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Aurora chinasi A: alla ricerca di nuove interazioni strutturali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche

TESI DI LAUREA

AURORA CHINASI A: ALLA RICERCA DI NUOVE INTERAZIONI

STRUTTURALI

Relatori:

Dr. Gianpiero Garau

Prof.ssa Simona Rapposelli

Tutor:

Dr.ssa Eleonora Margheritis

Candidata:

Aurora Russo

ANNO ACCADEMICO 2017/2018

SSD CHIM/08

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1

To a worm in a horseradish,

the world is the horseradish

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Indice

ABSTRACT ... 4 1. INTRODUZIONE ... 5 1.1 IL GLIOBLASTOMA MULTIFORME ... 6 1.2 LE STEM-LIKE CELLS ... 6 1.3 LE AURORA CHINASI ... 8 1.3.1 AURORA A ... 10 1.3.2 STRUTTURA AURORA A ... 12 1.3.2 AURORA B ... 14 1.3.3 STRUTTURA AURORA B ... 15 1.3.4 AURORA C ... 16 1.4 I LIGANDI ... 17 1.4.1 AURKINA... 17 1.4.2 SA16 e VI8 ... 18

1.5 STRUTTURA DI PROTEINE DALLA DIFFRAZIONE A RAGGI X………20

1.5.1 LA CRISTALLIZZAZIONE ... 20

1.5.2 LA DIFFRAZIONE A RAGGI X ... 22

1.5.3 IL PROBLEMA DELLA FASE ... 23

1.5.4 MOLECULAR REPLACEMENT ... 24

2. OBIETTIVI ... 25

3. RISULTATI E DISCUSSIONE ... 27

3.1 ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE AURORA CHINASI A ... 27

3.1.1 COSTRUTTO AURKA IN pET ... 28

3.1.2 COSTRUTTO AURKA IN pMAL ... 33

3.2 CRISTALLIZZAZIONE AURORA CHINASI ... 37

3.3 RACCOLTA DATI E RISOLUZIONE DELLA STRUTTURA ... 44

(4)

3

4.1.1.3 PURIFICAZIONE DNA DA GEL ... 54

4.1.1.4 LIGAZIONE ... 55

3.1.6 TRASFORMAZIONE DELLA LIGAZIONE ... 55

4.1.1.5 SELEZIONE DEI CLONI ... 56

4.1.1.6 PROVE DI DIGESTIONE ... 56

4.1.1.7 ANALISI DEI CLONI MEDIANTE SEQUENZIAMENTO………57

4.1.1.8 PREPARAZIONE GLICEROLATI ... 57

4.2 ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE ... 57

4.2.1 CRESCITA BATTERICA... 57

4.2.2 LISI ED ESTRAZIONE BATTERICA ... 58

4.2.3 TIPOLOGIE DI PURIFICAZIONE ... 59

4.2.4 ANALISI FRAZIONI ELUITE ... 61

4.3 CRISTALLIZZAZIONE ... 62

4.3.1 TRATTAMENTO CON I LIGANDI ... 63

4.3.2 TRATTAMENTO DI FLASH COOLING ... 64

4.4 RISOLUZIONE STRUTTURA ... 64

BIBLIOGRAFIA ... 66

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ABSTRACT

Nella ricerca di terapie innovative per la cura del Glioblastoma Multiforme (GBM) l'approccio multi-target ha assunto negli ultimi anni un notevole interesse scientifico, a seguito della forte resistenza farmacologica di questa neoplasia celebrale. Recentemente è stata disegnata e sintetizzata una nuova classe di composti ibridi OXID-piridonilici, il cui composto principale SA16 ((Z)-(R)-N-(2-((1H-

imidazol-5-il)metilen)-2-oxoindolin-5-yl)ammino)-2-oxo-1-feniletil)-1-(3,4-difluorobenzil)-2-ozo-1,2-diidropiridin-3-carbossammide) è risultato in grado di inibire contemporaneamente due targets enzimatici: la chinasi fosfoinositide- dipendente 1 (PDK1), coinvolta nel pathway del fosfatidilinositol 3-chinasi/Akt, e l’Aurora chinasi A (AURKA), il cui ruolo è fondamentale in molteplici steps della divisione cellulare.

La mia tesi si è proposta di cristallizzare la proteina AURKA in complesso con SA16, o con uno dei suoi analoghi strutturali, per determinarne la struttura a raggi X ed approfondire relazioni struttura-attività di questa classe di composti. Il lavoro sperimentale si è sviluppato con (i) metodologie di biologia molecolare, per il clonaggio del gene target in un vettore di over-espressione opportuno; (ii) metodologie biochimiche, per la purificazione del prodotto di espressione e per l’ottimizzazione delle condizioni di cristallizzazione dell’AURKA in complesso con i composti scelti; (iii) metodologie di risoluzione strutturale tramite diffrazione a raggi X.

Lo studio ha condotto ad un risultato inaspettato: l’individuazione di una proteina che lega fortemente AURKA e che presenta un dominio strutturale esposto analogo

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1. INTRODUZIONE

1.1 IL GLIOBLASTOMA MULTIFORME

Il Glioblastoma Multiforme (GBM) fa parte dell'insieme dei tumori della glia (o gliomi) che rappresentano circa il 40% di tutti i tumori cerebrali primitivi. Secondo la classificazione dei tumori del sistema nervoso centrale secondo OMS, il GBM è di grado IV, ovvero il più grave per aggressività e proliferazione[1]. E' un tumore di tipo anaplastico, ovvero con perdita di differenziazione delle cellule astrocitiche, che in tal modo divengono tumorali con intensa attività mitotica. Caratteristiche peculiari ai fini diagnostici sono la cospicua proliferazione microvascolare e la presenza di necrosi [2]. Il GBM è caratterizzato da un’elevata capacità di infiltrarsi nei tessuti circostanti, rendendo difficile osservarne i confini e, di conseguenza, quasi impossibile la sua completa rimozione chirurgica [3]. È definito “primitivo” in quanto tende a presentarsi de novo e a rimanere nell'area cerebrale, senza diffondere altrove [4]. I glioblastomi si presentano più spesso nella materia bianca subcorticale degli emisferi cerebrali. I siti più frequentemente affetti sono il lobo temporale (31%), il lobo parietale (24%), il frontale (23%) e l’occipitale (16%). La neoplasia si può estendere per infiltrazione alla corteccia adiacente, ai gangli della base e quindi all’emisfero controlaterale [3]. La morfologia istologica del glioblastoma è estremamente variabile, con cellule rotondeggianti, a forma di fuso, di dimensioni piuttosto piccole. Nonostante negli anni i progressi clinici abbiano condotto a dei miglioramenti, i pilastri dell'attuale terapia anti GBM (chirurgia, radioterapia e chemioterapia con temozolomide) non riescono a prolungare la durata media di sopravvivenza molto oltre l’anno [5]. La peculiarità di questa forma di tumore maligno è infatti la forte resistenza a qualsiasi trattamento farmacologico fin'ora individuato. Sono state condotte analisi genomiche su larga scala per la ricerca di markers del GBM, che hanno individuato mutazioni e amplificazioni in molti pathways di segnale coinvolti nella crescita, proliferazione, sopravvivenza e apoptosi cellulare [6].

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Alcuni esempi sono: la via relativa alla chinasi del recettore della tirosina che include il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) [7], l’aberrazione nel segnale tramite la chinasi della proteina attivatrice della mitosi (RAS/MAPK) [8], le alterazioni della proteina tumorale p53 [9], e la via di segnale del fosfatidilinositol 3-chinasi/ proteina chinasi B (PI3K/Akt) [10]. Recenti studi supportano l’ipotesi che l’attitudine fortemente proliferativa del GBM e la sua resistenza al trattamento siano da imputare ad una popolazione di cellule al suo interno che si comporta come vere e proprie cellule staminali [11].

1.2 LE STEM-LIKE CELLS

Le cellule staminali di tipo neuronale (NSCs) sono cellule che presentano caratteristiche analoghe agli astrociti, i quali hanno la capacità di rigenerare la maggior parte dei componenti differenziati dei tessuti cerebrali [12]. Queste cellule sono state primariamente individuate nella zona subventricolare del topo [13]. Quando coltivate in un mezzo di coltura senza siero con specifici fattori di crescita, esse crescono in aggregati cellulari in sospensione chiamati neurosfere, e si auto rigenerano. Quando esposte a differenti segnali come quelli contenuti nel siero, si può osservare come siano in grado di produrre tutti i tipi di cellule nervose presenti in un cervello adulto. Esse sono state individuate nel giro dentato dell'ippocampo e nella sostanza bianca subcorticale e sottoventricolare (figura 1).

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Il meccanismo di formazione e progressione del GMB è ancora dibattuto. All'origine del GBM possono esserci mutazioni sia sulle NSCs stesse che generano di conseguenza una cellula iniziatrice del tumore (TIC), sia sulle progenitrici delle cellule gliali, derivate dalle NSCs, sia infine sulle cellule gliali mature che possono subire dedifferenziazione (figura 2) [11].

Figura 2. Uno sguardo generale alle teorie sulla genesi del GBM. Immagine da Nduom, Cancer Journal

(Sudbury, Mass.) (2012).

Un’informazione assodata invece è l’ambiente in cui il GBM si sviluppa. È stato dimostrato, in particolare, che la microvascolarizzazione della massa tumorale cerebrale crea delle nicchie che mantengono e alimentano continuamente le cellule staminali responsabili dello sviluppo del GBM [14]. Le NSCs interagiscono strettamente con queste nicchie vascolari e promuovo l’angiogenesi per mezzo del rilascio del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) e del fattore derivato dallo stroma. Considerando che le cellule staminali normali sono in grado di differenziarsi anche in cellule endoteliali funzionali, è stato dimostrato che un numero variabile di queste nel glioblastoma porta la stessa alterazione genetica delle cellule tumorali, indicando che una significativa porzione dell’endotelio vascolare ha origine neoplastica. È stato infine osservato come, colpendo selettivamente le cellule endoteliali generate dalle NSCs nel topo, si riduca e degeneri la massa tumorale, mostrando la rilevanza funzionale dei vasi endoteliali derivati dalle NSCs [15].

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1.3 LE AURORA CHINASI

Le Aurora chinasi sono una famiglia di Ser/Thr chinasi altamente conservate con ruoli essenziali in vari processi della divisione cellulare. Il loro nome deriva dal fatto che, quando sono state osservate le prime volte tramite saggi cellulari, la disposizione ai due poli del fuso mitotico ricordava la nota aurora boreale. Lo si può notare nelle analisi condotte da Bischoff et al. dove, tramite immunofluorescenza indiretta con l’anticorpo di AURKA, comprese la specifica localizzazione di Aurora A (figura 3) [16].

Figura 3. Localizzazione di AURKA durante metafase (a), anafase (b) e telofase (c). L’immagine è presa da Bischoff, Trends Cell Biol. (1999).

Nei mammiferi, la famiglia delle Aurora chinasi è presente in tre forme: A, B e C. Aurora A svolge funzioni a livello dei poli del fuso mitotico, Aurora B è attiva sui centromeri e sul fuso anafasico, Aurora C è similare alla B ma regola la meiosi e la mitosi nei primi stadi dello sviluppo. Insieme alle chinasi ciclina-dipendente (Cdks) e alle chinasi polo-like (Plks), le Aurora chinasi coordinano tutti i singoli processi della divisione cellulare[17]. La prima volta che è stata individuata un Aurora chinasi è stato nel 1993, in uno screening di mutanti di Saccharomyces Cerevisiae che non riuscivano a compiere una normale segregazione cromosomica, e fu chiamata Ipl1(increases in ploidy 1) [18]. È stato poi appurato come, durante la

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Strutturalmente, le Aurora chinasi A, B e C condividono un dominio catalitico evolutivamente conservato al terminale carbossilico (identico per il 70% in tutte e tre le chinasi), e un dominio regolatorio al terminale amminico; variazioni nella sequenza in tal dominio contribuiscono ad una differente localizzazione spazio-temporale di ognuna durante il ciclo cellulare, conducendole alle loro distinte funzioni [20]. L’allineamento delle Aurora A e B ha permesso di identificare all’N terminale della sequenza proteica un motivo conservato “KEN” (K-lisina, E-acido glutammico, N-asparagina) che comprende 11-18 residui amminoacidici ed agisce come uno dei segnali di riconoscimento del Complesso Promotore dell’Anafase (APC)/Cdh-1-. Sul terminale carbossilico è presente l’altro segnale, il D-box (destruction box), che viene legato dalle proteine Fizzy-related facenti parte del complesso APC. Un secondo elemento di sequenza, l’A-box (activation box) è situato sull’N terminale delle due chinasi A e B ed è necessario per la funzionalità del D-box. Il complesso APC, interagendo con tali sequenze, indirizza le chinasi alla degradazione ubiquitino-mediata ad opera del proteasoma dipendente (APC/Fizzy-Related targets Aurora-A kinase for proteolysis) [21](figura 4) .

Tutte e tre le chinasi Aurora, inoltre, sono attivate tramite meccanismo di fosforilazione e tramite legame con proteine partner quali TPX2 e INCENP di seguito descritte [22].

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1.3.1 AURORA A

Aurora chinasi A è implicata in molteplici eventi che riguardano il ciclo cellulare [19]. Essa si trova associata ai centrosomi e alle regioni dei microtubuli adiacenti, partecipando al reclutamento di varie componenti del fuso mitotico in formazione. Studi condotti su C. Elegans hanno esaminato il coinvolgimento di AURKA nella maturazione dei centrosomi, dimostrandone il ruolo fondamentale nel richiamo di γ tubulina e materiale pericentriolare [23]. A maggior conferma di ciò, è stato visto che in Drosophila e Xenopus, l’inibizione delle funzioni di AURKA risultano nella generazione di un fuso monopolare con centrosomi non separati [24]. Come la maggior parte delle Ser/Thr chinasi, AURKA si attiva primariamente tramite fosforilazione di un residuo treoninico, in questo caso la Thr-288 posta sul loop di attivazione. Studi di mutagenesi sito-specifiche hanno dimostrato l’influenza della fosforilazione di questo residuo (e di quello accanto, Thr-287) sull’attività catalitica dell’enzima [25]. Molteplici sono i partner di interazione che ne promuovono l’attività e la localizzazione. Tra questi, il cofattore maggiormente caratterizzato è la proteina motrice di legame TPX2 (Targeting Protein for Xenopus kinesin-like protein 2) [26][27] che era stata già vista esser coinvolta nel traghettamento di AURKA sul fuso mitotico [28]. In letteratura, sono molteplici gli studi che dimostrano come AURKA sia amplificata e over-espressa in un gran numero di linee tumorali. Il gene AurkA venne inizialmente nominato BTAK (Breast Tumor Activated Kinase), perché il suo mRNA era stato trovato over-espresso nel tumore al seno e giocava un ruolo critico nella trasformazione delle cellule di questo tumore [29]. Successivamente sono state pubblicate ricerche che l’hanno

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Uno studio abbastanza recente ha inoltre messo in luce un nuovo pathway che vede coinvolta AURKA insieme ad aPKC (atypical protein kinase C) e NDEL 1 (nuclear distribution protein nudE-like 1) che risulta cruciale nella regolazione dell’organizzazione microtubulare durante l’estensione del neurite [34].

Un buon numero di informazioni precliniche ha supportato lo sviluppo di inibitori di questo enzima per specifici tipi di tumore e una parte di questi agenti di nuova sintesi hanno superato la fase di sperimentazione I e II, ma sono poi stati bloccati per manifestazione di tossicità o effettiva scarsa efficacia. L’unica molecola che ha superato la fase III è MLN8237 (Alisertib). Questa è stata testata sulla proliferazione delle cellule di glioblastoma simil staminali (neurosfere) dimostrando che la sua azione antiproliferativa è molto più potente verso questo tipo cellulare che verso le cellule del glioma standard, e non ha manifestato tossicità rilevante verso gli astrociti umani; funziona in sinergia con temozolomide e potenzia l’effetto delle radiazioni ionizzanti. È stato inoltre dimostrato che il trattamento con MLN8237 inibisce la fosforilazione della Thr-288, fornendo ulteriori prove della specificità di legame di questa molecola con il target nelle cellule di glioblastoma [35].

Figura 5. Struttura Alisertib. Nome IUPAC: 4-{[9-Chloro-7-(2-fluoro-6-methoxyphenyl)-5H-pyrimido[5,4-d][2]benzazepin-2-yl]amino}-2-methoxybenzoic acid.

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1.3.2 STRUTTURA AURORA A

Figura 6. Diagramma a nastro della struttura di Aurora A in complesso con adenosina. Il loop di attivazione in viola, la regione a cerniera in verde, il glycine-reach loop in rosso. La posizione del residuo treoninico conservato, la Thr-288, che viene fosforilata durante l’attivazione, è indicata con asterisco.

La struttura di AURKA presenta un’architettura bilobata. Il lobo più piccolo N-terminale contiene 5 foglietti β antiparalleli e una singola α elica preceduta da un’elica addizionale. Il lobo C terminale, più largo, è costituito per lo più da α eliche e contiene il loop di attivazione coinvolto nel legame col substrato polipeptidico. I due domini sono collegati tramite una regione a cerniera (hinge region, residui 210-216), ovvero un loop che forma le interazioni di legame a idrogeno conservate con ATP o inibitori. Vicino all’N-terminale si trova un loop conservato ricco in glicina che controlla il legame con

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loop di attivazione (A loop: residui 274-297) è altamente ordinato, con l’eccezione dei residui 286 e 287. La conformazione dell’A loop permette l’accesso al sito di legame col substrato. È stato visto come uno ione fosfato libero si leghi vicino al residuo T288, in una tasca creata da residui disposti in posizioni analoghe alla fosforilazione, suggerendo che tale legame mimi la conformazione cataliticamente attiva [36]. Tramite cristallografia a raggi X è stata inoltre analizzata l’interazione tra AURKA e TPX2: TPX2 lega il lobo catalitico C-terminale della chinasi tramite i primi 43 amminoacidi N-terminali; questa interazione, inducendo un cambiamento conformazionale in Aurora A, protegge anche la Thr-288 dall’esposizione a solventi e, soprattutto, dalla defosforilazione da parte della fosfatasi 1 (PP1)[37].

Figura 7. Diagramma a nastro della struttura cristallina di AURKA in interazione con TPX2 (verde). Loop di attivazione in azzurro. Immagine presa da R. Bayliss, Open Biol.,2012.

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1.3.2 AURORA B

Questo secondo membro della famiglia delle Aurora chinasi è parte di un complesso macromolecolare, il “complesso passeggero dei cromosomi” (CPC) che, insieme ad altri tre membri, la survivina, l’INCENP (inner centromeric protein) e la borealina, localizza Aurora B all’interno dei centromeri e lungo l’equatore del fuso mitotico. Il CPC regola eventi chiave del processo mitotico, quali: la stabilizzazione del cinetocore, l’aggancio del cinetocore ai microtubuli, la regolazione del checkpoint dell’assemblaggio del fuso, fino alla costruzione e regolazione dell’apparato contrattile che conduce alla citocinesi [38]. L’attivazione e le funzionalità di Aurora B sono intrinsecamente dipendenti dalla localizzazione del CPC e dalla presenza e coordinazione con gli altri tre fattori. Il principale processo avviene tramite molteplici steps: inizialmente, l’IN-BOX al C-terminale di INCENP (regione altamente conservata) si avvolge intorno il lobo N-terminale di Aurora B, stimolandone l’autofosforilazione della Thr 232 sul loop di attivazione; questo evento le permette poi di fosforilare le serine del motivo-terminale TSS (treonina-serina-serina) adiacente all’IN-BOX dell’INCENP, che è in tal modo ancora più in grado di legare e attivare Aurora B, seguendo un loop di reciproca attivazione [17] [39]. Una volta attivata, Aurora chinasi B svolge il suo ruolo di fosforilazione su diversi target, trovandosi così coinvolta in molteplici processi chiave nel regolare svolgimento della mitosi. Uno dei ruoli fondamentali lo svolge fosforilando il complesso proteico della condensina, la quale assicura un’appropriata condensazione dei cromosomi in strutture compatte (e quindi una corretta segregazione dei cromosomi) dirigendo il superavvolgimento del DNA in modo ATP-dipendente. Allo stesso scopo mira la fosforilazione sulla Ser 10 all’N-terminale dell’istone H3 [40]. Aurora B è inoltre coinvolta nella stabilizzazione dell’interazione tra i microtubuli e il cinetocore, controllando la funzione dei fattore chiave per l’accumulo di microtubuli sul cinetocore

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complessa macchina di correzione degli errori nell’aggancio ma anche nell’orientazione dei cromosomi sui filamenti del polo mitotico [38][42]. Aurora B è, infine, essenziale per il completamento della citocinesi, avendo fra i suoi substrati elementi protagonisti di tale stadio: la catena regolatoria della Miosina II, la vimentina, la desmina e la proteina acidica fibrillare della glia [43][44].

1.3.3 STRUTTURA AURORA B

Figura 8. Diagramma a nastro di Aurora B (grigia) in complesso con il dominio conservato IN-box di INCENP (orange), loop di attivazione in rosso, Thr 248 fosforilata in giallo, coda C-terminale in verde e αC elica in blu. Immagine da F. Sessa Mol. Cell, 2005.

La struttura di Aurora B analizzata con cristallografia a raggi X è stata analizzata in complesso col suo ligando naturale, l’INCENP. Anche Aurora B presenta la classica struttura bilobata. Il lobo N-terminale (residui 86-174), ricco in foglietti β, è implicato in legami nucleotidici e interagisce con i regolatori chinasici. Il lobo C-terminale (residui 175-347) contiene maggiormente α eliche e rappresenta un sito di legame per i substrati della chinasi. La tasca di legame per l’ATP, come visto già in AURKA, si distende sulla superfice fra i due lobi. L’N-box di INCENP forma una corona molecolare attorno al perimetro del lobo N-terminale, e nel corso del suo avvolgimento crea un contatto con la seconda metà del lobo C-terminale. Ci sono nette differenze strutturali tra

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l’interazione di Aurora A con TPX2 e Aurora B con INCENP: nel primo caso è stato visto come TPX2 agisce sul loop di attivazione funzionando da braccio che, facendo leva, lo mette in tensione, attivandolo; mentre nel secondo caso non si ha alcun apparente contatto tra INCENP e il loop di attivazione. Al fine di confrontare i diversi ruoli dei due substrati sull’attivazione delle rispettive Aurora chinasi, sono stati allineati i lobi C-terminali dei due complessi per comparare i due loop di attivazione, ed è stato visto come essi siano perfettamente sovrapponibili. Questa osservazione ha fatto concludere che INCENP forzi una conformazione estesa di Aurora B attraverso un meccanismo allosterico [39].

1.3.4 AURORA C

Sulla terza componente della famiglia, Aurora C, non si hanno ancora numerosi informazioni. Dagli studi fin’ora condotti è emersa un’alta analogia con Aurora B, con cui condivide la sequenza di attivazione [45], il principale substrato (INCENP)[46] e le funzioni nel trasporto, allineamento e orientamento dei cromosomi [47]. Una caratteristica che però la contraddistingue è la sua localizzazione: al contrario delle sue sorelle, diffuse in tutte le cellule umane, consistenti livelli di Aurora C sono stati trovati solo nelle cellule destinate a meiosi, ovvero ovociti e spermatozoi [48].

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1.4 I LIGANDI

1.4.1 AURKINA

AurkinA è una molecola che blocca il complesso AURKA-TPX2. La struttura a raggi X è stata risolta e analizzata da un gruppo di ricerca di Cambridge che ha individuato come tale composto, posizionandosi in una tasca idrofobica (la tasca Y) che ospita anche il motivo conservato Tyr-Ser-Tyr della TPX2 (figura 9), induca cambiamenti conformazionali che inibiscono l’interazione tra i due partner biologici, e l’attività catalitica dell’enzima in vitro e in cellule, senza però influenzare il legame con l’ATP sul sito attivo. Come conseguenza di questo meccanismo, le cellule esposte ad AurkinA delocalizzano AURKA dai microtubuli del fuso mitotico [49].

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Figura 10. Struttura cristallina di AURKA legata ad Aurkina, ATP e TPX2. Immagine da M. Janeček Sci. Rep.,2016.

1.4.2 SA16 e VI8

Questi composti sono frutto di uno studio del team della Prof. Rapposelli che ha condotto alla sintesi di una nuova classe di molecole chiamate ibridi OXID-piridonilici [50]. Tale studio si è sviluppato partendo dalla struttura di due dei più studiati inibitori di PDK1, BX517 e MP7, ed individuandone le porzioni farmacoforiche. In particolare, è stato preso il nucleo 2-ossoindolico di BX517, porzione con alta affinità per il sito di legame per l’ATP, e fuso con il frammento 2-ossopiridonilico di MP7, che presenta invece specificità per la tasca DFG-out (figura 4) [51].

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Figura 11. Strategia di design seguita per l’ottenimento di ibridi OXID-piridonilici. Immagine da Sestito, S,

Eur. J. Med. Chem. (2016).

Lavorando sul gruppo spaziatore e i sostituenti di questo nuovo scaffold OXID piridonilico, sono giunti alla struttura di SA16 e VI8 (figura 12)[52].

A

B

Figura 12. Struttura dei ligandi in analisi. A: SA16. Nome IUPAC: ((Z)-(R)-N-(2-((1H-imidazol-5-

il)metilen)-2-oxoindolin-5-yl)ammino)-2-oxo-1-feniletil)-1-(3,4-difluorobenzil)-2-ozo-1,2-diidropiridin-3-carbossammide). B: VI8. Nome IUPAC: ((Z)-(R)-N-(2-((1H-imidazol-5-il)metilen)-2- oxoindolin-5-yl)ammino)-2-oxo-1-feniletil)-1-(3,4-difluorobenzil)-2-ozo-1,2-diidrometilpiridin-3-carbossammide).

Dato che in letteratura viene riportato che diversi inibitori del PDK1 con alto grado di idrofobicità mostrano anche alta affinità per AURKA, sono state screenate 56 chinasi

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per individuare possibili ulteriori target, ed è stata appurata la significativa potenza di inibizione sia su PDK1 (IC50= 416 nM) che su Aurora chinasi A (IC50= 35 nM) [52].

1.5 STRUTTURA DI PROTEINE DALLA DIFFRAZIONE A RAGGI X

Per conoscere la funzionalità, i meccanismi e le peculiarità delle macromolecole biologiche proteiche, la cristallografia a raggi X, ovvero lo studio di strutture tridimensionali di proteina ad una risoluzione vicina a quella atomica, è la tecnica principale. I protagonisti di questa tecnica sono il cristallo di proteina, le onde elettromagnetiche X-ray e la matematica.

1.5.1 LA CRISTALLIZZAZIONE

Le proteine possono cristallizzare se addizionate di agente precipitante quali il PEG (polietilenglicole) a svariato peso molecolare, soluzione salina e solventi organici sotto precise condizioni di pH, temperatura e concentrazione di proteina. Il processo di cristallizzazione segue il diagramma di fase (figura 13), dove l’asse x corrisponde alla concentrazione del precipitato, l’asse y alla concentrazione della proteina, e descrive lo stato del sistema termodinamico al variare di queste due coordinate: a bassa concentrazione, la proteina resta in soluzione (condizione di sottosaturazione); aumentando la concentrazione e la precipitazione, la proteina diviene sempre meno solubile fino al raggiungimento dello stato di supersaturazione, dove la proteina si separa dalla soluzione o sottoforma di aggregato disordinato (precipitato amorfo), o come cristalli ordinati. La zona di nucleazione è dove si formano i cristalli, la zona metastabile è dove questi crescono.

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Figura 13. Diagramma di transizione di fase.

Sono molti i fattori che influenzano l’ottenimento di un precipitato ordinato: la concentrazione della proteina, la sua solubilità, forza ionica, vibrazione, flessibilità, purezza, l’aggiunta di piccole molecole, la temperatura e altro ancora. I cristalli di proteina sono costituiti da un insieme di molecole disposte sulle tre dimensioni in maniera periodica. Ciò che li differisce dagli altri cristalli è il fatto che sono costituiti per il 50% c.a. del loro volume da acqua, elemento fondamentale per il mantenimento del loro ordine periodico. La più piccola unità ripetuta in un cristallo è chiamata cella unitaria. Ci sono 1014

di queste celle all’interno di un cristallo che condividono identici contenuti, ovvero singole molecole, le quali invece vengono definite come l’unità asimmetrica del cristallo.

La cella unitaria è caratterizzata da tre lati a, b e c, e tre angoli α, β e γ. Esistono solo 7 sistemi cristallini che sono compatibili con la formazione di un regolare reticolo cristallino: ad un estremo troviamo il sistema triclinico, dove nessun lato e nessun angolo sono uguali; all’altro estremo troviamo il sistema cubico, dove tutti i lati sono uguali e tutti gli angolo di 90°.

All’interno della cella unitaria, l’insieme delle molecole può esser descritto con un determinato numero di possibili gruppi spaziali. Un gruppo spaziale è uno dei 230 gruppi di operatori di simmetria che descrivono moti di traslazione e rotazione. Essendo gli amminoacidi chirali, si possono escludere tutti i piani di simmetria e i centri di inversione, limitando il numero di gruppi spaziali a 65 possibilità diverse [53].

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1.5.2 LA DIFFRAZIONE A RAGGI X

Per visualizzare strutture di dimensioni dell’ordine della scala atomica, è necessario lavorare con radiazioni elettromagnetiche dell’ordine della distanza atomica (1 Å, o 10-10

metri). I raggi x coprono una porzione dello spettro elettromagnetico che va da 10 nm (10 -8 metri) a 1/1000 di nm (1 picometro).

Il fenomeno della diffrazione a raggi X si basa sull’interferenza tra le onde che colpiscono e rimbalzano (scatterano) i singoli atomi all’interno del cristallo, e le strutture atomiche vengono ricostruite, usando la teoria della diffrazione, dalle intensità delle onde diffratte che possono essere misurate empiricamente. Quando i raggi X colpiscono elettroni liberi, il campo elettromagnetico dell’onda incidente forza gli elettroni in movimenti di oscillazione alla stessa frequenza dell’onda incidente. Queste oscillazioni provocano la generazione di una seconda radiazione, alla stessa lunghezza d’onda di quella incidente, ma fuori fase di 180°. Questo viene chiamato scattering coerente (o elastico). Tenendo conto che gli elementi che descrivono un’onda sono la lunghezza d’onda (λ), l’ampiezza e la fase, l’onda totale scatterata, costituita dal contributo di tutti gli scattering provenienti da tutti gli elementi volume (dv) dell’oggetto scatterato, è rappresentata dall’equazione della trasformata di Fourier:

𝐹(𝑆) = ∫ ∫ 𝜌(𝐫) 𝑒𝑥𝑝(2𝜋𝑖𝒓 ∙ 𝑺) 𝑑𝑉

𝑉

dove l’ampiezza è proporzionale a 𝜌(𝒓)dV e la fase è 2𝜋𝑖𝒓 ∙ 𝑺.

I pattern di diffrazione sono caratterizzati da degli spots allineati su una griglia bidimensionale che rappresentano la massima diffrazione. La localizzazione di ogni singolo spot è definita dai 3 indici di Miller (h, k e l). La distanza tra due spots allineati adiacenti è inversamente proporzionale alle dimensioni della cella unitaria; si parla perciò di “spazio

(24)

raggio superiore incontra il piano superiore dell’atomo (z); il secondo raggio continua fino al successivo strato finchè non viene scatterato dall’atomo B. Il secondo raggio deve percorrere una distanza maggiore AB + BC se i due raggi devono continuare a viaggiare adiacenti e paralleli. La legge di Bragg:

𝐴𝐵 + 𝐵𝐶 = 𝑛𝜆 = 2𝑑 sin 𝜃

afferma che questa distanza deve essere un multiplo intero della lunghezza d’onda affinchè la fase dei due raggi resti la stessa. L’ampiezza dell’onda riflessa dipenderà dalla densità elettronica presente sul punto di diffrazione [53].

Figura 14. Rappresentazione geometrica della legge di Bragg.

1.5.3 IL PROBLEMA DELLA FASE

L’ampiezza diffusa da un insieme di molecole contenute nella cella unitaria viene rappresentata con un valore chiamato fattore di struttura (Fhkl, dove hkl sono gli indici di

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cammini ottici (fasi diverse). Il fattore di struttura è direttamente relazionato all’intensità di ogni spot di diffrazione dalla seguente equazione:

Ih,k,l = |Fh,k,l|2

Il problema è che il fattore di struttura è una variabile complessa:

Fh,k,l = | Fh,k,l|exp(iθ)

da cui, tramite misure di intensità, si può ricavare solo l’ampiezza, e non la fase.

Per la determinazione della densità elettronica (σ) e delle coordinate atomiche di una molecola proteica si applica l’antitrasformata di Fourier:

𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧) =1 𝑉∑ ∑ ∑|𝐹ℎ,𝑘,𝑙|𝑒 𝑖𝛼ℎ,𝑘,𝑙 𝑒−2𝜋𝑖(ℎ𝑥+𝑘𝑦+𝑙𝑧) 𝑙 𝑘 ℎ

Per superare il problema della determinazione della fase per ogni misura di riflessione sono stati studiati differenti metodi di risoluzione, tra cui il più comune è il molecular replacement [53].

1.5.4 MOLECULAR REPLACEMENT

Questa tecnica prevede l’utilizzo di una struttura proteica conosciuta con cui la proteina in analisi condivide più del 25% di sequenza amminoacidica, posizionandola all’interno dell’unità di cella della struttura da scoprire. La corretta orientazione può essere determinata calcolando la diffrazione teorica della molecola modello con l’antitrasformata di Fourier. La molecola modello viene accomodata tramite movimenti di traslazione e rotazione finchè i pattern sperimentali e teorici non corrispondono [53].

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2. OBIETTIVI

Tra le numerose patologie neoplastiche il Glioblastoma Multiforme si caratterizza come uno dei tumori più ostili nella prognosi e nella terapia: presenta una forte farmaco resistenza e con le attuali terapie, compreso radioterapia, chemioterapia e chirurgia, si raggiunge un massimo di aspettativa di vita di 14 mesi [2]. Numerose sono le vie coinvolte nell'insorgenza e radicazione di tale patologia. Il bersaglio scelto dal gruppo di ricerca della Prof. Rapposelli dell’Università di Pisa per una strategia dualtarget è il simultaneo blocco di chinasi fosfoinositide- dipendente 1 PDK1 (coinvolto nella via del fosfatidilinositol 3-chinasi/Akt) e di Aurora chinasi A (AURKA), enzima regolatore nei processi di divisione cellulare. Recenti scoperte collegano in parte la forte aggressività e resistenza della patologia alla presenza di cellule GBM simil staminali (GSCs), una sottopopolazione di cellule multipotenti cancerogene che mostrano caratteristiche simili alle cellule staminali [11][15]. È stato dimostrato come, agendo su specifici pathways che bloccano la proliferazione di tali cellule, si abbia un'effettiva riduzione del loro potenziale cancerogeno [54]. Nell'individuazione di tali vie cellulari è stato scoperto che, bloccando la cascata di eventi legati ad AURKA, già conosciuta per avere un ruolo determinante nei processi di proliferazione in vari tipi di tumore, avviene un'inibizione della formazione di colonie di GSC [55].

I meccanismi molecolari alla base di questa duplice inibizione sono stati esplorati sia in differenti linee cellulari di GBM che in colture di cellule simil staminali derivate da GBM. Le molecole usate come riferimento per l'investigazione dell'interazione fra i due pathways sono state l'MP7, inibitore del PDK1, e l'Alisertib, bloccante dell'AURKA. In seguito, partendo dalla sintesi di inibitori del PDK1 chiamati ibridi oxid-piridonilici [51], sono stati identificati SA16 e VI8. È stato verificato come tali nuovi composti diminuiscano la proliferazione delle cellule di GBM, inneschino il processo di apoptosi e riducano l'invasività cellulare [52]. SA16 è stato originariamente disegnato come un inibitore di PDK1 combinando due porzioni farmacoforiche conosciute per legarsi al sito di legame dell'ATP e alla tasca DFG-out del PDK1 tramite un linker di fenilglicina. VI8 è poi frutto di una successiva metilazione. Dato che in letteratura viene riportato che diversi inibitori del

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PDK1 con alto grado di idrofobicità mostrano anche alta affinità per AURKA, sono state testate in screening 56 chinasi per individuare possibili ulteriori target; è stata così appurata la significativa potenza di inibizione sia su PDK1 (IC50= 416 nM) sia su Aurora chinasi A (IC50= 35 nM), suggerendo che questi composti potevano effettivamente essere studiati come prototipi di un'inibizione duale PDK1/AURKA [52].

Studi di docking molecolare hanno determinato le modalità di binding con PDK1 [52], mentre non è stato possibile ottenere altrettanto con AURKA, risultando perciò necessario affidarsi a tecniche strutturali più sperimentali. Il mio lavoro di tesi si è basato sull’espressione, la purificazione e la cristallizzazione del complesso proteina/ligando con l'intenzione di risolvere la struttura tramite l'utilizzo della tecnica X-ray diffraction cristallography, che prevede l'esposizione del cristallo ai raggi X per ottenerne un'analisi strutturale a livello molecolare. Questa tecnica permette di definire a livello atomico la struttura dei residui amminoacidici coinvolti nei legami e a stabilire le porzioni farmacoforiche delle molecole. La risoluzione dei dati cristallografici permetterebbe di confermare definitivamente l’attività duale dei due potenziali farmaci, suggerendo anche potenziali modifiche di ottimizzazione sintetica.

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3. RISULTATI E DISCUSSIONE

Il lavoro di ricerca di questa tesi si è sviluppato principalmente in quattro parti:

1. L’applicazione di metodologie di biologia molecolare e biochimiche per (i) l’ingegnerizzazione di due costrutti di espressione per il target AURKA (Aurora chinasi A) al fine di ottenere un buon livello di over-espressione della proteina ricombinante (~20 mg); (ii) tramite metodologie biochimiche, la proteina è stata successivamente purificata ad elevato grado per condurre esperimenti di cristallografia.

2. Il campione di proteina concentrata (~10 mg/mL) è stato usato per lo screening e l’ottimizzazione di numerose condizioni di cristallizzazione tramite la variazione di diversi parametri, quali la composizione del reservoir (agente precipitante, tampone, sale), la temperatura ed i tempi del processo di cristallizzazione. Una volta individuate le condizioni ottimali di cristallizzazione, abbiamotestato l’interazione della proteina con i ligandi.

3. L’ultima parte è stata la raccolta dati di diffrazione di raggi X da luce di Sincrotrone (beamline XRD1, ELETTRA, Trieste) e la relativa analisi di risoluzione strutturale della proteina cristallizzata.

3.1 ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE AURORA CHINASI A

Il cDNA codificante per il target human AURKA è stato acquistato presso Addgene (METODI). Il costrutto del vettore pET His10 TEV LIC è stato usato direttamente per l’espressione batterica (Figura 1). Il cDNA dell’AURKA è stato, inoltre, clonato nel vettore di espressione batterica pMAL C5X. Questo secondo costrutto è spesso efficace nel permettere l’espressione di proteine ricombinanti di origine umana. Sono state testate e sviluppate l’over-espressione e la purificazione in parallelo per entrambi i costrutti, al fine di selezionare un efficiente ed ottimale processo di ottenimento del campione di proteina, idoneo alle successive fasi di cristallizzazione e determinazione strutturale.

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3.1.1 COSTRUTTO AURKA IN pET

Figura 15. Schema del vettore pET His10 TEV LIC contenente la sequenza codificante per AURKA. AURKA_HUMAN_D0 (Addgene plasmid # 79739).

Il vettore pET His10 TEV LIC cloning vector contenente il gene codificante per il dominio catalitico (residui da Lys 125 a Ser 391) di AURKA è stato trasformato in due ceppi di espressione batterica E. Coli, BL21 DE3 codon plus RIPL e Rosettagami B (DE3) pLys. Questi sistemi batterici competenti sono adatti per l’espressione ad alto livello di proteine eterologhe al batterio, in particolare quelle di mammifero. Contengono specifici tRNA che riescono a leggere codoni presenti nei mammiferi ma rari nei batteri, quali ad esempio quelli per gli aminoacidi Arginina (AGA, AGG), Isoleucina (AUA), Leu (CUA) e Prolina (CCC).

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tempistiche di induzione (4-16h) e la temperatura di induzione ottimale (37°C o 18°C). Dalle prove di over-espressione, è emerso che le condizioni ottimali per la produzione (nel sistema BL21) della proteina target ricombinante risultavano: IPTG 0.5 M, con induzione di 4h a 37°C. La Figura 16 mostra l’esito di questa analisi tramite un gel elettroforetico SDS-PAGE.

Figura 16. Gel elettroforetico SDS PAGE che mostra i risultati delle prove di induzione del vettore pET nel sistema BL21.

Durante queste prove di induzione, i batteri venivano centrifugati per 20 minuti a 4 °C. I pellets ottenuti venivano poi soggetti a sonicazione e trattamento in detergente (TritonX100) in buffer A di lisi (TrisHCl pH 7,5 50 mM, NaCl 200 mM, MgCl2 5 mM, β-mercaptoeptanolo 10 mM, glicerolo 10%). Utilizzando questa procedura, la proteina ricombinante veniva infine purificata dalla frazione solubile.

Per la purificazione dell’AURKA, il design del costrutto di espressione prevedeva un tag esaistidinico all’N-terminale della sequenza proteica (Figura17). Fruttando la presenza di questo tag della proteina espressa, il prodotto di induzione veniva purificato per cromatografia di affinità al Nichel in batch. Tale procedura prevede l’utilizzo di una resina

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di Ni-NTA, idonea ad intrappolare la proteina alle beads durante i lavaggi con buffer A per l’eliminazione di altre proteine presenti nel campione di lisi batterica (METODI).

Figura 17. Sequenza amminoacidica del costrutto di AURKA in pET. In blu è evidenziata la sequenza di istidine usata come tag nella purificazione per affinità.

Per l’eluizione del target dalla resina, fu utilizzato il buffer B (TrisHCl pH 7,5 50 mM, NaCl 200 mM, MgCl2 5 mM, β-mercaptoeptanolo 10 mM, glicerolo 10%) addizionato di imidazolo ad una concentrazione di 500mM, in grado di rompere la coordinazione del Nichel con la sequenza di istidine.

La fine del processo di purificazione tramite cromatografia di affinità prevedeva la concentrazione del campione e lo scambio buffer tramite dialisi, utilizzando il buffer A. Un secondo step di purificazione scelto per la purificazione della proteina era quello tramite cromatografia in gel filtration (Gel Filtration Size Exclusion, GF-SEC), che permette, durante l’eluizione, la separazione del campione di proteine per differenza di dimensioni (figura 18). Per questa procedura abbiamo utilizzato una colonna Superdex 10/300, ed un sistema ad alta efficienza in Fast Protein Liquid Chromatography (FPLC) (METODI).

>10XHis-AURKA MKSSHHHHHHHHHHENLYFQSNAKRQWALEDFEIGRPLGKGKFGNVYLAREKQSKFILAL KVLFKAQLEKAGVEHQLRREVEIQSHLRHPNILRLYGYFHDATRVYLILEYAPLGTVYRE LQKLSKFDEQRTATYITELANALSYCHSKRVIHRDIKPENLLLGSAGELKIADFGWSVHA PSSRRTTLCGTLDYLPPEMIEGRMHDEKVDLWSLGVLCYEFLVGKPPFEANTYQETYKRI SRVEFTFPDFVTEGARDLISRLLKHNPSQRPMLREVLEHPWITANSSKPS

(32)

La purezza delle frazioni raccolte veniva successivamente valutata tramite elettroforesi su gel SDS-PAGE (Figura 19). La validazione della presenza del target AURKA nelle frazioni di eluizione veniva fatta tramite western blot di controllo (Figura 20) con anticorpo murino monoclonale anti-His tag (METODI).

Figura 19. SDS-page su frazioni eluite di AURKA espressa in pET. La freccia indica la banda corrispondente ad AURKA, ( ~47 kDa).

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L’analisi in western blot faceva emergere che la frazione raccolta dalla cromatografia in gel filtration conteneva una discreta quantità della nostra chinasi, e corrispondeva esattamente al picco D del processo di eluizione. Tuttavia, nonostante due steps successivi di cromatografia di affinità e size exclusion, il gel in SDS-PAGE mostrava come il campione corrispondente a quella frazione avesse un grado di purezza non sufficiente. Questo risultava evidente dalla presenza di diverse bande a peso molecolare diverso da quello del target (~47 kDa). Per cercare di incrementare il livello di purezza del target, i risultati suggerivano di provare ad esprimere la proteina utilizzando un secondo costrutto di espressione, piuttosto che provare ad ottimizzare ulteriormente il processo di purificazione del campione utilizzato fino a quel momento (sopra).

Decidemmo pertanto di provare ad utilizzare un diverso vettore di espressione. Clonammo il gene codificante per l’AURKA nel vettore di espressione pMAL, il quale contiene una sequenza per l’espressione del tag Maltose Binding Protein (MBP). Il clonaggio dell’intera sequenza descritta in Figura 17 (quindi, His-tag + AURKA), avrebbe inoltre dato la possibilità di esprimere una proteina con doppio tag di purificazione (MBP-tag assieme all’His-(MBP-tag), per due possibili processi di purificazione in cromatografia di affinità.

I campioni corrispondenti alle frazioni del quarto picco di eluizione furono comunque utilizzati per le prime prove di cristallizzazione, per vedere come si comportava il campione prodotto di AURKA.

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3.1.2 COSTRUTTO AURKA IN pMAL

Figura 21. Schema del vettore pMAL dove la sequenza codificante per AURKA è stata clonata.

Clonammo pertanto il cDNA della chinasi AURKA nel vettore di espressione batterica pMALc5x, espresso poi nel ceppo di E. coli BL21 Codon PLUS (DE3) RIPL. Esprimere AURKA in fusione con MBP comporta un doppio vantaggio: la presenza di un ulteriore tag ai fini della purificazione, ed in genere l’incremento di espressione e solubilità della proteina di fusione a cui l’MBP viene unita. E ‘stato più volte evidenziato infatti come l’espressione di una proteina in fusione con l’MBP ne limiti fortemente la possibilità di entrare nei corpi di inclusione del sistema di espressione [56]. La proteina usata come tag di fusione poteva poi venire rimossa grazie alla presenza della sequenza del sito di taglio (ENLYFQ) per la proteasi TEV all’ N-terminale, tra l’MBP e la chinasi.

Dopo l’over-espressione nella frazione solubile delle cellule BL21 Codon PLUS, e lisi della parete batterica, la proteina di fusione venne estratta e purificata tramite beads di resina di amilosio (METODI). Ai successivi lavaggi, fatti per eliminare le proteine contaminanti espresse dal batterio, la proteina di interesse risultava legata fortemente sulle beads. Da qui, abbiamo provato direttamente a tagliare la proteina di fusione MBP sulla resina

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cromatografica tramite l’aggiunta della proteasi TEV (Figura 22). Questa procedura ci permetteva di ottenere l’AURKA nel surnatante, e di eluirla digerita poi dalla resina.

Figura 22. Sequenza della chinasi AURKA clonata nel vettore di espressione pMAL. La sequenza in arancio rappresenta il sito di riconoscimento per il taglio della proteasi TEV. In blu sono evidenziate le 10 istidine che vengono tagliate via dalla proteasi insieme all’MBP (sequenza in verde) e sfruttate durante la purificazione.

Per verificare il grado di purezza della proteina risultante, testammo diversi steps di purificazione tramite gel elettroforetico. L’analisi di questi steps faceva emergere che la frazione del flowthrough era purtroppo ancora piuttosto sporca (Figura 23).

>MBP-10Histag-AURKA MKIEEGKLVIWINGDKGYNGLAEVGKKFEKDTGIKVTVEHPDKLEEKFPQVAATGDGPDII FWAHDRFGGYAQSGLLAEITPDKAFQDKLYPFTWDAVRYNGKLIAYPIAVEALSLIYNKDL LPNPPKTWEEIPALDKELKAKGKSALMFNLQEPYFTWPLIAADGGYAFKYENGKYDIKDVG VDNAGAKAGLTFLVDLIKNKHMNADTDYSIAEAAFNKGETAMTINGPWAWSNIDTSKVNYG VTVLPTFKGQPSKPFVGVLSAGINAASPNKELAKEFLENYLLTDEGLEAVNKDKPLGAVAL KSYEEELVKDPRIAATMENAQKGEIMPNIPQMSAFWYAVRTAVINAASGRQTVDEALKDAQ

TNSSSNNNNNNNNNNLGIEGRISHMKSSHHHHHHHHHHENLYFQSNAKRQWALEDFEIGRP

LGKGKFGNVYLAREKQSKFILALKVLFKAQLEKAGVEHQLRREVEIQSHLRHPNILRLYGY FHDATRVYLILEYAPLGTVYRELQKLSKFDEQRTATYITELANALSYCHSKRVIHRDIKPE NLLLGSAGELKIADFGWSVHAPSSRRTTLCGTLDYLPPEMIEGRMHDEKVDLWSLGVLCYE FLVGKPPFEANTYQETYKRISRVEFTFPDFVTEGARDLISRLLKHNPSQRPMLREVLEHPW ITANSSKPS

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Figura 23. SDS-page su frazioni raccolte da purificazione in batch con resina di amilosio. Le due bande indicate dalle frecce sono AURKA (31 kDa) ed MBP (37 kDa), dopo taglio con la TEV.

L’azione successiva fu provare a testare diversi steps tramite passaggi in diverse colonne cromatografiche. Testammo così in colonna i processi di:

- ION EXCHANGE, sfruttando la differenza di punto isoelettrico tra AURKA (pI = 6.5) e la proteina di fusione MBP (pI = 5.0). Questo step è risultato comunque poco efficace; - AFFINITA’, tramite la proteina di fusione MBP. Il meccanismo cromatografico in colonna

MBP-TRAP risultava simile a quello che avveniva tramite resina di amilosio, ma il processo di eluizione veniva fatto in continuo lungo la colonna cromatografica, permettendone la diretta visualizzazione (Figura 24);

- AFFINITA’, tramite il tag di istidine. Il costrutto realizzato permetteva di eseguire sia una purificazione del prodotto proteico su colonna His-TRAP (Figura 25), sia su colonna MBP-TRAP, in sequenza. Il taglio dei due tags all’AURKA veniva fatto direttamente in colonna. - SIZE-EXCLUSION, tramite colonna di gel filtration che purificava il campione per

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Figura 24. Profilo della cromatografia di affinità con il tag MBP. Il picco A è quello di pre-gradiente. Il picco B rappresenta l’eluizione dell’AURKA.

Figura 25. Profilo della cromatografia di affinità con il tag di istidine. Il picco A è quello del pre-gradiente. Il picco B corrisponde a quello per l’eluzione dell’AURKA.

Figura 26. Profilo di eluizione della cromatografia per gel filtrazione. Il picco A corrisponde alla frazione della proteina di fusione non digerita dalla proteasi TEV. Il picco B rappresenta la frazione di campione della chinasi.

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Figura 27. SDS-page gel al termine del processo di gel filtrazione della purificazione di AURKA. La freccia indica la banda relativa ad AURKA (peso molecolare ~ 31 kDA).

Per incrementare il livello di over-espressione dal sistema batterico, ad entrambi i costrutti ingegnerizzati in pET (descritto da pag 29) ed in pMAL (descritto da pag 35) venne aggiunto in co-espressione un’altra proteina, la lambda fosfatasi (Addgene plasmid # 79748). La presenza di questo enzima impedisce la possibile fosforilazione della chinasi AURKA nel corso dell’espressione. Questo al fine di limitare la possibilità che AURKA assuma una conformazione attiva, in grado di promuovere interazioni aspecifiche(23).

3.2 CRISTALLIZZAZIONE AURORA CHINASI

I campioni di proteina purificata, ottenuti partendo dai due costrutti di espressione descritti nel paragrafo precedente, vennero portati ad una concentrazione di ~10 mg/mL per cominciare le prove di cristallizzazione e saggiare il comportamento della proteina in diverse condizioni di agenti di nucleazione, pH e sali. Inizialmente, vennero allestite piastre

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da 96 pozzetti con il metodo sitting drop per utilizzare kit commerciale di screening PEGRx 1 (Hampton Research) a base di polimeri a differente peso molecolare.

Le condizioni che risultarono più promettenti furono:

MES monoidrato pH 6.0 0,1 M, 20 % Jeffamina M-600 pH 7.0 Tris pH 8 0,1 M, 30 % Jeffamina M-600 pH 7 Acido citrico pH 3,5 0,1 M, 14 % w/v PEG 1,000 Tris pH 8 0,1 M, 30 % w/v polietilen glicol monometil etere 2,000

Tris 0,1 M pH 8, 28% w/v PEG 4,000

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Tabella 2. Elenco reservoir con relative fonti.

Con le condizioni più promettenti e con quelle descritte in letteratura vennero poi allestite prove di cristallizzazione in piastre da 24 pozzetti, con il metodo hanging drop. Dopo circa

PEG MME50 23% Bicina pH 9 0,1 M NaCl 0,1 M

G. M. T. Cheetham et al., “Crystal Structure of

Aurora-2, an Oncogenic

Serine/Threonine Kinase,” J.

Biol. Chem. , vol. 277, no. 45,

pp. 42419–42422, Nov. 2002. PEG 400 22 % (NH)4SO4 0,1 M M. S. Coumar et al., “Structure-Based Drug Design of Novel Aurora Kinase A Inhibitors: Structural Basis for Potency and Specificity,” J. Med. Chem., 2009. PEG 6000 8% Hepes pH 7,5 0,1 M MPD 5% CaCl2 0,1 M F. C. Rowan, M. Richards, R. A. Bibby, A. Thompson, R. Bayliss, and J. Blagg, “Insights into Aurora-A Kinase Aurora-Activation Using Unnatural Amino Acids Incorporated by Chemical Modification,” ACS

Chem. Biol., vol. 8, no.

10, pp. 2184–2191, Oct. 2013. PEG 3350 5-20% MgSO4 0,2 M Hepes pH 7 0,2 M “Allosteric modulation of AURKA kinase activity by a small-molecule inhibitor of its protein-protein interaction with TPX2.” PEG 8000 21% Mg(CH3COO)2 0,2 M Sodio cacodilato pH 6 0,1 M W. C. Gustafson et al., “Drugging MYCN through an allosteric transition in Aurora Kinase A,” Cancer

Cell, vol. 26, no. 3, pp. 414–

427, Sep. 2014. PEG 3350 21% (NH)4SO4 0,2 M MES pH 6 0,1 M G. M. T. Cheetham et al., “Crystal Structure of Aurora-2, an Oncogenic Serine/Threonine Kinase,” J. Biol. Chem. , vol. 277, no. 45, pp. 42419– 42422, Nov. 2002. PEG 3350 20% Potassio sodio tartrato 0,2 mM W. C. Gustafson et al., “Drugging MYCN through an allosteric transition in Aurora Kinase A,” Cancer

Cell, vol. 26, no. 3, pp.

414–427, Sep. 2014.

PEG 8000 18% MES pH 6,5 0,1 M MgSO4 0,2 M

R. Bayliss, T. Sardon, I. Vernos, and E. Conti, “Structural basis of Aurora-A activation by TPX2 at the mitotic spindle,” Mol. Cell, 2003.

BisTris pH 6,5 0,1 M PEG 3350 30%

C. O. de Groot et al., “A Cell Biologist’s Field Guide to Aurora Kinase Inhibitors,”

Front. Oncol., vol. 5, p. 285,

Dec. 2015. Bicina pH9 0,1 mM PEG 6000 20% M. W. Richards et al., “Structural basis of N-Myc binding by Aurora-A and its destabilization by kinase inhibitors,”

Proc. Natl. Acad. Sci. U. S. A., vol.

113, no. 48, pp. 13726–13731, Nov. 2016.

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una settimana sono cresciuti piccoli cristalli di proteina in alcune delle condizioni testate. L’ottimizzazione di queste condizioni permise nelle settimane successive di ottenere cristalli di dimensioni sufficienti (50 - 250 µm) per esperimenti di diffrazione di raggi X da luce di sincrotrone (Figura 14).

Le condizioni di cristallizzazione per le quali sono apparsi dei cristallini risultarono:

1. PEG MME550, Bicina pH 9 0.1 M, NaCl 0.1 M

2. PEG3350 21%, MES pH 6.5 0.2 M, (NH4)2SO4 0.1 M

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Figura 29. Alcuni dei cristalli di proteina ottenuti ed usati per esperimenti di diffrazione di raggiX.

Per aumentare la stabilità della proteina aggiungemmo in co-cristallizzazione il composto ATP (adenosina trifosfato) alla concentrazione di 100 µM, il ligando naturale di AURKA [36]. In parallelo all’ottimizzazione delle condizioni di cristallizzazione descritte sopra, cominciammo a valutare quelle ottimali per l’ottenimento dei complessi di ligando con i due composti SA16 e VI8. Contemporaneamente, testammo le condizioni ottimali per il nostro campione di proteina di produrre il complesso con il composto Aurkina. L’affinità dell’AURKA per questo composto è dell’ordine del µM, come misurato tramite esperimenti di microcalorimetria di interazione (ΔG ≈ 6.2 kcal/mol)[49]. La struttura del suo complesso con AURKA è stata depositata recentemente in PDB con codice 4ZS0. Data quindi la conoscenza precisa dell’affinità per il composto Aurkina, e la validata possibilità di ottenerne un complesso strutturale con AURKA, utilizzammo questo composto come test-case per saggiare l’interazione dei composti SA16 e VI8.

Per cercare di ottenere dei complessi dell’AURKA con i composti SA16 e VI8, utilizzammo in parallelo sia il metodo del soaking, quindi l’addizione di una soluzione concentrata del composto (~10/100 µM) direttamente sul cristallo già formato della sola proteina; sia il metodo della co-cristallizzazione, quindi l’addizione di una soluzione concentrata (~10/100 µM) alla goccia di cristallizzazione (METODI).

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La decisione di portare avanti entrambi questi metodi di complessazione, nacque dal fatto che i ligandi trattati presentano un peso molecolare notevole ed un’alta idrofobicità, condizioni particolari e difficoltose per una selezione a priori della metodologia ottimale per la formazione dei complessi cristallini di AURKA.

Inoltre, testammo in parallelo con le due tecniche di complessazione una serie di altri composti che rappresentano intermedi di reazione di inibitori di AURKA (tabella 3). L’eventuale ottenimento dei complessi con questi scaffolds di interazione avrebbero potuto fornire ulteriori ed importantissime informazioni per il design di nuovi composti basati sulla struttura.

L’intero processo di ottenimento di nuovi cristalli richiese diversi rounds di nuova produzione di proteina pura, e successive serie di processi di cristallizzazione in co-cristallizzazione e soaking, che vennero portati avanti per diverse settimane, fino alla data programmata di raccolta dati alla beamline XRD1 del sincrotrone ELETTRA di Trieste (28 Febbraio 2018). Duranti i giorni che precedettero la raccolta dati di diffrazione, vennero accuratamente selezionati i cristalli singoli ottenuti più grandi, ed apparentemente cristallini. Questi vennero sottoposti a congelamento rapido con l’utilizzo di azoto liquido, previa protezione della soluzione del cristallo di proteina con crioprotettori opportuni (glicerolo o PEG400 ~25%).

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Tabella 3. Elenco formule brute degli intermedi utilizzati. DF29 C13H9F2NO3 PM = 265,22 g·mol−1 VI6 C30H24F2N4O4 PM=542,54 g·mol−1 AB16 C12H12F3N3O4 PM=319,24 g·mol−1 AB3 C14H11F2NO3 PM=279,24 g·mol−1 VI18 C34B25BrF2N6O4 PM=699,51 g·mol−1 AB20 C18H16F3N3O4 PM=279,23 g·mol−1 AB14 C14H10BrF2NO3 PM=542,54 g·mol−1 VI40 C29H22F2N4O3 PM=512,51 g·mol−1 MM02 C18H17NO4 PM=311,33 g·mol−1 AB21 C30H23BrF2N4O4 PM=621,44 g·mol−1 IB32 C23H18N4O4F2 PM=452,41 g·mol−1 FC100 (G198) C13H12N4O3S PM=304,32 g·mol−1 MM64 C18H19NO4 PM=313,35 g·mol−1 MS54 C13H12N4O3S PM=304,32 g·mol−1

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3.3 RACCOLTA DATI E RISOLUZIONE DELLA STRUTTURA

Sono stati raccolti al sincrotrone ELETTRA una quindicina di full datasets di immagini di diffrazione dai cristalli di proteina preparati. La diffrazione delle migliori collezioni di dati si estendeva fino ad una risoluzione di 2.4-2.5 Å, generalmente sufficiente per mostrare complessi di piccole molecole che interagiscono con le proteine. La Figura 15 mostra una delle migliaia di immagini di diffrazione raccolte con angolo di rotazione Δϕ = 0.5°.

Figura 30. Pattern di diffrazione di raggi X del cristallo di proteina.

L’indicizzazione degli spots di diffrazione e l’integrazione delle intensità di diffrazione forniva una simmetria tetragonale, con parametri di cella:

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tramite molecular replacement (Metodi). Tra questi in particolare le strutture di PDB code: 1muo (gruppo spaziale P3221), 1mq4 e 3fdn (gruppo spaziale P6122), 2j4z (gruppo spaziale

P212121), 3lau e 4uyn (gruppo spaziale P21). Questi modelli rappresentano diverse

conformazioni strutturali e simmetrie dell’impaccamento di AURKA nel cristallo di proteina, sia in forma apo che in complesso con differenti ligandi. Tuttavia, nessuno di questi modelli molecolari, e compresi i loro ensambles, riuscirono a fornire una soluzione soddisfacente.

L’inaspettato risultato faceva sospettare di aver raccolto dati da cristalli di proteina che non fosse l’AURKA, nonostante 2 steps successivi di purificazione cromatografica, e condizioni di cristallizzazione molto simili a quelle già utilizzate per ottenere complessi di ligando dell’AURKA ([57][58]). Per confermare la nostra osservazione ricercammo in Protein Data Bank una serie di strutture con parametri di cella vicini a quelli dei nostri risultati, e gruppo spaziale consistente a quello da noi ricavato. Tra queste, in particolare, emersero le strutture delle proteine di E. coli depositate in PDB con codice: 4ntq (proteina CdiA) e 2esf (anidrasi carbonica).

Mentre la prova di risoluzione strutturale con le coordinate di 4ntq non dette di nuovo alcuna soluzione, l’utilizzo come modello di dimero delle coordinate di 2esf fu assolutamente efficace. Similmente per quanto avremmo fatto per la risoluzione strutturale di AURKA, procedemmo così all’analisi della densità elettronica ed all’affinamento del modello strutturale (Tabella 4). I risultati sono stati ottenuti con l’uso del programma Molrep di CCP4, TF/sig = 20.84; Contrast = 26.77

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L’inaspettato ritrovamento di una proteina diversa da quella attesa nel cristallo, suggeriva una possibile forte interazione dell’AURKA (il target dei successivi passaggi di purificazione) con l’anidrasi carbonica batterica. Sorprendentemente, questa riusciva inoltre a cristallizzare in condizioni diverse da quelle sue ottimali di cristallizzazione [1.65 M ammonio solfato, 4% PEG 400, 0.1 M MES, pH 6.5] (Cronk, J.D et al Biochemitry 2006).

Quindi, l’anidrasi carbonica batterica:

1. Rimaneva nella frazione di eluizione di AURKA dopo successivi passaggi cromatografici di purificazione, per affinità e gel filtrazione, indicando una possibile forte interazione con il target;

2. Raggiungeva una concentrazione sufficientemente alta per formare cristalli di proteina; 3. Cristallizzava in condizioni ottimali di un’altra proteina:

PEG MME550, Bicina pH 9 0.1 M, NaCl 0.1 M

PEG3350 21%, MES pH 6.5 0.2 M, (NH4)2SO4 0.1 M,

Per razionalizzare il nostro ritrovamento, cercammo nella PDB proteine di mammifero che avessero sequenze sovrapponibili, almeno parzialmente, a quella dell’anidrasi carbonica di E. coli cristallizzata. La ricerca fornì un paio di maggiori candidati, la dipeptidyl peptidasi 9 (PDB ID: 6EOQ) (Ross et al PNAS 2018), e la Plexina D1 (PDB ID: 5v6R) (Shang, G. et al eLife 2017). La comparazione tra la sequenza dell’anidrasi carbonica e le sequenze di queste due proteine umane tramite ClustalW vengono mostrate in Figura 31.

La prima delle due presenta un frammento di dieci residui con un’identità del 70% e similarità del 90% alla sequenza (RVAIHGWSYG) dell’anidrasi. La sequenza della Plexina D1 ha un’identità di solo 30% e similarità del 45%, ma copre un maggior segmento di analogia con l’anidrasi carbonica (Figura 32). Inoltre, solo per la Plexina D1 il frammento di sequenza risulta esposto dalla struttura, quindi accessibile alla potenziale interazione con il target

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Figura 31: allineamento della sequenza amminoacidica della proteina cristallizzata con le sequenze delle due proteine dipeptil peptidasi 9 e plexina D1.

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Tabella 3. Statistica cristallografica. Racc olta AUK3 40S5 Collezione dati Gruppo spaziale P432 2 Dimensioni di cella a, b, c (Å) 82.6 2, 82.6 2, 162. 82 α, β, γ (deg) 90, 90, 90 Risoluzione (Å) * 50.0 0 - 2.47 (2.62 - 2.49) Rmerge * 0.45 (0.86 ) I / σI a 4.5 (1.9) Completezza (%)* 100. 0 (100. 0) Molteplicità * 11.9 (12.4 )

Statistica di raffinamento strutturale

No. osservazioni / riflessioni uniche 2712 22 / 1995 0 Rwork / Rfree * 0.21 2 / 0.26 7 No. Atomi nell’unità asimmetrica 3596

Proteina 1786 Zinco / Carbonato 2 / 8 Molecole d’acqua 155 B-factors 40.5 Deviazioni rms Distanze di legame (Å) 0.01 Angoli di legame (gradi) 1.2 Plot di Ramachandran

preferita (%) 94.8

permessa (%) 3.1

outliers (%) 2.1

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A

B

Figura 32. Risoluzione strutturale della proteina in critallografia a raggi x con l’utilizzo della tecnica di Molecular Replacement, a partire dal modello strutturale PDB ID: 2esf. (A) Mappa di densità elettronica dell’intero dimero di carbonic anhydrase di classe beta (MW = 25 kDa), presente nel cristallo di proteina analizzato. Le due subunità di proteina sono evidenziate in viola e verde scuro. Le sfere rosse indicano le molecole d’acqua di idratazione della biomolecola. (B) Dettaglio del sito di coordinazione del metallo presente nel sito attivo della zinco-proteina (Cronk et al 2006. Biochemistry 45, 4351-4361).

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Figura 33. Dettaglio del segmento amminoacidico in Anidrasi carbonica trovato analogo in Plexina D1.

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3.4 CONCLUSIONI

Il risultato di questa tesi sperimentale è l’aver acquisito tutte le basi per l’over-espressione di proteine ricombinanti in sistema di espressione cellulare, la purificazione ad alto grado di quantità di proteine dell’ordine dei milligrammi, la successiva cristallizzazione del prodotto e la determinazione strutturale di proteine per mezzo della diffrazione di raggi X con luce di sincrotrone.

Seppur i mesi di attività in laboratorio non abbiano al momento permesso di ottenere il complesso dell’interazione tra ligando SA16 ed AURKA, tal periodo ha tuttavia condotto all’identificazione di un binding partner in vitro per il target proteico, l’anidrasi carbonica batterica (PDB ID: 2esf). Data la forte interazione tra AURKA e questa anidrasi carbonica, la purificazione della prima ha condotto contemporaneamente alla purificazione e cristallizzazione della seconda, nonostante diversi e successivi steps di purificazione cromatografica (normalmente sufficienti ad ottenere rese di purezza molto elevate). Inaspettatamente, l’interazione ha favorito la cristallizzazione dell’anidrasi carbonica batterica in condizioni analoghe a quelle normalmente usate per l’AURKA, ben diverse da quelle ottimali per la sola anidrasi carbonica. Le coordinate della proteina cristallizzata sono state risolte, definite ed affinate per l’identificazione dell’anidrasi carbonica, validando così contemporaneamente l’interazione con l’AURKA. L’analisi della risoluzione strutturale con i raggi X ha permesso infine di identificare analogie di sequenza e strutturali per un dominio esposto della proteina umana Plexina D1.

La Plexina D1 è un recettore di signaling di membrana che regola lo sviluppo neuronale e cardiovascolare [59][60]. Più in generale, la famiglia di proteine a cui appartiene è coinvolta nel direzionamento assonico e nella formazione della rete neurale; controlla inoltre la migrazione di molteplici popolazioni cellulari durante lo sviluppo, tra cui le cellule della cresta neurale e le cellule endoteliali. Infine, le plexine sono coinvolte nei processi di angiogenesi e progressione tumorale.

In particolare, la Plexina D1 è il recettore della semaforina Sema3E che svolge ruolo chiave proprio in questi ultimi due tipi di processi, ed è frequentemente iperattivata nei casi di melanoma e tumori del seno, del colon, delle ovaie e della prostata [61][62]. E’ stato

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dimostrato recentemente che la sua espressione aumenta fortemente nel melanoma ed in diverse condizioni tumorali, tra cui il cancro al colon e all’apparato uro-genitale [63]. Considerando la localizzazione e le funzioni del target AURKA, anch’essa direttamente coinvolta in svariati eventi mitotici, con attività sulle cellule staminali del glioblastoma presenti soprattutto in zone altamente vascolarizzate, è plausibile supporre che possa esserci una correlazione funzionale-strutturale tra AURKA e Plexin D1. A maggior sostegno di tale ipotesi si aggiunge la recente individuazione di un nuovo pathway coinvolto proprio nello sviluppo dei neuriti che vede protagoniste aPKC (atypical protein kinase C), NDEL1 (Nuclear distribution protein nudE-like 1) e Aurora chinasi A [34].

Non abbiamo riscontro, attualmente, di alcun lavoro che abbia mai riportato l’interazione tra AURKA e Plexin D1. Pertanto, confermare l’interazione diretta tra AURKA e Plexina D1 potrebbe aprire una nuova frontiera terapeutica che coinvolge il target antitumorale oggetto di questa tesi. E’ attualmente in corso l’espressione della proteina Plexina D1 al fine di saggiarne l’affinità e validare in vitro l’interazione con l’AURKA.

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4. MATERIALI E METODI

4.1 CLONAGGIO AURORA CHINASI IN pMAL

Per trasferire il gene di AURKA all’interno del vettore selezionato sono state eseguite una serie di metodiche che prevedono l’isolamento del gene di interesse dal vettore iniziale tramite enzimi di restrizione, la sua amplificazione tramite PCR e il suo inserimento all’interno del nuovo vettore mediante reazione di ligazione. Il costrutto così ottenuto viene inserito in cellule ospiti che vengono coltivate in terreni selettivi.

4.1.1 DIGESTIONE VETTORE/INSERTO

Il vettore pMAL C5X ed il vettore pET His10 TEV LIC sono stati digeriti con gli enzimi di restrizione NotI e NdeI (NEB) O.N. a 37 °C:

MIX digestione pMAL: DNA (1µg/µl) 10 µl NotI 2µl NdeI 2 µl cutSMART 10x buffer 10 µl H2O 76 µl TOT. 100 µl

MIX digestione pET-AurkA: DNA (450 ng/µl) 20 µl NotI 2 µl NdeI 2 µl cutSMART 10x buffer 10 µl H2O 66 µl TOT. 100 µl

4.1.1.1 DEFOSFORILAZIONE DEL VETTORE

Nella reazione di digestione del vettore sono stati aggiunti 10 µl di buffer per fosfatasi 10x e 1 µl di fosfatasi alcalina antartica 5000 u/mL (NEB) per rimuovere i gruppi fosfato alle estremità 5’. La reazione è stata lasciata incubare per 1 ora a 37 °C. Questo passaggio è necessario per evitare la ricircolarizzazione del vettore in quanto, dopo il taglio con gli enzimi di restrizione, esso possiede estremità coesive fosforilate che potrebbero rilegarsi.

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