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ANALISI DELLO SPREAD DEI CREDIT DEFAULT SWAPS SOVRANI ITALIANI: GLI EFFETTI DI DOWNGRADING

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea in Banca, Finanza Aziendale e

Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Magistrale

ANALISI DELLO SPREAD DEI CREDIT DEFAULT

SWAPS SOVRANI ITALIANI: GLI EFFETTI DI

DOWNGRADING

CANDIDATO

RELATORE

Duccio Coppini

Prof. Emanuele Vannucci

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Abstract

The sovereign debt crisis in the euro area was the direct consequence of the 2007 American crisis. This thesis proposes an analysis on Italian sovereign credit default swaps and on the spread trend. The spread of CDS, both sovereign and corporate, is one of the key elements of this type of contract and one of the factors for measuring the country risk for investors. It is also influenced by the sovereign credit rating expressed by the most important global agencies. For this reason, based on the studies of some authors, we propose an analysis of the spread of Italian sovereign CDS on the basis of Standard&Poors' announcements of downgrading of the Italian creditworthiness. The target is to verify if the market related to these credit derivatives is able to anticipate the downgrading announcements. The four reference downgrades are included in the 2011-2014 period.

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Indice

Introduzione ... 6

Capitolo 1 -I derivati creditizi e rischio di credito ... 10

1.1 I derivati creditizi ... 10

1.1.1 La diffusione dei derivati sui mercati finanziari ... 10

1.1.2 Gli elementi dei derivati creditizi ... 12

1.2 Definizione del rischio di credito ... 14

1.2.1 Il deterioramento del merito creditizio della controparte ... 14

1.2.2 Variazione inattesa del merito creditizio ... 15

1.3 Le componenti del rischio di credito ... 16

1.3.1 Probabilità di default ... 16

1.3.2 Orizzonte temporale ... 21

1.3.3 Loss Given Default ... 22

1.4 La perdita attesa ... 27

1.4.1 La perdita attesa di una singola esposizione ... 27

1.4.2 La perdita attesa di una singola esposizione ... 31

1.5 La perdita inattesa ... 32

1.5.1 La perdita inattesa di una singola esposizione ... 32

1.5.2 La perdita inattesa di portafoglio ... 35

Capitolo 2-I Credit Deafult Swaps (CDS): elementi del contratto e la dimensione del mercato ... 38

2.1 Gli elementi essenziali del CDS ... 39

2.1.1 Elementi del contratto ... 39

2.1.2 Le funzioni dei CDS ... 43

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4

2.2.1 Definizione e tipologie di Credit event ... 45

2.2.2 I Succession Events ... 48

2.3 La stima del premio (spread) dei Credit default swap ... 49

2.3.1 La relazione fra probabilità di default e premio dei CDS ... 50

2.4 Le dimensioni del mercato dei CDS ... 54

2.4.1 Il volume d’affari dei CDS sui mercati OTC ... 54

2.4.2 Il mercato dei CDS sovrani ... 59

2.5 Gli effetti della regolamentazione europea sul mercato OTC ... 62

2.5.1 La normativa sulla negoziazione dei derivati sui mercati OTC ... 62

2.5.2 Il sistema di clearing per mitigare il rischio di controparte ... 64

2.5.3 Il Reg. UE n. 236 / 2012: il divieto di vendite allo scoperto dei CDS sovrani 67 Capitolo 3 - Lo spread dei "CDS2003": la crisi del debito sovrano e gli effetti di downgrading di Standard&Poors’... 69

3.1 La crisi del debito pubblico ... 71

3.1.1 L’evoluzione del rischio paese ... 71

3.1.2 La crisi finanziaria europea ... 74

3.2 CDS sovrani italiani ... 81

3.2.1 Gli elementi dei CDS sovrani ... 81

3.2.2 Il legame fra CDS sovrani e titoli di Stato italiani ... 83

3.2.3 Il Regolamento UE n. 236/2012 e i nuovi CDS2014 ... 87

3.3 L’impatto dei downgrades sullo spread dei CDS2003 ... 89

3.3.1 Downgrading del rating italiano: l’impatto sullo spread dei CDS2003 92 3.3.2 Downgrade n. 1 ... 95

3.3.3 Downgrade n. 2 ... 100

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5

3.3.5 Downgrade n. 4 ... 107

Conclusioni ... 114

Riferimenti Bibliografici ... 118

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6

Introduzione

Lo studio negli ultimi due decenni riguardo la gestione del rischio di credito ha portato alla nascita negli anni ’90 dei derivati di credito, (credit derivatives) creati inizialmente come strumento di copertura data la loro capacità di separare e negoziare il rischio associato a una determinato titolo, senza che questo sia trasferito. La loro grande diffusione portato ad una profonda evoluzione dei mercati finanziari nonchè ad un eccessivo utilizzo speculativo che ha provocato la crisi finanziaria del 2007 in America causata dello scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime e la più recente crisi del debito sovrano in Europa.

Fra i derivati che hanno visto evolvere la loro funzione all’interno dei mercati finanziari, vanno segnalati i Credit default swaps (CDS), degli strumenti che hanno come funzione primaria quella di assicurare l’emittente dell’obbligazione sottostante dal rischio di un eventuale default. Essi permettono all’acquirente di ottenere protezione tramite il pagamento di canoni (solitamente trimestrali) ad una determinata controparte che si assume il suddetto rischio.

Colui che acquisista il CDS sarà rimborsato per l’intero valore nominale del titolo sottostante in caso di default dall’investitore che deciso di vendergli il contratto. Sfruttando l’assenza di un regolamentazione che vietasse la vendita allo scoperto di questi contratti i cosidetti "naked CDS" (cioè nudi), essendo negoziati sui mercati Over-The-Counter (OTC), gli speculatori nel corso degli anni hanno "scommesso" sul fallimento dell’emittente dell’obbligazione sottostante il Credit default swap senza di fatto possederla.

Nel Marzo del 2012 l’UE in merito alla crisi che aveva colpito il debito pubblico di molti paesi facenti parte dell’Unione ha deciso di emettere il "Regolamento n. 236/2012" che ha decretato il divieto di vendite allo scoperto dei CDS sovrani, ovvero una determinata categoria di Credit Swaps aventi ad oggetto la copertura del rischio di inadempimento dell’emittente sovrano sui titoli di stato di riferimento.

Tale intervento è stato reso necessario per aumentare la trasparenza per questo tipo di mercato e scongiurare eventuali attacchi speculativi sul debito pubblico degli

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7

stati sovrani così da suscitare la fiducia negli investitori istituzionali nell’acquisto dei titoli di stato dei paesi europei.

Il presente lavoro propone un’analisi dello spread dei Credit default swaps sovrani italiani (chiamati in gergo "sovereign CDS"): il premio necessario sottoscrivere questi contratti riflette la percezione del rischio di insolvenza di un paese sul mercato; se quesa percezione è più accentuata, più alto sarà il premio rischiesto per ottenere una copertura sulla realizzazione di tale evento.

Lo spread sui CDS sovrani risulta essere il "gemello" di quello legato a titoli di stato sottostanti, dato che congiuntamente determinano le condizioni di rifinanziamento (e di ristrutturazione eventualmente) del debito pubblico e la "assicurazione" degli stati sovrani sui propri titoli di stato.

Essendo strumenti finanziari derivati , sono soggeti ad una valutione del grado si solviblilità da parte delle più note agenzie di rating a livello globale Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings che di fatto hanno formato un oligopolio sul mercato dei rating. Nel caso specifico dei titoli emessi si parla di sovereign credit rating, queste agenzie specializzate e molto influenti a livello globale, valutano l'ambiente economico e politico del paese per determinare la solidità finanziaria del debito publico su richiesta del paese stesso.

Sebbene le valutazione delle agenzie possono risultare non sempre veritiere come nel caso degli strumenti finanziari cartolarizzati (ABS, CDO, MBS) i cui rating fuorvianti hanno contribuito allo scandalo dei mutui subprime del 2007, il credit rating sovrano consente agli investitori di comprendere il livello di rischio associato all'investimento in un particolare paese, incluso quello politico e permette allo stato sovrano di accedere ai finanziamenti nei mercati internazionali di sovereign bonds. Alla luce degli studi empirici condotti degli autori Ismailescu e Kazemi (2010), Afonso, Furceri e Gomes (2012) e Kiff (2012) dell’impatto degli annunci delle agenzie di rating sullo spread dei CDS sovrani abbiamo verificheremo se il mercato realtivo a questi derivati finanziari è in grado di "anticipare" quelli che sono gli annunci di declassamento del rating sovrano italiano attraverso l’aumento delle proprie quotazioni.

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Lo scopo è verificare che questa effetto è più accentuato nei casi in cui il merito creditizio dell’emittente tende ad essere di tipo speculative grade, cioè investimenti di classe inferiore giudicati speculativi e quindi rischiosi.

Nel Capitolo 1 è basato sullo studio del rischio di credito; partendo dalla distinzione fra rischio di insolvenza e rischio di spread, sono stati introdotti gli elementi del rischio di credito quali: probabilità di insolvenza (PD), Loss given default (LGD, il tasso di perdita in caso di insolvenza) che sono fondamentali per il calcolo della "perdita attesa" (Expected Loss, EL) e della "perdita inattesa" (Unexpected Loss, UL). In particolare la perdita inattesa esprime la vera forma di rischio per l’intermediario, per questo motivo nella prassi si è ormai diffusa l'abitudine considerare questa e la deviazione standard come sinonimi.

Data la varietà delle operazioni che gli intermediari intrapendono sul mercato abbiamo ritenuto opportune distinguere le formule di calcolo per le singole esposizioni e di portafoglio con "𝑛".

Il Capitolo 2 è incetrato sulla descrizione Credit Default Swap (CDS). Qui verranno chiarite le caratteristiche contrattuali (controparti, prestazioni obbligatore delle controparti, modalità di regolamento e credit event), le dinamiche di formazione del prezzo (per la cui determiazione a livello teorico è fondamentale l’utilizzo delle grandezze del rischio di credito), le sue principali funzioni e le problematiche che possono sorgere durante l'esistenza del contratto.

In seguito è stato analizzato l’impatto che i CDS hanno sul mercato OTC e attraverso l’utilizzo di grafici, mostreremo il relativo volume d’affari. Per quanto riguarda il mercato dei CDS sovrani è stato quantificato il volore nozionale e valore lordo, entrambi espressi in bilioni di dollari.

Concluderemo con un descrizione degli effetti migliorativi che hanno avuto le Direttive comunitarie MiFID II e MIFIR sui mercati dei derivati in termini di trasparenza, mentre il Regolamento UE n. 236 del 14 marzo del 2012, invece ha provveduto a vietare le vendite allo scoperto dei "naked" CDS, al fine di limitare il più possibilie l’attività speculativa attraverso i “sovereign”.

Il Capitolo 3 inizia con la trattazione della crisi del debito sovrano in Europa che ha colpito anche il sistema bancario, pregiudicando così anche il tasso di crescita nelle economie locali.

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Attraverso l’elaborazone dei grafici e il confronto delle serie storiche ottenute da Bloomberg Professional, conferemo il legame che esiste fra lo spread dei CDS e quello dei titoli di stato italiani (che sono i sottostanti).

Alla luce della funzione informativa che svolge questo tipo di strumento con particolare riguardo al "rischio paese", è stata proposta un’analisi del mercato dei CDS2003 sovrani italiani a scadenza quinquennale (5Y) in relazione ai quattro downgrade subiti dallo Stato italiano da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s (fra le tre più importanti al mondo insieme a Moody’s e Fitch Ratings) tra il 2011 e il 2014.

Basandoci sugli studi empirici condotti di diversi autori è stato deciso di deciso di verificare se il mercato dei CDS2003 italiani è stato in grado di "anticipare" (dove per anticipare si intende l’aumento dello spread dei CDS sovrani nei giorni che precedono il downgrade) quelli che sono gli annunci di declassamento del rating sovrano italiano.

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Capitolo 1

1

I derivati creditizi e rischio di credito

La gestione del rischio di credito è uno degli aspetti che è stato motivo di interesse e di studio nel mondo della finanza e dei mercati finanziari nel corso degli ultimi decenni.

L'evoluzione dei mercati finanziari degli ultimi anni ha portato ad un rapido incremento di strumenti e prodotti, inizialmente rivolti alla copertura di “un rischio” per la parte contraente e successivamente evoluti in strumenti atti a soddisfare le più svariate e possibili finalità (speculazione, meccanismi di contabilità, copertura della copertura del rischio base ecc.). Compiendo un’analisi di tipo tecnico, si è passati da un mercato dominato dall'esigenza di proteggere il possibile contraente di fronte alle più svariate situazioni di rischio commerciale/finanziario, ad un enorme mercato, regnano prodotti di cui il contraente ignora le potenzialità, con ripercussioni (si veda l'attualità finanziaria delle società commerciali nell'ultimo anno) non indifferenti.

1.1 I derivati creditizi

1.1.1 La diffusione dei derivati sui mercati finanziari

Gli anni ottanta sono passati alla storia economica come gli anni che hanno vissuto l'impetuoso sviluppo dei contratti «derivati» finanziari, quali swaps, options e financial futures e non mancato chi ha ritenuto che, dopo tale e tanta innovazione, ben poco sarebbe rimasto da inventare e che difficilmente un fenomeno simile si sarebbe potuto ripetere. Attorno alla metà degli anni novanta1 si è assistito alla creazione di una famiglia di nuovi strumenti finanziari, noti con il termine

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anglosassone "credit derivatives2" (tradotto, derivati creditizi), che inizialemente si stima avesse un volume di circa 70 miliardi di dollari cresciuto successivamente in modo esponenziale.

Secondo una stima contenuta nel Report del 2006 della British Bankers Association3 la crescita del mercato mondiale di derivati di credito ha superato le aspettative dell'indagine BBA del 2004 che prevedeva una dimensione del mercato di 8.2 trilioni di dollari arrivando a un dimensione del mercato sarà di 20 trilioni di dollari.

Il loro sviluppo è dovuto fondamentalmente all’internazionalizzazione dei mercati fiananziari e la sofisticazione delle banche nella gestione del ischio di credito, tramite strumenti di annalisi del rischio e di tecniche attuariali.

Gli operatori presenti in questo settore sono i più diversi: banche commerciali, banche di investimento, società di assicurazione, fondi, società industriali e commerciali, ciascuno con motivazioni diverse, ma con un fine comune rappresentato dalla copertura o dall’assunzione di un rischio di credito. In particolare, le investment banks e le banche commerciali detengono il primato delle negoziazioni.

Le autorità di vigilanza bancaria hanno stabilito che le banche devono mantenere un capitale regolamentare minimo, a fronte della propria attività, che viene calcolato in base alle differenti tipologie di operazioni in essere. L’utilizzo dei derivati di credito consente di liberare il capitale regolamentare in quanto il rischio di credito è trasferito sul venditore di protezione che si assume il rischio finale. Ancora oggi, però, non sono negoziati su mercati regolamentati, quindi, costituiscono parte del mercato OTC, che per sua natura non esige una standardizzazione tecnico-contrattuale dello strumento stesso. Il primo passo, quindi, riguarda la risoluzione di problemi legati ai processi di trading, ad una maggiore trasparenza, al rischio di controparte e alla conseguente creazione di clearinghouse. Grazie ad una serie di riforme, si sta procedendo in questa direzione.

2Cfr. BARRET R., EWAN J. (2006).

.

3La BBA è la principale associazione commerciale per il settore bancario del Regno Unito con 200 banche

affiliate con sede in oltre 50 paesi con operazioni in 180 giurisdizioni in tutto il mondo. L'80% delle banche di rilevanza sistemica globale sono membri del BBA. In qualità di rappresentante del più grande cluster bancario internazionale del mondo, la BBA è la voce del settore bancario del Regno Unito.

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Con la recente crisi, infatti, i credit derivatives sono passati al centro dell’attenzione di media e regolatori. Ci si aspetta, quindi, una forte crescita e trasformazione futura.

1.1.2 Gli elementi dei derivati creditizi

I credit derivatives, a differenza degli altri prodotti finanziari derivati, “derivano” il loro valore non da tassi, valute o merci, bensì da crediti, oppure dal merito creditizio4 di uno o più "reference entity"5, vale a dire a capacità di adempiere a di un determinata obbligazione (detta Reference Obligation), di pagamento da parte di un determinato debitore.

La loro caratteristica principale è quello che permette di separare e negoziare il rischio di credito relativo a una determinata attività, senza che la stessa attività venga trasferita, accordandosi con una controparte, cioè un gestore di un portafoglio di investimenti che sia disposto ad "accollarsi" quello stesso rischio, e che possiamo considerare a tutti gli effetti un venditore di protezione.

Attraverso un derivato creditizio tale gestore può, assumere un rischio di credito nei confronti di una società senza sostenere i costi vari, estrapolando il rischio di credito dagli strumenti che lo rappresentano, si ottenendo diversi risultati positivi:

o si facilita la diversificazione dei rischi da parte d investitori, rendendo accessibili mercati e rischi di credito ad un numero maggiore di soggetti; o si aumenta la liquidità dei mercati, in particolare di quei mercati che per gli

strumenti tipicamente utilizzati;

4 Il merito creditizio può essere valutato più precisamente in base al rischio di default di un determinato

reference entity o di più reference entities (come nel caso dei basket products) o al rischio di deterioramento della qualità creditizia del reference entity. La sua valutazione si basa invece sull’ utilizzo di un’obbligazione di pagamento ad esso riferita che funge da proxy del rischio di credito implicito nelle esposizioni verso queste detenute.

L’attività di riferimento, è costituita a sua volta, da una Delivarable Obligation (credito da trasferire) o in a Reference Obligation (Obbligazione di Riferimento) a seconda del tipo di settlement previsto.

5Secondo Banca d’Italia (Banca d’Italia, nota tecnica del 26 luglio 2000, in Circolare A.B.I. del 13 novembre

2000, serie Tecnica n.93, Vigilanza prudenziale sui contratti derivati) la reference entity è: “Il nominativo (o i nominativi) o il Paese (nel caso di rischio sovrano) cui si riferisce la reference obligation” .

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o si riducono i costi presenti di norma nelle forme tradizionali di assunzione di rischi di credito;

o si riducono o, addirittura, si eliminano i rischi presenti di norma nelle forme tradizionali per l'assunzione di rischi di credito;

o si possono fare speculazioni ed arbitraggi sul profilo creditizio di terzi.

Isolare il rischio di credito dagli altri elementi di norma ad esso legati consente al gestore di assumere tale rischio senza dover sopportare costi strumentali e rischi aggiuntivi.

Maggiore risulta la concentrazione degli investimenti, maggiore sarà il rischio del portafoglio; al contrario, maggiore risulta la concentrazione degli investimenti, minore sarà la volatilità del portafoglio, e quindi migliore il profilo di rischio6.

Le moderne metodologie di calcolo per quantificare il rischio di mercato tengono conto della diversificazione del portafoglio, nel senso che ad un maggiore grado di diversificazione corrisponde un minor rischio di mercato e, quindi, minor assorbimento di capitale e, conseguentemente, minori costi.

Le implicazioni speculative per una normalissima società commerciale sono evidenti; non si può più parlare di utilizzo di strumenti derivati al solo fine di strumento di protezione, e copertura dei rischi, ma di utilizzo “di realizzo economico”, talvolta azzardato e non ponderato con l'insorgere di alcuni casi di ben noti offerti dalla realtà di mercato.

Essi consentono anche di poter scegliere con maggiore flessibilità la durata dell'esposizione creditizia, facilitando la gestione generale dei rischi di portafoglio. I credit derivatives vengono utilizzati quali surrogati di garanzie per ridurre le esposizioni verso la clientela e rappresentano una alternativa alle garanzie personali e reali e sono denominati anche garanzie sintetiche.

Vi è un altro aspetto non trascurabile dei contratti derivati di credito: essi offrono anche la possibilità di vendere di fatto posizioni illiquide o per le quali non vi è domanda sul mercato, grazie al trasferimento del solo rischio di credito.

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1.2 Definizione del rischio di credito

Prima ancora di analizzare le componenti del rischio di credito e i relativi criteri alternativi di stima occorre chiarire cosa si intende per rischio di credito.

Il rischio di credito è una componente di tutte le attività di prestito e, come tale, influenza le scelte d’investimento delle banche, degli intermediari finanziari e degli investitori in titoli obbligazionari. In via generale si osserva che più elevato è il rischio di credito, più elevato sarà il tasso di interesse richiesto dall'acquirente del titolo come compenso per la maggiore esposizione a tale rischio.

Tale termine manifesta la possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste un'esposizione, provochi una corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditoria.

1.2.1 Il deterioramento del merito creditizio della controparte

Va sottolineato che il rischio di credito non è confinato alla sola possibilità dell'insolvenza di una controparte: anche il semplice deterioramento del merito creditizio di quest'ultima deve considerarsi una manifestazione del rischio di credito. Facendo riferimento a un prestito a tasso fisso, è evidente che, in presenza di un deterioramento del merito creditizio del debitore, il valore di mercato del prestito, determinato dal valore attuale dei flussi di cassa a esso associati, subisce una diminuzione. Questo perchè il valore attuale dei flussi di un'attività finanziaria è teoricamente determinato utilizzando un tasso di sconto che, oltre al tasso risk-free per la scadenza corrispondente, incorpora un premio al rischio che riflette la probabilità di insolvenza della controparte. È possibile quindi constatare, che un deterioramento del merito creditizio di quest'ultima, porta a realizzare una riduzione del valore di mercato dell’attività. In generale, la diminuzione del valore di mercato di un'attività finanziaria conseguente a un deterioramento del merito creditizio di tale attività risulta tanto maggiore quanto maggiore è la variazione dello spread richiesto dal mercato e dalla la vita residua del l'attività.

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Di base, il rischio di credito può essere scomposto in due tipologie:  il rischio di insolvenza

 il rischio di spread 7

Il primo rappresenta il rischio di perdita conseguente all'insolvenza del debitore, mentre per il secondo, si intende il rischio di una perdita conseguente deterioramento del merito creditizio di un soggetto emittente, con conseguente innalzamento dello spread del titolo richiesto dal mercato.8

Seguendo questa logica, il rischio di credito deve essere misurato e di conseguenza gestito facendo riferimento non a una semplice distribuzione binomiale dei possibili eventi (“insolvenza" e "non insolvenza"), ma piuttosto facendo riferimento una distribuzione, discreta o continua, dove l'evento “insolvenza” rappresenta unicamente quello estremo, che deve essere opportunamente preceduto da diversi livelli di probabilità che l’evento estremo possa manifestarsi in futuro. In questo modo sarebbe possibile individuare adeguatamente entrambe le categorie di rischio.

1.2.2 Variazione inattesa del merito creditizio

Un secondo concetto implicito nella definizione iniziale, è la variazione inattesa del merito creditizio della controparte.

Se un creditore (si intende un soggetto finanziatore) dovesse affidare una controparte pur nella consapevolezza che quest’ultima subirà un deterioramento della propria qualità (redditività, solvibilità, liquidità ecc…) significa che tale deterioramento sarà stato opportunamente valutato e tenuto nella dovuta considerazione nel momento della decisione di affidamento e nella determinazione

7Quando la distribuzione delle probabilità di insolvenza dell’emittente è rappresentata in modo discreto , il

rischio di spread viene anche chiamato rischio di migrazione o rischio di transizione. Entrambi i termini indicano la possibilità che la controparte affidata subisca un declassamento, ossia che il suo merito creditizio insieme alla probabilità di insolvenza, deteriorino.

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del tasso attivo. In sintesi, la condizione economico-finanziaria dell'affidato sarà adeguatamente considerata in sede di determinazione della probabilità di insolvenza, giudicata compatibile con un puntuale pagamento dei flussi di interessi e con il rimborso del capitale e del connesso tasso di interesse. In questo caso, la reale componente di rischio è rappresentata dalla possibilità che le valutazioni effettuate a posteriori siano errate, a seguito di un deterioramento della controparte imprevisto.

In questo senso, il concetto di rischio viene propriamente delimitato alla possibilità di eventi che, anche se stimabili, risultano inattesi. È sufficiente osservare la modellistica sviluppata fino ai primi anni Novanta così come alla prassi operativa del sistema bancario nazionale e internazionale per rendersi conto che in realtà il problema della misurazione del rischio di credito è stato tradizionalmente identificato con il problema della stima della probabilità di insolvenza o, alternativamente, del tasso "atteso" di insolvenza.9

1.3 Le componenti del rischio di credito

1.3.1 Probabilità di default

Un sistema per la misurazione e il controllo del rischio di credito richiede necessariamente una valutazione della "probabilità di default", in modo da poter costruire una misura che sia il più possibile attendibile.

Prima di proseguire è necessario fare chiarezza sul concetto di insolvenza della controparte.

Infatti, potrebbe non essere chiaro se un debitore risulta insolvente solo dal momento in cui c’è una richiesta di fallimento, con il conseguente avvio delle procedure concorsuali, oppure se sia sufficiente verificare che la controparte dia prova della sua inadeguatezza di rimborsare il debito.

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In generale si ha insolvenza in ogni circostanza in cui il debitore risulta essere inadempiente oppure incapace di onorare le proprie obbligazioni contrattuali; facendo riferimento alla definizione adoperata dall’agenzia di ratings Standard & Poor’s (S&P), “si ha default quando vengono meno la capacità o la volontà del debitore di tener fede ai suoi impegni finanziari relativi a un’obbligazione, rispettandone i termini originari. Più precisamente, si ha default:

a) quando un pagamento di interessi e/o capitale è dovuto e non viene effettuato;

b) in caso di richiesta spontanea di accesso a una procedura concorsuale; c) in seguito a un’offerta di restrutturazione del debito che ne riduce

chiaramente il valore totale;

Ci si riferisce ad un processo degenerativo che rende necessario il ricorso alle garanzie stabilite da contratto e che rende molto probabile una perdita rilevante per l’istituzione finanziaria.

La capacità della controparte di far fronte alle obbligazioni assunte è legata a una serie di condizioni di natura endogena ed esogena al debitore stesso. Nella prima si fa riferimento la capacità del prenditore di originare profitti, attraverso la propria attività, per poter rimborsare il debito nelle scadenze stabilite; nella seconda analizza l’andamento attuale e futuro del settore economico in cui opera l’impresa. Al fine di poter prevedere e sintetizzare gli eventi futuri, che risultano essere incerti per il creditore, è necessario adottare una distribuzione di probabilità.

La probabilità di fallire dipende dal valore di mercato del rapporto tra gli asset aziendali e il debito dell’impresa e dalla volatilità implicita degli asset. La default probability viene definita come la probabilità che il valore dell’attivo scenda sotto il valore nominale del debito.10

Anche questo modello presenta delle criticità: la volatilità del prezzo delle azioni come proxy per stimare la variabilità implicita degli asset, indebolisce la validità di

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tale approccio; inoltre, i modelli strutturali sono limitati nell’utilizzo dai dati di input necessari, che sono sostanzialmente disponibili solo per le imprese quotate.

I modelli in forma ridotta cercano di derivare le probabilità di default dalla struttura a termine del differenziale (spread) di rendimento tra i titoli privi del rischio di insolvenza e i titoli rischiosi delle imprese, assumendo che lo spread applicato risulti essere il compenso che gli operatori del mercato richiedono per il rischio di default dell’emittente. Questi modelli si basano sul presupposto che la determinazione del tasso di perdita atteso sia direttamente estraibile dalla struttura a termine degli spread creditizi, in modo da poter cogliere le aspettative di insolvenza espresse dai mercati nell’ipotesi che gli investitori siano neutrali al rischio.

Quindi questo tipo di approccio si basa su alcune assunzioni:  la validità della teoria delle aspettative11;

 che i costi di transazione siano assenti o trascurabili;

 che le curve dei rendimenti delle obbligazioni esistano o siano estraibili dalle curve dei rendimenti di titoli con cedola.

Pertanto il punto di partenza è la costruzione della curva dei rendimenti zero coupon dei titoli non rischiosi e dei titoli rischiosi rientranti in una certa classe di rating, da cui determinare le rispettive curve dei tassi forward. Per determinare la curva dei tassi forward è necessario utilizzare la seguente espressione:12

𝑅 , = (1 + 𝑅 ) (1 + 𝑅 ) ( ) − 1

11Secondo la teoria delle aspettative i tassi di rendimento forward coincidono con i tassi di rendimento spot

attesi, per il medesimo periodo di riferimento. Quindi la teoria delle aspettative ipotizza che i tassi a lungo termine dovrebbero riflettere i tassi di rendimento a breve termine attesi.

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19 dove:

 𝑅 , è il tasso di rendimento forward per il periodo [t1,t2];  𝑅 è il tasso di rendimento zero coupon con scadenza t2;  𝑅 è il tasso di rendimento zero coupon con scadenza t1;

 [t1,t2] è il numero di giorni a scadenza espresso in termini annuali.

Se consieriamo valida la condizione di neutralità verso il rischio13, affinché l’investimento rischioso sia equivalente all’investimento privo di rischio è necessario che il montante del secondo sia uguale al valore atteso del montante del primo. Ponendo che la differenza tra i due rendimenti sia dovuta alla probabilità di perdita attesa nel titolo rischioso, per avere che i due investimenti siano equivalenti deve essere verificata la seguente relazione:

1 + 𝑅𝑓 , = 1 − 𝐸𝑙 , ∙ (1 + 𝑅𝑟 , ) dove:

 𝐸𝑙 , è il tasso di perdita atteso implicito nel titolo rischioso, per il il periodo [t1,t2];

 𝑅𝑓 , è il tasso di rendimento forward del titolo privo di rischio;  𝑅𝑟 , è il tasso di rendimento forward del titolo rischioso.14 Dalla precedente espressione è possibile ricavare il tasso di perdita atteso che scaturisce implicitamente dagli spread del periodo preso in considerazione:

13 La condizione di neutralità verso il rischio assume che tutti gli operatori del mercato siano neutrali verso il

rischio, cioè non richiedono determinate compensazioni. Quindi il rendimento di un’attività rischiosa si discosta dal rendimento di un’attività considerata risk-free a causa della probabilità di perdita attesa implicita nel titolo rischioso.

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20 𝐸𝐿 , = 1 −

1 + 𝑅𝑓 , 1 + 𝑅𝑟 ,

Dal tasso di perdita attesa è desumibile la probabilità di default 𝑝 , del titolo rischioso preso in considerazione, relativa al periodo [t1, t2]:

𝐸𝐿 , = 𝑝 , ∙ (1 − 𝑅𝑅)

dove RR indica il Recovery Rate per cui di ottiene:

𝑝 , = 𝐸𝑙 , 1 − 𝑅𝑅

Da tale funzione è possibile ricavare la probabilità marginale che il titolo non vada in default, cioè il complemento a uno della probabilità di default:

𝑠 = 1 − 𝑝 ,

dove 𝑠 è la probabilità che il titolo rischioso non fallisca nel periodo [t1,t2].

Ne segue che la probabilità cumulata di sopravvivenza relativa al periodo 𝑇 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 è pari a:

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21

Per ricavare l’espressione relative alla probabilità di perdite cumulate per il titolo rischioso nel periodo 𝑇 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 , dobbiamo semplicemente calcolare il complelemento ad una singola espressione:

𝑃 = 𝐼 − 𝑆

Il limite di tale approccio risiede proprio nell’assunzione che gli investitori siano neutrali al rischio; tale ipotesi impone che il mercato non richieda un premio per l’investimento in un titolo rischioso. Di conseguenza la remunerazione richiesta deriva dalla perdita attesa e non dalla sua variabilità creandosi una sovrastima del tasso di perdita attesa scontato dal mercato.15

1.3.2 Orizzonte temporale

Tendenzialmente si può osservare empiricamente che al crescere dell’orizzonte temporale di riferimento si ha un conseguente aumento della probabilità di default, ma con intensità diverse poichè non è possibile stabilire una linearità diretta tra il periodo temporale considerato e il relativo tasso di insolvenza.

Generalmente la scelta dell’orizzonte temporale in un modello per la misurazione del rischio deve essere presa tenendo in considerazione il livello di liquidità del mercato di riferimento, le esposizioni che la banca ha nei confronti del rischio di credito e il periodo di detenzione delle singole posizioni nei confronti dei diversi debitori.

In realtà l’assenza di un vero mercato secondario sufficientemente liquido per il portafoglio crediti delle banche non permette l’applicazione di un criterio oggettivo, né di determinare facilmente una legge che preveda le variazioni delle probabilità di default in base all’orizzonte temporale stabilito. Le alternative tra cui la banca può sceglie sono: di optare per un arco temporale comune a tutte le esposizioni,

(22)

22

oppure, di scegliere un orizzonte temporale pari alla specifica maturità dell’esposizione oggetto di analisi (hold to maturity).

Sembrerebbe più corretto scegliere un arco temporale che sia pari al holding period dei crediti, ma questo renderebbe molto complicata la stima della distribuzione delle probabilità d’insolvenza, dato che le singole posizioni hanno scadenze molto diverse tra loro.16

Ne consegue che molti modelli hanno come riferimento temporale un anno perchè è un arco temporale superiore rispetto ai termini ristretti applicati nella gestione del rischio di mercato, e più idoneo per i crediti che sono poco liquidi e difficilmente rinegoziabili.

In realtà questa soluzione non è esente da critiche: può risultare poco corretta per gli impieghi che hanno una durata superiore all’anno e che non hanno un mercato secondario liquido. Per questo tipo di attività non è sufficiente verificare che al termine dell’orizzonte temporale la controparte sia in default o meno, ma, come già detto precedentemente, bisogna considerare una pluralità di stati in cui il debitore può ritrovarsi, che non si limita solo all’accertamento del default.

La scelta di adoperare un orizzonte temporale che coincida con l’holding period delle esposizioni è più idonea per un’ottica d’investimento, se la banca decide di detenere in portafoglio le esposizioni fino alla scadenza o se non c’è un mercato secondario sufficientemente liquido.

1.3.3 Loss Given Default

Il tasso di perdita in caso di default (LGD, Loss Given Default) è la parte di credito che con certezza non potrà essere recuperata in caso si realizzi l’insolvenza del debitore; sostanzialmente è la perdita che l’istituto finanziario subisce su una certa esposizione creditizia. Concetto complementare è il tasso di recupero (Recovery Rate, RR) che indica la frazione di credito che si riesce a recuperare dal debitore nonostante si sia verificato il default.

Analiticamente otteniamo:

(23)

23 𝐿𝐺𝐷 = 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑖𝑡𝑒

𝑒𝑠𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 1 −

𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑟𝑒𝑐𝑢𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑜

𝑒𝑠𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 1 − 𝑅𝑅

Il concetto di tasso di recupero assume peculiarità rilevante nella misurazione del rischio di credito: prima di tutto è un elemento fondamentale della perdita attesa, in quanto risulta essere uno dei suoi elementi insieme alla probabilità di default e all’esposizione al rischio insolvenza.

Inoltre assume rilevanza anche per la perdita inattesa, infatti il Recovery Rate risulta essere una variabile aleatoria per si può elaborare solo delle aspettative e cercare, attraverso varie modalità, di effettuarne una stima.

Le variazioni inattese del tasso di recupero possono incidere sulle perdite inattese di portafoglio, non solo come fattore a sé stante, ma anche in correlazione con altri fattori di rischio andando ad incrementare ulteriormente il rischio.17

I fattori che incidono sulla distribuzione LGD possono essere riassunti nei seguenti:  le caratteristiche del debito e il grado di seniority;

 le caratteristiche del soggetto finanziato e i fattori legati ai settori industriali;

 i fattori macroeconomici;

Gli aspetti che hanno un’influenza maggiore sulla distribuzione del Recovery Rate sono sicuramente le caratteristiche tecniche del debito e la presenza di forme di seniority o di subordinazione nei confronti di altri creditori.

Gli strumenti che forniscono una parziale protezione al creditore verso il rischio di credito possono essere raggruppati in tre categorie: le garanzie reali/personali, le clausole contrattuali (covenants) e i derivati creditizi.

In ogni caso, in presenza di strumenti che garantiscono un certo livello di protezione dal rischio di credito per l’istituto finanziario, bisogna tenere conto

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24

delle conseguenze che può causare un default congiunto del garantito e del garante.

Nel caso in cui la correlazione tra i due soggetti sia positiva allora le due parti hanno la medesima risposta alle componenti macroeconomiche, e in questo modo si ha un incremento della probabilità di fallimento congiunto. Al contrario, in caso di correlazione negativa il garante e il garantito hanno un andamento opposto e questo porta a valori minori di probabilità congiunta di default.

In generale la procedura per la stima della LGD dovrebbe prevedere l’individuazione di una serie di fattori 𝑥 , 𝑥 , … , 𝑥 che ne influenzano l’andamento, per i quali bisogna cercare di capire il tipo di singola relazione che sussiste con la LGD.

Assumendo che la LGD sia una variabile casuale distribuita secondo una certa funzione di densità, il problema può essere visto come:

𝐿𝐺𝐷 = 𝑓(𝑎 , 𝑎 , … , 𝑎 );

dove 𝑓 è la funzione di densità e 𝑎 , 𝑎 , … , 𝑎 sono i parametri che la caratterizzano e che dipendono dal modo in cui i fattori influenzano la LGD. Da tenere presente che il Recovery Rate può variare in un range compreso tra 0 e 1; qui il valore 0 rappresenta il caso in cui a seguito dell’insolvenza la perdita corrisponde all’intero valore dell’attività, mentre il valore 1 indica il caso in cui si riesce a recuperare l’intero ammontare del credito nonostante si sia verificata l’insolvenza della controparte. Per questo risulta necessario utilizzare la funzione Beta, che riesce a modellare con più coerenza la variabilità del tasso di recupero attraverso opportune modificazioni dei suoi parametri.18

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La funzione dei densità della distribuzione Beta è definita come: 𝑋~𝐵𝑒𝑡𝑎 (𝛼, 𝛽)

𝑓 (𝑥: 𝛼, 𝛽) = ( , )

( ) ( )𝑥 (1 − 𝑥) 𝑐𝑜𝑛 0 ≤ 𝑥 ≤ 1

dove 𝛤 rappresenta la funzione Gamma da: 𝛤(𝛼) = ∫ 𝑥 𝑒 𝑑𝑥.

Come si può osservare, tale funzione non presenta tra i suoi parametri la media e la varianza, che sono calcolabili rispettivamente come segue:

𝜇 = 𝑥𝑓(𝑥; 𝛼; 𝛽)𝑑𝑥 = 𝛼 𝛼 + 𝛽

𝜎 = 𝑥 𝑓(𝑥; 𝛼; 𝛽)𝑑𝑥 − 𝜇 = 𝛼𝛽

(𝛼 + 𝛽) (𝛼 + 𝛽 + 1)

La forma della distribuzione dipende dai parametri 𝛼 e 𝛽.

La funzione può assumere una forma “a campana” o a “U”, come si può vedere dai grafici 1.1 e 1.2.

Nel caso della distribuzione a forma di “campana”, la funzione risulta simmetrica rispetto al valore medio della distribuzione, che nel caso del RR risulta essere un valore poco rappresentativo, infatti, come precedentemente sottolineato, spesso il Recovery Rate si concentra maggiormente nei valori estremi della distribuzione. Ne consegue che sarebbe più idonea una forma a “U” della distribuzione come riportata nel grafico 1.2. In questo caso, pur non variando il valore medio, si ha una maggiore concentrazioni nelle code della distribuzione; in questo modo si ha una distribuzione che rispecchia maggiormente l’andamento del Recovery Rate.19

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Figura 1.1 – Esempio di elaborazione distribuzione Beta con forma "a campana"

Figura 1.2 – Esempio di elaborazione distribuzione Beta con forma a "U"

Una difficoltà che si può riscontrare quando si ricorre alla funzione Beta è che i parametri non sono direttamente osservabili su un campione statistico, e risulta necessario stimare gli stessi sulla base dei valori di media e varianza.

Attraverso opportuni calcoli risulta che:

𝛼 =𝜇(𝜇 − 𝜇 − 𝜎 ) 𝜎

𝛽 = (1 − 𝜇)

𝜇

(27)

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Bisogna sottolineare a riguardo del tasso di recupero che la banca è esposta anche al rischio di recupero, che va inteso come il rischio che il Recovery Rate stimato risulti essere diverso da quello effettivamente conseguito. Del rischio di recupero ci sono due aspetti da considerare; il primo dei quali è riuscire a cogliere il legame tra le variazioni dei tassi di recupero delle diverse esposizioni.20

Nel caso in cui le variazioni dei tassi di recupero siano indipendenti tra loro, allora il rischio di recupero risulta essere marginale all’interno di un portafoglio, in quanto può essere ridotto attraverso la diversificazione delle attività. Nel caso in cui le variazioni risultano essere dipendenti tra loro, il rischio assume natura sistemica e non può essere ridotto attraverso la diversificazione del portafoglio.

Il secondo aspetto di cui tener conto è il tipo di correlazione esistente tra il Recovery Rate e la probabilità di default: se la correlazione è negativa si ha che in seguito ad un aumento della probabilità di insolvenza, segue una riduzione del tasso di recupero, e il rischio di recupero avrebbe un impatto maggiore; mentre se la correlazione è nulla le due varianze risultano essere indipendenti.21

1.4 La perdita attesa

1.4.1 La perdita attesa di una singola esposizione

Si ipotizzi di aver calcolato i "tassi medi di perdita" su dati storici relativi a orizzonti temporali e numero di operazioni riferite a un certo insieme (ad esempio tutti i prestiti al consumo, in alternativa, se è presente di un sistema di rating adeguato, tutte le operazioni rated BBB).

Adoperando come orizzonte temporale un anno può risultare sufficientemente ragionevole accettare una visione della solvibilità del debitore che comprenda solo due possibili situazioni ex-post riferita a una singola operazione: default e non default. Questo approccio può essere facilmente modellizzato adottando una

20Cfr. LEONE P., BOIDO C. (2004). 21Cfr. LEONE P., BOIDO C. (2004).

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variabile casuale Bernoulliana, spesso utilizzata per studiare fenomeni che prevedono esclusivamente due eventi tra loro incompatibili, che possa assumere valore 1 in caso di default della controparte con probabilità PD e valore 0 in caso di solvibilità con probabilità (1-PD), così come rappresentato nella figura.

Figura 1.3 - Componente rischio e non rischiosa di un'esposizione variabile

I valori del tasso medio di perdita, calcolato su un insieme di osservazioni storiche viene normalmente utilizzato come una stima del tasso di perdita atteso (ELR, Expected Loss Rate) che, in una ottica ex-ante, può essere usato per caratterizzare il livello di rischio di ognuna delle esposizioni creditizie22.

È possibile quindi scomporre il tasso di perdita in due componenti elementari che rappresentano altrettante variabili casuali: la probabilità di insolvenza del debitore (PD, Probability of Default) e il tasso di perdita in caso di insolvenza (LGD, Loss Given Default), che è riconducibile alla quota del credito non recuperabile in caso di insolvenza.

Per determinare la perdita nei due possibili casi bisogna procedere alla moltiplicazione tra la LGD e la variabile Bernoulliana (denominata D), in questo modo si ottiene una trasformazione lineare di quest’ultima variabile che individua le possibili perdite tenendo conto delle rispettive probabilità. Ne consegue che in caso

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di default la perdita risulterà essere pari a LGD con probabilità PD, oppure, se il debitore rimane solvibile, la perdita sarà 0 con probabilità 1-PD.

Il valore atteso della variabile casuale ottenuta moltiplicando tra loro LGD e D corrisponde al tasso di perdita attesa (ELR)23.

Il tasso di perdita atteso dell’ esposizione “i-esima” 𝐸𝐿𝑅 = 𝑃𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷

Per la determinazione della perdita attesa (EL, Expected Loss) sarà sufficiente moltiplicare il tasso di perdita atteso per l’esposizione attesa al momento del default (EAD, Exposure at Default), in questo modo si determinerà in termini assoluti l’ordine di grandezza della possibile perdita.

La perdita attesa dell’esposizione “i-esima” 𝐸𝐿 = 𝑃𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷 ∙ 𝐸𝐴𝐷

Questa può essere considerata come una forma di misurazione del livello di rischio associato alla singola esposizione in un contesto “default mode”, dove le perdite possono realizzarsi esclusivamente in seguito al manifestarsi dell’insolvenza senza considerare le variazioni del merito creditizio del debitore.24

Dal momento che la perdita attesa è una media ponderata in base alle probabilità dei due possibili eventi, risulta essere un valore intermedio tra EAD e LGD, cioè la perdita effettiva in caso di insolvenza, e 0, nel caso in cui non si manifesta il default

23Si utilizzerà lo stesso pedice per PD e LGD sebbene la prima si riferisca ai debitori e la seconda alle operazioni,

e i primi possano porre in essere più debiti. Si assumerà, quindi, che un sia identificato di volta in volta in funzione delle operazioni di cui è controparte: in presenza di più operazioni di uno stesso debitore, PD risulterà identica per tutte.

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e conseguentemente non si realizzano perdite. Quindi la perdita attesa è, da un punto di vista probabilistico, una misura di una distribuzione, che fornisce la vicinanza della perdita a un valore o all’altro tenuto conto delle probabilità.

La separazione del tasso di perdita atteso nelle componenti sopra ricordate rende manifesta l'opportunità di identificare separatamente sub-portafogli di debitori dotati di tassi di insolvenza simili (classi di rating dei debitori), e portafogli di operazioni dotati di tassi di perdita simili (classi di rating delle operazioni).

In poche parole, si tratta della possibilità di rendere indipendenti la valutazione del debitore (collegata alla probabilità che lo tesso divenga insolvente) dalla valutazione delle singole linee di affidamento (che dipende in modo diretto anche dalle garanzie accessorie). L'ipotesi sottostante, riguarda l’insolvenza del debitore: quando questa si verifica anche per un solo debito, risulta insolvente anche per tutti gli altri debiti. Tuttavia, creditori sono tutelati in modo diverso in ragione della possibilità di attivare le azioni di recupero specificatamente consentite dalle singole formule contrattuali delle singole linee di affidamento.

L'equazione sottostante definisce il tasso di perdita atteso sul cliente k-esimo per le "m" posizioni debitorie di questi nei confronti del creditore con w=1,2,…,m, e caratterizzate ognuna da una propria perdita in caso di default (𝐿𝐺𝐷 ) e dà un proprio peso in termini di 𝐸𝐴𝐷 25:

Il tasso di perdita atteso relativo al cliente “k-esimo”

𝐸𝐿𝑅 = 𝑃𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷 ∙ 𝐸𝐴𝐷

∑ 𝐸𝐴𝐷

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1.4.2 La perdita attesa di una singola esposizione

Se invece ci riferiamo a un portafoglio, la perdita attesa di "𝑛" di esposizioni risulta la somma dei prodotti dei tre termini sopra introdotti riferiti a ognuna delle esposizioni in portafoglio (EAD, PD e LGD) con i=1,2,…,𝑛.

Considerando che 𝑃𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷 = 𝐸𝐿𝑅, si ottiene:

La perdita attesa di un portafoglio di “n” esposizioni 𝐸𝐿 =∑ (𝐸𝐿𝑅 ∙ 𝐸𝐴𝐷 ) = ∑ 𝐸𝐿

Per ottenere il tasso di perdita atteso del portafoglio è sufficiente dividere la perdita attesa del portafoglio per il totale delle esposizioni in caso di default:

Il tasso di perdita attesa di un portafoglio di “𝑛” esposizioni

𝐸𝐿𝑅 = 𝐸𝐿

∑ 𝐸𝐴𝐷 = 𝑤 ∙ 𝐿𝐺𝐷 ∙ 𝑃𝐷

dove 𝑤 = 𝐸𝐴𝐷 / ∑ 𝐸𝐴𝐷 indica il peso della singola esposizione rispetto all’intero portafoglio.

Le perdite di portafoglio (Loss, L) risultano essere di fatto, semplicemente la somma delle perdite subite sulle singole posizioni (𝐿 ).

Una volta individuato tutte le componenti del rischio di credito (EAD,PD, LGD) e ipotizzando di porre come orizzonte temporale l’anno, è possibile proseguire nell’analisi del rischio di credito e determinare le perdite attese e le perdite inattese per la singola esposizione.

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Si noti che sia PD che LGD sono valori attesi, mentre la definizione "probabilità di default" lascia chiaramente intendere che si tratta di un valore atteso26.

La perdita attesa è una misura che indica dove tende a localizzarsi la perdita nella distribuzione di perdita, tuttavia, la perdita effettiva rimane un evento incerto che potrà discostarsi da quella attesa. Per questo motivo è necessario misurare la variabilità della perdita attesa, cioè la perdita inattesa, attraverso lo scarto quadratico medio, sia che si tratti di una singola esposizione che di un intero portafoglio.27

1.5 La perdita inattesa

La possibilità che le perdite effettive siano superiori a quelle attese esprime un vero e proprio rischio in quanto la circostanza può mettere in crisi il creditore.

Poiché le perdite effettive tendono ad allinearsi a quelle attese solo quando si considerino orizzonti temporali tendenzialmente lunghi, è necessario che il creditore disponga di capitale di rischio, sufficiente per sopravvivere nei periodi in cui le perdite risultino superiori a quelle attese commisurato alla variabilità delle perdite che ci si può attendere per il futuro28.

1.5.1 La perdita inattesa di una singola esposizione

Considerando che la perdita attesa è appunto attesa (almeno sul lungo periodo), si possiamo affermare che il concetto più significativo di rischio sia quello di perdita inattesa (UL, Unexpected Loss). Infatti, le perdite più suscettibili a essere conseguite in un dato periodo futuro possono ovviamente discostarsi da quelle attese poichè di

26Per la definizione di Loss Given Default, per la quale sarebbe meglio utilizzare l'acronimo ELGD (Expected Loss

Given Default). Analoghe considerazioni vanno svolte per la EAD: anch'essa è in realtà una variabile casuale e non un dato certo in genere si usa l'acronimo EAD per indicare il valore atteso dell'esposizione.

27 Cfr. DE LAURENETIS G. (2001).

28 Questa logica è stata supportata grazie anche modelli di risk management e dalle disposizioni delle Autorità di

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solito c'è una differenza tra l'orizzonte temporale storico da cui si deduce la perdita media che si vuole interpretare come perdita attesa.

Solitamente come misura viene utilizzata la deviazione standard, normalmente indicata con σ. Su un dato set di 𝑛 osservazioni storiche dei tassi di perdita 𝜎 è la radice quadrata del prodotto tra "1/(𝑛 − 1)" e la somma di tutte le differenze tra i singoli tassi di perdita e il tasso medio di perdita, ognuna delle differenze elevata al quadrato29 e WALR indica il tasso medio di perdita: cioè

l’Avarage Loss Rate delle "𝑛" osservazioni disponibili, ponderato per la dimensione delle esposizioni.30

La deviazione standard delle perdite

𝜎 = 1

𝑛 − 1 (𝐿𝑅 − 𝑊𝐴𝐿𝑅)

Nella prassi si è ormai diffusa l'abitudine considerare la deviazione standard delle perdite come espressione della "perdita inattesa" che ha portato tendenzialmente a utilizzare i due termini come sinonimi.

La deviazione standard quindi risulta essere una componente fondamentale al fine di misurare il tasso di perdita inatteso (ULR, Unexpected Loss Rate), espresso come la somma degli scarti al quadrato della perdita effettiva dal valore atteso (EL) ponderati per le probabilità:

Tasso di perdita inattesa (formula generale)

𝑈𝐿𝑅 = (𝐸𝐿 − 0) ∙ (1 − 𝑃𝐷) + (𝐸𝐿 − 𝐸𝐴𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷) 𝑃𝐷

29 La deviazione standard cosi calcolata è la "deviazione standard campionaria". La deviazione standard di una

popolazione vedrebbe a denominatore n e non n-1. Ovviamente quando la popolazione e il campione sono molto numerosi le differenze tra le due misure diventano trascurabili. La σ campionaria è calcolata con n-1 a denominatore perchè questa formulazione possiede alcune proprietà matematiche utili ai fini della inferenza statistica.

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Quanto maggiore è la distanza della media delle singole osservazioni e quanto più le distanze maggiori sono frequenti, tanto più elevata è la deviazione standard.

Sostituendo ad EL il valore precedentemente trovato e dopo opportuni calcoli si ottiene:

𝑈𝐿𝑅 = (𝐸𝐴𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷 ∙ 𝑃𝐷) ∙ (1 − 𝑃𝐷) + (𝐸𝐴𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷 ∙ 𝑃𝐷 − 𝐸𝐴𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷) 𝑃𝐷 = 𝐸𝐴𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷 𝑃𝐷 − 𝑃𝐷

Se si assume che l’esposizione sia unitaria si ottiene:

Tasso di perdita inattesa di una singola esposizione

𝑈𝐿𝑅 = 𝐿𝐺𝐷 (𝑃𝐷 − 𝑃𝐷 )

Si può notare come il tasso di perdita inatteso cresca al crescere di LGD, infatti all’aumento di quest’ultimo si ha un incremento della differenza tra la perdita effettiva e il valore atteso di tale perdita. Allo stesso modo si ha l’incremento del tasso di perdita inattesa al crescere di PD, in quanto si ha l’aumento del peso attribuito alla differenza tra la perdita effettiva e il suo valore atteso.31

Il prodotto tra il tasso di perdita inatteso e l’esposizione in caso di default individua la perdita inattesa, che esprime in termini assoluti la variabilità dell’esposizione:

La perdita inattesa di una singola esposizione 𝑈𝐿 = 𝐸𝐴𝐷 ∙ 𝑈𝐿𝑅 = 𝐸𝐴𝐷 ∙ 𝐿𝐺𝐷 ∙ 𝑃𝐷 ∙ (1 − 𝑃𝐷 )

Risulta chiaro che quanto maggiore è il tasso di perdita inatteso, tanto maggiore è il livello di incertezza associato all’esposizione e il rischio legato a tale esposizione risulta più rilevante.

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1.5.2 La perdita inattesa di portafoglio

Anche per il portafoglio è necessario misurare la variabilità della perdita attesa, cioè misurare attraverso lo scarto quadratico medio la perdita inattesa del portafoglio. Ma in questo caso c’è un altro elemento che ha un peso fondamentale sull’incertezza della perdita e che influenza notevolmente la variabilità complessiva: la correlazione fra le varie esposizioni.

Deve essere valutato se il default di una controparte può influenzare l’insolvenza di altri debitori rientranti nel medesimo portafoglio; solitamente viene utilizzato il coefficiente di correlazione lineare. In assenza di correlazione le esposizioni sono linearmente indipendenti e un eventuale default di una di queste non va ad influenzare le altre. In caso di correlazione positiva, invece risulterà che le esposizioni all’interno del portafoglio tendono a muoversi nella stessa direzione, cioè tendono ad andare in default o a rimanere solvibili contemporaneamente. Infine, c’è il caso in cui la correlazione è negativa, che implica che le varie esposizioni tendono a muoversi in direzioni opposte e quindi il default di una esposizione riduce le probabilità di default delle altre.32

Quindi, ipotizzando per semplicità che il portafoglio sia composto da solo due esposizioni (A, B), la perdita inattesa del portafoglio può essere determinata nel seguente modo:

La perdita inattesa di portafoglio (2 esposizioni)

𝑈𝐿 = 𝑤 ∙ 𝑈𝐿 + 𝑤 ∙ 𝑈𝐿 + 2𝑤 ∙ 𝑤 ∙ 𝑈𝐿 ∙ 𝑈𝐿 ∙ 𝐶𝑜𝑟𝑟(𝐷 ∗ 𝐷 )

Come spiegato precedentemente, una correlazione positiva andrà ad incrementare la perdita inattesa del portafoglio, e conseguentemente ne aumenta la variabilità; mentre una correlazione negativa riduce la variabilità complessiva, perché la

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tendenza delle singole esposizioni a muoversi in direzioni opposte compensa le singole variabilità.33

Estendendo questi concetti ad un portafoglio composto da N esposizioni si ottiene: La perdita inattesa di portafoglio ("N" esposizioni)

𝑈𝐿 = 𝑤 𝑤 𝜌 𝑈𝐿 𝑈𝐿

quindi il contributo che ogni singola esposizione ha sulla rischiosità dell’intero portafoglio dipende da tre elementi:

 il livello della singola perdita attesa

 la correlazione tra le vaie esposizioni (𝜌, );

 Il peso di ciascuna attività sull’esposizione totale del portafoglio.

Per una concreta gestione del portafoglio potrebbe essere utile riuscire a misurare il contributo marginale che una singola esposizione ha nei confronti della rischiosità totale del portafoglio. Analiticamente si deve calcolare la derivata parziale della perdita inattesa del portafoglio rispetto alla perdita inattesa della singola esposizione:34

Contributo marginale alla perdita inattesa di portafoglio

𝑈𝐿𝐶𝑀 =𝜕𝑈𝐿 𝜕𝑈𝐿 = 𝜕(𝑈𝐿 ) 𝑈𝐿 = ∑ 𝜌 𝑈𝐿 33Cfr. LEONE P., BOIDO C. (2004). 34Cfr. LEONE P., BOIDO C. (2004).

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Dalla formula si evince come il contributo marginale di ciascun prestito alla volatilità del portafoglio dipenda dall’incidenza percentuale della perdita inattesa dei singoli prestiti caratterizzanti il portafoglio.

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Capitolo 2

2

I Credit Deafult Swaps (CDS): elementi del contratto e la

dimensione del mercato

Abbiamo finora utilizzato il termine "derivato su credito" in maniera abbastanza indifferenziata comprendendo una vasta categoria di prodotti che soltanto in parte hanno dinamiche e caratteristiche simili: da ora in poi nella nostra analisi ci concentreremo sul Credit Default Swap (CDS) descrivendone le caratteristiche fondamentali del contratto (controparti, prestazioni obbligatore delle controparti, modalità di regolamento e credit event), le dinamiche di formazione del prezzo (nella fattispecie parliamo di premio o spread necessario per sottoscrivere il contratto), i suoi principali utilizzi e le problematiche che possono sorgere durante l'esistenza del contratto.

Sebbene siano stat concepiti come strumenti finanziari di copertura dal rischio di perdite subite dalle perdite delle obbligazioni sottostanti, i CDS, sia essi corporate che sovrani, sono contrattati sui mercati Over-The-Counter (OTC), che sono per definizione mercati non regolamentati. Attraverso l’utilizzo di grafici, mostreremo il volume d’affari che c’è dietro questo tipo di mercato, in particolare ai CDS sovrani, facendo riferimento in particolare al volore nozionale e valore lordo espressi in blioni di dollari.

Le normative comunitarie MiFID II e MIFIR emanate dalla Commissione europea, sono state concepite come strumento di riorganizzazione dei mercati OTC. Queste hanno provveduto a garantire una maggiore trasparenza e standardizzazione per i derivati caratterizzati da un’elevata liquidità sui mercati.

Inoltre il Regolamento UE n. 236 del 14 marzo del 2012, ha provveduto a vietare le vendite allo scoperto dei "naked" CDS, ovvero di quei contratti i cui possessori non detengono di un'effettiva esposizione al rischio di default verso un'emittente sovrano, la fine di limitarne l’attività speculativa.

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2.1 Gli elementi essenziali del CDS

2.1.1 Elementi del contratto

Il mercato dei Credit Default Swap (CDS) è nato intorno alla fine degli anni Novanta, con la creazione dei primi contratti bilaterali e non standardizzati. I primi contratti Swap, invece, sono nati negli anni Ottanta e successivamente si sono diffusi rapidamente. Uno Swap è un contratto OTC che prevede, in corrispondenza di certe date prestabilite, lo scambio di flussi di cassa (cash flows), il cui ammontare è determinato in base ad un capitale nozionale di riferimento, il notional principal amount, e in relazione ad un sottostante.

Il CDS è un contratto bilaterale che svolge una funzione di tipo assicurativo, attraverso i quali una delle due parti, compratore della protezione, corrisponde un premio periodico fisso alla controparte, con l’obiettivo di proteggersi e trasferire il rischio di credito associato ad un’obbligazione sottostante, (reference obligation o reference asset), caratteristica che è comune nei derivati creditizi.

La controparte che corrisponde al venditore di protezione è definito protection seller, mentre l’acquirente è definito protection buyer o fixed buyer assume una posizione lunga per quanto riguarda il CDS, ma corta per quanto riguarda il sottosante. La posizione risultante infatti può generare un eventuale peggiormento del merito creditizio dell’emittente e lo possiamo considerare l’equivalente della vendita di un bond.35

Il protection buyer è obbligato al pagamento del premio che, a seconda del contratto, può essere unico o periodico. In questo secondo caso il pagamento avviene alle scadenze pattuite per tutta la durata di vita del contratto o fino al verificarsi di un Credit Event36. La controparte invece, in cambio di tali premi, si impegna a pagare al protection buyer una somma di denaro nell’eventualità in cui si verifichi, entro un determinato arco temporale, uno specifico evento creditizio.

35Cfr. CAPUTO NASSETTI F., FABBRI A. (2000). 36 Vedi paragrafo 2.

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Infatti, nel caso in cui si verifichi il Credit event che interessi la società emittente della reference obligation, il protection seller deve corrispondere un ammontare detto contingent payment, che copra le perdite subite. Il venditore di CDS di conseguenza assume un posizione corta di protezione e lunga di credito nei confronti dell’emittente, poiché beneficia dell’andamento positivo del suo merito creditizio.37

I CDS maggiormente scenbiati sul mercato sono a scadenza quinquennnale, ma essendo un contratto scambiato principalmente nei mercati OTC e, quindi, non standardizzato, è prevista una certa discrezionalità per le parti nella scelta della scadenza. Come già anticipato, il pagamento che il protection buyer esegue nei confronti del protection seller può essere unico o periodico;

generalmente i pagamenti più diffusi avvengono trimestralmente. Caratteristica del mercato dei CDS è la sua elevata liquidità. Attraverso continue esposizioni di prezzi bid e prezzi ask38, le istituzioni finanziarie nelle vesti di “market makers”, aggiornano il valore dei CDS in tempo reale e contribuiscono quindi a dare liquidità a questi strumenti.

37Cfr. CAPUTO NASSETTI F., FABBRI A. (2000).

38 l prezzo ask (detto anche offer) è superiore al prezzo bid. Il cosiddetto best bid è il più elevato prezzo bid

presente sul mercato. Analogamente, è detto best ask il più basso prezzo ask presente sul mercato. Una quotazione di mercato riporta il best bid e best ask disponibili sul mercato, ed è nota come BBO (Best Bid and Offer). In tal senso il bid-ask spread è la differenza tra best ask e best bid. Il "bid-ask spread" è la differenza tra il prezzo bid (denaro) e il prezzo ask (lettera) praticato da un dealer. Il prezzo bid è il prezzo al quale il dealer è disposto ad acquistare uno strumento finanziario. Il prezzo ask è quello al quale il dealer è disposto a vendere uno strumento finanziario.

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Figura 2.1 - Schema di un contratto Credit Default Swap

Pagamento del premio del CDS (No credit event)

Cash settlement (dopo il credit event)

CDS protection buyer CDS protection seller Valore nozionale (dopo il credit event)

Default della reference entity (credit event)

(Fonte: "Trattato sui contratti derivati di credito" e propria rielaborazione)

Il credit default swap viene spesso associato a diversi istituti giuridici tra i quali: il contratto di assicurazione, il contratto di fideiussione ed il derivato credit default option. Ovviamente ci sono solo degli aspetti comuni a questi istituti e quindi altri elementi tipici del CDS non consentono di classificare il contratto all’interno di una delle suddette categorie.39

L’elemento in comune con il contratto di assicurazione è palesemente il pagamento del premio da parte del protection buyer, che può essere paragonato a tutti gli effetti al versamento del premio che un cliente fa alla propria compagnia di assicurazione, in garanzia dell’ottenimento del risarcimento nel caso in cui si verifichi un sinistro (quest’ultimo assimililabile al default o altro Credit event). Le analogie sembrano evidenti, tuttavia, come prima illustrato, il CDS può essere

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