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TCI vs TIVA del remifentanil in chirurgia di breve durata

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Patologia chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica 

Corso di laurea in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

TCI vs TIVA del remifentanil in chirurgia di breve durata

Relatori

Prof. Francesco Forfori

Dott. Massimo Dorigo

Candidato

Tommaso Mariotti

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INDICE

INTRODUZIONE

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OBIETTIVI DELLO STUDIO

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STATO DELL’ARTE

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- TIVA e TCI

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1. Considerazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche 8

2. TIVA - Infusione a controllo manuale 19

3. TCI - Infusione target-controllata 21

4. TCI del remifentanil 25

- REMIFENTANIL

28

1. Generalità 28 2. Farmacodinamica 28 3. Farmacocinetica 33 4. Uso in anestesia 35

- MONITORAGGIO ANI

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1. Variabilità del ritmo cardiaco 37

2. Indice ANI 42 3. Visualizzazione e interpretazione 45 4. Limitazioni 46 5. Ulteriori considerazioni 47

STUDIO CLINICO

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- MATERIALI E METODI

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1. Disegno dello studio 50

2. Selezione dei pazienti 50

3. Raccolta dati 51

4. Protocollo 52

- RISULTATI

54

1. Analisi demografica dei campioni 54

2. Analisi dei parametri emodinamici 61

3. Analisi del consumo dei farmaci 66

4. Analisi del decorso postoperatorio 70

- DISCUSSIONE

72

- CONCLUSIONI

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INTRODUZIONE

La TCI, target-controlled infusion è una modalità di infusione dell’anestesia intravenosa controllata da un processore, che sfruttando un algoritmo elaborato su modelli farmacocinetici è in grado di modulare la velocità di infusione del farmaco. Nel corso di questa trattazione questa modalità di infusione verrà confrontata con la modalità di somministrazione abituale dell’anestesia generale totalmente intravenosa (TIVA).

Il confronto tra queste due modalità si è incentrato sull’uso del remifentanil, un potente oppioide usato di routine per assicurare l’analgesia durante gli interventi sulla tiroide effettuati nell’U.O. Endocrinochirurgia dell’AOUP.

Nella prima parte della tesi è riportato lo stato dell’arte per quanto concerne: le due modalità di infusione dell’anestesia generale e i modelli farmacocinetici su cui esse poggiano le basi; le caratteristiche farmacologiche del remifentanil, la cui somministrazione è stata effettuata con i due diversi sistemi di infusione; e il monitoraggio ANI, sistema di monitoraggio utilizzato per standardizzare la somministrazione dell’oppiaceo nei due gruppi in studio.

Nella seconda parte sono descritti i vari passaggi relativi allo studio intrapreso, comprensivi dei materiali e metodi utilizzati, i risultati ottenuti e la discussione di questi, e le conclusioni che sono state tratte.

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OBIETTIVI DELLO STUDIO

Questo studio si prefigge di valutare i possibili benefici derivanti dall’utilizzo della modalità di infusione target-controlled (TCI), rispetto a quella a controllo manuale (TIVA), per la somministrazione dell’oppiaceo remifentanil, nella somministrazione di anestesia generale totalmente intravenosa con propofol e remifentanil in interventi chirurgici di breve durata.

In letteratura solo pochi studi hanno confrontato queste due modalità per la somministrazione del remifentanil, in particolare uno studio condotto su casi di mastoidectomia chirurgica [1] e uno su casi di chirurgia vascolare [2], hanno dimostrato vantaggi per la modalità TCI, relativi alla necessità di un minor dosaggio del farmaco e ad un miglior controllo dei segni vitali.

L’obiettivo principale di questo studio è quello di dimostrare l’ottimizzazione nella somministrazione del remifentanil con la modalità TCI, risultante in un ridotto consumo di farmaco, a parità dell’adeguatezza dell’analgesia, e non inferiorità del comfort dei pazienti.

Obiettivi secondari saranno quindi la valutazione del consumo di ipnotico, la valutazione dei tempi di risveglio e del dolore postoperatorio, e la valutazione del consumo di analgesici durante l’immediato periodo postoperatorio e la degenza in reparto.

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TIVA e TCI

La TIVA (total intravenous anesthesia) è una tecnica che si basa sulla somministrazione di farmaci differenti esclusivamente per via endovenosa, mirata ad ottenere condizioni ottimali operative, con i massimi comfort e sicurezza del paziente.

L’obiettivo è quindi di raggiungere e mantenere adeguate concentrazioni plasmatiche o sul sito effettore di farmaco, (somministrato in infusione continua o in bolo e poi in infusione), che determinino un appropriato effetto farmacologico. A differenza dell’anestesia inalatoria dove la concentrazione di gas inspirato ed end-tidal può essere misurata in tempo reale, nella TIVA la concentrazione plasmatica (o sul sito effettore) può essere soltanto stimata.

L’associazione di più farmaci, definita anestesia bilanciata, permette di sfruttare il sinergismo nell’azione di questi riducendo così le dosi somministrate, e di raggiungere i diversi obiettivi dell’anestesia generale usando farmaci differenti appositamente per uno specifico scopo.

In particolare le componenti dell’anestesia generale sono rappresentate dalla perdita di coscienza e amnesia, ottenuta mediante la somministrazione di ipnotici; dall’analgesia e inibizione dei riflessi indotti dal dolore, assicurata con la somministrazione di un oppiaceo; e dal rilassamento muscolare, ottenuto attraverso l’uso di un miorilassante.

Gli oppioidi a breve durata d’azione di recente sintesi (fentanyl, alfentanil, sufentanil e remifentanil) possiedono caratteristiche farmacocinetiche che li rendono estremamente adatti all’impiego per infusione endovenosa continua; essi infatti non solo garantiscono l’analgesia, ma la loro combinazione con l’ipnotico rende più rapido il recupero dall’anestesia.

Gli obiettivi generali che un farmaco ideale per la TIVA si prefigge di raggiungere sono:

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- il mantenimento di un livello di anestesia efficace e allo stesso tempo facilmente modulabile

- il recupero dall’anestesia veloce e senza effetti collaterali

Il notevole incremento della diffusione di questa tecnica è dovuta largamente alla disponibilità del propofol e del remifentanil.

Il propofol, idoneo sia per l’induzione che per il mantenimento dell’anestesia in infusione endovenosa, è l’unico farmaco ipnotico che si ritiene adatto alla TIVA. Somministrato in infusione continua il suo profilo farmacocinetico, caratterizzato da una rapida redistribuzione ai tessuti e una clearance elevata, assicura comunque un rapido risveglio. I suoi effetti collaterali quali bruciore all’iniezione e una modesta depressione cardiovascolare e respiratoria sono facilmente controllabili. Il remifentanil [3], introdotto del 1997, è caratterizzato da una cinetica peculiare che garantisce una clearance del farmaco così rapida che anche in seguito a infusioni molto prolungate le concentrazioni plasmatiche scendono rapidamente e in maniera assai prevedibile.

1. Considerazioni farmacocinetiche e

farmacodinamiche

La farmacocinetica è la branca della farmacologia che studia i processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione dei farmaci, per prevedere i cambiamenti che la concentrazione di un farmaco subisce una volta somministrato, e guidare la scelta della dose del farmaco e il modo migliore di somministrazione.

Assorbimento. Per poter svolgere la propria azione a livello del sito effettore, i farmaci necessitano di passare attraverso almeno una membrana cellulare. Poiché le membrane biologiche sono costituite da un doppio strato di fosfolipidi, con un nucleo lipofilo posto in mezzo a due strati idrofili, solamente molecole apolari possono passare la membrana per diffusione passiva; si riconoscono pertanto diversi meccanismi di trasporto attraverso la membrana cellulare.

I composti idrofili possono attraversare la membrana solo dopo essersi legati a proteine transmembrana che formano un canale idrofilo. Questo trasporto si può

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verificare contro il gradiente di concentrazione, processo che richiede energia e viene definito trasporto attivo, oppure secondo il gradiente di concentrazione, senza necessità di energia, e si parla di diffusione facilitata o trasporto passivo.

I farmaci lipofili invece non necessitano di un trasportatore, ma possono attraversare la membrana per diffusione passiva, seguendo il proprio gradiente di concentrazione, processo chiamato diffusione semplice.

Somministrazione endovenosa. Affinché un farmaco sia rilasciato al suo sito di

azione, deve essere assorbito nella circolazione sistemica; tranne che nella somministrazione endovenosa questo processo rappresenta un importante determinante della latenza che intercorre tra somministrazione del farmaco e massimo effetto prodotto. Nella somministrazione endovenosa invece si realizza un rapido aumento della concentrazione del farmaco nella circolazione sistemica, che si traduce in un inizio molto rapido dell’effetto farmacologico; inoltre con questa modalità di somministrazione, la biodisponibilità (quantità relativa di farmaco che raggiunge la circolazione sistemica immodificata) è pressoché completa per la maggior parte dei farmaci. Un fattore che può rallentare la velocità di incremento della concentrazione nella circolazione sistemica è la captazione a livello polmonare, se la distribuzione dell’endotelio polmonare è ampia; la presenza a questo livello di enzimi che possono metabolizzare i farmaci al momento del primo passaggio può ridurne la biodisponibilità assoluta (es. propofol) [4].

Distribuzione. Una volta entrato nella circolazione sistemica, il farmaco è trasportato dal flusso ematico a tutti gli organi, e la velocità con cui i vari organi sono esposti al farmaco è in relazione alla distribuzione relativa della gittata cardiaca nel letto vascolare dei vari distretti. Per questo motivo il cervello, polmone, cuore e reni, organi altamente perfusi, sono i primi nei quali il farmaco raggiunge l’equilibrio con le concentrazioni plasmatiche; successivamente le concentrazioni di farmaco si equilibrano con gli organi meno bene perfusi muscoli e fegato, e infine a livello dei distretti relativamente poco perfusi: tessuti splancnici, tessuto adiposo e ossa.

Sebbene inizialmente la quota di farmaco distribuita dipenda dal flusso relativo dell’organo, in seguito l’equilibrio del farmaco nei vari tessuti dipende dal rapporto tra il flusso ematico e la capacità del tessuto. Pertanto in organi piccoli e altamente perfusi (es. cervello, rene, polmoni) l’equilibrio è raggiunto in tempi brevi, mentre

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nel tessuto adiposo, poco perfuso e di volume cellulare grande possono servire anche giorni.

Ridistribuzione. I farmaci altamente lipofili (es. propofol) iniziano rapidamente a

diffondere nel tessuto cerebrale in virtù dell’elevata perfusione ematica, e a causa del ridotto volume tissutale, l’equilibrio tra le concentrazioni plasmatica e tissutale sono raggiunte velocemente, di solito entro 3 minuti. Con l’andare del tempo il farmaco continua ad essere assunto da altri tessuti con flussi ematici relatici più bassi, ma volume maggiore, con riduzione della concentrazione plasmatica e conseguente inversione del gradiente di concentrazione a livello cerebrale; si verifica quindi una ridistribuzione del farmaco agli altri tessuti, in particolare al tessuto muscolare e al tessuto adiposo. Questo processo prosegue in ciascuno degli organi fino a che, infine, il tessuto adiposo conterrà la quota maggiore del farmaco lipofilo.

Quando si raggiungono concentrazioni tissutali significative di farmaco, la diminuzione della sua concentrazione plasmatica al di sotto della soglia terapeutica diventa dipendente unicamente dall’eliminazione.

Metabolismo e Eliminazione. L’eliminazione descrive i processi di rimozione

di un farmaco dall’organismo. Questo può essere escreto immodificato, oppure essere metabolizzato in uno o più nuovi composti che poi sono eliminati; entrambi questi meccanismi ne riducono la concentrazione plasmatica, che infine sarà incapace di produrre effetti farmacologici.

I principali organi deputati al metabolismo e all’eliminazione sono rappresentati dal fegato e dal rene, per quanto anche altre sedi contengano enzimi farmaco-metabolizzanti (es. eritrociti, vasi polmonari), e ci siano farmaci che possono essere eliminati in forma immodificata da altri organi (es. polmoni). La velocità di eliminazione di un farmaco è valutata attraverso la clearance di eliminazione, ovvero il volume teorico di sangue depurato completamente dal farmaco nell’unità di tempo.

Modelli di farmacocinetica compartimentale

Il contributo relativo di ciascuno di questi processi di distribuzione e eliminazione sulla variazione della concentrazione plasmatica del farmaco ne condiziona il profilo farmacocinetico. La relazione matematica tra la concentrazione plasmatica di un farmaco e il tempo può essere descritta con un’equazione e utilizzata per

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costruire un modello farmacocinetico. Il modello farmacocinetico a sua volta consente di calcolare la concentrazione del farmaco in un certo istante e di prevederne i cambiamenti quando si usano dosi differenti o diversi regimi di somministrazione.

Inizialmente i modelli farmacocinetici degli anestetici endovenosi si basavano su modelli fisiologici o di perfusione. In questi modelli i tessuti erano suddivisi in tre gruppi con caratteristiche simili relativamente a perfusione ematica e capacità di captazione del farmaco. Il primo gruppo definito ricco di vasi comprendeva i tessuti altamente perfusi e con alto rapporto tra il flusso ematico e il volume del tessuto (cervello, reni, polmoni e un sottogruppo di muscoli); un secondo gruppo di tessuti denominato come tessuti ad equilibrio rapido includeva tessuti con flusso ematico bilanciato al volume di tessuto (maggior parte dei muscoli e una parte di tessuti splancnici es.fegato); infine un terzo gruppo di tessuti ad equilibrio lento era composto da tessuti con grande capacità di captazione, ma perfusione ematica limitata (tessuto adiposo e il rimanente degli organi splancnici).

Per la difficoltà nella verifica delle predizioni in questi modelli sono stati sviluppati modelli matematici più semplici, in cui il corpo è composto da uno o più compartimenti. Questi modelli consentono la derivazione di importanti parametri farmacocinetici come il volume di distribuzione, clearance e emivita, che possono essere utilizzati per quantificare la distribuzione e l’eliminazione di un farmaco. Sia i modelli fisiologici che compartimentali si basano sull’assunto che l’assorbimento, distribuzione ed eliminazione del farmaco siano processi cinetici di primo ordine, ovvero processi in cui una frazione costante di farmaco è rimossa nell’unità di tempo, per cui la velocità con cui si riduce la concentrazione sia in ogni istante proporzionale alla concentrazione plasmatica del farmaco in quell’istante (quando è alta la concentrazione scenderà più velocemente di quando è bassa).

Un sistema compartimentale è un sistema che presenta un numero finito di omogenei e ben assortiti sottosistemi chiamati compartimenti, che scambiano materiale tra di loro e con l’ambiente; questi modelli si basano sul principio di conservazione della massa, e ogni sottosistema è definito da una serie di variabili in grado di descrivere lo stato del sistema in ogni istante.

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Modello a un compartimento

Il modello monocompartimentale rappresenta il modello più semplice, il corpo viene considerato come costituito da un unico compartimento omogeneo, all’interno del quale il farmaco si diluisce istantaneamente e dal quale il farmaco viene eliminato con un processo monoesponenziale. La clearance del farmaco è uguale al prodotto della costante di eliminazione ke e del volume di distribuzione. Questo modello risulta attendibile solamente per un piccolo numero di farmaci, ossia quelli che hanno una limitata diffusione all’interno del corpo, per cui tendono a rimanere confinati nel plasma; oppure nel caso in cui le modificazioni della concentrazione vengano studiate per un periodo di tempo molto breve.

In generale il modello ad un compartimento si è dimostrato un modello poco accurato, in quanto la maggior parte dei farmaci dimostra di distribuirsi in maniera molto ampia al di fuori del plasma; per lo studio di questi farmaci risultano più adatti i modelli farmacocinetici a più compartimenti.

Modello a due compartimenti

Nel modello bicompartimentale il corpo viene immaginato come composto da due compartimenti collegati tra loro; uno centrale (plasma) in cui il farmaco viene iniettato e dal quale il farmaco viene rimosso, e uno periferico.

In questo modello la variazione della concentrazione plasmatica presenta un comportamento bifasico, si osservano infatti due fasi distinte nel calo della concentrazione in relazione al raggiungimento dell’equilibro del farmaco nei due compartimenti, e alla sua eliminazione dal sistema.

La prima fase dopo l’iniezione, o fase di distribuzione, è caratterizzata da una rapidissima diminuzione della concentrazione, dovuta in gran parte al passaggio del farmaco dal plasma ai tessuti.

La seconda fase o di eliminazione, è costituita da un più lento declino della concentrazione dovuto all’eliminazione del farmaco, anche questa fase comincia subito dopo l’iniezione, ma il suo contributo alla caduta della concentrazione inizialmente non è significativo rispetto alla distribuzione.

In questo modello si osservano quindi tre processi in seguito all’iniezione del farmaco nel compartimento centrale: il passaggio del farmaco dal compartimento centrale a quello periferico, processo di primo ordine quantificato dalla costante k12; appena il farmaco compare nel compartimento periferico in parte ritorna in quello

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centrale, processo caratterizzato dalla costante k21; e l’eliminazione irreversibile del farmaco dal sistema (dal compartimento centrale), descritta come nel modello a un compartimento dalla costante di eliminazione ke.

La rapidità della diminuzione della concentrazione del farmaco nel compartimento centrale dopo l’iniezione, dipende dalla grandezza dei volumi compartimentali, dalla clearance intercompartimentale e dalla clearance di eliminazione.

Fig.1: Modello a due compartimenti - (da PG. Barash et al. “Trattato di Anestesia Clinica” 6° ed. 2009 - Antonio Delfino Editore)

Modello a tre compartimenti

In seguito all’iniezione endovenosa di alcuni farmaci, la fase di distribuzione rapida iniziale è seguita da una seconda fase di distribuzione più lenta prima che la fase di eliminazione diventi evidente. Questo comportamento trifasico è spiegato da un modello farmacocinetico a tre compartimenti.

Esso è costituito oltre che dal un compartimento centrale in cui il farmaco viene iniettato e da cui viene rimosso, da due compartimenti periferici, dai quali il farmaco è reversibilmente trasferito al compartimento centrale secondo gradienti di concentrazione e con velocità differenti.

Il trasferimento del farmaco tra il compartimento centrale e il compartimento periferico più rapidamente equilibrante o superficiale è caratterizzato da costanti di primo ordine k12 e k21; il trasferimento dentro o fuori dal compartimento profondo, più lento ad equilibrarsi, è caratterizzato dalle costanti k13 e k31.

Le modificazioni della concentrazione del farmaco nel compartimento centrale si pensa siano uguali a quelle che si verificano nel plasma, è bene però sottolineare che nessuno dei compartimenti dei modelli rappresenta un reale compartimento

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anatomico; inoltre a seconda del farmaco il volume del compartimento centrale può essere di molti litri superiore o inferiore al volume del plasma.

Fig.2: Modello a tre compartimenti (da AD. Kaye et al. “Essentials of Pharmacology for Anesthesia,Pain Medicine, and Critical Care” 2015 - Springer)

I modelli hanno lo scopo di rappresentare i movimenti dei farmaci tra i diversi tessuti e organi, che si realizzano a velocità differenti, in modo tale che le previsioni matematiche che scaturiscono dal loro impiego descrivano nel modo più preciso possibile le modificazioni che il farmaco subisce in vivo.

Il vantaggio del modello compartimentale è che sfrutta un numero limitato di parametri, ed è perciò matematicamente solido e facilmente verificabile.

Questi modelli anche se molto utili presentano dei limiti. Un limite è rappresentato dalle differenze farmacocinetiche interindividuali, che fanno si che i dati medi ottenuti in gruppi di soggetti resi omogenei per età e peso corporeo possano essere molto differenti; e il comportamento dello stesso farmaco possa essere rappresentato da più di un modello. Nello scegliere un modello farmacocinetico, il fattore più importante è che esso descriva in modo accurato le concentrazioni misurate.

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Relazioni dose-risposta e concentrazione-risposta

La relazione tra dosi crescenti di farmaco e intensità degli effetti farmacologici è descritta da una funzione curvilinea.

Basse dosi producono effetti farmacologici minimi; una volta che gli effetti diventano evidenti, piccoli aumenti della dose determinano grandi variazioni dell’effetto; infine a risposta quasi massimale grandi aumenti della dose producono piccole variazioni nell’effetto.

Rappresentando la dose su scala logaritmica, la relazione tra il logaritmo della dose e intensità della risposta è rappresentata da una curva sigmoide, che diventa lineare tra il 20 e l’80% dell’effetto massimo.

La variabilità farmacodinamica dipende dalla pendenza della curva sigmoide: i farmaci caratterizzati da una curva che sale rapidamente e con intervallo terapeutico stretto, producono risposte cliniche maggiormente prevedibili rispetto a farmaci che presentano una curva che sale lentamente e con ampio intervallo terapeutico. La dose che produce un dato effetto farmacologico presenta notevoli variazioni interindividuali che possono essere determinate da differenze sia farmacocinetiche che farmacodinamiche o dalla somma di queste, ma gli studi dose-risposta non sono in grado di determinare quale sia il fattore responsabile di queste variazioni.

Fig.3: Modello dose-risposta - (da PG. Barash et al. “Trattato di Anestesia Clinica” 6° ed. 2009 - Antonio Delfino Editore)

Idealmente, per definire la relazione concentrazione-risposta dovrebbe essere utilizzata la concentrazione di farmaco al suo sito effettore. Dal momento che

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questo dato è difficilmente disponibile, al suo posto è stata studiata la relazione tra la concentrazione plasmatica di farmaco e il suo effetto farmacologico.

Quando un farmaco è infuso a dose costante, inizialmente la concentrazione plasmatica aumenta rapidamente, e asintoticamente raggiunge lo stato stazionario dopo un tempo di circa cinque emivite di eliminazione. L’effetto farmacologico invece inizialmente aumenta più lentamente, poi più velocemente raggiungendo eventualmente anche lo stato stazionario.

Quando l’infusione viene interrotta la concentrazione plasmatica diminuisce repentinamente per processi di distribuzione e eliminazione del farmaco; viceversa l’effetto farmacologico per un breve periodo rimane lo stesso, per poi cominciare a diminuire.

Esiste quindi sempre uno squilibrio temporale tra le variazioni della concentrazione plasmatica e la risposta farmacologica, dovuta al tempo necessario al passaggio del farmaco dal plasma al sito d’azione; inoltre si evince che medesime concentrazioni plasmatiche si associano a differenti risposte farmacologiche (ovvero differenti concentrazioni nel sito effettore) a seconda che la concentrazione stia aumentando o diminuendo.

Questa latenza tra il picco di concentrazione plasmatica e il picco di concentrazione al sito effettore prende il nome di isteresi.

Fig.4: Esempio di curva concentrazione-risposta - (da PG. Barash et al. “Trattato di Anestesia Clinica” 6° ed. 2009 - Antonio Delfino Editore)

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In virtù di questo squilibrio temporale tra le variazioni di concentrazione plasmatica e dell’effetto farmacologico, è possibile ottenere una relazione fissa tra questi due parametri solamente in condizione di stato stazionario. Rappresentando la relazione tra il logaritmo della concentrazione plasmatica allo stato stazionario e l’intensità dell’effetto farmacologico si ottiene una curva in apparenza identica a quella dose-risposta su scala logaritmica.

Equilibrio nel sito di effetto

Per descrivere la relazione matematica temporale che intercorre tra concentrazione plasmatica e effetto clinico, sono stati sviluppati modelli integrati farmacocinetici-farmacodinamici, in grado di caratterizzare pienamente la relazione tra tempo, dose, concentrazione plasmatica e effetto farmacologico.

Questo modello è ottenuto introducendo all’interno di un modello standard farmacocinetico tricompartimentale, un ipotetico compartimento dell’effetto

(biofase) e la costante di velocità k1e, che descrive il passaggio del farmaco dal compartimento centrale a questo compartimento (si assume che questo processo sia di primo ordine, e che l’effetto farmacologico sia in relazione diretta alla concentrazione nella biofase) [5].

La concentrazione nel sito di effetto, non è una concentrazione realmente misurabile, ma più una concentrazione virtuale in un compartimento teorico senza volume e quindi senza quantità significative di farmaco presenti. La biofase è quindi un compartimento virtuale, e anche se collegato al modello farmacocinetico in realtà non scambia farmaco con questo; infatti la costante di trasferimento tra compartimento centrale (plasma) e sito d’azione, k1e, e il suo volume sono entrambi

ipotizzati come trascurabili, per garantire che il compartimento dell’effetto non influenzi le farmacocinetiche del resto del sistema.

Valutando simultaneamente la farmacocinetica e la durata dell’effetto del farmaco, ritardo temporale tra la concentrazione plasmatica e l’effetto, descritto matematicamente dal parametro ke0, costante di velocità di equilibrazione tra plasma e sito effettore.

Questi modelli hanno contribuito notevolmente alla comprensione dei fattori che regolano la risposta ad anestetici endovenosi e oppioidi [6-9].

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Fig.5: Modello farmacocinetico – farmacodinamico - (da RD. Miller et al. “Miller’s Anesthesia” 8° ed. 2015 - Elsevier Saunders)

Recupero dall’anestesia e emivita contesto-sensibile

Una volta che termina l’infusione del farmaco, il recupero avviene quando la concentrazione al sito effettore diminuisce al di sotto alla soglia atta a produrre l’effetto farmacologico.

Quando termina la somministrazione, la clearance di eliminazione riduce rapidamente soltanto le concentrazioni di farmaco del compartimento centrale; pertanto in relazione allo squilibrio con i compartimenti periferici, si verifica una ridistribuzione del farmaco dai tessuti verso il plasma, che rallenterà gradatamente la velocità di decremento della concentrazione plasmatica del farmaco. La quota di farmaco che ritorna al compartimento centrale è determinata dalle clearance di distribuzione, dai gradienti di concentrazione, e dalla grandezza dei depositi nei compartimenti periferici.

Il contributo della ridistribuzione alla velocità di decremento della concentrazione plasmatica, oltre al profilo farmacocinetico del farmaco, dipendono anche dalla durata dell’infusione: infatti maggiore è la durata dell’infusione, maggiore è la quantità di farmaco che si muove verso i tessuti periferici, fintanto che tutti i compartimenti sono stati saturati e le concentrazioni nei tessuti sono completamente equilibrate col plasma. Quindi per farmaci con cinetiche multicompartimentali, non è sufficiente conoscere l’emivita di eliminazione per prevedere il tempo di recupero

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dai farmaci anestetici, ma è necessario considerare anche la durata della somministrazione.

Per questi motivi è stato introdotto un altro parametro, l’emivita contesto-sensibile, definita come il tempo necessario perché la concentrazione plasmatica di un farmaco si dimezzi dopo che l’infusione di una certa durata è stata interrotta; il contesto è rappresentato appunto dalla durata dell’infusione [10].

Sebbene una breve emivita contesto-sensibile possa sembrare sinonimo di un rapido recupero dall’anestesia, in realtà questo valore rappresenta un indicatore poco attendibile; questo perché il risveglio del paziente non si correla semplicemente con la riduzione del 50% della concentrazione plasmatica, ma potrebbero essere richieste concentrazioni più grandi o più piccole per il recupero dal farmaco. Anche se i tempi di decremento contesto-sensibile hanno limitazioni, questo concetto ha cambiato il modo in cui gli anestetici endovenosi sono descritti, e ha contribuito a promuoverne una maggiore accuratezza nella somministrazione.

2. TIVA - Infusione a controllo manuale

Comunemente il termine TIVA viene utilizzato per riferirsi all’anestesia totalmente intravenosa in cui la somministrazione dei farmaci viene regolata manualmente dall’anestesista.

Questa modalità consiste nell’infusione continua di una dose costante di farmaco, la cui velocità di infusione deve essere regolata dall’anestesista in relazione alle risposte del paziente.

I parametri presi in considerazione dalla pompa per regolare la velocità di infusione sono solamente il peso corporeo, la concentrazione del farmaco e la velocità di infusione impostata dall’anestesista; mentre non vengono considerati importanti parametri farmacocinetici come l’età, il sesso, l’altezza.

La somministrazione di una dose costante del farmaco permette quindi un’infusione sicura con una velocità costante e precisa, tuttavia non prendendo in considerazione la farmacocinetica del farmaco, il risultato è un progressivo incremento delle concentrazioni sia plasmatica che al sito effettore. L’aumento della concentrazione plasmatica fino al raggiungimento del plateau sarà più o meno lenta (in relazione alla velocità di infusione); per questo l’infusione continua può essere preceduta

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dalla somministrazione di una dose di carico (bolo) per l’induzione, al fine di accelerare questo processo e determinare un più rapido raggiungimento dello stato stazionario.

Poiché l’infusione è regolata manualmente, e non calcolata su un modello farmacocinetico, il tempo di raggiungimento dello stato stazionario, cosi come le concentrazioni plasmatiche e sul sito effettore, potranno solo essere stimate dall’anestesista in base alla propria conoscenza ed esperienza.

Nel caso del remifentanil, a differenza di altri farmaci, utilizzando un’infusione continua a velocità costante lo stato stazionario è raggiunto in tempi relativamente brevi (circa 20 minuti); questo lo rende un farmaco estremamente maneggevole e prevedibile anche con questa modalità di infusione.

Linee guida AIFA Ultiva

®

(remifentanil cloridrato)

Somministrazione per infusione tramite infusione a controllo manuale

Per infusioni a controllo manuale Ultiva può essere diluito in un range di concentrazioni variabili da 20 a 250 µg /ml (50 µg/ml è la diluizione raccomandata per gli adulti e 20-25 µg/ml per i pazienti pediatrici a partire da un anno di età e più).

Induzione dell'anestesia: per l'induzione dell'anestesia, Ultiva deve essere

somministrato con una dose standard di un agente ipnotico, quale propofol, tiopentale od isoflurano. Ultiva può essere somministrato ad una dose di 0,5-1 µg/kg/minuto con o senza l'iniezione di un bolo iniziale lento di 1 µg/kg somministrato in un tempo non inferiore a 30 secondi. Non è necessaria l'iniezione di un bolo qualora si debba praticare l'intubazione endotracheale più di 8-10 minuti dopo l'inizio dell'infusione di Ultiva.

Mantenimento dell'anestesia in pazienti ventilati: successivamente all'intubazione endotracheale, la dose di infusione per minuto di Ultiva deve essere diminuita, secondo la tecnica anestetica impiegata. In associazione con propofol velocità di mantenimento iniziale di 0,25 µg/kg/min, e a seguire compresa nel range 0,05 - 2 µg/kg/min.

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3. TCI - Infusione Target-Controlled

La TCI è un sistema di infusione controllata da un processore, che permette di raggiungere e mantenere una predeterminata concentrazione di farmaco in un compartimento corporeo; tipicamente questo target è rappresentato dalla concentrazione plasmatica o sul sito effettore.

Questo sistema si basa sull’assunto che il corpo gestisca il farmaco somministrato in maniera specifica e prevedibile, e sfrutta questo comportamento per programmarne l’infusione. Il sistema si avvale quindi un computer, collegato ad una pompa di infusione, che utilizzando appropriati modelli combinati farmacocinetici-farmacodinamici è in grado di calcolare la velocità di infusione necessaria per ottenere la concentrazione target.

È possibile quindi per l’anestesista inserire la concentrazione di farmaco desiderata e per il processore calcolare quasi istantaneamente lo schema di infusione (dose bolo e velocità di somministrazione) adatto per raggiungere questo target in breve tempo [11]. Poiché il farmaco si accumula con diverse velocità nei vari tessuti corporei, il processore calcola di continuo la concentrazione presente di farmaco e aggiusta la pompa di infusione in modo da tenere conto dello stato attuale di assorbimento, distribuzione e eliminazione del farmaco.

Già nel 1968 Kruger-Thiemer aveva descritto un sistema ideale di infusione basato su concetti di farmacocinetica multicompartimentale, che aveva lo scopo di raggiungere rapidamente e mantenere allo stato stazionario una predeterminata concentrazione plasmatica di farmaco [12], ma la prima applicazione clinica in campo anestesiologico si deve a Schwilden e Schuttler [13]. Lo schema di infusione applicato, programmato inizialmente su modelli bicompartimentali, venne definito BET (bolus elimination transfer). L’infusione cominciava con un bolo iniziale (B), necessario per raggiungere l’iniziale concentrazione target, a cui seguiva l’infusione continua di farmaco per rimpiazzare il farmaco rimosso dai processi di eliminazione (E) e di trasferimento (T) dal compartimento centrale a quello periferico.

Successivamente vennero proposti sistemi adatti a farmaci che erano meglio descritti da una cinetica tricompartimentale, (come gli sviluppi sulla

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farmacocinetica avevano evidenziato essere per la maggior parte degli anestetici) che vennero in seguito chiamati globalmente TCI (target controlled infusion). Infine sono stati sviluppati algoritmi TCI basati sul controllo della concentrazione nel compartimento dell’effetto, sistemi che aggiungono le cinetiche del sito effettore e pertanto richiedono il calcolo di una costante di velocità che descriva accuratamente la velocità di equilibrazione tra la concentrazione plasmatica e quella al sito effettore (ke0). Utilizzare una TCI basata sulla concentrazione nel compartimento dell’effetto piuttosto che sulla concentrazione plasmatica può eliminare il fenomeno di isteresi, e predire meglio i tempi di inizio dell’effetto clinico, come è stati dimostrato da uno studio con propofol [14].

Fig.6: Simulazioni di TCI del propofol basate sul plasma (A) o sul sito effettore (B) - (da RD. Miller et al. “Miller’s Anesthesia” 8° ed. 2015 - Elsevier Saunders)

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Accuratezza della TCI

L’approvazione del sistema TCI per l’infusione endovenosa di anestetici ha richiesto la valutazione della precisione del sistema, definita dalla differenza tra la concentrazione prevista e quella misurata, e del risultato nei pazienti in cui è stata utilizzata.

La causa principale di inesattezza è rappresentata dalla variabilità biologica, responsabile di errore a più livelli, mentre errori nella somministrazione del farmaco dovuti all’apparecchio di infusione sono infrequenti e contribuiscono in minima parte all’inesattezza globale dei dispositivi.

Innanzitutto una causa di imprecisione è insita nell’utilizzo stesso di modelli compartimentali [15], che non sono che una semplificazione di quella che è la reale complessità degli individui, e pertanto nessun modello potrà predire precisamente le concentrazioni farmacologiche, anche se i parametri farmacocinetici nell’individuo fossero conosciuti con assoluta precisione.

Inoltre i modelli farmacocinetici su cui si fonda la TCI ignorano la complessità del mixing intravascolare nel compartimento centrale, ma assumono che questo sia istantaneo e completo, perciò sovrastimano l’entità del volume del compartimento centrale, determinando concentrazioni plasmatiche di farmaco superiori al target desiderato, soprattutto nei primi minuti dopo l’inizio dell’infusione [16]. Questa inesattezza nella stima del volume del compartimento centrale va ad inficiare anche la corretta descrizione della distribuzione del farmaco ai tessuti, cosi l’imprecisione dovuta a una farmacocinetica d’inizio non considerata può determinare ulteriori approssimazioni in difetto come in eccesso. La simulazione indica che i parametri farmacocinetici tratti da studi in cui il farmaco è somministrato con infusione rapida (2 min. circa) stimano il volume del compartimento centrale e cinetiche di distribuzione meglio rispetto a quelli tratti da infusione endovenosa in bolo [16]. Come prima accennato, la causa più rilevante di imprecisione è dovuta alla variabilità biologica interindividuale, infatti anche se il modello farmacocinetico riflettesse esattamente le sottostanti variabili biologiche, sarebbe comunque presente una varianza tra i parametri del modello, tratti da studi su un gruppo della popolazione e quelli del singolo paziente. Questo riguarda non solo la variabilità farmacocinetica, ma soprattutto quella farmacodinamica (relazione tra la concentrazione plasmatica o sul sito effettore e l’effetto clinico), che può essere anche tre volte più importante.

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Tuttavia, considerando che la variabilità biologica esiste sempre, indipendentemente da come i farmaci vengono somministrati, è stato osservato che la variabilità con i sistemi TCI è comunque sempre inferiore rispetto alla variabilità osservata in seguito all’iniezione di un bolo [17].

Si deve inoltre bisogna considerare che il rendimento della TCI è influenzato dal modello di farmacocinetica scelto [18]; e infine che questi modelli utilizzano i dati ricavati da studi su volontari sani per infusione di un singolo farmaco alla volta, e nessuno di questi si basa su un’anestesia bilanciata con propofol-remifentanil (schema più diffuso di anestesia totalmente intravenosa basato su TCI). Come risultato questi modelli non considerano le interazioni tra questi due farmaci [19], che quando associati possono alterare non solo la farmacocinetica, ma anche la farmacodinamica individuale e perciò alterare la prevedibilità della TCI [20].

Come misure di accuratezza sono stati adottati l’errore mediano di rendimento (MDPE, median performance error) e l’errore mediano assoluto di rendimento (MDAPE, median absolute performance error). L’MDPE esprime la sovra o sottostima della concentrazione, cioè l’errore sistematico del sistema di infusione, ed è un valore che può quindi avere segno positivo o negativo. L’MDAPE misura invece la grandezza dell’errore e perciò utilizzato come misura della precisione del sistema [21].

L’accuratezza di diversi set farmacocinetici per praticamente tutti gli ipnotici e analgesici intravenosi, è stata, ed è tuttora, oggetto di studio da parte di numerosi gruppi [22-27]; per i sistemi TCI si ritengono accettabili per la pratica clinica un errore sistematico del 10-20% e una precisione del 20-30%.

Solo pochi studi hanno di fatto confrontato l’infusione manuale alla TCI.

Alcuni hanno riconosciuto dei vantaggi col sistema TCI, in particolare che il controllo è migliore e il risveglio più prevedibile [1, 28] e una minore incidenza di effetti avversi legati al minor consumo di farmaco [2, 29]; altri invece semplicemente non hanno riscontrato vantaggi [30].

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4. TCI del remifentanil

Per il remifentanil sono stati sviluppati diversi modelli tricompartimentali combinati farmacocinetici-farmacodinamici, attraverso studi sia su volontari che su pazienti. Di questi solo il modello pubblicato da Minto e colleghi nel 1997 si è rivelato applicabile alla TCI [8, 9].

La valutazione di questo modello ha mostrato un rendimento accettabile, con un MDPE di -15% e un MDAPE del 20% [26].

Il modello Minto

Lo studio di Minto si compone di due parti, nella prima è stata indagata l’influenza di variabili (come il sesso, età, peso corporeo) sulla farmacocinetica e farmacodinamica del remifentanil; nella seconda parte è stato valutato se il dosaggio di remifentanil debba essere aggiustato in relazione a queste variabili o se l’effetto determinato da queste variabili non passi in secondo piano rispetto alla variabilità interindividuale presente nella farmacocinetica e farmacodinamica.

Attraverso la valutazione della concentrazione plasmatica e delle variazioni EEG (usato per valutare l’effetto farmacologico) in diversi gruppi di popolazione suddivisi per età e sesso, a cui venne somministrato remifentanil a un tasso costante di infusione di 1-8 µg/kg/min per un periodo compreso tra 4 e 20 minuti, sono stati identificati:

- un effetto dell’età sulla farmacocinetica e farmacodinamica del remifentanil - un effetto della massa magra corporea (LBM) sui parametri farmacocinetici - nessun effetto del genere sui parametri sia farmacocinetici che farmacodinamici Inoltre è stato osservato che il più complesso modello farmacocinetico-farmacodinamico era meglio rappresentativo rispetto al modello semplice tricompartimentale.

Nella seconda parte basandosi sui tipici parametri farmacocinetici e farmacodinamici, sono stati derivati i nomogrammi per l’infusione in bolo e continua ad ogni età e LBM. Questi sono stati ottenuti (sempre utilizzando le variazioni EEG per valutare l’effetto farmacologico) valutando il picco di effetto farmacologico in risposta a un bolo, lo stato stazionario in seguito a infusione

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continua e il decorso temporale dell’effetto farmacologico, su tre gruppi di popolazione di 500 individui con età di 20, 50 e 80 anni; ed effettuando simulazioni per stimare il tempo di decremento della concentrazione di remifentanil al sito effettore per infusioni di durata variabile, e la titolazione dell’effetto nel tempo utilizzando un tasso costante di infusione.

È stato dedotto che, anche considerando la variabilità interindividuale nell’analisi, l’età e la LBM sono fattori significativi che devono essere considerati nel determinare il regime di dosaggio del remifentanil.

Parametri farmacocinetici del modello Minto

- V1 = [5.1 - 0.0201*(age - 40) + 0.072*(LBM - 55)] (L) - V2 = [9.82 - 0.0811*(age - 40) + 0.108*(LBM - 55)] (L)  V3 = 5.42 (L)  k10 = [2.6 - 0.0162*(age - 40) + 0.0191*(LBM - 55)]/V1 (min-1)  k12 = [2.05 - 0.0301*(age - 40)]/V1 (min-1)  k13 = [0.076 - 0.00113*(age - 40)]/V1 (min-1)  k21 = k12*V1/V2 (min-1)  k31 = k13*V1/V3 (min-1)  ke0 = 0.505 - 0.007*(age - 40) (min-1)

Linee guida AIFA Ultiva

®

(remifentanil cloridrato)

Somministrazione per infusione tramite Target-Controlled Infusion

Remifentanil TCI deve essere usato in associazione a un agente ipnotico per via endovenosa o per via inalatoria durante l’induzione o il mantenimento dell’anestesia in pazienti adulti ventilati. In associazione con questi agenti, si ottiene un’adeguata analgesia per l’induzione dell’anestesia e in generale la chirurgia è possibile con concentrazioni dei livelli ematici di remifentanil compresi tra 3 e 8 nanogrammi/ml. Remifentanil deve essere titolato in base alla risposta individuale del paziente. Per interventi chirurgici particolarmente dolorosi possono essere necessarie concentrazioni ematiche target fino a 15 nanogrammi/ml.

Per le infusioni target controlled TCI la diluizione raccomandata di remifentanil varia da 20 a 50 µg/ml

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Al termine dell’intervento chirurgico quando l’infusione TCI viene interrotta oppure alla diminuizione della concentrazione target, la respirazione spontanea verosilmilmente viene ripresa per concentrazioni di remifentanil comprese tra 1 e 2 nanogrammi/ml. Come per l’infusione con controllo manuale, deve essere ottenuta l’analgesia post-operatoria prima del termine della chirurgia tramite analgesici a lunga durata d’azione.

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REMIFENTANIL

1. Generalità

Il remifentanil è un potente oppioide sintetico, a rapida velocità di azione e breve emivita, che fa parte del gruppo dei derivati della fenilpiperidina.

Rispetto agli altri congeneri, questa 4-anilinopiperidina ha una struttura chimica peculiare, per la presenza di un legame metil-esterico nella catena laterale, determinante principale della sua cinetica.

È una molecola altamente liposolubile, caratteristica che ne facilita la diffusione verso il sito di azione, e ne aumenta quindi la rapidità nell’instaurarsi dell’effetto. Come gli altri oppioidi è una base debole, ha una pKa di 7,07 e in soluzione si dissocia in una base libera formulata con la glicina, e nella forma protonata, responsabile del legame col recettore.

Fig.7: Struttura molecolare della fenilpiperidina e del remifentanil - (da PG. Barash et al. “Trattato di Anestesia Clinica” 6° ed. 2009 - Antonio Delfino Editore)

2. Farmacodinamica

Meccanismo di azione e analgesia

Gli effetti degli oppioidi si verificano in seguito al legame della molecola ad uno o più recettori oppioidi presenti principalmente a livello del SNC. Questa famiglia di

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recettori è stata classificata inizialmente da Martin in tre grandi categorie in relazione all’affinità con i ligandi esogeni morfina, ketociclazocina e SKF10.047, rispettivamente in recettori mu (µ), kappa (κ) e sigma (σ). Successivamente vennero identificati i recettori delta (δ) legati dalle enkefaline, e i recettori epsilon (ε) legati dalle endorfine.

Pochissimi oppioidi endogeni presentano una selettività marcata per un singolo tipo di recettore, mentre i vari effetti degli oppioidi esogeni sembrano riconducibili a specifici tipi recettoriali [31], il remifentanil in particolare è un agonista selettivo dei recettori µ.

I recettori oppioidi appartengono alla famiglia dei recettori associati a proteine G, esclusivamente di tipo inibitorio (Gi/Go). L’attivazione del recettore da parte

dell’oppioide determina l’inibizione dell’adenilato ciclasi, con la conseguente riduzione dei livelli intracellullari di cAMP, che si traduce nell’alterazione della conduttanza di diversi canali ionici cellulari. In particolare i canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti sono inibiti, mentre i canali inwardly rectifying del K+ sono attivati. Inoltre le proteine G associate al recettore attivate, stimolano la via di trasduzione del segnale di MAPK (proteina chinasi attivata da mitogeni).

A livello presinaptico la stimolazione dei recettori µ provoca l’inibizione dei canali del Ca2+ di tipo N con la conseguente riduzione del rilascio del neurotrasmettitore,

mentre a livello postsinaptico la stimolazione dei recettori µ determina inibizione dei canali del Ca2+ e stimolazione dei canali del K+ risultando in ultima analisi,

nell’iperpolarizzazione della cellula e riduzione dell’eccitabilità neuronale.

L’effetto analgesico degli oppioidi deriva dalla loro capacità di inibire direttamente la trasmissione dell’informazione nocicettiva ascendente nei cordoni posteriori del midollo spinale, e nell’ attivazione di circuiti di controllo del dolore discendenti. Oltre all’inibizione discendente, l’azione degli oppioidi si esplica anche a livello spinale dove inibiscono la trasmissione neuronale sia a livello pre che postsinaptico. Uno studio PET ha dimostrato che il remifentanil determina l’attivazione della corteccia cingolata anteriore superiore, della corteccia insulare, della corteccia orbitofrontale e di aree tronco-encefaliche [32]. Il tronco encefalico si era sovrapposto ad aree cerebrali implicate nella modulazione del dolore, come la sostanza grigia periacqueduttale.

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Studi su ratti decerebrati dimostrano che l’azione degli oppioidi sulle vie di trasmissione bulbospinali è fondamentale per l’efficacia analgesica, mentre quella a livello dell’encefalo anteriore rappresenta più un contributo all’analgesia.

Va infine ricordato che l’effetto analgesico degli oppioidi, cosi come gli effetti collaterali presentano variazioni interindividuali, studi condotti su gemelli hanno mostrato che questa variazione verosimilmente dipenda sia da fattori genetici che ambientali [33, 34].

Effetti distrettuali

A livello del SNC oltre all’ analgesia, gli oppioidi provocano sonnolenza, variazioni nell’umore e offuscamento mentale. Ad alte dosi causano anche la perdita di coscienza, ma in questo caso l’anestesia può risultare imprevedibile [35]. Per questo motivo gli oppioidi non sono idonei come soli agenti induttori dell’anestesia [36]. Le proprietà neurofisiologiche possono essere indagate attraverso l’elettroencefalogramma; il remifentanil provoca il rallentamento concentrazione-dipendente del tracciato EEG tipico dei µ-agonisti, con una EC50 di 15-20 ng/ml

[37]. L’EEG può essere utilizzato per stimare l’onset di azione e la potenza del farmaco, infatti lo spectral edge e le concentrazioni plasmatiche del remifentanil presentano una sostanziale sovrapposizione temporale [38].

I potenziali evocati motori (MEPs), sensibili agli effetti depressivi dose-dipendenti di oppioidi, sedativo-ipnotici e alogenati, possono essere utilizzati per il monitoraggio durante procedure neurochirurgiche. Rispetto agli altri fenilpiperidinici e al propofol, il remifentanil risulta meno depressivo: una concentrazione target di 9 ng/ml ne riduce l’ampiezza del 50%, ma qualità e riproducibilità dei MEPs è conservata anche a concentrazioni plasmatiche di 15 ng/ml, ben entro l’intervallo che produce anestesia chirurgica [39]. Inoltre il remifentanil produce una riduzione dose-dipendente dei potenziali evocati auditivi (PEAs) in anestesia con isoflurano [40], mentre un’infusione di solo remifentanil a concentrazioni plasmatiche target di 1, 2, 3 ng/ml, non influenza l’ampiezza e latenza dei potenziali evocati [41].

Come altri oppioidi può causare aumento del tono muscolare e rigidità muscolare, soprattutto se somministrato in bolo (nel 40% dei casi con 2 µg/kg, nel 60% con 20 µg/kg [36]); il meccanismo che ne sta alla base non è stato del tutto chiarito, ma

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studi farmacologici suggeriscono che sia causata dall’attivazione centrale dei recettori µ, mentre i recettori δ e κ sovraspinali sembrano attenuare l’effetto [42].

A livello polmonare il remifentanil provoca depressione respiratoria dose-dipendente (diminuzione della saturazione di O2, e incremento dell’end-tidal CO2),

uno degli effetti avversi più gravi degli oppioidi µ-agonisti, determinato primariamente attraverso un’azione diretta a livello dei centri respiratori tronco-encefalici [43].

In uno studio su volontari il picco di depressione respiratoria si è verificato dopo 5 minuti dalla somministrazione di ciascuna dose scalare di remifentanil, con un effetto massimo rilevato a 2 µg/kg [44] e durata della complicanza di 20 minuti (tempo di ripristino dei valori emogasanalitici entro il 10% del basale). In altri studi la EC50 di remifentanil necessaria a deprimere la risposta ventilatoria all’inalazione

di CO2 7,5% è risultata pari a 1,17 ng/ml [45] e a 0.92 ng/ml quando si utilizzando

risposte indirette [46].

Indipendentemente dalla dose, gli effetti del remifentanil sulla ventilazione si riducono rapidamente e completamente in seguito alla sospensione della somministrazione (entro 5-15 minuti). In generale col remifentanil la normalizzazione dei parametri respiratori (frequenza, saturazione di O2, ETCO2)

verifica più velocemente rispetto agli altri oppioidi.

Per quanto riguarda il sistema cardiovascolare il remifentanil può essere responsabile di una transitoria instabilità delle variabili emodinamiche, frequenza cardiaca e pressione arteriosa. Questi effetti sembrano essere il risultato oltre che dell’inibizione a livello del SNC e di una stimolazione vagale mediata a livello centrale, anche di un’azione a livello vascolare. In particolare uno studio sui ratti ha messo in evidenza che la vasodilatazione determinata dal remifentanil sia dovuta sia ad un meccanismo endotelio-dipendente sostenuto dal rilascio di ossido nitrico e prostaciclina dall’endotelio, sia ad un meccanismo endotelio-indipendente mediato dall’inibizione di canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti [47].

Le implicazioni emodinamiche che si verificano durante anestesia bilanciata con remifentanil-isoflurano e/o N2O o propofol sono state ampiamente esaminate. In

corso di anestesia con isoflurano-N2O al 66% dosi fino a 5 µg/kg riducono in

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annullato dalla somministrazione di efedrina o fenilefrina [48]. Una TIVA con remifentanil-propofol determina in fase post-induttiva, una riduzione del 20% della pressione arteriosa media, senza variazioni sostanziali della frequenza cardiaca; inoltre si possono verificare episodi di ipotensione al di sotto di 70 mmHg, transitori e rispondenti alla fluidoterapia e alla riduzione dell’infusione di propofol [49]. Boli di remifentanil superiori a 2 µg/kg possono far scendere la pressione arteriosa del 20-30%, e infusioni elevate in pazienti cardiopatici determinano le stesse alterazioni dell’associazione col propofol [50]. In cardiochirurgia sono stati segnalati casi di grave bradicardia (HR < 30 bpm) e ipotensione (PAS < 80 mmHg) in seguito a induzione con remifentanil 1 µg/kg somministrato rapidamente e 0,1-0,2 µg/kg/min in infusione [51, 52].

Per prevenire questi effetti collaterali la dose di carico dovrebbe essere quindi somministrata lentamente (> 60 secondi): infatti boli più piccoli (0,3-0,5 µg/kg) non sembrano essere in grado di causare bradicardia e ipotensione grave.

Come altri µ-agonisti, anche il remifentanil può provocare la comparsa di nausea e vomito post-operatori, per la stimolazione di recettori presenti a livello della chemioreceptor trigger zone (CTZ), comunicante col centro del vomito. Studi su volontari sani e su variegate casistiche chirurgiche, sembrano indicare che l’incidenza di questi effetti sia dose-dipendente e sovrapponibile a quella prodotta da altri µ-agonisti a breve durata di azione [53].

L’associazione col propofol in anestesia bilanciata o TIVA riduce significativamente l’incidenza della nausea e vomito indotti dagli oppioidi [54]; inoltre la profilassi antiemetica con l’ondansetron, un antagonista dei recettori 5-HT3, si è rivelata efficace nel controllo post-operatorio di questo effetto collaterale

[55].

Interazione con propofol

Gli oppioidi sono frequentemente associati al propofol (cosi come ad altri farmaci) per produrre condizioni di anestesia ottimali.

Questi farmaci presentano una profonda sinergia dal punto di vista farmacodinamico; infatti sebbene il propofol e il remifentanil abbiano effetti farmacodinamici predominanti differenti, hanno mostrato sinergia nel determinare la perdita di coscienza e l’analgesia.

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La breve emivita contesto-sensibile del remifentanil, ne permette la somministrazione di un maggiore quantitativo unita a una ridotta dose di propofol durante l’anestesia, senza prolungare gli effetti dell’oppioide e il tempo di recupero dall’ anestesia.

Uno studio recente ha dimostrato che il remifentanil riduce la concentrazione di propofol necessaria a ottenere la perdita di risposta ai comandi, e in misura maggiore per ottenere la perdita di risposta al dolore [56].

Allo stesso modo il propofol riduce le richieste di remifentanil necessarie alla soppressione della risposta alla laringoscopia, intubazione e stimolo chirurgico [57].

Inoltre la concentrazione plasmatica ottimale di propofol, è stata stimata essere inferiore di circa il 30% quando associato al remifentanil rispetto alle altre fenilpiperidine [58].

La sinergia tra questi due farmaci riguarda anche alcuni effetti collaterali, in particolare l’ipotensione e la depressione respiratoria, per i quali è opportuno il monitoraggio e la titolazione della dose somministrata [59].

3. Farmacocinetica

La via di somministrazione elettiva degli oppioidi in anestesia è la via endovenosa, il picco di concentrazione plasmatica dopo un bolo o un’infusione continua di breve durata viene raggiunto in pochi minuti. Successivamente la concentrazione plasmatica scende rapidamente per distribuzione ai siti extravascolari (compreso il quello di azione), i tessuti neutri e gli organi deputati all’eliminazione.

La cinetica del remifentanil è condizionata principalmente dalla sua caratteristica strutturale specifica, il gruppo funzionale esterico infatti la rende suscettibile all’idrolisi da parte delle esterasi non specifiche a livello plasmatico e tissutale, reazione che ne accelera notevolmente il metabolismo.

Il suo metabolita principale, il GI90291 è un acido carbossilico circa 300-1000 volte meno potente, per la sua minore affinità verso il recettore µ unita ad una minore capacità di penetrazione a livello dell’encefalo [60]. Un altro metabolita è il GI94219, prodotto per N-dealchilazione, via secondaria di degradazione.

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Per questa rapida degradazione in un composto meno attivo, il suo metabolismo piuttosto che la ridistribuzione è quindi responsabile della brevissima durata d’azione, e dell’assenza di accumulo dopo dosi ripetute o infusione prolungata.

Fig.8: Metabolismo del remifentanil - (da RD. Miller et al. “Miller’s Anesthesia” 8° ed. 2015 - Elsevier Saunders)

Il volume di distribuzione è basso, 0,3-0.5 l/Kg (circa 25 litri nell’adulto) [61], e la sua clearance (30-40 ml/kg) è di alcune volte superiore rispetto al flusso distrettuale epatico [39], in accordo con il suo esteso metabolismo extraepatico, mentre non è sequestrato o metabolizzato significativamente a livello polmonare [62].

L’andamento temporale delle variazioni della concentrazione plasmatica sono descritte attraverso modelli farmacocinetici compartimentali. Per gli oppioidi di utilizzo anestesiologico i modelli più rappresentativi sono a due o tre compartimenti, nel caso del remifentanil le proprietà farmacocinetiche sono meglio descritte con un modello tricompartimentale. Nel modello a due compartimenti la curva di decadimento della concentrazione plasmatica presenta una rapida distribuzione (0,9 min) e una breve emivita di eliminazione (9,5 min) [44], mentre nel modello tricompartimentale le emivite di distribuzione rapida e lenta sono rispettivamente di 0,4-0,9 minuti e 2-6 minuti, e l’emivita di eliminazione di 10-30

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minuti [38]. Nel bambino l’emivita di eliminazione è ancora più veloce, 3,5-6 minuti [63].

Fattori influenzanti la farmacocinetica

La cinetica del remifentanil non è influenzata dal genere [8], né dal peso corporeo, si osservano infatti cinetiche simili sia nel soggetto magro (entro il 20% del peso ideale) che nell’obeso (almeno l’80% oltre il peso ideale). Pertanto il dosaggio dovrebbe basarsi sulla massa magra piuttosto che sul peso totale corporeo, infatti le evidenze suggeriscono che la massa magra è un predittore migliore delle capacità metaboliche rispetto al peso totale [64]; in alternativa il peso ideale rappresenta un altro parametro accettabile.

Un fattore che determina variazioni nella cinetica è l’età: il neonato presenta una riduzione del tasso di eliminazione [65], mentre nell’anziano si osserva una riduzione della clearance e del volume di distribuzione, e un apparente aumento la potenza [8].

L’insufficienza epatica non influenza la cinetica del remifentanil [66], anche se comporta una maggiore vulnerabilità agli effetti depressivi del farmaco sulla funzionalità respiratoria.

Anche l’insufficienza renale non altera la farmacocinetica del remifentanil, e gli alti livelli del metabolita GI90291 che si sviluppano per la riduzione marcata della clearance, verosimilmente non determinano alcun effetto clinico [67, 68].

Infine il farmaco non è substrato delle pseudocolinesterasi per cui la sua clearance non è condizionata né dai deficit enzimatici né dagli anticolinergici [38].

4.

Uso in anestesia

Il remifentanil produce effetti analgesici dose dipendente in breve tempo e di breve durata: nei volontari l’attività analgesica dopo un bolo di 0,0625-2,0 µg/kg, è massima dopo 1-3minuti e regredisce più o meno in 10 minuti [44].

In anestesia bilanciata l’associazione del remifentanil con isoflurano [69], sevoflurano [70], e desflurano [71], è agevole da gestire e realizza la stessa stabilità emodinamica. L’effetto del remifentanil sul MAC degli anestetici volatili non è diverso da quello di altri µ-agonisti in termini di ripidità delle curve dose-effetto e

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concentrazione-effetto; il remifentanil riduce il MAC dell’isoflurano in maniera concentrazione-dipendente, con una EC50 di 1.3 ng/ml, con effetti sovrapponibili

sul sevoflurano [72], e sul desflurano [73] con N2O 60%.

È impiegato in associazione al propofol nella total intravenous anesthesia (TIVA), basata sull’infusione simultanea dei farmaci a velocità fisse o modulate su una concentrazione plasmatica target da sistemi di controllo computerizzati (TCI). Per l’induzione e la laringoscopia il regime consigliato è remifentanil 0,5-1 µg/kg in almeno 60 sec. e propofol 0,1-2 mg/kg [74], i dosaggi di mantenimento sono rispettivamente di 0,25 µg/kg/min e 75-100 µg/kg/min [49].

Il maggiore inconveniente legato all’impiego del remifentanil in anestesia è rappresentato dalla precocità del bisogno di analgesici una volta sospesa l’infusione.

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MONITORAGGIO ANI

L’ANI, acronimo di Analgesia / Nociception Index, è un indice numerico di sviluppo relativamente recente, che valuta il bilanciamento tra analgesia e dolore. Il calcolo di questo indice è basato, attraverso la rilevazione dell’ECG, sull’analisi della variabilità della frequenza cardiaca (HRV), che diversi studi hanno dimostrato fornire indicazioni sull’attività del sistema nervoso autonomo [75, 76], ed essere correlata al bilanciamento tra stimolo nocicettivo e livello dell’analgesia durante procedure chirurgiche [77].

Il sistema di monitoraggio ANI quindi, attraverso l’analisi del tracciato elettrocardiografico, elabora un indice numerico compreso tra 0 e 100, espressione dell’adeguatezza dell’analgesia, che sarà tanto minore quanto maggiore è il dolore del paziente.

1. Variabilità del ritmo cardiaco

La variabilità del ritmo cardiaco (HRV) rappresenta la quantità di fluttuazioni intorno al valore medio del ritmo stesso. Essa riflette l’attività del controllo nervoso cardio-respiratorio, e rappresenta quindi un mezzo valido per lo studio delle funzioni simpatiche e parasimpatiche del sistema nervoso autonomo.

Presenta diverse applicazioni cliniche, tra cui la principale è la sorveglianza dei pazienti post-infartuati e diabetici.

Controllo nervoso del Sistema Cardiaco

Il controllo nervoso sull’attività cardiaca viene attuato dal sistema nervoso autonomo attraverso le sue componenti simpatica e parasimpatica; i nervi cardiaci derivanti dal sistema simpatico svolgono una funzione eccitatoria sul sistema cardiaco tendente ad aumentarne la funzione, determinando aumento della frequenza cardiaca della pressione arteriosa; il sistema parasimpatico (nervo vago) invece esercita un’azione inibitoria, con riduzione di questi parametri.

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Le azioni contrapposte del vago e del simpatico si combinano in modo complesso; le terminazioni nervose che innervano il sistema cardiaco fanno parte dei meccanismi omeostatici che regolano la frequenza cardiaca e pressione arteriosa, e l’azione congiunta del parasimpatico e del simpatico prende il nome di bilancia

simpato-vagale.

I continui cambiamenti della bilancia simpato-vagale si traducono in fluttuazioni della frequenza cardiaca intorno alla frequenza media; i meccanismi di controllo lavorano infatti in controreazione, generando una correzione per ogni modifica tendente ad alterare la frequenza cardiaca.

Questi meccanismi agiscono attraverso anelli di controllo a feedback (loop), che si realizzano in tempi molto diversi tra loro, e quindi generano delle fluttuazioni della HR a diversa frequenza.

Loop respiratorio (aritmia sinusale respiratoria)

È la più comune delle aritmie sinusali ed è causata dalle variazioni del tono vegetativo, che per effetto di un meccanismo riflesso, agisce sul nodo del seno e quindi sulla frequenza cardiaca.

Durante l’inspirazione si riduce la pressione intratoracica con aumento del ritorno venoso, questo aumento di flusso, provocando uno stiramento della parete dei vasi, viene registrato a livello di recettori di bassa pressione (recettori di volume) localizzati a livello delle pareti atriali e nelle arterie polmonari; che evocano con meccanismo riflesso l’inibizione del tono vagale, con conseguente aumento della frequenza cardiaca (riflesso di Bainbridge).

Un altro meccanismo è rappresentato dallo stiramento dei meccanocettori polmonari che si verifica durante l’inspirazione, la stimolazione di questi recettori innesca un riflesso vagale che si traduce nella riduzione della frequenza cardiaca nella successiva fase espiratoria.

A dimostrazione dell’importanza vagale nel mediare questo riflesso, l’aritmia sinusale respiratoria può essere abolita con la somministrazione di atropina.

Ogni ciclo respiratorio è quindi associato fisiologicamente a una lieve variazione della frequenza cardiaca; in particolare durante l’inspirazione si osserva un lieve aumento della frequenza, al contrario durante l’espirazione la frequenza diminuisce. La frequenza cardiaca mostra quindi fluttuazioni ad una frequenza uguale a quella respiratoria.

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