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Disprassia Verbale in eta Evolutiva. Un'analisi dello sviluppo morfosintattico in soggetti di lingua italiana

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Academic year: 2021

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1 INDICE

Introduzione

Capitolo 1 - La Disprassia Verbale Evolutiva Pag. 3

1.1 Dal 1900 ad oggi: rassegna storica. Accezioni e terminologia Pag. 4

1.2 Eziologia Pag. 7

1.3 Sintomatologia Pag. 8

1.3.1 L'eloquio del bambino disprassico Pag. 13

1.4 Lo stato dell'arte Pag. 16

1.4.1 Studi linguistici Pag. 16

1.4.2 Studi motori Pag. 19

1.4.3 Studi linguistico-motori Pag. 21

1.4.4 Studi genetici Pag. 22

1.4.5 Studi neuro-morfologici e neuro-funzionali Pag. 24

Capitolo 2 - Acquisizione della morfosintassi da parte di bambini italofoni con

sviluppo tipico Pag. 26

2.1 L'acquisizione linguistica e le sue teorie Pag. 26

2.1.1 Le fasi dell'acquisizione linguistica Pag. 27

2.2 L'acquisizione della morfosintassi e le sue fasi Pag. 28

2.2.1 Sviluppo Morfologico Pag. 31

2.2.1.1 Morfologia libera Pag. 31

2.2.1.2 Morfologia legata Pag. 35

2.2.2 La sintassi Pag. 37

Capitolo 3 - Acquisizione della morfosintassi in soggetti italofoni con disprassia

verbale Pag. 41

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3.2 Metodo di analisi Pag. 47

3.3 Procedura di trascrizione e criteri e codifica dei dati Pag. 48 3.4 Analisi morfosintattica - Schede quantitative e qualitative di valutazione

Pag. 50

3.4.1 Schede quantitative Pag. 50

3.4.2 Schede qualitative Pag. 123

3.5 Risultati dell’analisi Pag. 158

3.5.1 Lunghezza media dell’enunciato Pag. 158

3.5.2 Morfologia libera e legata Pag. 160

3.5.3 Morfo-sintassi Pag. 175

3.5.4 Organizzazione grammaticale Pag. 179

Capitolo 4 - Conclusioni Pag. 195

4.1 Limiti dello studio Pag. 195

4.2 Conclusioni Pag. 195

BIBLIOGRAFIA Pag. 199

ABBREVIAZIONI Pag. 211

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Capitolo 1 – La Disprassia Verbale Evolutiva

La disprassia, dal greco πϱάξις (azione) con prefisso negativo διϭ, è un disturbo che coinvolge la coordinazione e il movimento finalizzati ad un atto motorio, da intendersi quale insieme di movimenti semplici eseguiti sinergicamente con uno scopo definito 1 (Rizzolatti et al., 2001). Pertanto, è precisamente un disturbo della prassi, quel processo neuromotorio che coinvolge l'ideazione, la pianificazione ed esecuzione di una sequenza motoria (Ayres, 1985).

Il soggetto disprassico, dunque, a seconda del grado di severità della patologia incontra minori o maggiori difficoltà nella pianificazione e programmazione di una sequenza di movimenti finalizzati alla realizzazione di un'azione che, conformemente alla storica definizione di Piaget (1960), non è costituita da un singolo processo ma dall'insieme di processi che permettono di pianificare i movimenti per il raggiungimento dello scopo. 2

Diverse sono le forme di manifestazione clinica della patologia, talora compresenti nello stesso soggetto con modalità né prevedibili né sistematiche, nel qual caso si parla di disprassia generalizzata, dal momento che coinvolge l’intera attività motoria e rende difficili anche attività semplici della vita quotidiana, diversamente dalla cosiddetta disprassia circoscritta che interessa settori specifici (verbale, orale, arti inferiori, ecc.).

Nel presente studio verrà analizzata la Disprassia Verbale in età evolutiva, disturbo poco studiato fino a tempi recenti (Denckla et al., 1992; McCabe et al., 1998) e

1 Ad es., portare del cibo alla bocca è un atto motorio il cui scopo è ingerire il cibo.

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ancora oggetto di controverso dibattito. Può essere causata da danno cerebrale (forma acquisita) o presentarsi sin dal primo sviluppo (forma congenita). Si manifesta durante la fase dello sviluppo neurobiologico, in tal modo compromettendo l’apprendimento dei movimenti intenzionali relativi all'apparato fono-articolatorio e finalizzati alla produzione verbale. 3

Secondo la valutazione dell'American Psychiatric Association (2000), il disturbo colpisce circa il 6% della popolazione infantile tra i 5 e gli 11 anni; secondo una stima dell'American Speech-Language Association (2007), invece, interessa 1-2 casi su mille. La grande discrepanza tra le due percentuali segnala chiaramente come l'incidenza della disprassia verbale non sia stata calcolata in modo affidabile e, presumibilmente, è stato utilizzato un campione insufficiente.

1.1 Dal 1900 ad oggi: rassegna storica. Accezioni e terminologia

Sebbene la prima segnalazione della malattia risalga agli inizi del secolo scorso (Dupré 1907) e i primi studi scientifici alla seconda metà dello stesso secolo (Morley, Court & Miller, 1954; Schuell, 1966), il disturbo continua a presentarsi sotto molte zone d'ombra. Di fatto, designa un quadro clinico complesso cui non corrispondono né una terminologia unitaria né una precisa definizione né criteri diagnostici condivisi e definiti.

Nel corso degli anni, all'espressione disprassia verbale evolutiva sono state attribuite accezioni diverse. Duprè (1907) etichetta il disturbo come Debilité motrice, ponendo dunque l'accento sul disturbo motorio. Anni dopo, con il termine clumsiness (Orton, 1937), se ne evidenzia la peculiarità dei movimenti goffi e atipici unitamente alle difficoltà motorie sia generali (che coinvolgono tutto il corpo) che fini (prassie

3 Per ogni nuovo gesto, il soggetto deve apprendere la sequenza degli atti e controllarne lo svolgimento: ciò implica un controllo attentivo(processo cognitivo dedicato).

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manuali). 4 Nel 1962, il termine compare nel “Medical British Journal” che pubblica il primo articolo sui "clumsy children". Viene successivamente utilizzato in altre pubblicazioni (Gubbay, Walton, Ellis & Court, 1965; Gordon & McKinley, 1980, Henderson & Hall, 1982). La connotazione negativa della parola clumsiness ne determinerà abbastanza presto l'abbandono: si opterà per altre espressioni allo scopo di evitare un potenziale effetto psicologicamente negativo sui bambini. Le terminologie in uso nella letteratura scientifica europea ed internazionale di quel periodo (“articulatory dyspraxia”, “clumsy child syndrome”, “sensory integration disorders”, “motor learning difficulty”, “perceptuo-motor dysfunction”, “developmental coordination disorder”)5 riflettono le diverse impostazioni metodologiche, che si trovano a privilegiare, di volta in volta, l'apparato somato-sensoriale, il sistema motorio, l'apparato cognitivo, peraltro tutti coinvolti. Alcuni studiosi iniziano a dedicarsi alla manifestazione linguistica della patologia, come Morley (1974) e Ekelman & Aram (1983); altri, tra cui Dencka (1973), approfondiscono gli aspetti percettivi; altri ancora, come Edwards (1973) e Crary (1993), si interessano agli aspetti esclusivamente motori, ritenuti il problema centrale alla base delle difficoltà ad eseguire movimenti finalizzati alla sola produzione vocale. A partire da quegli anni, i tentativi di definizione del disturbo si moltiplicano, senza che si pervenga tuttavia ad una convergenza terminologica. Nel Tecnical Report on childhood Apraxia of Speech (ASHA) pubblicato nel 2007 a cura dell'American Speech Language-Hearing Association (ASHA) vengono elencate circa cinquanta diverse definizioni. Dei molti termini ricordiamo: Developmental apraxia of speech (DAS) (Hall et al., 1993; Russell et al., 2013), con cui, riflettendo un orientamento oro-motorio, si evidenzia la natura motoria del disturbo; 6 Developmental articulatory dyspraxia (DAD) e Developmental verbal dyspraxia (DVD), usate da quanti si interessano all'aspetto linguistico motorio e che valutano sia gli aspetti di pianificazione

4 Sabbadini L. (2013). Disturbi specifici del linguaggio, disprassie e funzioni esecutive, p. 17.

5 American Psychiatric Association, (1994) DSM-IV, p. 53-54.

6 simile all'apraxia of speech negli adulti ma con la differenza che in questi si presenta in seguito a lesioni cerebrali. Love R.J. & Webb W.G. (2013). Neurology for the Speech-Language Patholigist, p. 205-210.

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motoria sia i sintomi fonologici; 7 Childhood apraxia of speech (CAS), attualmente la più usata e adottata anche dall’ ASHA.

La definizione più convincente del disturbo è quella proposta dall'American Psychiatric Association e dell'ASHA, che definisce CAS “a neurological childhood speech sound disorder”, ossia un disturbo congenito che danneggia la precisione e la coesione dei movimenti deputati al linguaggio in assenza di deficit neuromuscolari. 8 La patologia, considerata dunque uno speech disorder di pianificazione e di programmazione motoria (Shriberg et al., 1997; Terband, Maassen, Guenther & Brumberg, 2009), viene collocata dal DSM-V nella categoria degli speech sound disorders. 9 Tale classificazione sembra fornire una soluzione poiché include tutti i disturbi caratterizzati da problemi articolatori e fonologici: con speech, infatti, si intendono i meccanismi articolatori e fonologici coinvolti nella produzione vocale e con il termine sound si sottolinea la distinzione tra la categoria degli speech sound disorders e la categoria degli speech fluency disorders.10

La varietà terminologica che caratterizza il panorama anglosassone e americano manca in Italia, dove domina la sola espressione di disprassia verbale congenita/evolutiva: gli aggettivi designano un disturbo che colpisce, come si è già sottolineato riguardo alla definizione ASHA, i soggetti nella fase di sviluppo neurobiologico (“evolutiva”), che può presentarsi come fenomeno primario, se non vi si rintraccia un'eziologia apparente (congenita idiopatica), con la disfunzionalità circoscritta all'incapacità prassica. 11 Può considerarsi un fenomeno secondario nei casi in cui alcune componenti di tipo disprassico si manifestano all'interno di diversi quadri

7 Velleman S. (2003). Childhood Apraxia of Speech Resource Guide, p. 3.

8American Speech-Language-Hearing Association, (2007). Technical Report on Childhood

Apraxia of Speech, p. 3-4.

9 American Psychiatric Association, APA (2013). Diagnostic and statistical manual of mental

disorders, p. 44.

10 Shriberg L.D. (2010). A neurodevelopmental framework for research in childhood apraxia of

speech.

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diagnostici, quali autismo, sindromi metaboliche e cromosomiche. 12

1.2 Eziologia

Allo stato attuale delle conoscenze, mancano certezze sulle cause della disprassia verbale evolutiva congenita (DVE). Ciò che sembra doversi escludere è la presenza di danni a nervi o muscoli che controllano il movimento e di anomalie dell’apparato fono-articolatorio (Poustie, 1997; ASHA, 2007).

Il problema del disturbo risiede nel collegamento tra il cervello e i muscoli. Vengono a mancare istruzioni che permettono la costruzione di azioni motorie necessarie per la produzione vocale.

Secondo l'ASHA (2007), i contesti clinici in cui il disturbo può verificarsi sono tre: forma idiopatica; danno neurologico noto; danni prenatali o perinatali. 13 L'insorgenza di problemi durante la gravidanza o durante il parto (ad es., le anossie cerebrali), possono portare a complicazioni a livello cerebrale e causare danni alla zona cerebrale coinvolta (disprassia motoria, verbale, orale, etc).14 Un'ipotetica causa genetica (che sarà approfondita nel prossimo capitolo) potrebbe attribuirsi alla mutazione del gene FOXP2,15 gene coinvolto nella regolazione dello sviluppo delle abilità linguistiche riscontrato in alcuni membri della famiglia KE 16 colpiti da disprassia verbale (ASHA, 2007).

Purtroppo, dai dati ad oggi disponibili si conferma un'eziologia ancora poco definita e

12 Lorenzini I., Nicolai F., Graziosi V., Cipriani P., Chilosi A.M. (2015). Disprassia verbale

evolutiva: per un approccio multidisciplinare.

13 American Speech-Language-Hearing Association, (2007), p. 3.

14Sabbadini L. (2007). La disprassia in età evolutiva: criteri di valutazione ed intervento, p. 10.

15abbreviazione di forkhead box P2.

16 Nome medico designato per riferirsi ad una famiglia londinese allargata, oltre tre generazioni, in cui circa la metà dei membri presentava un grave disturbo del linguaggio, compatibile con la disprassia verbale.

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incerta, alla cui indeterminatezza contribuisce sicuramente il quadro clinico-diagnostico complesso.

1.3 Sintomatologia

Nel 1981 Guyette e Diedrich definirono la patologia, con atteggiamento critico, "a label in search of a population”, a causa della mancanza di un insieme di caratteristiche che ne delimitassero l'identità nosologica. La patologia, descritta come multisintomatica (Ozanne, 1995), era infatti definita per esclusione, essendo più facile descrivere il disturbo a partire da ciò che non era piuttosto che da ciò che era (Thoonen, 1996). In tempi recenti, come viene segnalato nella relazione tecnica dell'ASHA (2007), sebbene non si disponga ancora di un quadro compiuto delle caratteristiche patognonomiche in grado di differenziare la patologia da altri disturbi disartrici, 17 e nonostante i dati a supporto delle diverse interpretazioni siano scarsi, la comunità scientifica e clinica è giunta ad un accordo su tre sintomi con validità diagnostica certa (ASHA, 2007; Chilosi et al. 2014):

Tabella I: Principali manifestazioni del disturbo disprassico

Incoerenza fonologica: errori incoerenti e imprevedibili di vocali e consonanti, sia nella produzione spontanea sia nella ripetizione. Infatti, pur in assenza di variazione del contesto fonetico, uno stesso target fonologico è realizzato in modo differente e il livello di errore sul totale delle realizzazioni di una stessa parola supera il 50% (Lorenzini et al., 2015): ad es., su quattro realizzazioni della parola /'pane/, il bambino ne produce più di due in modo differente (es.: ['pa:te], ['pa:ne],

17 Un disturbo neuromuscolare con cui la disprassia può condividere problemi di prosodia e di linguaggio.

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9 ['ba:ne], ['pa:le]).

(Yorkston et al., 1990; Dworkin, 1991; McNeil et al., 1997; Velleman, 2003; Forrest, 2003; ASHA, 2007; Grigos & Kolenda 2010).

Errori di (co)articolazione: difficoltà nella transizione da un segmento all'altro e da una sillaba all'altra. Il soggetto può non presentare difficoltà nel produrre fonemi e sillabe singoli ma avere difficoltà nella loro concatenazione. Ad es., produce strutture semplici (ma, pa, da), ma non riesce a passare alle strutture duplicate (mama, papa, dada).

(Thoonen et al.1998; Campbell, 2003; Forrest, 2003; ASHA, 2007).

Alterazione della Prosodia: risultano globalmente inappropriati velocità, intonazione e ritmo.

(Shriberg et al., 2003; ASHA, 2007).

Si riassumono nella seguente tabella (Tab. II) altre manifestazioni linguistiche, seppur non sistematiche: 18

Tabella II: Altre manifestazioni del disturbo disprassico

Babbling atipico: lallazione assente o tardiva (con scarsa varietà).

(Davis et al., 1998; Davis et al., 2000; Maassen, 2002; Campbell, 2003; Highman et

18È opportuno precisare che ogni bambino manifesta almeno quattro delle caratteristiche elencate in questa tabella, oltre alle tre già elencate nella Tabella I.

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10 al., 2012; Sabbadini, 2013).

Dissociazione automatico-volontario: produzione di prassie orali verbali solo in risposta a una sollecitazione contestuale o ad esigenze interne, ma non su richiesta. Ad esempio, il bambino non è capace di leccarsi le labbra se gli viene esplicitamente richiesto, ma riesce a farlo spontaneamente. La stessa difficoltà si presenta anche a livello verbale: il bambino può essere in grado di produrre spontaneamente casa, mamma, etc. ma non lo sarà se ne è richiesto.

(Davis & Velleman, 2000; Forrest, 2003; Sabbadini, 2007; ASHA, 2007).

Groping: tentativi articolatori che sono espressione di difficoltà oro-articolatorie. Il bambino ricerca faticosamente le combinazioni (co)articolatorie per produrre un target, per lo più senza riuscirci. 19

(Yorkston et al., 1990; Dworkin, 1991; McNeil et al., 1997; Davis et al., 1998; Davis et al., 2000; Maassen, 2002; Forrest, 2003; ASHA, 2007; Grigos & Kolenda 2010; Highman et al., 2012).

Ristretto repertorio fonologico: inventario povero, con eventuale presenza di fonemi estranei alla lingua target.

(Davis & Velleman, 2000; Forrest, 2003; ASHA, 2007; Maassen, 2010; Sabbadini, 2013).

Omissioni (vocali, consonanti, sillabe). Ad es., àto per auto, mìta per matita (prevalenza di strutture bisillabiche,. Cfr., Chilosi et al., 2014a).

19 Marotta L. & Caselli M. C. (2014). I disturbi del linguaggio. Caratteristiche, valutazione,

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(Crary et al., 1984; Davis & Velleman, 2000; ASHA, 2007; Grigos & Kolenda 2010; Highman et al., 2012).

Relazione tra errori, grado di complessità e lunghezza del target: l'adeguatezza articolatoria decresce con l'aumentare della lunghezza e della difficoltà fonetica del target. Infatti, si manifestano maggiori difficoltà con le sequenze di parole rispetto alle singole parole.

(Yorkston et al., 1990; Dworkin, 1991; McNeill et al., 1997; Forrest, 2003; Velleman, 2003).

Sostituzioni (di vocali, consonanti, sillabe). In alcuni casi, nelle sostituzioni compare un suono preferito (anche estraneo alla lingua target).

(Forrest, 2003; Davis & Velleman, 2000; ASHA, 2007; Highman et al., 2012).

Difficoltà lessicali e morfosintattiche: il lessico è carente e lento nello sviluppo. Presenza di agrammatismo e di linguaggio telegrafico.

(Beate et al., 2003; Lewis et al., 2004; ASHA, 2007; McNeill & Gillon, 2013).

Difficoltà nella letto-scrittura: difficoltà generiche, presumibilmente riconducibili a deficit di rappresentazione fonologica.

(Davis & Velleman, 2000; Moriarty & Gillon, 2006; ASHA, 2007, Zaretsky et al., 2010).

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Difficoltà oro-motorie non linguistiche: nel bambino disprassico, a causa della scarsa energia muscolare, 20 risultano compromessi i movimenti della mandibola (apertura e chiusura della bocca), lenti ed instabili, e i movimenti della lingua..

(Forrest, 2003; Lewis, 2004; ASHA, 2007; Grigos & Kolenda 2010; Highman, 2012).

Alle manifestazioni elencate nella Tabella I va aggiunta una caratteristica ancora molto controversa:

Divario tra difficoltà linguistiche ricettive ed espressive: si registrano maggiori difficoltà nella produzione. Il divario, sempre presente anche nei bambini con sviluppo tipico, nei bambini disprassici verbali si presenta decisamente superiore. (Davis, Jakielski, & Marquardt, 1998; Davis & Velleman, 2000; Campbell & Gretz, 2009, McNeill & Gillon, 2013).

Questo dato è contestato da Lewis et al. (2004) e Highman et al. (2012).

La descrizione dei casi di disprassia verbale ci pone inevitabilmente di fronte alla complessità e alla varietà della sindrome, una varietà resa ancora più problematica se la patologia si accompagna ad altri disturbi evolutivi. I bambini disprassici, infatti, presentano progressioni linguistiche diverse, con forti variazioni anche in soggetti coetanei. Ciò dipende da vari fattori: il grado diverso di gravità della patologia; l’età

20 Tale dato è, però, in contrasto con quanto detto nella definizione iniziale della patologia, in cui si afferma l'assenza di deficit muscolari. Gli studiosi, tuttavia, trovano un possibile accordo, sostenendo che la difficoltà nel produrre un certo movimento volontario non permette di esercitare la muscolatura dell'organo addetto alla sua realizzazione, dunque si presenta un'energia muscolare inferiore alla norma. Solo con la pratica i muscoli si allenano e permettono di svolgere senza grandi difficoltà movimenti necessari per la produzione vocale.

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della diagnosi; l'efficacia del percorso terapeutico. L'eterogeneità sintomatica ostacola inevitabilmente la diagnosi e pone in tutta la sua evidenza la necessità di terapie che tengano conto di questa forte variabilità (Portwood, 2013).

1.3.1 L'eloquio del bambino disprassico

Sulla base della precedente classificazione clinica si evidenzia, innanzitutto, come l'eloquio del bambino disprassico si presenti scarsamente comprensibile. Gli autori (Ozanne, 1996; Caruso & Strand, 1999; Nijland, 2003), che ipotizzano come base della disprassia un disturbo al meccanismo preposto alla produzione fonologica, specificamente ipotizzano un deficit nella formazione del template fonologico e nella conversione di stringhe fonologiche astratte in comandi motori. Come conseguenza di ciò, il bambino presenterebbe, omissioni e sostituzioni vocaliche, consonantiche e sillabiche nella fase di selezione e combinazione dei fonemi costitutivi della parola.

Già nei primissimi mesi di vita il bambino manifesta delle peculiarità: è più silenzioso rispetto ai coetanei (Campbell, 2003; Velleman, 2011); incontra difficoltà ad apprendere ed esercitare gli schemi motori deputati alla produzione linguistica; la lallazione è atipica, talora presentandosi in ritardo, talora assente fin quando non si intervenga terapeuticamente. Inevitabilmente, in tal modo, viene influenzata negativamente una fase di estrema importanza per il futuro linguistico del bambino: quella delle prime parole. Allorché si affaccia nello sviluppo del bambino, la lallazione è limitata e poco variegata, 22 caratterizzata anche dalla presenza di suoni non appartenenti alla lingua target. Il ristretto repertorio fonologico determina un significativo ritardo della fase monorematica e, poi, dirematica. Pertanto la persistenza delle difficoltà provoca un rallentamento dello sviluppo sia lessicale che morfosintattico

22 Il bambino possiede un inventario fonetico piuttosto povero, soprattutto per quanto riguarda le consonanti. Pertanto, il bambino utilizza i pochi fonemi del suo inventario per la vasta gamma di fonemi bersaglio. Coll-Florit M. et al. (2014). Trastornos del habla y de la voz.

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(ASHA, 2007). A queste manifestazioni si aggiungono: produzione di errori incoerenti; adeguatezza del suono inversamente proporzionale alla complessità e difficoltà fonetiche; errata articolazione di sequenze di suoni, per cui sono prodotti singoli suoni ma permane difficoltà con la sillaba.

Nel passaggio alla formazione del template fonologico della parola in cui vengono assemblati i suoni precedentemente selezionati, si evidenzia una difficoltà di pianificazione che è interpretabile all’interno della già ricordata dissociazione automatico-volontario. Infatti, gli errori non sono attribuibili a deficit muscolari o a disturbi sensoriali (Crary et al., 1984), dal momento che il bambino è in grado di produrre le parole spontaneamente, ma non se esplicitamente richieste.

L'esecuzione è per lo più lenta, monotona, con manifeste difficoltà nel ritmo, nella prosodia sia lessicale che frasale. Secondo Shriberg et al. (2003), le difficoltà prosodiche dipendono dalla scarsa coordinazione spazio-temporale, ovvero dalla incapacità di pianificazione e di programmazione. Alcuni bambini, nel tentativo di parlare, faticano a muovere labbra, lingua e bocca, per cui rinunciano. Espressione massima di questa difficoltà è il groping, che segnala come talora siano difficili anche semplici attività volontarie che richiedono l'uso dei muscoli bucco-facciali (ad esempio, alcuni movimenti fini della masticazione e sequenze motorie come il sorriso e il bacio).

Come emerge dall’elenco dei caratteri presenti nelle Tabelle I e II, l'attenzione degli studi agli aspetti lessicali e grammaticali è decisamente inferiore rispetto all'interesse per gli aspetti fonetico-fonologici. Ciò è prevedibile, considerato che il livello fonetico-fonologico si impone prioritariamente per il suo impatto in certa misura totalizzante sull'esordio linguistico del bambino: è inevitabile, che le difficoltà sintattiche si manifesteranno solo nei casi di disprassia verbale lieve o moderata. Il perseverare delle difficoltà fonetico-articolatorie compromette necessariamente l'acquisizione grammaticale, posticipandone sensibilmente l'esordio e, dunque, alterando la naturale successione delle fasi acquisitive e sfalsando il rapporto tra età cronologica e percorso critico o sensibile.

I pochi studi sull'aspetto morfosintattico, peraltro nella sola lingua inglese, 23

23 Attualmente gli studi su bambini disprassici verbali riscontrati in letteratura sono più incentrati sui bambini di lingua madre inglese. Si vedano gli studi di Ekelman & Aram (1983), Lewis et al. (2004), Rvachew et al. (2005) e McNeill & Gillon (2013).

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segnalano una maggiore compromissione della morfologia legata rispetto alla morfologia libera, con assenza del morfema verbale -ed per la formazione del tempo passato nei verbi regolari, e con sostituzione dei verbi irregolari con forme verbali non flesse o regolarizzate. Altro fenomeno ricorrente è l'omissione della terza persona singolare -s del tempo presente che, secondo Ekelman & Aram (1983) e McNeill & Gillon (2013), non è attribuibile a problematiche fonetico-articolatorie, dal momento che il morfo –s è presente come morfema di numero e di possesso. Alla luce di questi dati sulla lingua inglese è prevedibile che i bambini disprassici verbali esposti a lingue maggiormente flessive (come ad esempio l'italiano) presenteranno un quadro più compromesso, con fenomeni non solo di agrammatismo (per la morfologia libera), ma anche di paragrammatismo. Anche i pronomi sono un bersaglio privilegiato con frequenti errori paragrammatici o agrammatici. Sempre riguardo alla descrizione dei bambini disprassici anglofoni emergono altri aspetti della loro fragilità morfosintattica: l'omissione o l'erronea selezione dell'ausiliare e la mancata inversione dei costituenti nelle proposizioni wh-. Le poche frasi prodotte sono semplici e con pochi elementi: costruzioni paratattiche e lunghezza media degli enunciati testimoniano che lo sviluppo morfosintattico è ridotto, 24 con conseguente produzione povera e scorretta. L’insieme di questi fenomeni determina uno stile telegrafico (peraltro comune a diverse tipologie di disturbo linguistico, sia evolutivo che acquisito) che, come sempre, se persiste fino all'età scolare, rallenta e talora compromette in modo definitivo l'acquisizione linguistica, a tutti i livelli della sua architettura, con grave danno per l'alfabetizzazione. I bambini disprassici intorno ai 4 anni per lo più manifestano un deficit nella consapevolezza fonologica che è cruciale per lo sviluppo dell'alfabetizzazione (Justice & Schuele, 2004), rischiando quindi nel processo di apprendimento della letto-scrittura (Moriarty & Gillon, 2006). I risultati dello studio di McNeill (2009), in cui si confronta la consapevolezza fonologica di bambini con disprassia e di bambini con inconsistency speech disorders, mostrano un'inferiorità dei primi. 25 Purtroppo, la scarsità degli studi

24 McNeill B.C., Gillon G.T. (2013). Expressive morphosyntactic development in three children

with childhood apraxia of speech, p. 9-17.

25McNeill B.C, Gillon G.T, Dodd B. (2009). Phonological awareness and early reading

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non consente di caratterizzare adeguatamente lo sviluppo morfosintattico del bambino e di approntare, conseguentemente, metodi terapeutici.

Intento della presente tesi è contribuire alla comprensione di questo ambito poco esplorato e, quindi, poco conosciuto. La raccolta dei dati vuole contribuire a definire un quadro dell'acquisizione morfosintattica in bambini disprassici di lingua madre italiana.

1.4 Lo stato dell'arte: approcci metodologici

Fino a tempi del tutto recenti (Hall et al., 1993; McCabe et al., 1998; Shriberg et al., 2003) non esistevano linee guida sulla disprassia verbale in età evolutiva. Negli ultimissimi anni, la situazione è in parte cambiata sia pure con i limiti che abbiamo più volte evidenziato. Le indagini più recenti (ASHA, 2007; Campbell et al., 2009; McNeill et al., 2013) hanno contribuito a definire i concetti basilari sopra ricordati che, pur con i diversi approcci metodologici, hanno permesso di individuare un insieme di caratteristiche in grado di differenziare la disprassia verbale da altri speech disorders. Grande interesse è stato attribuito agli studi linguistici, motori e linguistico-motori, come ho più volte ricordato, dal momento che la patologia investe la pianificazione e programmazione dei movimenti deputati alla produzione vocale. Altri studi si sono rivolti alla genetica, agli aspetti neuro-morfologici e a quelli neuro-funzionali, che hanno portato a nuove ipotesi sulla natura della patologia in oggetto.

1.4.1 Studi linguistici

Relativamente agli studi linguistici, si consolida la focalizzazione quasi esclusiva sull'aspetto fonetico-fonologico che pone, però, dei limiti alla comprensione

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17 della patologia nella sua complessità.

A livello segmentale, rilevanti sono le indagini di Grigos & Kolenda (2010), i quali segnalano una prevalenza di difficoltà con le consonanti, con alta percentuale di cancellazioni a fine parola (31%), decisamente superiore a quella ad inizio di parola (20%). Shriberg et al. (2009), in seguito alla somministrazione del SRT (Syllable Repetition Task), osservano che una buona percentuale di errori è interpretabile come errore di codifica, di immagazzinamento e di recupero rappresentazionale. 26

A livello soprasegmentale, importanti sono gli studi di McCabe (1998) e Davis & Velleman (2000). Tali studiosi concordano sulla presenza di una prosodia atipica nell'eloquio del bambino, caratterizzata da uso incoerente dell'organizzazione spazio-temporale della catena linguistica, nelle sue componenti lessicali e sublessicali, e da accento monotono o enfatico. 27 Le recenti analisi differenziali condotte da Shriberg (2013) rilevano una maggiore presenza di pause inappropriate nei bambini disprassici verbali rispetto a soggetti colpiti da altri disturbi linguistici, che sarebbero responsabili della già più volte ricordata alterazione prosodica complessiva. I dati sugli aspetti fonetico-fonologici (Davis et al., 2000; Forrest, 2003; Lewis et al., 2004; McNeill et al, 2009) riguardano quasi esclusivamente bambini di lingua madre inglese, altro limite dell'indagine linguistica già più volte sottolineata. Alcuni studi, complessivamente pochi, sono stati condotti su bambini di lingua italiana, araba, francese e portoghese. Un apporto significativo per la lingua italiana è fornito dagli studi condotti da L. Sabbadini. Rilevante è il contributo di Lorenzini et al. (2015) che presenta uno studio sistematico sulle caratteristiche fonetico-fonologiche dell’eloquio di bambini con disprassia verbale di lingua italiana. In tale indagine, il processo d'errore più frequente nel campione di bambini analizzati è la sostituzione di consonanti; a seguire, si collocano le cancellazioni e le semplificazioni di consonanti; le semplificazioni di dittonghi vocalici e di nessi consonantici e, a livello soprasegmentale, la cancellazione sillabica. 28

26 Shriberg L. D., Lohmeier H. L., Strand E. A. & Jakielski K. J. (2012). Encoding, memory, and

transcoding deficits in Childhood Apraxia of Speech, p. 445-482.

27 Grigos M. I. & Kolenda N. (2010). The relationship between articulatory control and

improved phonemic accuracy in childhood apraxia of speech: a longitudinal case study, p. 17-40.

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Interessante e inedito è il rilevamento di due processi: geminazione consonantica e abbassamento delle vocali (Lorenzini et al., 2015).

Relativamente alle problematiche morfosintattiche, importanti sono gli studi di Beate et al. (2003), per i quali le difficoltà fonetico-fonologiche non sono in grado di spiegare gli errori morfosintattici: concordano, piuttosto, con l'osservazione del successivo studio di McNeill & Gillon (2013) e con il più datato studio di Ekelman & Aram (1983), nei quali si dà molto risalto al fatto che le performance variano con il variare del contesto morfologico. Abbiamo già ricordato il diverso esito del morfo legato -s a seconda della funzione morfologica. Lewis et al. (2004) riconducono l'intera fenomenologia della sindrome, secondo l'approccio più consolidato, alle limitazioni fonologico-articolatorie, dal momento che le difficoltà sintattiche e morfologiche risentono, a cascata, delle difficoltà fonetico-fonologiche.

Gli studi dei bambini disprassici verbali (Rvachew, Gaines, Cloutier & Blanchet, 2005; Campbell & Gretz, 2009) si sono concentrati essenzialmente sulla produzione, sia a livello fonetico-fonologico, segmentale e soprasegmentale, sia a livello morfosintattico. Ciò non esclude che possano esserci deficit anche in comprensione. Infatti, alcuni studi hanno cercato di valutare proprio questo aspetto. Davis et al. (1998) descrivono alcuni soggetti disprassici che presentano il linguaggio espressivo in ritardo rispetto alla lunghezza media dell'enunciato (LME) e carente dal punto di vista morfosintattico, ma con una comprensione appropriata all'età, diversamente da quanto accade in soggetti con altri disturbi linguistici i quali manifestano un ritardo sia in produzione che in comprensione. Una maggiore compromissione nella produzione è evidenziata anche nei recenti studi di McNeill & Gillon (2013) che, pur segnalando più deficit morfosintattici in uscita, tuttavia descrivono delle difficoltà morfosintattiche anche in input. Secondo altri studiosi (Lewis et al., 2004), le difficoltà linguistiche interessano in egual misura produzione e comprensione.

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1.4.2 Studi motori

Per meglio comprendere la complessità del disturbo, importanti sono gli studi specificamente mirati sull'aspetto motorio. La difficoltà riscontrata in compiti di ripetizione di sillabe in sequenza (pa-pa-pa; ta-ta-ta) e nella coarticolazione di sequenze di sillabe alternate (pa-ta-ka) (Thoonen et al., 1996; Maassen et al., 2001) ha reso opportuno indagare la capacità diadocinetica, ovvero la capacità di movimenti rapidi, sequenziali e di coordinazione degli organi fono-articolatori. La coordinazione spazio-temporale è un'abilità essenziale ai fini del primo sviluppo linguistico che si raggiunge tipicamente entro i 6 anni d'età. 29 Valutando, dunque, le abilità di sequenziamento e di transizione in compiti diadocinesici, Davis et al. (1998) riscontrano, conformemente alle loro aspettative, performance molto povere: in alcuni soggetti la ripetizione di sillabe è rallentata; in altri, è priva di ritmo ed è frammentata.30 Si rileva (Williams & Stackhouse, 2000), inoltre, un'attività diadocinetica deficitaria anche dal punto di vista dell'accuratezza e della coerenza.

Le performance dei bambini disprassici verbali evidenziano atipicità nello sviluppo della coordinazione motoria di lingua, labbra, mandibola e articolatori (palato molle e denti). Nello specifico, Grigos & Kolenda (2010) rilevano la presenza di movimenti instabili della mandibola. 31 Inoltre, Murdoch et al. (1995) scorgono una debolezza della muscolatura linguale, sia per forza che resistenza, che renderebbe difficile mantenere una posizione articolatoria. Si verificherebbe, in tal modo, un deficit nel controllo motorio sia riguardo ai modi che al punto di articolazione, che indurrebbe il bambino a produrre fonemi che si collocano a metà tra due. Questi dati sono in

29Netsell (1981). The acquisition of speech motor control: A perspective with directions for

research, p. 127-153.

30 Nel corso della ripetizione di sillabe, i movimenti risultano discontinui e scomposti a causa dell’irregolarità nel mantenimento e nella forza impiegate per l’esecuzione.

31Questi movimenti mandibolari che caratterizzano il controllo articolatorio sono essenziali soprattutto nelle fasi iniziali dello sviluppo linguistico tipico del bambino al fine di apprendere e riprodurre corretti schemi motori. MacNeilage & Davis (2000). Origin of the Internal Structure of Words, 288, p. 527-531.

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contraddizione con quanto sostenuto finora sulla natura della patologia, in cui si esclude, cioè, un coinvolgimento di fattori motori periferici quali paralisi o debolezza dei muscoli articolatori. Come detto nel capitolo precedente, gli studiosi spiegano la scarsa energia muscolare asserendo che le difficoltà, nell'effettuare un movimento finalizzato alla produzione verbale, non consentono l’esercizio della muscolatura.

Negli ultimi anni, sono stati introdotti modelli di reti neurali per studiare l'acquisizione e la produzione del linguaggio che analizzano le relazioni tra le funzioni motorie del linguaggio e le loro localizzazioni corticali. Tali modelli, implementati con simulazioni computazionali, sono dotati di mappe di reti neurali acquisite nel corso delle fasi di formazione della lallazione, fasi in cui il bambino comincia ad apprendere la stretta correlazione tra il piano acustico (quanto ha udito) e il piano motorio (per produrre tale suono). I modelli di reti neurali sono stati applicati, dunque, ai meccanismi per la sintesi del linguaggio che risultano colpiti nella disprassia, coerentemente con l'interpretazione di essa come deficit non periferico ma di pianificazione e programmazione centrale che colpisce il controllo motorio di feed-forward, meccanismo decisionale che precede l'esecuzione motoria e che garantisce una fluida e rapida produzione articolatoria (Sabbadini, 2013). Quando un bambino impara a produrre dei suoni, il sistema di feed-back fornisce al bambino informazioni sensoriali e uditive, e il sistema feed-forward lo aiuta a prevenire un errore, permettendo di effettuare aggiustamenti motori (Guenther, 2006). Nel corso dell'acquisizione di un target linguistico, dunque, il bambino si affida al sistema uditivo e somatosensoriale (informazioni tattili e propriocettive), poiché non si sono ancora stabilizzati i comandi motori per quel determinato target che solo con la pratica saranno memorizzati nel sistema di feed-forward (Guenther, 1995). Se i comandi di feed-forward sono imprecisi, è difficile recuperare le informazioni per la programmazione dello specifico target articolatorio. Pertanto, ogni movimento è come se fosse sempre nuovo.

Gli studiosi Guenther et al. (2006) e Terband et al. (2009) ricorrono al modello DIVA (Direction Into Velocities of Articulators), un controllore di reti neurali per la sintesi del parlato. Attraverso simulazioni computazionali Terband et al. (2009) hanno osservato che la debolezza e l'instabilità del meccanismo di controllo di feed-forward porta il sistema di produzione linguistica a soffrire di una maggiore dipendenza dal

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sistema di controllo uditivo di feed-back. Secondo Terband & Maassen (2010), è la mancata maturazione del meccanismo feed-forward che porta il bambino con disprassia verbale a fare affidamento sul meccanismo di controllo feed-back, per cui i movimenti si presentano lenti e imprecisi, con fallimento nel raggiungere il target. Si ipotizza anche (Terband et al., 2009) che la causa di questa imprecisione e debolezza del controllo di feed-forward sia da attribuirsi a due possibili situazioni: (a) carenza di informazioni somatosensoriali della zona orale, 32 dal momento che nei bambini disprassici verbali si riscontra deficit nella trasmissione di impulsi della sensibilità propriocettiva (Ozanne, 2005); (b) aumento del rumore neurale, che consiste nell'aumento dell'attività neurale che avviene in maniera casuale nelle reti neurali e, pertanto, altera la trasmissione del segnale elettrico impedendo la realizzazione di movimenti veloci e precisi. Questi processi, come è sottolineato da Lorenzini (2013), sembrano contraddire quanto sostenuto precedentemente in merito all’esistenza del deficit fonologico-rappresentazionale nei bambini disprassici verbali: non è comprensibile come un bambino privo di rappresentazioni stabili e correttamente formate (Zaresky et al., 2010; McCormick, 2000) sia in grado di accostare la produzione effettuata al template.

In sintesi, la letteratura qui esaminata e rappresentativa dell’intero panorama scientifico mette in luce posizioni diverse riguardo alle cause delle difficoltà del bambino disprassico nel controllo della propria motricità.

1.4.3 Studi linguistico-motori

Le ricerche linguistico-motorie sono state meno approfondite. La correlazione tra abilità linguistiche e abilità motorie, idea alla base di questo filone di indagine, risale agli studi di Crary (1984, 1993). Lo studioso associa alla disprassia verbale in età

32 Tali informazioni somatosensoriali sono importanti tanto quanto le informazioni uditive per la

speech production, come confermato dagli studi di Nasir et al. (2006) Somatosensory precision in speech production.

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evolutiva un continuum di problematicità estese ai livelli linguistici (pianificazione) e motori (esecuzione) che interferiscono con l'apprendimento motorio dello speech. Altri studi più recenti (Le Normand et al., 2000) concordano nel sostenere che lo sviluppo del linguaggio segue un percorso parallelo a quello motorio. Nello studio longitudinale di un soggetto colpito dalla patologia, Le Normand et al. (2000) osservano un miglioramento sincrono nella produzione linguistica e nello sviluppo neuro-motorio, entrambi inferiori però rispetto al miglioramento nella comprensione linguistica.

L'interazione tra il dominio linguistico e quello motorio sottolineata anche dalla Goffman (2010) sia in soggetti colpiti da disturbi linguistici sia in soggetti con sviluppo tipico, viene riscontrata in altri campi di indagine: MacNeilage (1981) e Kent (1981, 1984, 1992) evidenziano, nel loro studio neurofisiologico, l'interazione dell'acquisizione fonologica con l'acquisizione motoria; Molfese & Betz (1987) supportano l'idea di uno sviluppo linguistico e motorio parallelo, legato alla maturazione del sistema nervoso centrale; McNeill (2000) sottolinea la relazione tra gesto e linguaggio perché accomunati da un medesimo processo mentale. Nicolai (2006) enfatizza la natura di azione del linguaggio, trovando supporto ad una loro stretta correlazione nei dati forniti dalle neuroimmagini.

L'esistenza di una forte correlazione tra l'ambito linguistico e quello motorio è condivisa anche da Velleman (1994), secondo la quale la compresenza di deficit fonologici e motori impedisce al bambino di fare pratica con le abilità linguistiche e motorie, influenzando, dunque, negativamente il corso dello sviluppo linguistico. 33

1.4.4 Studi genetici

Tra le recenti ricerche genetiche (Worthey et al., 2013; Laffin et al., 2012) spiccano soprattutto gli studi sul gene FOXP2, individuato per la prima volta in una

33 Velleman S.L. (1994). The interaction of phonetics and phonology in developmental verbal

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famiglia londinese, soprannominata KE (Fisher et al., 2001), che è stata il punto di partenza delle ricerche genetiche sulla patologia. In molti membri multigenerazionali della famiglia si riscontrano scarsa intelligibilità delle parole e problemi con la morfosintassi e con la comprensione grammaticale. 34 Vari studiosi (Lai et al., 2001; Liégeois et al., 2003; Vargha-Khadem et al., 2005; Terband et al., 2011; Turner et al., 2013) associano, dunque, la disprassia verbale in età evolutiva alla mutazione del gene FOXP2, gene localizzato sul cromosoma 7p13 e le cui mutazioni sono causa di un mal funzionamento durante la sintesi delle proteine FOXP2, essenziali per un corretto sviluppo cerebrale. Trattandosi di un gene espresso nello sviluppo delle aree implicate nei processi motori e sensoriali, quali talamo, cervelletto e gangli basali, l'insorgenza di una mutazione in queste aree durante l'embriogenesi o lo sviluppo post-natale altera le informazioni genetiche durante la replica del DNA con conseguente impatto negativo sullo sviluppo delle abilità linguistiche. 35 I casi di soggetti disprassici verbali a cui è stata riscontrata una mutazione del gene FOXP2 sono molti, eppure altrettanto numerosi sono, come affermano alcuni studi genetici (Fisher et al., 2009), i casi di soggetti disprassici che non la presentano. Ciò costituisce un limite per le ipotesi genetiche: né l'identificazione del gene né le sue mutazioni sono sufficienti, dunque, a spiegare l'eziologia della patologia. Secondo l'ASHA (2007), tali mutazioni non si possono considerare un fattore certo di rischio.

La scoperta di altri geni e varianti associate ad altri disturbi linguistici induce a supporre che altri geni, oltre al FOXP2, possano essere coinvolti nella insorgenza della disprassia verbale evolutiva. È questo il caso del gene CNTNAP2 36 che, secondo l'ipotesi di Laffin et al. (2012) e Worthey et al. (2013), sarebbe coinvolto in disturbi

34 Si intenda per mutazione: alterazioni nella sequenza genetica, nelle varianti del numero di copie genomiche e traslocazioni. Turner et al., (2013). Small intragenic deletion of FOXP2 associated with childhood apraxia of speech and dysarthria, p. 2321-2326.

35 Lai C. S., Fisher S. E., Hurst J. A., Vargha-Khadem F. & Monaco A, P. (2001). A forkhead-domain gene is mutated in a severe speech and language disorder, p. 519-523.

36 Laffin et al (2012) affermano il legame tra il gene CNTNAP2 (contactin associated

protein-like 2) e il gene foxp2, che ne regola l'espressione. Novel candidate genes and regions for Childhood Apraxia of Speech (CAS) identified by array comparative genomic hybridization, p. 928-936.

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neuro-evolutivi, essendo stato individuato in casi di autismo, dislessia, disprassia verbale evolutiva. Secondo l'ipotesi di Raca et al. (2013), la disprassia può essere attribuita alla cancellazione di una specifica sezione, 16p11.2, a carico di uno dei due cromosomi 16. Gli studiosi suppongono che la mancanza di questa sezione, rilevata in due pazienti con disprassia verbale evolutiva, aumenti il rischio di insorgenza della patologia in misura maggiore rispetto ai casi in cui si presenta la mutazione del gene FOXP2. Nei loro studi è stata individuata solo in uno dei soggetti esaminati e in due membri della famiglia. Anche Fisher et al. (2009) concordano con quest'ipotesi, affermando, inoltre, che tali microcancellazioni della sezione 16p11.2 che, inizialmente, si pensavano associate solamente all'autismo, oggi sono considerate più estesamente coinvolte nei disturbi linguistici.

Da quanto fin qui detto, si può sostenere che i dati genetici, peraltro quasi esclusivamente relativi ai membri della famiglia KE, non sono applicabili ai soggetti disprassici verbali in generale e che i percorsi causali monogenetici associati alla disprassia lasciano il posto a nuove ipotesi a favore di un'eterogeneità genetica alla base della patologia. Al di là di tale complessità genetica, l'unica certezza è la natura (anche) genetica della patologia che costituisce, dunque, un fattore di rischio per i membri delle famiglie positive per disprassia verbale.

1.4.5 Studi neuromorfologici e neurofunzionali

Gli studi neurofunzionali e neuromorfologici (in minoranza rispetto agli altri filoni di indagine) hanno rilevato anomalie morfologiche e funzionali in soggetti disprassici verbali che, però, non consentono ancora un'interpretazione univoca. Gli studi più significativi sulla presenza di eventuali anomalie a livello cerebrale sono ancora una volta forniti dalla famiglia KE.

Dal punto di vista funzionale, sono rilevanti gli studi di Vargha-Khadem et al. (1998): durante la ripetizione di parole e non-parole e durante l'esecuzione di movimenti

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oro-facciali in sequenza, la tomografia ad emissione di positroni (PET) e l’elettroencefalogramma (EEG) registrano cambiamenti nell'attività cerebrale di membri colpiti dalla patologia rispetto a soggetti con sviluppo tipico. Watkins et al. (1999) rilevano un'iperattività nel nucleo caudato durante compiti di produzione, mentre Liégeois et al. (2003) osservano una concomitante ipoattività nel giro frontale inferiore sinistro (Area di Broca) e nella corteccia temporale posteriore (area di Wernicke). Tale caratteristica è stata osservata recentemente anche da Tkach et al. (2011) in soggetti non appartenenti alla famiglia KE e a cui erano stati diagnosticati altri speech sound disorders. Queste zone presentano anomalie anche dal punto di vista morfologico: Belton et al. (2003) individuano bilateralmente un aumento della materia grigia nel planum temporale e una riduzione di materia grigia nel nucleo caudato, nel cervelletto e nel giro frontale inferiore destro e sinistro, aree associate all'elaborazione motoria e linguistica. Di queste strutture, solamente il nucleo caudato sembra presentare anomalie strutturali bilateralmente rispetto a membri non colpiti dalla patologia (Vargha-Khadem et al., 1998). Sulla base dei dati ricavati dalle prestazioni di alcuni membri della famiglia KE confrontati con quelli di altri membri della famiglia non colpiti da disprassia verbale, Watkins et al. (2002) ipotizzano che la differenza di volume osservata nel nucleo caudato sia proporzionale al danno a livello del controllo oro-motorio.

Allo stato attuale sono ancora molte le lacune nel campo degli studi neurofunzionali e neuromorfologici della disprassia verbale. Gli studi finora disponibili sono scarsi e circoscritti alla famiglia britannica: ciò impedisce una generalizzazione a tutti i soggetti colpiti dalla disprassia verbale.

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Capitolo 2 - Acquisizione della morfosintassi da parte di bambini italofoni con sviluppo tipico

2.1 L'acquisizione linguistica e le sue teorie

L'acquisizione linguistica è un processo da sempre oggetto di molte osservazioni e studi. Le teorie sviluppatesi intorno gli anni '50 del secolo scorso consideravano l'apprendimento linguistico un insieme di comportamenti linguistici appresi tramite il meccanismo di rinforzo stimolo/ risposta o attraverso il meccanismo dell’imitazione. 37 Questo approccio (neo-) comportamentalista venne contrastato con un nuovo modello di acquisizione linguistica, esposto da Noam Chomsky tra gli anni ’60 e gli anni '70. Accettato pressoché universalmente, pur con delle modulazioni diverse al suo interno, il modello afferma che il processo di acquisizione linguistica è reso possibile da un equipaggiamento innato specificamente dedicato. Si ritiene, infatti, che l'imitazione di modelli linguistici proposti dagli adulti e/o l'interiorizzazione delle associazioni stimolo/risposta non sono in grado di spiegarne l'acquisizione: l’acquisizione non è un processo imitativo, ma creativo. Il bambino elabora i dati linguistici forniti dall’ambiente che lo circonda grazie alla grammatica innata e grazie ad essa è in grado di generare un numero infinito di frasi nuove, mai sentite prima nell'ambiente in cui vive e per le quali è impossibile aver ricevuto alcun rinforzo. “Il bambino non potrebbe mai scoprire cosa non si dice”. 38

La facoltà di linguaggio innata e specifica, cui fa appello Chomsky (1981) 39 e che guida il bambino nell'acquisizione della lingua materna, è la Grammatica Universale (GU), considerabile una matrice biologica costituita da un insieme di

37 Guasti M. T. (2007). L'acquisizione del linguaggio. Un'introduzione, p. 49-54.

38 Per maggiori informazioni si rinvia a quanto esposto in Cook (1990). La grammatica universale. Introduzione a Chomsky.

39 Chomsky N. (1981). Lectures on government and bilding. Dordreche: Foris, cit. in Chini M. (2005). Che cos’è la linguistica acquisizionale, p. 29.

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Principi, proprietà universali valide per ogni lingua, che forniscono al bambino un numero limitato di ipotesi possibili sulle regole grammaticali della lingua cui è esposto. Compito del bambino è fissare i Parametri, che determinano la variabilità sintattica interlinguistica, sulla base dei dati dell'esperienza. 40

2.1.1 Le fasi dell'acquisizione linguistica

Il processo di acquisizione linguistica viene suddiviso in fasi, in tappe del percorso del bambino che procede attraverso transizioni che lo portano sempre più vicino al target finale. Cipriani e coll. (1993), studiando il comportamento acquisitivo di bambini privi di patologie, hanno isolato tre passaggi cruciali:

dal prelinguaggio al linguaggio: ovvero dallo stato in cui i bambini producono i primi fonemi e imparano a lallare, a quello in cui iniziano a produrre le prime parole, intorno ai 12 mesi, con intento comunicativo. 41

dal linguaggio olofrastico al linguaggio combinatorio. Questa transizione è caratterizzata da un più lento e graduale percorso di acquisizione. Solitamente, in questa fase i bambini iniziano a manifestare pensieri complessi, concetti o richieste, esprimendosi con enunciati composti di una sola parola (olofrasi). Per esempio, la forma /aua/ potrà significare voglio l'acqua, bevo l'acqua, o altro ancora. Più avanti, imparando le possibilità combinatorie della lingua (Guasti, 2007: 131), saranno in grado di esprimersi con enunciati composti da due o tre parole. 42

dalla fase presintattica alla fase sintattica. La terza transizione, che verrà

40 Antelmi D. (1997). La prima grammatica dell'italiano. Indagine longitudinale

sull'acquisizione della morfosintassi italiana, p. 15.

41 Guasti M. T. (2007), p. 96.

42L'aumento del numero di elementi all'interno dell'enunciato è proporzionale all'incremento lessicale, dunque, gli enunciati prodotti in seguito cominceranno ad essere formati da tre o più parole.

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approfondita in maniera più dettagliata nel paragrafo successivo in quanto argomento specifico della presente tesi, è caratterizzata dall'acquisizione della morfologia libera e flessiva e delle strutture sintattiche semplici e complesse. 43

È da sottolineare che, sebbene tale classificazione sia ben consolidata, la combinazione di cui si parla nella transizione dal linguaggio olofrastico al linguaggio combinatorio può già considerarsi una forma in luce di sintassi: le frasi prodotte dai bambini in questa fase si limitano per lo più ad espressioni dirematiche, ma sono dotate di proprietà strutturali accompagnate da un’intonazione appropriata.

2.2 L'acquisizione della morfosintassi e le sue fasi

In passato, l'attenzione rivolta alle produzioni spontanee di bambini di lingua italiana è stata inferiore rispetto a quella dedicata a soprattutto all'inglese, ma anche al francese, al tedesco e al russo. 44 La letteratura italiana, alla fine degli anni '70 del secolo scorso, presentava pochi studi sul linguaggio spontaneo infantile; in essi si approfondivano, prevalentemente, l'aspetto fonetico, morfologico e pragmatico ed era decisamente sottovalutato quello sintattico. Un incremento di interesse si registra intorno agli anni '80, con studi dedicati all'analisi morfologica (Pizzuto e Caselli, 1989a, 1989b, 1992, 1993; Devescovi, 1984; 1986a, 1986b, 1987 cit. in Antelmi,1997) e morfosintattica (Cipriani et al., 1993), a cui non fu sicuramente estraneo il consolidarsi del modello chomskiano. Le analisi hanno fornito, con accurate descrizioni, un quadro esplicativo dell'evoluzione morfo-sintattica nei bambini di lingua italiana.

Il modello descrittivo proposto da Cipriani et al. (1993) individua quattro fasi nello sviluppo grammaticale, al termine delle quali il bambino risulta aver acquisito i fondamenti della lingua, che col tempo arricchirà e migliorerà. Per realizzare questo

43 Cipriani P., Chilosi A. M., Bottari P., Pfanner L. (1993). L’acquisizione della morfosintassi in

italiano. Fasi e processi, p. 21.

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lavoro di ricerca, gli studiosi hanno adoperato il sistema di archiviazione automatica dei campioni di linguaggio spontaneo, CHILDES. Per le analisi quantitative, si sono serviti di un ottimo indice di sviluppo, la Lunghezza Media dell'Enunciato (LME) 45 che, calcolata in base al numero di parole, fornisce un'idea dell'incremento della lunghezza degli enunciati prodotti. Relativamente all'analisi qualitativa, è stata valutata l'organizzazione degli elementi all'interno dell'enunciato (presenza o assenza degli argomenti che costituiscono il nucleo della frase insieme al predicato, e presenza di argomenti esterni al nucleo). 46 Sulla base di queste analisi, gli enunciati sono stati distinti in frasi nucleari semplici, nucleari amplificate e complesse. Inoltre, Cipriani et al. (1993), sulla base della comparsa delle strutture formali, hanno suddiviso gli enunciati in:

– semplici o uni-proposizionali (presenza di una sola unità proposizionale). Per esempio, alla domanda di un adulto “con cosa stai giocando?” il bambino risponde “con la palla”;

– complessi o multi-proposizionali (presenza di due o più unità proposizionali). In questo caso, ad esempio, il bambino non dirà solo “con la palla” ma “con la palla di mamma”.

Sulla base di queste analisi, nella definizione delle tappe dello sviluppo morfosintattico sono state individuate:

– I- fase pre-sintattica, in cui la LME è tra 1.2-1.6; – II- fase sintattica primitiva (LME 1.6-2.8);

– III- fase di completamento della frase nucleare (LME 1.9-3.0);

– IV- fase di consolidamento e generalizzazione delle regole all’interno di strutture combinatorie complesse (LME 2.9-5.1).

Nel corso della fase pre-sintattica, ovvero tra i 19 e i 26 mesi, nelle produzioni

45L’unità di misura della LME non è omogenea: gli approcci tradizionali dello sviluppo della morfologia nella lingua inglese la computano in morfemi. Dividendo il numero totale di morfemi legati per il numero totale degli enunciati prodotti dal bambino si ottiene un risultato che, però, è problematico per una lingua morfologicamente ricca come l’italiano, per cui è stato adottato il calcolo in parole. Per maggiori informazioni si rinvia a Nelli C. (1998). L’acquisizione della morfologia libera Italiana. Fasi di un percorso evolutivo. Studi di Grammatica 17, p. 229-362.

46 Brunati E., Fazzi E., Ioghà D., Piazza F. (1996). Lo sviluppo neuropsichico nei primi tre anni di vita. Strategie di osservazione ed intervento, p.86-88.

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spontanee dei bambini si osservano combinazioni di singole parole in successione (SSW 47), enunciati senza verbo e, talvolta, enunciati semplici con omissioni, piuttosto frequenti, di alcuni argomenti e morfemi liberi. Il linguaggio è caratterizzato dalla produzione di parole tra loro connesse con struttura semplice, di tipo telegrafico: compaiono le parole contenuto (nomi, verbi e aggettivi) ma sono quasi assenti le parole funzionali come pronomi, articoli, preposizioni, etc. Pertanto, il bambino dirà: /oio aua/ per “voglio l'acqua”. Se nella morfologia libera si ha, dunque, una comparsa sporadica di morfemi liberi (articoli e preposizioni), nella morfologia flessiva cominciano a comparire le prime flessioni grammaticali con accordi in genere e numero di nome e aggettivo. 48

Nella fase sintattica primitiva (tra i 20 e 29 mesi), la lunghezza degli enunciati aumenta, si consolida la struttura dell'enunciato nucleare semplice e si manifesta un uso più frequente di articoli, preposizioni, clitici e anche della copula, mentre gli ausiliari continuano ad essere assenti.

La fase di completamento della frase nucleare (tra i 24 e 33 mesi) è caratterizzata dalla comparsa degli enunciati complessi, sia completi che incompleti. L'uso degli ausiliari tarda ancora a comparire mentre si manifesta l’uso produttivo degli articoli, delle preposizioni e dei clitici. Il consolidamento morfologico si manifesta anche nella flessione verbale, sebbene permangano ancora numerosi errori di accordo S-V. 49

Nell'ultima fase (tra i 27-38 mesi), infine, si rafforza la morfologia libera, prosegue lo sviluppo di quella flessiva e si assiste al compimento anche morfologico degli enunciati complessi. Lo sviluppo morfosintattico appare, dunque, molto lento e graduale: inizia con l'acquisizione di forme e strutture semplici per terminare con quelle più complesse.

La scelta frequente del termine morfosintassi, adoperato finora, è dettata dalla difficoltà di operare una netta distinzione tra i due aspetti che caratterizzano la

47 Acronimo di Single Successive Words.

48 Cipriani et al. (1993), p. 44-45.

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grammatica di una lingua: morfologia e sintassi. In lingue come l'italiano, le informazioni sintattiche passano soprattutto attraverso quelle morfologiche. Si pensi, ad esempio, ai dati forniti dalla flessione dei verbi: non si limita a specificare il numero e la persona, ma fornisce informazioni anche sul soggetto della frase (ad es. “i bambini guardano la mamma” è diverso da “i bambini guarda la mamma”). Nei paragrafi successivi verrà esposto, in maniera dettagliata, lo sviluppo morfologico e sintattico.

2.2.1 La morfologia

Gli studi sull'acquisizione della morfosintassi italiana (Pizzuto e Caselli, 1992; Devescovi e Pizzuto, 1995; Cipriani et al.1993; Antelmi, 1997; De Marco, 2005), seppur partendo da impostazioni teoriche diverse, concordano nell'affermare che la morfologia libera, quando compare, si presenta più problematica rispetto alla coeva morfologia legata.

2.2.1.1 Morfologia libera

ARTICOLI. Tra i morfemi liberi, gli articoli determinativi compaiono già nella prima fase (pre-sintattica) delle produzioni spontanee dei bambini, anche se la loro monosillabicità e assenza di accento ne rendono più difficile la discriminazione e, dunque, l'acquisizione. Differentemente dai clitici e dalle preposizioni, la cui acquisizione è legata all'incremento del lessico, è dunque significativo come gli articoli, elementi non dotati di spessore semantico, compaiano già nelle prime fasi. 50 Gli articoli, sebbene siano ritenuti “inessenziali per la formazione del significato nel

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linguaggio infantile” (Antelmi, 1997), hanno funzioni testuali e facilitano, secondo Gerken e McIntosh (1993, citato in Antelmi, 1997: 75) la comprensione del linguaggio. Le prime produzioni sono caratterizzate dalla loro omissione (soprattutto all’interno del SN soggetto) e dalla presenza di protoforme . 51 Questi proto-articoli, secondo Bottari et al. (1992), sono dei segnaposto monosillabici, detti anche fillers, che introducono i nomi. Tali forme risultano, foneticamente, vocali non-arrotondate e non-tese, spesso accompagnate dal tratto di nasalità. Per esempio:

[a] palla per la palla,

– oppure [ə] bimbo per il bimbo. 52

Queste realizzazioni segnalano l’emersione della complessità del sistema. Continuano ad essere presenti anche dopo la comparsa dei primi articoli determinativi: più compaiono gli articoli, meno presenti saranno i fillers.53 L'articolo compare tra i 18 e i 26 mesi, e solo dopo i 36 mesi verrà padroneggiato l'intero paradigma. 54 De Marco (2005: 77) osserva che il paradigma iniziale degli articoli è costituito dall'articolo femminile la che, per la sua naturalezza fonologica (Aprile, 2010: 215), è facile da articolare e risulta il più frequente, e dal maschile singolare il. Si osserva invece una bassa percentuale e un apprendimento più tardivo delle forme maschili gli e lo (Pizzuto e Caselli, 1992). Ciò potrebbe essere dovuto alla poca familiarità con le parole che si combinano sintagmaticamente con questi articoli, e alla maggiore difficoltà fonetico-fonologica: risulterà, dunque, più complesso acquisire l'articolo lo, richiesto da parole come stivale o zoccolo (meno frequenti), che gli articoli la (mamma, casa, palla) più facile da articolare, e il (papà, pane, letto).55 In ordine d'acquisizione, come ho già

51 Guasti M. T. (2007), p. 157-162.

52 Esempi tratti da Cipriani et al. (1993), p. 157.

53 I fillers compaiono con il progredire dell'acquisizione linguistica e non “stanno” solo per i determinanti. Più precisamente, prendono il posto dei morfemi liberi (articoli, preposizioni, etc). Mentre, nella fase precedente si osservano operazioni extramorfologiche consistenti in reduplicazioni (cane cane), onomatopee (bau bau), e casi di aferesi (mali per animali). De Marco A. (2005). Acquisire secondo natura. Lo sviluppo della morfologia in italiano, p. 70. 54 Sorianello P. (2012), p. 163.

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accennato precedentemente, le forme singolari, rispettivamente femminile e poi maschile, precedono quelle plurali (Chini, 1995; Pizzuto e Caselli, 1992, cit. in Guasti, 2007: 158; Aprile, 2010: 215). 56

PREPOSIZIONI. Come per gli articoli, anche per le preposizioni la comparsa, seppur sporadica, avviene nella prima fase, ovvero intorno ai 22 mesi. Le prime ad essere acquisite, sulla base dello studio di Antelmi (1997), sono con (compagnia) e a (luogo) alle quali si aggiunge, secondo lo studio di Cipriani et al. (1993), in. L'uso delle preposizioni nelle fasi iniziali è, tuttavia, limitato ad alcuni contesti: 57 infatti, la loro presenza in alcune produzioni spontanee non si accompagna alla loro estensione in tutti i contesti che lo richiederebbero. Nel primo periodo, l'andamento acquisitivo si presenta omogeneo in tutti i bambini: le preposizioni sono scarse e le omissioni sono più cospicue rispetto sia alle sostituzioni che alle presenze. Il periodo successivo è caratterizzato invece (a) da un'alta variabilità interindividuale accompagnata dall'aumento dei contesti d'uso di alcune preposizioni; 58 (b) dal consolidamento di morfemi già precedentemente acquisiti; (c) dall'incremento della presenza delle preposizioni rispetto alle sostituzioni e (d) dalle omissioni che cominciano a diminuire gradualmente (Sorianello, 2012; Cipriani et al., 1993). Al termine di questa fase, l'uso delle preposizioni si rafforzerà, sebbene non sia ancora padroneggiata l'intera categoria. PRONOMI CLITICI. Questa classe di morfemi grammaticali, che svolgono la funzione di complemento diretto (mi, ti, lo/la, ci, vi, li) e indiretto (mi, ti, gli/le, ci, vi, loro), 59 è la più tardiva a comparire. Questi pronomi, per l’appunto atoni, si distinguono dai pronomi tonici in quanto caratterizzati da una bassa salienza fonetica. I bambini mostrano maggiore difficoltà a padroneggiarne l’uso adeguato che prevede una serie di restrizioni: non possono apparire in posizioni occupate da nomi o da pronomi liberi; non possono essere usati in isolamento; non possono essere modificati; non possono essere

56 Ciò, però, si manifesta fino al momento in cui il plurale è più marcato rispetto al singolare.

57 Per esempio l'uso della preposizione 'a' è circoscritto a quei contesti in cui si presenta il verbo 'dare' o i verbi di moto. Cipriani et al. (1993), p. 109-111.

58 Come nel caso di 'a' che verrà impiegata da alcuni anche con altri verbi come dire, giocare, etc. Cipriani et al. (1993), p. 113.

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