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Le nuove suturartici robotiche per il Da Vinci Xi: studio caso-controllo con le suturartici laparoscopiche tradizionali nella resezione anteriore del retto robotica per cancro

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Direttore Prof. Gaetano Pierpaolo Privitera

_____________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di Laurea

Le nuove suturatrici robotiche per il Da Vinci Xi: studio

caso-controllo con le suturatrici laparoscopiche tradizionali nella

resezione anteriore del retto per cancro

CANDIDATO RELATORE

Sig. Andrea De Palma Chiar.mo Prof. Luca Morelli

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Sommario

RIASSUNTO ANALITICO ... 3

1. INTRODUZIONE ... 5

1.1 Epidemiologia del carcinoma del retto ... 7

1.2 Fattori di rischio del carcinoma rettale ... 9

1.2.1 Fattori di rischio ambientali ... 9

1.2.2 Fattori di rischio genetici e sindromi genetiche ... 12

1.3 Segni e sintomi ... 14

1.4 Screening e Diagnosi ... 15

1.4.1 Screening ... 15

1.4.2 Diagnosi ... 19

1.5 Stadiazione ... 21

1.6 Anatomia del retto ... 24

1.6.1 Situazione dell’organo ... 24

1.6.2 Vascolarizzazione arteriosa ... 26

1.6.3 Drenaggio venoso ... 27

1.6.4 Drenaggio linfatico ... 27

1.7 Anatomia patologica ... 28

1.7.1 Patogenesi del carcinoma rettale ... 28

1.7.2 Anatomia Macroscopica ... 29

1.7.3 Anatomia microscopica ... 29

1.8 Trattamento ... 31

1.8.1 Tecniche chirurgiche ... 31

1.8.2 Resezione Addomino-Perineale secondo Miles ... 33

1.8.3 Resezione Anteriore del Retto ... 35

1.8.4 Approccio laparoscopico ... 37

1.8.5 Margini di resezione ... 39

1.8.6 Total mesorectal excision (TME) ... 42

1.8.7 Linfoadenectomia intra-operatoria ... 44

1.8.8 Cenni di terapia Neoadiuvante e Adiuvante ... 44

1.8.9 Trattamento per stadio ... 47

1.9 La chirurgia robotica nella resezione anteriore del retto ... 50

1.9.1 Cenni dell’evoluzione della chirurgia robotica ... 50

1.9.2 Il Sistema Robotico Da Vinci ... 51

1.9.3 Il Da Vinci Xi ... 57

1.9.4 Chirurgia Robotica vs Chirurgia Laparoscopica Tradizionale ... 61

1.9.5 La Resezione Anteriore del Retto Robotica con il Sistema Da Vinci Xi ... 64

2. MATERIALI E METODI ... 66 2.1 Tecnica chirurgica ... 68 3. RISULTATI ... 72 4. DISCUSSIONE ... 76 5. CONCLUSIONI ... 83 6 BIBLIOGRAFIA ... 84

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RIASSUNTO ANALITICO

INTRODUZIONE: La chirurgia robotica nel tempo ha acquisito un ruolo sempre maggiore nell’ambito della chirurgia addominale, essa pur mantenendo le medesime caratteristiche dell’approccio laparoscopico tradizionale (minor dolore, minore sanguinamento, minore degenza post-operatoria), offre diversi vantaggi, quali una visione tridimensionale-magnificata e la disponibilità di strumenti articolati con tecnologia Endowrist.

In questo senso la nuova piattaforma della “Intuitive”, il Da Vinci Xi®, ha ulteriormente migliorato la flessibilità del sistema robotico, in particolare la miglior maneggevolezza del carrello paziente, la facilità del docking e le nuove funzioni di targeting e focusing risultano fondamentali nell’ambito della chirurgia multi-quadrante.

Per tutte queste caratteristiche, il Da Vinci Xi risulta essere molto adatto per la chirurgia oncologica rettale, che rappresenta una tipologia di chirurgia che porta a dover compiere manovre in diversi distretti anatomici dell’addome e a operare in spazi molto ristretti, come la pelvi, dovendo compiere a questo livello anche manovre molto delicate.

L’unica limitazione presente era dovuta al fatto che non esistesse una stapler robotica con la quale compiere la sezione distale del retto, obbligando quindi all’uso di uno strumento laparoscopico tradizionale, manovrato da un assistente al tavolo operatorio, con tutte le limitazioni che questo comportava, come la porta di entrata scomoda, uno strumento non articolato e rigido che non permetteva spesso di compiere una linea di sezione rettilinea e precisa. L’avvento di una Stapler lineare robotica per il sistema Da Vinci Xi, equipaggiata con il sistema di articolazione Endowrist, ha risolto questo inconveniente, potendo essere totalmente controllata dal chirurgo alla console chirurgica con tutti i vantaggi che questo può comportare.

MATERIALI E METODI: Da dicembre 2015 a luglio 2016, 15 pazienti, con diagnosi bioptica di cancro rettale, sono stati sottoposti a resezione anteriore del retto robotica con il Da Vinci Xi, impiegando, per la sezione del moncone rettale distalmente al tumore, la nuova stapler lineare robotica (gruppo Endowrist). Mediante un approccio di studio caso-controllo, abbiamo comparato i risultati peri-operatori e a breve termine ottenuti, con un gruppo di pazienti, anch’essi con diagnosi di carcinoma del retto, trattati con la medesima procedura robotica ma con l’ausilio della stapler lineare laparoscopica tradizionale, manovrata da un assistente al tavolo operatorio.

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bracci dello studio, tranne per quanto riguarda le cariche della stapler lineare che sono state usate per la sezione; nel gruppo Endowrist queste sono risultate essere 2.1 ± 0.2 mentre nel gruppo controllo 2.9 ± 0.6 (p = 0.001), quindi nel gruppo di studio abbiamo l’uso di un numero di cariche minore.

Durante il follow-up, 3 pazienti del gruppo controllo hanno mostrato complicanze di deiscenza anastomotica, evidenziata tramite immagini radiografiche (clisma con mezzo di contrasto idrosolubile), mentre nel gruppo Endowrist l’incidenza di questo tipo di complicanza è stata rilevata in un solo paziente. Queste deiscenze sono risultate essere asintomatiche in tutti i casi, tranne che per un paziente nel braccio di controllo, che ha presentato sintomatologia caratterizzata da febbre, leucocitosi e segni TC di raccolta peri-anastomotica con bolle aeree nel contesto. L’incidenza, quindi, è stata maggiore nel gruppo controllo (3 vs 1 rispettivamente) ma questa differenza non è risultata statisticamente rilevante (p = 0.15).

Un’altra differenza evidenziata tra i due gruppi è stata l’intervallo intercorso tra l’intervento resettivo e la chiusura della stomia di protezione; questo intervallo è stato minore nel gruppo Endowrist rispetto al gruppo controllo (2.7±2.1 vs 4.2 ± 3.1 mesi p = 0.17), ma anche qui la differenza non è risultata statisticamente significativa.

CONCLUSIONI: Questi risultati hanno mostrato come l’uso della stapler robotica, oltre a semplificare la procedura chirurgica di sezione del retto distale, permette l’uso di un numero minore di cariche, che sembrano essere un fattore determinante per lo sviluppo di fistola anastomotica (cut-off = 3); questo comporta una riduzione del numero di deiscenze anastomotiche (sia cliniche che asintomatiche) e riduce il tempo di chiusura della stomia di diversione.

Comunque questi risultati per quanto incoraggianti necessiteranno di conferme da studi con numeri più ampi per essere validati in pieno.

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1. INTRODUZIONE

La chirurgia rettale ha visto, nel corso del tempo, notevoli cambiamenti sia per quello che riguarda gli approcci chirurgici sia le tecniche con cui questi sono compiuti. Siamo passati da una chirurgia totalmente radicale che, nell’ottica di interventi oncologicamente corretti, resecava sigma, retto e sfintere anale (intervento di Miles), a interventi che permettono di salvare lo sfintere, questo grazie al susseguirsi di studi anatomo-patologici e all’avvento di nuove tecnologie chirurgiche (suturatrici meccaniche), riuscendo spesso a dare una qualità della vita al paziente che non è molto distante da quella che aveva prima.

Una cosa drammatica, strettamente legata al carcinoma del retto, è il rischio di recidiva, ma nuovi studi e nuove tecniche (come la TME) hanno permesso con il tempo di abbattere anche questi tassi.

Un’ulteriore evoluzione si è avuta con la diffusione della chirurgia mininvasiva che permetteva di migliorare gli outcome operatori a breve termine mantenendo quelli a lungo termine nei range degli interventi “open”. Fanno parte di questo gruppo sia la laparoscopia tradizionale che la chirurgia robotica.

Le prime esperienze in chirurgia robotica rettale furono descritte da Pigazzi nel 2006; egli condusse, tra il 2004 e il 2005, 6 resezioni anteriori del retto robotiche associate a TME con conservazione dei nervi pelvici, comparandole con 6 operazioni condotte in laparoscopia tradizionale. Egli concluse che gli outcome erano simili tra le due tecniche, però il sistema robotico mostrava tutti quei vantaggi (visione in 3d, minor stanchezza degli operatori ecc) che la laparoscopia non poteva offrire.1

Da quel momento, si è avuta una notevole diffusione di questo tipo di chirurgia in tutto il mondo, con molti studi che convenivano con le conclusioni a cui Pigazzi era arrivato: gli outcome oncologici della chirurgia robotica potevano essere paragonabili alla chirurgia open con tutti i vantaggi che una chirurgia mininvasiva, come la laparoscopia, poteva offrire; oltre a questo, la robotica sembrava migliorare le limitazioni intrinseche della laparoscopia.2, 3

Il sistema robotico Da Vinci presenta comunque alcuni limiti, soprattutto quando si deve compiere una chirurgia multiquadrante. Un esempio è la resezione anteriore del retto durante la quale si avrà un tempo a livello della flessura splenica del colon e uno in pelvi, per cui le

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obbligheranno a muovere il carrello paziente (un-docking/re-docking), aumentando i tempi operatori e limitando la fluidità dell’intervento.

Queste problematiche sembrano essere state superate con l’ultimo sistema della intuitive: il Da Vinci Xi. Questo sistema è stato costruito appositamente per una chirurgia multi-quadrante cosa che lo rende molto adatto a tecniche chirurgiche del colon-retto come la resezione anteriore. 4

Nonostante tutto questo una fase molto delicata della resezione anteriore del retto non poteva essere compiuta dal sistema robotico: la sezione distale del retto. Questa, che già di per sé rappresenta una delle fasi più critiche di tutta la sequenza chirurgica, in questo modo diventava una fase molto delicata in quanto doveva essere compiuta da un assistente al tavolo operatorio tramite una stapler lineare laparoscopica.

Tutto ciò era reso così arduo da alcuni aspetti, tra i quali:

- L’angolo di entrata della stapler, inserita tramite il trocar dell’assistente, che risulta molto sfavorevole per compiere la resezione.

- La lontananza del margine distale rettale da sezionare dalla porta di entrata.

- I limitati spazi di manovra che si ritrovano a livello della pelvi, soprattutto nella pelvi maschile.

Lo sviluppo di una stapler lineare robotica Endowrist (intuitive surgical; Sunnyvale, CA, USA) per il sistema chirurgico Da Vinci Xi ha permesso di superare tutte queste limitazioni e ha dato la possibilità al chirurgo alla console di avere il pieno controllo anche di questa fase dell’operazione.

Questo strumento mostra, come tutti gli altri strumenti Endowrist, un sistema sviluppato di articolazione che permette di avere un ampio range di movimenti potendo essere manovrato con un angolo trasversale di 108° e sagittale di 54°.

Inoltre questa stapler è dotata della funzione “Smart Clamp Feedback” che agevola la corretta chiusura della sezione mediante il riconoscimento dello spessore del retto da sezionare.

Abbiamo, quindi, analizzato i risultati operatori e gli outcomes a breve termine per i primi pazienti che sono stati sottoposti, nel centro di chirurgia robotica pisano, a resezione anteriore del retto robotica per cancro, con escissione totale del mesoretto (TME), usando la nuova stapler robotica per il Da Vinci Xi, confrontandoli con i risultati di pazienti trattati con la stapler laparoscopica tradizionale, chiamati per questo gruppo controllo.

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1.1 Epidemiologia del carcinoma del retto

Il carcinoma rettale, dal punto di vista epidemiologico, può essere considerato facente parte di una entità clinico-patologica che comprende anche il carcinoma del colon, con cui condivide numerosi aspetti.

Bisogna comunque tenere conto che all’interno delle neoplasie colon-rettali le sedi più frequentemente colpite sono il sigma e il retto, con quest’ultimo che rappresenta da solo il 5% dei tumori nella popolazione generale dei paesi occidentali.5

Il carcinoma colon-rettale è un tumore molto frequente: solo nel 2012 si sono registrati 1.4 milioni di casi con 693,900 morti in tutto il mondo. In virtù di questa sua frequenza, esso rappresenta la terza più comune neoplasia maschile, dopo polmoni e prostata, e la seconda neoplasia femminile numericamente diagnosticata dopo il cancro della mammella.6

Esso occupa il 9% del totale delle neoplasie della popolazione occidentale e per questo motivo si è ritagliato un ruolo importante all’interno degli studi oncologici.7

Si riscontra una incidenza variabile nelle varie zone geografiche del mondo. Il paese che oggi mostra il più alto numero di casi, sia negli uomini sia nelle donne, è il Giappone (62.4 casi/100,000 persone nei maschio e 37.2 casi/100,000 nelle femmine), seguito dai paesi Europei, dal Nord America, Australia e Nuova Zelanda.

Bassi tassi di incidenza invece sono registrati nelle nazioni dell’Africa, dell’Asia Centrale e Meridionale e del Sud America8

, anche se negli ultimi anni si sta assistendo a un incremento anche in questi paesi che fino a poco tempo fa erano considerati a basso rischio per quanto riguarda il carcinoma colon-rettale.7

Proprio per questo trend di incidenza si stima che nel 2017, solo negli USA, saranno diagnosticati circa 95,520 tumori del colon (47,700 nella popolazione maschile e 47,820 in quella femminile) e circa 39,910 neoplasie del retto (23,720 nei maschi e 16,190 nelle femmine). Le morti totali per entrambi i tumori, statisticamente accorpati in un’unica causa di morte, si stimano essere circa 50,260.9

In Europa nel 2012 le neoplasie del colon retto sono state la seconda neoplasia diagnosticata con 241.600 casi e 63.600 decessi nella popolazione maschile e 205.200 casi e 43.700 decessi

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nella popolazione femminile con un tasso generale di incidenza di 43.5 casi ogni 100.000 abitanti per anno.

Le nazioni dell’Europa centrale presentano i tassi più alti di incidenza nella popolazione maschile - paesi come la Slovacchia (92/100.000), l’Ungheria (87/100.000) e la repubblica Ceca (81/100.000) – mentre il maggior numero di casi nella popolazione femminile si riscontrano in Norvegia (54/100.000), Danimarca (53/100.000) e Olanda (50/100.000). Bassi tassi invece si rilevano in Bosnia (30/100.000 per gli uomini e 19/100.000 per le donne), Grecia (30/100.000 negli uomini e 19/100.000 nelle donne) e Albania (13/100.000 negli uomini e 11/100.000 nelle donne). 10

In Italia l’incidenza dei tumori colon-rettali nel 2012 è stata di 31,102 casi con 11.035 decessi nella popolazione maschile, mentre nella popolazione femminile 23.633 nuovi casi con 8.582 decessi. Il tasso di incidenza italiano standardizzato per età risulta essere di 70,1/100.000/anno per gli uomini e 38,4/100.000/anno per le donne.11

Nella regione Toscana sono stati diagnosticati negli uomini 2292 casi con 775 decessi e 1896 casi nelle donne con 653 decessi, con un tasso di incidenza rispettivamente di 73.8/100.000/anno e 42.9/100.000/anno.12

La sopravvivenza del cancro del colon-retto in Italia è cresciuta negli anni, con una stima oggi del 60,8% per quanto riguarda il cancro del colon e 58,3% per il cancro retto.

Allo stesso tempo si è riscontrato un incremento nel numero di casi diagnosticati come si può vedere dal consistente aumento nel 2005-2007 rispetto al 1999-2001 sia per i tumori del retto, dove l’incremento è stato del +5,8, sia per quelli del colon (+4,3).

L’incremento della sopravvivenza può essere attribuito alla maggior efficacia sia delle tecniche chirurgiche sia delle terapie mediche che questi pazienti hanno ricevuto, neoadiuvanti o adiuvanti. Inoltre un ruolo importantissimo in questo campo è sicuramente anche lo sviluppo di tecniche di screening efficaci, come la ricerca del sangue occulto nelle feci e la colonscopia, che hanno permesso di diagnosticare neoplasie più precoci e di caratterizzarle al meglio per i successivi interventi terapeutici. 13

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1.2 Fattori di rischio del carcinoma rettale

1.2.1 Fattori di rischio ambientali

Il carcinoma del retto nella maggior parte dei casi (circa il 75%) risulta essere sporadico. La forma sporadica insorge in pazienti i quali non hanno in famiglia storia di questo tipo di carcinoma. In questi soggetti il rischio di sviluppare il carcinoma del retto e più in generale il carcinoma colon-rettale si attesta intorno al 3-5%.

Il rischio aumenta nei pazienti che hanno avuto un familiare a cui è stato diagnosticata una neoplasia del colon-retto tra i 50 e i 70 anni e può aumentare ancora di più se il CCR viene diagnosticato prima di questa fascia di età. Inoltre l’aumento del rischio è strettamente collegato anche al numero di casi riscontrati all’interno della stessa famiglia. Per questi soggetti si parla di carcinoma del colon retto “familiare” la cui percentuale si attesta intorno al 15-20% del totale dei casi.14

Quando si parla di carcinoma sporadico si individuano molteplici fattori di rischio non genetici dovuti soprattutto allo stile di vita o alla dieta, i quali sono per la maggior parte anche modificabili. Questa correlazione dello stile di vita e della dieta con l’incidenza della malattia è stato oggetto di numerosi studi, che hanno evidenziato che persone provenienti da zone a bassa endemia per questo tipo di neoplasia emigrando in zone ad alta endemia aumentavano il rischio di malattia già a partire dalla prima generazione emigrata.15

I fattori di rischio collegati al carcinoma del retto sporadico sembrano essere: - Dieta e abitudini alimentari

- Obesità

- Diabete mellito e insulino-resistenza - Fumo e alcol

- IBD (malattie infiammatorie croniche intestinali): colite ulcerosa e malattia di Chron - Acromegalia

- Trapianto renale

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sviluppare cancro, mentre uno stile di vita corretto e una dieta adeguata possono ridurre il rischio anche del 70%16.

In seguito a numerosi studi si è visto che le persone che consumano frutta e verdura sembrano avere un rischio ridotto nello sviluppare cancro rettale e lo stesso vale per diete ad alto contenuto di fibre.17

Per contro, un alto consumo di carne rossa è associato a un aumento del rischio di insorgenza di cancro del retto, e questo sembra avvenire attraverso diversi meccanismi: da una parte il gruppo eme, che nella carne rossa è presente in discrete concentrazioni, catalizza sia la formazione di composti con gruppi N-nitrosi, cancerogeni per la mucosa intestinale, sia processi di perossidazione lipidica, con formazione di aldeidi citotossici e genotossici; 18 dall’altra la cottura ad alte temperature provoca la formazione di amine eterocicliche e idrocarburi policiclici che hanno un’azione cancerogena diretta per la mucosa.19

Oltre alle verdure, esistono anche altri fattori dietetici che sembrano avere un’azione protettiva nei confronti di questo tipo di carcinoma, se presenti in quantità accettabili all’interno della dieta: come il calcio, il magnesio, l’aglio, la vitamina B6 e i Folati e i pesci ricchi in omega 3.

Altri fattori protettivi, non connessi però alla dieta, sembrano essere l’aspirina e altri antinfiammatori non steroidei, le statine, gli antiossidanti, i bifosfonati e la terapia ormonale sostitutiva post-menopausale. 17

L’obesità e più in generale l’aumento del BMI risultano essere un altro fattore di rischio collegato all’insorgenza di cancro. La causa deriva da tutte le citochine pro-infiammatorie che vengono liberate dal tessuto adiposo stesso, che portano a un processo infiammatorio a livello colon-rettale che a lungo andare può portare all’insorgenza di malattia20

; oltre a questo l’obesità si ricollega molto spesso a uno stile di vita e a abitudini alimentari scorretti che possono sommarsi aumentando il rischio di cancro.

Il diabete mellito è un altro elemento che ha un ruolo importante nello sviluppo di carcinoma del retto, aumentandone il rischio anche del 20% quando associato a iperinsulinemia; questo perché l’insulina è un fattore di crescita per la mucosa del retto, infatti aumentati valori di IGF e IGF-binding protein sembrano essere connessi a un aumentato rischio di neoplasia colon-rettale.17

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Il fumo di tabacco è senza dubbio un altro di quei fattori di rischio per il cancro del colon-retto, soprattutto nei fumatori di vecchia data dove questo rischio diventa statisticamente significativo21

. Il processo di carcinogenesi è dovuto alla nicotina e a tutti i metaboliti che si hanno con la combustione del tabacco, i quali raggiungono facilmente la mucosa intestinale e qui possono indurre la formazione di adenomi e polipi che possono degenerare successivamente diventando carcinomi.22

Un altro fattore di rischio è la presenza di IBD (Inflammatory Bowel Disease - malattie infiammatorie croniche intestinali) che aumentano la possibilità di genesi di displasia che poi può evolvere in carcinoma. Le aree di displasia si formano a seguito della rigenerazione continua che si ha nel processo di infiammazione dei tessuti colici e rettali.

Si stima che il rischio di sviluppare carcinoma colon-rettale in pazienti con colite ulcerosa sia maggiore del 3.7% rispetto alla popolazione generale, rischio che aumenta man mano che passa il tempo.23

Nella malattia di Chron, invece, il rischio di sviluppare carcinoma colon-rettale è incrementato del 2.9 % rispetto alla popolazione generale.24

Anche l’acromegalia sembra associata all’adenoma rettale e al carcinoma, soprattutto nella malattia non controllata25, 26

. Lo stesso succede in pazienti che hanno subito un trapianto renale: questo, associato alla terapia immunosoppressiva a lungo termine, sembra essere un fattore di rischio per il carcinoma del retto. I trapiantati sembrano avere un rischio pari a persone non trapiantate di 20 anni più anziane, in accordo al fatto che il rischio di insorgenza aumenta con l’aumentare dell’età.27, 28

Un altro fattore di rischio è l’esposizione a radiazioni a livello addominale, infatti adulti che sono sopravvissuti a malattie dell’infanzia per le quali hanno ricevuto, per motivi terapeutici, una irradiazione dell’addome, hanno un rischio maggiore di sviluppare neoplasie gastrointestinali , soprattutto al colon-retto.29

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1.2.2 Fattori di rischio genetici e sindromi genetiche

I fattori di rischio genetici sono dei fattori che non sono modificabili con lo stile di vita o con la dieta: su di essi si può agire solo tramite lo screening e la diagnosi precoce.

Nell’epidemiologia abbiamo visto che anche il genere è legato a un aumento o meno del rischio, con gli uomini che mostrano tassi di incidenza maggiori rispetto alla donne.

Un altro fattore principale di rischio non modificabile per il carcinoma colon rettale è l’età: nella maggioranza dei casi il carcinoma colon-rettale insorge passati i 50 anni di età e man mano che passa il tempo questo rischio aumenta sempre di più.

L’insorgenza di neoplasie colon-rettali in pazienti con età minore di 50 anni è molto rara, escludendo quelle persone che hanno una sindrome genetica per cui questo criterio non è valido.30

In Italia infatti l’incidenza si concentra nelle persone più anziane con un tasso, nella fascia oltre i 75 anni di età, di 2914 casi ogni 100.000 abitanti, maggiore rispetto alla fascia tra i 60 e 74 anni e circa 10 volte maggiore rispetto a quella tra i 45 e i 59 anni.13

Un fattore di rischio non modificabile che si inserisce in questo contesto è la razza, infatti è emerso da studi condotti negli USA che negli afro-americani il tumore del colon retto risulta più frequente sia negli uomini che nelle donne rispetto alla popolazione bianca di pari età. Dallo stesso studio è venuto fuori che negli ispanici il rischio, invece, risulta essere minore rispetto alle altre due categorie.31

Nel contesto del carcinoma del retto oltre ai casi sporadici e familiari esistono dei casi che sono riconducibili a disordini di tipo genetico, i quali occupano circa il 5% del totale dei carcinomi colon rettali.14

La sindrome di Lynch (anche detta sindrome non poliposica del carcinoma colon rettale ereditario-HNPCC), è la più frequente sindrome genetica associata alla formazione di cancro del colon-retto: rappresenta circa il 3% del totale delle neoplasie colon-rettali, ed ha una prevalenza di 1:440.32

Essa si trasmette con una modalità autosomica dominante e i pazienti affetti mostrano un alto rischio di sviluppare tumori, sia sincroni che metacroni, a livello del colon-retto e anche neoplasie in altri organi come ovaio, endometrio, stomaco, pancreas, apparato urinario e pelle.33

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La sindrome è causata da una mutazione a livello di uno dei 4 geni del Mismatch Repair (MMR), che codificano per proteine responsabili della identificazione e riparazione degli errori nel DNA: i geni più frequentemente mutati sono MLH1, MSH2, MSH6, PMS2. Esistono poi casi di malattia dovuti alla delezione germinale del 3’ di EPCAM, un gene localizzato a monte rispetto a MSH2 oppure dovuti alla ipermetilazione del promotore di MLH1.34, 35

La mutazione germinale di questi geni, associata a una secondaria inattivazione epigenetica o perdita di eterozigosità del secondo allele, porta un aumento del tasso di mutazione del DNA, soprattutto a livello delle regioni dei microsatelliti (zone con alta ripetizione di basi), che in ultima analisi aumenta la possibilità di sviluppo di neoplasie.33

Esistono dei criteri clinici che possono aiutare a riconoscere pazienti affetti da questo tipo di sindrome come i criteri di Bethesda modificati36

e i criteri di Amsterdam: questi ultimi possono essere riassunti nella regola del 3-2-1, cioè 3 o più parenti affetti, 2 o più generazioni consecutive con carcinoma, 1 o più casi prima dei 50 anni.37

Il rischio lifetime dei pazienti affetti dalla sindrome di Lynch di sviluppare cancro del retto è del 20% , quindi molto più alto rispetto alla popolazione generale.32

La seconda sindrome genetica per frequenza, anch’essa autosomica dominante, è la poliposi adenomatosa familiare (FAP) che incide per circa l’1% nel totale di casi del carcinoma del colon-retto.

Essa è dovuta a una mutazione del gene APC, coinvolto nella degradazione della molecola Beta-catenina, e porta alla formazione di numerosi polipi in età giovanile, fino anche ad un migliaio, a livello del grande intestino. Per questo in alcuni pazienti affetti da questa sindrome a volte è consigliata la colectomia profilattica per evitare che da uno di questi polipi si possa sviluppare con il tempo un carcinoma.

Il rischio lifetime di sviluppare il cancro del colon-retto in questi pazienti è del 100%, con età di presentazione media di 36 anni32

, mentre per pazienti trattati con colectomia preventiva e anastomosi ileo-rettale il rischio di sviluppare cancro del moncone rettale è del 29%.38

La terza sindrome è autosomica recessiva ed è dovuta alla mutazione del gene MUTYH, che codifica per una glicosilasi che serve a riparare i danni ossidativi del DNA.39

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formazione di polipi multipli (da 10 a 100) a livello intestinale durante la quinta/sesta decade.41

1.3 Segni e sintomi

Il carcinoma del retto, nonostante sia un tumore molto frequente e nonostante siano presenti piani di screening e diagnosi precoce, continua a essere diagnosticato spesso a seguito della comparsa di sintomi. Questa malattia risulta per molto tempo asintomatica per cui quando compaiono i sintomi nella maggior parte dei casi si trova in uno stato ormai avanzato.42

Il carcinoma del retto condivide alcune manifestazioni con il carcinoma del colon, soprattutto del colon sinistro, mentre altri sintomi sono peculiari della localizzazione rettale.

I sintomi condivisi tra i tumori del retto e del colon sono:

- Il cambio delle abitudini dell’alvo, che in un paziente di una certa età deve subito far nascere il sospetto che si possa trattare di una malattia a livello del grande intestino. - Il dolore addominale, localizzato soprattutto a livello addominale basso.

Le cause dell’insorgenza del dolore sono molteplici. Con il progredire del tempo la disseminazione della neoplasia sia a livello della piccola pelvi sia a livello della cavità peritoneale può determinare il manifestarsi del sintomo, che però può essere causato anche dalla stenosi del lume intestinale da parte della neoplasia; in questo caso possiamo avere quadri acuti di occlusione intestinale che possono portare anche alla perforazione. Un altro motivo dello sviluppo di dolore a livello pelvico può essere la formazione di ascessi e fistole, che possono anche mettere in comunicazione il lume rettale con gli altri organi della pelvi o con l’esterno.

I sintomi invece che sono peculiari delle neoplasie che interessano il retto sono:

- Perdita di sangue: dalla ematochezia (che in qualche caso si può avere anche nel carcinoma del colon sinistro), fino alla rettorragia vera e propria, data dalla lesione che può iniziare a sanguinare per fenomeni di regressione a livello della propria superficie.

- Tenesmo, cioè una spiacevole sensazione di non completo svuotamento, che può essere associata anche a un dolore gravativo.

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- Perdita di muco dall’ano, che può essere dovuta alla secrezione di muco da parte delle cellule neoplastiche, portando in alcuni casi anche a quadri di edemi discrasici per la notevole perdita di proteine.

- Creazione di aderenze e fistole con gli organi vicini 43

Inoltre alcuni pazienti (circa il 20% in una stima compiuta nel 2016 negli Stati uniti44 ) presenta i segni e i sintomi derivanti da una disseminazione della malattia.

La disseminazione può essere ematogena con metastasi che colpiscono il fegato (nel caso soprattutto di carcinomi alti del retto in quanto questa zona vede un drenaggio venoso da parte della vena mesenterica inferiore che fa parte del sistema portale) oppure altri organi, come i polmoni, le ossa o il sistema nervoso centrale (nel caso delle parti del retto drenate dal sistema delle vene iliache-sistema cavale).

Un altro tipo di disseminazione che si può avere nei tumori del retto è la diffusione celomatica, soprattutto nei tumori del retto superiore, essendo ricoperto dal peritoneo, con diffusione di cellule metastatiche a livello della cavità peritoneale. Queste cellule oltre a dimostrare uno stato avanzato della malattia che non sempre è possibile evidenziare con gli esami strumentali, fanno crollare la prognosi dei pazienti, in quanto diminuiscono le opzioni terapeutiche alle quali possono essere sottoposti.43

1.4 Screening e Diagnosi

Non sempre ai pazienti viene diagnosticato cancro rettale a seguito degli esami effettuati per la presenza della sintomatologia; a volte infatti la diagnosi viene fatta in pazienti asintomatici che iniziano l’iter diagnostico perché è stata rilevata una lesione durante il normale screening.

1.4.1 Screening

Lo screening è una tipologia di prevenzione secondaria che non serve a evitare lo sviluppo della malattia ma a diagnosticarla in uno stadio precoce, in modo che possano essere attuate le specifiche terapie risolutive.

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per evitare che possano degenerare con il tempo trasformandosi in neoplasie infiltranti. Questi infatti non sono tumori che crescono “in una notte” : hanno una precisa modalità di crescita e trasformazione che passa dall’adenoma (polipo) al carcinoma. Secondo alcuni studi è stato visto che un polipo (per il quale è stato preso un cut-off di 1 cm per sospettare la possibile trasformazione maligna) abbia bisogno fino a 10 anni per trasformarsi in una neoplasia invasiva.45, 46

Questo è il motivo per cui riuscire a cogliere gli adenomi e rimuoverli in tempo sembra essere una valida forma di prevenzione secondaria.

Essendo l'età media di insorgenza dei tumori colon-rettali superiore ai 50 anni, lo screening di solito viene iniziato dopo tale età, con lo scopo di riuscire a cogliere circa il 90% dei tumori colon-rettali sporadici.5

In casi eccezionali come nel caso di tumori cosiddetti familiari o nel caso di pazienti affetti da sindromi genetiche è invece richiesto di anticipare lo screening.

A favore dello screening ci sono studi che dicono che la sua introduzione abbia portato l’incidenza di tumori avanzati del colon-retto da 117/100.000 (nell’era pre-screening) a 74/100.000 (era screening) per persone con età superiore ai 50 anni, con un’incidenza per tumori in stadi precoci anch’essa diminuita passando da 77 a 68 adulti su 100.000.

Si stima che siano stati evitati in questo modo dai 250.000 ai 500.000 casi di carcinoma, con uno shift da stadi tardivi a precoci, che in questa maniera hanno aumentato la sopravvivenza rispetto all’era pre-screening.47

Da altri studi è stato evidenziato che la prevalenza di lesioni neoplastiche sotto la fascia di età prima citata è talmente bassa da non giustificare l’attuazione dello screening. In questo caso sono stati studiati pazienti tra i 40 e i 49 anni e in quasi il 90% dei casi presi in esame non sono stati riscontrati nemmeno formazioni poliposiche a livello colico e rettale.48

Le metodiche di screening sono essenzialmente 3: “i test” da effettuare sulle feci (gFOBT, FIT, FIT-DNA), l’endoscopia (suddivisibile in sigmoidoscopia e pancolonscopia), e la colonscopia virtuale.

Inoltre per quanto riguarda il retto può essere effettuata, data la sua vicinanza al margine anale, l’esplorazione rettale digitale, la quale non potrà essere usata come sostituzione alle

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altre forme di screening ma potrà essere di aiuto nell’inquadrare il paziente prima dell’ endoscopia.

I test da effettuare sulle feci sono 3 di cui il più antico è il gFOBT, test al guaiaco, nel quale si rintracciano molecole di eme all’interno delle feci con una reazione di perossidazione che fa virare il colore di una carta assorbente49

. La sensibilità sulle feci del “gFOBT SENSA”, uno dei tipi di questo test, è dell’86%50

mentre per il “gFOBT classico” sembra essere soltanto del 30-40%50

; in questo caso però può essere aumentata fino all’82-90% in un piano di test ripetuti nel tempo.51

Il test FIT (fecal immunochemical test) ricerca selettivamente le globine umane che possono essere presenti nelle feci, ma non risulta positivo per sanguinamenti alti del tratto intestinale, in quanto le globine in questo caso vengono digerite nel passaggio all’interno del tubo intestinale49. Un FIT annuale con una colonscopia ogni 10 anni è attualmente lo schema di

screening previsto dalle linee guida americane52

in quanto questo test sembra avere una sensibilità dell’80%; inoltre il ripetere il test ogni anno sembra che aumenti ancora di più la capacità di screening.53

Il terzo test, il FIT-DNA, è la ricerca nelle feci di frammenti di DNA mutati o anomali, tipici delle cellule del carcinoma del colon-retto; questo test è entrato nel 2016 a far parte delle linee guida degli Stati Uniti per lo screening del carcinoma colon-rettale54

e sembra avere una sensibilità del 92% e una specificità dell’86%.49

L’endoscopia si avvale di endoscopi flessibili con i quali può esser valutata visivamente la mucosa intestinale. Se vengono riscontrate lesioni esse potranno essere biopsiate, così da poterle caratterizzare istologicamente: nel caso non siano presenti cellule maligne allora il paziente continuerà a essere monitorizzato con lo screening (dopo asportazione della lesione se poliposica); nel caso invece siano presenti cellule maligne saranno necessari ulteriori approcci terapeutici.

In base al territorio esplorato l’endoscopia si può dividere in sigmoidoscopia che arriva a indagare il lume colico fino alla flessura splenica e pan-colonscopia con la quale verrà visualizzato tutto il lume fino alla valvola ileocecale.

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La sigmoidoscopia può quindi esplorare la parte sinistra del colon senza richiedere una importante preparazione da parte del paziente. Se però vengono visualizzate anomalie, come per esempio la presenza di polipi, il paziente dovrà comunque essere sottoposto a una colonscopia completa in quanto il susseguirsi delle due metodiche sembra ridurre dell’80% il rischio di cancro del colon-retto.55

Attraverso studi randomizzati è stato visto che la sigmoidoscopia riduce l’incidenza del cancro del colon-retto in pazienti maschi e donne giovani mentre nelle donne con più di 60 anni non sono stati riscontrati tali benefici.56

La pan-colonscopia, d’altro canto, permette di indagare la mucosa colica in tutta la sua estensione dando la possibilità di divenire operativa e terapeutica grazie alla rimozione dei polipi eventualmente trovati.

L’ultima metodica di screening prima menzionata, anche se utilizzata più raramente, è la colonscopia virtuale, la quale usa immagini TC per fare una ricostruzione tridimensionale del lume intestinale così da dare la possibilità di individuare eventuali lesioni che aggettano nel lume.

Questa metodica però non permette di biopsiare o rimuovere le eventuali anomalie riscontrate e inoltre espone i pazienti a notevoli dosi di radiazioni per cui proporre degli screening con questa metodica non porta a grandi benefici, essendo le radiazioni associate a un aumento del rischio di cancro.

Ricapitolando, le raccomandazioni europee allo screening si rivolgono a pazienti con età maggiore di 50 anni: essi dovranno compiere un test sulle feci per la rilevazione del sangue occulto ogni due anni e, nel caso questo sia positivo, associarvi una colonscopia.5

Pazienti con storia familiare positiva dovrebbero iniziare il programma di screening precocemente, intorno ai 40 anni, oppure 10 anni prima l’età di insorgenza del cancro nei loro familiari.57

Allo stesso modo soggetti affetti da sindromi genetiche dovranno iniziare lo screening precocemente, con ripetizione della colonscopia ogni due anni nel caso fosse negativa e una ogni anno nel caso si riscontrasse una lesione. Per la Sindrome di Lynch lo screening si inizia intorno ai 25 anni, oppure 5 anni prima della diagnosi della neoplasia nei familiari 58

, mentre si inizia a 12 anni per la FAP e a 25 per la AFAP (sindrome poliposica familiare del colon attenuata).59

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1.4.2 Diagnosi

I pazienti possono arrivare all’attenzione del medico perché sintomatici.

La diagnosi in questo caso partirà dall’anamnesi, per capire se il paziente è a rischio per carcinoma del retto: andrà indagata la familiarità per queste lesioni, l’età del paziente e il tipo di sintomi che il paziente lamenta. Dopodiché andrà effettuato un esame fisico con palpazione addominale per rilevare eventuali tumefazioni; quindi si verifica la presenza di epatomegalia, linfoadenopatie e ascite. Nel caso di sospetto di cancro del retto è prevista anche l’esplorazione rettale, che prevede una esplorazione digitale del lume rettale per identificare eventuali lesioni a questo livello, potendo in qualche modo anche caratterizzarle in base a margini, mobilità ecc.

A questo punto andrà effettuata una endoscopia, una pancoloscopia: non bisognerà limitarsi a studiare solo la zona interessata dalla neoplasia ma si dovrà cercare di visualizzare per intero il lume colico, soprattutto se il paziente presenta un rischio familiare o genetico per questo tipo di neoplasia; questo per eliminare l’eventualità della presenza sincrona di più tumori. Inoltre sempre durante la endoscopia, potranno essere compiute delle biopsie per studiare istologicamente la lesione.

Eseguire la pan-colonscopia non è sempre possibile per vari motivi, come la presenza di una lesione che crea una substenosi o una ostruzione totale del lume, che quindi non permette all’endoscopio di oltrepassarla. In questo caso si può oltrepassare la potenziale stenosi con un clisma a doppio contrasto il quale sfrutta un contrasto baritato oppure iodato per “veniciare”, tramite l’immissione contemporanea di aria, le pareti coliche: alle immagini radiografiche potremmo verificare la presenza di ulteriori zone di restringimento.

Un’altra possibilità è quella della colonscopia virtuale la quale però non darà nessuna caratterizzazione istologica per l’impossibilità di compiere biopsie della lesione essendo un esame che sfrutta immagini radiologiche TC.

A seguito della risposta dell’esame istologico delle biopsie, attuate durante l’endoscopia, potremmo aver fatto diagnosi di carcinoma, ma questo non basta ai fini delle decisioni terapeutiche: infatti bisognerà prima valutare la presenza di diffusione locale o a distanza della neoplasia.

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Si procede a questo scopo con l’esecuzione di una ecografia dell’addome, e, nel caso di tumori del retto, anche con una ecografia trans-rettale. Quest’ultima ci permette di analizzare l’infiltrazione neoplastica della parete e l’eventuale invasione degli organi a livello della piccola pelvi come la prostata, le vescichette seminali, vagina e utero.

Nel caso di neoplasie che hanno superato la parete rettale si può studiare anche il coinvolgimento del mesoretto e dei linfonodi mesorettali, prima stazione di diffusione linfonodale per quanto riguarda questi tumori.

L’ecografia trans-rettale ha una sensibilità del 95% per quanto riguarda la misurazione della diffusione intramurale del carcinoma.60

L’ecografia dell’addome invece viene usata per ricercare all’interno dell’addome la presenza di ascite, che potrebbe essere dovuta alla disseminazione addominale di cellule neoplastiche a livello peritoneale, oppure la presenza di possibili lesioni metastatiche a carico del parenchima epatico.

In seguito il paziente eseguirà una TC addome e pelvica per studiare la neoplasia, per ricercare l’eventuale infiltrazione linfonodale e la diffusione metastatica a livello epatico. In alcuni casi viene studiato anche il resto del corpo, come il torace, per ricercare eventuali metastasi polmonari. La presenza di metastasi polmonari può essere studiata preliminarmente attraverso una Rx torace, che, in caso di risultato positivo, obbligherà comunque l’esecuzione di esami di secondo livello.

Dopo la TC, nel tumore rettale, si esegue anche una risonanza magnetica, che può essere eseguita anche con bobina endorettale. Quest’ultima ha la stessa funzione dell’ecografia, ovvero di individuare la diffusione del tumore a livello della piccola pelvi e di valutare l’infiltrazione del tessuto mesorettale. L’infiltrazione mesorettale è molto significativa per programmare o meno un’ eventuale terapia neoadiuvante.

Un ulteriore metodica che può essere usata nella diagnostica strumentale del tumore del retto, ma che di fatto non è usata di routine, è la PET (tomografia a emissione di positroni) che analizza zone con un metabolismo elevato nelle quali il tracciante, che di solito è il fluorodesossiglucosio, risulta più concentrato. Gli spot ipercaptanti ci indicano quali sono le zone interessate dal tumore, sia in sede locale sia a distanza. Questa metodica potrebbe essere usata anche nel follow up per ritrovare zone di recidiva precoce del tumore.

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Da valutare è il miglioramento della risoluzione delle immagini con la FDG-PET/TC, che compara le immagini delle due metodiche, potendo in questo modo aumentare la validità dell’esame PET nello studio della neoplasia nell’ottica delle decisioni terapeutiche.61

Possono essere usati nella diagnosi anche dei marker tumorali sierici, tra i quali quello più strettamente legato al carcinoma colon-rettale sembra essere il CEA (antigene carcinoma embrionale). Questo marker ha mostrato solo il 46% di sensibilità e la specificità dell’89% 62

in quanto aumenta anche in condizioni come gastriti, ulcere, diverticoliti, malattie epatiche e nei pazienti fumatori rispetto ai non fumatori.63

Per questo motivo è usato sempre associato a esami strumentali nella pratica clinica e allo stesso modo anche nel corso del follow-up dei pazienti che hanno subito resezioni intestinali.

1.5 Stadiazione

Esistono varie classificazioni dello staging del tumore del retto; la più usata è sicuramente la classificazione TNM, dove la T si riferisce all’estensione del tumore primitivo che man mano che cresce si porta da un tumore intramucosale (T1) fino al coinvolgimento delle strutture che sono presenti d’intorno al retto. La N, invece, rappresenta la positività dei linfonodi, quindi il numero di linfonodi coinvolti da metastasi della neoplasia. Infine il parametro M riguarda le metastasi a distanza che possono incorrere nella storia della malattia, soprattutto quando avanzata.

In base alla classificazione TNM la neoplasia potrà essere classificata in vari stadi ai quali corrisponderà un diverso trattamento.

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Esistono poi, per quanto riguarda il tumore del retto altre due classificazioni più antiche per la stadiazione:

1. Una è la classificazione di Dukes, ideata da Cuthbert E. Dukes nel 1932, che era così suddivisa:

o Tipo A: carcinoma limitato alla parete rettale senza coinvolgimento dei linfonodi o tessuti adiacenti.

o Tipo B: coinvolgimento dei tessuti circostanti ma non dei linfonodi. o Tipo C: coinvolgimento dei linfonodi regionali. 64

2. La seconda classificazione fu ideata da Astler e Coller nel 1954 come modificazione della precedente:

o Tipo A: tumore limitato alla mucosa.

o Tipo B1: tumore che si estende alla tonaca mucosa senza coinvolgerla completamente e senza linfonodi positivi.

o Tipo B2: tumore che coinvolge completamente la tonaca muscolare e si estende oltre con linfonodi negativi.

o Tipo B3: tumore che diffonde alle strutture circostanti ma con linfonodi negativi.

o Tipo C1: come B1 ma con coinvolgimento linfonodale. o Tipo C2: come B2 ma con linfonodi positivi.

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1.6 Anatomia del retto

1.6.1 Situazione dell’organo

Figura 1 Anatomia del Retto (fonte: UpToDate)

L’intestino retto è l’ultima parte del grande intestino, rappresentando prossimalmente la continuazione del sigmacolon, mentre distalmente si continua con il canale anale.

I suoi rapporti sono:

- Anteriormente nel maschio contrae rapporti con la vescica e con la prostata, mentre nella femmina si pone posteriormente al corpo dell’utero e alla vagina.

- Posteriormente risulta essere in contatto con l’osso sacro e con il coccige.

Esso è lungo circa dai 12 ai 15 cm ed è diviso in 3 zone, che definiscono anche la classificazione delle neoplasie che insorgono a questo livello:

- Neoplasie basse: localizzate dai 4 agli 8 cm dal margine anale - Neoplasie intermedie: localizzate tra 8 e 12 cm dal margine anale - Neoplasie alte: poste tra 12 e 15 cm distalmente al margine anale. 65

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Figura 2 Divisione Chirurgica del Retto (fonte: UpToDate)

Presenta, inoltre, tre curve in senso trasversale che corrispondono alle valvole di Houston, le quali una volta che il retto è mobilizzato durante una procedura chirurgica spariscono determinando un allungamento dell’organo in senso longitudinale.

Come margini chirurgici del retto sono presi in considerazione prossimalmente il riunirsi delle 3 tenie in uno strato muscolare unico mentre distalmente come limite tra retto e canale anale, tipicamente, viene considerato il margine prossimale del complesso muscolare sfinteriale anale.

Questo confine è diverso dal margine anatomico, in quanto in questo caso il limite distale è rappresentato dalla linea Dentata, che è anche il limite in cui l’epitelio rettale, epitelio colonnare, diventa epitelio squamoso, che è quello appartenente al canale anale.

Il peritoneo a livello rettale ha un comportamento particolare, esso riveste solo la parte anteriore per un breve tratto (circa 1/3) compiendo poi una riflessione al di sopra dell’utero

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nella donne e della vescica nell’uomo. Più in basso rispetto a questa riflessione abbiamo il cavo retto-uterino e retto-vescicale rispettivamente nella donna e nell’uomo.

In questo modo abbiamo rivestita da peritoneo solo una parte della parete anteriore e delle pareti laterali, con la posteriore, che è in contatto con il sacro, che risulta totalmente priva di rivestimento peritoneale.

Intorno al retto è presente del tessuto fibroadiposo contenente tra l’altro rami arteriosi, venosi e vie linfatiche, detto mesoretto; questa struttura serve da cuscinetto quando l’ampolla rettale risulta ripiena di feci, in quanto ne agevola la dilatazione.

Esso è totalmente circondato da una propria fascia che quindi racchiude al suo interno tutto il tessuto mesorettale e l’ampolla rettale.

Il mesoretto è una struttura molto importante oncologicamente, in quanto risulta essere la prima sede di diffusione locale delle neoplasie rettali che hanno superato la parete e inoltre contiene la prima stazione linfonodale che le cellule neoplastiche incontrano nella loro diffusione linfatica.

1.6.2 Vascolarizzazione arteriosa

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Il retto risulta vascolarizzato da 3 rami arteriosi principali:

- Arteria rettale superiore: ramo dell’arteria mesenterica inferiore - Arteria rettale media: ramo dell’arteria iliaca interna

- Arteria rettale inferiore: ramo della arteria pudenda interna, a sua volta ramo dell’arteria iliaca interna.

Questi 3 rami irrorano rispettivamente il terzo superiore, intermedio e inferiore come si può evincere dal nome.

1.6.3 Drenaggio venoso

Il drenaggio venoso del retto è diviso in due diverse zone: una zona superiore che comprende i 2/3 prossimali del retto e una inferiore rappresentata dal terzo distale dell’organo.

Il sangue della zona superiore viene drenato attraverso la vena emorroidaria superiore che è tributaria della vena mesenterica inferiore che fa parte del sistema portale; il sistema portale si porta al fegato e questo rappresenta il motivo per cui neoplasie che sorgono a questo livello mostrano metastasi ematogene primariamente localizzate a quest’organo.

Il terzo inferiore invece è drenato dalla vena emorroidaria inferiore che invece si ricollega al sistema delle vene iliache. In questo caso la diffusione ematogena porta alla possibilità alla cellule neoplastiche di entrare a livello del circolo cavale, sistemico, così da poter diffondere primariamente al polmone e poi in altri organi come le ossa e il SNC.

1.6.4 Drenaggio linfatico

Il drenaggio linfatico è assicurato da linfonodi di primo livello che abbiamo detto essere presenti all’interno del mesoretto i quali affluiscono in 3 sistemi differenti: cranialmente nei linfonodi del sistema mesenterico inferiore, lateralmente in quello dei linfonodi iliaci interni e caudalmente in quello iliaco esterno e inguinale.

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Figura 4 Drenaggio Venoso e Linfatico del Retto (fonte: UpToDate)

1.7 Anatomia patologica

1.7.1 Patogenesi del carcinoma rettale

Le lesioni a carico del retto sono prevalentemente adenocarcinomi (circa l’85%) e seguono, come più in generale le neoplasie del colon-retto, due diverse vie molecolari:

- Via associata all’evoluzione adenoma-carcinoma (via che prevede la formazione di polipi intestinali) che vede il gene APC mutato, così da avere una mancata degradazione della beta-catenina e quindi la via di WNT costitutivamente attiva. In questo modo si ha una eccessiva proliferazione dell’endotelio intestinale con possibilità che nel tempo si sommino ulteriori mutazioni, come per esempio quelle delle molecole K-RAS e p53, che possono portare alla trasformazione displastico/anaplastica delle cellule con la formazione di tumori infiltranti.

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- Via genetica associata all’instabilità dei microsatelliti dovuta a difetto nel sistema di riparazione degli errori di mismatch del DNA (mutazione di MLH1 o MSH2).

Anche in questo caso si ha un aumentato tasso di mutazione che porta con il tempo alla mutazione di altre molecole importanti come il tgf-beta e le molecole BAX e BRAF comportando la trasformazione neoplastica delle cellule.66

1.7.2 Anatomia Macroscopica

Le masse rettali sono principalmente di due tipi: vegetanti, che quindi si aggettano nel lume colico con aspetto a “cavolfiore” o fungoide, oppure ulcerate, con aspetto dell’ulcera tipicamente maligno, con margini sollevati e complessi e con un letto dell’ulcera con all’interno materiale necrotico e emorragico.

Queste lesioni crescono in maniera anulare o circonferenziale di modo che possono dare spesso occlusione o restringimento del lume rettale.

Con il tempo esse tendono a infiltrare progressivamente la parete rettale potendo essere anche percepibili come masse dure all’esame fisico.66

1.7.3 Anatomia microscopica

Le cellule che compongono le neoplasie rettali sono cellule cilindriche simili a quelle dell’epitelio displastico degli adenomi; è presente però in questi casi anche una componente invasiva della parete la quale porta a una progressiva reazione desmoplastica stromale che dà la caratteristica consistenza dura-scirrosa alle lesioni rettali.

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Esistono vari istotipi dell’adenocarcinoma colon-rettale, ci possono essere per esempio tumori colloidali o mucinosi, con molto accumulo di mucina all’interno della parete rettale, peraltro associati spesso a prognosi sfavorevole5

, oppure per esempio tumori a differenziazione neuroendocrina. Inoltre possono essere presenti in altri casi cellule a “anello con castone” simili a quelle dei carcinomi gastrici.

Possiamo avere oltre alla variante adenocarcinomatosa anche carcinomi squamosi oppure carcinomi scarsamente differenziati, anaplastici, che non formano nessuna struttura avendo perso totalmente le capacità differenziative.66

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1.8 Trattamento

Quando si pensa a un approccio chirurgico per un tumore rettale, tenendo conto che esistono molteplici tecniche per la resezione di questa neoplasia, bisogna analizzare molteplici aspetti che tengano conto sia della neoplasia, intesa come stadio di malattia e aggressività istologica, sia del paziente.

Per quanto riguarda la neoplasia vengono analizzate la sua dimensione e la sua diffusione; di quest’ultima dovrà essere analizzata sia quella locale, a livello delle strutture della piccola pelvi, sia la diffusione linfonodale e metastatica a livello degli altri organi.

Dovrà essere analizzata in questo senso anche la distanza dal margine anale, in prospettiva di stabilire se è possibile un intervento che mantenga in sede lo sfintere anale (sphincter-sparing surgery) oppure se questo debba essere portato via insieme al retto necessitando la creazione di una stomia definitiva.

Dal punto di vista del paziente invece sarà necessario analizzare quella che è la sua anatomia a livello della piccola pelvi, quale sia la funzionalità dello sfintere anale prima dell’intervento e se sono presenti o meno comorbidità che non rendano il paziente eleggibile alla chirurgia.67

1.8.1 Tecniche chirurgiche

Le tecniche chirurgiche usate per i tumori rettali possono essere di diversi tipi a seconda dello stadio della neoplasia, della dimensione e della distanza dal margine anale.

Si può andare da una escissione locale, di solito compiuta per via trans-anale, per tumori molto precoci, che sono limitati alla mucosa (Tis), a una resezione vera e propria di un tratto rettale per tumori più avanzati, cioè che hanno superato la tonaca sottomucosa oppure si sono spinti oltre la parete del retto diffondendo a tessuti peri-rettali o addirittura a altri organi a livello della pelvi.

Le resezioni cambiano in base al tratto del retto interessato: esse possono riguardare, nel caso di neoplasie molto basse, anche lo sfintere, compiendo in questo caso una resezione addomino-perineale, oppure nel caso di lesioni poste più in alto può essere resecato soltanto il segmento rettale colpito dalla neoplasia.

Nel caso di una diffusione locale della neoplasia, che coinvolge anche altri organi all’interno della pelvi, si dovrà provvedere a una resezione multiviscerale per poter portare via il tumore

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La chirurgia trans-anale, che è riservata per tumori “intramucosi”, cioè che non hanno ancora avuto la possibilità di raggiungere i vasi della sottomucosa, è un tipo di chirurgia che prevede la rimozione del tumore attraverso un approccio endoluminale, rimuovendo la neoplasia senza compiere resezioni di tratti del retto, così da non dover compiere anastomosi che necessiterebbero interventi più invasivi. Si rimuove comunque il tumore in maniera “oncologicamente corretta” mantenendo margini puliti da neoplasia, evitando che il tumore si frammenti e estraendolo poi attraverso l’ano.

Questo tipo di chirurgia è riservata a tumori localizzati nel retto medio in quanto per tumori localizzati prossimalmente, a livello del retto intraperitoneale, si ha un grosso rischio di perforazione compiendo questo tipo di chirurgia; per tumori localizzati distalmente, invece, questo tipo di chirurgia non è possibile con gli strumenti di cui siamo dotati oggi.

Un approccio del genere, comunque, non permette l’analisi post-chirurgica dei linfonodi regionali quindi non può dare una stadiazione post-operatoria ottimale.

I criteri per compiere questa tipologia di chirurgia sono: - Tumori T0 e T1 superficiali

- Tumori minori di 3 cm che coinvolgono meno del 30% della circonferenza rettale - Tumori mobili e non fissi all’esame fisico

- Possibilità di raggiungere margini indenni da neoplasia

- All’esame istologico, deve essere presente una istologia favorevole sia per quanto riguarda la differenziazione del tumore sia per quanto riguarda l’infiltrazione vascolare e perineurale

- Non ci sono segni di coinvolgimento vascolare alle immagini strumentali

- Pazienti che accettano una sorveglianza post-intervento molto stretta per cogliere eventuale ripresa di malattia

Questo tipo di chirurgia può essere compiuta anche per tumori T2 o maggiori nel caso siano presenti delle importanti comorbidità del paziente, che lo escludono da un’operazione di chirurgia maggiore, nel caso in cui il paziente abbia rifiutato l’operazione chirurgica con approccio addominale oppure nel caso di una malattia metastatica non resecabile (in questo caso si cerca solo di limitare i sintomi in ottica di una terapia palliativa).68

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Le tecniche chirurgiche maggiori, invece, usate routinariamente per i tumori del retto sono essenzialmente 2:

- Resezione Addomino-Perineale secondo Miles - Resezione Anteriore del Retto

1.8.2 Resezione Addomino-Perineale secondo Miles

La resezione Addomino-Perineale secondo Miles è una operazione chirurgica nella quale si compie una resezione in blocco del retto e del sigma, dei loro peduncoli vascolari e delle vie di drenaggio linfonodale, con associata la rimozione del canale anale, comprendente anche una piccola losanga di tessuto cutaneo peri-anale e di tutto il muscolo elevatore dell’ano. Quindi questa tecnica chirurgica prevede un doppio approccio (addominale e perineale) e alla fine comporta il confezionamento di una stomia definitiva, con chiusura della cute perianale, una volta asportato lo sfintere.

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I criteri secondo con cui oggi viene compiuta questa tecnica chirurgica riguardano pazienti che hanno un carcinoma rettale invasivo T2/T4 con in aggiunta le seguenti caratteristiche:

- Neoplasia molto bassa con meno di 1 cm di margine libero così da non poter compiere una resezione con preservazione dello sfintere

- Recidiva di neoplasia molto bassa

- Una disfunzione della continenza già presente prima dell’operazione, per cui predisporre una anastomosi con uno sfintere già deficitario non trova un suo razionale.69

La resezione addomino-perineale è una tecnica chirurgica nata all’inizio del 1900 a opera di Sir William Ernest Miles che propose questo tipo di tecnica alla luce dell’alta possibilità di recidiva del cancro del retto. Egli pubblicò sulla rivista Lancet nel 1908 i risultati dello studio, che comprendeva 12 casi in cui era stata eseguita questa tecnica con una mortalità pari al 42% e una sopravvivenza media di 1 anno, proponendone l’associazione con una estesa linfoadenectomia mesenterica in modo da diminuire l’incidenza di recidiva. Egli inoltre riconobbe 3 diversi piani di diffusione della malattia neoplastica rettale, uno inferiore, uno laterale e uno superiore; a quest’ultimo attribuiva il ruolo più importante.70

Il cancro secondo la sua procedura doveva essere rimosso seguendo 5 principi: 1. Creazione di una stomia addominale

2. Resezione del retto e del sigma e dei loro vasi all’origine 3. Resezione del mesoretto

4. Rimozione dei linfonodi al di sotto della biforcazione delle arterie iliache comuni 5. Resezione perineale con rimozione contestuale del muscolo elevatore dell’ano.71

Questo è l’approccio storico usato per il trattamento del retto: come si può immaginare, però, portava notevoli disagi al paziente, basti pensare che si compie una stomia definitiva con cui il paziente dovrà convivere per tutta la vita; inoltre, essendo così demolitivo, portava anche notevoli problemi psicologici al paziente.

Oggi questa tecnica continua a essere usata solo in quei casi in cui una chirurgia con salvataggio dello sfintere non può essere praticata; ciò risulta possibile grazie a migliori conoscenze riguardo l’anatomia patologica delle neoplasie rettali e grazie ai progressi della

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tecnica chirurgica (avvento delle stapler meccaniche).

1.8.3 Resezione Anteriore del Retto

La resezione anteriore del retto è una tecnica chirurgica che può essere effettuata per tumori rettali nei quali può essere raggiunto un margine distale libero da malattia, così da poter anastomizzare il residuo rettale distale con il moncone colico prossimale, preservando lo sfintere. In questo modo si cerca di ristabilire una certa fisiologia della defecazione senza ricorrere a una stomia definitiva.

Essa prevede quindi: la rimozione del segmento sigmoido-rettale, comprendendo con esso il mesoretto (il quale sarà tolto nella sua totalità all’interno della propria fascia), e la mobilizzazione del colon sinistro a partire dalla flessura splenica cosicché esso possa essere anastomizzato, con l’ausilio di una stapler circolare oppure con tecnica manuale, al moncone rettale e al canale anale.

I tempi principali di questa operazione chirurgica quindi risulteranno essere:

- Mobilizzazione della flessura splenica, cosicchè il colon sinistro possa essere portato, dopo la resezione del tumore, a livello della piccola pelvi al fine di compiere l’anastomosi

- Sezione della vena mesenterica inferiore e sezione dell'arteria mesenterica inferiore, con linfoadenectomia lungo il suo decorso

- Mobilizzazione del retto e del mesoretto, compiendone una escissione che segue la sua fascia dal promontorio del sacro fino al piano muscolare del pavimento pelvico - Sezione del retto distalmente al tumore

- Confezionamento dell'anastomosi colo-rettale, dopo la sezione del margine prossimale al tumore

- Compimento della ileostomia di protezione.

A volte sarà necessario, per aumentare il volume di feci che il “neoretto” può contenere, creare una neoampolla tramite un ansa a “J” così da migliorare anche gli outcome-funzionali del paziente a lungo termine.72

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Durante questa procedura spesso è necessario compiere una stomia temporanea per divergere le feci dalla anastomosi; in questo caso quindi dopo l’operazione il paziente verrà sottoposto a controllo mediante clisma opaco con Gastrophin (non viene usato il bario per evitare che, nel caso in cui l’anastomosi non fosse ancora del tutto continente, lo spandimento di questo mezzo di contrasto all’interno dell’addome portasse a una peritonite chimica) fino a che non si arriverà a una perfetta tenuta della anastomosi così che la stomia temporanea possa essere chiusa e il normale transito fecale ristabilito.

La resezione anteriore del retto è compiuta, oggi, su pazienti che possono mantenere, dopo l’intervento, un certo tono sfinterico, quindi in pazienti che già prima dell’intervento mostrano delle disfunzioni sfinteriali questo approccio è sconsigliato.

Il tumore potrà avere uno stadio T2 o maggiore e dovrà essere localizzato in modo che sia possibile raggiungere dei margini liberi dopo la sua rimozione: a questo punto si potrà compiere un’anastomosi colon-rettale, nel caso sia possibile lasciare un residuo rettale dopo l’asportazione, o colon-anale nel caso questo non sia possibile. 68

La possibilità di compiere un’operazione con conservazione dello sfintere è aumentata nel tempo, infatti progressi nelle conoscenze del comportamento dei tumori del retto hanno permesso di definire quelli che sono i criteri per poter parlare di margini liberi distali, così da limitare al minimo il rischio di recidiva e allo stesso tempo compiere questo tipo di chirurgia (vedi margini di resezione distale).

Esiste però anche un altro aspetto, legato alla tecnica chirurgica e allo sviluppo degli strumenti, che ha permesso con il tempo di compiere anastomosi con monconi rettali sempre più corti.

All’inizio l’anastomosi era compiuta solamente con tecnica manuale, con notevoli difficoltà in base alla localizzazione dove quest’ultima doveva essere eseguita; negli ultimi anni, però, c’è stata l’invenzione delle suturatrici (stapler) meccaniche le quali, mediante un meccanismo di “taglia e cuci”, hanno permesso di compiere delle anastomosi e delle resezioni in punti anatomici critici (un esempio è appunto la resezione e la anastomosi del retto che anatomicamente è posto in una regione ristretta soprattutto nell’uomo). Una altro aspetto che ha permesso la loro diffusione è stata la contemporanea diffusione della laparoscopia dove questi strumenti, soprattutto nella chirurgia addominale, hanno un ruolo importantissimo durante la resezione e la successiva anastomosi di segmenti del canale alimentare.

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Oggi nella chirurgia rettale viene usata la tecnica con doppia stapler secondo Knight-Griffen, con la quale è possibile compiere anastomosi meccaniche basse valide, che possono dare la possibilità di salvare sfinteri anche per tumori localizzati a livello del retto basso.

Essa prevede l’utilizzo di una stapler lineare meccanica che chiude il moncone rettale distale, separandolo dal retto situato prossimalmente dove è presente il tumore, mediante l’utilizzo del “taglia e cuci” tipico di questi strumenti. A livello colico, dopo la asportazione del retto e del sigma, invece sarà compiuta una chiusura del moncone colico a borsa di tabacco con l’utilizzo di una pinza a rastrello, con l’inserimento, prima della chiusura, della testina-incudine della stapler circolare. A questo punto un operatore inserirà la testina della stapler circolare all’interno del canale anale, fino a raggiungere il moncone rettale che è rimasto dalla resezione del tumore. Le due componenti della suturatrice verranno quindi congiunte, unendo a questo punto il moncone colico e il moncone rettale, e verrà compiuta l’anastomosi; questo sempre grazie alla possibilità della stapler di compiere un “taglia e cuci” dei tessuti in maniera circolare tra i due monconi ristabilendo un lume pervio.73

Questa tecnica è usata nella resezione anteriore del retto sia che questa sia compiuta con tecnica “open” sia che lo sia con tecniche mininvasive, come la laparoscopia e il robot.

1.8.4 Approccio laparoscopico

Anche nella chirurgia rettale oncologica si utilizza spesso un approccio laparoscopico in quanto, oltre a tutti i vantaggi della laparoscopia in generale, operare all’interno della pelvi risulta spesso difficile, soprattutto nel sesso maschile a causa dello scarso spazio a disposizione.

La laparoscopia è nata più di 20 anni fa come procedura per la colecistectomia, e da qui ha mostrato una diffusione in molti altre procedure chirurgiche, dove è diventata l’approccio primario, preferito per molti aspetti anche alla tecnica “open”.74

Il primo intervento effettuato per la chirurgia colon-rettale è stato effettuato nel 1991 da Jacobs75

il quale usò questo approccio per una colectomia.

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