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Holding societarie e assetti di governance per la crescita dell'azienda familiare.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA MANAGEMENT E

CONTROLLO

"Holding societarie e assetti di governance per la

crescita dell'azienda familiare"

RELATORE

Chiar.mo Prof. Nicola Lattanzi

CANDIDATO

Serena Cobuccio

Anno Accademico

2015/2016

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INDICE

PREFAZIONE 1

1. LE AZIENDE FAMILIARI: ASPETTI PECULIARI 1.1 INTRODUZIONE 4

1.2 INQUADRAMENTO STORICO 5

1.3 PARALLELISMO LETTERARIO 10

1.4 IL CAPITALISMO FAMILIARE NELLO SCENARIO ECONOMICO ATTUALE 13

1.5 FAMIGLIA E IMPRESA: IL PROBLEMA DELLA SOVRAPPOSIZIONE ISTITUZIONALE 21

1.6 SUL CONCETTO DI AZIENDA FAMILIARE 25

2. LA CORPORATE GOVERNANCE DELLE AZIENDE FAMILIARI 2.1 INTRODUZIONE 32

2.2 GLI ASSETTI PROPRIETARI E DI CONTROLLO 34

2.2.1 UNA POSSIBILE CLASSIFICAZIONE DI AZIENDE FAMILIARI 37

2.3 IL GOVERNO ECONOMICO DELLE AZIENDE FAMILIARI 40

2.4 LE DIVERSE FORME DI LEADERSHIP 45

2.4.1 LA LEADERSHIP COLLEGIALE 50

2.5 LA PROGETTAZIONE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE 54

2.5.1 COMPLESSITÀ ALL'INTERNO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE 61

2.6 I MODELLI DI GOVERNANCE DI SUCCESSO 64

2.7 IL VALORE DELL'AUTONOMIA STATUTARIA 67

2.7.1 LE NOVITÀ DELLA RIFORMA 69

3. I GRUPPI DI IMPRESE COME MODELLO DI ASSETTO PROPRIETARIO 3.1 INTRODUZIONE 75

3.2 IL GRUPPO NEL CONTESTO ECONOMICO ITALIANO 76 3.3 LE MANIFESTAZIONI DEL CONTROLLO ALL'INTERNO DEL GRUPPO

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3.4 VERSO LA DEFINIZIONE DI GRUPPO 89

3.5 LE MOTIVAZIONI CHE SPINGONO VERSO L'AGGREGAZIONE 93

4. LE HOLDING DI FAMIGLIA 4.1 INTRODUZIONE 104

4.2 I GRUPPI FAMILIARI 105

4.3 ORIGINE DEL TERMINE "HOLDING" 111

4.4 QUANDO LA HOLDING È DI FAMIGLIA 113

4.4.1 LE HOLDING DI RAMO 118

4.4.2 SCELTA DEL TIPO DI ATTIVITÀ 121

4.4.3 SCELTA DELLA FORMA GIURIDICA 123

4.5 IL MODELLO DI GOVERNANCE DEI GRUPPI FAMILIARI 128

CONCLUSIONI 133

BIBLIOGRAFIA 138

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1

PREFAZIONE

Lo spunto per questa tesi deriva da uno studio svolto negli ultimi anni e che ha ad oggetto "le holding dei gruppi italiani a controllo familiare" degli economisti Guido Corbetta, Alessandro Zattoni e Fabio Quarato dell'Università Bocconi in collaborazione con Ernst & Young. La ricerca si focalizza su una realtà peculiare dell'economia italiana, le aziende familiari, ed evidenzia come la presenza di una holding controllante possa garantire risultati migliori sia in termini di redditività che di gestione finanziaria, specificando anche quale sia la struttura ideale dei gruppi familiari per ottenerli.

Tralasciando i dati specifici della ricerca, il fenomeno delle holding può rappresentare una valida soluzione ad una serie di esigenze che nel tempo si manifestano nella gestione dell'impresa e della famiglia proprietaria.

I gruppi aziendali sono tipicamente il risultato di un processo di sviluppo ed articolazione di una singola impresa. La loro formazione può essere motivata da obiettivi di espansione e/o diversificazione dell'attività economica, oppure da esigenze familiari. Non di rado i due fenomeni sono interconnessi e l'interposizione di una holding tra la famiglia e le società operative facilita la regolazione delle dinamiche familiari.

La previsione di una sede in cui tutti i familiari sono coinvolti nelle decisioni che interessano il gruppo consente di affidare la conduzione delle singole società operative ad uno, oppure solo ad alcuni membri della famiglia, evitando l'interferenza degli altri proprietari. Le ragioni della scelta possono essere differenti e talora opposte poiché in questo modo, è possibile garantire una maggiore autonomia nella gestione, evitando il confronto tra soggetti che, per carattere personale, stile di direzione o idee imprenditoriali, avrebbero difficoltà nel collaborare quotidianamente. La stessa soluzione può essere utilizzata per favorire le relazioni e la collaborazione tra persone appartenenti a rami famigliari diversi e a generazioni differenti.

La costituzione di holding di famiglia è anche un efficace strumento per mantenere il controllo della famiglia sull'impresa, contrastando gli effetti della progressiva frammentazione proprietaria dovuta alla deriva generazionale. L'incremento del numero dei familiari determina, nel tempo, una suddivisione delle quote di partecipazione, ognuna delle quali insufficiente per esercitare il controllo

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sull'impresa e per evitare la disaggregazione della proprietà intervengono diverse configurazioni holding.

Si analizzeranno gli elementi essenziali nella costituzione di una holding di famiglia, dalla scelta della forma giuridica ai modelli di governance più appropriati per ogni fattispecie facendo riferimento anche alla disciplina civilistica e sulla base di quanto esposto si faranno delle considerazioni conclusive in merito ai vantaggi derivanti dal conferimento di partecipazioni in una holding di famiglia, mostrando come l'operazione presenti molte più opportunità che costi.

La struttura prescelta è la seguente.

Il capitolo I focalizza l'attenzione sulle aziende familiari e sul loro ruolo nella realtà economica italiana. Verrà innanzitutto effettuato un inquadramento storico per arrivare a cogliere l'evoluzione e il posizionamento delle imprese familiari nel contesto economico attuale. Si procederà con l'affrontare quelle che sono le caratteristiche distintive di tali aziende partendo da ciò che le caratterizza più di ogni altra cosa, la sovrapposizione istituzionale di impresa e famiglia.

Il capitolo II prosegue estendendo l'analisi descrittiva al fenomeno della corporate governance che in ogni tipo di azienda necessita di particolari attenzioni. La natura "familiare" dell'impresa incide, e non poco, sulla sua governance: la commistione, se così vogliamo chiamarla, condiziona le scelte di governo ed è proprio per tale motivo che si necessita di regole precise. La complessità governativa, legata all'evoluzione e alla crescita dimensionale dell'impresa, risponde soprattutto ad esigenze di controllo da parte della famiglia originaria per evitare il rischio di un disallineamento tra proprietà e governo, un rischio a cui sono esposte prevalentemente le aziende che superano una certa soglia dimensionale. In particolar modo si andranno a delineare gli assetti proprietari e di governo delle aziende familiari con lo scopo di comprendere quelli che sono i benefici e gli svantaggi associati alla presenza di un azionista "forte" all'interno dell'azienda per poi soffermarci sul modello di leadership collegiale e infine sulla funzioni e composizione del consiglio di amministrazione.

Il capitolo III si sofferma sui gruppi di aziende familiari, in quanto il gruppo risulta essere la forma organizzativa più diffusa quando le imprese crescono di dimensione: esso risulta essere strategico perché non solo risponde a obiettivi di espansione e diversificazione dell'attività economica ma risponde a ben precise esigenze familiari che vedremo dettagliatamente. Verrà spiegato cosa si intende

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concretamente con l'espressione gruppo aziendale, ma ancor prima verrà introdotto il legame tra controllo e nozione di gruppo, evidenziando come il controllo sia una condizione necessaria ma non sufficiente affinché si possa parlare di gruppo aziendale. Ci concentreremo, infine, sulle motivazioni che spingono verso l'aggregazione, ritenute essenziali per cogliere l'utilizzo strategico di tali forme organizzative nella realtà del family business e non solo.

Il capitolo IV giunge al nucleo del discorso presentando quelli che sono i vantaggi apportati da una holding di famiglia e che toccano in maniera diversa aspetti gestionali, di controllo, fiscali e così via. Tali considerazioni sono avvalorate dai risultati derivanti dalle numerose analisi sul family business in Italia ed in particolar modo verrà presentato lo studio "le holding dei gruppi italiani a controllo familiare", pubblicato nel 2012 ma considerato ancora di grande attualità.

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1. LE AZIENDE FAMILIARI: ASPETTI PECULIARI

1.1 INTRODUZIONE

Le aziende di famiglia sono il modello più antico di organizzazione economica e rimangono ancora oggi in Italia così come in moltissimi altri Paesi, un perno della crescita economica e dello sviluppo della società.

Tali tipologie di aziende soprattutto per motivazioni di ordine storico, culturale e istituzionale, assumono particolare interesse, un interesse maturato nel tempo. In passato infatti, sono state completamente sfiduciate soprattutto dagli studiosi americani, i quali erano convinti che l'avvento della globalizzazione avrebbe sancito il declino delle imprese familiari. Attraverso un breve excursus storico comprenderemo invece la forte resistenza che ha portato oggi l'Italia ad essere orgogliosa di queste realtà piccole medie e grandi che siano, fino a considerarle, addirittura, come modello vincente di riferimento.

E' infatti, falsa la credenza che l'azienda familiare possa essere identificata solo con la piccola dimensione se si considera la presenza, di non poco conto, di medie e grandi imprese (Ferrero, Barilla, Lavazza, Damiani, Luxottica) che permettono la diffusione del Made in Italy al di fuori dei confini nazionali.

Allo stesso tempo è innegabile come il sistema industriale italiano sia concentrato su un gran numero di piccole imprese controllate e gestite da famiglie e che rendono il nostro sistema economico affetto dal così detto "nanismo industriale". Tale caratteristica non è considerata problematica se si guarda in maniera isolata al nostro Paese, anzi la si ritiene quasi un motivo di orgoglio, in quanto frutto dello spirito imprenditoriale che ci ha sempre contraddistinti; le cose cambiano se estendiamo la visuale oltre i nostri confini territoriali. Dal confronto con gli altri Paesi sviluppati ci si rende conto che la dimensione d'impresa tende ad assumere crescente importanza ai fini della competitività di medio-lungo periodo.

Nella prima parte del capitolo verrà quindi, effettuata una breve analisi storica e attuale del contesto economico italiano per comprendere il posizionamento delle aziende oggetto di studio.

Nella seconda parte invece, ci occuperemo più dell'aspetto dottrinale delle aziende familiari dove avremo modo di evidenziare che nonostante sia un argomento molto dibattuto, non si è ancora giunti ad una definizione universalmente accettata da tutti

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gli studiosi, questo perché sono realtà molto variegate, risultano essere infatti influenzate da fattori differenti e da un ampio panorama di variabili.

Lo studio delle aziende familiari presuppone infatti, l'utilizzo di conoscenze interdisciplinari, essendo frutto dell'intersezione di due pilastri sociali, la famiglia e l'impresa, caratterizzati da regole e strutture proprie che talvolta possono anche risultare contrastanti e che per tale ragione necessitano di essere organizzati al meglio.

L'impresa familiare è quindi più complessa di quanto possa sembrare, oltre infatti a possedere tutti i requisiti essenziali dell'istituto impresa è caratterizzata dal forte legame con uno o più nuclei familiari che apportando capitale di rischio, la costituiscono. La sua funzionalità, di conseguenza, dipenderà strettamente dalla evoluzione che questi subiscono e dalle decisioni che vengono prese all'interno di tali nuclei.

In conclusione tale condizionamento può essere considerato il fulcro delle numerose problematiche studiate ma allo stesso tempo rende tali realtà estremamente particolari e affascinanti.

1.2 INQUADRAMENTO STORICO

L'attuale sistema economico italiano, caratterizzato da una forte presenza di imprese a carattere familiare, deriva da decenni di storia a cavallo del XX secolo, in cui si assiste ad una evoluzione del sistema industriale italiano, sia in riferimento a fattori macroeconomici a livello di scenario economico, sociale e politico, sia a livello inferiore interessando fattori interni quali, gli obiettivi conseguiti dagli imprenditori, le risorse disponibili, i disegni organizzativi preposti alla loro realizzazione1.

Una forte discontinuità nel sistema imprenditoriale si è avuta a partire dalla Seconda Rivoluzione Industriale, in questi anni infatti si sviluppano settori ad alta intensità di capitale (come quello della metallurgia, della chimica, dell'energia e della meccanica) e nei quali la possibilità di conseguire diverse "economie" e di diversificazione richiedono sempre più la presenza di imprese di grandi dimensioni.

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In tale scenario però, la piccola impresa diviene insostituibile in specifici segmenti di mercato non colpiti dalla rivoluzione, i così detti settori ad alta intensità di lavoro (tessile, abbigliamento ecc.), considerati strategici soprattutto per le forniture. Fino al primo decennio del secolo scorso tali piccole imprese a conduzione familiare, accanto a ditte medio-grandi, riescono a mantenere salda la propria posizione grazie soprattutto alla domanda locale2 e dal punto di vista finanziario,

non essendo necessari investimenti tecnici elevati, quasi estraneo risulta l'intervento al capitale esterno mentre prevale il ricorso al capitale familiare o, comunque, a quello proveniente dalla stessa attività di impresa.

Nel decennio successivo, inizia un lento processo di trasformazione dei piccoli laboratori artigiani in imprese specializzate in una o più fasi del ciclo di lavorazione, ponendo le basi per la formazione dei distretti industriali, che tutt'oggi sono ben radicati nel nostro Paese3. In questi anni però, la figura imprenditoriale presenta

ancora tratti tradizionali e coincide con il proprietario, un ex artigiano o ex operaio, che conduce tutto il processo di lavorazione; inoltre il modesto capitale di avviamento e di funzionamento, così come la forza lavoro, sono forniti dal nucleo familiare, in qualche modo coinvolto nell'attività. Anche dal punto di vista finanziario prevale il ricorso all'autofinanziamento con il sostegno sporadico degli istituti di credito locale.

La situazione inizia a prendere una piega diversa con l'avvento della prima guerra mondiale per poi perpetuarsi fino al secondo dopoguerra: si vengono a creare in questi anni fenomeni di gigantismo portando la fabbrica a dimensioni esasperate, si assiste ad una crescita rapida, quasi in linea con le principali economie europee e che vede i settori tradizionali, soprattutto quelli manifatturieri, perdere la loro forza propulsiva, lasciando il campo all'industria elettrica, chimica e meccanica. E' questo il momento in cui si affermano le imprese di grandi dimensioni (non insensibili queste, alle contrattazioni con il potere politico), fusioni e acquisizioni subiscono un incremento per niente marginale, accrescono il grado di interdipendenza reciproca attraverso la stipula di accordi, patti di sindacato, scambi di partecipazioni e seggi nei CdA4.

2 F. Della Peruta, Lavoro e fabbrica 1815-1914, Angeli, 1987, pag.61.

3 E. Borruso, Dal laboratorio artigiano alla piccola impresa urbana. In C. M. Belfanti, T. Maccabelli,

Un paradigma per i distretti industriali, Radici storiche, attualità, sfide future, Grafo, 1997, pag. 81.

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Da non sottovalutare in questi anni il forte condizionamento dello Stato sul mercato, il quale presentandosi come proprietario di molte e importanti imprese, molte delle quali considerate strategiche per il Paese, priva le stesse delle maggiori libertà economiche. A tal proposito durante la grande crisi mondiale degli anni Trenta, che colpisce lo sviluppo delle fragili imprese industriali italiane e a cascata le grandi banche universali che ne detenevano le partecipazioni di controllo, il Governo costituisce nel 1933 l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) che ha il compito di assumere il controllo delle partecipazioni industriali possedute fino a quel momento dalle tre più grandi banche del paese (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma). Questa iniziativa di ridistribuzione del controllo societario, la più grande mai avvenuta nel nostro paese, porta l’IRI a detenere il controllo del 40% del complessivo capitale azionario delle imprese italiane. Di lì a poco, nel 1936 il modello dell'ente pubblico indipendente trovava ulteriore attuazione nel disegno legislativo di un "ordinamento del credito" e dei poteri e della discrezionalità dell'autorità a cui ne veniva affidata la vigilanza: la Banca d'Italia.

La rivalutazione dei settori "labour intensive", insieme alle difficoltà attraversate nel dopoguerra dalle organizzazioni di grandi dimensioni (soprattutto per quelle che si erano rese totalmente dipendenti dalla committenza pubblica), incominciarono a fare spazio ad ampie prospettive di crescita per le piccole imprese5.

Tutti i settori dell'economia nazionale vedevano coinvolti da una parte gli artigiani evoluti e dall'altra la produzione di massa, così come imprese sia di piccola che di medio-grande dimensione. In particolar modo l'immediato dopoguerra si presentava caratterizzato da oltre un milione di attività artigiane e di microimprese e da circa 50 mila imprese industriali. Le poche imprese di maggiori dimensioni erano concentrate in settori ad alta intensità di capitale e saldamente nelle mani di famiglie. A titolo di esempio, gli Agnelli controllavano attraverso l'IFI il 70% della FIAT; i Piaggio possedevano il 60 % dell'impresa cantieristica; i Pirelli, pur detenendo solo il 25% delle azioni della Pirelli & C., avevano saldamente il comando dell'intero gruppo con un sistema di partecipazioni incrociate.

Oltre la metà degli anni Cinquanta la domanda interna, soprattutto di beni essenziali al consumo diventa il motore della crescita che tra il 1958 e il 1962 assume una rilevanza tale da battezzare quegli anni come il "miracolo economico italiano".

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Protagonista di questa spinta industriale è sicuramente la grande impresa, che approfitta sia per consolidare posizioni già raggiunte in precedenza sia per aprire le porte ai nuovi entranti, nonostante il mantenimento dei caratteri tipici del capitalismo italiano, che viene a coincidere con l'accentramento proprietario e decisionale ed il controllo familiare. Assume un ruolo fondamentale la cooperazione internazionale: i paesi non si confrontano più, ma interagiscono, bisogna creare istituzioni che favoriscano l’integrazione dei mercati. Lo sviluppo economico di quegli anni trova una solida garanzia nel commercio, che supera i confini nazionali.

A conferma di questa tesi, diverse teorie del periodo, le quali sostenevano che la principale fonte di progresso era rappresentata per l'appunto dalle grandi imprese; queste ultime, grazie soprattutto alla maggiore capacità dimensionale, avevano la possibilità di sfruttare economie di scala e di intraprendere adeguate strategie innovative a scapito delle piccole imprese, a causa dei tanti problemi a cui dovevano far fronte (limitate possibilità di finanziamento, difficoltà ad innovare, inadeguate competenze manageriali)6.

Tra la fine degli anni 70 e l'inizio del decennio successivo però, le condizioni che avevano favorito l'ineguagliabile crescita dell'economia italiana vengono meno, la domanda di beni di consumo non è così forte come nel periodo precedente e le imprese incominciano ad incontrare difficoltà nell'adeguare i prezzi agli aumenti dei costi fissi e variabili della produzione7: elevata redditività e ampia capacità di

autofinanziarsi non sono più le costanti dell'impresa moderna, ma il basso grado di diversificazione e le dimensioni ridotte, congiuntamente con lo scarso dinamismo del mercato dei capitali, creano fattori di debolezza per l'impresa familiare privata. La difficoltà di prendere decisioni strategiche ed organizzative per far fronte alla differente congiuntura economica, da parte degli imprenditori si accompagnava, in quegli anni, al difficile passaggio generazionale tra fondatori, restii al cambiamento e presuntuosamente forti dell'essere i creatori dell'impresa e gli eredi non sempre in grado di assumere comportamenti imprenditoriali.

Per riportare un esempio del settore alimentare, il gruppo Buitoni-Perugina negli anni settanta si trova a dover affrontare un rallentamento della domanda dei propri

6 L. Vasapollo, Il nuovo paradigma imprenditoriale nell'Europa del capitale. Il ruolo delle PMI,

Proteon, n.2, 2001.

7 I primi imprenditori a subire pesantemente il calo della domanda dei beni di consumo durevole

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prodotti e a ciò si aggiungono problemi di natura interna derivanti da una famiglia poco coesa e priva di una guida decisa.

L'avvento della globalizzazione ha rappresentato un'importante sfida per le aziende familiari, creando per lungo tempo, soprattutto tra gli studiosi americani, la convinzione che la continua evoluzione del mercato portasse, come naturale conseguenza, al declino progressivo delle imprese famigliari e alla transizione delle imprese di tipo manageriale8.

La perpetuazione di un assetto proprietario monocratico, a scapito dell'efficienza e della dinamicità, una scarsa propensione all'innovazione del vertice, la difficoltà nello sviluppo di una capacità competitiva, forme paternalistiche nelle relazioni con i dipendenti, si pensava potessero essere le cause di una progressiva estinzione di una composizione imprenditoriale accentrata.

A partire dagli anni Novanta lo scenario ambientale dell'imprenditoria italiana subisce rapidi e intensi mutamenti, tra i quali evidenziamo:

- l'ampliamento dei mercati potenziali clienti, nonché l'incremento della volatilità della domanda;

- la crescita della pressione concorrenziale ed il cambiamento, in molti settori, dei fattori critici di successo;

- una radicale evoluzione degli scenari istituzionali e macroeconomici una, in parte conseguente, evoluzione dei mercati finanziari.

Alla luce di tali condizioni risultano essere fondamentali per il successo, la flessibilità per adottare efficaci comportamenti adattivi, la costruzione di alleanze e network relazionali che consentono l'aumento del potere contrattuale e delle possibilità di accesso alle informazioni; cresce inoltre, l'importanza di un orientamento strategico attento, centrato sull'innovazione richiedendo investimenti oculati in beni materiali, ma soprattutto in risorse immateriali, non facilmente individuabili, ma senz'altro responsabili del successo dell'impresa.

Tuttavia, al di là degli studi condotti e delle convinzioni diffuse, l'azienda familiare, indiscussa protagonista del processo di industrializzazione sino alle fasi più avanzate di concentrazione capitalistica non mostra segni di cedimento, e rimane ancora oggi in Italia, così come in gran parte dei Paesi sviluppati, un elemento fondamentale della crescita economica e dello sviluppo della società. Tant'è che la

8 Caratterizzata dall'assenza del capitale di comando per l'estremo frazionamento del capitale di

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capacità della famiglia di fornire spirito imprenditoriale è riconosciuta come un fattore fondamentale per lo sviluppo del capitalismo occidentale.

1.3 PARALLELISMO LETTERARIO

Solo dalla fine degli anni settanta è in atto in molti Paesi una forte crescita di interesse degli studiosi di varie discipline verso le imprese familiari.

Prima di allora erano considerate un elemento residuale, o meglio una fase che separava le forme unitarie più semplici da strutture organizzative più complesse9.

Una corrente importante negli studi nord-americani degli anni trenta è quella impegnata ad indagare il processo di progressiva separazione tra proprietà del capitale e controllo delle imprese, a dimostrare la progressiva decadenza delle imprese familiari, almeno con riferimento alle imprese di grande dimensione. Secondo gli autori del tempo infatti, le imprese familiari rappresentano una fase di passaggio nei processi di crescita e di sviluppo delle imprese, destinata ad essere superata in seguito ad esigenze di crescita dimensionale e all'aumento nella complessità delle combinazioni economiche.

La crescita dimensionale avrebbe imposto alle famiglie proprietarie di allargare col tempo la partecipazione di soci non familiari al capitale di rischio, dato che i patrimoni familiari non sarebbero stati sufficienti a soddisfare le crescenti risorse finanziare richieste per mantenere inalterata la competitività dell'impresa; così l'aumento della complessità aziendale avrebbe imposto alle famiglie proprietarie la delega dei processi di governo e di direzione a professionisti estranei alla compagine familiare. In questi anni quindi, l'azienda di famiglia, più che essere studiata come modello di riferimento di impresa, veniva considerata per enfatizzarne i limiti.

Una seconda corrente negli studi sempre nord-americani, a partire dalla fine degli anni settanta, è quella rappresentata da studiosi di strategia e di organizzazione, i quali non mettono in discussione la continuità delle imprese familiari in seguito alla crescita dimensionale ma evidenziano come l'appartenenza alla famiglia possa presentarsi come un elemento di disturbo per una gestione dell'impresa secondo

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elementi di razionalità economica e notevole è l'interesse sul tema della gestione del ricambio generazionale all'interno della famiglia proprietaria10.

Anche gli studiosi italiani di economia aziendale non sembrano aver dedicato attenzione specifica alle imprese familiari, nonostante in Italia tali imprese di grande dimensioni siano sempre state relativamente più numerose rispetto al contesto economico nord-americano, interessato invece da fenomeni diffusi di frammentazione della proprietà del capitale delle imprese.

Gli studi però effettuati dagli economisti aziendali italiani sulle aziende di consumo ovvero sull'ordine economico dell'istituto famiglia presentano parti dedicate a temi che riguardano le imprese familiari di piccole dimensioni in generale.11

Il punto di svolta negli studi del capitalismo familiare si è avuto all'inizio degli anni Ottanta. La permanente presenza di imprese familiari di ogni dimensione e l'avvio dei processi di ricambio generazionale di molte imprese, sorte subito dopo la seconda guerra mondiale, uniti al declino economico di molte imprese a proprietà diffusa avvenuto nel corso degli anni settanta e ottanta e alla ripresa di interesse per le imprese di piccole e medie dimensioni, hanno spinto alcuni esperti di management nord-americani ad iniziare studi monografici sulle imprese familiari. In quegli anni si assiste alle pubblicazioni dei primi libri interamente dedicati al tema e la prima rivista specializzata12. In seguito sono nate le prime associazioni di

studiosi, consulenti, imprenditori e manager e sono state istituite le prime cattedre in family business presso molte Università e business school sia nord-americane che europee13. Anche in Italia oltre allo sviluppo del tradizionale filone di ricerca

sulle aziende di consumo, l'attenzione al tema specifico delle imprese familiari è cresciuta sia tra gli studiosi di economia aziendale che tra gli storici.

10 Tra gli studiosi R. Christensen, Management Succession in Small and Growing Enterprises, New

York, The Andover Press, 1953; R. G. Donnelley, The family Business, in Harvard Business Review, luglio agosto, 1964; G. Corbetta, Le imprese familiari, Egea, 1995, pagg. 8-10.

11 N. Rossi, Le gestioni erogatrici private, Tornino, 1962.

12 Cfr. il numero monografico della rivista "Organizational Dynamics" dell'estate del 1983. La rivista

monografica sulle imprese familiari, "Family Business Review", ha iniziato le proprie pubblicazioni nel 1988.

13 Per le associazioni si ricordano il Family Firm Institute nato nel 1984 e il Family Business Network

fondato nel 1990 per l'Europa; tra le Università e le business school particolarmente impegnate con centri e cattedre dedicate si ricordano Harvard University, Northeastern University, Loyola University of Chicago, University of Southern California e Yale University per gli Stati Uniti e IESE di Barcellona per l'Europa.

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Tutto ciò introdusse profonde modifiche nel modo di guardare l'impresa familiare, da allora percepita come un modello portatore di notevoli vantaggi in una fase caratterizzata da incertezza e difficoltà di mercato.

In alcuni casi questo mutamento di prospettiva non era esente da aspetti ideologici: le difficoltà delle grandi multinazionali americane rappresentavano, agli occhi di molti, un segnale incontestabile di crisi del capitalismo; l'impresa di famiglia, al contrario, sembrava rappresentare una sorta di capitalismo del volto umano, permeato di valori esistenziali, lontano dalle asprezze della competitività estrema che porta a privilegiare un' ottica di breve periodo e l'orientamento alla massimizzazione dei profitti, e nel contempo coincidente con un modello di produzione meno impersonale, più creativo e attento alle esigenze dell'individuo. Concentrando l'attenzione sui principali filoni di studio sulle imprese familiari, delineatesi durante gli anni Ottanta, è possibile individuare tre diverse correnti: - una prima corrente di pensiero in cui, accantonata la tesi della non sopravvivenza dell'impresa familiare, si è affermata la necessità di comprendere le condizioni che ne rendono possibile la continuità14. Si considera la famiglia anche come fattore di

sviluppo dell'impresa e non solo come fattore ostacolante, cercando di individuare le condizioni in cui i due istituti possono convivere e svilupparsi. Risulta inoltre, ancora molto forte l'analisi sul passaggio generazionale, in particolare al fondatore; in questo filone le imprese familiari di riferimento sono ancora in prevalenza quelle di piccola e media dimensione.

- una seconda corrente di pensiero estende l'analisi anche alle imprese di grandi dimensioni e all'insieme dei caratteri specifici delle imprese familiari. In particolar modo l'attenzione ricade sul tema ben più generale della funzionalità economica duratura delle imprese familiari e quindi si analizzano ad esempio i rapporti tra l'economia dell'azienda di produzione e quella delle aziende di consumo, le modalità per mantenere compatta la compagine proprietaria. Tra questi interventi si possono collocare anche gli studi sugli sviluppi di operatori come le finanziarie di investimento15.

14 Tra questi, P.B. Alcorn, Success and survival in the family-owned business, McGraw-Hill, 1982,

oltre a numerosi articoli compresi nel numero monografico dell'estate del 1983 della rivista "Organizational Dynamics".

15 Cfr., tra gli altri, A. Dessy- A. Gervasoni-J. Vender, Le piccole e medie imprese ed il capitale di

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-la terza corrente di pensiero, che continua a registrare sempre più numerosi interventi, vede gli studiosi, soprattutto economisti politici, concentrare l'attenzione sulle relazioni tra presenza e peso delle imprese familiari e sviluppo economico di un paese. Il tema è stato e continua ad essere di rilievo in Italia dove molte imprese di grandi dimensioni sono familiari.

Ciò porta a considerare superata la fase iniziale di studi e ad individuare alcuni punti fermi delle imprese familiari:

- non sono necessariamente destinate a scomparire con il loro fondatore o i suoi immediati successori;

- possono crescere sino a raggiungere anche dimensioni grandi o grandissime; - sono una classe di imprese rilevante nei sistemi economici evoluti;

- possono costituire una forza trainante per lo sviluppo dei sistemi economici con vantaggi e svantaggi rispetto ad altre modalità;

- il problema della continuità del ruolo imprenditoriale nelle imprese familiari è solo uno dei temi di interesse per gli economisti aziendali. Ad esso se ne affiancano altri come lo sviluppo di una struttura manageriale, il mantenimento del controllo, il funzionamento degli organi di governo ecc.

La ricerca sulle imprese familiari è ancora in espansione ed è facile prevedere per i prossimi anni una intensificazione degli studi sul tema. Come sempre, un punto ancora poco discusso, ma rilevante, è proprio la definizione dell'oggetto di indagine, su cui però ci soffermeremo più avanti.

1.4 IL CAPITALISMO FAMILIARE NELLO SCENARIO

ECONOMICO ITALIANO

Il capitalismo familiare è un pilastro dello sviluppo economico e civile del Paese: il sistema industriale italiano è caratterizzato dalla presenza di imprese di piccole e medie dimensioni, in cui la stabilità della proprietà è massima, essendo ampiamente diffusa la gestione di tipo familiare.

Per quanto il processo di privatizzazioni, che ha caratterizzato tutti gli anni Novanta in Italia (e non solo), abbia modificato il sistema economico del nostro Paese, il tessuto industriale italiano rimane incentrato su poche grandi imprese (fra l’altro in

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via di diminuzione) e su una grande quantità di medio-piccole imprese, cui possono essere attribuiti circa i due terzi del PIL e dell’occupazione nazionale.

In Italia si stima infatti, che le aziende familiari siano circa 748.000 - pari a oltre l'85% del totale delle aziende – e contribuiscono fortemente all'occupazione, oltre che al PIL16.

Sotto il profilo dell'incidenza delle aziende familiari, il contesto italiano risulta essere in linea con quello delle principali economie europee quali Francia (80%), Germania (90%), Spagna (83%) e UK (80%), mentre l'elemento differenziante rispetto a questi paesi è rappresentato dal minor ricorso a manager esterni da parte delle famiglie imprenditoriali: il 66% delle aziende familiari italiane ha tutto il management composto da componenti della famiglia, mentre in Francia questa situazione si riscontra nel 26% delle aziende familiari ed in UK solo nel 10%.

Figura 1.1: Aziende familiari europee a confronto.

A dirlo, sono i dati dell'Osservatorio AUB sulle aziende familiari promosso da Aidaf. (Associazione italiana delle aziende familiari), un'associazione fondata nel 1997 da Alberto Falk insieme ad un gruppo di imprenditori accumunati dagli stessi principi. L’Osservatorio AUB rappresenta la più completa ed estesa rilevazione disponibile in Italia sulle aziende italiane a controllo familiare e monitora le performance, le operazioni di acquisizione e il grado di internazionalizzazione tramite investimenti diretti esteri (IDE) di tutte le aziende italiane che superano la soglia di fatturato dei 20 milioni di euro, oltre che i modelli di leadership e di governo di quelle a proprietà familiare.

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Focalizzando l’attenzione sulle aziende familiari analizzate nell'ultimo rapporto dell'osservatorio AUB del 2015, si evincono alcune caratteristiche distintive:

 una maggiore frammentazione del tessuto produttivo: circa il 60% delle aziende a controllo familiare ha un fatturato compreso tra i 20 e i 50 milioni di euro (contro il 46,8% delle aziende non familiari), e soltanto il 7% ha un fatturato maggiore di 250 milioni di euro (contro il 13,3% delle aziende non familiari);

 una maggiore inclinazione verso l’attività manifatturiera e il commercio: la percentuale più elevata di aziende a controllo familiare si rileva in alcuni settori dell’industria manifatturiera (Mobile-Arredo, Metallurgia e Sistema Moda) e nel Commercio di Autoveicoli (87,9%), mentre i settori con la minore diffusione di aziende familiari sono l’Energia ed estrazione (34%) ed i Servizi alle imprese (46,3%);

 la rilevanza di alcune aree geografiche: la maggiore incidenza di aziende familiari si rileva nel Sud e nelle isole (79,2%), ma anche alcune regioni del Nord e del Centro mostrano una incidenza superiore alla media nazionale, quali il Piemonte (66,9%), il Veneto (75,9%) e le Marche (78,2%).

In particolar modo dal rapporto risulta come una diffusione delle aziende familiari sia via via più elevata al ridursi della dimensione aziendale:

 nelle aziende con fatturato superiore a 50 milioni di euro, le aziende familiari sono pari al 59,2%, e il contributo maggiore deriva dalle imprese con fatturato inferiore a 250 milioni;

 nelle aziende più piccole (con fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro) l’incidenza sale al 70,5%;

Anche in riferimento alle società quotate le aziende familiari rappresentano quasi il 60% del mercato azionario italiano – che vede quotate complessivamente 290 aziende – e in particolare ad essere quotate sono aziende di media e piccola dimensione, concentrate soprattutto nel settore dell'industria e dei beni di consumo. Quando parliamo di piccola e media dimensione secondo gli standard dell'osservatorio AUB, dobbiamo tener conto che questi sono differenti rispetto agli standard dimensionali considerati a livello europeo. L'osservatorio infatti, considera una cerchia ristretta di aziende familiari, il cui fatturato non scende al di sotto dei 20 milioni di euro, quindi quelle aziende definite piccole per l'osservatorio saranno

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medie secondo gli standard europei. Non sono quindi contemplate nel quadro analizzato sino ad ora le micro e piccole imprese, che invece riteniamo di dover inserire, costituendo esse una fetta non indifferente del nostro sistema industriale. Allo scopo di evitare fraintendimenti in relazione alla terminologia "piccole e medie imprese" riteniamo opportuno riportare quelli che sono i criteri dimensionali a cui faremo riferimento prima ancora di effettuare un'analisi delle piccole medie imprese e che trovano una chiara rappresentazione nella tabella che segue (Figura 1.2). Fino al 2003 esse non erano mai state classificate in modo unitario, in quanto ogni paese membro faceva riferimento a definizioni e scale dimensionali differenti. Il 6 maggio 2003 l'Unione Europea adotta una raccomandazione con la quale precisa ed unifica i criteri di classificazione, aggiornando quelli già espressi nella precedente raccomandazione.

Figura 1.2: EU definition of SMEs17

Nel report annuale sulle piccole medie imprese europee le PMI rappresentano quasi la totalità delle imprese italiane: sono circa il 99,9% mentre le grandi imprese sono appena lo 0,1% del totale. Di quel 99,9% il 94,8% sono microimprese (con fatturato inferiore a 2 milioni), mentre il 4,6% è costituito da piccole (con fatturato inferiore a 10 milioni) e lo 0,5% da medie (con fatturato inferiore a 50 milioni). In più il 79,6% degli occupati lavorerebbe nel settore privato, un numero particolarmente elevato se confrontato con una media europea del 67%18 e che testimonia il forte

contributo occupazionale di queste piccole ma allo stesso tempo preziose realtà. Sulla base dei dati presentati si può confermare quanto detto inizialmente e cioè che l'impresa più rappresentativa del modello capitalistico italiano è la piccola media

17 Commission Recommendation of 6 May 2003 concerning the definition of micro, small, and

medium-sized enterprises. (2003/361/EC), Official Journal of the European Union, L 124/36, 20 May 2003

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impresa, caratterizzata da forme societarie molto semplici. Oltre alla piccola e media dimensione vi sono altre caratteristiche che accomunano tali imprese:

 un piccolo team di vertice: la strategia è fortemente determinata dalle idee e dalle capacità di poche persone che, di norma, presidiano una parte significativa delle competenze distintive necessarie per il successo dell'impresa. La rapidità nei processi decisionali e nell'implementazione delle decisioni è uno degli elementi alla base del successo di molte imprese di piccole dimensioni;

 ambiti competitivi ristretti: esse solitamente operano in un solo settore, se non in uno specifico segmento del settore, hanno un limitato grado di integrazione verticale e una ridotta estensione geografica (in riferimento alla catena del valore);

 la sovrapposizione proprietà e controllo: si ha una sovrapposizione nella figura dell'imprenditore del ruolo di conferente di capitale di rischio e di manager. Spesso questa sovrapposizione coincide con quella famiglia-impresa, nel caso in cui tutte o gran parte delle competenze e i capitali di cui l'impresa ha bisogno sono fornite dalla famiglia proprietaria. Essendo caratterizzate da un forte accentramento familiare gran parte di tali imprese sono largamente influenzate dalle convinzioni e dalla storia della famiglia proprietaria.

Una delle motivazioni principali di questa diffusione così accentuata risiede nel tipo di economia che caratterizza l'Italia: la nostra economia è prevalentemente artigiana e inoltre le strategie di focalizzazione su piccoli segmenti di mercato della filiera produttiva, di mercato geografico o di clientela hanno reso possibile il contenimento delle dimensioni aziendali e quindi la diffusione sempre più crescente di imprese medio-piccole.

Ciò significa che senza dimenticare l'indubbia utilità della contemporanea presenza di alcune grandi imprese, senza le quali moltissime piccole non sarebbero nate e per le quali a lungo molte hanno lavorato, l'attore chiave del nostro sviluppo economico è, e si pensa resterà per lungo tempo, l'imprenditore.

Non dimentichiamo che il nostro è un popolo di imprenditori e prima ancora di artisti, navigatori, mercanti, che ha sempre puntato su quello che di più caro possiede, il capitale umano e grazie al quale vengono fondate imprese e portate al

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successo cercando di non stravolgere, per quanto possibile, le peculiarità di un sistema industriale ben identificato.

Questa identità del nostro sistema imprenditoriale sembra costruita attorno a cinque caratteristiche distintive19: una chiara e forte idea imprenditoriale messa a punto e

realizzata senza sostanziali sostegni esterni; l'orientamento dell'imprenditore al lungo periodo, alla velocità decisionale e al reinvestimento degli utili generati; il restare ancorati a una precisa vocazione industriale che escluda a priori sia qualunque processo di finanziarizzazione dell'attività aziendale sia operazioni di diversificazione strategica non giustificate dal rafforzamento dell'idea imprenditoriale originaria; la concezione della dimensione aziendale come di una variabile gestionale al pari di altre; il forte attaccamento al territorio di appartenenza che non impedisce, ma anzi alimenta un raggio d'azione nazionale e in molti casi anche internazionale.

In sintesi emerge un sistema con un forte coinvolgimento dell'imprenditore che lavora dove vive e per cui l'azienda è un patrimonio che serve al tempo stesso per realizzarsi professionalmente, per concretizzare un'idea in un prodotto o in un servizio e soprattutto per creare posti di lavoro.

Anche la letteratura economica concorda nell’affermare che un corposo tessuto di piccole e medie imprese costituisce un fattore essenziale per il dinamismo delle economie nazionali e in termini di occupazione e di innovazione, ma bisogna sottolineare che la presenza di numerose PMI costituisce soltanto una condizione necessaria, ma non sufficiente per la competitività del sistema paese. In particolare, le caratteristiche economiche dei settori in cui le PMI operano, ma anche e soprattutto il contesto di policy in cui esse si trovano a operare possono risultare decisivi per sfruttare a pieno il potenziale dirompente delle PMI.

In particolare, il loro contributo dipende dalle caratteristiche dei settori in cui tali imprese operano, nonché dalla distribuzione dimensionale delle imprese a livello nazionale e regionale.

La dimensione ottima di un’impresa cambia a seconda del settore, e in particolare a seconda delle economie di scala, del grado di concorrenza, del grado di maturità dei prodotti, delle tecnologie utilizzate per ottenerli. Pertanto, è possibile che in alcune industrie le PMI svolgano un ruolo propulsivo maggiore, mentre in altre un incremento del loro numero di non produca effetti positivi di rilievo.

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Inoltre, non tutte sono uguali ai fini della crescita economica. Va sottolineato in particolare il ruolo delle cosiddette “PMI ad elevata crescita”: la maggior parte della crescita occupazionale e di produttività si verifica infatti grazie ad un ridotto numero di PMI, caratterizzate da tassi di crescita e di investimento molto elevati. Negli Stati Uniti, uno studio ha dimostrato che il 4% delle nuove imprese nate nel 1977-78 è stato responsabile del 74% del totale dei posti di lavoro creati dall’insieme delle PMI fino al 1984. Gli economisti non hanno ancora elaborato un’analisi accurata delle PMI ad elevata crescita, anche perché l’eterogeneità di tali soggetti consente soltanto un’analisi qualitativa ex post. Tuttavia, alcuni punti fermi sono stati raggiunti.

Le PMI ad elevata crescita presentano alcuni tratti ricorrenti:

- sono presenti in tutti settori produttivi, con una rilevanza particolare nei settori manifatturieri e in quelli ad alta intensità di conoscenza;

- presentano in molti casi un elevato tasso di investimento in ricerca e sviluppo; - possiedono un elevato livello di competenze interne, in particolare manageriali, ed un’alta qualità della forza lavoro;

- l’elevata crescita è una conseguenza degli obiettivi fissati dall’imprenditore, che si pone dunque come soggetto di importanza strategica cruciale, in specie per quanto riguarda la propensione al rischio e all’innovazione.

Questo ad evidenza del fatto che anche per le piccole medie imprese il successo non è immediato, ma deriva da precisi collocamenti strategici e da investimenti mirati che non devono minimamente sottovalutare la componente manageriale. E' evidente che, però, per quanto il nostro sistema imprenditoriale sia carico di piccole medie imprese di successo, difficilmente esso potrà reggere il confronto con quello degli altri paesi, più economicamente avanzati: dal confronto emerge infatti una sorta di "nanismo industriale" che per molti rappresenta una grave anomalia a cui porre rimedio.

Lungi dall'intento di disconoscere il valore delle piccole imprese che costituiscono il serbatoio naturale dal quale possono uscire le medie imprese è ovvio però, che in mercati più ampi a livello geografico le soglie dimensionali necessarie per competere aumentano perché più elevati sono gli investimenti necessari20.

20Si fa riferimento soprattutto ai settori cosiddetti "scale intensive" o "science-based" nei quali la

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20

La chiave di volta dell'evoluzione del sistema industriale italiano sembra quindi da ricercare nel connubio tra la figura di un imprenditore determinato a lasciare un segno nella storia della propria azienda e l'avvio di un programma di crescita che abbia ad oggetto investimenti in immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie che siano) e soprattutto nel rafforzamento del team manageriale, anche a costo di far riferimento a figure esterne o meglio estranee alla compagine familiare.

Attenzione però, le piccole medie imprese costituiscono il centro propulsore del sistema industriale italiano ma naturalmente a fianco di queste tipologie di imprese ne esistono altre di tutto rispetto. Sinteticamente le imprese italiane possono essere raggruppate all'interno delle seguenti categorie:

1. piccole e medie imprese familiari

2. piccole e medie imprese aggregate nella forma di costellazioni e localizzate prevalentemente all'interno dei distretti;

3. grandi gruppi piramidali controllati da singole famiglie o da coalizioni di azionisti;

4. grandi imprese e grandi gruppi controllati dallo Stato e dagli enti locali; 5. le cooperative e i consorzi;

6. le filiali delle multinazionali estere.

A tali categorie che caratterizzavano il modello capitalistico italiano all'inizio degli anni Novanta si è aggiunto più di recente quello delle organizzazioni non profit che man mano tendono ad occupare un peso sempre più rilevante nel sistemo economico italiano. Mentre risultano assenti o meglio rare le public company tipiche del capitalismo anglosassone.

Ai fini della nostra analisi andremo ad approfondire la terza categoria occupata dai grandi gruppi piramidali controllati da famiglie essendo la forma di gruppo, la soluzione prediletta dalle grandi imprese e che collegata all'istituto famiglia risulta essere per quest'ultima fonte di grandi benefici, ma questo lo vedremo più avanti.

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21

1.5 FAMIGLIA E IMPRESA: IL PROBLEMA DELLA

SOVRAPPOSIZIONE ISTITUZIONALE.

Il family business ha natura complessa in quanto ha in sé la presenza di due entità, la famiglia e l'impresa e la sua comprensione dipende proprio da una chiara visione delle relazioni esistenti tra i due istituti.

Il concreto esplicarsi di queste relazioni può condurre verso l'integrazione o al contrario, l'autonomia dei due sistemi e ciò dipende essenzialmente dai fini istituzionali e dai valori culturali di fondo21.

La diversità dei fini istituzionali comporta una differenza sostanziale nel modo di operare dell'impresa e della famiglia.

La famiglia è alla ricerca del benessere psichico e fisico di tutti i suoi membri, benessere raggiungibile, sotto il profilo economico con il consumo di beni e servizi destinato al soddisfacimento dei bisogni; sotto altri aspetti con la ricerca di un clima che vada a favorire un equilibrato sviluppo della persona umana. Numerosi sono gli studi sulle finalità istituzionali della famiglia ma eviteremo di approfondire l'argomento in quanto esso esula dal presente lavoro.

L'impresa ha invece, finalità istituzionali di tipo economico, che potremmo riassumere nella creazione di ricchezza, mediante l'attuazione di una produzione di beni e servizi da scambiare sul mercato.

Le finalità che animano l'impresa e la famiglia però, sono tutt'altro che divergenti ed incompatibili se si pensa che la creazione di ricchezza da parte dell'impresa sia strumentale al raggiungimento del benessere psichico e fisico dei componenti della famiglia imprenditoriale. Si riprende il concetto della dottrina aziendalistica classica secondo cui il soddisfacimento dei bisogni rappresenta il fine immediato della famiglia, mentre per l'impresa esso rappresenterebbe un fine "mediato"22. I fini

dell'azienda infatti, non possono essere identificati con la soddisfazione dei bisogni umani, ma esso rappresenta un mezzo attraverso cui raggiungere l'economicità (Giannessi) ed il mantenimento del potere economico (Bertini).

Sostanzialmente la famiglia provvede direttamente alla soddisfazione dei bisogni, l'impresa vi contribuisce indirettamente, generando la ricchezza economica necessaria. Ecco che notevoli problemi possono sorgere nel momento in cui si pieghi l'impresa ad un soddisfacimento diretto dei bisogni familiari, ad esempio

21 Schein si è occupato delle problematiche culturali relative alle imprese familiari: E.H. Schein, The

Role of the Founder in Creating Organizational Culture, in Organizational Dynamics, 1983, summer.

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22

assegnando responsabilità direzionali a chi non le merita, perché privo delle adeguate competenze, solo per evitare ripercussioni sull'equilibrio familiare. L'errore, in tal caso, è l'applicazione all'impresa dei valori culturali propri della famiglia che con lo scopo di mantenere l'equilibrio tra i membri della famiglia, finisce per ostacolare quello d'impresa.

Gran parte degli studi sull'impresa familiare tentano di spiegare l'influenza che i meccanismi di vita della famiglia esercitano sull'impresa a partire dall'originale articolo della Kepner nel celebre numero monografico di Organizational Dynamics del 198323 e a seguire numerose pubblicazioni di confine tra l'Economia aziendale

e la Sociologia sul tema.

Puntando l'attenzione sui valori culturali e sulle conseguenti logiche di funzionamento dei due istituti si farà riferimento agli studi di Lansberg24. Secondo

l'impostazione di Lansberg la famiglia, almeno idealmente è mossa soprattutto da legami affettivi e da un senso di appartenenza. Le decisioni spesso sono prese in maniera collegiale e sempre in modo da difendere la compattezza dell'istituto. Il principio alla base è quello della parità di trattamento dei figli, la famiglia inoltre, tende a costituire una comunità per certi aspetti chiusa, perché troppo fedele alla tradizione.

L'impresa presenta valori sostanzialmente opposti. La logica che la smuove è quella della razionalità economica; i rapporti interpersonali sono regolati attraverso meccanismi gerarchici e di merito. La complessità della gestione rende inevitabile il decentramento decisionale tramite il meccanismo della delega. L'impresa infine, è un sistema aperto, che proprio attraverso input esterni alimenta i propri processi di innovazione e cambiamento.

Con il passare del tempo però le impostazioni teoriche di entrambi gli istituti, soprattutto alcune logiche di funzionamento della famiglia, sono un po’ cambiate. La famiglia risente sempre più spesso di spinte disgregatrici che intaccano i valori di unione e tradizione ma come abbiamo già detto non è questa la sede per approfondire tali problematiche.

E' importante sottolineare che la contemporanea presenza delle stesse persone negli assetti istituzionali dell'azienda e della famiglia, genera un'inevitabile

23 A. Kepner, The family and the firm: a Coevolutionary Perspective, in Organizational Dynamics,

1983, summer.

24 Ivan S. Lansberg, Managing Human Resources in Family Firms: The Problem of Institutional

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23

sovrapposizione istituzionale che potrebbe rafforzare o indebolire gli equilibri economici dell'azienda.

L'interazione tra famiglia e impresa è infatti potenzialmente generatrice sia di punti di forza che di debolezza, ma non è possibile dire a priori se i primi prevalgono sugli altri e viceversa.

Secondo alcuni autori la forte influenza esercitata dalle logiche familiari e personali dell'imprenditore costituisce un freno allo sviluppo dell'impresa.

Agli obiettivi legati all'equilibrio economico duraturo si sovrappongono infatti obiettivi di soddisfazione e realizzazione personale, che possono essere contrastanti con lo sviluppo dell'impresa e la sua transizione verso dimensioni più elevate, in grado di garantire una maggiore efficienza ed efficacia alla gestione. La dimensione maggiore avrebbe come conseguenza indesiderata la "spersonalizzazione" dell'impresa, che tenderebbe a rendersi indipendente dalla famiglia25.

L'osservazione empirica però, ha dimostrato l'inconsistenza delle tesi esposte: la crescita dimensionale non si è rivelata l'unica strada per un successo duraturo, ed anzi ha spessi portato a spinte disgregatrice; molte imprese, pur rimanendo piccole e familiari, rinnovano le loro strategie ed il loro know how mantenendo posizioni di vantaggio competitivo.

Secondo altri orientamenti la famiglia può infatti essere una risorsa centrale per il successo e lo sviluppo dell'impresa, in grado di orientare naturalmente i comportamenti gestionali verso gli obiettivi dell'impresa, stimolando elevati livelli di impegno e motivazione.

Perché ciò accada è tuttavia necessario:

- alimentare nella famiglia valori di unità, coesione, sacrificio, motivazione, identificazione con gli obiettivi dell'impresa;

- nell'impresa bisogna saper razionalizzare la spinta che tali valori possono generare, il che significa saper gestire i ruoli e le responsabilità secondo principi meritocratici, pianificare l'avvicendamento al comando dell'azienda in funzione delle esigenze strategiche dell'impresa e non di quelle anagrafiche dell'imprenditore ecc.

25 A. Chandler, Strategy and Structure. Chapters in the History of the industrial enterprise, 1990;

in riferimento al family business ricordiamo il lavoro di Christensen, che aveva percepito sull'onda degli studi Berle e Means, un limite dimensionale fisiologico con la permanenza della famiglia nelle posizioni di controllo dell'impresa. Roland C. Christensen, Management Succession in Small and Growing Enterprise, The Andover Press, 1953

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24

Sembra interessante ricordare a questo proposito un modello proposto da Davis26,

il quale studia le imprese secondo due dimensioni, entrambi riguardanti il management:

- il grado di commitment, cioè l'impegno, la motivazione;

- il grado di competenza, cioè la capacità di raggiungere in astratto i risultati

prefissati.

Il management delle imprese familiari ha in genere un alto grado di commitment ma, soprattutto nelle generazioni successive alla prima, un grado di competenza medio-basso.

Molte grandi imprese invece, hanno il problema di canalizzare la competenza del management verso obiettivi di lungo periodo dell'impresa, stimolandone l'impegno e riducendone i comportamenti opportunistici.

Quanto sopra può essere schematizzato con la figura 1.1

Figura 1.1: La matrice Motivazione/Competenze27

Possiamo quindi, concludere che il successo e la continuità delle imprese familiari così come l'equilibrio e l'armonia della famiglia sono senz'altro legate al modo con cui i valori culturali della famiglia vengono trasferiti ed assimilati nell'impresa, e viceversa, i valori imprenditoriali influenzano la vita familiare.

26 P. Davis, Realizing the Potential of the family business, in Organizational Dynamics, Summer

1983, pagg. 47-56.

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25

Come sostiene Ward: fra la filosofia della famiglia e la filosofia dell'impresa c'è

una terza filosofia che cerca un bilanciamento fra le due, secondo la quale ogni decisione deve generare contemporaneamente sia soddisfazione per la famiglia che benessere economico per l'impresa. Soltanto a questa condizione un'impresa può sopravvivere nell'ambito di una famiglia28

.

1.6 SUL CONCETTO DI AZIENDA FAMILIARE

Sul concetto di azienda familiare sono numerose le posizioni in letteratura e tutte sembrano convergere sulla fondamentale evidenza che, indipendentemente dalle sue dimensioni o dalla sua rilevanza nazionale o internazionale, rientra sotto la proprietà e/o il controllo di una o più famiglie.

Davis definisce l'azienda famigliare come quella dove la politica e la direzione aziendale sono soggette ad una significativa influenza da parte dei membri di una o più famiglie29.

Da questa definizione ciò che rileva ai fini della qualifica di un'azienda familiare è il condizionamento che i membri della famiglia possono esercitare nei confronti dell'azienda, ma quando tale condizionamento può essere considerato significativo? A tal proposito è importante il contributo fornito da Shanker e Astrachan30 con uno

schema efficace di tre definizioni di impresa familiare in funzione proprio del diverso coinvolgimento della famiglia:

1) la definizione "ampia", cioè quella meno stringente, richiede solamente la presenza di un qualche (non rileva né il tipo né l’intensità) coinvolgimento familiare nel business, nonché il controllo da parte della famiglia sulle decisioni strategiche; 2) la definizione "media" aggiunge a quella “ampia”, come ulteriore condizione, che via sia il diretto coinvolgimento familiare nel management nonché l’intenzione di tramandare il business agli eredi;

28 J.Ward, Keeping the family business healthy: how top plan for continuing growth, profitability

and family leadership, Jossey Boss, San Francisco, CA, 1986, pag. 143.

29 R. Tagiuri, J. Davis, Bivalent Attributes of the Family Firms, Harvard Business School, 1982.

Ristampato in Family Business Review, 1996, n.9.

30 J.H. Astrachan, M.C. Shanker, Myths and realities: Family businesses contribution to the US

Economy. A framework for assessing family business statistics, in Family Business Review, vol.9, n.2, 1996, pagg. 107-119.

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26

3) la definizione "stretta" richiede, ulteriormente, la presenza di più generazioni coinvolte nella gestione e/o nella proprietà.

Il tentativo di standardizzare l’impresa familiare, ha avuto un’ulteriore evoluzione in Astrachan et al. (2002).

Gli autori, riconoscendo le difficoltà a qualificare in maniera oggettiva un fenomeno dalle molteplici sfaccettature e i rischi di creare una dicotomia artificiosa tra quello che è “family” e quello che non lo è, si propongono come obiettivo quello di inquadrare la definizione di impresa familiare in un “continuo”, definito in funzione dell’intensità degli elementi che caratterizzano la stessa. L’assunto alla base di una simile impostazione è che vi sono caratteristiche in un business, potenzialmente familiare, che non possono essere semplicemente identificate come “assenti” o “presenti”, ma che richiedono una misurazione del grado di intensità che ne contraddistingue la loro presenza. Applicando il concetto appena esposto all’impresa familiare, gli autori, una volta identificati gli elementi che la qualificano, cercano di fornirne una misura che possa esprimere il grado di “family involvement” che caratterizza il business. Così facendo l’impresa familiare viene posta in un “continuo”, piuttosto che in una dimensione isolata da tutte le altre forme organizzative.

A tal fine, Astrachan et al. (200231) presentano l'indice F-PEC (family-Power,

Experience, Culture) che individua tre grandezze che possono qualificare il business familiare:

1)"power" esprime il grado di coinvolgimento dei familiari nella proprietà e nella gestione. In altri termini, indica l'intensità con cui la famiglia è coinvolta economicamente nell'impresa e occupa posizioni di comando;

2)"experience" esprime il grado di coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nella gestione. E' una misura tanto del grado di "resource provision" (dialoghi tra genitori e figli, la possibilità di avviare network relazionali con soggetti esterni attraverso i legami familiari, le attività imprenditoriali dei figli presenti nell'impresa sono esempi di come la plurigenerazione possa apportare un valore aggiunto al business e alla famiglia stessa), quanto dell'intenzione di garantire continuità alla familiarità del business;

31 J.H. Astrachan, S.B. Klein, K.X. Smyrnios, The F-PEC scale of family influence: a proposal for solving

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3)"culture" esprime il grado di sovrapposizione tra valori aziendali e familiari, nonché il grado di impegno dei familiari tanto nel supportare una gestione improntata al perseguimento degli obiettivi economici del business, quanto nel garantire lo sviluppo di interrelazioni reciproche tra famiglia, organizzazione e ambiente. La culture è frutto dell'interazione di molteplici fattori tra i quali: i valori (personali ed economici) a cui si ispirano i fondatori dell'impresa; la cultura del paese di origine del business e della famiglia; le condizioni competitive che l'impresa si trova ad affrontare nel suo settore industriale ecc.32

Queste tre grandezze colgono a pieno l'aspetto più oggettivo relativo alla struttura organizzativa e al controllo (senza dover andare a condurre indagini personali tra i membri della famiglia) e l'aspetto più soggettivo delle aziende familiari, relativo invece al coinvolgimento nel management e quindi nella gestione dell'azienda. Questi due aspetti non sono separati ma spesso vengono fatti interagire dando vita a diverse configurazioni di aziende familiari e contribuendo a delineare le peculiarità che rendono ogni realtà imprenditoriale unica.

Riportiamo la definizione che racchiude quanto detto sino ad ora e che risulta essere predominante anche in dottrina, secondo la quale può essere considerata azienda familiare quella in cui “una o poche famiglie, collegate da vincoli di parentela, di affinità o da solide alleanze, detengono una quota di capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell'impresa”33.

Nonostante ciò però, definire le aziende familiare è considerata ancora una problematica irrisolta, e questo appare giustificato se consideriamo il panorama estremamente vasto che caratterizza tali realtà.

Allo stesso tempo possiamo dire con certezza che la dimensione aziendale non rientra tra i parametri identificativi del family business, nonostante in Italia, parlando di aziende familiari, si pensi subito a realtà di piccole o piccolissime dimensioni di tipo artigianale che si tramandano di padre in figlio, dimenticando realtà molto grandi, possedute interamente, o quasi, dai membri di una famiglia, che competono validamente con le multinazionali (Damiani, Barilla, Ferrero, Lavazza ecc.).

32 L. Del Bene, N. Lattanzi, G. Liberatore, Aziende famigliari e longevità economica, Ipsoa, 2012,

pagg. 30-31.

33 C.Demattè, G.Corbetta, I processi di transizione delle imprese familiari, Studi e Ricerche,

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28

Considerando l'ampio orizzonte definitorio ci pare opportuno riportare anche il parere del legislatore, che nell'ambito della riforma del diritto di famiglia del 1975, ha trovato un idoneo inquadramento giuridico all'istituto dell'impresa familiare e ha, altresì, tutelato adeguatamente il lavoro prestato dai familiari all'interno dell'impresa.

All'art. 230-bis c.c. si definisce l'impresa familiare come l'impresa nella quale collaborano in via continuativa il coniuge ed i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell'imprenditore e inoltre si specifica che “salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare […]”. Il legislatore, pertanto, definisce l'azienda familiare come un'impresa individuale, caratterizzata dalla collaborazione dei familiari dell'imprenditore, quando però tali familiari prestano il loro contributo in modo continuativo nell'uno o nell'altro istituto. Non rientrano, quindi nella categoria qui trattata, quelle aziende in cui figura un membro familiare che offre lavoro occasionale e sporadico.

Restano escluse quelle che vengono fondate solo per provvedere alle necessità economiche della famiglia, senza prospettive di importanti sviluppi o senza intenzione di impiegare membri della famiglia nella stessa.

Un modello di rappresentazione del family business può essere il "three circle

model", ideato da Tagiuri e Davis con lo scopo di comprendere le relazioni esistenti

tra proprietà, famiglia e business. Inizialmente le aziende familiari erano considerate sistemi dualistici in cui coesistevano solo la famiglia ed il business, i due autori successivamente hanno evidenziato l'importanza di un terzo sottosistema, la proprietà (vedi figura 1.2), che nella rappresentazione grafica da noi proposta, interseca gli altri due, famiglia e business.

La proprietà rappresenta l'insieme di soggetti che considera l'azienda come un investimento dal quale si attende una remunerazione soddisfacente. Coloro che detengono quote del capitale dell'azienda familiare, pur non lavorandovi e non essendo membri della famiglia, saranno interessati prevalentemente al ritorno degli investimenti e si attendono che le decisioni inerenti il business siano nettamente separate dalle dinamiche familiari.

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29

A questo proposito risulta essere importante la disciplina in materia di circolazione delle partecipazioni, espressione della volontà aziendale di aprire o meno il capitale sociale ad investitori esterni alla famiglia, in quanto può generare conseguenze significative nel futuro dell'azienda e che vedremo più avanti.

Ciò che rileva in questo modello è la comprensione delle relazioni che si instaurano tra i tre cerchi e della loro reciproca influenza e che trovano adeguata rappresentazione nelle quattro aree di sovrapposizione.

Figura 1.2: Il "three circle model"

Nel dettaglio:

 l'area di intersezione tra famiglia e proprietà individua i membri della famiglia che vengono denominati proprietari passivi in quanto non sono direttamente coinvolti nel business; le attese dei soggetti appartenenti a questo gruppo possono coincidere con quelle tipiche degli investitori esterni a cui si aggiungono però anche un senso di appartenenza e di responsabilità verso la propria famiglia. Si tratterà quindi, di soggetti interessati si ad ottenere un ritorno dell'investimento effettuato ma anche ad espandere quello che è il business familiare.

 l'area di intersezione tra famiglia e business individua i membri della famiglia che pur non detenendo quote di proprietà hanno un ruolo di responsabilità all'interno dell'impresa familiare. Gli interessi di tali soggetti riguardano prospettive di carriera

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