• Non ci sono risultati.

L'appellabilita' della sentenza di proscioglimento tra pronunce della Corte Edu, giurisprudenza interna e recenti interventi legislativi.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'appellabilita' della sentenza di proscioglimento tra pronunce della Corte Edu, giurisprudenza interna e recenti interventi legislativi."

Copied!
167
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza

L’appellabilità della sentenza di proscioglimento tra

pronunce della Corte Edu, giurisprudenza interna e recenti

interventi legislativi

Il Candidato

Il Relatore

Lorenzo Agostino

Prof.ssa Benedetta Galgani

(2)
(3)

2

SOMMARIO

INTRODUZIONE………1

CAPITOLO 1: L’APPELLO, UN’ANALISI D’INSIEME………..………2

1.1. L’appello come mezzo di impugnazione………...2

1.2. Natura del giudizio di appello: mezzo di controllo o nuovo giudizio?...5

1.3. Il principio del doppio grado di giurisdizione di merito ha valore costituzionale?...10

1.4. Lo svolgimento del giudizio di appello e il problema della cartolarità……….12

CAPITOLO 2: LA LEGGE N. 46/2006………...………...19

2.1. Il travagliato iter legislativo……….19

2.2. Una riforma mal ponderata………...28

2.3. Le censure della Corte Costituzionale: la sentenza n. 26/2007………31

2.4. Le censure della Corte Costituzionale: la sentenza n. 85/2008………35

2.5. Il quadro normativo risultante dalle sentenze della Consulta………..37

CAPITOLO 3: IL SISTEMA DEL COSNIGLIO D’EUROPA: DAI RAPPORTI CON LO STATO ITALIANO AI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO………...………..41

3.1. Il sistema del Consiglio d’Europa……….41

3.2. Il rapporto tra il sistema del Consiglio d’Europa e lo Stato italiano: la giurisprudenza della Corte Costituzionale……….45

3.3. Il rapporto tra il sistema del Consiglio d’Europa e lo Stato italiano: il giudice comune……….49

3.4. L’adeguamento alle sentenze di condanna della Corte EDU. Tra l’inerzia del legislatore e l’opera di supplenza della giurisprudenza………...50

3.5. Il giusto processo nel sistema CEDU………58

3.6. Il giusto processo in Italia………63

(4)

3

CAPITOLO 4: LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI STRASBURGO IN TEMA DI

OVERTURNING DELLA SENTENZA DI ASSOLUZIONE DI PRIMO GRADO………74

4.1. Le pronunce più risalenti: i casi Unterpertinger e Bricmont………74

4.2. Le pronunce più risalenti: il caso Ekbatani contro Svezia………79

4.3. Il caso Destrehem contro Francia……….81

4.4. Il caso Dan contro Moldavia e il criterio della “prova principale”………..84

4.5. Caso Manolachi contro Romania: la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale d’ufficio……89

4.6. Il caso Hanu contro Romania: la summa di tutti i principi elaborati nel tempo dalla Corte europea………...91

CAPITOLO 5: LE REAZIONI NELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA AGLI INPUT PROVENIENTI DALLA CORTE DI STRASBURGO………...……….94

5.1. La giurisprudenza interna precedente alla sentenza Dan contro Moldavia………...94

5.2. I primi riflessi della sentenza Dan nel nostro ordinamento……….………..98

5.3. Un passo indietro rispetto alla sentenza Morzenti: il caso Cava e Rainone……….103

5.4. Il requisito della decisività del testimone: le differenze tra il procedimento probatori italiano e quello preso in considerazione dalla Corte EDU………...105

5.5. Altre problematiche nel recepimento dello “statuto convenzionale” in tema di overturning della sentenza di assoluzione: l’obbligo per il giudice d’appello di procedere ex officio alla rinnovazione istruttoria e il regime di rilevabilità del vizio da parte del giudice di legittimità ………109

5.6. L’intervento delle Sezioni Unite………114

5.7. L’applicabilità delle regole in materia di overturning al giudizio abbreviato……….121

5.8. Oltre la sentenza Dasgupta: il caso Salute………..126

CAPITOLO 6: LA LEGGE N. 103/2017………...130

6.1. Premessa………130

6.2. La riforma delle impugnazioni: la motivazione della sentenza e il contenuto dell’atto di impugnazione………...131

6.3. La riforma delle impugnazioni: il giudizio in Cassazione………...137

6.4. La novella in materia di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello……….141

(5)

4

6.6. Riflessioni Conclusive………...148

BIBLIOGRAFIA……….………151 RINGRAZIAMENTI………...161

(6)
(7)

1

INTRODUZIONE

Il giudizio di appello è tradizionalmente considerato uno strumento di controllo della decisione adottata in primo grado al fine di rimediare ad eventuali errori commessi dal giudice. Un controllo che avviene, tendenzialmente, sulla base della semplice rilettura degli atti redatti in primo grado.

I primi due gradi di giudizio non avrebbero la stessa dignità, l’uno sarebbe mero “servo” dell’altro, nel senso che l’appello avrebbe un ruolo sussidiario e correttivo rispetto al giudizio di prime cure.

Infatti, il giudizio di primo grado, come strutturato dal legislatore dell’88, si ispira ad una modellistica accusatoria e al principio del contraddittorio: la prova dichiarativa è il frutto dell’esame incrociato che le parti del processo conducono nei confronti del testimone di fronte ad un giudice terzo ed imparziale; l’appello, invece, per come è stato disciplinato e per come è stato a lungo interpretato dalla giurisprudenza, è un giudizio che si svolge cartolarmente, con una forte compressione dei principi che innervano il primo grado.

La più patologica conseguenza di questa diversità è rappresentata dalla possibilità che il giudice di seconde cure dichiari la colpevolezza dell’imputato, precedentemente prosciolto, a seguito di un appello svoltosi in dispregio delle garanzie accordategli in primo grado. E’ su questa patologia che si concentrerà la nostra attenzione nelle pagine che seguiranno.

Il presente lavoro, mediante lo studio degli interventi legislativi e della giurisprudenza - sia europea sia interna - che hanno interessato la tematica, intende dimostrare l’opportunità di strutturare il processo di secondo grado nel rispetto dei principi che contraddistinguono il primo, con un occhio di riguardo alla ragionevole durata dei processi.

(8)

2

CAPITOLO 1

L’APPELLO, UN’ANALISI DI INSIEME

SOMMARIO: 1.1. L’appello come mezzo di impugnazione. – 1.2. Natura del giudizio di appello: mezzo di controllo o nuovo giudizio? – 1.3. Il principio del doppio grado di giurisdizione di merito ha valore costituzionale? – 1.4. Lo svolgimento del giudizio di appello e il problema della cartolarità.

1.1. L’appello come mezzo di impugnazione

Prima di concentrare l’attenzione sul tema dell’appellabilità della sentenza di assoluzione, occorre procedere ad un’analisi delle principali caratteristiche del giudizio di appello come mezzo di impugnazione.

L’appello è un mezzo di impugnazione ordinario, cioè esperibile avverso una sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato, che apre l’eventuale secondo grado di giudizio.

Nell’ambito della dicotomia dei mezzi di impugnazione come azione di annullamento o come gravame, l’appello è una sorta di ibrido, in quanto è vero che il giudice di seconde cure ha gli stessi poteri del giudice di primo grado, caratteristica tipica del gravame, ma solo in relazione ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti nell’atto di impugnazione dalla parte appellante1.

Mediante l’atto di appello è possibile dolersi della sentenza di primo grado sia in punto di fatto che in punto di diritto, con la possibilità, ai sensi dell’art. 597, comma 1°, c.p.p., di investire il giudice di appello

1 M. BARGIS, Impugnazioni, in Compendio di procedura penale, G. CONSO-V.

(9)

3

della cognizione di tutti i capi e di tutti i punti della sentenza di primo grado, nel qual caso avremo un appello totalmente devolutivo. Si tratta dell’unica ipotesi in cui l’appello è riconducibile alla categoria del gravame puro.

Affinché l’appello sia ammissibile, ai sensi dell’art. 568 commi 3° e 4°, l’impugnante deve essere dotato di legittimazione ed interesse ad agire. Quanto alla legittimazione ad agire, la legge, attualmente, in virtù delle declaratorie di incostituzionalità che hanno colpito la legge n. 46/2006 di cui occuperemo più avanti, non prevede limitazioni per l’imputato ed il P.M., i quali, tuttavia, devono essere anche muniti di un interesse concreto ad impugnare, nel senso che l’appellante deve poter trarre una qualche utilità dal processo. L’utilità che deve poter derivare dal processo si compone di due profili: la rimozione di una situazione di svantaggio processuale derivante dalla decisione impugnata ed il conseguimento di un beneficio concreto che il giudizio di impugnazione può far conseguire2. Ad esempio, l’imputato assolto in primo grado per una delle cause più liberatorie (il fatto non sussiste o il soggetto non lo ha commesso) non ha interesse ad appellare in quanto il gravame non potrebbe fargli conseguire alcuna utilità. In tema di interesse ad agire è intervenuta di recente la legge n. 103/2017, la quale ha codificato una serie di assunti cui già si era pervenuti: essa ha infatti espressamente precluso all’imputato la facoltà di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate per le suddette cause maggiormente liberatorie e ha disposto che il P.M. potrà sì impugnare le sentenze di condanna, ma solo laddove la sentenza di primo grado abbia modificato il titolo del reato, escluso la sussistenza di una circostanza aggravante o stabilito una pena di specie

2 A. DE CARO, Il sistema delle impugnazioni penali: legittimazione, forme e termini,

in Procedura penale, teoria e pratica del processo, diretto da G.SPANGHER-A. MARANDOLA-G.GARUTI-L.KALB, vol. IV, UTET, Milano, 2015, p.45.

(10)

4

diversa da quella ordinaria del reato3.

Ai sensi dell’art. 575, commi 1° e 2°, si prevedono alcune ipotesi in cui possono impugnare, con il mezzo che la legge attribuisce all’imputato, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

L’art. 576 dispone che la parte civile possa proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna relativi all’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. La parte civile può proporre impugnazione avverso la sentenza pronunciata in sede di giudizio abbreviato quando ha acconsentito all’abbreviazione del rito. Ancora, ha il diritto di impugnare il querelante condannato ex art. 542. Il legislatore prevede alcuni limiti all’appellabilità delle sentenze di primo grado, in virtù del fatto che la Costituzione non prevede direttamente la garanzia del giudizio di appello, facendo essa riferimento, nell’art. 111, comma 7°, al solo ricorso per Cassazione. Così, sono previste limitazioni in punto di appellabilità delle sentenze emesse in sede di giudizio abbreviato: l’imputato, se potrà appellare avverso le sentenze di condanna emesse in quella sede, non potrà appellare le sentenze di proscioglimento, salvo il caso in cui la sentenza di proscioglimento sia pronunciata per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente; il P.M., viceversa, potrà appellare le sentenze di proscioglimento, ma non quelle di condanna, salvo che il giudice abbia nella sentenza modificato la qualificazione giuridica del fatto.

In caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, la sentenza è inappellabile da ambo le parti, salvo che la sentenza sia stata pronunciata in difetto del consenso del P.M.

E’ inappellabile, ai sensi dell’art. 593 comma 3°, la sentenza di

3 In proposito si veda veda L. SURACI, Il sistema delle impugnazioni nella legge delega, in La riforma Orlando, a cura di G. SPANGHER, Pacini Giuridica, Pisa, 2017,

(11)

5

condanna per la quale è stata applicata la sola pena dell’ammenda. La legge n. 46/2006 aveva poi escluso l’appellabilità della sentenza di non luogo a procedere, limite, questo, venuto meno in virtù della legge n. 103/2017.

1.2. Natura del giudizio di appello: mezzo di controllo o nuovo giudizio?

Abbiamo visto come il legislatore ordinario preveda alcune limitazioni in punto di appellabilità oggettiva. E’ dunque il momento di affrontare l’annoso tema dell’esistenza o meno di una copertura costituzionale relativamente alla garanzia del doppio grado di giudizio di merito, precisando sin d’ora che, anche laddove tale copertura esistesse, non impedirebbe al legislatore di limitarla in virtù di altre esigenze, quali, tra le altre, la ragionevole durata del processo. Se vi sono limitazioni all’appellabilità, ad esempio, delle sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato, ciò è dovuto alla scelta da parte dell’imputato di accettare un rito più celere, beneficiando, in caso di condanna, di uno sconto premiale.

Abbiamo già sottolineato come la Costituzione non preveda espressamente questa guarentigia, facendo riferimento al solo ricorso per Cassazione, mezzo di impugnazione di mera legittimità. Liquidare la questione affermando acriticamente che manca una esplicita statuizione, sia in Costituzione che all’interno delle fonti sovranazionali, del principio del doppio grado di giurisdizione di merito, sembrerebbe eccessivamente sbrigativo.

Per affrontare questa questione occorre preliminarmente introdurne un’altra. Il riferimento va alla disputa tra chi sostiene che l’appello abbia natura di mezzo di controllo della decisione di prime cure e chi sostiene, viceversa, che sia un nuovo giudizio, che si chiude con un nuovo accertamento.

(12)

6

Qualificare il gravame come mezzo di controllo significa che l’appello si sostanzierebbe << in un’operazione di verifica su di un comportamento pregresso, col fine di stabilirne la conformità al contesto normativo di riferimento >>4. L’appello si configurerebbe come un posterius dell’attività controllata innanzitutto dal punto di vista cronologico, ma anche perché prenderebbe necessariamente le mosse dal provvedimento frutto della fase precedente5. Il controllo assume, rispetto all’attività controllata, un carattere sussidiario e correttivo, nel senso che, per sua natura, il controllo segue l’attività controllata6.

Al contrario, teorizzare l’appello come novum iudicium significa asserire l’autonomia del giudice di secondo grado rispetto alla sentenza impugnata.

Tradizionalmente si propende per la prima opzione che, se poteva sembrare corretta sotto il vigore del codice Rocco, oggi vacilla. Il legislatore del 1930 partiva dal presupposto che vi fosse una verità storica e che il procedimento penale avesse la funzione di accertarla. Un tratto, questo, proprio di ogni ordinamento autoritario, strettamente connesso alle esigenze di controllo caratteristiche di quei sistemi. Il procedimento di primo grado si apriva con una fase istruttoria, gestita in segretezza dal P.M., in sede di istruzione sommaria, o dal giudice istruttore, in sede di istruzione formale. Tali soggetti, nel corso di questa fase, costruivano un castello accusatorio che veniva presentato dinanzi al giudice del dibattimento. In dibattimento confluiva, dunque, l’attività istruttoria svolta dal P.M. o dal giudice istruttore, la quale attività assurgeva a valore di prova spendibile dal giudice ai fini della decisione. L’imputato aveva la sola possibilità, in dibattimento, di screditare quanto emerso nella fase precedente.

4 F. PERONI, L’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, CEDAM, Padova,

1995, p. 77.

5 F.PERONI, L’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, cit., p. 78.

6 U. FORTI, I controlli dell’amministrazione comunale, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V. E. Orlando, vol. II, Milano, 1915, p. 609.

(13)

7

Ebbene, con un primo grado strutturato in questo modo, data la forte compressione delle garanzie dell’imputato, l’appello costituiva un indispensabile strumento di garanzia. << Il senso dell’istituto era soprattutto quello di un recupero della tutela dell’imputato, visti i mortificati spazi difensivi accordatigli nella fase istruttoria, con evidenti ricadute in termini di ingiustizia in caso di epilogo sfavorevole >>7. Dinanzi ad un simile panorama era del tutto corretto strutturare il giudizio di seconde cure come un mezzo di controllo della giustizia della sentenza di primo grado. Mezzo di controllo nel senso di un giudizio in cui il giudice di secondo grado procedeva ad una rivalutazione giudiziale degli atti e delle prove formate in primo grado, di modo da correggere eventuali errori, in fatto o in diritto, commessi dal primo giudice.

Ora, tra l’odierna disciplina del gravame e quella precedente al 1988, ci sono notevoli similitudini, in contesti tuttavia molto diversi poiché contraddistinti da giudizi di primo grado agli antipodi. Come visto, il giudizio di primo grado, sotto la vigenza del codice abrogato, si caratterizzava per una forte compressione dei principi di oralità ed immediatezza che, al contrario, sono valorizzati al massimo dal codice vigente. I due codici sono ispirati, infatti, a modelli di processo penale contrapposti: il codice del 1930, figlio dell’epoca fascista, si ispirava ad una modellistica di stampo inquisitorio, fondata su di un’estrema fiducia nelle capacità della pubblica autorità di ricostruire i fatti oggetto di imputazione. Ciò giustificava un lavoro in totale segretezza da parte della pubblica autorità, in quanto ogni momento di partecipazione, durante la fase istruttoria, di altri soggetti era considerato come un ostacolo. Opposto è, invece, il pensiero che sta alla base del codice del 1988, basato sull’idea per cui la migliore approssimazione alla verità, posto che la verità storica non è

7 D. CHINNICI, Giudizio penale di seconda istanza e giusto processo, G. Giappichelli

(14)

8

conoscibile, si raggiunge attraverso il confronto dialettico tra i protagonisti della vicenda penale, per cui è prova solo quanto si forma nel contraddittorio tra le parti dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale.

Se allora l’appello, sotto il vigore del codice Rocco, rappresentava un baluardo per l’imputato funzionale a rimediare alle carenze, sotto il profilo difensivo, del primo grado, oggi la situazione è profondamente

mutata.

Con un primo grado così attento al principio del contraddittorio e alle esigenze difensive dell’imputato, la previsione di un appello come strumento di controllo della decisione impugnata, sulla base della semplice lettura degli atti di primo grado, non è accettabile. Il giudizio di appello deve condurre ad un nuovo accertamento, rappresenta un nuovo giudizio. Sono varie le prove a sostegno di questa tesi8, tra cui quella che guarda all’ambito di cognizione del

giudice di seconde cure.

L’art. 597 comma 1° prevede che il giudice di appello abbia cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Se il giudizio di appello fosse uno strumento di mero controllo, la cognizione del giudice dovrebbe essere limitata solo e soltanto alla parte della decisione impugnata che viene criticata dall’appellante. Ma il fatto che la disposizione in parola faccia riferimento ai << punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti >> e non direttamente ai << motivi proposti >>, ci permette di affermare che il giudice di appello vanti un certo margine di manovra nella conoscenza della vicenda di causa. << Il punto si articola in una o più questioni, su ognuna delle quali il giudice è legittimato a decidere >>9. Il giudice non è dunque vincolato da quanto lamentato dall’appellante nei suoi motivi, ma può affrontare tutte le

8 D. CHINNICI, Giudizio penale di seconda istanza e giusto processo, cit., pp. 77 ss. 9 A. GIARDA- G. SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, tomo II,

(15)

9

questioni che rientrano all’interno del punto oggetto della doglianza. Inoltre è pacifico come la cognizione del giudice di appello si possa estendere dai capi della sentenza espressamente impugnati a quelli ad essi legati da un vincolo di connessione essenziale di tipo logico ed il medesimo principio vale anche per i punti della decisione gravata.10 Infine, indipendentemente dai punti impugnati, il giudice d’appello può rilevare ex officio, in ogni stato e grado del processo alcune questioni, quali, ad esempio, la dichiarazione del difetto di giurisdizione e la dichiarazione di incompetenza per materia11. Contro questa impostazione si è affermato12 che per poter essere configurato l’appello come nuovo giudizio, esso dovrebbe concludersi con le stesse formule con cui si chiude il primo grado, proscioglimento-condanna, quando invece esso termina con una sentenza o di conferma o di riforma della sentenza di prime cure. Per confutare questo rilievo è stato sostenuto che << le espressioni conferma e riforma si intendono da riferire al dispositivo e non alla motivazione, dal momento che nessuna norma specifica si è ritenuto di dettare in ordine all’iter sentenziae >>13. Vale a dire che, laddove il giudice di appello confermasse la prima sentenza, potrebbe farlo sulla base di percorsi argomentativi differenti da quelli fatti propri dal giudice di prime cure. Senza contare che il giudice di appello potrebbe addirittura ribaltare la sentenza di primo grado, essendo nel qual caso evidente come di nuovo giudizio si tratti. La valutazione che compie il giudice d’appello è autonoma sia che basi la sentenza sulle prove formate in primo grado che, a maggior ragione, quando in appello si svolga attività istruttoria ex art. 60314.

10 A. GIARDA- G.SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, tomo II, cit.,

p. 7242.

11 M.BARGIS, Impugnazioni, cit., p. 853.

12 F. PERONI, L’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, cit., p. 94.

13 G. TRANCHINA-G. DI CHIARA, voce appello (dir. Proc. Pen.), in Enc. Dir., agg., vol.

III, Giuffré, 1999, p. 215.

(16)

10

Per corroborare la tesi dell’appello come novum iudicium è utile un confronto con il ricorso per Cassazione, sicuramente definibile come mezzo di controllo. Infatti, il ricorso per Cassazione è proponibile esclusivamente per dolersi di uno dei motivi tassativamente indicati dall’art. 606, non potendosi la cognizione del giudice di legittimità estendere oltre e con l’impossibilità di qualsivoglia attività istruttoria dinanzi alla Suprema Corte.

Sulla base di questi argomenti, dunque, è possibile affermare che l’appello costituisca un nuovo giudizio.

1.3. Il principio del doppio grado di giurisdizione di merito ha valore costituzionale?

Se si muove dal presupposto, poc’anzi criticato, secondo cui l’appello è un mezzo di controllo della decisione impugnata, allora possiamo affermare che il principio del doppio grado di giurisdizione di merito trova copertura costituzionale. E sono vari gli argomenti spendibili in proposito15. Tra i più interessanti vi è quello che fa riferimento all’art. 2 Cost., secondo il quale la Repubblica riconosce e garantisce i dritti inviolabili dell’uomo. La giurisprudenza costituzionale, se inizialmente propendeva per un’interpretazione restrittiva della disposizione, per cui essa sarebbe stata riferibile solo al catalogo dei diritti previsti espressamente dagli artt. 13 e seguenti Cost., oggi propende per la soluzione opposta: siamo di fronte ad una norma a fattispecie aperta16.

Tra i diritti inviolabili tutelati dell’art. 2 Cost., vi rientrerebbe il diritto alla sentenza giusta, << cioè immune da errori nella ricostruzione del fatto ed espressione coerente e corretta delle norme giuridiche vigenti.

15 A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, in La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”, A. GAITO, UTET,

Milano, 2006, p. 10 s.

16 F. DAL CANTO, I principi fondamentali, in Manuale di diritto costituzionale italiano ed europeo, a cura di R. ROMBOLI, Vol. I, G. Giappichelli Editore, Torino, 2011, p.

(17)

11

Questa connotazione dimostra come non sia possibile parlare di “sentenza giusta” prescindendo dall’esistenza di un meccanismo capace di rimuovere l’errore nella ricostruzione del fatto e nell’applicazione del diritto >>17.

Dunque, sulla base di questa impostazione, vi sarebbe un vero e proprio diritto ad ottenere un controllo, in punto di fatto e in punto di diritto, sulla sentenza di primo grado.

Ma in precedenza abbiamo escluso la possibilità di configurare l’appello come mezzo di critica, propendendo per una diversa impostazione.

Essendo l’appello un nuovo giudizio, non se ne può affermare la necessità costituzionale. Niente vieta che, allora, il legislatore, in futuro, possa addirittura abrogare l’istituto. Infatti, una volta assunti i principi del contraddittorio nella formazione della prova, dell’oralità e dell’immediatezza come cardini del giudizio di primo grado, una volta giunti alla conclusione che il metodo migliore per accertare i fatti sia un confronto dialettico tra le parti in dibattimento dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale, sarà ben possibile affermare che la sentenza di primo grado, frutto di un giudizio del genere, sia bastevole, essendo stato ampiamente soddisfatto il diritto di difesa dell’imputato. Alla base dell’affermazione dell’esistenza del diritto al doppio grado di giurisdizione di merito vi sono due presupposti: che l’errare sia cosa degli uomini ed il timore che il giudizio di primo grado si chiuda con una sentenza ingiusta, dinanzi alla quale sorge la necessità di un controllo su quanto accaduto in primo grado. Ma se presupponiamo che il metodo del contraddittorio sia il migliore per l’accertamento dei fatti e delle responsabilità, com’è possibile accettare che una sentenza, emessa a seguito di una fase ampiamente ossequiosa di tale garanzia, possa essere addirittura ribaltata in un diverso grado irrispettoso del

17 A. DE CARO, Filosofia della riforma e doppio grado di giurisdizione di merito, cit.,

(18)

12

principio del contraddittorio? Ammettere ciò significherebbe accogliere l’evenienza che in appello possa essere ribaltata una sentenza di assoluzione, emessa in primo grado, dunque in un contesto fortemente garantista per l’imputato, sulla base di una mera rivalutazione degli atti del primo giudizio.

Se dunque un sistema di matrice tendenzialmente accusatoria, qual è il nostro, vuole prevedere il giudizio di appello, deve disciplinarlo come un nuovo giudizio, rispettoso dei principi che animano il primo grado.

Ma l’appello penale italiano li rispetta davvero?

La risposta passa dallo studio delle modalità di svolgimento del giudizio di secondo grado.

1.4. Lo svolgimento del giudizio di appello e il problema della cartolarità

Abbiamo già avuto modo di affermare che tra la disciplina del giudizio di appello del codice Rocco e quella odierna vi siano notevoli similitudini.

La struttura del gravame consta, oggi come ieri, delle seguenti fasi: la relazione della causa, le letture, l’eventuale attività istruttoria e la discussione finale. Il tratto distintivo dell’appello odierno rispetto al codice previgente è dato dalla eliminazione dell’interrogatorio dell’imputato18.

Analogamente al codice Rocco, il codice Vassalli, all’art. 602 comma 1°, prevede che in udienza << il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa >>.

Con la relazione si apre la fase del dibattimento. Essa ha la funzione di informare il collegio << sui fatti di causa, sullo svolgimento del processo e sulle doglianze avanzate dalle parti in ordine alle quali il

(19)

13

collegio è chiamato a pronunciarsi >>19. Mediante questo adempimento il collegio può venire a conoscenza di come si è svolto interamente il giudizio di primo grado, con evidenti effetti compressivi dei principi di oralità e immediatezza. La verginità mentale dei giudici di seconda istanza viene inevitabilmente inquinata dalla relazione della causa.

E’ pur vero che, guardando al diritto vivente, la relazione della causa ha oramai un ruolo piuttosto marginale: essa sovente viene posticipata rispetto al momento in cui dovrebbe trovare collocazione, ossia l’apertura del dibattimento, se non addirittura omessa, peraltro in assenza di sanzioni processuali. Si tratta di un << orpello inutile >>20, del quale sarebbe auspicabile la soppressione, nell’ottica di una ristrutturazione dell’appello guidata dal principio del contraddittorio. Era pertanto da apprezzare la scelta dei redattori del progetto preliminare del 1978, poi non andato a buon fine, di espungere l’istituto in parola, in quanto la relazione della causa potrebbe essere idonea a rivelare il pensiero del giudice relatore, con il rischio di un pregiudizio per la cognizione e la decisione dell’appello da parte del collegio o di qualche suo componente21.

Ma è l’art. 602 comma 3° ad accentuare pesantemente il carattere cartolare del giudizio di seconde cure, disponendo la possibilità, in dibattimento, << di dare lettura di atti del giudizio di primo grado nonché, entro i limiti previsti dagli articoli 511 e seguenti, di atti compiuti nelle fasi antecedenti >>. La norma in discorso è di ampio respiro: nella prima parte consente di dare lettura agli atti compiuti direttamente nel primo dibattimento, mentre nella seconda parte ammette la lettura, in appello, di atti, posti in essere in una fase anteriore al dibattimento di primo grado, i cui verbali sono confluiti

19 M. CHIAVARIO, Commento al nuovo codice di procedura penale, UTET, 1991, p.

196.

20 D. CHINNICI, Giudizio penale di seconda istanza e giusto processo, cit., p. 92-93. 21 Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale, Roma, 1978, p.

(20)

14

correttamente nel fascicolo per il dibattimento sulla base del meccanismo delle letture ex artt. 511 e seguenti. L’art. 602 comma 3° non consente, invece, l’ingresso in appello di prove non utilizzate in primo grado, le quali possono essere acquisite solo mediante la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 60322.

Pertanto, se non ricorrono i presupposti di cui all’art. 603 in punto di rinnovazione istruttoria, il giudice addiverrà alla decisione sulla base della mera rilettura degli atti di primo grado, in deroga ai principi del contraddittorio nella formazione della prova, dell’oralità e dell’immediatezza. Il legislatore ammette, dunque, la possibilità di una riforma della sentenza di prime cure sulla base di un giudizio, quello di secondo grado, che può svolgersi in totale dispregio dei principi che alimentano il primo grado.

Dal punto di vista della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale si apprezzano maggiori profili di discontinuità rispetto alla disciplina previgente, ravvisandosi, nel codice Vassalli, uno spazio maggiore in punto di attività istruttoria. L’art. 520 del codice abrogato stabiliva che si potesse procedere alla rinnovazione, totale o parziale, del dibattimento, su richiesta di parte o d’ufficio, qualora il giudice di appello avesse ritenuto di non essere in grado di decidere allo stato degli atti23.

Oggi, invece, gli spazi per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sono più ampi, anche se il legislatore dell’88 avrebbe potuto essere più “coraggioso”; infatti si registra un passo indietro, dal punto di vista dell’ampiezza dello spazio concesso all’attività probatoria in appello, rispetto al Progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale del 1978. Quest’ultimo sanciva che la rinnovazione del dibattimento venisse disposta nei limiti della richiesta, salvo che essa non fosse manifestamente infondata24. Il

22 M. BARGIS, Impugnazioni, cit., p. 865.

23 G.D. PISAPIA, Compendio di procedura penale, CEDAM, Padova, 1985, p. 458. 24 G.D. PISAPIA, Compendio di procedura penale, cit. p. 459.

(21)

15

progetto di codice del 1978 strutturava l’appello in modo assai più conforme ai principi costituzionali rispetto al codice Vassalli. L’automatismo nello svolgimento dell’attività istruttoria in appello, unito ad una forte limitazione dei poteri di iniziativa ufficiosa in materia di prova, avvicinava notevolmente il giudizio di secondo grado ai principi caratterizzanti il sistema accusatorio. A riprova di ciò va sottolineata la soppressione dell’istituto della relazione della causa, che presentava un sapore evidentemente inquisitorio.

Se quel progetto preliminare contemplava requisiti piuttosto ampi affinché si potesse svolgere attività istruttoria in appello, invece il legislatore dell’88 ne ha previsti di più stringenti, nonostante i passi avanti rispetto al codice abrogato.

Il passo avanti è rappresentato dall’art. 603 comma 2° che, relativamente alle prove scoperte o sopravvenute dopo il giudizio di primo grado, prevede che il giudice debba disporre la rinnovazione istruttoria nei limiti previsti dall’art. 495 comma 1°, il quale, in tema di ammissione delle prove in primo grado, prevede che il giudice debba decidere se ammetterle o meno in base agli ampi parametri indicati dagli artt. 190 e 190 bis. Da questo punto di vista le parti godono, in appello, di un diritto alla prova analogo a quello del primo grado. Ma ciò esclusivamente con riguardo alle prove scoperte o sopravvenute dopo quel giudizio.

Diversamente, l’art. 603 comma 1° recita che << quando una parte, nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’art. 585 comma 4°, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove, il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale >>.

Precisando che con << nuove prove >> al comma 1°, ragionando per esclusione, facendo leva sul significato dell’analogo lemma utilizzato al comma 2°, si intende far riferimento a prove preesistenti ma non

(22)

16

acquisite nel dibattimento di primo grado25, l’attenzione va concentrata sulla formula << se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti >>. Evidentemente questa previsione restringe il diritto alla prova delle parti, lasciando un certo margine di discrezionalità al giudice. Tutto si gioca sull’interpretazione di questa clausola da parte della giurisprudenza, che tradizionalmente ha considerato come eccezionale l’attività istruttoria in appello26. La

Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, ha più volte affermato l’eccezionalità di questo istituto, << al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti >>27.

In realtà negli ultimi anni si è assistito ad una evoluzione giurisprudenziale sul tema dell’eccezionalità dell’istruttoria dibattimentale in appello, soprattutto grazie all’apporto della Corte di Strasburgo. Nella nota sentenza Dan contro Moldavia28, essa ha

sancito << il rispetto del principio di immediatezza e oralità nella rinnovazione integrale delle prove anche nel giudizio di seconda istanza, il quale dovrà dismettere i panni di strumento di controllo prevalentemente cartolare sulla motivazione, per vestire quelli del “giusto processo” di secondo grado >>29.

Sulla scorta di questa decisione, la giurisprudenza interna si è andata evolvendo30, superando l’assunto dell’eccezionalità dell’istruttoria in appello fondato sulla presunzione di completezza dell’istruzione di primo grado. Questo è un passo decisivo sulla strada dell’adeguamento del giudizio di appello ai principi del giusto processo.

Le dannose conseguenze che possono conseguire dall’affermazione

25 M. BARGIS, Impugnazioni, cit., p. 865.

26 D. CHINNICI, Giudizio penale di seconda istanza e giusto processo, cit., p. 128 27 Cass., Sez. Un., 24 gennaio 1996, Panigoni, in Cass. Pen., 1996, p. 2892.

28 Corte EDU, III sez., sentenza 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, in hudoc.echr.coe.int. 29 N. MANI, In tema di richiesta di rinnovazione dell’istruttoria in appello e obbligo di motivazione dell’ordinanza di rigetto, in Archivio Penale, 2014, p. 2.

(23)

17

dell’eccezionalità dell’attività istruttoria sono emerse in una non datata pronuncia della Suprema Corte31 che, muovendo dal presupposto dell’eccezionalità dell’attività istruttoria in appello, in netta controtendenza rispetto ai nuovi assunti giurisprudenziali in punto di istruttoria in appello, ha affermato che solo in caso di accoglimento della richiesta di rinnovazione istruttoria ex art. 603 comma 1° il giudice debba motivare sul perché non sia in grado di decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto della suddetta richiesta, la motivazione ben potrebbe essere implicita e desumibile dal corpo della sentenza di appello, in chiara lesione del diritto di difesa della parte richiedente32.

Ecco allora che l’evoluzione della giurisprudenza interna, sotto la spinta di quella sovrannazionale, permette di asserire che l’art. 602 comma 1° sia oggi maggiormente conforme rispetto ai principi del giusto processo.

Infine, in tema di rinnovazione istruttoria, dobbiamo considerare l’art. 603 comma 3°, a mente del quale, se il giudice lo ritiene assolutamente necessario, ha il potere di disporre la ripetizione dell’istruzione dibattimentale.

Viene qui ripresa una formula, << assolutamente necessario >>, già utilizzata all’interno della normativa relativa al dibattimento di primo grado all’art. 507 comma 1°.

Si tratta di interrogarsi sulla differenza intercorrente tra il lemma del comma 1°, << essere in grado di decidere allo stato degli atti >>, e quello del comma 3°, << assolutamente necessario >>. In realtà le due locuzioni paiono trovarsi in un rapporto sinonimico, dal momento che se il giudice non è in grado di decidere allo stato degli atti, ha assoluta necessità di rinnovare l’istruzione dibattimentale e, d’altro canto, l’assoluta necessità della rinnovazione è connessa all’impossibilità di

31 Cass., sez. II, sentenza 23 gennaio 2014, Catastini, in www.italgiure.giustizia.it. 32 N. Mani, In tema di richiesta di rinnovazione dell’istruttoria in appello e obbligo di motivazione dell’ordinanza di rigetto, cit., p. 4.

(24)

18

decidere allo stato degli atti33.

Pertanto, data questa similitudine di significato, le considerazioni fatte in precedenza circa la non eccezionalità dell’istruzione dibattimentale in appello, se valgono per il comma 1°, valgono altrettanto per il 3°. La giurisprudenza sopra citata si colloca nel solco di quel percorso, sia europeo che interno, che è culminato nell’affermazione dell’obbligatorietà di escutere le fonti dichiarative sulla base delle cui dichiarazioni, rese in primo grado e lette in appello, si intende ribaltare la sentenza di assoluzione in sentenza di condanna. La tematica in questione ha rappresentato a lungo un nodo problematico, che ha interessato il nostro legislatore, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella interna.

(25)

19

CAPITOLO 2

LA LEGGE N. 46/2006

SOMMARIO: 2.1. Il travagliato iter legislativo. – 2.2. Una riforma mal ponderata. – 2.3. Le censure della Corte Costituzionale: la sentenza n. 26/2007. – 2.4. Le censure della Corte Costituzionale: la sentenza n. 85/2008. – 2.5. Il quadro normativo risultante dalle sentenze della Consulta.

2.1. Il travagliato iter legislativo

Che l’intento principale dell’intervento legislativo del 2006 fosse proprio quello di rimediare al problema della prima condanna in appello dell’imputato, emerge immediatamente dalla rubrica della legge n. 46/2006 (meglio conosciuta come “legge Pecorella”, dal nome del deputato proponente), vale a dire “Modifiche al codice di procedura penale, in tema di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento”. Infatti, nella relazione di accompagnamento alla prima proposta di legge, antecedente al rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica in sede di promulgazione, emergeva la volontà del legislatore di procedere ad una modifica del giudizio di appello, limitandolo alle sole sentenze di condanna. Questo in attuazione dell’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancirebbe il diritto al doppio grado di giurisdizione di merito in materia penale a favore di ogni persona dichiarata colpevole da un tribunale34. Si sottolineava, in particolare,

34 Cosa peraltro tutta da dimostrare, in proposito si veda A. BALSAMO, Il contenuto dei diritti fondamentali, in Manuale di procedura penale europea, a cura di R. E.

KOSTORIS, Giuffrè Editore, Milano, 2015, p. 122.

(26)

20

come, potendo l’imputato essere condannato per la prima volta in appello senza possibilità di usufruire di un ulteriore grado di merito, sarebbe stato violato il principio stabilito dalla Convenzione. Dunque, non essendo conforme al principio della ragionevole durata del processo l’introduzione di un nuovo grado di merito in caso di condanna in appello, l’idea era quella di sancire l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento35.

Se questa era la palese volontà del legislatore, la riforma è andata oltre il problema in questione, novellando non solo la disciplina dell’appello e delle impugnazioni, ma toccando qua e là l’intera trama codicistica.

Accanto all’originaria proposta di disporre l’inappellabilità della sentenza di proscioglimento, nel corso dei lavori parlamentari la Commissione giustizia ha introdotto nuove modifiche36.

Anzitutto, venne presa in considerazione la parte civile, alla quale inizialmente si precluse la possibilità di appellare le sentenze di proscioglimento. In realtà l’intervento non riguardò il corpo dell’art. 576, ad essa riferito, ma il limite al potere di appello della parte civile derivò dalla stessa formulazione della disposizione, la quale rinviava ai mezzi di impugnazione esperibili dalla pubblica accusa, estendendoli alla parte civile. A parziale bilanciamento di questa conseguenza, veniva modificato l’art. 652, affermandosi che la sentenza di assoluzione non ha effetto nei giudizi civile e amministrativo, salvo che essa si fosse costituita nel processo penale e avesse presentato le conclusioni.

Inoltre si procedette alla sostituzione dell’appello avverso la sentenza di non luogo a procedere con il ricorso per Cassazione, presentabile da

tenore della disposizione in parola non legittima a ritenere che il riesame ad opera di un tribunale superiore debba coincidere con un giudizio di merito.

35 Atti Camera, XIV leg., n. 4604, p. 1-2.

36 E. VALENTINI, I lavori parlamentari, in Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a

(27)

21

parte dell’imputato, ad eccezione del non luogo a procedere per le ipotesi più liberatorie, dal procuratore della Repubblica, dalla persona offesa, solo in relazione ai casi di nullità previsti dall’art 419 comma 7°, e dalla persona offesa costituitasi parte civile.

Ancora, venne interpolato l’art. 580, novella questa particolarmente discussa: si circoscrisse la conversione del ricorso per Cassazione in appello solo relativamente all’evenienza in cui ricorresse un’ipotesi di connessione ex art. 12. Le conseguenze di questa novità, come rilevò il senatore Fassone nel corso di una seduta al Senato, sarebbero state paradossali, poiché capaci di aprire una breccia all’interno della regola dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento: se la sentenza di primo grado contenesse due capi di imputazione in rapporto di connessione, uno di condanna e l’altro di proscioglimento, e il primo venisse appellato dall’imputato, mentre avverso il secondo il P.M. ricorresse per Cassazione, si verificherebbe la conversione dell’impugnazione del P.M., con il rischio che, con riferimento al secondo capo di imputazione, il giudice del gravame possa pronunciare per la prima volta sentenza di condanna37. E attenzione: la conversione opererebbe in questo caso perché, del tutto casualmente, i due capi si trovano in rapporto di connessione, mentre in tutti gli altri casi, non operando l’art. 580, vi sarebbe il rischio di un contrasto tra giudicati.

Peraltro, a parziale giustificazione della novella, parte della dottrina38 ha sostenuto che il meccanismo della conversione dovrebbe operare esclusivamente in ipotesi in cui una delle parti, pur legittimata a proporre appello, abbia proposto ricorso per Cassazione per saltum, mentre tale meccanismo non dovrebbe operare nelle ipotesi in cui la parte ricorrente non sia legittimata ad appellare. Nell’esempio precedente, dunque, la conversione non dovrebbe operare stando a

37E. VALENTINI, I lavori parlamentari, cit., p. 19.

38 C. SANTORIELLO, La conversione dei mezzi di impugnazione, in La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”, A. GAITO, cit., p. 192.

(28)

22

questa interpretazione.

In realtà questa impostazione non persuade: in primo luogo, se la mancanza di legittimazione ad appellare di una delle parti impedisse la conversione del ricorso per Cassazione nell’ipotesi in cui altra parte abbia proposto appello, avremmo una proliferazione di giudizi di impugnazione, in dissonanza rispetto alla ratio che ispira l’istituto, ossia quella di evitare il rischio di decisioni contrastanti. In secondo luogo l’interpretazione suddetta non convince in quanto determinerebbe l’applicazione dell’art. 580 solo nell’ipotesi di ricorso per saltum. Ma allora perché il legislatore, nel disciplinare il ricorso per saltum, all’art. 569 comma 2° richiama l’art. 580, invece di regolare il meccanismo della conversione proprio in quel luogo del codice39?

A corollario della modifica dell’art. 593, venne novellato anche l’art. 533 in tema di sentenza di condanna, introducendosi il parametro, tipico dei sistemi di common law, dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”, il quale dubbio deve oggi essere superato perché possa essere pronunciata sentenza di colpevolezza40. Il legame tra la modifica delle due norme è da rintracciare nell’idea secondo cui << l’esistenza stessa di una sentenza di proscioglimento in primo grado postulerebbe un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato, tale da delegittimare l’eventuale rovesciamento dell’esito decisorio >>41. Per

39 M. BARGIS, Il “ritocco” all’art. 580 c.p.p. e le sue poliformi ricadute, in Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a cura di M. BARGIS- F. CAPRIOLI, cit., p. 240. 40 Occorre sottolineare il differente ruolo che il canone in parola gioca negli

ordinamenti di common law rispetto ad un ordinamento di civil law come il nostro: nei primi, esso rappresentata un’indicazione di comportamento che il giudice togato impartisce alla giuria popolare che sarà poi chiamata a decidere; da noi, invece, la giuria popolare non è mai da sola a decidere. Per cui, se negli ordinamenti di common law questa formula serve a spiegare alla giuria quando può dichiarare colpevole un imputato, in Italia essa assurge a regolare generale sulla valutazione delle prove per l’emanazione di una sentenza di condanna. In proposito si veda D. CHINNICI, L’ <<oltre ogni ragionevole dubbio>>: nuovo criterio del giudizio di

condanna?, in Diritto penale e processo, 2006, 12, 1553 (commento alla

normativa).

(29)

23

cui l’inserimento del parametro dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” andava quasi a giustificare la limitazione introdotta all’interno dell’art. 593.

L’introduzione del canone bard (beyond any reasonable doubt) è stata salutata in dottrina come una << rivoluzione copernicana del sistema delle prove >>42. A dire il vero, però, di “ragionevole dubbio” già parlava la c.d. Bozza Carnelutti negli anni ’6043 e la giurisprudenza44, ben prima dell’entrata in vigore della legge del 2006, aveva affermato l’esistenza di fatto di questo criterio di giudizio, tanto che è stato affermato che la novella del 2006 è stata << il naturale risultato >> di un percorso giurisprudenziale45. Di conseguenza, definire questa novità (almeno dal punto di vista legislativo) come rivoluzionaria appare azzardato.

Fortemente osteggiate furono le novità relative all’art. 606 in tema di ricorso per Cassazione. Al fine di compensare le limitazioni all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento, il legislatore ampliò la ricorribilità per Cassazione relativamente a due dei vizi che possono costituire oggetto di doglianza dinanzi alla Suprema Corte: quelli di cui alle lettere d ed e dell’art. 60646.

Quanto alla lettera d, nel testo precedente al rinvio alle camere della legge, il legislatore eliminò il riferimento all’art. 495 comma 2° in tema di prova contraria. Effetto di questa novella sarebbe stata la

42 C. PALIERO, Il ragionevole dubbio diventa criterio, in Guida al diritto, 2006, p. 73. 43 J. DELLA TORRE, Il lungo cammino della giurisprudenza italiana sull’”oltre ogni ragionevole dubbio”, in Diritto penale contemporaneo, 2014, pp. 2 e 3, il quale

ripercorre l’intera storia del parametro bard nel nostro ordinamento.

44 Cass., Sez. Un., sentenza 10 luglio 2002, Franzese, in Cassazione penale, 2002, p.

3643; Cass., Sez. I, sentenza 14 maggio 2004, G., in Cassazione penale, 2005, p. 759; Cass., Sez. IV, sentenza 3 ottobre 2002, Abissini, in RIv. pen., 2003.

45 F. ZACCARIA, Il “ragionevole dubbio” tra giudizio cautelare e giudizio di merito, in

Cassazione penale, 2009, p. 612

46 Di collegamento di tipo compensativo tra la scelta di incrementare la ricorribilità

per Cassazione e quella di disporre l’inappellabilità delle sentenze liberatoria parla R. E. KOSTORIS, Le modifiche al codice di procedura penale in tema di appello e di

ricorso per Cassazione introdotte dalla c.d. “legge Pecorella”, in Rivista di diritto

(30)

24

ricorribilità per Cassazione, ai sensi della lettera in parola, per lamentare ogni mancata assunzione, in primo grado, di prova decisiva, indipendentemente dal fatto che si trattasse di prova contraria. Vedremo come l’intervento del Presidente della Repubblica, almeno su questo punto, sortirà degli effetti.

Quanto alla lettera e, oltre al diritto di ricorrere per Cassazione per mancanza o contraddittorietà della motivazione della sentenza di prime cure, si introdusse il riferimento alla << manifesta illogicità della stessa >>, dando luogo a problemi interpretativi circa la portata dell’uno e dell’altro vizio in punto di motivazione. Ma la principale novità riguardante questa norma è stata rappresentata dell’espunzione del riferimento al << testo del provvedimento impugnato >>; prima della riforma, infatti, era previsto che il vizio in punto di motivazione dovesse risultare proprio da quel testo.

Un accenno merita, infine, la disciplina transitoria, sulla quale si concentrarono le principali accuse di voler legiferare ad personam, viste le profonde deroghe al principio del tempus regit actum. Infatti, si scelse di applicare la novella ai processi già in corso alla data di entrata in vigore della legge, con la conversione in ricorso per Cassazione di tutti gli atti di appello pendenti e presentati anteriormente all’entrata in vigore della legge.

Nonostante il forte dissenso dell’opposizione, la legge venne approvata da entrambe le Camere. Tuttavia il Presidente della Repubblica, come detto, decise di esercitare, in sede di promulgazione, il suo potere di rinvio della legge al Parlamento.

Sono quattro i punti della riforma su cui si focalizzarono le perplessità dell’allora Presidente C. A. Ciampi.

In primo luogo, il messaggio alle Camere del Presidente si soffermò sulle modifiche apportate all’art. 606. Il Capo dello Stato rilevò che la previsione del ricorso per Cassazione per far valere la mancata assunzione di una prova decisiva, senza più il riferimento alla

(31)

25

controprova, e la nuova facoltà di far valere il vizio di motivazione indipendentemente dall’evenienza che il vizio risultasse dal provvedimento impugnato, determinavano una mutazione della funzione della Corte di Cassazione, che da giudice di mera legittimità diventava giudice di merito.

Peraltro, il Presidente sottolineò la violazione del principio della ragionevole durata del processo per tre ragioni: a causa dei maggiori spazi accordati per adire la Suprema Corte sulla base delle lettere d ed

e dell’art. 606, della sostituzione del ricorso in appello con il ricorso

per Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere e della disciplina transitoria, che ordina la conversione dei ricorsi in appello, pendenti alla data di entrata in vigore della legge, in ricorsi per Cassazione.

In secondo luogo, nel messaggio si legge come la soppressione della facoltà di appellare le sentenze di proscioglimento determini una disparità tra le parti del processo << che supera quella compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo >>. Il Presidente evidenziò altresì la forte compressione delle facoltà della parte civile.

In terzo luogo, venne rimarcata l’irragionevolezza di una riforma che impediva al P.M. di appellare in caso di soccombenza totale, essendogli al contrario ciò consentito in caso di soccombenza parziale, ossia in un’ipotesi di condanna diversa da quella richiesta dall’accusa. Infine, il Presidente ravvisò la contraddittorietà di tre disposizioni rispetto alla regola dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento: l’art. 577 prevedeva l’impugnazione delle sentenze di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione, senza precisazioni sull’appello; l’art. 597 comma 2°, lettera b) continuava a riferirsi ai poteri del giudice di appello contro una sentenza di proscioglimento; infine la legge n. 274/2000, relativa ai procedimenti dinanzi al giudice di pace, consentiva ancora l’appello del P.M.

(32)

26

avverso alcune tipologie di sentenza di proscioglimento. Per queste ragioni il Presidente rinviò la legge al Parlamento. Solo in minima parte le riserve emerse dal messaggio del Presidente saranno prese in considerazione dal legislatore.

Nel secondo passaggio parlamentare vennero apportate alcune modifiche alla riforma, a partire da un temperamento del principio dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento: si prevedeva, infatti, la facoltà di appellarle nell’ipotesi di cui all’art. 603 comma 2°, cioè in caso di sopravvenienza o scoperta di nuove prove dopo il giudizio di primo grado, quando tali prove siano decisive. Quanto al ricorso per Cassazione, venne fatto un passo indietro circa le modifiche alla lett. d dell’art. 606 mediante il ripristino del rinvio all’art. 495 comma 2° in tema di controprova. Il risultato fu il mantenimento della disposizione precedente alla riforma, con un’unica novità: si rese ammissibile il ricorso anche quando la prova decisiva fosse stata richiesta tardivamente dalla parte nel corso dell’istruzione dibattimentale, anziché tempestivamente dedotta ex artt. 468, 493 e 495, cosa che, invece, in precedenza non era contemplata47.

All’interno della lett. e ricompare il riferimento << al testo del provvedimento impugnato >>, accompagnato, tuttavia, dall’indicazione della facoltà di poter far valere il vizio di motivazione nel caso in cui emerga da specifici atti processuali.

Venendo alla parte civile, l’effetto dell’elisione della facoltà di appellare del P.M. aveva determinato un analogo limite per la prima a causa del rinvio da parte dell’art. 576. Così il legislatore, incalzato sul punto dal Presidente della Repubblica, soppresse quel rinvio ai mezzi di impugnazione esperibili dal P.M. Con l’effetto, probabilmente non pronosticato in aula, di escludere non solo l’appellabilità delle

47 P. FERRUA, Il ‘giusto processo’, seconda edizione, Zanichelli, Bologna, 2007, p.

(33)

27

sentenze di proscioglimento da parte del danneggiato, ma anche delle sentenze di condanna, in forza del principio di tassatività ex art. 568 comma 3° c.p.p.48. Vi è peraltro chi ha favorevolmente apprezzato questa modifica, che si poneva nel solco di quell’orientamento che sostiene l’opportunità di una separazione tra i giudizi penale e civile, di modo che ciascuna regiudicanda sia indirizzata verso la propria sede49. Se questa posizione ha sicuramente un suo fondamento, il problema è che questo non era affatto un obiettivo della legge del 2006, che ha raggiunto tale effetto quasi casualmente.

Il carattere paradossale di questa novella è stato rilevato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno posto l’accento sull’evidente discrasia tra la volontà del legislatore e la lettera dell’art. 576 una volta riformato50. Le Sezioni Unite sono pervenute ad

un’interpretazione meno rigida del principio di tassatività, il quale principio avrebbe condotto all’impossibilità per la parte civile di appellare ogni sentenza, ponendo così un freno all’irragionevolezza dell’intervento legislativo51.

Con riferimento al regime transitorio, se da un lato, a parziale recepimento delle critiche del Capo dello Stato, venne meno il precetto che stabiliva la conversione degli atti di appello, presentati prima dell’entrata in vigore della legge, in ricorsi per Cassazione, sostituendolo con la previsione della declaratoria di inammissibilità dell’appello con un’ordinanza dalla cui notificazione all’appellante sarebbe decorso un termine di quarantacinque giorni per proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo grado, dall’altro,

48 E. VALENTINI, I lavori parlamentari, cit., p. 43.

49 G. DEAN, Il nuovo regime delle impugnazioni della parte civile e la nuova fisionomia dei motivi di ricorso per Cassazione, in Diritto penale e processo, 2006,

7, 799 (commento alla normativa)

50 Cass., Sez. Un., sentenza 29 marzo 2007, p.c. Poggiali, in Cass. pen., 2007, p. 4460

ss.

51 M. BARGIS, Il persistente potere d’appello della parte civile: consonanza di vedute fra Corte costituzionale e Sezioni Unite, in Impugnazioni penali, assestamenti del sistema e prospettive di riforma, M. BARGIS-H. BELLUTA, G. Giappichelli Editore,

(34)

28

si estese la deroga al principio del tempus regit actum, stabilendosi l’inammissibilità dell’appello, presentato prima dell’entrata in vigore della legge, nel caso in cui fosse stata annullata una sentenza di condanna emessa in appello e che avesse riformato una sentenza assolutoria.

Con queste modifiche il progetto di legge sarà approvato e, stavolta, promulgato dal Presidente della Repubblica.

2.2. Una riforma mal ponderata

Dopo questo riepilogo dell’iter che ha portato all’approvazione della legge n. 46/2006, soffermiamoci sulle principali criticità della riforma,

in primis sul tema dell’inappellabilità della sentenza di

proscioglimento.

L’intento del legislatore del 2006, ossia di risolvere il problema del possibile ribaltamento della sentenza di assoluzione di primo grado in condanna a seguito di un appello tendenzialmente cartolare, era senza dubbio condivisibile. I rimedi adottati meno.

Infatti, l’eventualità di una condanna dell’imputato per la prima volta in appello è stata tutt’altro che scongiurata dalla legge n. 46. Primariamente, a causa della deroga introdotta all’interno dell’art. 593 comma 2° al principio dell’inappellabilità della sentenza di proscioglimento. Nel secondo passaggio della legge in Parlamento a seguito del rinvio presidenziale, era stata prevista la possibilità, per imputato e P.M., di appellare, se la nuova prova fosse stata decisiva, la sentenza di proscioglimento nelle ipotesi dell’art 603 comma 2°. Il legislatore così introdusse una condizione di ammissibilità speciale, che si affiancava a quelle previste dall’art. 591, per l’esperimento dell’appello avverso la sentenza di proscioglimento. L’appello, in sostanza, sarebbe stato ammissibile se fondato su una prova decisiva e scoperta o sopravvenuta dopo il giudizio di primo grado.

(35)

29

Peraltro, con riguardo al requisito della decisività della prova si poneva lo stesso problema che tuttora pone l’art. 422 comma 1°, che, in tema di udienza preliminare, ammette che il giudice disponga l’assunzione delle prove delle quali appare << evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo procedere >>. La questione è la seguente: com’è possibile ex ante, cioè prima dell’effettiva assunzione della prova, valutarne la decisività? Una prova che ex ante si presume essere decisiva, potrebbe non rivelarsi tale al momento della sua assunzione. Tuttavia, a causa di questa valutazione prognostica, si permette ora lo svolgimento di attività istruttoria in udienza preliminare ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, ora l’appellabilità della sentenza di proscioglimento. Evidentemente, in virtù di queste condizioni, lo spazio per l’appellabilità della sentenza di proscioglimento rimaneva esiguo. Ora, laddove fossero stati integrati i suddetti presupposti, come si sarebbe svolto il giudizio di appello?

Come detto, il legislatore aveva previsto meramente dei requisiti di ammissibilità dell’appello, senza in alcun modo garantire che esso si sarebbe poi svolto nel rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Cioè in questa ipotesi, seppur marginale, si sarebbe potuta nuovamente verificare una condanna per la prima volta in appello, un appello che rimaneva cartolare.

Ancora, rimaneva possibile una condanna per la prima volta in appello sulla base dell’istituto della conversione del ricorso per Cassazione in appello, come abbiamo visto poc’anzi.

L’irragionevolezza della legge in parola emergeva poi dalla intentio di introdurre una disciplina favorevole all’imputato, precludendogli tuttavia il potere di appellare le sentenze di proscioglimento che sottendono la responsabilità dello stesso. Se prima della riforma l’imputato poteva appellare le sentenze di proscioglimento, escluse quelle basate sulle cause di assoluzione maggiormente liberatorie,

(36)

30

dopo la riforma risultava una generale preclusione di appellabilità delle sentenze di proscioglimento, con una netta compressione delle facoltà difensive dell’imputato.

Abbiamo già ricordato che, quasi a compensare i ridotti spazi per proporre appello, il legislatore del 2006 ha ampliato i casi di ricorso per Cassazione (la cui disciplina è tuttora quella risultante dalla novella in discorso) sulla base << di una singolare concezione del principio dei vasi comunicanti >>52. L’idea era questa: i mezzi di impugnazione ordinari sono l’appello e il ricorso per Cassazione. Se si restringe l’accesso ad uno dei due e si amplia l’accesso all’altro, il sistema rimane in equilibrio. Ma pervenire ad una simile equiparazione dei due mezzi di impugnazione appare illogico, data la diversa funzione da essi svolta: l’appello è tendenzialmente un mezzo di gravame, mentre il ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione di mera legittimità, tendenzialmente ascrivibile, al contrario, alla categoria dell’azione di annullamento.

Peraltro, se ragioniamo in un’ottica di compensazione, essendo stata limitata la sola possibilità di appellare le sentenze di proscioglimento, rimanendo intatto il potere, tanto del P.M. quanto dell’imputato, di appellare le sentenze di condanna, si sarebbero dovuti ampliare i casi di ricorso per Cassazione esclusivamente nell’ipotesi di ricorso avverso la sentenza di proscioglimento. Invece, i casi di ricorso sono stati estesi senza aver riguardo del tipo di decisione posta al vaglio del giudice di legittimità.

Inoltre, l’ampliamento dei casi di ricorso in Cassazione si poneva in contrasto con la natura di giudice di legittimità della Corte, contrasto in relazione al quale aveva ammonito il Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere e, ancor prima, il Primo Presidente

52 H. BELLUTA, Ripensamenti sulla “giustiziabilità della sentenza di non luogo a procedere, in Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a cura di M. BARGIS-F. CAPRIOLI,

(37)

31

della Corte di Cassazione, come risulta dal messaggio suddetto. Queste sono solo alcune delle criticità cui diede vita la legge n. 46/2006, una legge approvata in fretta, mal ponderata e sulla quale inevitabilmente si è abbattuta la scure della Corte Costituzionale.

2.3. Le censure della Corte Costituzionale: la sentenza n. 26/2007

Non si sono fatte attendere le ordinanze di remissione alla Corte Costituzionale delle questioni di costituzionalità relative alla legge in discorso.

Con ordinanza del 16 marzo 2006 la Corte di appello di Roma ha sollevato questione di costituzionalità con riguardo alla sostituzione dell’art. 593, che aveva determinato la preclusione per il P.M. di appellare le sentenze di proscioglimento, fatta salva l’ipotesi in cui ricorressero i presupposti di cui all’art. 603 comma 2°, purché le prove, nuove o sopravvenute, fossero state decisive. Ad avviso della Corte remittente vi sarebbe un contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., poiché tale novità avrebbe posto l’imputato in una posizione di favore rispetto agli altri membri della collettività. Risulterebbe violato anche l’art. 111 Cost., poiché, a causa della riforma, << l’accusa non avrebbe potuto fare valere le sue ragioni con strumenti simmetrici a quelli di cui dispone la difesa >>. Sarebbe poi stato violato il principio di obbligatorietà dell’azione penale, dal quale dovrebbe conseguire << la previsione di un secondo grado di giudizio di merito anche a favore del P.M . >>53.

Dal canto suo, la Corte d’appello di Milano, con ordinanza del 16 marzo 2006, oltre a sollevare dubbi circa la costituzionalità della riforma dell’art. 593, ne ha sollevati anche in relazione al regime intertemporale. Ad avviso di quest’ultima Corte sarebbero stati violati gli artt. 3 e 111 Cost. a causa dell’introduzione di una disciplina che

Riferimenti

Documenti correlati

“Rilevato: - che con riferimento alla revocazione di sentenze di questa Corte che abbiano disposto la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di merito,

En ce qui concerne la partie de la décision de la Haute juridiction relative à la violation du principe d’autonomie du pourvoi en cassation, la Cour de cassation a indiqué que

Ed allora, considerato che il Primo Presidente è certamente ben consapevole dello stato dell’arte (tanto da richiamare nella lettera il coordinamento tra

“L’interpretazione giudiziale fra certezza ed effettività delle tutele”, Agrigento, 17-18 settembre 2010, in www.csm.it, p.. illegittimità costituzionale della norma

Non ha sorpreso, quindi, che proprio a partire dall’assunto delle Sezioni unite (divieto di bis in idem in caso di gravame proposto d’iniziativa del difensore) venissero

«nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge», già prima della legge del 1994 la Cassazione a sezioni unite e la Corte costituzio- nale avevano

L’ergastolo “ostativo” alla prova della Corte EDU.. Brevi

A seguito delle pronunce della Corte europea che avevano condannato la Francia per la mancata trascrizione dei figli nati all’estero da GPA, in particolare le