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SPAZIO APERTO

Lamento

Complaint

Cristina Sbarra ()

ISS Valle, Via T. Minio 13, 35134 Padova, Italy

Erano le sette del mattino, nel giorno 17 di marzo dell’anno del Signore 1598. L’atmosfera era densa di nebbia e umidit`a: il sole era abbastanza alto sull’orizzonte, ma potevi guardarlo direttamente da quanta foschia c’era.

Spartacus si stava avviando a passo serrato verso il porto di Rungsted, trascinando a mano il carretto con tutti i suoi bagagli. Non voleva arrivare tardi alla partenza della nave per l’isola di Ven.

Lui, che era della borghesia danese, stava traghettando la sua esistenza verso un’isola comandata da un nobile, e questo gli dava un certo senso di inquetudine. Aveva infatti vissuto abbastanza per assimilare quel pragmatismo, tipico dei borghesi, che gli faceva considerare “buoni a nulla” i signori nobili possidenti, che vivono di rendita.

Sapeva per`o che nell’isola di Ven stava per cogliere la grande occasione della sua vita. Avrebbe potuto lavorare e studiare con l’illustrissimo matematico e astronomo Tycho Brahe, e per lui si trattava di un grande onore.

Si era laureato in matematica presso l’Universit`a di Copenhagen, grazie agli sforzi della sua famiglia, che aveva voluto assecondare la sua inclinazione. Il padre Rasmus era un mercante benestante e, nella sua magnanimit`a, aveva deciso che il pi`u piccolo dei suoi quattro figli poteva anche studiare, se mostrava di averne le capacit`a e la passione.

Spartacus dunque pot´e esprimere il suo talento e la sua dedizione allo studio, che lo avevano portato alla laurea in matematica; dopodich´e ebbe la fortuna di poter parlare con il Vescovo di Copenhagen, grazie all’intercessione del parroco Magnus, amico di famiglia. Magnus si era accorto infatti della vocazione allo studio del ragazzo, e voleva aiutarlo anche e sopratutto dopo la laurea.

Il Vescovo, dopo un lungo colloquio con il giovane laureato, non esit`o a proporre al padre del ragazzo di mandare questi a lavorare presso l’osservatorio dell’isola di Ven, dove il grande astronomo aveva creato un centro di studi. Egli si sarebbe dunque interessato affinch´e Spartacus venisse bene accolto da Tycho Brahe.

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Dunque era giunto il suo momento e Spartacus, col cuore palpitante, stava per salire sul traghetto che lo avrebbe portato verso l’osservatorio del grande astronomo. Aveva preso lo stretto indispensabile del proprio vestiario e altri ammennicoli, di modo da lasciare lo spazio ai suoi libri, i libri su cui aveva tanto studiato: l’Almagesto di Tolomeo, le traduzioni di Aristarco di Samo, di Ipparco, dell’Arenario di Archimede e pochi altri, che egli considerava i pi`u importanti. Sapeva altres`ı che all’osservatorio di certo i libri non mancavano, dunque era inutile caricare di troppo peso il suo carretto (sopratutto perch´e doveva portarlo a mano!) anche se, a dire il vero, il suo desiderio sarebbe stato quello di portarseli via tutti.

Sceso sul suolo dell’isola, segu`ı la strada che aveva studiato a tavolino, ed entr`o fi-nalmente nell’osservatorio di Uraniborg, dove veramente nessuno lo stava aspettando, ma dove, con fatica, riusc`ı a farsi riconoscere e ad ottenere un colloquio col direttore, il nobile Ingvar Olsson. Gli fu anche comunicato, infatti, che il grande Tycho Brahe era assente dall’isola per motivi familiari, e non sarebbe tornato prima di due o tre mesi. Olsson lo fece accomodare nel suo studio e gli chiese che cosa aveva fatto per la tesi di laurea. Udito il resoconto di Spartacus, cominci`o a descrivere il lavoro di osservazione e analisi dei dati raccolti, che stavano facendo l`ı, e infine si chiese se forse non sarebbe stato meglio per lui andare a fare le osservazioni sul secondo osservatorio dell’isola, Stjerneborg, che il maestro Brahe aveva fatto costruire, e che era pi`u recente. Il ragazzo lo stava ad ascoltare a bocca aperta.

“S`ı!”, concluse il nobile. Avrebbe dunque portato i dati da Stjerneborg a Urani-borg, fin`ı col sentenziare Olsson, senza aspettare la risposta di Spartacus, e avrebbe contribuito cos`ı alla riuscita del progetto del maestro Tycho, il quale contava sulla sinergia dei due osservatori da lui creati. Chiaramente avrebbe preso parte anche alle osservazioni, e all’analisi dei dati stessi, ma in un primo tempo avrebbe svolto il ruolo fondamentale di “collante” tra i due osservatori.

Questo sarebbe stato il suo compito, e il nobile si accomiat`o dal ragazzo con un sorriso soddisfatto.

Spartacus fu poi informato che avrebbe trovato una sistemazione nella foresteria dell’isola, dove alloggiavano altri studiosi.

Fu cos`ı che Spartacus inizi`o di buona lena ad andare a Stjerneborg e si introdusse a Julius Bjork che era il capo del secondo osservatorio. Questi gli fece subito una buona impressione: gli apparve molto competente, tecnicamente molto abile nel de-scrivere le modalit`a per effettuare le osservazioni e gli strumenti di cui disponevano per poter effettuare al meglio tali osservazioni ad occhio nudo; fu inoltre assai detta-gliato nell’illustrare i turni e il metodo di compilazione delle tabelle delle osservazioni stesse. Bjork indubbiamente incant`o Spartacus, che fu contento di lavorare con lui e con gli altri astronomi del suo gruppo.

Il lavoro duro, per tutti i ragazzi, era durante la notte, quando avvenivano le osservazioni. Avevano poi il permesso di dormire fino a tarda mattinata.

A pranzo mangiavano tutti insieme, alla mensa dell’osservatorio, e, tra un boc-cone e l’altro, si scambiavano racconti su quello che avevano fatto durante la notte: spesso si trattava di facezie, nessuno veramente entrava nei dettagli delle osservazioni,

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anche perch´e spettava poi ai pi`u anziani, che in genere non osservavano, analizzare ed interpretare i dati osservativi.

Certamente ognuno sperava in cuor suo di non aver fatto errori, perch´e, allorquan-do Bjork o Olsson prendevano in mano le tavole, se trovavano qualche incongruenza, andavano a cercarne l’autore.

Comunque Spartacus, dopo aver preso parte ad un po’ di pranzi, e aver ascoltato un po’ di conversazioni, avvert`ı che non correva buon sangue tra Olsson e Bjork. Aveva come l’impressione che le osservazioni ad Uraniborg non avvenissero con la stessa meticolosit`a di quelle fatte a Stjerneborg, o perlomeno questo era quello che trapelava dai discorsi dei suoi compagni astronomi che spesso, durante il pranzo, erano velati di ironia nei confronti dei “castellani” (cos`ı chiamavano i lavoranti nel primo osservatorio). In effetti Uraniborg era stato costruito a forma di fortezza, per volere di Tycho, con torri cilindriche dal tetto mobile, che ospitavano le strumentazioni. Nel sottosuolo c’era persino un laboratorio di alchimia e una prigione per i contadini recalcitranti. La vita al suo interno assomigliava a quella di una corte rinascimentale. Di certo questo andazzo provocava diffidenza da parte sia dei contadini dell’isola, che dovevano pagare le tasse a Thyco, sia degli astronomi stessi, dotati di buona volont`a, che si trovavano sull’isola a lavorare.

Alla fine di ogni giornata, dall’arrivo di Spartacus, si raccoglievano le tavole del secondo osservatorio, che erano state ricontrollate nel pomeriggio, per portarle a Ura-niborg. Il giovane dunque si incamminava col suo fagotto di tavole arrotolate e, durante il breve tragitto, pensava sovente che era fortunato a lavorare nel secondo osservatorio, in quanto lo considerava pi`u valido. Arrivato ad Uraniborg si dirigeva subito da Olsson e gli lasciava il fagotto sul tavolo. Questi lo accoglieva sempre con sorriso benevolo e soddisfatto, ma non esitava a lanciare delle occhiate indagatrici, come se avesse avuto il sospetto che gli stessero nascondendo qualcosa. In effetti, tutti i rapporti con Tycho Brahe, signore dell’isola e creatore degli osservatori, li ave-va Ingave-var. Tycho, infatti, quando non era lontano dall’isola per motivi accademici o familiari, abitava proprio nel castello di Uraniborg, che era la sua roccaforte: cupole per osservazioni sulle torri, biblioteca e altri laboratori, locali di abitazioni e sale da pranzo, in cui il grande astronomo amava fare banchetti luculliani in occasione delle visite dei potenti.

Olsson si consultava spesso con Tycho per analizzare le osservazioni fatte e pro-gettarne di nuove. Ma se qualche dato mancava, Ingvar, che non a caso si sentiva una sorta di vice-direttore, ci poteva anche perdere la faccia.

Fu in una di quelle volte, che Ingvar si apr`ı:

Spartacus, mi devi tenere informato su qualunque cosa, dico qualunque cosa, acca-da in Stjerneborg. Non devono esserci ritardi o mancanze nelle osservazioni richieste dal maestro Tycho Brahe. Non sempre i dati che mi porti corrispondono alle osser-vazioni richieste, e di questo non vedo giustificazioni sufficienti. Il cattivo tempo di una notte non pu`o inficiare le osservazioni di una settimana! Non dire a Bjork che ti ho parlato in questo modo. Io stesso richiamer`o Julius, ma desidero che tu sorvegli sul lavoro del gruppo e che mi tenga informato.

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In pratica stava chiedendogli di fare la spia, e questo inquiet`o Spartacus, che dopo una iniziale accondiscendenza, per non dire riconoscenza, and`o via turbato. Fu immerso nei suoi pensieri per tutto il viaggio di ritorno, che fu pi`u lungo del solito. Decise infine di non manifestare a nessuno dei colleghi questo suo turbamento e, una volta arrivato a Stjerneborg, si sforz`o per essere il pi`u naturale possibile.

In quel periodo stavano osservando Marte, di cui registravano minuziosamente l’or-bita. Quella notte era assai limpida e mite, dunque ideale per prendere osservazioni. Spartacus si inoltr`o nella cupola sotterranea che si era aperta: gli astronomi si stavano preparando per alternarsi al quadrante murale, ai due quadranti rotanti e all’armilla equatoriale, che erano i quattro principali strumenti utilizzati. Le osservazioni sul singolo oggetto celeste dovevano infine concordare.

Il metodo di lavoro di equipe, organizzato fin nei minuscoli dettagli, scandito dal trascorrere delle ore notturne, era il punto di forza dell’osservatorio: Tycho Brahe aveva voluto questa minuziosa scansione, perch´e pensava pragmaticamente che sen-za una tale impostazione non si potevano raggiungere i migliori risultati. Sensen-za la sinergia di tutte le forze, senza la mirata cooperazione degli uomini che adoperava-no in contemporanea i migliori strumenti esistenti per l’astroadoperava-nomia, adoperava-non si potevaadoperava-no raccogliere dati di valore. Non c’era niente di mistico in questa impostazione, tutt’al-tro, Tycho fu il primo astronomo metodologico, con lui possiamo dire che nacque la scienza osservativa.

Il calcolo preciso dell’orbita di Marte era indispensabile per completare il modello dell’universo che il maestro Tycho voleva pubblicare. Il fatto `e che egli aveva gi`a am-piamente elaborato tale modello, in pratica una sorta di compromesso tra il modello geocentrico (caro alla Chiesa) e quello eliocentrico, ma non voleva pubblicare niente prima di avere i dati osservativi completi. Contrariamente a lui, altri astronomi van-tavano la paternit`a di modelli pensati, ma senza un reale supporto di dati osservativi, e non esitavano a diffondere i loro pensieri ai quattro venti. Ad esempio era stata appena pubblicata l’opera dell’astronomo Reymers Baer, detto Ursus, “I fondamenti dell’astronomia”, che in pratica illustrava un modello dell’universo simile a quello che aveva in mente Tycho, tuttavia non supportato da una mole di dati osservativi quale sarebbe stato il modello del maestro. Tycho era sicuro che questo Ursus gli avesse rubato l’idea, scopiazzandola da alcuni appunti che aveva trafugato durante una sua visita al castello. Anche a seguito di questo avvenimento, si era instaurato un clima di segretezza e ostilit`a tra gli astronomi dell’isola.

Spartacus quella sera si accinse ad usare gli strumenti con particolare fervore: vo-leva immergersi completamente nel lavoro, dimenticando di dover ascoltare le parole, i gesti, le espressioni dei suoi compagni, come avrebbe voluto invece Olsson.

Ad un certo punto Bjork e un individuo che non si era mai visto da quelle parti entrarono nel sotterraneo. Spartacus se ne accorse allorch´e si avvicinarono all’armilla equatoriale, dove lui stava lavorando, e cominciarono a parlare a bassa voce, ma non abbastanza per non farsi sentire. L’ospite pronunci`o la frase: certo che, se la terra sta al centro dell’universo, e se tutti i pianeti ruotano attorno al sole, e con lui intorno alla terra, allora non ci possono essere sfere immutabili come voleva Aristotele. Non credi? In effetti . . . ammise Bjork. L’ospite incalz`o: Hai sentito parlare del sistema

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eliocentrico di Copernico? Io lo trovo molto pi`u attraente . . . A proposito: avete preso i dati sull’orbita di Marte? Non ancora completamente, disse Bjork, ma penso che in una, massimo due settimane avremo finito. Ritorner`o, fin`ı col dire l’ospite, e insieme a Bjork si avviarono verso l’uscita. Spartacus sapeva, perch´e lo aveva sentito dire dai suoi compagni astronomi, che la conoscenza esatta dell’orbita di Marte sarebbe stata molto importante per Tycho. Proprio da quel dato, infatti, egli avrebbe potuto dar vita al modello che aveva in mente. Certo `e che Tycho non sarebbe stato contento se i suoi dati fossero resi noti a gente che non lavorava per lui. Chi era questo sconosciuto che faceva tutte queste domande? . . . che voleva sapere dell’orbita di Marte calcolata dalle loro osservazioni? Si accorse che stava per diventare sospettoso come Olsson e che era diventato ostile a tutti coloro che non lavoravano con lui. Si ritrov`o a pensare che non voleva che il tipo leggesse i loro dati, non voleva che nessun altro astronomo venisse a conoscenza dei loro progressi . . . solo loro dell’osservatorio di Stjerneborg dovevano sapere la verit`a, e avevano il diritto di riferire a Tycho tutti i loro risultati, senza l’intermediazione di Olsson. Questi pensieri lo misero nuovamente in subbuglio. Non ebbe una notte tranquilla, e si svegli`o prima del solito. Senza fare colazione, se ne and`o presto in biblioteca, ad Uraniborg. Qui si diresse verso gli scaffali dei libri di lettere e filosofia, voleva evadere con la mente dall’Astronomia: prese in mano un libro abbastanza nuovo “Querela Pacis” (1

). Il titolo lo aveva attirato: rispecchiava un po’ il suo stato d’animo, e si immerse nervosamente nella lettura.

Passata un’oretta, si diresse da Olsson col suo rotolo di tavole compilate, come al solito. Era stanco, non voleva parlare dell’ospite sconosciuto che era passato la notte precedente, e tantomeno raccontare ci`o che aveva sentito da lui.

Invece fu Olsson ad iniziare: `e passato Johannes Kepler ieri sera? Dovr`a venire a lavorare con voi, ha preso accordi col maestro. Mi raccomando Spartacus, fai in modo che non raccolga altri dati rispetto a quelli che deve prendere. Si dovr`a infatti occupare di misurare l’eccentricit`a dell’orbita di Marte. Ma niente di pi`u. Sar`a tuo compito assicurarti che Johannes stia nel suo, con ogni mezzo, capito? Conto su di te per questo controllo, non mi deludere.

Spartacus era rimasto senza parole durante tutto il discorso di Olsson, era quasi a bocca aperta, ma infine balbett`o che in effetti gli era sembrato di vedere arrivare un tipo nuovo con Bjork, la sera precedente, ma che era andato via quasi subito.

La sera successiva era come imbambolato, stanco e confuso . . . si apprest`o a prendere dati al sestante, compilando le relative tabelle, ma con molta lentezza. Cosa aveva voluto dire Olsson quando diceva “con ogni mezzo”?

Ormai era esausto, e verso l’alba se ne and`o in camera, crollando sul letto tutto vestito.

Per ancora due notti Spartacus si trascin`o col suo stato d’animo confuso, quasi inebetito. Era lento a far tutto, era irascibile. Rimuginava su ci`o che aveva sentito dire da Johannes, su ci`o che gli aveva detto Olsson, su quanto stupidi erano gli uomini, anche se dotti e sapienti. Al terzo giorno per`o prese una decisione; aveva faticosamente

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elaborato una sua strategia: lui voleva lavorare da astronomo con il maestro Thyco, e dunque avrebbe accettato anche di fare la spia e di fare ci`o che gli chiedeva Ingvar. A dire il vero aveva dovuto combattere contro la sua indole mite che, a dispetto di ci`o che evocava il suo nome, era tendenzialmente accomodante e incline a trovare una soluzione palese e pacifica alle discordie. Non gli piacevano i sotterfugi e gli inganni, insomma. Ma per amore dell’astronomia, forse per ambizione . . . , o per semplice pusillanimit`a, decise di fare ci`o che gli aveva chiesto Olsson: in fondo non gli aveva chiesto mica niente di male? Si trattava solo di stare attenti a che questo tipo non ficcasse troppo il naso nei dati di Tycho, tutto qui.

La sera successiva ricomparve Johannes, questa volta Bjork glielo present`o: `e un matematico e collaborer`a con il maestro per la riuscita del suo modello, in particolare si occuper`a di calcolare l’orbita di Marte. Aiutalo tu a trovare i dati, che sei diventato esperto in osservatorio, gli disse Bjork.

Va bene Johannes, rispose Spartacus, seguimi che ti faccio vedere le tavole di Marte. Cos`ı dicendo, si diresse verso una scrivania laterale della stanza, dove stavano ammassate le tavole, suddivise per oggetto celeste osservato. Eccole, da questi dati puoi fare i tuoi calcoli: come vedi ci sono gli angoli, nelle varie colonne, che corrispon-dono alle osservazioni prese con i vari strumenti, qui in fondo trovi la legenda. Alla fine, come puoi controllare tu stesso, gli angoli corrispondono entro il secondo d’arco, e decidi tu se fare la media, o la media pesata, o prendere quello che credi meglio. Mentre lui parlava, Johannes era attratto dalla mole di tavole presenti e Spartacus si accorse che i suoi occhi stavano brillando come se si fosse trovato di fronte a un tesoro!

Infine il matematico prese in mano il libro di Marte, dette uno sguardo alle tavole compilate, ne ammir`o la completezza di dettagli e la precisione nel riportare i dati, tutti presi con accurata scansione temporale. Aveva gi`a un pezzo del tesoro in mano, ma ne voleva di pi`u. Si avvicin`o a Bjork. Posso prendere anche qualche altra tavola? Mi piacerebbe consultare le osservazioni della luna e degli altri pianeti, per confrontare le orbite calcolate. Direi di s`ı, certamente, devi solo rimettere tutto qui, prima che venga Tycho. Anzi, speravo che tu me lo avessi chiesto perch´e volevo confrontare con te alcune osservazioni, che potrebbero avvalere il modello di Copernico. Cos`ı dicendo Bjork stava mostrando a Keplero anche altre tavole che avrebbe potuto consultare, che evidentemente non erano mai state portate ad Uraniborg. Spartacus sent`ı che gli si era formato un nodo alla gola, . . . che doveva fare adesso?

Fu un attimo: Johannes tese la mano per afferrare le tavole che Bjork gli stava mostrando e Spartacus inciamp`o da uno scalino sul quale aveva posato il piede. Cos`ı facendo urt`o una colonna di finto marmo ornamentale, con sopra un vaso in terracotta, che cadde addosso ai due, ma fu Keplero a riportare le conseguenze pi`u gravi: il vaso gli aveva spaccato l’arcata sopracigliare sinistra. Venne immediatamente soccorso e tutti e tre, Bjork, Keplero e Spartacus, furono portati in foresteria per i soccorsi.

Spartacus si era solo slogato una caviglia e Bjork aveva riportato delle lievi contu-sioni per la caduta, Keplero invece aveva preso il vaso in testa, che gli aveva provocato una brutta lacerazione; fortunatamente ci vedeva ancora, ma la ferita dovette essere ricucita e ci vollero ben otto punti. Tutti e tre erano abbastanza stravolti, Keplero

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decisamente il pi`u colpito. Spartacus continuava a scusarsi, dicendo che non sapeva come poteva essere accaduta una cosa del genere, era sinceramente rammaricato: si sentiva uno stupido, ripeteva a voce alta, appariva imbarazzato, tanto che Bjork si gir`o ad osservarlo. Johannes avrebbe potuto anche perdere un occhio . . . gli diceva Spartacus, ma in realt`a lo voleva ripetere pi`u forte a se stesso.

Quasi quasi Bjork stava per calmarlo: era come se il giovane si sentisse in colpa per la sua sfortunata caduta, che sembrava non essere dipesa dalla sua volont`a. Questa almeno era l’impressione che avevano avuto tutti.

Ma forse Spartacus non ne era convinto . . .

I malcapitati infine, dopo le varie cure, si diressero verso le loro stanze da letto. Ma quella notte fu ancora pi`u agitata del solito.

La mattina successiva Spartacus si diresse verso Uraniborg, dove Olsson lo stava aspettando, perch´e lo aveva fatto chiamare. Entra, come stai? Ho saputo tutto, sono stato a Stjerneborg. Ho visto Keplero, ha avuto un bel colpo, ma si rimetter`a. Dicendo questo sembr`o voler rassicurare il ragazzo che appariva assai provato. Oggi stesso partir`a dall’isola. Non ritorner`a prima di un mese, e allora sar`a tornato anche Tycho Brahe. Tu stai bene? Gli chiese infine Olsson.

Io non volevo, ma . . . quando ho visto che Keplero stava portando via tutti quei dati, . . . allora ho cercato di impedirlo. Ma avrebbe potuto rimanere cieco!

Lo so, i dati li ho presi io.

Quelle tavole le daremo a Tycho, non dovevano essere a Stjerneborg! Di questo Bjork dovr`a rendermene conto. Tu hai fatto un ottimo lavoro. Johannes si riprender`a, le tavole ora sono al sicuro. Lui torner`a a lavorare solo su Marte e se vorr`a vedere qualcos’altro lo chieder`a direttamente al maestro. Oggi prenditi riposo, l’osservatorio di Stjerneborg `e chiuso, ricominceremo stasera. Detto questo lo salut`o soddisfatto. Spartacus lo salut`o a sua volta, ma dalla sua espressione appariva stordito, quasi incredulo, e poco convinto. Tornando indietro incroci`o Bjork, che si stava dirigendo con aria di chi va al patibolo verso Uraniborg, ma che neanche lo degn`o di uno sguardo. Rientrato nella sua stanza, si butt`o sul letto e fiss`o il soffitto: che cosa aveva fatto? . . . e se Keplero avesse perso un occhio? E adesso che cosa sarebbe successo a Bjork? E se Copernico avesse avuto ragione? Bjork e Keplero avrebbero potuto provarlo con quei dati . . . ma ora non pi`u. Oh, che misero che tapino che sono, si lamentava piangendo Spartacus. Olson mi fa i complimenti solo perch´e sono stato un servo! Ma non ho certo servito la scienza, bens`ı la mia ambizione, che mi ha portato ad assecondare anche i capricci di un nobile presuntuoso! Povero me, non era certo questo il ruolo che avrei voluto avere tra gli astronomi!

Quella notte Spartacus non si present`o all’osservatorio. La mattina seguente Olsson ricevette una lettera: Caro Olsson,

l’incidente di ieri notte mi ha profondamente colpito, pi`u di quello che mi sarei mai immaginato. So che sei soddisfatto perch´e i dati del maestro non sono stati presi, ma ci`o non toglie che il modo con cui ho impedito questo non mi rende pace: Keplero avrebbe potuto perdere un occhio. Io ho provocato un incidente di cui sentir`o la colpa per tutta la vita. Per fortuna non ci sono stati danni irreparabili, ma ci`o nonostante

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io non mi sento nel giusto e, con l’animo cos`ı tormentato, me ne andr`o per qualche tempo a casa mia, rinunciando alla mia retta mensile.

Ci risentiremo appena star`o meglio, in fede,

Spartacus

Ingvar aveva appena finito di leggere la lettera, che il traghetto salp`o dall’isola di Ven. Spartacus si diresse velocemente verso la prua, aveva bisogno di riempirsi i polmoni di aria: sent`ı l’odore del mare, era quello che voleva e finalmente, dopo una notte di tormenti, cominci`o a sorridere. Quindi fece un grosso respiro e si colm`o di speranza: stava assaporando di nuovo l’aria della libert`a.

“. . . Quo me post hac confero infelix, postea toties fefellit spes? . . . Ad eruditorum greges confugiam. Bonae litterae reddunt homines, philosophia plusquam homines, theologia reddit divos, Apud hos certe dabitur conquiescere, tot circumactae ambagibus. Verum, proh dolor!, en hic quoque bellorum aliud genus, minus quidem cruentum, sed tamen non minus insanum. Schola cum schola dissidet, et ceu rerum veritas loco commutetur, ita quaedam scita no traiciunt mare,, quaedam non superant Alpes, quaedam non tranant Rhenum, immo in eadem academia, cum rhetore bellum est dialectico, cum iureconsulto diffidet theologus. At adeo in eodem professionis genere, cum Thomista pugnat Scotista, cum Reali Nominalis, cum Peripatetico Platonicus, adeo ut ne in minutissimis quidem rebus inter hos conveniant . . . ”

“. . . Dove andr`o, d’ora in poi, me [la pace] infelice dopo aver visto tradire tante volte la mia speranza? . . . Mi rifuger`o tra le turbe dei dotti. Le buone lettere rendono umani, la filosofia innalza al di sopra degli uomini comuni, la teologia rende divini. Presso queste persone mi sar`a concesso senza dubbio di riposare, dopo essere stata perseguitata . . . Invece, quale pena! Ecco anche qui un altro genere di guerre, certo meno cruento, ma non per questo meno irragionevole. Le scuole sono in disaccordo fra di loro e, come se la verit`a delle cose differisse da un luogo all’altro, cos`ı certi concetti non oltrepassano il mare, altri non superano le Alpi, altre ancora non attraversano il Reno, anzi in una medesima universit`a, il r`etore `e in guerra con il dialettico, il teologo `e in discordia con il giurista, e persino nella medesima disciplina lo scotista `e in conflitto con il tomista, al punto che nemmeno sul pi`u marginale degli argomenti concordano tra di loro . . . ”

“Querela Pacis” (Lamento della Pace) Erasmo da Rotterdam, 1517

Riferimenti

Anna Maria Lombardi, Keplero, una biografia scientifica (Codice) 2008, ISBN 978-88-7578-092-0.

Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata (Feltrinelli) 2003, ISBN 88-07-81644-X. Arthur Koesler, I sonnambuli (Jaca Book) 2010, ISBN 978-88-16-37010-4.

Erasmo da Rotterdam, Querela Pacis, Liceo di Stato G.B. Ferrari-Este, 2009, c Gino Ditadi.

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