulle densità minerale ossea (BMD) del femore prossimale. Gli autori hanno eseguito uno studio comparativo fra 13 pazienti (gruppo A) trattati con protesi di rivestimento e 12 trattati con protesi tradizionale (gruppo B). La BMD è stata analizzata a livello femorale attraverso DEXA nelle sette zone di Gruen a 3 settimane e 3, 6 , 12 e 24 mesi dall’intervento. Da questo studio è stato visto che la protesi di rivestimento preservi e migliori la densità minerale ossea del femore prossimale.

Riteniamo pertanto che questo tipo di protesi trasferisca un carico al femore prossimale più fisiologico rispetto alle protesi d’anca tradizionali prevenendo il fenomeno dello stress shielding e preservando nel tempo il patrimonio osseo del femore prossimale.

La protesi di rivestimento garantisce inoltre un basso rischio di lussazione favorito dall’elevato diametro della testa femorale ed in caso di fallimento può essere facilmente convertita in una protesi d’anca convenzionale. I possibili svantaggi rispetto ad un intervento convenzionale di protesi d’anca comprendono il rischio di fratture del

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collo del femore e di necrosi avascolare della testa ed il rilascio di ioni metallici. Le controindicazioni sono rappresentate da una marcata osteoporosi, necrosi massiva delle testa del femore e gravissime deformità testa-collo. I risultati funzionali sono ottimi e superiori rispetto a quelli delle protesi tradizionali, i tempi di recupero sono assai brevi e vi è anche la possibilità di svolgere attività sportive ad alto impatto. I risultati della nostra casistica sono in linea con quelli riportati in letteratura, con un solo fallimento dovuto a frattura del collo femorale. Oggi possiamo affermare come le protesi di rivestimento di nuova generazione, con il miglioramento del design, della metodica di fissazione e l’impiego di nuovi materiali siano una valida soluzione in pazienti giovani ed attivi con artrosi dell’anca per gli eccellenti risultati funzionali, radiografici e densitometrici da noi ottenuti (13).

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