• Non ci sono risultati.

Studio geomeccanico e considerazioni sul rischio di frana della zona di Buca delle Fate (Populonia, LI)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Studio geomeccanico e considerazioni sul rischio di frana della zona di Buca delle Fate (Populonia, LI)"

Copied!
127
0
0

Testo completo

(1)

Università di Pisa

Dipartimento di Scienze della Terra

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche

Tesi di Laurea

Studio geomeccanico e considerazioni sul rischio di frana della zona di Buca

delle Fate (Populonia, LI)

Candidato: Riccardo Malfanti Relatore: Prof. Giacomo D’Amato Avanzi

Correlatore: Dott. Yuri Galanti

Controrelatore: Prof. Roberto Giannecchini

Anno Accademico

2015 - 2016

(2)

2

(3)

3

INDICE

Riassunto - Abstract 5

CAPITOLO 1: Introduzione 7

CAPITOLO 2: Inquadramento dell’area di studio 8

2.1 Inquadramento geografico e climatico 8

2.2 Inquadramento geologico 13

CAPITOLO 3: Descrizione dell’area di studio 19

3.1 Descrizione delle formazioni 19

CAPITOLO 4: Approccio metodologico 28

4.1 Resistenza della roccia intatta 29

4.2 Caratterizzazione delle discontinuità 34

4.3 Densità dei campioni ed angolo di attrito di base 42

4.4 Classificazione geomeccanica di Bieniawski 44

4.5 Analisi di stabilità cinematica e all’equilibrio limite 49

4.5.1 Analisi cinematica 49

4.5.2 Analisi all’equilibrio limite 53

CAPITOLO 5: Risultati 60 5.1 Stazione 1 62 5.2 Stazione 2 63 5.3 Stazione 3 65 5.4 Stazione 4 68 5.5 Stazione 5 70 5.6 Stazione 6 72 5.7 Stazione 7 75 5.8 Stazione 8 77

CAPITOLO 6: Discussione dei risultati 80

CAPITOLO 7: Conclusioni 84

7.1 Sviluppi futuri 86

Bibliografia 87

Allegati 92

1) Carta topografica con tracce di sezioni 93

2) Modello geometrico e di calcolo Fss 94

(4)

4 4) Stazione 1 96 5) Stazione 2 99 6) Stazione 3 103 7) Stazione 4 105 8) Stazione 5 109 9) Stazione 6 115 10) Stazione 7 123 11) Stazione 8 125 Ringraziamenti 127

(5)

5 Riassunto

Lo studio prende in esame l’area della Buca delle Fate, una grande cala che si affaccia sul Mar Ligure e si estende lungo il versante nord-occidentale del promontorio di Piombino per circa 200 m. L’area di studio è costituita prevalentemente da alte scogliere a strapiombo sul mare e piccole spiagge di ciottoli. Questo lavoro di tesi è finalizzato alla caratterizzazione geomeccanica e all’analisi di stabilità degli ammassi rocciosi della formazione del Macigno (Falda Toscana), costituiti prevalentemente da rocce stratificate con alternanza di litotipi a diversa competenza e con molteplici famiglie di discontinuità. Il lavoro si è svolto su otto stazioni geomeccaniche attraverso una campagna di rilevamento (Aprile-Maggio 2016), durante la quale sono stati studiati i parametri che influiscono maggiormente sulle condizioni di stabilità e di sicurezza delle masse rocciose (resistenza della roccia e caratteristiche geomeccaniche delle discontinuità), facendo riferimento alle raccomandazioni operative internazionali della Int. Soc. of Rock Mechanics (ISRM, 1978). La resistenza della roccia è stata valutata in sito tramite lo sclerometro ed in laboratorio con la prova di carico puntuale, accertando la presenza di rocce da deboli a resistenti. Gli ammassi rocciosi sono stati classificati secondo la classificazione geomeccanica di Bieniawski (1989) trovando una qualità delle masse rocciose compresa tra discreta (classe III) e buona (classe II). Sono stati quindi analizzati i rapporti geometrici tra i sistemi di discontinuità e le superfici libere dei versanti, per individuare le aree dove sono possibili fenomeni di instabilità in roccia. Su queste aree potenzialmente a rischio sono state svolte analisi di stabilità all’equilibrio limite, per definire le effettive condizioni fisico-meccaniche, idrauliche e sismiche capaci di innescare movimenti franosi, per scivolamento, ribaltamento e/o crollo. Le analisi sono state eseguite mediante l’uso di software opportuni per la determinazione dei coefficienti di sicurezza. Lo studio svolto ha messo in evidenza l’esistenza di diverse aree soggette a fenomeni di instabilità (di attivazione difficilmente prevedibile temporalmente), che possono esporre le persone che frequentano l’area a situazioni di rischio non trascurabili. Si ritiene quindi opportuno realizzare una campagna di indagini più approfondita e attuare provvedimenti a tutela della pubblica incolumità (limitazioni d’uso, rimozione delle masse instabili, segnaletica specifica).

(6)

6 Abstract

The present study analyses the area of “Buca delle Fate”, a wide cove extending for about 200 m along the north-western side of the promontory of Piombino and directly facing the Ligurian Sea. The study area is characterized by high overhanging cliffs and small pebble beaches. The object of this thesis is the geomechanical characterization and the analysis of rock masses stability of the Macigno formation (Tuscan Nappe). This formation consists of stratified sandstone interbedded with shale and intersected by multiple discontinuity families. A field survey (April-May 2016) was carried out on eight geomechanical stations studying the parameters that mostly influence stability and security of the rock masses (rock strength and geomechanical features of the discontinuities), with reference to the operational recommendations of the Int. Soc. of Rock Mechanics (ISRM, 1978). The rock strength was evaluated on site by using the Schmidt hammer and in laboratory with the point load test. The data were processed by using empirical relations and evidenced the presence of weak to strong rocks. The rock masses were classified according to the Bieniawski’s geomechanical classification (1989) evidencing a rock quality between fair (class III) and good (class II). The geometric relationships between the discontinuity systems and the free slopes faces were analyzed to identify the areas likely to be subjected to rock instability in the rock. For those areas possibly at risk of instability, a limit equilibrium stability analysis was carried out, in order to define the actual physical-mechanical, hydraulic and seismic conditions that could cause landsliding (slide, topple and / or fall). The stability analysis was performed by mean of an appropriate software (Rockplane and Excel Spreadsheet) for defining the stability conditions. The study highlighted several areas subject to instability that pose an unpredictable danger to the people frequenting the site. It is therefore necessary to carry out further surveys and measures to protect the public safety (restrictions, removal of unstable masses, specific warnings, etc.).

(7)

7

1 Introduzione

La costa lungo il promontorio di Piombino, che si affaccia sul Mar Ligure, mostra predominanti coste rocciose e scogliere (fig. 1.1), mentre le spiagge sono piccole e rare. La Buca delle Fate è una grande cala posta a nord-ovest del promontorio ed è particolarmente apprezzata da turisti e bagnanti per il suo splendido paesaggio. Pertanto, soprattutto nel periodo estivo, molte persone frequentano quest'area che nasconde alcuni pericoli come lo

sviluppo di possibili frane in roccia dalle pareti che sovrastano i siti dove sostano i bagnanti. A questo proposito, si ricorda che in passato in Italia si sono verificati incidenti anche gravi.

A titolo di esempio, si ricorda che nell’aprile del 2010 sull’isola di Ventotene, in provincia di Latina, due ragazze morirono durante una gita scolastica per il crollo di un costone di tufo, mentre all’isola d’Elba, nell’agosto del 2015, un turista fu colpito alla testa da un masso che si staccò improvvisamente dalla parete rocciosa sopra la spiaggia di Sansone. In questo contesto il mio studio è stato realizzato al fine di verificare la stabilità di alcune pareti degli ammassi rocciosi della formazione del Macigno rifacendomi ad un lavoro recente sull’analisi

di stabilità delle scogliere a sud di Livorno (D’Amato Avanzi et al., 2014). La tesi, quindi, quindi, ha preso in esame i molteplici aspetti legati alla valutazione della

stabilità degli ammassi rocciosi della Buca delle Fate mediante lo studio geologico-tecnico della zona e l’esecuzione di rilievi geo-strutturali sugli ammassi rocciosi che sono stati scelti anche in base alle difficoltà logistiche riscontrate nell’area di studio. Gli ammassi rocciosi sono stati analizzati mediante le raccomandazioni dell’ISRM (1978), la classificazione geomeccanica di Bieniawski (1989), le condizioni cinematiche proposte da Tanzini (2001) e mediante software appropriati con licenza d’uso.

(8)

8

2 Inquadramento dell’area di studio

2.1 Inquadramento geografico e climatico

Il promontorio di Piombino (fig. 2.1) è una delle “isole fossili” della Toscana meridionale (Mazzanti, 1980) che corrisponde al tratto di costa a Nord dell’omonima città, tra Punta Falcone e il Golfo di Baratti, a Sud della provincia di Livorno. Il promontorio, che si protende nel Mar Ligure, si estende per circa 7 km (direzione Nord Ovest-Sud Est) ed è costituito da un insieme di rilievi collinari di cui il Monte Massoncello rappresenta il punto più alto con i suoi 286 m di altitudine. Tuttavia è presente una catena di colline blande con pendii poco accentuati che tendono a congiungersi gradualmente con la pianura adiacente; come il Monte Gigante (262 m), il Poggio Guardiola (196 m), il Poggio Grosso (274 m), il Poggio Tondo (138 m) e il Monte Pecorino (254 m).

Fig. 2.1 - Veduta satellitare dell'area di studio (immagine dal sito della Regione Toscana, Geoscopio).

Il borgo di Populonia, circondato dalle sue mura medievali, domina dall’alto dell’omonimo poggio e fu un antico insediamento etrusco e un importante centro portuale del Mediterraneo, rappresentando l’unico centro abitato presente sul promontorio.

(9)

9

Quest’ultimo risulta quasi interamente coperto da un’area abbondantemente boscata costituita prevalentemente da una folta macchia ed in particolare da lecci, che si spingono fino alle scogliere alte e rocciose che caratterizzano la parte occidentale del promontorio insieme ad innumerevoli piccole punte e cale. Tra quelle più grandi troviamo la Buca delle Fate (fig. 2.2), che è l’area di studio di questa tesi, il cui nome deriva da una leggenda tra i pescatori locali che narra di un giovane pescatore, Valerio, che si avventurò in questi luoghi per cercare le sirene, dalle quali poi fu catturato e imprigionato in una grotta. La sua fidanzata tornò ogni giorno su questi scogli per piangere e cercarlo invano. Un giorno un delfino trasformò una sua lacrima in una perla e la donò alla sirene in cambio del giovane che fu finalmente liberato. Questa grande cala deve anche il suo nome alle presenza di tombe etrusche dette appunto buche. La Buca delle Fate è situata lungo il versante nord-occidentale del promontorio e si estende con alte scogliere a strapiombo sul mare e piccole spiagge di ciottoli per circa 200 m.

Fig. 2.2 – Carta topografica (originariamente 1:5˙000) (CTR-317021) dell’area Nord-occidentale del promontorio di Piombino. In cerchio l’area di studio (dal sito della Regione Toscana, Geoscopio).

(10)

10

E’ opportuno esporre la situazione climatica e meteorologica che interessa il promontorio di Piombino dal momento che le precipitazioni invernali e primaverili, talvolta accompagnate da possibili episodi di nubifragi, possono influenzare la stabilità dei versanti dei rilievi collinari e in particolar modo, per il lavoro di questa tesi, possono influenzare la stabilità degli ammassi rocciosi che costituiscono le scogliere che si affacciano sul mare. Il clima del promontorio di Piombino può essere considerato di tipo “mediterraneo”, cioè temperato-caldo (fig. 2.3a), con inverni freschi e umidi ed estati calde e secche (Foggi et al., 2006). Il mare è l’elemento fondamentale che incide prevalentemente sul clima dell’area d’interesse. Considerando la classificazione climatica di Köppen si può riferire la zona alla classe Csa (clima mesotermico umido con temperatura del mese più freddo tra i +18° e i -3°, con estate secca e con temperatura del mese più caldo maggiore di 22°) (Köppen, 1936). Invece secondo la classificazione di Thornthwaite, il promontorio di Piombino, ricade all’interno di un clima subarido con deficit idrico in estate da moderato a scarso (fig. 2.3b).

Fig. 2.3 – a) Classificazione dei climi d’Italia (da Pinna, 1978). b) Classificazione climatica di Thornthwaite per la regione Toscana (da Rapetti & Vittorini, 1994).

Si riportano i dati della distribuzione delle precipitazioni registrati a Populonia su base annuale dal 1998 al 2015 (fig. 2.4). I dati della stazione pluviometrica di Populonia (164 m s.l.m.) indicano un valore di pioggia media annua pari a 494,1 mm (tra il 1998 e il 2015) e l’anno più piovoso risulta essere il 2002 con una pioggia cumulata di 740,8 mm.

Fig. 2.4 - Distribuzione delle precipitazioni a Populonia su base annuale dal 1998 al 2015 (dati ricavati da SIR-Toscana).

Promontorio di Piombino

Area di studio

(11)

11

Il nubifragio del 2015

Il 28 e il 29 ottobre del 2015, la zona tra San Vincenzo, Piombino ed anche Baratti è stata colpita da un nubifragio. Più precisamente il 28 ottobre sono precipitati 129 mm di pioggia mentre il 29 ottobre 271 mm. Se pensiamo che nel 2015 la cumulata annuale è pari a 566,4 mm, in quei due giorni sono piovuti 400 mm (71% rispetto alla cumulata annuale), una quantità molto elevata distribuita in sole 48 ore (fig. 2.5).

Fig. 2.5 - Precipitazioni giornaliere e cumulata relativa del 2015 per la stazione di Populonia (da SIR-Toscana).

Le precipitazioni meteoriche hanno causato disagi alla circolazione, in particolar modo l’interruzione della strada provinciale della Principessa, nei pressi di Baratti, a causa di un cedimento del rilevato stradale (fig. 2.6a). Inoltre si sono formate delle colate di fango che si sono riversati in mare insieme a sporcizie e rifiuti nel Golfo di Baratti (fig. 2.6b).

Fig. 2.6 – a) Cedimento della strada per Baratti. b) le conseguenze dell’alluvione del 29/10/2015 (da “Il Giornale della Protezione Civile”).

In seguito a questo nubifragio si sono riattivate alcune frane presenti sul promontorio; inoltre si è riversata una grande quantità di detriti, tra cui anche blocchi e massi, lungo la linea di costa determinando una temporanea progradazione delle spiagge. Questo è accaduto anche alla Buca delle Fate (fig. 2.7) dove una decina di metri di detrito (in lunghezza) si sono depositati in riva al mare e alcuni ammassi rocciosi, quelli più intensamente fratturati, sono stati interessati da crolli di blocchi di roccia. I versanti hanno

(12)

12

subito un intenso dilavamento e il materiale detritico superficiale è stato asportato insieme ad arbusti e alberi di piccola taglia.

Fig. 2.7 – La Buca delle Fate qualche giorno dopo l’alluvione (foto da il Tirreno, Edizione Piombino-Elba, 2015). In evidenza il detrito accumulato lungo la linea di costa.

Infine i venti che interessano l’area di studio sono prevalentemente di origine meridionale e occidentale nei mesi che vanno da aprile a settembre mentre da ottobre a marzo provengono dai settori meridionali e nord-orientali (Berriolo & Battini, 1980). La direzione dei venti è molto importante in quanto l’azione del moto ondoso agisce ed erode alla base gli affioramenti rocciosi lungo la linea di costa.

(13)

13

2.2 Inquadramento geologico

La tettonica dell’area di studio (fig. 2.8), di estensione modesta, come il promontorio di Piombino ed in particolare la Buca delle Fate, si inserisce nel contesto dei Monti di Campiglia che si trovano a nord-est rispetto alla zona in esame. La successione e la natura delle Unità sono attribuite ad una complessa storia geologica che è poi la storia di tutta la Toscana Meridionale (Costantini et al., 1993).

Fig. 2.8 - Schema tettonico nella Provincia di Livorno a sud del fiume Cecina (Costantini et al., 1993). In evidenza il promontorio di Piombino.

Le Unità sono attribuite a tre Domini paleogeografici differenti (fig. 2.9) che si succedevano da Ovest verso Est con il seguente ordine (Decandia et al., 1981):

1) Dominio Ligure: (Unità di M. Gottero e Unità dei Fysch ad Elmintoidi) 2) Dominio Subligure (Australpino): (Unità di Canetolo)

3) Dominio Toscano: (Falda Toscana)

*Il termine “Austroalpino” indica la fascia del margine appenninico compresa tra il Dominio Ligure e il Dominio Toscano. Per altri autori questo Dominio corrisponde al Dominio Subligure (Costantini et al., 1993).

(14)

14

Fig. 2.9 - Rappresentazione schematica generale dei diversi domini che sono coinvolti nell’orogenesi dell’Appennino Settentrionale a partire dal Cretaceo superiore (da Costantini et al; 1993).

Gli eventi tettonici di tipo compressivo ed estensivo che hanno portato all’assetto geologico- strutturale sono schematicamente descritti a partire da quello più antico (Costantini et al., 1993):

 Evento distensivo sinsedimentario mesozoico legato all’apertura dell’Oceano ligure-piemontese (Giurassico Medio - Superiore).

 Eventi compressivi legati alla chiusura dell’Oceano ligure-piemontese riferibili al Cretaceo superiore, al Paleocene e all’Eocene. In questa fase tettonica sono state interessate solo le successioni del dominio ligure mediante delle deformazioni associate a piegamenti e sovrascorrimenti.

 Evento compressivo appenninico (di convergenza continentale) relativo all’Oligocene sup. – Miocene inf. legato alla collisione dei margini continentali della placca Europea con quella Africana (microplacca Adria) che provocò corrugamenti nel Dominio Toscano e il sovrascorrimento sopra di esso delle liguridi.

Eventi distensivi postcollisionali dove recenti studi (Carmignani et al., 1994) sui depositi del Mar Tirreno e della Toscana Meridionale datano l’inizio di questa fase alla fine del Miocene inferiore provocando due fenomeni che si sviluppano uno dopo l’altro: inizialmente si verifica una distensione della crosta superiore con formazione di faglie dirette a basso angolo che provocano quella situazione geologica tipica della Toscana Meridionale ovvero la “serie ridotta”. Successivamente si verifica uno sprofondamento che origina un sistema di fosse tettoniche subparallele, allungate in direzione NW-SE, con la formazione di bassi strutturali (“Graben”) e di alti strutturali (“Horst”).

In questo contesto tettonico evolutivo il promontorio di Piombino è stato interessato da un sollevamento epirogenetico nel Pleistocene inferiore che inizialmente ha coinvolto la Toscana Costiera e poi si è esteso a tutta la Toscana (Mazzanti, 2008). Successivamente una tettonica di tipo fragile, neogenico-quaternaria, ha portato allo sviluppo di faglie dirette, con componente superficiale di movimento subverticale e di faglie di trasferimento con direzione appenninica con componente di moto sia verticale che sub-orizzontale (Costantini et al., 1993). Il promontorio corrisponde quindi ad una zona sollevata tettonicamente e si imposta, in particolar modo nella porzione occidentale, su una monoclinale caratterizzata da faglie con andamento appenninico e antiappenninico, ad eccezione del M. Massoncello che può essere considerato una piccola anticlinale (Gasperi, 1968) come si evince dalle seguenti

(15)

15

sezioni geologiche (fig. 2.10) (Allegato 1 - Carta Topografica 1:10˙000) relative alla Carta Geologica del promontorio di Piombino (Gasperi, 1968)

Fig. 2.10 – Sezioni geologiche del Promontorio di Piombino. 1) Sezione SO-NE; 2) Sezione SSO-NNE; 5) Sezione NNO-SSE. Dalla carta geologica del promontorio di Piombino (1:30.000) (Gasperi, 1968).

Relativamente alla conformazione geologica, il promontorio di Piombino presenta affioramenti (fig. 2.12) di varie formazioni, che possono essere raggruppate nelle seguenti Unità tettoniche (fig. 2.13), elencate in ordine di sovrapposizione geometrica dal basso verso l’alto:

1) Falda Toscana. 2) Unità di Canetolo. 3) Successione quaternaria.

1) La Falda Toscana è presente solo con il termine più alto della successione (fig. 2.11), ovvero, la formazione del Macigno:

Macigno (Oligocene superiore- Aquitaniano)

E’ la formazione lapidea maggiormente rappresentativa in quanto costituisce la quasi totalità delle coste rocciose con una successione di strati arenacei o arenaceo-pelitici, a composizione quarzoso-feldspatico,

2) L’Unità di Canetolo affiora prevalentemente nell’area meridionale del promontorio e si trova sopra la formazione del Macigno con le seguenti formazioni:

Argille e calcari di Canetolo (Eocene Medio)

Sono costituite da una fitta alternanza di argilliti, marne e siltiti grigio scure con strati calcarei debolmente silicei.

Arenarie di Suvereto (Oligocene superiore- (?) Aquitaniano)

Si tratta di una successione di arenarie quarzoso feldspatiche prevalentemente a granulometria medio-fine in strati medi e subordinatamente in bancate di spessore maggiore, con intercalazioni pelitiche e argillitiche grigio scure.

 Litofacies marnosa (Arenarie di Suvereto) (Oligocene superiore- (?) Aquitaniano) E’ costituita da marne siltose grigie, massive con sequenze siltoso-pelitiche a stratificazione molto sottile. Costituiscono una litofacies delle Arenarie di Suvereto probabilmente in posizione basale.

(16)

16

3) La Successione quaternaria affiora ampiamente nonostante il loro modesto spessore nelle zone meno elevate del promontorio sia nella parte settentrionale che meridionale.

Limi e sabbie rosse (Pleistocene medio-superiore)

Sabbie da fini a medie, di colore dal rosso vivo al rosso arancio a matrice siltosa.  Panchina (Pleistocene medio-superiore)

Calcareniti di aspetto massivo organizzati in livelli da decimetrici a centimetrici ad andamento piano parallelo.

Nel capitolo successivo (Descrizione dell’area di studio) si espone dettagliatamente la formazione del Macigno, delle Argille e calcari di Canetolo e la successione quaternaria che affiorano nell’area in esame.

(17)

17

Fig. 2.12 - Carta geologica del Promontorio di Piombino con relativa legenda (Carta tecnica Regionale, Sez. n° 317020 (originariamente 1:10˙000); Cerrina Feroni A. et al; 2007, modificata).

(18)

18

Fig. 2.13 – Sezione A-A’ (CTR – Sez. 317020) che mostra la successione e la struttura delle formazioni del Promontorio di Piombino (da Cerrina Feroni A. et al; 2007, modificata).

(19)

19

3 Descrizione dell’area di studio

3.1 Descrizione delle formazioni

Viene data una descrizione delle formazioni desunta sia da letteratura sia dalle osservazioni del rilevamento di campagna che si è svolto nei mesi di Aprile e Maggio 2016. Di seguito vengono riportate le Unità tettoniche e le rispettive formazioni, affioranti nell’area di studio (fig. 3.1), elencate in ordine di sovrapposizione stratigrafica dal basso verso l’alto (fig. 3.2).

Fig. 3.1 - Carta geologica dell’area di studio e i suoi dintorni con relativa legenda (Carta tecnica Regionale, Sez. n° 317020 (originariamente 1:10˙000); Cerrina Feroni A. et al; 2007, modificata).

(20)

20

Fig. 3.2 – Sezione geologica SW-NE (A-B) dell’area di studio.

Unità del substrato

Dominio Toscano

Falda Toscana (Successione non metamorfica) Macigno (Oligocene superiore- Aquitaniano)

Dominio Subligure Unità di Canetolo

Argille e calcari di Canetolo (Eocene medio)

Successione Quaternaria

Quaternario marino e continentale

Limi e sabbie rosse (Pleistocene medio - superiore) Panchina (Pleistocene medio-superiore)

Depositi del Quaternario

Depositi di spiaggia attuale Depositi da debris flow Coperture detritiche Corpi di frana

(21)

21

3.1.1 Falda Toscana

Macigno

Il Macigno, riconosciuto e descritto già dal Lotti (1910), affiora in modo continuo nella parte settentrionale del promontorio con uno spessore che non supera i 700 m (Gasperi, 1968) e si presenta sotto forma di arenarie quarzose-feldspatiche, a granulometria variabile da fine a grossolana in strati spessi da 50-100 cm a 3-5 m con possibili intercalazioni di livelli argillitici, siltosi e marnosi di colore grigio (Costantini et al, 1968). Il Macigno del promontorio di Piombino è simile a quello di Calafuria (Livorno) descritto dal Tavani (1954) ma presenta alcune differenze sedimentologiche e litologiche rispetto a quello classico della dorsale appenninica. Si parla, infatti, di “Macigno costiero” che affiora, in maniera sporadica, lungo la costa toscana da La Spezia fino a Grosseto e si discosta da quello appenninico per un alto contenuto in frammenti litici, sia carbonatici che vulcanici (Cornamusini, 2002). Il Macigno costiero, infatti, rappresenta un sistema torbiditico, a bassa efficienza di trasporto, con alimentazione trasversale all’asse del bacino, la cui composizione suggerisce una sorgente con coperture carbonatiche e vulcaniche che sono riconducibili al massiccio Sardo-Corso (Cornamusini, 1998, 2001a-b). Le arenarie del Macigno, del promontorio di Piombino, sono composte da granuli di quarzo con frequenti feldspati, accompagnati da muscovite, biotite spesso cloritizzata e secondariamente da zircone e calcite (Gasperi, 1968) (fig. 3.3). Il colore è quello tipico grigio-azzurognolo, se la roccia è fresca mentre color ocra se alterata. L’età che si attribuisce a questa formazione è dell’Oligocene medio-superiore grazie al ritrovamento nella zona del Golfo di Baratti, a Punta delle Pianacce, di uno strato con un ricco contenuto di fossili, forme sia bentoniche che plantoniche, appartenenti ad una microfauna marina.

Fig. 3.3 - Arenarie del Macigno.

Nell’area di studio il Macigno si presenta sotto forma di strati di arenaria molto fine con spessori tra i 5 e i 15 cm, talvolta fogliettati, con laminazione piano-parallela, intervallati da livelli argillitici, siltosi e marnosi, che sono stati interpretati come una facies distale di una corrente torbiditica (Gasperi, 1968) (fig. 3.4a). Inoltre si trova sotto forma di bancate di arenaria più grossolana dello spessore di circa 4 m o più, con sporadica gradazione verticale il cui meccanismo deposizionale può essere attribuito a processi caratterizzati da alta energia come le correnti ad elevata densità (Bracci, 1984) (fig. 3.4b). Questi affioramenti, presenti

(22)

22

lungo la linea di costa, sono sottoposti ad un’erosione differenziata: i livelli arenacei più tenaci risaltano maggiormente rispetto a quelli argillitici che subiscono un’erosione più rapida da parte dell’azione dei venti, delle precipitazioni meteoriche ed anche del moto ondoso. Questo processo porta al disfacimento della roccia pelitica sotto forma di scagliette (fig. 3.4a) e determinano il distacco per scalzamento dei blocchi di roccia che vi giacciono sopra.

Fig. 3.4 – a) Erosione differenziata sui livelli pelitici (facies distale) che costituiscono il Macigno. b) Bancate di Macigno di aspetto massivo.

3.1.2 Unità di Canetolo

Argille e calcari di Canetolo

Si tratta di una fitta alternanza di argilliti grigio scure o nere con calcilutiti silicee grigio chiare e calcareniti grigie gradate con la presenza di lamine sottili piano-parallele di areniti e silititi di età luteziana (Eocene medio). Le argilliti e le siltiti si sfaldano con facilità in scagliette centimetriche mentre le altre due tipologie di roccia se di spessore sufficiente possono risultare compatte e più resistenti (Costantini et al., 1993) (fig. 3.5). Questa formazione è presente in affioramenti d’estensione molto limitata nella parte settentrionale del promontorio mentre è più frequente nella parte meridionale il cui spessore, però, è difficile da determinare a causa della folta copertura boschiva.

(23)

23

3.1.3 Quaternario marino e continentale

Limi e sabbie rosse

Sabbie prevalentemente fini o medie di color rosso vivo o rosso arancio con matrice siltosa (Cortemiglia, 1983) (fig. 3.6). Affiorano in qualche porzione limitata del promontorio, in particolar modo nella parte Nord-occidentale, con uno spessore di almeno di 2 m, ed hanno un’età riferibile al Pleistocene medio-superiore. Anche se il folto manto boschivo impedisce una buona ricostruzione delle successioni stratigrafiche, le sabbie rosse si trovano più frequentemente sotto la Panchina (Cortemiglia, 1983) (come evidenziato nella sezione geologica in fig. 3.2).

Fig. 3.6 – Limi e sabbie rosse sul promontorio.

Panchina

Si tratta di livelli calcarenitici di colore giallastro costituiti da sabbia fine o medio-grossolana a cementazione calcarea che si mostra ruvida al tatto (Mazzanti, 1977); il nome deriva dalle estese bancate sub-orizzontali di livelli di paleo spiaggia che si sono formati a seguito delle fasi di trasgressione marina (Mazzanti, 1977). Tuttavia la sabbia può essere anche trasportata dai venti e subire il processo di cementazione lontano dal mare formando dei depositi eolici (Brocchini, 2009). Infatti nell’area di studio è presente sia una Panchina di presunta origine eolica (fig. 3.7a) e sia una Panchina di origine marina (fig. 3.7b). L’età attribuita a questa formazione è del Pleistocene medio-superiore ed affiora in aree poco estese del promontorio con uno spessore di almeno 4 m.

(24)

24

Fig. 3.7 – a) Panchina di presunta origine eolica lungo il sentiero. b). Panchina di origine marina in affioramento sulla terrazza della Buca delle Fate.

La Panchina, che affiora sul sentiero che porta alla Buca delle Fate, sfruttata sia come cava che come necropoli (fig. 3.8a-b), è considerata come un deposito eolico a differenza della Panchina del Golfo di Baratti, la cui origine è propriamente marina. Infatti, secondo il Cortemiglia (1983), la Panchina eolica del Fosso delle Grotte e della Buca delle Fate è riferibile alle fasi regressive che si alternano con quelle trasgressive presenti nella falesia del Golfo. I depositi di sabbia si sarebbero formati per l’azione dei venti meridionali ed occidentali, che durante le fasi di mare basso, raccoglievano le sabbie dalla grandi spiagge presenti ad Ovest del Promontorio di Piombino (Cortemiglia, 1983).

Fig. 3.8 – a) Cava etrusca sfruttata tra la fine del III e il II secolo a.C. b) tomba ipogea.

Per Pistolesi (2016), invece, la Panchina lungo il sentiero, per la Buca delle Fate, non è propriamente un deposito eolico per la presenza di una granulometria non compatibile per questo tipo di formazione. Infatti, è costituita sia da sabbia grossa che da ghiaia di esigua dimensione (fig. 3.9).

(25)

25

Fig. 3.9 - Campione di calcarenite preso sul sentiero della Buca delle Fate.

Inoltre gli affioramenti mostrano delle vaschette di erosione, che sono delle forme tipiche di una spiaggia emersa sottoposta ai moti ondosi del mare e fanno escludere che possa trattarsi di un deposito eolico (Pistolesi, 2016) (fig. 3.10a-b).

Fig. 3.10 – a) Vaschette di erosione sulla Panchina del sentiero. b) vaschette di erosione presenti sul Macigno alla Buca delle Fate.

Secondo Pistolesi (2016), il Cortemiglia aveva considerato la Panchina della Buca delle Fate di origine eolica poiché era posta a quote troppo alte (78 m) per richiamare l’innalzamento del livello del mare e non erano presenti dei fossili macroscopicamente visibili ma una frazione sabbiosa, prevalentemente carbonatica, costituita da calcari micritici e organogeni, alghe, briozoi, lamellibranchi, echinidi e foraminiferi. Tuttavia, secondo Pistolesi (2016) si è verificato, in un periodo precedente al Pleistocene superiore, un sollevamento che ha interessato tutto il Promontorio di Piombino in accordo con le osservazioni fatte dal Mazzanti (2008) sul sollevamento epirogenetico che ha interessato dal Pleistocene inferiore la Toscana Costiera e che ritiene essersi esaurito nel Pleistocene superiore. Inoltre una volta giunti alla Buca delle Fate è possibile trovare qualche bancata di Panchina che differisce da quella del sentiero per composizione e colore, infatti, quest’ultima è di color giallastro a granulometria fine ricordando così quella presente sul Golfo di Baratti dove sono presenti tre livelli di Panchina (Panchina I, Panchina II e Panchina III) che rappresentato tre cicli di paleospiaggia intervallati da livelli di sabbie rosse che rappresentano le fasi di regressione.

(26)

26

Depositi di spiaggia attuale

Nell’area di studio sono presenti spiagge rocciose, ovvero, dei depositi di frane di crollo perché sono costituiti in gran parte dall’accumulo di grossi ciottoli e massi sia di arenaria che di calcarenite (fig. 3.11), caduti nel tempo dalle pareti rocciose soprastanti che sono intensamente fratturate.

Fig. 3.11 - Blocchi di calcarenite e di arenaria. Depositi da debris flow

Si tratta di depositi di forma allungata che si ritrovano in corrispondenza degli assi naturali di drenaggio, dove hanno tendenza ad accumularsi e sono costituiti da materiale sciolto di varia natura litologica e dimensione (sabbie, limi, argille, ghiaie, blocchi e massi) sui quali, è cresciuta vegetazione erbacea, arbustiva ed arborea.

Coperture detritiche

Questi accumuli di detrito sono presenti prevalentemente ai piedi delle alture montuose nell’area di competenza del Macigno. Sono costituiti da depositi di materiale sciolto (la componente ciottolosa e sabbiosa grossolana è predominante) in corrispondenza dei quali non sono stati rilevati segni di instabilità gravitativa in atto e sui quali è cresciuta la vegetazione arbustiva (fig. 3.12).

(27)

27

Corpi di frana

Depositi di materiale litoide eterogeneo ed eterometrico, con o senza segni di movimenti in atto. Lungo la fascia dei versanti costieri sono presenti esclusivamente frane attive che manifestano segni di attività ed instabilità gravitativa. Sono prevalentemente frane di crollo e di scivolamento che si sviluppano sui versanti rocciosi ad elevata acclività e che producono masse detritiche costituite da materiale fine, medio, grossolano fino a blocchi e massi di roccia (fig. 3.13). Si possono generare a causa delle precipitazioni meteoriche associate all’azione erosiva del mare che esercita un’erosione differenziata alla base del versante provocando inizialmente la rimozione delle frazioni più fini e successivamente la disgregazione dei massi di dimensioni più grosse. Le frane inattive, invece, sono presenti lungo i versanti adiacenti alla linea di costa e nelle porzioni più interne del promontorio. Queste frane sono costituite da ammassi detritici di varia granulometria che appaiono in una situazione di equilibrio gravitativo, che può essere confermata dalla presenza della macchia mediterranea che le ha completamente o parzialmente ricoperte.

Fig. 3.13 – Corpo di frana presente in prossimità della linea di costa. Si tratta, probabilmente della porzione finale di una frana di scivolamento più grande, che si sviluppa sul versante roccioso a quote più alte.

(28)

28

4 Approccio metodologico

Il lavoro si è svolto attraverso una serie di indagini per definire i parametri e le caratteristiche geomeccaniche che condizionano il comportamento degli ammassi rocciosi (dispense D’Amato Avanzi, 2016). Le fasi di studio sono state le seguenti:

Determinazione della resistenza della roccia: è interessato determinare la resistenza

a compressione semplice, utile, sia per la classificazione geomeccanica degli ammassi rocciosi (Bieniawski) che per la valutazione della resistenza al taglio delle discontinuità. Per determinare la resistenza a compressione uniassiale semplice, UCS (Uniaxial Compressive Strength), sono state adottate delle prove indirette sia in sito (sclerometro) che in laboratorio (Point Load Test) supportate da apposite relazioni. Durante il rilevamento di campagna è stato utilizzato lo sclerometro per valutare la resistenza delle superfici di discontinuità, dove la roccia è spesso alterata e meno resistente (Aydin, 2009), mentre in laboratorio si è usato il Point Load Test (Broch & Franklin, 1972) per la valutazione della resistenza della roccia intatta sui campioni prelevati in sito dagli affioramenti.

Caratterizzazione delle discontinuità: per il lavoro di questa tesi abbiamo analizzato

le proprietà fondamentali delle discontinuità secondo le metodologie proposte dall’ISRM (1978) che definisce i seguenti parametri:

- Orientazione

-

Apertura - Spaziatura - Riempimento - Persistenza - Filtrazione d’acqua - Scabrezza

-

Sistemi di discontinuità - Resistenza delle pareti

-

Dimensione dei blocchi

Determinazioni della densità dei campioni e dell’angolo di attrito di base: per definire la densità dei campioni prelevati in campagna è stata utilizzata una bilancia di precisione per pesare i campioni prima a secco e poi immersi in un contenitore pieno di acqua. Inoltre dei campioni di arenaria appartenenti alla formazione del Macigno sono stati sottoposti al Tilt Test per determinare l’angolo di attrito di base.

Classificazione di Bieniawski: si è scelto di usare la classificazione di Bieniawski (1989) perché è una delle più utilizzate sia in campo nazionale che internazionale e perché, i parametri richiesti per la valutazione degli indici di qualità, sono facilmente reperibili in affioramento ed in laboratorio, attraverso delle strumentazioni di facile utilizzo. In questo lavoro di tesi si è calcolato l’indice di qualità BRMR (Basic Rock Mass Rating) che si basa sulla determinazione di questi cinque parametri:

- A1 Resistenza a compressione uniassiale della roccia intatta - A2 RQD - Rock Quality Designation

- A3 Spaziatura delle discontinuità - A4 Condizioni delle discontinuità - A5 Condizioni idrauliche

(29)

29

Analisi di stabilità: si è condotta attraverso due fasi che ci hanno permesso di valutare il comportamento degli ammassi. La prima è l’analisi cinematica, con la quale si determina se l’assetto delle famiglie di discontinuità permette l’instabilità dell’ammasso (scorrimento planare, scorrimento di cuneo, ribaltamento) tramite le valutazioni in sito e le analisi stereografiche delle famiglie di discontinuità rispetto al versante (Hoek e Bray, 1981; Tanzini, 2001). Infine, per i movimenti cinematicamente possibili, si è proceduto con la seconda fase di indagine cioè l’analisi all’equilibrio limite calcolando il Fattore di Sicurezza (FS) che si ricava dal rapporto tra le forze resistenti e le forze destabilizzanti in gioco nell’ammasso (FS > 1 pendio stabile; FS = 1 equilibrio limite; FS < 1 pendio instabile). Per il calcolo del Fattore di Sicurezza in condizioni di equilibrio limite si è adoperato il sofware Rockplane (Geostru) ed un Foglio di calcolo Excel con le relazioni desunte sia dal software della Geostru che da Tanzini (2001).

4.1 Resistenza della roccia intatta

La resistenza alla compressione uniassiale (tab. 4.1) è stata ottenuta in maniera indiretta mediante l’elaborazione di dati che sono stati ricavati in campagna con la prova sclerometrica ed in laboratorio con il Point Load Test.

Grado Denominazione Prove di identificazione

Resistenza alla compressione uniassiale (MPa)

R0 Roccia estremamente debole Si intacca con l’unghia del pollice 0,25 – 1,0 R1 Roccia molto debole

Si frammenta colpendola con la punta del martello o scalfita con la lama di un coltello

1,0 – 5,0

R2 Roccia debole

Si scalfisce con difficoltà, la punta del martello può lasciare un’impronta profonda

5,0 - 25

R3 Roccia mediamente resistente

Non si scalfisce con il martello, ma un colpo deciso di martello può frantumarla

25 - 50 R4 Roccia resistente Per romperla servono più colpi di

martello

50 - 100 R5 Roccia molto resistente Molti colpi di martello servono

per romperla

100 - 250 R6 Roccia estremamente resistente Viene scheggiata dal colpo di

martello

>250

Tab. 4.1 - Classi di resistenza degli ammassi rocciosi (da ISRM, 1978, modificato).

Prova sclerometrica

In situ per valutare la resistenza delle pareti delle discontinuità è stato impiegato lo sclerometro ( Schmidt Hammer) (fig. 4.1). Lo sclerometro è uno strumento costituito da un’asta di metallo che viene spinta da una molla e che impatta sulla superficie da testare. Una parte dell’energia è dissipata mentre una parte viene restituita allo strumento elasticamente. La prova sclerometrica, sviluppata da Schmidt è una prova indiretta, rapida ed economica che ci permette di ricavare la resistenza a compressione apparente (o durezza di rimbalzo) che è rappresentata da un indice di rimbalzo R (% di rimbalzo).

(30)

30

Fig. 4.1 - Principi di funzionamento dello sclerometro (da Aydin, 2009)

Esistono due tipi di sclerometro quello di tipo N e quello di tipo L, quest’ultimo ha un’energia di impatto minore (0,735 Nm) rispetto a quello di tipo N (2,205 Nm) che è impiegato per valutare la resistenza dei cementi. Lo sclerometro di tipo L, invece, è maggiormente adoperato per le rocce di resistenza media (fig. 4.2) (Aydin, 2009).

Fig. 4.2 - Sclerometro di tipo L (Controls) impiegato in campagna.

Entrambi gli sclerometri, devono essere utilizzati ortogonalmente alla superficie e quest’ultima non deve presentare asperità ma risultare pulita e liscia, infine la distanza minima dai bordi delle discontinuità deve essere almeno 6 cm. L’indice di rimbalzo R deve essere corretto in base all’inclinazione dello strumento rispetto alla verticale o orizzontale, per poterlo impiegare nelle relazioni che determinano la resistenza a compressione semplice UCS (Uniaxial Compressive Strength). Un metodo per correggere l’inclinazione dello sclerometro è mediante l’utilizzo dell’approccio di Barton & Choubey (1977) (tab. 4.2).

(31)

31

Tab. 4.2 - Tabella di correzione (Barton e Choubey, 1977).

Per determinare la resistenza a compressione semplice, UCS, esistono delle apposite relazioni empiriche. Per lo sclerometro di tipo L esistono relazioni empiriche poco cautelative che portano ad una sovrastima del risultato, come la relazione di Miller (1965) (4.1) e di Bruschi (2004) (4.2). Tuttavia esistono delle relazioni empiriche, come quella lineare di Aydin & Basu (2005) (4.3), che correlano i valori di RL in RN e in seguito si ricava l’UCS con una relazione più cautelativa, come quella di Katz (2000) (4.4) idonea per gli sclerometri di tipo N.

Miller (1965) UCS = 10

(0,00088 γ R + 1,01) (4.1)

Bruschi (2004) UCS = 0,1146*R

1,687

(4.2)

Aydin & Basu (2005) RN = 1,0646 RL + 6,3673

(4.3)

Katz (2000) UCS = 2,2224*e

0,0667 R

(4.4) dove:

 UCS = Resistenza a compressione uniassiale  γ = peso di volume della roccia (kN/m3

)  R = Indice di Rimbalzo

 RL = Indice di Rimbalzo con sclerometro di tipo L  RN = Indice di Rimbalzo con sclerometro di tipo N

RIMBALZO VERSO IL BASSO VERSO L’ALTO ORIZZONTALE

R α = -90° α = -45° α = 90° α = 45° α = 0° 10 0 -0,8 -- -- -3,2 20 0 -0,9 -8,8 -6,9 -3,4 30 0 -0,8 -7,8 -6,2 -3,1 40 0 -0,7 -6,6 -5,3 -2,7 50 0 -0,6 -5,3 -4,3 -2,2 60 0 -0,4 -4,0 -3,3 -1,7

(32)

32

Point Load Test

Il Point Load Test è un metodo di indagine di tipo distruttivo, sviluppato da Franklin (1970), che permette di valutare la resistenza di una roccia in maniera rapida. Lo strumento consiste di una pressa idraulica che agisce sul campione di roccia mediante due punte coniche di acciaio che hanno un raggio di curvatura di 5 mm, un angolo di 60° e un diametro di 50 mm (fig. 4.3). Il valore di picco della forza applicata, per portare il provino a rottura (per splitting), viene registrato mediante un dinamometro elettronico (Broch & Franklin, 1972).

Fig. 4.3 - Strumentazione del Point Load Test (Tecnotest).

I provini possono essere di forma cilindrica, a blocchi o di forma irregolare, inoltre, sarebbe opportuno, non utilizzare campioni superiori ai 70 mm di spessore per evitare di forzare il dispositivo. L’ISRM raccomanda di eseguire almeno 10 prove per i campioni cilindrici mentre per quelli irregolari (fig. 4.4) 20 prove. La prova dà un valore di forza a rottura che va riportato ad un indice che prende il nome di Indice di Resistenza Point Load (Is). Sotto si riportano le formule per ottenere l’Is (4.5 – 4.6):

Campioni cilindrici:

I

s

=

𝑃

𝐷2

(4.5)

dove:

 P = carico di rottura

 D = diametro del provino

Campioni irregolari:

I

s

=

𝑃

𝐷𝑒2

(4.6)

Fig. 4.4 - Esempio di campione irregolare sottoposto alla prova di carico puntuale.

(33)

33 dove:  P = carico di rottura  De = diametro equivalente De2 = 4A /π  A = W D

 W = larghezza superficie di rottura  D = spessore superficie di rottura

L’ISRM consiglia di riferire i valori Is al diametro standard di 50 mm (Is(50)) attraverso la seguente relazione empirica (4.7):

Is(50)

=

F Is

(4.7) dove:

F= (

𝐷𝑒50

)

0,45

(4.8)

Infine per determinare la resistenza a compressione uniassiale viene usata la seguente relazione:

UCS=

K Is

(50)

(4.9) Il valore di K, suggerito dall’ISRM, varia da 20 a 25 e nella pratica è comunemente utilizzato il valore 24. Ricerche bibliografiche (Bruschi, 2004) mostrano che esiste una notevole influenza della litologia (tab. 4.3) e che il valore di 24 può essere considerato un limite superiore e poco cautelativo. LITOTIPO K Basalto 22 Gabbro 23 Granito 18 Arenaria 19 Calcare 11 Dolomia 10 Calcareniti 10 Breccia 16 Tufo 14 Marmo 24 Serpentinite 19 Calcescisto 21 Micascisto 19 Fillade 14

(34)

34

Per un’ulteriore verifica dei risultati, si può utilizzare anche il grafico di Tsiambaos & Sabatakakis (2004), solo in presenza di rocce come calcari, marne ed arenarie, che ci permette di ricavare il valore UCS della roccia conoscendo il valore Is(50).

Fig. 4.5 – Grafico di correlazione tra Is(50)-UCS per calcari, marne ed arenarie.

4.2 Caratterizzazione delle discontinuità

Un ammasso roccioso è costituito da un insieme di blocchi di roccia separati da vari tipi di discontinuità e non può essere considerato come un sistema omogeneo continuo ed isotropo. Le discontinuità che caratterizzano l’ammasso rappresentano delle zone di debolezza che incidono sulla sua stabilità, per questo motivo è molto importante studiare le loro proprietà fondamentali e determinare la loro importanza nel sistema in cui sono presenti. L’ISRM (1978), International Society for Rock Mechanics, definisce i parametri principali delle discontinuità negli ammassi rocciosi che vengono descritti accuratamente di seguito anche se solo alcuni di questi hanno un ruolo maggiore nel controllo delle condizioni cinematiche di stabilità (orientazione e spaziatura), di resistenza meccanica (scabrezza e resistenza delle pareti) e di deformabilità (riempimento).

Orientazione

L’orientazione esprime la posizione della discontinuità nello spazio. L’orientazione è un parametro fondamentale che controlla il comportamento meccanico e cinematico degli ammassi rocciosi su un versante naturale o riguardo ad un opera di ingegneria.

L’orientazione può essere determinata mediante due metodi tramite l’utilizzo della bussola da geologo. Il primo prende il nome di Strike and dip mentre il secondo Dip Direction-dip. Nel primo si misurano: la direzione, l’inclinazione e l’immersione:

 la direzione è l’angolo tra il nord e l’intersezione tra il piano della discontinuità e il piano orizzontale, si misura da 000° fino a 360°;

 l’inclinazione è l’angolo tra la linea di massima pendenza del piano della discontinuità e il piano orizzontale, si misura da 00° fino a 90°;

(35)

35

 l’immersione è ortogonale alla direzione e viene rappresentata come N, NE,S, SW, E-W, N-S etc.

Nel secondo metodo Dip direction/Dip (utilizzato in questo lavoro di tesi), l’orientazione è determinata mediante la direzione d’immersione e dall’inclinazione della linea di massima pendenza del piano di discontinuità (fig. 4.6):

 la direzione d’immersione si misura da 000° fino a 360° e rappresenta l’angolo tra il Nord e la proiezione sul piano orizzontale della linea di massima pendenza (90°= est, 270=ovest).

 l’inclinazione è l’angolo tra la linea di massima pendenza del piano della discontinuità e il piano orizzontale, si misura da 00° fino a 90°.

Fig. 4.6 - Schematizzazione della direzione di un versante secondo le due metodologie (da RIG, 1993).

Spaziatura

Questo parametro esprime la distanza tra due discontinuità che possono essere parallele o sub-parallele appartenenti alla stessa famiglia. Si misura con rotella metrica su uno stendimento di almeno 3 m (o comunque 10 volte più grande della spaziatura stimata) ortogonalmente al piano della famiglia di discontinuità (fig. 4.7). Questo procedimento prende il nome di metodo dell’intercetta. Nel caso in cui l’ortogonalità non è rispettata si usa la formula (4.10):

S =

dm senα

(4.10) dove:

 dm, distanza media misurata.

(36)

36

Fig. 4.7 - Misura della spaziatura delle discontinuità in un ammasso roccioso (da RIG, 1993).

Un ammasso che possiede dei sistemi di discontinuità con spaziatura ravvicinata avrà una bassa coesione nella massa cioè sarà meno resistente di un ammasso caratterizzato da sistemi di discontinuità con spaziatura più ampia creando delle condizioni di interdipendenza tra i blocchi. In questo lavoro di tesi, secondo la classificazione geomeccanica di Bieniawski, si esprime la spaziatura media, che si ottiene dal rapporto tra il numero di discontinuità intercettate e la lunghezza dello stendimento (per ogni famiglia di discontinuità). L’ISRM descrive la spaziatura in maniera differente da Bieniawski, sotto si mettono a confronto le due classificazioni (tab. 4.4):

ISRM Bieniawski

Spaziatura estremamente stretta < 20 mm < 60 mm

S. molto stretta 20 – 60 - S. stretta 60 - 200 mm 60 - 200 mm S. moderata 200 - 600 mm 200 - 600 mm S. larga 600 - 2000 mm 600 - 2000 mm S. molto larga 2000 - 6000 mm > 2000 mm S. estremamente larga > 6000 mm -

Tab. 4.4 – Valori di spaziatura ISRM e Bieniawski a confronto (dispense Prof. D’Amato G., 2016).

Persistenza

Indica la capacità di penetrazione delle discontinuità nell’ammasso roccioso. E’ un parametro difficile da stimare e per questo si utilizza un criterio conservativo, ovvero, si tende a sovrastimare la persistenza in maniera cautelativa dal momento che si possono commettere degli errori che hanno conseguenze devastanti. La difficoltà è legata all’assenza di certezza di quanto le discontinuità penetrino nell’ammasso e quindi la valutazione della condizione di resistenza della roccia. Questa difficoltà si riscontra negli affioramenti con esposizioni poco ampie e poco orientate. Una sistema di discontinuità può essere descritto come (fig. 4.8):

 Persistente se le discontinuità si estendono oltre la roccia esposta.

 Sub-persistente se le discontinuità terminano contro altri sistemi di discontinuità.

(37)

37

Fig. 4.8 - Rappresentazione della persistenza di due sistemi di discontinuità. a) entrambi persistenti; b) uno persistente, l’altro subpersistente; c) entrambi subpersistenti; d) entrambi non persistenti (da RIG, 1981)

La persistenza viene descritta dall’ISRM e da Bieniawski secondo questa classificazione (tab. 4.5):

Persistenza molto bassa < 1 m Persistenza bassa 1 - 3 m Persistenza media 3 - 10 m Persistenza alta 10 - 20 m Persistenza molto alta > 20 m

Tab 4.5 – Valori di persistenza

Scabrezza

Rappresenta le irregolarità presenti sulla superficie delle discontinuità. E’ il parametro che influisce maggiormente sulla resistenza al taglio delle pareti delle discontinuità producendo quel fenomeno che prende nome di dilatanza che sviluppa un aumento di volume ortogonalmente alla direzione di movimento quando due superfici scorrono una sopra l’altra (dispense D’Amato Avanzi, 2015). La dilatanza si può sviluppare a piccola scala mediante le ondulazioni o a grande scala quando si hanno delle asperità ben resistenti che non si rompono ma vengono scavalcate (fig. 4.9a). Il fenomeno della dilatanza è controllato dal JRC (fig. 4.9b), il Joint Roughness Coefficient che descrive i profili di rugosità, rappresentando la componente geometrica del giunto.

Fig. 4.9 – a) Scabrezza a grande scala (1) e a piccola scala (2) (da RIG 1993). b) Profili di rugosità con relativo JRC (Barton & Choubey 1977).

(38)

38

La scabrezza può essere stimata mediante il pettine di Barton (a grande scala) (fig. 4.10a-b), asta metrica (a piccola scala), con i profili di rugosità o semplicemente anche al tatto.

Fig. 4.10 – a) Pettine di Barton . b) Profilo della superficie di discontinuità.

Resistenza delle pareti (JCS)

La resistenza a compressione uniassiale della parete JCS (Joint Compressive Strenght) si valuta mediante l’utilizzo dello sclerometro. Il parametro JCS è legato all’alterazione dell’ammasso roccioso che indebolisce la resistenza delle pareti delle discontinuità e indebolisce anche la roccia intatta. Dal rapporto tra la resistenza che misuriamo in laboratorio con il Point Load Test e la resistenza apparente che otteniamo in sito da una prova sclerometrica direttamente sull’affioramento, otteniamo una stima del grado di alterazione (Scesi et al., 2001):

 σc / σc app = 1 roccia non alterata

 σc / σc app > 10 roccia profondamente alterata

dove:

 σc = valore di resistenza della roccia con prova di carico puntuale  σc app = valore di resistenza con lo sclerometro

Processi come la disgregazione della roccia o la dissoluzione di alcuni minerali si sviluppano principalmente lungo le pareti delle discontinuità e possono peggiorare in questo modo le caratteristiche meccaniche della roccia. In fig. 4.11 si riporta il grado di alterazione degli ammassi rocciosi in accordo con l’ISRM (1978).

(39)

39

Fig. 4.11 - Grado di alterazione degli ammassi rocciosi (da RIG, 1993).

Apertura

Esprime la distanza fra le pareti delle discontinuità che può essere riempita d’aria, acqua o sedimenti. Si misura ortogonalmente alle superfici di discontinuità con rotella metrica o calibro su stendimenti di almeno 3 m. E’ un parametro molto importante che influisce sulla resistenza al taglio del materiale. Un aumento di apertura determina una diminuzione della resistenza al taglio

perché diminuendo la superficie di contatto fra le pareti, diminuisce il contributo della coesione. Questo concetto è strettamente legato alla presenza e al tipo di riempimento che è presente nello spazio dell’apertura delle discontinuità. Inoltre è ovvio che gioca un ruolo determinante nella conducibilità idraulica dell’ammasso roccioso, maggiori saranno le aperture maggiore sarà la quantità di acqua che può essere ospitata dall’ammasso. L’ISRM descrive le aperture secondo tre gruppi (fig. 4.12):

 discontinuità chiusa

 semi aperte

 aperte

Bieniawski (1989) (utilizzato in questo lavoro di tesi), invece le descrive in questo modo (tab. 4.6): Dis. chiuse 0 Molto strette < 0,1 mm Strette 0,1-1 mm Mod. aperte 1-5 mm Aperte > 5 mm

Tab. 4.6 – Spessori delle aperture.

(40)

40

Riempimento

Questo è un parametro che dipende dall’apertura tra le pareti delle discontinuità (fig. 4.13). Generalmente il materiale di riempimento è caratterizzato da una resistenza minore rispetto alla roccia che lo ospita, esempi di materiale di riempimento possono essere la sabbia, argilla, limo, quarzo, calcite etc. Se le pareti sono chiuse questo parametro è trascurabile, ma se le pareti sono aperte ed è presente del materiale di riempimento quest’ultimo gioca un ruolo importante sulla resistenza al taglio lungo le discontinuità. Lo spessore del materiale di riempimento e l’ampiezza delle rugosità sono dei fattori che incidono sulla resistenza al taglio. In presenza di un’apertura tra due pareti lisce, prive

di rugosità e prive di riempimento, le due pareti possono scivolare senza difficoltà l’una sopra l’altra. Invece in presenza di due pareti con delle asperità e prive di riempimento queste quando si incontrano, se le asperità sono poco resistenti, si rompono e le pareti scivolano l’una sopra l’altra, se fossero, invece, di materiale resistente le pareti avrebbero difficoltà a traslare. Se ci fosse uno spessore di materiale di riempimento abbondante tale da impedire il contatto tra le asperità, la resistenza al taglio diviene critica e le pareti scivolano tra di loro determinando piani di scivolamento preferenziali. In questi termini il riempimento influenza la resistenza al taglio in funzione delle sue caratteristiche fisiche e del suo spessore. Il materiale se presente fra i giunti, controlla anche la permeabilità e la filtrazione di acqua all’interno dell’ammasso.

Filtrazione d’acqua

Questo parametro indica la quantità d’acqua presente nei giunti delle discontinuità. La presenza d’acqua può determinare una diminuzione della resistenza al taglio, aumenta le pressioni neutre e diminuiscono le pressioni normali prodotte dal peso dell’ammasso roccioso. La presenza d’acqua inoltre può favorire l’alterazione sia chimica che fisica lungo i giunti. La filtrazione d’acqua si stima secondo due classificazioni diverse per le discontinuità non riempite e riempite (fig. 4.14).

Fig. 4.13 - Rappresentazione delle aperture delle discontinuità con o senza riempimento (da RIG, 1993).

(41)

41

Fig. 4.14 - Classificazione per discontinuità riempite e non riempite (da RIG, 1993).

Classificazione secondo Bieniawski (1989) (tab. 4.7): Condizioni idrauliche Completamente asciutte Umide Bagnate Stillicidio Acqua fluente

Tab. 4.7 – Condizioni idrauliche delle discontinuità.

Numero di discontinuità

Per la descrizione di un ammasso roccioso bisogna individuare le principali famiglie di discontinuità che lo caratterizzano; le discontinuità singole devono essere riportate individualmente se sono considerate importanti per la struttura dell’ammasso. E’ opportuno quindi adottare un criterio di numerazione delle famiglie.

Dimensione dei blocchi

La forma e le dimensioni dei blocchi di un ammasso dipende dal numero di discontinuità che intersecano un metro cubo di roccia e di conseguenza dipendono fortemente dall’orientazione, spaziatura e persistenza. La dimensione media del blocco tipico può essere valutata misurando le dimensioni medie di blocchi selezionati visivamente in sito. La forma e la dimensione dei blocchi determinano la struttura dell’ammasso roccioso. Si hanno generalmente cinque tipi di ammasso in relazione alla forma dei blocchi (fig. 4.15):

Massiccio, poche fratture presenti nell’ammasso

A blocchi, tre dimensioni più o meno equidimensionali

Lastriforme, con una dimensione più piccola delle altre

Colonnare, con una dimensione più grande delle altre

Irregolare, con spaziatura media delle fratture da molto distanti a vicine (tre dimensioni diverse

(42)

42

Fig. 4.15 - Rappresentazione di possibili ammassi rocciosi e dimensioni di blocchi (da RIG, 1981).

4.3 Densità dei campioni ed angolo di attrito di base

In laboratorio si sono svolte delle prove per definire la densità dei campioni di roccia e l’angolo di attrito di base dell’arenaria Macigno.

Densità dei campioni

I campioni di roccia analizzati provengono dagli ammassi rocciosi sia di arenaria Macigno che di calcarenite (Panchina) (fig. 4.16 a-b) che sono stati prelevati direttamente dalle stazioni analizzate utilizzando il martello da geologo.

Fig. 4.16 – a) Campioni di calcarenite della Stazione 1. b) Campioni di arenaria Macigno della Stazione 2 e della Stazione 4.

E’ stata condotta una prova in laboratorio per la stima della densità considerando i campioni irregolari raccolti in situ. Inizialmente ogni campione è stato pesato in condizioni naturali con una bilancia elettronica, successivamente è stato immerso, tramite un sottile filo, in un recipiente pieno d’acqua con l’obiettivo di calcolarne il volume sfruttando il principio della bilancia idrostatica e di Archimede (fig. 4.17). La massa registrata dalla bilancia corrisponde al volume di acqua spostato e quindi al volume del corpo immerso (nel caso ideale in cui il

(43)

43

peso specifico dell’acqua è pari a 1 kg/dm3). Il rapporto tra la massa in condizioni naturali ed il volume registrato ci permette di ricavare la densità di ogni campione di roccia.

Fig. 4.17 – Metodo di misura della densità dei campioni di roccia in laboratorio.

Angolo di attrito di base

L'angolo di attrito di base è un valore che si riferisce ad una superficie liscia ma non levigata ottenuta per taglio con una sega diamantata e non alterata in funzione della mineralogia e della tessitura della roccia. Questo parametro si può ottenere dal Tilt test. Due blocchetti di roccia sono montati sull'attrezzatura del test con la discontinuità orizzontale (fig. 4.18a). Il campione viene lievemente inclinato mediante una manovella (Angolo: 0 - 90°) (fig. 4.18b) finché il blocco superiore non si muove (fig. 4.18c). Lo strumento, infatti, misura l'angolo di scorrimento lungo un giunto e qualora le superfici o le linee di scorrimento siano prive di asperità, la misura equivale all'angolo d'attrito di base della roccia.

Fig. 4.18 – a) Strumento e campioni non inclinati. b) Inclinazione dello strumento. c) Scivolamento del campione superiore.

(44)

44

4.4 Classificazione geomeccanica di Bieniawski.

La classificazione geomeccanica di Bieniawski è utile per determinare le qualità e le proprietà meccaniche degli ammassi rocciosi. Nasce nel 1976 per scopi ingegneristici e poi subisce negli anni successivi (1989) delle modifiche e delle evoluzioni per determinare la qualità degli ammassi rocciosi nello studio di stabilità dei versanti. L’RMR, Rock Mass Rating, di Bieniawski (1989) classifica solamente le rocce escludendo i terreni e le coperture dalla classificazione. Questo tipo di classificazione si basa sulla somma di sei parametri che forniscono un indice di qualità dell’ammasso roccioso studiato (RMR). Se non consideriamo l’ultimo parametro che consiste nell’orientazione delle discontinuità otteniamo l’indice BRMR, Basic Rock Mass Rating (utilizzato in questo lavoro di tesi). Ad ogni parametro, infatti, è associato un punteggio la cui somma fornisce un valore di RMR o BRMR (da 0 a 100) in base al quale si può classificare l’ammasso, stimare i parametri geomeccanici (angolo di attrito, coesione), valutare i tempi di autosostentamento e le modalità di scavo e di sostegno. Il parametro A6 pone un limite alla classificazione di Bieniawski perché nelle condizioni più sfavorevoli ed in situazioni di ammassi rocciosi di qualità scadente o molto scadente, vanifica la valutazione del BRMR.

Parametri di calcolo:

A1 Resistenza a compressione uniassiale della roccia intatta

A2 RQD - Rock Quality Designation

A3 Spaziatura delle discontinuità

A4 Condizioni delle discontinuità

A5 Condizioni idrauliche

A6 Orientazione delle discontinuità

(45)

45

Parametro A1 - Resistenza a compressione uniassiale della roccia intatta

Questo parametro rappresenta la resistenza della roccia. Può essere valutato direttamente (prova UCS in laboratorio) o indirettamente sia in campagna tramite il Martello di Schmidt che in laboratorio sui campioni (Point Load Test). Conoscendo la resistenza della roccia è possibile tramite il grafico sottostante valutare il rispettivo indice (fig. 4.19).

Fig. 4.19 - Valutazione indice della resistenza della roccia intatta (da Tanzini, 2001).

Parametro A2 - Rock Quality Designation

L’ RQD è un parametro che consente di ottenere una stima quantitativa della qualità di roccia in base al recupero % di carotaggio considerando gli spezzoni di carota lunghi almeno 10 cm. E’ un parametro molto utilizzato nelle classificazioni geomeccaniche e dipende strettamente dalle caratteristiche delle discontinuità rappresentando il grado di fratturazione della roccia. Tuttavia non disponendo di carotaggi, esiste una relazione empirica di Priest & Hudson (1976) che ci permette di ricavare il valore di RQD (4.11):

RQD = 100 * (1+ 0,1 λ) * e

(-0,1 λ)

(4.11)

dove:

 λ =Frequenza delle discontinuità = 1/Xm (m)

 Xm= Spaziatura media delle discontinuità (cm) = s/nd

 s= Lunghezza stendimento (cm)

 nd = numero discontinuità intercettate

(46)

46

Fig. 4.20 - Valutazione Indice RQD (da Tanzini, 2001).

Parametro A3 - Spaziatura delle discontinuità

La spaziatura viene misurata in affioramento tramite rotella metrica su uno stendimento ortogonale rispetto alle discontinuità perché è un parametro che influisce sul controllo delle condizioni cinematiche di stabilità. La spaziatura media viene calcolata in questo modo (4.12):

Xm =

𝑆

𝑁𝑑

(4.12)

dove:

 Χm= spaziatura media (cm)

 S=lunghezza dello stendimento (cm)

 Nd=numero di discontinuità della stessa famiglia (cm)

Una volta calcolata la spaziatura media si usa il grafico di fig. 4.21 per determinare il rispettivo indice.

Riferimenti

Outline

Documenti correlati

La creazione di un modello digitale del terreno nell’area di interesse e la genera- zione di prodotti vettoriali (restituzione sul modello stereoscopico) e raster (ortofoto) hanno

Grado di esposizione al rischio per Sottoprocesso rappresentazione di sintesi in

• Frana di Bosmatto: velocità di spostamento lineare (tra 6 mm e 1,5 cm /a), senza correlazione con precipitazioni piovose e nevose. • Frana di Stadelte: condizionata da

• Si è mostrato un esempio di come una attività di monitoraggio completa e che contempli tutte le variabili di processo, abbia permesso una diagnosi del meccanismo di frana in

Docente di Telerilevamento e Rischi Geologici presso il Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza Università di

Il Comune di Urbino in qualità di autorità procedente, con nota prot. 38587 del 24/08/2016, ha trasmesso a questa Amministrazione Provinciale, quale autorità competente,

Il corso di lezioni persegue obiettivi formativi su la teoria generale del diritto pubblico, teoria dello Stato e della Costituzione, sulle fonti normative, sui diritti di

Dal tema delle fonti – e della loro incidenza all’interno degli ordinamenti degli Stati membri – al tema della tutela dei diritti fondamentali, passando per il ruolo delle