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Art. 391-nonies c.p.p.

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Academic year: 2021

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391nonies Attività investigativa preventiva

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1. L'attività investigativa prevista dall'articolo 327-bis, con esclusione de-gli atti che richiedono l'autorizzazione o l'intervento dell'autorità giudizia-ria, può essere svolta anche dal difensore che ha ricevuto apposito mandato per l'eventualità che si instauri un procedimento penale.

2. Il mandato è rilasciato con sottoscrizione autenticata e contiene la no-mina del difensore e l'indicazione dei fatti ai quali si riferisce.

(1) Articolo inserito dall'art. 11, c. 1, l. 7 dicembre 2000, n. 397, che ha inserito l'intero Ti-tolo VI-bis.

SOMMARIO: I. L'indagine preventiva: nozione e finalità. - II. I soggetti

dell’investigazione preventiva. - III. Profili procedimentali dell'attività investiga-tiva preveninvestiga-tiva: mandato e poteri conferiti. - IV. Utilizzabilità delle investigazioni preventive.

I. L'indagine preventiva: nozione e finalità. 1

L’art. 391 nonies disciplina un istituto dai contorni non facilmente decifrabili. Considerata portatrice di “uno tra i congegni maggiormente discussi della novella del 2000” [DI CHIARA,sub art. 391 bis (26), 10], è stato messo in rilievo “il ca-rattere di marcata pericolosità che connota la norma in questione, per le macro-scopiche potenzialità inquinanti che il suo non corretto utilizzo comporta e per la rischiosa sovraesposizione cui essa esporrà il difensore integerrimo, specie nelle aree in cui più forte è il radicamento della criminalità organizzata” [TRONCI (5) 2267].

L’attività investigativa preventiva è, sul piano empirico, costituita dalla medesi-ma attività prevista dall’articolo 327 bis, posta in essere, però, per l’eventualità che si instauri un procedimento penale. Si tratta, dunque, di un’attività corretta-mente definita “pre-procedimentale” [TRIGGIANI,sub art. 391 bis (101), 191], ovvero “preparatoria” [RUGGIERO,sub art. 391 bis (86) 325], in quanto finalizza-ta a ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito ma destinati ad essere utilizzati soltanto nell’eventualità che si instauri un procedi-mento penale.

Orbene, la disposizione è chiara nel qualificare come preventiva esclusivamente l’attività d’indagine strumentale alla tutela di una posizione ancora priva di rile-vanza nell’ambito di un procedimento penale. Rileva, dunque, non soltanto il ca-so in cui alcuna iscrizione sul registro ex art. 335 sia stata effettuata in relazione al fatto al quale si riferisce l’investigazione, ma anche l’ipotesi di iscrizione di una notizia criminis soggettivamente non qualificata, ovvero, il caso in cui l’attività d’indagine sia compiuta su mandato di una persona diversa da quella il cui nominativo sia stato iscritto nel registro medesimo [C IV 14.10.2005, Campa,

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ANPP 2007, 114. In dottrina v., nei termini medesimi, VENTURA,sub art. 391 bis (105), 51; RUGGIERO,sub art. 391 bis (86), 332]. Allo stesso modo, dovrebbe essere qualificata come preventiva l’attività investigativa compiuta dalla persona offesa dal reato al fine non soltanto di provocare l’avvio di un procedimento o la riapertura di un procedimento penale già archiviato, o, ancora, l’emissione di un provvedimento di revoca della sentenza di non luogo a procedere, ma anche per fare emergere siffatta qualità nell’ambito di un procedimento pendente [T RIGGIA-NI,sub art. 391 bis (101), 195]. E’ chiaro, comunque, che è sempre necessaria, affinché si attivi una siffatta forma di investigazione, quantomeno l’intuizione di un pericolo di attivazione di un procedimento penale a proprio carico, intrave-dendosi nella pronosticabile assunzione della qualità di persona sottoposta alle indagini la premessa indispensabile per il compimento di atti altrimenti difficil-mente organizzabili sul piano finalistico e, nella maggior parte dei casi, esposti al rischio di produrre risultanze irrilevanti.

Discorso diverso vale, invece, per l’attività d’indagine intrapresa dal difensore della persona offesa e finalizzata ad ottenere la revoca della sentenza di non luo-go a procedere ex artt. 434 ss., ovvero, tesa a sollecitare una richiesta di autoriz-zazione alla riapertura delle indagini ai sensi dell’art. 414. In entrambi i casi, in-fatti, l’attività d’indagine, comunque legata ad un procedimento penale definito rebus sic stantibus, si colloca al di fuori di un procedimento penale ed in funzione della riattivazione di esso. Essa va, dunque, qualificata come attività di investiga-zione preventiva e correttamente collocata nell’ambito del nuovo art. 391 nonies. Allo stesso modo, il connotato di straordinarietà del mezzo di impugnazione co-stituito dalla revisione permette di ritenere che costituisce attività d’indagine pre-ventiva anche la sequenza di atti posta in essere dal difensore del condannato con sentenza passata in giudicato e finalizzata ad acquisire nuovi elementi di prova da porre a sostegno della relativa richiesta. Merita di essere evidenziato, d’altra par-te, che l’art. 2 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive deliberate dall’Unione delle Camere penali italiane il 19 aprile 2001, prevede che le disposizioni sull’attività investigativa preventiva si intendano ap-plicabili anche per le ipotesi poco sopra considerate, nonché in vista di una ri-chiesta di revisione.

II. I soggetti dell’investigazione preventiva. 1

Il tema della legittimazione al compimento di atti d’investigazione difensiva pre-ventiva si salda, fino ad essere assorbito, con quello della titolarità del potere d’indagine privata. Come si sa, è opinione generalmente condivisa quella secon-do cui il “difensore”, al quale si riferisce l’art. 327 bis, non è soltanto quello della persona sottoposta alle indagini, dell’imputato e del condannato, ma anche quello delle altre parti del processo penale. Inoltre, l’elasticità che caratterizza l’espressione “assistito”, contenuta nell’art. 327 bis, permette di configurare sen-za sforzi esegetici di rilievo una legittimazione al compimento di atti investigativi

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in capo alla persona offesa dal reato. In assenza di specificazioni normative rife-ribili al sottosistema investigativo di cui si discute, ed anzi, alla luce del raccordo espressamente operato con la norma generale appena richiamata, non v’è motivo di dubitare circa il conferimento di un potere d’investigazione preventiva anche a figure diverse dalla potenziale persona sottoposta alle indagini, quali la persona offesa dal reato e, persino, la persona da esso danneggiata [LORUSSO (4) 501; VENTURA,sub art. 391 bis (105), 47; TRONCI (5)2267].

A ragionare diversamente, si finirebbe con lo svilire inutilmente l’interesse inve-stigativo - e, quindi, il diritto di difesa - di quanti assumerebbero specifiche posi-zioni nell’ambito del procedimento penale che dovesse eventualmente instaurarsi, pregiudicandone addirittura l’avvio tutte le volte in cui l’attività vietata fosse fi-nalizzata ad acquisire elementi a suffragio dei fatti da esporre in una eventuale denuncia o querela, ovvero la riattivazione nei casi in cui gli elementi acquisiti dovessero costituire il substrato probatorio posto a corredo di sollecitazioni fina-lizzate a provocare richieste ex artt. 414 e 434. Nell’ambito della disciplina gene-rale possono essere individuate, altresì, le regole afferenti alla possibilità che il difensore si avvalga, in relazione al compimento degli atti d’investigazione pre-ventiva, dei coadiutori indicati nell’art. 327 bis c. 3 [LORUSSO (4) 500]. E’ vero che l’art. 391 nonies contiene un riferimento esplicito alla figura del difensore, ma la sequenza dei termini che compongono la disposizione sembra organizzata in maniera tale da connettere, al riferimento soggettivo predetto, esclusivamente la titolarità del mandato, senza alcuna interferenza con le normali facoltà di dele-ga interne all’ordele-ganizzazione dell’ufficio difensivo. D’altra parte, gli atti d’indagine espletabili nella fase pre-procedimentale non presentano, rispetto a quelli disciplinati dagli artt. 391 bis ss., peculiarità - sotto il profilo della natura, della struttura e dello scopo - che siano tali da giustificare differenziazioni, tra gli uni e gli altri, sul piano della legittimazione soggettiva.

III. Profili procedimentali dell'attività investigativa preventiva: mandato e poteri conferiti.

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La circostanza dell’assenza di un procedimento penale che coinvolga la persona interessata ha fatto sì che il legislatore predispnesse una specifica disciplina del mandato difensivo, disponendo che esso, oltre a risultare da atto scritto, deve es-sere rilasciato con sottoscrizione autenticata - dal difensore stesso ovvero da talu-no dei soggetti individuati dall’art. 39 disp. att. e coord. - e deve contenere la talu- no-mina del difensore e l’indicazione dei fatti ai quali si riferisce [C VI, 23.04.2007, GD 2007, 57], oltre che la dichiarazione tesa a conferire il potere di compiere investigazioni difensive di carattere preventivo. Attraverso la previsione predetta il legislatore ha inteso imporre uno spessore contenutistico abbastanza marcato, al fine di delineare l’oggetto ed i confini di un’attività d’indagine che, non esistendo ancora una notizia di reato con la quale relazionarsi nel contesto di un

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procedi-mento in corso, rischierebbe di divenire incontrollabile se non ancorata ad uno specifico fatto storico [LORUSSO (4)501].

L’esigenza di circoscrivere “i poteri cognitivi del difensore” [DI CHIARA,sub art. 391 bis (26), 11] deve essere, in ogni caso, calibrata rispetto all’esigenza di evi-tare che l’enunciazione del fatto a cui il mandato difensivo si riferisce finisca con l’assumere i contorni di un addebito ipotetico e provvisorio, essendo talmente precisa e dettagliata da trasformarsi, allorquando l’incarico provenga dalla poten-ziale persona sottoposta alle indagini ed in caso di deposito presso un ufficio giu-diziario, in una sorta di autodenuncia. Ora, se è vero, per un verso, che la norma, esigendo una mera indicazione dei fatti, allude ad un’attività enunciativa dalla portata meno pregnante rispetto a quella tipica della descrizione, per altro verso, l’indicazione del fatto di riferimento non può essere talmente generica e indefini-ta dal vanificare la funzione delimiindefini-tativa che la norma le assegna, non fosse altro che per il fatto che sulla coincidenza di essa con la descrizione contenuta nell’eventuale atto del pubblico ministero contenente un addebito provvisorio - verificabile sulla base di un raffronto che presuppone, quantomeno, l’individuazione di un nucleo essenziale comune ad entrambi gli enunciati - si giocherà la partita dell’utilizzabilità procedimentale degli atti d’indagine preven-tivamente compiuti.

In assenza di qualsiasi specificazione normativa, l’art. 2 c. 2 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive deliberate dall’Unione delle Camere penali italiane il 19 aprile 2001, prevede che l’indicazione, nel mandato rilasciato dalla persona sottoposta alle indagini, dei fatti ai quali le inve-stigazioni preventive si riferiscono sia sintetica e, essendo funzionale all’individuazione dell’oggetto di esse, non deve contenere riferimenti ad ipotesi di reato.

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Il codice non disciplina il profilo, ricco di implicazioni sul piano pratico, concer-nente l’efficacia del mandato rilasciato al difensore per il compimento di investi-gazioni difensive in via preventiva, di talché v’è, in dottrina, chi ritiene che esso conservi efficacia fino a quando viene acquisita la conoscenza legale della pen-denza del procedimento penale [VENTURA,sub art. 391 bis (105), 50; ARRU (1) 327], ovvero, secondo una differente prospettiva, fino al momento dell’instaurazione del procedimento medesimo [COMI (2) 2478]. La tesi, però, non può essere seguita, in quanto non tiene conto del fatto che il mandato contie-ne, innanzitutto, la designazione del difensore di fiducia in relazione ai fatti in es-so descritti. Eses-so è, in primo luogo, una dichiarazione di nomina del difenes-sore, la quale, come è noto, rappresenta una ipotesi di negozio a forma libera, non risul-tando contemplata alcuna formalità condizionante l’espressione della volontà di conferire il mandato. Inoltre, nell’ambito di un panorama giurisprudenziale abba-stanza variegato, accanto a pronunce per le quali la validità processuale della no-mina implica l’osservanza delle forme e delle modalità di cui all’art. 96 c. 2 e 3 [C I 19.4.2011, Esposito, CED 250783], e possibile rinvenire altre che, anche di

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recente, tendono ad attribuire rilevanza ad attività e comportamenti non espres-samente contemplati dal legislatore, ritenendo efficace il mandato alla sola condi-zione che sia sempre garantita la provenienza dall’interessato, in base a fatti o comportamenti univoci e concludenti [C II 22.2.2011, Donato, CED 249938]. Pertanto, deve ritenersi che la dichiarazione di nomina sia destinata a conservare la propria efficacia anche nell’ambito del procedimento che dovesse instaurarsi in funzione di accertamento dei fatti ai quali il mandato si riferisce, legittimando il difensore all’effettuazione di investigazioni difensive ulteriori e processualmente utilizzabili. Ovviamente, la conoscenza legale dell’instaurazione del procedimen-to penale obbliga il difensore al deposiprocedimen-to del mandaprocedimen-to difensivo, passaggio indi-spensabile sia per il legittimo impiego delle indagini compiute in via preventiva, sia per la lecita effettuazione di quelle procedimentali.

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Le attività investigative che il difensore ed i suoi ausiliari possono compiere in via preventiva sono individuabili facendo riferimento, innanzitutto, al rinvio che l’art. 391 nonies opera all’art. 327 bis. Si tratta, dunque, di attività coincidenti con quelle espletabili nell’ambito delle investigazioni difensive procedimentali e ciò sia sotto il profilo finalistico, sia sul piano dei requisiti di struttura e di forma [VENTURA,sub art. 391 bis (105), 48; TRIGGIANI,sub art. 391 bis (101), 213]. Proprio sul versante dei requisiti formali, infatti, la Suprema Corte ha avuto modo di puntualizzare che la facoltà del difensore di svolgere attività investigative per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito al fine di promuovere il giudizio di revisione - si tratta, come detto, di attività investigativa di carattere preventivo - deve essere esercitata nel rispetto delle forme stabilite dagli agli artt. 391 bis ss., con la conseguenza che sono inutilizzabili le prove “nuove” raccolte senza rispettare le norme che regolamentano le indagini difensi-ve [C I 5.11.2003, Drozdik, ANPP 2005, 118].

Se, però, siffatte attività coincidono con quelle compendiate dalla disposizione generale, rispetto allo speciale settore oggetto di analisi vige una regola delimita-tiva di carattere negativo, per la quale è precluso il compimento degli atti che ri-chiedono l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria. Il difensore non può, dunque, nell’ambito delle investigazioni preventive, chiedere l’autorizzazione di cui all’art. 233 c. 1 bis, attivare i meccanismi sostitutivi delle attività acquisitive di elementi dichiarativi previsti dall’art. 391 bis, c. 10 e 11, ri-volgere istanza al pubblico ministero ai sensi dell’art. 391 quater c. 3, chiedere di essere autorizzato ad accedere ai luoghi privati o non aperti al pubblico ex art. 391 septies, effettuare accertamenti tecnici irripetibili a norma dell’art. 391 decies c. 3. Inoltre, il carattere generale ed assoluto della preclusione esclude la possibi-lità di relazionarsi con l’autorità giudiziaria procedente al fine di ottenere i prov-vedimenti di cui all’art. 391 bis c. 5 e 7 [V., rispetto all’atto acquisitivo di dichia-razioni da persone detenute, C IV 14.10.2005, Campa, cit. In senso contrario v., in dottrina, DI MAIO,sub art. 391 bis (29), 189, secondo il quale l’autorità

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giudi-ziaria a cui fa riferimento l’art. 391 nonies è quella presuntivamente ed astratta-mente competente in relazione ai fatti oggetto del mandato difensivo].

La ratio della previsione a carattere preclusivo - ritenuta pienamente condivisibile da chi considera inammissibile l’utilizzo, mediante ricorso all’autorità giudizia-ria, delle opzioni concesse al difensore nel corso del procedimento [TRIGGIANI, sub art. 391 bis (101), 206] - viene individuata nel fatto che manca, relativamen-te a questa peculiare tipologia di investigazioni, un’autorità alla quale fare riferi-mento ed a cui rivolgersi [VENTURA,sub art. 391 bis (105), 47. Negli stessi ter-mini v., con l’aggiunta di considerazioni critiche rispetto ad una scelta che “smi-nuisce sensibilmente le potenzialità delle investigazioni difensive ante procedi-mentali”, LORUSSO (4) 500], ma si tratta di una opzione ricostruttiva poco con-vincente, dal momento che la possibilità di relazionarsi con uno specifico ufficio giudiziario sarebbe agevolmente prospettabile in tutti i casi in cui sia in corso un procedimento penale concernente i fatti ai quali si riferisce il mandato previsto dall’art. 391 nonies [Propende per un’interpretazione estensiva della previsione, tesa a ricondurre il regime preclusivo ai soli casi in cui non sia possibile, in asso-luto, individuare l’autorità competente, RUGGIERO,sub art. 391 bis (86), 338]. Inoltre, la generalità ed assolutezza della preclusione si concilia a stento con le ipotesi di contatto con l’autorità giudiziaria previste dalla normativa sulle investi-gazioni difensive in relazione ai casi in cui deve essere salvaguardata la genuinità del contenuto di atti posti in essere nei confronti di persone coinvolte in procedi-menti penali diversi. Il motivo della previsione ostativa deve ricercarsi, invece, sul versante della legittimazione soggettiva attiva, dovendosi ritenere che il legi-slatore ha voluto evitare l’introduzione di elementi di sistematicità, in considera-zione del fatto che il difensore della persona estranea al procedimento penale - vuoi perché quest’ultimo manchi, vuoi perché esso riguardi persone diverse o, addirittura, ignoti - non è titolare di una posizione che lo legittimi a relazionarsi con l’autorità giudiziaria mediante la proposizione di richieste ai sensi degli artt. 121 e 367. In ogni caso, la giurisprudenza, occupandosi del profilo sanzionatorio, ha chiarito che è da considerarsi abnorme il decreto con il quale il giudice auto-rizzi, in sede di investigazione difensiva preventiva, il compimento di un atto ne-cessitante del provvedimento assentivo, poiché nell’ambito di siffatta categoria di investigazioni non è consentito al difensore lo svolgimento di atti che richiedono l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria, categoria generale nel cui ambito si collocano sia pubblico ministero che del giudice [C IV 14.10.2005, Campa, cit. Esclude che, nell’ipotesi in esame, possa parlarsi di abnormità, ferma restando l’inutilizzabilità dell’atto erroneamente autorizzato, FOLLIERI (3) 4108]. Al di fuori di siffatta, evidentemente patologica evenienza, è chiaro che il com-pimento di atti vietati dall’art. 391 nonies ne determina l’inutilizzabilità ex art. 191.

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IV. Utilizzabilità delle investigazioni preventive. 1

La trattazione del profilo concernente l’utilizzabilità dei risultati delle investiga-zioni difensive ha determinato esiti interpretativi variegati, essendo state prospet-tate sia conclusioni tese ad escludere l’utilizzabilità mediante presentazione diret-ta al giudice [DI MAIO, sub art. 391 bis (29), 190], sia soluzioni che rinviano all’applicazione delle regole generali stabilite per le investigazioni procedimentali [TRIGGIANI, sub art. 391 bis (101), 213; RUGGIERO, sub art. 391 bis (86), 342; VENTURA, sub art. 391 bis (105), 48]. Infine, non manca chi nega qualsiasi pos-sibilità di utilizzazione processuale degli esiti investigativi acquisiti in via pre-ventiva, esigendo addirittura la ripetizione dell’atto nel successivo contesto pro-cedimentale [ARRU (1) 334].

Orbene, la tematica deve essere affrontata muovendo dalla considerazione che l’art. 391 nonies, sebbene si preoccupi di regolamentare, sia pure in via indiretta, il profilo afferente ai requisiti di forma dell’atto d’indagine, non detta una disci-plina specifica del correlato regime utilizzativo. Si tratta di un dato sistematico di sicuro rilievo, essendo già di per sé sintomatico di una volontà diretta a parificare le diverse tipologie di attività investigative sul versante delle potenzialità di im-piego nell’ambito del procedimento penale. Non avrebbe senso, infatti, esigere l’osservanza di regole di garanzia che sono preordinate alla successiva utilizzabi-lità procedimentale in un contesto destinato a condurre alla realizzazione, invece, di atti a priori inutilizzabili. Tra l’altro, la finalizzazione delle investigazioni pre-ventive alla ricerca ed individuazione di elementi di prova a favore del proprio assistito - emergente, come già detto, dal rinvio che l’art. 391 nonies opera all’art. 327 bis - costituisce un elemento idoneo a generare un contatto tra i relativi risul-tati - gli elementi di prova favorevoli, appunto - e la disciplina dei meccanismi di canalizzazione nell’ambito procedimentale, concorrendo anche i risultati predetti a creare il novero di quelli che, ai sensi dell’art. 391 octies, possono essere river-sati nel fascicolo del difensore o, altrimenti, presentati al pubblico ministero. Ov-viamente, l’astratta utilizzabilità della documentazione delle investigazioni pre-ventive nel successivo procedimento penale, affinché possa tradursi in un effetti-vo impiego probatorio, esige che l’atto d’indagine non presenti patologie suscet-tibili di vanificarne gli effetti.

BIBLIOGRAFIA: (1) ARRU, L'attività investigativa difensiva, in FILIPPI, Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, Padova 2001; (2) COMI, Sub art. 391 nonies, in GAITO, Codice di procedura penale, 2012, 2475; (3) FOLLIERI, Sui limiti dell’attività investigativa preventiva, CP 2006, 4105; (4) LORUSSO, Investigazioni difensive, in SPANGHER Trattato III, 477; (5) TRONCI, La tutela del cittadino im-putato: dalla Carta europea dei diritti fondamentali alle nuove disposizioni sulle indagini difensive. Linee guida della legge n. 397 del 2000 e modifiche al codice penale, CP 2001, 2264.

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