• Non ci sono risultati.

Il proteoma mitocondriale cardiaco e le sue implicazioni con i meccanismi di cardioprotezione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il proteoma mitocondriale cardiaco e le sue implicazioni con i meccanismi di cardioprotezione"

Copied!
46
0
0

Testo completo

(1)

SOMMARIO

RIASSUNTO ... 2

1 INTRODUZIONE ... 3

1.1 I mitocondri... 4

1.2 ATP sintasi ... 8

1.3 Poro di transizione di permeabilità mitocondriale... 9

1.3.1 ANT... 9

1.4 CX43 ... 10

1.5 Il precondizionamento ischemico (IPC) ... 11

1.6.1 Scoperta del precondizionamento ischemico... 13

2 SCOPO DELLA TESI... 16

3 PROTEOMICA ... 17

3.1 Una panoramica sui metodi di Proteomica ... 18

3.1.1 Separazione delle proteine per elettroforesi monodimensionale... 19

3.1.2 Separazione delle proteine per elettroforesi bidimennsionale... 19

3.1.3 Separazione delle proteine mediante 2D Differential Gel Electrophoresis 2D-DIGE... 21

3.1.4 Identificazione delle proteine mediante spettrometria di massa... 22

3.1.5 Identificazione mediante Spettrometria di massa MALDI/TOF... 23

3.1.6 Identificazione mediante Peptide Mass Fingerprinting... 24

3.1.7 Altri approcci... 24

3.2 Metodi di proteomica per individuare la fosforilazione ... 25

3.3 Metodi di proteomica per individuare la S-nitrosilazione ... 27

4 Il proteoma cardiaco e la cardioprotezione ... 30

4.1 Distribuzione mitocondriale dell’esochinasi e ruolo ... 30

4.2 Distribuzione mitocondriale di PKCε e ruolo ... 32

4.3 Distribuzione ruolo di AKT ... 34

4.4 GSK-3β ... 35

4.5 CX 43 ... 36

4.6 Ruolo di ERK ... 36

4.7 Gli eventi di cardioprotezione si associano a cambiamenti nel proteoma mitocondriale... 37

5 Conclusione... 41

(2)

Riassunto

RIASSUNTO

Le malattie cardiache rappresentano una delle maggiori cause di morbilità e mortalità dei paesi occidentali. I mitocondri sono elementi essenziali nella risposta cellulare al danno, negli eventi di morte cellulare, e nei meccanismi cardioprotettivi.

Comprendere il ruolo del proteoma mitocondriale cardiaco nei meccanismi cardioprotettivi è un obiettivo chiave per i ricercatori impegnati ad individuare nuove strategie di prevenzione e cura delle malattie cardiache.

Il diverso profilo delle proteine rilevate in un tessuto o cellula, o la variazione quantitativa di proteine possono essere potenziali indicatori di uno stato fisiologico e/o patologico.

In questo lavoro è stato approfondito il ruolo che il proteoma mitocondriale cardiaco esercita nei meccanismi cellulari associati alla cardioprotezione, utilizzando i dati disponibili in letteratura. In particolare sono state esposte le strategie di proteomica utilizzate dai ricercatori per lo studio del proteoma mitocondriale e delle sue variazioni quantitative e modifiche post-traduzionali coinvolte nei meccanismi di cardioprotezione.

Proteoma è un termine usato per descrivere l’insieme delle proteine espresse da un genoma. Le metodiche di studio del proteoma si avvalgono principalmente dell’elettroforesi, per la separazione delle proteine da un campione, e della spettrometria di massa per l’identificazione.

Un approccio possibile per indagare i cambiamenti nel proteoma mitocondriale è quello di determinarne le variazioni in condizioni di cardioprotezione (utilizzando il fenomeno del precondizionamento), rispetto al proteoma che si riscontra in condizioni fisiologiche ed a quello che si riscontra in condizioni di stress ischemico.

Gli eventi cardioprotettivi si associano all’attivazione di chinasi come PKCε, AKT, ERK ed all’inibizione della GSK-3β . Inoltre l’inibizione del poro di transizione di permeabilità mitocondriale (MPTP) è considerato uno dei principali bersagli dei segnali cardioprotettivi.

(3)

1 INTRODUZIONE

Le malattie cardiache rappresentano una delle principali cause di morte nei paesi industrializzati.

Il danno cardiaco di tipo ischemico è legato ad una interruzione o ad una riduzione del flusso sanguigno diretto al muscolo cardiaco. La riduzione dell’irrorazione è di solito conseguenza di un’ostruzione meccanica di un vaso arterioso per la presenza di trombi o di placche aterosclerotiche.

L’ischemia di un tessuto compromette non solo il rifornimento di ossigeno, ma anche di substrati metabolici, tra cui il glucosio.

La situazione di ischemia rappresenta per la cellula uno stimolo lesivo che determina fra i vari danni cellulari, anche la variazione morfologica mitocondriale. Il danno mitocondriale si manifesta spesso con la formazione di un canale ad alta conducibilità, il cosiddetto poro di transizione di permeabilità mitocondriale (MPTP), a livello della membrana mitocondriale interna. Sebbene reversibile nelle sue fasi iniziali, questo poro non selettivo diventa permanente se lo stimolo persiste, precludendo il mantenimento della forza motrice protonica o potenziale mitocondriale. Poiché il mantenimento del potenziale di membrana è d’importanza critica per la fosforilazione ossidativa mitocondriale, ne consegue che la transizione di permeabilità mitocondriale irreversibile è un colpo mortale per la cellula. Il danno mitocondriale può anche essere associato alla fuoriuscita di citocromo c nel citosol. Il citocromo c è un componente integrale della catena di trasporto elettronico e può innescare le vie apoptotiche nel citosol. (Robbins & Cotran, 2006).

I mitocondri sono quindi elementi essenziali nella risposta cellulare al danno ischemico, negli eventi di morte cellulare, ma anche nei meccanismi cardioprotettivi.

(4)

Introduzione

1.1 I mitocondri

I mitocondri sono organelli di forma ovoidale, lunghi circa 2µm e con un diametro di circa 0,5 µm. Nella metà del secolo scorso Kennedy e Lehninger scoprirono che i mitocondri contenevano le strutture respiratorie, gli enzimi del ciclo dell’acido citrico e quelli per l’ossidazione degli acidi grassi.

Altri studi rivelarono che i mitocondri possedevano due membrane, una membrana esterna ed una membrana interna, molto estesa e ripiegata. La membrana interna forma una serie di pieghe, chiamate creste. Ciò implica che nei mitocondri si possono individuare due tipi di compartimenti: lo spazio intermembrana, compreso tra la membrana interna ed esterna, e la matrice, lo spazio delimitato dalla membrana interna. La fosforilazione ossidativa ha luogo nella membrana mitocondriale interna, mentre la maggior parte delle reazioni del ciclo dell’acido citrico e della via di ossidazione degli acidi grassi avvengono nella matrice. (Stryer, 1996).

I mitocondri sono organelli parzialmente autonomi; sono provvisti di un loro DNA, di ribosomi, di enzimi, di altri fattori richiesti dai processi di trascrizione e di sintesi proteica. Tutto questo è concentrato nella matrice. (Wolfe; 1994).

I mitocondri (Fig.1) sono presenti in tutte le cellule eucariotiche; nelle cellule in cui sono particolarmente abbondanti possono occupare una porzione significativa del volume cellulare; ad esempio nelle cellule muscolari del cuore, fino al 30% del volume può essere occupato da mitocondri. (Wolfe; 1994).

Fig. 1- Mitocondrio (http://www.unive.it)

Il numero e la grandezza dei mitocondri, come il numero e l’estensione delle creste sono in rapporto con il fabbisogno della cellula: un mitocondrio di una cellula muscolare cardiaca ha molte più creste che non un mitocondrio di un osteocita, il cui

(5)

ricambio energetico è minore. Il contenuto dello spazio intermembrana è molto differente da quello della matrice. (Boccato,2006)

La membrana mitocondriale esterna possiede numerose proteine multipasso, dette porine, ognuna di esse forma un canale acquoso attraverso il quale possono passare molecole idrosolubili fino a 10 kilodalton di dimensioni. Essendo la membrana esterna permeabile a piccole molecole, comprese le proteine, lo spazio intermembrana del mitocondrio racchiude un contenuto simile al citosol. La membrana mitocondriale interna, che delimita lo spazio della matrice, si ripiega a formare le creste mitocondriali. Questa membrana è ricca di cardiolipina, un fosfolipide che possiede 4 catene aciliche di acidi grassi. La presenza di grandi quantità di questo fosfolipide rende la membrana interna pressoché impermeabile agli ioni, agli elettroni ed ai protoni. In alcune zone, la membrana interna ed esterna formano dei siti di contatto che hanno la funzione di facilitare il passaggio di proteine e piccole molecole dalla matrice verso l’esterno. In questi siti di contatto sono presenti proteine di trasporto e proteine regolative per il riconoscimento di alcuni segnali. Questi stessi siti di contatto servono anche per il trasporto selettivo di proteine nello spazio intermembrana. Sulla superficie della membrana interna, prospiciente la matrice, si possono evidenziare i complessi proteici dell’ATP sintasi, il cui compito è la formazione di ATP. Sulla membrana interna sono inoltre presenti altri complessi proteici che costituiscono gli enzimi della catena respiratoria. Ogni catena respiratoria è costituita da 3 complessi proteici: il complesso NADH deidrogenasi (o complesso I o NADH-Q-reduttasi), il complesso citocromo reduttasi (o ubichinolo-citocromo c reduttasi, o complesso del citocromo bc1 o complesso III) ed il complesso della citocromo c ossidasi (o complesso IV). Questi complessi, oltre a formare la catena di trasporto degli elettroni, attraverso la quale si ha il passaggio di elettroni, funzionano come pompa protonica per il trasporto degli H+ dalla matrice verso lo spazio intermembrana. Viene così a crearsi un gradiente elettrochimico che fornisce energia all’ ATP sintasi per la produzione di molecole di ATP. Lo spazio della matrice contiene un fluido denso, di viscosità elevata, costituito per il 50% da proteine. Molte di queste proteine sono enzimi deputati alla degradazione degli acidi grassi e del piruvato ad AcetilCoA ed alla successiva degradazione di questo attraverso il ciclo di Krebs. La matrice mitocondriale contiene anche del DNA (mtDNA) circolare, a doppia elica ed enzimi necessari per l’espressione del genoma.

(6)

Introduzione

Per quanto riguarda le proteine mitocondriali, questo DNA è in grado di codificarne solo una parte. La maggior parte del codice genetico per le proteine mitocondriali è invece presente nel DNA del nucleo. L’acetil CoA che si forma nella matrice mitocondriale, sia dall’ossidazione degli acidi grassi, che dalla conversione del piruvato, ottenuto dalla degradazione del glucosio nel citoplasma, entra nel ciclo di Krebs (Fig. 2). Nella matrice mitocondriale l’acetil CoA viene degradato con formazione di CO2 e liberazione di idrogeno, il quale serve per ridurre i 2 cofattori NAD+ e FADH, con formazione di grandi quantità di NADH (nicotinamide adenin dinucleoide ridotto) e FADH2 (flavin adenin dinucleotide ridotto). I 2 cofattori ridotti, formatisi durante il ciclo di Krebs, sono trasferiti dalla matrice mitocondriale sulle creste del mitocondrio dove vengono ossidati e liberano atomi di idrogeno, i quali, a loro volta si separano in ioni idrogeno ed elettroni. Questi ultimi vengono trasferiti attraverso i tre grandi complessi proteici (gli enzimi della catena respiratoria) all’ossigeno molecolare O2, il quale viene ridotto, ed unendosi all’idrogeno forma H2O. L’energia che si ricava dal paesaggio graduale degli elettroni lungo la catena del trasporto elettronico, è sfruttata per il trasporto degli idrogenioni dalla matrice verso la camera esterna del mitocondrio; l’elevata concentrazione di protoni che ne risulta, determina un gradiente elettrochimico protonico. La presenza dell’ATP sintasi (o F0F1 ATP-asi o complesso V) permette il passaggio di questi protoni dallo spazio intermembrana verso la matrice. La cascata di questo gradiente elettrochimico produce energia che viene utilizzata dall’ ATP sintasi per addizionare un fosfato inorganico ad una molecola di ADP per formare ATP. L’ATP neoformato può rimanere nel mitocondrio o essere trasportato con un sistema di antiporto ADP/ATP nel citosol (Fig.3), (Boccato, 2006).

(7)

Fig.2 - Panoramica delle vie metaboliche che forniscono energia alla fosforilazione

(8)

Introduzione

Fig.3- Integrazione delle vie metaboliche del mitocondrio. Tratto da “Biologia

cellulare”; Thomas D. Pollard,William C. Earnshaw; Elsevier 2008

1.2 ATP sintasi

L’ATP sintasi è un enzima delle membrana interna mitocondriale. Questo enzima , che catalizza la sintesi di ATP si può suddividere in due unità : la porzione F1 in grado di catalizzare la sintesi dell’ATP, e la F0, un segmento idrofobico che attraversa la membrana mitocondriale interna, che costituisce il canale per i protoni del complesso. L’unità F1 è costituita da cinque tipi di catene polipeptidiche rappresentate come α, β, γ, δ, ɛ (Stryer,1996).

Fig. 4- La struttura dell’ATP sintasi: la subunità F0 attraversa la membrana

mitocondriale interna, la porzione F1 catalizza la sintesi di ATP

(9)

1.3 Poro di transizione di permeabilità mitocondriale

Il poro di transizione mitocondriale MPTP è un poro non specifico, permeabile a tutte le molecole inferiori a 1,5 kDa ed è costituito dal canale anionico voltaggio dipendente (VDAC), dai membri della famiglia di proteine pro-apoptotiche ed anti-apoptotiche Bax/Bcl2, dalla ciclofilina D, e da ANT (Fig. 5). La ciclofillina D è una proteina solubile della matrice mitocondriale, sensibile agli incrementi di Ca2+ che interagendo con ANT induce l’apertura del MPTP con conseguente incremento di permeabilità della membrana mitocondriale interna. Proteine aggiuntive che sono state proposte come parte del complesso MPTP sono l’esochinasi, la creatina chinasi, e il recettore periferico delle benzodiazepine (Kim et al, 2010).

L' apertura del poro di transizione di permeabilità mitocondriale (MPTP) causa il traffico non selettivo tra la matrice mitocondriale ed il citosol non solo di particelle con piccola carica, ma anche di acqua e sostanze fino a 1,5 kDa in termini di dimensioni (Zorov et al.2009).

L’apertura del MPTP provoca un rigonfiamento della matrice mitocondriale

e rottura della membrana esterna. Questa è seguita dal rilascio del citocromo c ed altre proteine proapoptotiche nel citosol (Kim et al, 2010).

1.3.1 ANT

L’ATP sintetizzato nei mitocondri viene scambiato per ADP citosolico dal traslocatore del nucleotide adenina (ANT) per fornire un approvvigionamento continuo di ADP ai mitocondri (Kim et al, 2010).

Il traslocatore ANT umano ha quattro isoforme (ANT1, ANT2, ANT3 e ANT4), che presentano pattern di espressione tessuto-specifici. ANT1 è prevalentemente espresso nel cuore, nel muscolo scheletrico e nel cervello. ANT2 è espresso principalmente nel fegato e nelle cellule con una maggiore attività proliferativa. ANT3 è rilevato ubiquitariamente. ANT4 è espresso nel fegato, testicolo, e cellule staminali embrionali indifferenziate (Kim et al, 2010).

ANT è un complesso proteico di due subunità che si trova nella membrana mitocondriale interna e facilita lo scambio di ATP mitocondriale e ADP citosolico. ANT fornisce un flusso continuo di ADP necessario per mantenere il processo di fosforilazione ossidativa. Lo scambio ATP/ADP mediato da ANT gioca un ruolo

(10)

Introduzione

essenziale per il mantenimento dell'attività dell’ATP sintasi e dei normali livelli di potenziale di membrana. Una ridotta attività del traslocatore ANT diminuisce l’ADP all’interno del mitocondrio e diminuisce la sintesi ATP, mentre aumenta il potenziale di membrana. Nelle situazioni in cui l’attività di ANT è compromessa, ANT partecipa attivamente nella generazione del poro di transizione di permeabilità mitocondriale e nell’apoptosi (Kim et al, 2010).

ANT, una proteina relativamente piccola (circa 300 residui di AA) è la proteina più abbondante della membrana mitocondriale interna, catalizza lo scambio selettivo, elettrogenico, e reversibile dell’ ADP per ATP con una stechiometria 1:1(Zorov et al.2009).

Fig 5- Struttura clasica del MPTP: il MPTP è formato dal complesso

VDAC-ANT-CyPD. L’esochinasi II (HKII), la creatina chinasi mitocondriale (CK), il recettore per le benzodiazepine (PBR), ed i membri della famiglia Bcl-2 (Bcl-2, Bcl-xL, e Bax) sono inclusi come probabili componenti regolatori.

Attualmete questa visione di struttura è in discussione: si ritiene che ANT e CyPD siano solo elementi regolatori e non facciano parte del poro stesso, mentre il ruolo di VDAC deve essere ancora compreso. (Tratto da Zorov, 2009)

1.4 CX43

Le giunzioni Gap dei vertebrati sono composte da proteine di membrana integrali della famiglia della connessina (abbreviato con Cx seguita dalla massa della proteina in chilodalton, ad esempio Cx43). Le giunzione GAP mediano la comunicazione intercellulare facilitando la comunicazione diretta tra cellule adiacenti per permettere il passaggio di ioni e metaboliti piccoli (Solan et al.2009).

Le giunzioni GAP sono dotate di fasci di cilindri cavi strettamente addensati, ciascuno dei quali, contiene al centro, un canale stretto. Ogni cilindro della giunzione, definito

(11)

connessone, è costituito da un numero variabile da 4 a 6 molecole di una proteina detta connessina (Fig.6), (Wolfe; 1994).

Le Connessine sono proteine integrali di membrana altamente regolamentati che contengono 4 domini transmembrana, due loop extracellulari contenenti 6 residui di cisteina conservati, un anello citoplasmatico ed estremità citoplasmatiche N- e C-terminali. Il dominio C-terminale varia ampiamente in lunghezza e si ritiene che svolga ruolo chiave nella regolamentazione e fornisca i siti di interazione proteina-proteina. Molti connessine (cioè, CX31, CX32, Cx36, Cx37, CX40, Cx43, Cx45, Cx46, Cx56 e CX50) sono fosfoproteine, come indicato sia da un cambiamento fosfatasi-sensibile nella loro mobilità elettroforetica, sia dalla spettrometria di massa (Solan et al.2009). Cx43 è la connessina più ampiamente espressa essendo presente in almeno 34 tessuti e 46 tipi di cellule ed è la connessina predominante espressa nella maggior parte delle linee cellulari (Solan et al.2009).

Fig.6- Giunzioni GAP: ogni cilindro della giunzione, definito connessone, è costituito da un numero variabile di connessine.

(http://www.landesbioscience.com/curie/chapter/852/)

1.5 Il precondizionamento ischemico (IPC)

I mitocondri sono il sito dei processi biochimici strettamente coinvolti nella sopravvivenza o morte cellulare in condizioni di stress ossidativo da ipossia (Corbucci et al.2005).

È stato descritto in letteratura la capacità di rapido adattamento del tessuto miocardico: brevi cicli di ischemia separati da riperfusione limitano in misura marcata l’area infartuale indotta dalla successiva ischemia prolungata. Il fenomeno, denominato

(12)

Introduzione

«precondizionamento cellulare» , è stato riconosciuto come la più incisiva forma di auto protezione endogena cellulare rispetto al danno ossidativo (Corbucci et al.2005). Tutt’oggi l’infarto miocardico acuto (IMA) rimane una fonte importante di mortalità e morbilità, nonostante il progressivo miglioramento della terapia. Per i ricercatori intenti a progettare nuove strategie di prevenzione per combattere il danno ischemico cardiaco, uno degli obiettivi chiave è quello di capire il fenomeno noto come precondizionamento ischemico (IPC), e le sue relazioni con il mitocondrio.

Il precondizionamento ischemico è un processo mediante il quale il cuore può essere reso meno suscettibile alla morte cellulare su base ischemica. E' stato dimostrato che la morte cellulare indotta da danno ischemico può essere ridotta se un episodio ischemico di lieve entità precede l'insulto ischemico severo.

Si tratta di un fenomeno che induce cardioprotezione mediante vari meccanismi: conduce ad una diminuzione del metabolismo energetico durante le prime fasi di ischemia (Murry et al, 1986), ad una diminuzione dei fenomeni di aritmia (Shiki et al. 1987) e ad un miglior recupero della funzione contrattile dopo ischemia (Cave et al, 1992) .

Si è ormai capito che l’IPC induce il rilascio di fattori paracrini come la bradichinina e l’adenosina dal miocardio che, attraverso le loro azioni su recettori accoppiati alla proteina G, inducono meccanismi di sopravvivenza delle cellule. Queste vie, in entrambe le fasi ischemiche e di riperfusione dell’IPC, implicano l'attivazione di cascate di chinasi, come pure la produzione di ossido nitrico (NO) che consentono di proteggere il miocita cardiaco agendo su target mitocondriali per inibire la transizione di permeabilità mitocondriale (MPT). Anche se gli eventi di segnalazione a monte sono stati ben mappati, la trasduzione di questi segnali verso il mitocondrio è ancora poco conosciuta. Gli interrogativi che si sono aperti successivamente all’osservazione dell’effetto cardioprotettivo del pre-condizionamento ischemico riguardano quali siano le specifiche molecole responsabili di questa protezione, come vengano attivati i target mitocondriali e se la fosforilazione delle proteine mitocondriali sia la principale modalità di regolamentazione (Foster et al. 2008).

(13)

1.6.1 Scoperta del precondizionamento ischemico

Il precondizionamento fu descritto per la prima volta da Murry et al. nel 1986, attraverso un esperimento condotto sui cani. Se ne scopri poi l’esistenza anche in altre specie, uomo compreso.

Nell’esperimento di Murry due popolazioni di animali furono anestetizzate e sottoposte ad occlusione coronarica completa di circa 40 minuti. Il gruppo “trattato” differiva dal gruppo “di controllo” per il fatto di essere stato sottoposto, prima dell’occlusione coronarica completa di 40 minuti, a ripetuti, brevi cicli di occlusione della durata di 5 minuti intervallati da periodi di 5 minuti di riperfusione. Nel gruppo “precondizionato” (PC) si individuò una significativa riduzione dell’estensione dell’area infartuale e delle aritmie da riperfusione, un miglior recupero funzionale dopo risoluzione della fase ischemica e una maggiore resistenza dei miociti isolati all’ipossia (Fig.7).

Fig. 7 - Da Murry et . 1986: percentuale dell’area di necrosi osservata, comparata con

l’area anatomica a rischio, dopo 40 minuti di occlusione coronarica continua, seguita da riperfusione utilizzando il cane come modello.

A sinistra viene riportata la percentuale relativa al gruppo trattato, sottoposto, prima dell’occlusione coronarica completa di 40 minuti, a ripetuti, brevi cicli di occlusione della durata di 5 minuti intervallati da periodi di 5 minuti di riperfusione. A destra viene riportata la percentuale relativa al gruppo di controllo, che non ha subito alcun precondizionamento. La dimensione media dell’area di necrosi nel gruppo di controllo è di circa il 29,4% dell’area a rischio. La dimensione media dell’area di necrosi nel gruppo sottoposto a precondizionamento è del 7,3% dell’area a rischio. Il precondizionamento ischemico riduce l’area di necrosi di circa il 75% rispetto al gruppo non trattato.

(14)

Introduzione

Per meglio comprendere come agiscono i meccanismi protettivi attivati dal precondizionamento ishemico si richiama sommariamente la fisiopatologia dello stress ischemico miocardico. La situazione di ischemia determina una riduzione della sintesi aerobica di ATP con riduzione del potenziale di fosforilazione: questo determina l’arresto dell’attività contrattile e il malfunzionamento delle Na/K-ATPasi e Ca-ATPasi.

L’attività della pompa di membrana Na/K-ATP-dipendente si riduce al diminuire dei livelli di ATP. Un’avaria a questo sistema di trasporto attivo causa un accumulo intracellulare di sodio e una diffusione del potassio all’esterno della cellula. L’entrata netta di soluti si accompagna ad un afflusso iso-osmotico di acqua, che causa il rigonfiamento cellulare e la dilatazione del reticolo endoplasmatico. Se il rifornimento di ossigeno alle cellule è ridotto, come nell’ischemia, la fosforilazione ossidativa cessa e per produrre energia le cellule ricorrono alla glicolisi. Questo passaggio al metabolismo anaerobico è controllato dai metaboliti della via energetica che agiscono sugli enzimi glicolitici. La riduzione dell’ATP cellulare e l’aumento conseguente di adenosina monofosfato stimolano l’attività della fosfofruttochinasi e delle fosforilasi. Ciò comporta un aumento della glicolisi anaerobica per consentire il mantenimento delle fonti energetiche cellulari con la generazione di ATP attraverso il metabolismo del glucosio derivato dal glicogeno. Come conseguenza i depositi di glicogeno vengono rapidamente esauriti. La glicolisi provoca l’accumulo di acido lattico e di fosfati inorganici derivati dall’idrolisi degli esteri del fosfato. Queste reazioni abbassano il pH intracellulare, evento che riduce l’attività di molti enzimi. L’acidosi intracellulare induce l’attivazione dello scambiatore Na/H: vengono pompati verso l’esterno della cellula gli ioni H+ ed entrano ioni Na+, contribuendo ad aumentare la concentrazione intracellulare. L’accumulo di Na inoltre determina il funzionamento inverso dello scambiatore Na/Ca che finisce per estrudere Na e fare entrare Ca nella cellula. L’aumento del calcio citosolico cosi avvenuto si autoalimenta per rilascio del calcio dal reticolo sarcoplasmatico

L’aumento della concentrazione di Ca a sua volta attiva un certo numero di enzimi con potenziali effetti deleteri per la cellula. Gli enzimi che vengono attivati dal calcio comprendono le ATPasi (che accelerano la deplezione di ATP), le fosfolipasi (che promuovono il danno di membrana), le proteasi (che distruggono sia le proteine di

(15)

membrana che quelle del citoscheletro) e le endonucleasi (che sono responsabili della frammentazione del DNA e della cromatina). Livelli aumentati di Ca intracellulare inducono anche permeabilità mitocondriale e apoptosi.

(16)

Scopo della tesi

2 SCOPO DELLA TESI

Comprendere il ruolo del proteoma mitocondriale cardiaco nei meccanismi cardioprotettivi è un obiettivo chiave per i ricercatori impegnati ad individuare nuove strategie di prevenzione e cura delle malattie cardiache.

Il diverso profilo delle proteine rilevate in un tessuto o cellula, o la variazione quantitativa di proteine, possono essere potenziali indicatori di uno stato fisiologico e/o patologico.

In questo lavoro di tesi è stato approfondito il ruolo che il proteoma mitocondriale cardiaco esercita nei meccanismi cellulari associati alla cardioprotezione, utilizzando i dati disponibili in letteratura.

In particolare sono state esposte le strategie di proteomica utilizzate dai ricercatori per lo studio del proteoma mitocondriale e delle sue variazioni quantitative e modifiche post-traduzionali coinvolte nei meccanismi di cardioprotezione.

Delle tante modifiche che si verificano al proteoma, in particolare è stato indagato il ruolo di AKT, PKCε, e GSK3β.

(17)

3 PROTEOMICA

Proteoma è un termine usato per descrivere l’insieme delle proteine espresse da un genoma; la proteomica è lo studio del proteoma (Choudhary et al.2004).

La proteomica inizialmente era focalizzata sull’identificazione di proteine e sulle differenze fra campioni derivati da tessuti diversi o in condizioni diverse. Successivamente si è estesa fino a definire caratteristiche strutturali e funzionali di proteine su larga scala.

L’analisi di un proteoma è significativamente più impegnativa dell’analisi dei genomi (Choudhary et al.2004).

La proteomica consente lo studio delle proteine, sia nelle forme appena tradotte dai geni sia nelle isoforme (dovute a splicing alternativo) o eventuali modifiche post− traduzionali, che possono verificarsi nella cellula dopo la traduzione.

Lo studio delle isoforme o delle modifiche post−traduzionali consente la comprensione dei meccanismi di interazione tra le proteine: tali meccanismi ne condizionano l’attività e la funzione

La proteomica si propone di indagare e stabilire l’identità, la quantità, la struttura e le funzioni biochimiche e cellulari delle proteine presenti in un tessuto, in una cellula o in un comparto subcellulare, descrivendo come queste proprietà possano variare nello spazio, nel tempo o in un determinato stato fisiologico.

Gli attuali studi di proteomica sono prevalentemente incentrati su due aree principali (Monti et al, 2005):

Proteomica funzionale: Proteomica di espressione

La proteomica funzionale ha come obiettivo la definizione della funzione biologica di proteine, il cui ruolo è ancora sconosciuto, e l’identificazione delle interazioni

Proteomica Insieme delle proteine

espresse da un genoma Studio del

(18)

Proteomica

proteina− proteina in vivo, per la descrizione a livello molecolare dei meccanismi cellulari.

La proteomica di espressione è focalizzata sullo studio qualitativo e quantitativo dei differenti profili di espressione delle proteine; l’espressione delle proteine può infatti modificarsi per variazioni delle condizioni cellulari (diverse condizioni di crescita, stress o presenza di patologie cellulari, etc.)

Il diverso profilo delle proteine rilevate in un tessuto, assenza, presenza o livelli quantitativi differenti, sono potenziali indicatori di uno stato fisiologico e/o patologico.

3.1 Una panoramica sui metodi di Proteomica

Ci sono vari aspetti da considerare nello studio del ruolo dei mitocondri nella protezione:

• le molecole segnale che sono coinvolte nella morte cellulare e nella protezione sono presenti in bassi livelli (Gucek et al, 2010);

• le modifiche post-traduzionali, che sono probabilmente importanti, sono difficili da rilevare perché possono essere labili,o comunque a causa di limiti metodologici (Mikesh et al, 2006);

• molti schemi di cardioprotezione e di morte cellulare ipotizzano che le proteine citosoliche possano traslocare al mitocondrio per provocare la morte cellulare o gli eventi protettivi. Stabilire se queste proteine siano veramente associate al mitocondrio o siano solo un contaminante è un punto critico (Gucek et al, 2010).

Le alterazioni delle proteine mitocondriali probabilmente coinvolgono proteine di segnalazione che sono poco abbondanti. La spettrometria di massa è una tecnica che si limita ad individuare le proteine più abbondanti, quindi meno proteine sono presenti nel campione, più sarà facile identificare le proteine scarsamente abbondanti. Per questo è importante includere un metodo di separazione prima dell’analisi per spettrometria di massa. Il frazionamento può consistere in una separazione per organelli subcellulari o per caratteristiche fisico-chimiche (peso molecolare, punto isoelettrico). Quanto più sarà efficace il frazionamento, tanto maggiori saranno le probabilità che una proteina scarsamente abbondante, sia identificata. (Gucek et al, 2010). Vari sono gli approcci utilizzabili (Fig.11).

(19)

3.1.1 Separazione delle proteine per elettroforesi monodimensionale

Una molecola provvista di carica, si muove in campo elettrico. Questo fenomeno, chiamato elettroforesi, offre un mezzo potente per separare proteine ed altre macromolecole. Le separazioni elettroforetiche vengono di norma effettuate su gel. Le molecole che hanno dimensioni più piccole dei pori del gel si muovono più rapidamente, mentre le molecole più grandi presentano una mobilità inferiore.

In condizioni denaturanti è possibile separare le proteine mediante elettroforesi su gel di poliacrilamide soprattutto in base alla loro massa. La miscela di proteine viene prima sciolta in una soluzione di SDS, un detergente anionico che spezza quasi tutte le interazioni non covalenti delle proteine native. Gli anioni SDS si legano alle catene principali in un rapporto di circa una molecola di SDS per ogni 2 residui di aminoacidi. Questo attribuisce al complesso SDS-proteina denaturata una carica netta negativa che è approssimativamente proporzionale alla massa della proteina. I complessi dell’SDS con le proteine vengono sottoposti ad elettroforesi. Le proteine più piccole si muovono più rapidamente attraverso il gel. L’elettroforesi su gel di poliacrilaminide in SDS è rapida, sensibile e capace di un elevato grado di risoluzione. (Stryer; 1996).

Il gel ad una dimensione separa le proteine mitocondriali sulla base del loro apparente peso molecolare, ed è sfruttabile per proteine idrofobiche, come le proteine di membrana. Dopo la separazione e la colorazione ( ad esempio con Blu di Comassie) le bande di gel sono estratte, digerite in gel con tripsina ed analizzate per spettrometria di massa. La separazione con gel 1D consente la separazione di proteine ad elevata abbondanza, come le proteine contrattili, l’albumina (Gucek et al, 2010).

3.1.2 Separazione delle proteine per elettroforesi bidimennsionale

Le proteine si possono separare mediante elettroforesi anche sulla base del loro contenuto relativo di residui acidi e basici. Il punto isoelettrico (pI) di una proteina è il pH a cui la sua carica netta è zero. A questo pH la sua mobilità elettroforetica è zero. Se viene sottoposta ad elettroforesi una miscela di proteine in un gradiente di pH in un gel senza SDS, le proteine si muoveranno fino a raggiungere una posizione nel gel in cui il pH è uguale al pI della proteina. Questo metodo per la separazione di proteine secondo il punto isoelettrico si chiama focalizzazione isoelettrica. Si può combinare la focalizzazione isoelettrica con l’elettroforesi su gel di poliacrilamide in SDS per

(20)

Proteomica

ottenere separazioni ad altissima risoluzione. Si parla in questo caso di elettroforesi bidimensionale. Un campione viene prima sottoposto a focalizzazione isoelettrica , quindi ad elettroforesi in condizioni denaturanti. In questo modo si ottiene una separazione delle proteine lungo l’asse orizzontale sulla base del punto isoelettrico, ed in direzione verticale sulla base della massa (Fig.8) (Stryer; 1996).

Utilizzando un approccio elettroforetico bidimensionale le proteine mitocondriali intatte sono prima separate per punto isoelettrico, e quindi per peso molecolare. A volte le proteine di peso molecolare molto alto o molto basso, idrofobiche o molto basiche potrebbero non migrare o non risolversi su gel 2D, il che quindi può costituire un problema per alcune proteine, come le proteine mitocondriali di membrana. Il risultante gel 2D può essere colorato per la visualizzazione delle proteine (argento, blu di Comassie, etc) (Gucek et al, 2010).

Le tecniche comunemente utilizzate per la visualizzazione delle proteine frazionate su gel si basano sull’uso di coloranti che si legano aspecificamente a qualunque proteina. Il blue di Coomassie è un colorante largamente utilizzato che consente la rivelazione di quantità di proteine che vanno dai microgrammi ai nanogrammi. Per la rivelazione di proteine meno abbondanti, la scelta ideale ricade sulla colorazione all’argento (Silver staining) che arriva a rivelare proteine in quantità inferiore ai nanogrammi. I gel bidimensionali sono un’ottima scelta per ottenere un’immagine istantanea delle proteine nel campione ed individuare potenziali problemi con la qualità del campione. Un altro vantaggio del gel bidimensionale è la capacità di visualizzare alcune modifiche post-traduzionali che alterano il punto isoelettrico o il peso molecolare. Una delle modifiche più comunemente osservate è la fosforilazione (Il punto isoelettrico delle proteine fosforilate è più acido, quindi le proteine sono più spostate verso sinistra). (Gucek et al, 2010).

(21)

Fig.8 – A) proteine non separate; B) l’isolettrofocalizzazione consente di separare le proteine sulla base del punto isoelettrico lungo l’asse orizzontale; C) La combinazione della separazione per punto isoelettrico e per peso molecolare consente di ottenere una distribuzione lungo l’asse orizzontale sulla base del punto isoelettrico, ed una distribuzione lungo l’asse verticale sulla base del peso molecolare

3.1.3 Separazione delle proteine mediante 2D Differential Gel Electrophoresis 2D-DIGE.

In un approccio di analisi quantitativa differenziale, due campioni possono essere paragonati utilizzando un’elettroforesi bidimensionale a differenza di fluorescenza. Con questo metodo differenti proteine sono legate con differenti coloranti fluorescenti e, quando vengono combinate e separate su gel 2D, possono essere visualizzate mediante misurazione della fluorescenza. Gli spot proteici quindi sono estratti da gel ed identificati mediante spettrometria di massa tandem. (Gucek et al, 2010).

Questa metodologia di analisi differenziale su gel bi-dimensionale è chiamata 2D-DIGE (2D Differential In Gel Electrophoresis) e sfrutta la marcatura diretta delle proteine con molecole fluorescenti quali le cianine. Uno dei vantaggi di questo tipo di strategia consiste nella possibilità di marcare indipendentemente due o più campioni

(22)

Proteomica

con molecole fluorescenti diverse, mescolarli insieme ed analizzarli contemporaneamente in un unico gel. Poiché i campioni corrono nello stesso gel, le stesse proteine presenti in tutti i campioni migreranno esattamente nella stessa posizione del gel 2D, minimizzando i vari problemi di riproducibilità. Infine, utilizzando particolari scanner per la lettura della fluorescenza, si acquisiscono immagini differenti per ogni singolo campione dallo stesso gel in modo da semplificare la sovrapposizione degli spot proteici e massimizzare l’accuratezza delle misure quantitative.

3.1.4 Identificazione delle proteine mediante spettrometria di massa

La spettrometria di massa e’ la tecnica analitica d’elezione per identificare le proteine; si basa sulla ionizzazione di una molecola e sulla sua successiva frammentazione in ioni di diverso rapporto massa/carica (M/z). Il metodo si basa sul principio per cui una molecola viene ionizzata per espulsione di un elettrone; il catione radicalico che si forma (ione molecolare) in parte si frammenta dando molecole e/o radicali neutri (che lo strumento non rileva), in parte generando cationi e/o radicali cationi (ioni frammento).

Lo ione molecolare e i vari ioni che si originano per frammentazione (cationi e radicali cationi) vengono discriminati sulla base del loro rapporto massa/carica e rivelati da un detector.

Si ottiene uno spettro di massa, che rappresenta l’abbondanza relativa degli ioni in funzione del loro rapporto massa/carica.

Questa tecnica consente di misurare le masse molecolari e di ottenere dei profili di frammentazione che sono specifici per ciascun composto di cui costituiscono, quindi, un’impronta digitale.

Gli spettrometri di massa sono costituiti da una sorgente (ionizzatore), necessaria alla ionizzazione e alla volatilizzazione del campione in esame, da un analizzatore che consente di differenziare i campioni in base al loro rapporto massa/carica e da un rilevatore che determina il numero di ioni per ogni rapporto massa/carica trovato (Fig.9).

(23)

Fig.9- Schema degli elementi di uno spettrofotometro

Una delle tecniche di ionizzazione più usate è la ESI: un campione di proteina in un solvente acido volatile, viene spruzzato nello spettrometro di massa. Il solvente che circonda le singole goccioline evapora rapidamente nella camera a vuoto dello strumento, lasciando le molecole proteiche intatte e con numerose cariche positive. (Stryer, 1996).

Si definisce spettrometria di massa tandem la strategia in cui si utilizzano tecniche di frammentazioni successive effettuate su frammenti già analizzati.

3.1.5 Identificazione mediante Spettrometria di massa MALDI/TOF.

La sorgente denominata MALDI (Matrix Assisted Laser Desorption/Ionization) è una sorgente a desorbimento/ionizzazione. Per l’analisi MALDI, il campione viene cristallizzato, facendolo adsorbire su un’opportuna matrice, viene ionizzato sottoponendolo ad un campo elettrico di notevole intensità e ad irradiazione con luce laser. La matrice è in grado di assorbire la luce alla lunghezza d’onda del laser e l’irraggiamento provoca la formazione di una nube di desorbimento che risulta, per effetto del campo elettrico, globalmente carica. Il campione desorbe con la matrice e genera ioni molecolari protonati in fase gassosa. Gli ioni cosi formati lasciano la sorgente con velocità dipendenti dalla loro rapporto m/z. Ad una sorgente MALDI è accoppiato un analizzatore a tempo di volo (TOF, Time of Flight). In questi analizzatori gli ioni vengono analizzati in base al tempo di percorrenza di una sezione più o meno lunga dello spettrometro: gli ioni con massa minore, e quindi caratterizzati da velocità di uscita dalla sorgente più elevata, raggiungeranno prima il rilevatore posto in fondo al tubo di volo rispetto a ioni a massa maggiore.

(24)

Proteomica

3.1.6 Identificazione mediante Peptide Mass Fingerprinting

Questa tecnica prevede la purificazione della proteina d’interesse mediante elettroforesi bidimensionale, e quindi l’idrolisi della proteina in esame mediante tripsina seguita dall’analisi diretta dei peptidi risultanti mediante spettrometria di massa. Analizzando mediante spettrometria di massa MALDI (MALDI-TOF MS) la miscela di peptidi che si genera, si ottiene una serie di valori di peso molecolare che può essere utilizzata per la ricerca nelle banche dati di sequenze proteiche mediante software (Fig.10). Questi programmi simulano l’idrolisi delle sequenze di proteine presenti nelle banche dati e calcolano i valori dei pesi molecolari dei peptidi generati dall’idrolisi virtuale con tripsina di ciascuna di esse. Questo consente il confronto fra i valori teorici ed i valori reali misurati. Quanto più sono corrispondenti, tanto più alta sarà la probabilità di identificazione corretta della proteina.

Fig.10- La proteina viene purificata mediante elettroforesi 2D e digerita. I peptidi

generati sono analizzati mediante spettrometria MALDI-TOF

3.1.7 Altri approcci

Il campione può anche essere digerito in soluzione per peptidi, seguito da frazionamento per peptidi (ad esempio con cromatografia a forte scambio cationico, SCX). Tali peptidi sono poi analizzati direttamente mediante spettrometria di massa.

(25)

Utilizzando questo tipo di approccio non si ha perdita di proteine con l’estrazione dal gel.

Fig 11- Strategie di proteomica per l’identificazione delle proteine mitcondriali.

Vantaggi e svantaggi dei diffrenti approcci.

3.2 Metodi di proteomica per individuare la fosforilazione

Una delle modifiche post-traduzionali più nota è la fosforilazione. I metodi di proteomica per identificare la fosforilazione di proteine si basano su un arricchimento preliminare mediante anticorpi specifici o mediante colonne di affinità con metalli immobilizzati (Fig.12). La successiva analisi dei fosfopeptidi può procedere utilizzando spettrometri di massa.

La strategia di arricchimento basata sull’ immunoprecipitazione con anticorpi fornisce risultati brillanti per la fosforilazione della tirosina. (Gucek et al, 2010).

Vengono utilizzati anticorpi contro gli aminoacidi fosforilati che permettono di realizzare un’immmunoprecipitazione, ed il conseguente arricchimento delle proteine modificate, a partire da una miscela complessa.

(26)

Proteomica

L’ approccio di immunoprecipitazione teoricamente dovrebbe essere applicabile anche per la fosfoserina e la fosfotreonina ma rimane una strategia scarsamente utilizzata, probabilmente per la mancanza di anticorpi specifici (Grønborg et al, 2002).

Le strategie di arricchimento basate sull’affinità, più comunemente usate per le proteine ed i peptidi, sfruttano le caratteristiche fisico-chimiche dei gruppi fosfato di interagire con ioni metallici a carica positiva: Immobilized metal ion Affinity Chromatography (IMAC), Metal Oxide Affinity Chromatography (MOAC, basata sul diossido di titanio) e cromatografia a forte scambio cationico (SCX) (Gucek et al, 2010).

La tecnica della cromatografia IMAC si basa sull’affinità dei gruppi fosfato per i cationi metallici come il ferro, consentendone una ritenzione selettiva. I fosfopeptidi sono catturati selettivamente sulle colonne IMAC a causa dei gruppi fosfato. Per incrementare la specificità sono state introdotte strategie per neutralizzare i residui aminoacidici carichi negativamente prima di caricare il campione sulla colonna (Guerrera et al, 2005).

Questa tecnica è utilizzata per arricchire la miscela in fosfopeptidi, prima dell’analisi per spettrometria di massa.

La MOAC sfrutta le capacità del biossido di titanio nelle tecniche di arricchimento dei fosfopeptidi. I peptidi vengono caricati utilizzando la matrice DHB (acido 2,5-diidrossibenzoico). L'effetto del DHB è molto efficiente nel ridurre la quantità di peptidi non fosforilati che si legano al biossido di titanio.

Pertanto, l’utilizzo di DHB ha notevolmente aumentato la selettività di arricchimento dei peptidi fosforilati (Grimsrud et al, 2010).

Nella tecnica della cromatografia a forte scambio cationico (SCX) i peptidi sono mantenuti su una colonna attraverso l'interazione delle loro catene laterali, caricate positivamente, con la resina della colonna caricata negativamente. I peptidi vengono eluiti dalla colonna in ordine crescente di punto isoelettrico (pI) su un gradiente di concentrazione di sale. I fosfopeptidi, per la presenza di carica negativa dei gruppi fosforici a bassi valori di pH, hanno minore affinità per la resina caricata negativamente rispetto ad un corrispondente peptide non fosforilato della stessa sequenza. Di conseguenza i fosfopeptidi sono presenti nelle prime frazioni eluite.

(27)

Una metodologia modificata di SCX a basso valore di pH può produrre frazioni costituite quasi interamente da fosfopeptidi, eliminando la necessità di ulteriore arricchimento (Grimsrud et al, 2010).

Dopo l’arricchimento la miscela di fosfopeptidi è separata utilizzando cromatografia liquida e spettrometria di massa. I peptidi di fosfotirosina si frammentano lungo la struttura del peptide, lasciando intatto il fosfogruppo presente sul frammento, rendendo possibile l’identificazione del peptide ed in molti casi, la localizzazione del sito di fosforilazione (Gucek et al, 2010).

Fig.12 - Strategie di arrichimento dei fosfopeptidi; (Grimsrud et al, 2010)

3.3 Metodi di proteomica per individuare la S-nitrosilazione

L’ossido di azoto può portare all’aggiunta di un gruppo NO a proteine tioliche, una modifica conosciuta come S nitrosilazione (SNO). Come per la fosforilazione, anche in questo caso è necessaria una strategia di arricchimento preliminare alla spettrometria di massa per individuare la S-nitrosilazione.

L’arricchimento delle proteine è spesso fatto con il metodo Biotin switch (Fig.13) (Forrester et al, 2009).

(28)

Proteomica

1. blocco dei gruppi tiolici delle cisteine libere del campione con agenti alchilanti, 2. riduzione delle cisteine nitrosilate a tioli con acido ascorbico,

3. legame in situ dei gruppi tiolici così ottenuti con biotin-HPDP (un disolfuro misto reattivo di biotina).

Il grado di biotinilazione (e quindi di S-nitrosilazione) è determinato mediante anticorpi antibiotina o con utilizzo di colonne con avidina (Forrester et al, 2009).

Fig. 13- Panoramica della tecnica biotina-switch. Nell'esempio illustrato, tre lisati

con vari gradi di S-nitrosilazione sono sottoposti al test. I gruppi tiolici delle cisteine libere del campione vengono bloccati con agenti alchilanti (S-methylmethanethiosulfonate ). Le cisteine nitrosilate vengono ridotte a tioli con acido ascorbico. I gruppi tiolici così ottenuti vengono legati con biotin-HPDP (un disolfuro misto reattivo di biotina).

Il grado di biotinilazione (e quindi di S-nitrosilazione) è determinato mediante anticorpi antibiotina o con utilizzo di colonne con avidina . (da Forrester et al. 2009)

(29)

Le proteine biotinilate, arricchite su colonne di affinità con avidina, poi possono essere eluite, digerite e analizzate mediante spettrometria di massa.

In alternativa, le proteine legate alla biotina possono essere poste su gel monodimensionale, estratte ed identificate mediante spettrometria di massa (Gucek et al, 2010).

Usando il metodo della biotina, le proteine nitrosilate sono facilmente identificate. Sono stati riportati anche altri metodi di arricchimento delle proteine basati sulla biotina. La tecnica ICAT (Isotope Code Affinity Tag) è stata usata per misurare l’ossidazione delle cisteine ed il legame del reagente ICAT con la biotina è un possibile approccio per identificare le proteine S-nitrosilate.

Questa tecnica permette la comparazione diretta e contestuale di proteine di 2 differenti campioni.

Ogni reagente ICAT consiste di tre gruppi fondamentali (Fig.14): 1. un gruppo tiolo-reattivo,

2. un isotopo che può essere leggero o pesante

3. un segmento di biotina per facilitare l’arricchimento del peptide.

La tecnica prevede che il reagente isotopicamente pesante venga fatto reagire con un campione, e quindi il reagente isotopicamente leggero venga fatto reagire con l’altro campione. Dopo il legame, le proteine sono combinate, digerite, e isolate per cromatografia di affinità con avidina. I peptidi isolati sono poi analizzati per spettrometria di massa (Fu et al, 2008).

Fig.14- Reagente ICAT

(30)

Il proteoma cardiaco e la cardioprotezione

4 Il proteoma cardiaco e la cardioprotezione

Un approccio possibile per indagare i cambiamenti nel proteoma mitocondriale è quello di determinarne le variazioni in condizioni di cardioprotezione (utilizzando il fenomeno del precondizionamento), rispetto al proteoma che si riscontra in condizioni fisiologiche ed a quello che si riscontra in condizioni di stress ischemico.

Effettivamente studi condotti da vari Autori indicano che ci sono cambiamenti nelle proteine mitocondriali; tuttavia, per alcuni di questi cambiamenti è precoce poter affermare se siano importanti nella cardioprotezione o se invece siano semplicemente risposte di proteine mitocondriali allo stress.

4.1 Distribuzione mitocondriale dell’esochinasi e ruolo

Molti studi hanno dimostrato che gli eventi di cardioprotezione sono associati alla traslocazione verso i mitocondri di chinasi e di altre proteine di segnalazione. In particolare l’esochinasi esibisce un aumento della localizzazione mitocondriale in seguito a trattamento di precondizionamento ischemico o a trattamento farmacologico (Zuurbier et al, 2005).

L'aumento dell’ esochinasi inibisce l'attivazione del MPTP.

È noto che il metabolismo del glucosio, specialmente la glicolisi risulta essere prominente nel contesto di precondizionamento ischemico (Murry et al, 1986).

Alcuni Autori hanno esaminato se il precondizionamento ischemico induce una redistribuzione cardiaca di alcuni enzimi coinvolti nel metabolismo del glucosio: l’esochinasi HK(che catalizza il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP agli esosi), la lattato deidrogenasi LDH (che riduce il piruvato mediante il NADH per formare lattato) e la citrato sintetasi CS (primo enzima del ciclo di Krebs che catalizza la reazione di formazione di citato a partire da ossalacetato e Acetil CoA )(Zuurbier et al, 2005). Nessun cambiamento nell’attività dell’ LDH o della CS presenti nel frazione citosolica, rispetto all'attività della cellula intera, è stato osservato nei campioni precondizionati. Per contro l’attività dell’esochinasi HK presente nella frazione citosolica diminuiva significativamente rispetto all'attività esochinasica misurata per la cellula intera. In aggiunta l’attività dell’esochinasi presente nella frazione

(31)

mitocondriale aumentava significativamente rispetto all’attività della citrato sintetasi nei campioni precondizionati (Zuurbier et al, 2005).

I primi studi di precondizionamento ischemico condotti nel 1986 da Murry e dai suoi collaboratori, suggeriscono che l’alterazione della glicolisi faccia parte di un meccanismo endogeno di protezione. Il precondizionamento porta ad una diminuzione dell’accumulo di fruttosio-6-fosfato e lattato, nonostante livelli normali o anche elevati di glucosio e glucosio-6-fosfato durante il periodo ischemico (Vogt et al, 2002). È stato dimostrato che questo non è dovuto ad un aumento di canalizzazione degli intermedi glicolitici nel percorso del pentosio fosfato (Zuurbier et al, 2004). Pare quindi più probabile che la regolazione degli enzimi glicolitici, mediante precondizionamento ischemico, possa coinvolgere la traslocazione di un enzima e l’esochinasi HK si rivela essere un probabile candidato (Zuurbier et al, 2005).

Il meccanismo con cui l’associazione fra mitocondri ed esochinasi offra protezione contro la morte cellulare non è ancora chiarito.

Sono stati proposti due meccanismi, ciascuno dei quali non esclude l’altro (Majewski et al, 2004). Secondo uno dei due meccanismi ipotizzati l’associazione fra esochinasi e mitocondrio, e più precisamente con la membrana mitocondriale esterna e con il canale anionico voltaggio dipendente (VDAC), riduce la capacità delle proteine proapoptotiche come BAX/BAK di oligomerizzare la membrana mitocondriale esterna. In alternativa l’esochinasi mitocondriale associata alla VDAC prevede una maggiore disponibilità citosolica di ADP (ADP è il prodotto della reazione esochinasica), stimolando il flusso attraverso il traslocatore del nucleotide adenina e di conseguenza la F1F0-ATP sintasi (Majewski et al, 2004).

Come risultato il gradiente H+, cioè il potenziale della membrana mitocondriale, si abbassa (Da-Silva et al, 2004).

Un potenziale di membrana mitocondriale inferiore determina una diminuzione della produzione mitocondriale di specie reattive dell’ossigeno, diminuendo il danno ossidativo (Korshunov et al, 1997).

(32)

Il proteoma cardiaco e la cardioprotezione

4.2 Distribuzione mitocondriale di PKCε e ruolo

È stato riportata in letteratura la localizzazione di PKCε nei mitocondri (Fryer et al, 2001).

Diversi gruppi hanno riportato un aumento dei livelli di PKCε mitocondriale in associazione ad eventi di cardioprotezione (Baines et al, 2002) (Baines et al, 2003). Una varietà di stimoli citoprotettivi che attivano PKCε, tra cui il precondizionamento ischemico, danno come risultato un aumento dei livelli mitocondriali di PKCε (Budas et al, 2010).

Uno dei potenziali bersagli di PKCε è il poro di transizione di permeabilità mitocondriale. Il poro mitocondriale è un complesso multi proteico, formato nei siti di contatto fra la membrana esterna ed interna del mitocondrio. I componenti chiave del MPTP sono il canale per anioni voltaggio dipendente VDAC sulla membrana esterna, l’adenina nucleotide traslocasi (ANT) sulla membrana interna. Il poro inoltre include l’esochinasi che lega VDAC e la ciclofillina D che lega ANT (Baines et al, 2003). È stata riportata l’associazione di PKCε con VDAC. Da studi in vitro è stato mostrato che PKCε può fosforilare VDAC, e mediante questa fosforilazione potrebbe esercitare il suo effetto inibitorio sul poro di transizione di permeabilità mitocondriale. L'incubazione di mitocondri cardiaci con PKCε, infatti, ha comportato una piccola ma significativa inibizione del rigonfiamento mitocondriale indotto dal Ca2+ (un indice di apertura del poro mitocondriale) dimostrando così un diretto effetto inibitorio di PKCε sul poro mitocondriale (Baines et al, 2003).

Sebbene il meccanismo specifico con cui PKCε influenza VDAC, e quindi il poro mitocondriale nel suo complesso, durante la cardioprotezione non sia ancora conosciuto, possono essere formulate diverse ipotesi.

Una possibilità è che la fosforilazione di VDAC possa inibire il canale ionico stesso, riducendo la conduttanza del poro. Un’altra possibilità è che PKCε induca cambiamenti conformazionali che possono alterare la sensibilità al Ca2+ del poro mitocondriale (Baines et al, 2003).

Un’ulteriore ipotesi propone che il legame di ciclofilina D con ANT faciliti l’apertura del poro aumentando la sensibilità al Ca2+ (Halestrap et al, 2002).

Poiché non è stata trovata ciclofillina D nel complesso fra poro e PKCε, un’altra ipotesi è che PKCε possa indurre cambiamenti all'interno del poro stesso che

(33)

impediscono il legame con la ciclofilina D e riducono la sensibilità al Ca2+ (Baines et al, 2003).

Un'ultima possibilità è che PKCε recluti proteine inibitrici nel complesso dei pori. Ad esempio, in un lavoro precedente di Baines e collaboratori, è stato dimostrato che PKCε fosforilando ERK nei mitocondri di topi transgenici, (esprimenti PKCε in forma attiva), porta alla inattivazione della proteina pro-apoptotica Bad (Baines et al, 2002). L'inattivazione di Bad potrebbe rilasciare la proteina anti-apoptotica Bcl-XL, che può legarsi al poro mitocondriale ed inibirlo. La concomitante fosforilazione di VDAC da parte di PKCε può agire per facilitare il legame fra Bcl-XL ed il poro. Tuttavia al momento queste restano delle ipotesi (Baines et al, 2003).

L’attività di PKCε si esplica anche sulla proteina ERK, come sopra accennato, la quale aumenta la sua fosforilazione in presenza di PKCε attivo (Baines et al, 2002).

L’ingresso di PKCε nel mitocondrio è mediato da HSP90. La Proteina da shock termico 90 (HSP90) è una proteina chaperonina citoprotettiva che partecipa all’ importazione mitocondriale di un certo numero di proteine (Budas et al, 2010).

PKCε ha dimostrato di causare fosforilazione dell’aldeide deidrogenasi 2 (ALDH2), la quale provoca una riduzione delle dimensioni dell'infarto (Chen et al, 2008).

Almeno due siti di fosforilazione di ALDH2 sono stati identificati: Thr185 e Thr412 ed eventualmente Ser279 (Chen et al, 2008).

L’Ischemia-riperfusione conduce a stress ossidativo nel miocardio.

Lo stress ossidativo è una condizione in cui si ha un’eccessiva produzione di specie reattive dell’ ossigeno (ROS), come O2- e l’H2O2, che si accumulano e determinano tossicità cellulare. Nel miocardio, una produzione significativa di ROS si verifica nei mitocondri; quando questa è eccessiva, contribuisce determinare lo stress ossidativo. I ROS indotti dallo stress ossidativo determinano un accumulo di aldeidi tossiche. Le aldeidi sono agenti diffusibili e altamente reattivi nelle cellule, che causano danni a lipidi, proteine e DNA. Poiché causano danno al DNA, una vasta gamma di aldeidi sono state classificate come mutagene e cancerogene. Queste comprendono anche l’acetaldeide, derivata dal consumo di etanolo. Di particolare interesse per i danni cardiovascolari sono le aldeidi reattive come 4-idrossi-2-nonenale (4-HNE) e malondialdeide (MDA) (Chen et al, 2010).

(34)

Il proteoma cardiaco e la cardioprotezione

In condizioni di ischemia-riperfusione, nella membrana plasmatica, la perossidazione degli acidi grassi, come l'acido linoleico e l’acido arachidonico, indotta dai ROS porta alla formazione di 4-HNE. 4HNE pregiudica anche la capacità generatrice di ATP nei mitocondri, induce l'apertura dei pori mitocondriali di transizione di permeabilità, e danneggia l'integrità mitocondriale. Vi è una classe di enzimi detossificanti che catalizzano la rimozione delle aldeidi nel corpo, che fanno parte della famiglia delle aldeidi deidrogenasi. Sono stati mappati diciannove geni ALDH nel genoma umano, di cui 17 isoenzimi ALDH sono espressi con differente distribuzione tissutale. Almeno cinque isoenzimi ALDH risiedono e funzionano nei mitocondri. L’ALDH2 è l’isoenzima chiave nei meccanismi di cardioprotezione. L’ALDH2 è un enzima tetramerico che si esprime in abbondanza nel fegato e polmoni, ed è anche presente in organi che richiedono un’intensa produzione di ATP da parte dei mitocondri, come il cuore ed il cervello. L’attivazione di ALDH da parte di PKCε conduce a cardioprotezione (Chen et al, 2010).

4.3 Distribuzione ruolo di AKT

AKT (anche nota come protein chinasi B) è una serina/treonina chinasi.

È stato dimostrato che il precondizionamento produce un incremento della fosforilazione di AKT. AKT risulta essere presente nei mitocondri anche in condizioni cellulari fisiologiche (Bijur et al, 2003).

AKT è generalmente associata con la via di segnalazione della fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K), in cui l'attivazione di AKT inizia dopo che PI3K catalizza la produzione di fosfatidilinositolo 3,4 -bisfosfato e fosfatidilinositolo 3,4,5-trifosfato. Tali molecole reclutano AKT dal citosol e la fosforilano. AKT, nella sua forma fosforilata, trasloca ai mitocondri. Il rapido aumento della fosforilazione di AKT a livello citosolico, determina un aumento dei livelli di AKT mitocondriali. AKT si distribuisce in tutto il mitocondrio compresa la membrana interna, esterna e nella matrice.

I meccanismi di importazione ed esportazione di AKT mitocondriale devono ancora essere esaminati (Bijur et al, 2003).

(35)

Si ritiene che AKT influenzi la protezione mediante la fosforilazione di varie proteine bersaglio, come la ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS), BAD (membro della famiglia proapoptotica Bcl-2), la caspasi 9, e altri (Murphy et al, 2008).

È stato trovato un legame fra aumento di AKT fosforilata nel mitocondrio e fosforilazione della subunità Beta dell’ATP sintasi, che è il sito catalitico per la sintesi di ATP (Bijur et al, 2003).

A livello mitocondriale è preminente il ruolo cardioprotettivo che AKT svolge sulla glicogeno sintasi mitocondriale GSK-3β. I livelli di GSK-3β nei mitocondri sono influenzati da stimoli che attivano AKT, a differenza di GSK-3β nucleare.

GSK-3β nei mitocondri è co-localizzato con AKT sia nella membrana esterna sia in quella interna. Il rapido aumento di fosforlazione della Ser9 di GSK-3β nei mitocondri riflette l'accumulo di AKT nei mitocondri stessi. La fosforilazione della serina-9 di GSK-3β è un meccanismo ben noto per inibirne l’attività (Bijur et al, 2003).

4.4 GSK-3β

La glicogeno sintetasi è stato il primo substrato descritto per GSK-3β ed è da questo substrato che GSK-3β prende il nome. La fosforilazione e la conseguente inibizione di GSK-3β determina una minor fosforilazione, e quindi un maggior attivazione della glicogeno sintetasi, con conseguente aumento di sintesi del glicogeno. Il precondizionamento porta ad una riduzione del glicogeno; questa riduzione è probabilmente regolata dalla glicogeno fosforilasi, e non da GSK-3β (Murphy et al, 2008).

È stato dimostrato che l'inibizione di GSK-3β ritarda il tempo di apertura del poro di transizione di permeabilità mitocondriale iniziato dai ROS (Juhaszova et al, 2004). Il meccanismo con cui l'inibizione di GSK-3β riduce l’apertura del MPTP non è chiaro ma è plausibile che GSK-3β alteri l’ MPTP modificando la fosforilazione di substrati di destinazione.

GSK-3β è segnalato per fosforilare la proteina pro-apoptotica BAX, e BAX si indirizza ai mitocondri, così l'inibizione di GSK-3β ridurrebbe la fosforilazione di BAX (Murphy et al, 2008).

(36)

Il proteoma cardiaco e la cardioprotezione

4.5 CX 43

La letteratura ci dice che la deplezione genetica della connessina 43 (Cx-43) inibisce l’effetto cardioprotettivo indotto dal precondizionamento (Schwanke et al, 2002). Il ruolo della Cx-43 nel precondizionamento non è legato alla formazione di giunzioni GAP fra cellule, poiché la riduzione di Cx-43 blocca la protezione anche in miociti isolati, che costituiscono un modello in cui non vi sono connessioni cellula-cellula e quindi senza giunzioni comunicanti (Li et al, 2004).

È stato verificato che il precondizionamento determina una traslocazione di Cx-43 ai mitocondri e che Cx-43 è importante per la cardioprotezione (Rodriguez et al, 2006). L’esatto ruolo di Cx43 nei meccanismi cardioprotettivi deve essere ancora compreso. Questa traslocazione ha dimostrato di essere dipendente dalla via di importazione HSP90-TOM. (Rodriguez et al, 2006).

4.6 Ruolo di ERK

Il precondizionamento ha dimostrato di aumentare la fosforilazione di ERK; ERK può essere fosforilata ed attivata da PKCε ed è stato dimostrato che, in topi esprimenti PKCε attivo, si presenta la fosforilazione di ERK mitocondriale (Baines et al, 2002). ERK (Extracellular Signal Regulated Protein Kinase) è una proteina che fa parte della famiglia delle MAP chinasi. Le MAPK (Mitogen Activated Protein Kinase) sono una famiglia di chinasi espresse nelle cellule eucariotiche, hanno ruolo in vari processi cellulari tra cui la proliferazione, il differenziamento, l’infiammazione, la risposta allo stress ossidativo, l’apoptosi e la trasformazione. ERK attivata (fosforilata) può fosforilare altre proteine citoplasmatiche, e fattori di trascrizione nucleari.

L’attivazione di ERK provoca l'inibizione del MPT.

ERK ha dimostrato di fosforilare la proteina pro-apoptotica BAD, la quale una volta fosforilata non è più in grado di inibire la proteina anti-apoptotica Bcl-2 (Baines et al, 2002).

Bcl-2 si ipotizza possa ridurre l’apertura del poro di transizione di permeabilità mitocondriale (Baines et al, 2002).

(37)

4.7 Gli eventi di cardioprotezione si associano a cambiamenti nel proteoma mitocondriale

Alcuni Autori hanno voluto identificare la presenza di alterazioni del proteoma mitocondriale coinvolte negli eventi cardioprotettivi (Wong et al, 2010).

È noto che il fosfatidil inositol 3 kinase (PI3-kinase) gioca un ruolo chiave nelle segnalazioni del precondizionamento, portando alla fosforilazione ed inattivazione della glicogeno sintasi chinasi GSK-3β (Tong et al, 2002)

È noto che la fosforilazione della Ser9 della GSK-3β prima dell'ischemia riduce la dimensione dell'infarto dopo ischemia-riperfusione (I/R) nel cuore e l’inibizione a breve termine di GSK-3β con agenti farmacologi imita gli eventi di cardioprotezione che si verificano nel precondizionamento. È stato inoltre dimostrato che l'aggiunta di inibitori di GSK-3β all'inizio della riperfusione riduce le dimensioni dell’infarto in cuori di ratto (Gross et al, 2004). È stato suggerito che l’inibizione GSK-3β da parte di fosforilazione della Ser9 riduce l’apertura del poro di transizione di permeabilità mitocondriale in cardiomiociti (Juhaszova et al, 2004).

Wong e collaboratori (2010) hanno ipotizzato che sia il precondizionamento, sia l’inibizione farmacologica di GSK-3β portino ad una serie di modifiche nel proteoma mitocondriale, alcune delle quali non saranno coinvolte nella cardioprotezione. Tuttavia, concentrandosi sulle alterazioni al proteoma comuni nel precondizionamento e nell’inibizione farmacologica di GSK-3β, è possibile individuare modifiche che potrebbero essere coinvolte nella cardioprotezione.

Per individuarle, Wong e collaboratori (2010) hanno utilizzato cuori di Langendorff di topi, divisi in 3 gruppi e trattati come segue:

• gruppo di controllo: perfusione per 55 minuti con buffer di equilibrazione, • gruppo sottoposto a precondizionamento: 15 minuti di equilibrazione, quindi

trattamento con 4 cicli composti da 5 minuti di ischemia, seguiti da 5 minuti di riperfusione

• gruppo trattato farmacologicamente: perfusione per 45 minuti con buffer di equilibrazione quindi trattamento per 10 minuti con inibitore farmacologico della GSK-3β: AR-A014418 (GSK Inhib VIII)

Figura

Fig.  4-  La  struttura  dell’ATP  sintasi:  la  subunità  F 0   attraversa  la  membrana  mitocondriale  interna,  la  porzione  F 1 catalizza  la  sintesi  di  ATP  (http://www.geneticaebiologia.unito.it/trasporto/atp_sintetasi.html
Fig  5-  Struttura  clasica  del  MPTP:  il  MPTP  è  formato  dal  complesso  VDAC-ANT- VDAC-ANT-CyPD
Fig. 7 - Da Murry et . 1986: percentuale dell’area di necrosi osservata, comparata con  l’area anatomica a rischio, dopo 40 minuti di occlusione coronarica continua, seguita  da riperfusione utilizzando il cane come modello
Fig  11-  Strategie  di  proteomica  per  l’identificazione  delle  proteine  mitcondriali
+4

Riferimenti

Documenti correlati

Other than decadal of case reporting, hexagons were loaded with the dominant vegetation category inside a given polygon, number of different categories inside each hexagon, raw

Vulnerability, based on the sanitary structure of the territory and on the impact on human activities due to the change in tick distribution and abundance, is proposed as a measure

– Estimation of eddy diffusivity with Dirichelet boundary condition, using second-order Tikhonov regularization with 1% of noise: vertical eddy diffusivity K zz and horizontal

La stessa aperta denuncia che i primi graffiti americani gridavano nei confronti della società si trovava anche nei murales e nelle forme di contestazione

del laboratorio?", "Degli allievi di terza media trovano un'attività didattica di tipo laboratoriale più o meno interessante rispetto a un'attività didattica con

La presenza di vene varicose o la storia di interventi chirurgici a ca- rico delle gambe o del circolo venoso delle gambe (come nel caso dello stripping delle vene varicose o

Otro subgénero dramático como la comedia de gran espectáculo destinada a ser re- presentada en teatros palaciegos solo pudo surgir merced a encargos previos. Lope de Vega