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Studio in vitro dell'effetto del Bortezomib sui progenitori mesangiogenici ed implicazioni nel Mieloma Multiplo

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

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Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Studio in vitro dell’effetto del Bortezomib sui progenitori

mesangiogenici ed implicazioni nel Mieloma Multiplo

RELATORE

Chiar.mo Prof. Mario Petrini

CORRELATORE

Dott. Gabriele Buda

CANDIDATO

Claudia Pia Schifone

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SOMMARIO

ABSTRACT ... 4

CAPITOLO PRIMO: IL MIELOMA MULTIPLO ... 5

1. Introduzione ... 5

2. Epidemiologia ... 6

2.1 Fattori di rischio ... 7

3. Patogenesi ... 8

3.1 Ontogenesi delle plasmacellule ... 8

3.2 Ruolo dell’espressione genica nelle plasmacellule maligne ... 9

3.3 Patogenesi molecolare del Mieloma Multiplo ... 10

4. Presentazione clinica ... 13

5. Diagnosi e stadiazione ... 15

5.1 Work-up diagnostico e diagnosi differenziale ... 16

5.2 Stadiazione e prognosi ... 16

6. Terapia ... 20

6.1 Razionale d’utilizzo dei nuovi farmaci ... 20

6.2 Regimi terapeutici di prima linea ... 21

6.3 Terapie delle recidive ... 22

6.4 Terapia di supporto ... 23

7. Risposta alla terapia ... 24

CAPITOLO SECONDO: LA NICCHIA STAMINALE EMOPOIETICA ... 26

1. Anatomia e localizzazione della nicchia ... 26

2. Fisiologia della nicchia staminale: regolazione delle HSCs ... 27

2.1 Proliferazione e differenziamento delle HSCs ... 27

2.2 Mantenimento dello stato di quiescenza delle HSCs ... 28

2.3 Homing e migrazione delle HSCs ... 28

3. Le cellule stromali mesenchimali (MSCs) ... 31

4. Mesangiogenic Progenitor Cells (MPCs) ... 33

4.1 Potenziale differenziativo delle MPCs ... 37

5. Il Mieloma Multiplo e la nicchia staminale emopoietica ... 39

5.1 Angiogenesi ed osteogenesi nel Mieloma Multiplo ... 40

5.2 Ruolo delle MSCs nella nicchia patologica ... 41

5.3 Le MPCs nella nicchia patologica ... 42

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CAPITOLO TERZO: STUDIO SPERIMENTALE ... 45

1. Scopo della tesi ... 45

2. Materiali e metodi ... 46

2.1 Criteri d’arruolamento dei pazienti ... 46

2.2 Isolamento delle MPCs ... 48

2.3 Metodo della goccia pendente per la formazione degli sferoidi ... 49

2.4 Valutazione dello sprouting angiogenico delle MPCs ... 49

2.5 Differenziamento delle MPCs ... 50

3. Risultati ... 51

3.1 Sprouting angiogenico delle MPCs ... 51

3.2 Descrizione dei pazienti in esame nella prima fase di studio ... 55

3.3 Valutazione dello sprouting angiogenico delle “early MSCs” ... 56

3.4 Descrizione del campione in esame nella seconda fase di studio ... 58

4. Discussione ... 59

5. Conclusioni ... 64

BIBLIOGRAFIA ... 65

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4

ABSTRACT

Il Mieloma Multiplo è una neoplasia ematologica caratterizzata dalla proliferazione di un clone plasmacellulare, che si sviluppa e progredisce all’interno del microambiente della nicchia staminale emopoietica. Le plasmacellule maligne proliferano all’interno di questo microambiente e stabiliscono con gli elementi che compongono la nicchia dei rapporti necessari alla sopravvivenza ed alla progressione della neoplasia. Le cellule mielomatose intervengono prevalentemente sull’angiogenesi e l’osteogenesi: nel primo caso determinano l’incremento di tale processo all’interno del midollo, nel secondo bloccano il differenziamento osteoblastico garantendo l’osteoclastogenesi e determinando l’insorgenza di lesioni ossee.

I nostri studi si sono concentrati sull’analisi delle cellule progenitrici mesangiogeniche e sul loro ruolo nell’ambito della malattia mielomatosa.

Le cellule progenitrici mesangiogeniche costituiscono una popolazione cellulare recentemente identificata, grazie all’utilizzo di opportune tecniche di isolamento, nel midollo osseo. Tale popolazione presenta la capacità di differenziare in cellule mesenchimale stromali (MSCs) ed angiogeniche.

Precedenti studi condotti su campioni di sangue midollare, prelevato da soggetti sani sottoposti a chirurgia ortopedica, avevano dimostrato che il differenziamento mesengenico era inibito dal calmidazolo e la via angiogenica era bloccata dal bortezomib (farmaco di prima linea nel trattamento del Mieloma, dotato di proprietà anti-angiogenica).

Gli studi riportati in questa tesi indagano, ulteriormente, il ruolo delle MPCs nel Mieloma Multiplo, dimostrando una maggiore capacità di sprouting delle cellule progenitrici isolate da pazienti affetti da Mieloma.

L’analisi dell’effetto del bortezomib sul destino angiogenico ha confermato la capacità inibitoria del farmaco anche sulle cellule progenitrici patologiche, già dimostrata negli esperimenti sulle MPCs non patologiche.

Infine, è stata condotta un’analisi dello sprouting delle “early MSCs” patologiche al fine di valutare il maggior “commitment” angiogenico ipotizzato a carico delle cellule progenitrici isolate dal midollo osseo di pazienti affetti da malattia mielomatosa.

I dati ottenuti in quest’ultima fase sperimentale sembrano confermare l’ipotesi in esame. Il Mieloma avrebbe, quindi, la capacità di modificare il destino differenziativo delle MPCs inducendole all’angiogenesi.

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CAPITOLO PRIMO: IL MIELOMA MULTIPLO 1.INTRODUZIONE

Il Mieloma Multiplo (MM) è una neoplasia ematologica caratterizzata dalla proliferazione di un clone plasmacellulare a livello midollare e dalla conseguente abnorme secrezione di immunoglobuline patologiche.Classicamente si presenta con una pentade clinica costituita da: anemia, ipercalcemia, presenza di una componente monoclonale (CM o M) rilevabile a livello urinario o sierico, lesione ossee ed insufficienza renale.1

La malattia mielomatosa rappresenta la seconda discrasia plasmacellulare, preceduta dalla più frequente gammopatia monoclonale (MGUS) che, nella maggior parte dei casi, ne costituisce lo stadio premaligno.2

Nelle ultime due decadi si sono susseguiti numerosi studi volti alla comprensione dei meccanismi patogenetici di tale malattia ed all’introduzione di nuove ed efficaci terapie.3 Oggi

questa neoplasia non è più definibile come una singola entità nosologica: il suo pleomorfismo patogenetico, clinico e prognostico impone un attento studio dei singoli casi che può giustificare un diverso approccio terapeutico.4

Nonostante le importanti innovazioni, i meccanismi patogenetici e di progressione di malattia non sono ancora stati totalmente delineati, il Mieloma ad oggi resta incurabile e l’obiettivo terapeutico fondamentale è rappresentato dalla cronicizzazione e dal controllo dei sintomi.5

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2. EPIDEMIOLOGIA

Il Mieloma Multiplo costituisce l’1% di tutti i tumori pur rappresentando la seconda neoplasia ematologica dopo il linfoma.6 La sua incidenza negli Stati Uniti si attesta attorno ai 6.6 nuovi casi annui/100000 abitanti, ha una maggiore prevalenza tra i soggetti di razza nera e gli anziani. L’età mediana di diagnosi è circa 69 anni con un 37% di pazienti con età inferiore ai 65 anni e rari casi al di sotto dei 30 anni.7,8 In linea con i dati statunitensi l’Italia conferma un’incidenza di circa 8 nuovi casi annui/100000 abitanti ed un età mediana alla diagnosi di 68 anni.9 L’analisi statistica SEER (surveillance epidemiology and end result) fornisce una visione prospettica circa l’incidenza e la mortalità del Mieloma nel periodo 1975-2013. Questa review offre dei dati confortanti: nonostante l’incremento dell’incidenza (da 4,91/100000 abitanti a 7,5/100000) la mortalità risulta essere invariata (2,94/100000 a 3,91/100000) mentre il tasso di sopravvivenza a 5 anni è raddoppiato da 24,6% a 50,2%. 8

In Italia la mortalità per malattia mielomatosa appare in decremento con una sopravvivenza a 5 anni del 48%.9

I dati riportati presentano una forte ambivalenza poiché delineano il quadro di una malattia a prognosi infausta ma mettono in evidenza il miglioramento diagnostico-terapeutico raggiunto negli ultimi anni.

Figura 1. Tasso di sopravvivenza relativo a 5 anni dalla diagnosi. L’immagine riporta i tassi di sopravvivenza relativa a 5 anni dalla diagnosi divisi per fasce d’età. Immagine tratta da Kristinsson SY, Landgren O, Dickman PW, et al. Patterns of survival in multiple myeloma: a population-based study of patients diagnosed in Sweden from 1973 to 2003. J Clin Oncol 2007; 25:1993.

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2.1. Fattori di rischio

La rarità della neoplasia non ha permesso di delineare totalmente l’eziologia ed i suoi fattori di rischio, numerosi studi sono stati condotti su ristrette coorti di pazienti e non forniscono un dato attendibile.7

I fattori di rischio accertati sono l’età, la razza nera, il sesso maschile (come emerge dai dati epidemiologici), la presenza di una gammopatia ad incerto significato e l’anamnesi familiare positiva.7

Le gammopatie monoclonali presentano un tasso di evoluzione dell’1% annuo.10 I soggetti con

MGUS sono sottoposti ad un’iniziale stratificazione del rischio in base alla percentuale di plasmacellule (PCs) presenti nel midollo osseo, alla tipologia ed ampiezza della componente monoclonale ed al rapporto delle catene leggere libere (FLC ratio). Questa valutazione è necessaria per avviare il paziente ad un corretto follow up a cadenza annuale o biennale, nel caso di bassi rischi.11,12

Sono ancora controversi i dati riguardanti i fattori di rischio genetici ed ambientali.

Gli studi riguardanti l’associazione tra BMI (body mass index) elevato e rischio di sviluppo del Mieloma Multiplo hanno evidenziato una correlazione positiva tra i due elementi.13

La metanalisi condotta da Wallin et al. sugli studi prospettici di coorte ha confermato una stringente associazione tra l’elevato BMI ed il rischio di sviluppo di Mieloma, ipotizzando, un secondo legame, da confermare, tra l’incremento del BMI e la maggiore mortalità indotta dalla neoplasia.14

Maggiormente divergenti e poco dirimenti appaiono le analisi che riguardano il legame tra l’esposizione ad agenti inquinanti e lo sviluppo di Mieloma Multiplo.7

I recenti studi GWAS (genome-wide association) hanno identificato alcuni loci di suscettibilità per lo sviluppo di Mieloma (3p22, 7p15.3, 8q24 e 2p23.3) e la presenza di proteine target definite “paratargs”. Lo stato di iperfosforilazione di tali proteine è ereditario e molto probabilmente predisponente per lo sviluppo della malattia, costituendo una probabile motivazione della maggior incidenza di tale neoplasia fra gli afro-americani.15,16

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3. PATOGENESI

La genesi del Mieloma è strettamente correlata all’insorgenza di mutazioni geniche in un clone plasmacellulare che, accumulandosi, induce una progressione lineare dalla gammopatia monoclonale fino alla leucemia plasmacellulare.2,3,17

Lo studio delle aberrazioni citogenetiche, grazie alla tecnica FISH, e l’incremento delle conoscenze relative all’ontogenesi delle plasmacellule hanno fornito uno strumento fondamentale per la comprensione della patogenesi della malattia e per il suo trattamento.3,18

3.1 Ontogenesi delle plasmacellule

I linfociti B originano dalle cellule staminali ematopoietiche (HSCs) del midollo osseo attraverso differenti stadi maturativi.

La prima fase consiste nello sviluppo della cellula progenitrice linfoide (CLP), che deriva dalla HSC, e dalla quale si sviluppa la cellula Pro-B (CD10+ e CD19+).19

La cellula pro-B va incontro al riarrangiamento somatico della catena IgH producendo la catena µ che, unitamente alla catena leggera sotituitiva ed alle proteine Igα e Igβ, costituisce il pre-recettore espresso dallo stadio maturativo pre-B. Il passaggio dallo stadio pre-B alla formazione del linfocita B immaturo è caratterizzato dal riarrangiamento delle catene leggere delle Ig e dalla formazione di un IgM di membrana completa espressa dal linfocita B immaturo.19

Gli stadi successivi dello sviluppo della cellula B avvengono nella milza ed esitano nella formazione di un pool di linfociti naive non ricircolanti, collocati a livello della zona marginale, e di una quota di linfociti naive follicolari; entrambe le popolazioni possono differenziare in plasmacellule short-lived a seguito dell’interazione T-indipendente con un antigene esterno.20 L’ulteriore stimolazione che i linfociti T attuano sui linfociti B follicolari nella zona corticale del linfonodo favorisce la formazione del centro germinativo, sede di due fenomeni cruciali per lo sviluppo finale delle cellule B: lo switch di classe anticorpale (CSR) e l’ipermutazione somatica (SHM).

Il primo processo si realizza a livello della zona chiara del centro germinativo ed è indotto dall’interazione tra il linfocita B ed il linfocita T o tra il linfocita B e la cellula follicolare dendritica (FDC). L’ipermutazione somatica si verifica nella zona scura ed è legata all’alta frequenza di mutazioni della regione ipervariabile del gene Ig che si sviluppano nei centroblasti in rapida proliferazione.21

I meccanismi descritti costituiscono l’atto conclusivo del processo maturativo dei linfociti B e da essi scaturiscono le cellule B della memoria e le plasmacellule di tipo long-lived, entrambe collocate nel midollo osseo.

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Le plasmacellule occupano le nicchie staminali del midollo osseo grazie all’espressione del gene Aiolos, codificante per una zinc finger protein. L’ambiente della nicchia consente la sopravvivenza della plasmacellula tramite l’instaurarsi di una serie di interazioni intercellulari e la produzione di citochine ed altri fattori solubili.20

3.2 Ruolo dell’espressione genica nelle plasmacellule maligne

Le plasmacellule long-lived rappresentano la controparte fisiologica delle cellule mielomatose, pertanto la comprensione dei meccanismi di regolazione genica, che comportano la formazione ed il mantenimento di tali cellule all’interno della nicchia staminale, risulta necessaria allo studio della biologia della malattia.18

I due fattori trascrizionali contrapposti nel differenziamento dei linfociti B in plasmacellule sono PAX5 (paired box protein 5) e BLIMP-1 (B lymphocyte-induced maturation protein 1). Il primo è espresso precocemente durante il differenziamento della CLP (progenitore linfoide comune) in pro B19 e viene represso dall’espressione di BLIMP-1, fattore cruciale per la

formazione delle plasmacellule e la produzione di immunoglobuline.20

L’espressione di BLIMP-1 si realizza solo a seguito della distruzione di BCL6 (B-cell lymphoma 6 protein) da parte di IRF4 (interferon regulatory factor 4) indotto dai segnali regolatori che la cellula riceve. A sua volta BLIMP-1 inibisce PAX5 inducendo la conseguente attivazione di XBP1 (X-box binding protein 1), il cui prodotto genico è fondamentale per la risposta allo stress del reticolo endoplasmatico e quindi per la sopravvivenza plasmacellulare.22,23

Il pattern che coinvolge XBP1 risulta fondamentale nella patogenesi e nella sopravvivenza delle plasmacellule maligne costituendo il razionale di utilizzo degli inibitori del proteasoma.24 L’espressione di IRF-4 nelle plasmacellule maligne controlla un pattern di espressione genica che fonde la capacità proliferativa, conferita da c-myc e tipica delle cellule B attivate, alle principali caratteristiche delle plasmacellule. IRF-4 presiede un loop autoregolatorio facilitando la sua attivazione e, contestualmente, induce c-myc impedendo la sua inattivazione da parte di BLIMP-1. L’importanza terapeutica di questo pattern risulta chiara, nonostante permanga la necessità di indagare ulteriormente la funzionalità di questi geni all’interno dello sviluppo delle plasmacellule maligne e non. 25

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3.3 Patogenesi molecolare del Mieloma Multiplo

Il primum movens nella patogenesi del Mieloma Multiplo è costituito dalle aberrazioni cromosomiche che si realizzano durante i due processi di class switch recombination (CSR) e somatic hypermutation (SHM).26 In entrambi i fenomeni risulta cruciale il ruolo dell’enzima AID (activation induced deaminase) che produce delle lesioni a doppio filamento del DNA (DSBs) necessarie per la realizzazione dello switch e dell’ipermutazione ma al contempo causa di riarrangiamenti anomali.27

La prima mutazione acquisita rende immortale la cellula da cui ha inizio il processo patogenetico.26 Attualmente sono stati identificati quattro gruppi di mutazioni inizianti che accomunano le gammopatie monoclonali ed il Mieloma Multiplo:

1. Traslocazioni del gene IgH 2. Aneuploidia

3. Delezione del cromosoma 13

4. Disregolazione diretta o indiretta della ciclina D.28,29

Circa il 50% dei casi di MM e una percentuale lievemente minore di gammopatie è iperploide (HRD), con un numero di cromosomi compreso tra 48 e 75 (più spesso 49 o 56).28

Si suppone che questo tipo di mutazione scaturisca da un’unica mitosi catastrofica, con l’acquisizione da parte del clone cellulare mutageno di trisomie multiple dei cromsomi di numero dispari.27

La restante parte dei casi di Mieloma e MGUS presenta un cariotipo non iperploide (NHRD) con un numero di cromosomi inferiore a 48 o superiore a 75 e maggiore prevalenza di traslocazioni IgH bilanciate.29

Le traslocazioni causano il posizionamento di un oncogene sotto il controllo dell’enhancer del gene IgH e coinvolgono tre famiglie di geni:

• ciclina D (CCND1 t(11;14)(q13q32), CCND3 t(6;14)(q21q32);

• la famiglia MAF (C-MAF t(14;16)(q32;q23), MAFB t(14;20)(q32;q11)) • I geni MMSET/FGFR3 (t (4;14)(p16q32)).28-30

La disregolazione dell’espressione genica della ciclina D è stata definita come uno dei processi cruciali nello sviluppo del Mieloma Multiplo e delle gammopatie monoclonali. Le tre cicline prodotte dai geni CCND1, CCND2 (mutazione più rara) e CCND3 interagiscono con le chinasi ciclina dipendenti 4 e 6 (cdk4 e cdk6) per fosforilare il gene del retinoblastoma (RB1) e garantire la progressione del ciclo cellulare attraverso le fasi G1 e S.31

L’importanza di questo pathway genico è dimostrata anche dalla disregolazione indiretta delle cicline operata dalla traslocazione di MAF, dalla presenza di una copia aggiuntiva del

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cromosoma 11 nelle patologie HRD29e dall’inattivazione del RB1 presente nei rari casi in cui non vi sia alcuna mutazione a carico dei geni della famiglia delle cicline.32

La delezione del cromosoma 13 è una mutazione correlata sia alla patogenesi che allo sviluppo del Mieloma Multiplo tuttavia presenta una frequenza maggiore negli SMM (smoldering Multiple Myeloma) e nei MM. Il timing di comparsa della delezione è strettamente correlato alle altre mutazioni presenti, si manifesta precocemente nei cloni con t(4;14) e t(16;14) mentre funge da fattore per la progressione del Mieloma nei cloni plasmacellulari con traslocazioni associate ai geni della famiglia ciclina D.33

Numerose abberrazioni geniche intervengono nella progressione della patologia da gammopatia premaligna a Mieloma Multiplo.

Le mutazioni attivanti i geni della famiglia RAS hanno un ruolo controverso: NRAS sembra essere mutato anche in alcune gammopatie monoclonali mentre KRAS è strettamente legato alla progressione verso il mieloma multiplo.28

L’aumento dell’espressione di c-Myc correla con la progressione verso un mieloma sintomatico e risulta essere coinvolto in un loop regolatorio con IRF4.34 Analogamente i riarragiamenti secondari presenti tra c-Myc ed i loci Ig sembrano essere delle traslocazioni assenti nelle MGUS e negli SMM e, pertanto, associate a stati più aggressivi della malattia; a differenza di altre traslocazioni secondarie dei loci Ig strettamente correlate allo sviluppo della malattia sintomatica.28,29

La progressione della patologia sembra coinvolgere anche i cromosomi 1 e 17.

L’acquisizione del braccio lungo del cromosoma 1 e la perdita di 1p sono strettamente collegate, correlano con una prognosi negativa e possono essere riscontrate in qualunque fase della progressione della malattia. Allo stesso modo le mutazioni a carico di p53 e la delezione di 17p conferiscono alla patologia una prognosi sfavorevole e compaiono nelle fasi tardive di progressione, essendo correlate ad una malattia a diffusione extramidollare.32

Recenti studi hanno valutato la differente espressione dei microRNA nelle varie fasi di sviluppo della malattia35 e le mutazioni epigenetiche presenti. Il passaggio da MGUS a MM è segnato da una globale ipometilazione del DNA e dalla selettiva ipermetilazione di alcuni geni; la sovraespressione di MMSET prodatta dalla t(4;14) è responsabile di un’ipermetilazione gene-specifica necessaria allo sviluppo della malattia.27

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Figura 2. Patogenesi del Mieloma Multiplo. Il Mieloma Multiplo presenta una patogenesi a due step: il primo è rappresentato dalle anomalie genetiche alla base dell’ insorgenza delle MGUS ed il secondo è dato dall’accumulo di aberrazioni, causa della patologia conclamata. Immagine modificata e tratta da Rajkumar SV. Prevention of progression in monoclonal gammopathy of undetermined significance. Clinical cancer research: an official journal of the American Association for Cancer Research 2009; 15(18): 5606-8.

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4. PRESENTAZIONE CLINICA

I segni ed i sintomi che accompagnano la presentazione della malattia mielomatosa sono la conseguenza di un danno d’organo che si realizza a più livelli ed è principalmente causato dall’infiltrazione plasmacellulare.36

I segni/sintomi identificativi di questa neoplasia sono l’ipercalcemia, il danno renale, l’anemia, le lesioni ossee (CRAB) ed il rilievo di una componente monoclonale a livello sierico o urinario.37 Ad oggi il 97% dei mielomi presenta una componente monoclonale rilevata tramite l’elettroforesi e/o l’immunofissazione sierica o urinaria, oltre il 50% di questi casi presenta una componente M di tipo IgG, il 21% IgA, il 2% IgD, l’1% IgM ed il 16% secerne FLC.38 Tra i

primi sintomi che il paziente riferisce vi sono il dolore osseo (58%) e la stanchezza cronica (32%), causata da una concomitante anemia, spesso normocromica normocitica, riscontrata nel 73% delle nuove diagnosi.39

I livelli di emoglobina correlano con il quantitativo di cellule mielomatose in fase S: il milieau citochinico indotto dalla neoplasia, particolarmente IL-1 e TNF-α, agevola la proliferazione delle plasmacellule ma deprime l’eritropoiesi.38

Il dolore osseo è indotto dall’osteolisi associata allo squilibrio tra l’attività osteoclastica e quella osteoblastica, ma di rado anche le cellule mielomatose possono acquisire attività osteoclastica.18 L’erosione ossea è, a sua volta, causa di fratture patologiche a vario livello, schiacciamenti e scivolamenti vertebrali con compressione del midollo spinale ed insorgenza di sintomi neurologici. Nel 18% dei casi le lesioni si associano ad ipercalcemia, indotta, probabilmente, anche da altri fattori.38,39

Alla luce di tali sintomi si rende necessario lo studio dell’apparato scheletrico in tutti i pazienti affetti da Mieloma Multiplo, storicamente i raggi X rappresentavano la tecnica d’imaging d’elezione. Oggi anche la TC e la PET-TC risultano diagnostiche in presenza di una o più lesioni di dimensioni superiori a 5 mm, mentre il riscontro delle medesime lesioni tramite MRI costituisce un fattore prognostico negativo per la progressione degli smoldering mieloma.40 Il coinvolgimento renale, sempre descritto tra le lesioni d’organo più tipiche del Mieloma, comporta un danno primariamente tubulare (con conservazione della funzionalità del glomerulo) indotto dalla deposizione di catene leggere nei tubuli. Normalmente le catene leggere sono filtrate e riassorbite a livello renale, ma il loro incremento causa un mancato riassorbimento che induce la perdita di tali catene con le urine (proteinuria di Bence-Jones) e, in alcuni casi, la loro deposizione legate all’albumina ed alla glicoproteina di Tamm-Horsfall (cast nephropathy). Il deficit della funzionalità renale è spesso appannaggio del mieloma micromolecolare (di cui costituisce la sintomatologia d’esordio) o del mieloma IgD.

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Più raramente il quadro renale può essere di tipo amiloidotico, fibrotico o indurre una sindrome di Fanconi acquisita, inoltre la ridotta funzionalità renale è aggravata dall’ipercalcemia (con possibile nefrocalcinosi) e peggiora il quadro anemico. 38

Le infezioni possono infine presentarsi come uno dei primi segni di malattia o accompagnare la tossicità da chemioterapia.

La malattia mielomatosa può correlare con una diatesi di tipo emorragico o trombotico: nel primo caso vi può essere una piastrinopenia, una ridotta funzionalità di alcuni fattori della coagulazione o un’interferenza tra la proteina M e l’aggregazione fibrinica. Lo stato trombofilico è indotto da un deficit acquisito della proteina C o S.38

Quadri sintomatologici più rari sono dati da: la sindrome da iperviscosità (5-10% dei casi), che si associa ad una sintomatologia di stampo neurologico, ed il deposito di proteine patologiche mieloma-relate, come l’amiloidosi che si manifesta in un 5% dei casi e si rende responsabile di un maggior coinvolgimento sistemico.38

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5. DIAGNOSI E STADIAZIONE

L’ International Myeloma Working Group (IMWG) ha effuttuato nel 2014 una revisione dei criteri diagnostici e della definizione di Mieloma Multiplo in virtù dei recenti sviluppi terapeutici e della possibilità d’utilizzo di nuove tecniche diagnostiche.

Il Mieloma Multiplo è definito dalla presenza di un clone plasmacellulare intramidollare, che costituisce almeno il 10% della popolazione cellulare del midollo osseo, o da una biopsia che provi la presenza di un plasmacitoma osseo o extramidollare. A questo primo criterio si deve associare il riscontro di uno o più “myeloma defining events”:

1) Evidenze di danno d’organo associato alla patologia (criteri CRAB):

• Ipercalcemia (>11mg/dl o un aumento di almeno 1mg/dl rispetto al limite superiore) • Danno renale, descritto dai valori di creatininemia (>2mg/dl) e clearance della

creatinina (<40ml/min). Tuttavia, in assenza di altri criteri diagnostici, l’unica patologia strettamente associata al mieloma è la cast nephropathy.

• Anemia con Hb<10g/dl (o una riduzione superiore a 2g/dl rispetto al limite inferiore) • Lesioni ossee riscontrate tramite una radiografia, una TC o PET-TC.

2) Presenza di uno o più “malignancy biomarkers”: • Infiltrato midollare ≥60%

• Rapporto tra la catena leggere coinvolta e quella non coinvolta >100

• Presenza di due o più lesioni ossee ≥5mm, riscontrate con l’uso della risonanza magnetica.40

L’obiettivo della nuova definizione dei criteri diagnostici è quello di individuare tutte le patologie meritevoli di un trattamento, ad esempio un infiltrato plasmacellulare ≥60% impone il trattamento di pazienti asintomatici, presentanti quindi uno smoldering Mieloma.40 Viceversa, noto che il 5% delle patologie mielomatose mostra un’infiltrazione midollare inferiore al 10%, è opportuno iniziare un trattamento in presenza di sintomi.41

L’assenza di un criterio riguardante la quantificazione della componente monoclonale estende adeguatamente la diagnosi di Mieloma anche alla patologia di tipo non secernente (3% di tutte le diagnosi) e micromolecolare, in quest’ultima è possibile rilevare solo la presenza di catene leggere libere (FLC).41,42

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5.1 Work up diagnostico e diagnosi differenziale

Il work up diagnostico richiede la raccolta dei dati anamnestici, l’esame obiettivo, gli esami ematochimici, l’imaging strumentale, la biopsia e l’aspirato midollare.43

Gli esami ematochimici comprendono: l’emocromo con formula, la valutazione della funzionalità renale attraverso la creatininemia e la clearance della creatinina, la calcemia, l’elettroforesi proteica e l’immunofissazione sia sierica che urinaria, il dosaggio delle singole classi di immunoglobuline, dell’albumina, della beta-2-microglobulina, di PCR, VES e LDH, delle catene leggere libere su siero, delle catene leggere urinarie ed il calcolo del FLC ratio (il rapporto tra le catene leggere libere). Questo primo gruppo di esami permette di valutare la presenza di alcune tra le caratteristiche fondamentali della neoplasia e fornisce elementi per la successiva stadiazione.44

Le indagini midollari sono necessarie ad ottenere la dimostrazione del primo criterio diagnostico: la presenza di un infiltrato di plasmacellule clonali superiore al 10%. La clonalità può essere provata grazie allo studio citofluorimetrico dell’immunofenotipo o all’utilizzo dell’immunoistochimica o dell’immunofluorescenza per rilevare la restrizione della catena leggera.40

Al contempo l’aspirato midollare è utile per la valutazione delle anomalie cromosomiche che consentono la stratificazione del rischio. È opportuno, quindi, effettuare una FISH utilizzando delle sonde che rilevino la presenza di trisomie, traslocazioni a carico dei geni IgH e c-Myc ed aberrazioni dei cromosomi 1, 13, 17.45

Gli approfondimenti diagnostici rendono possibile la diagnosi differenziale rispetto alle gammopatie monoclonali d’accompagnamento (associate ad altre neoplasie, patologie reumatologiche, infezioni da HCV) od isolate.

Il riscontro di una lesione extramidollare (ossea o tissutale), con infiltrato plasmacellulare clonale biopticamente attestato ed assenza di coinvolgimento midollare e dei criteri citati, è compatibile con una diagnosi di plasmacitoma solitario e non di Mieloma Multiplo.40

5.2 Stadiazione e prognosi

La prima stadiazione nell’ambito degli studi sul Mieloma Multiplo venne proposta nel 1975 da Durie e Salmon. Tale sistema classificativo è basato sui livelli di calcio, emoglobina, proteina M, creatininemia e sul numero di lesioni ossee radiologicamente determinate (segni CRAB) e prevede la suddivisione della patologia in tre stadi:

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• Stadio I:

o Hb> 10g/dL

o Calcemia<12mg/dL, nel range di normalità o Assenza di lesioni ossee

o Bassa produzione di componente M con IgG<5g/dL; IgA<3g/dL; proteinuria di Bence-Jones (causata dalle catene leggere filtrate a livello renale)<4g/die

• Stadio II: caratteristiche intermedie tra stadio I e III • Stadio III:

o Hb< 8.5g/dL

o Calcemia>12mg/dL

o Presenza di multiple lesioni litiche

o Elevata produzione di componente M con IgG>7g/dL; IgA>5g/dL; proteinuria

di Bence-Jones>12g/die. Ogni stadio è ulteriormente suddiviso in A e B in base alla creatininemia (A con Cr<2mg/dL e

B con Cr>2mg/dL).

La classificazione associa ad ogni stadio una massa cellulare neoplastica di differente entità: • Stadio I=> <0,5x1012 cellule/m2

• Stadio II=> 0,5-1,2x1012 cellule/m2

• Stadio III=> >1,2x1012 cellule/m2. 37

La stadiazione Durie-Salmon plus è una rielaborazione della precedente, è stata proposta nel 2003 e risulta di scarso uso clinico. Presenta il vantaggio di ripartire la patologia in tre stadi clinici sulla base delle lesioni ossee rilevate alla PET o al MRI, conservando l’ulteriore suddivisione in stadio A o B determinata dalla creatininemia.46

Un secondo metodo stadiativo è l’International Staging System (ISS) che individua tre stadi patologici sulla base del dosaggio di beta-2-microglobulina sierica ed albumina:

• Stadio I: beta-2-microglobulina <3,5mg/L e albumina>3,5 g/dL

• Stadio II: caratteristiche intermedie tra lo stadio I e III e suddiviso in due categorie. La prima con beta-2-microglobulina <3,5mg/L ma albumina<3,5 g/dL; la seconda con beta-2-microglobulina compresa tra 3,5 e 5,5 mg/L.

• Stadio III: beta-2-microglobulina >5,5mg/L e albumina>35 g/L

Il razionale di utilizzo dell’ISS risiede nella correlazione tra la beta-2-microglobulina, la massa tumorale, la funzionalità renale ed altri fattori non ancora ben precisati. L’albumina prodotta a

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livello epatico, invece, riflette gli effetti dell’IL-6 (interleuchina 6), prodotta dal microambiente, su questo organo.

La stadiazione ISS sembra fornire un preciso strumento prognostico: ad ogni stadio corrisponde una sopravvivenza media di 62, 45 e 29 mesi.47

Le recenti scoperte in ambito patogenetico e l’ampliamento delle possibilità terapeutiche impongono una sempre più precisa suddivisione dei pazienti in specifici sottogruppi, che possano giovarsi di terapie personalizzate. In virtù di queste motivazioni la stadiazione ISS ha subito una revisione nel 2015.

Il revised ISS (R-ISS) è un algoritmo prognostico che convoglia tre elementi: • La stadiazione ISS

• Il quantitativo di LDH, il cui incremento oltre il range dei valori normali correla con una malattia più aggressiva ed a proliferazione maggiore.4

• Le anomalie genetiche, che delineano tre classi di rischio: ▪ Standard risk: presenza di trisomie, t(11;14), t(6;14) ▪ Intermediate risk: t(4;14), gain(1q21)

▪ High risk: del(17p), t(14;16), t(14;20), del(1p).45

L’impatto di ogni fattore è stato valutato dapprima singolarmente, quindi associato agli altri parametri per proporre il R-ISS definitivo composto da tre stadi patologici con diversa prognosi: • Stadio I: stadio I ISS, anomalie cromosomiche a rischio standard, valori normali di

LDH.

• Stadio II: caratteristiche intermedie tra lo stadio I e III.

• Stadio III: stadio III ISS, anomalie cromosomiche ad alto rischio, valori alti di LDH. Rispettivamente i tre stadi si associano ad un tasso di overall survival (OS) a 5 anni di 82%, 62% e 40%.4

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Figura 3. Median overall survival (median OS) dei pazienti affetti da Mieloma Multiplo stadiati secondo il R-ISS (revised International Staging System)4. La median OS si dimostra NR (not reached) per lo stadio I: oltre

la metà dei pazienti erano vivi al termine del follow-up di 5 anni non consentendo di calcolare la mediana di sopravvivenza. Lo stadio II presenta una mediana di sopravvivenza di 83 mesi, mentre si riduce a 43 mesi per lo stadio III.

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6. TERAPIA

Nelle ultime decadi il trattamento del Mieloma Multiplo ha subito delle importanti trasformazioni che, pur non curando la malattia, hanno permesso di ottenere delle risposte migliori prolungando la sopravvivenza globale.

I progressi osservati sono in gran parte dovuti: all’introduzione, in aggiunta alla chemioterapia di prima generazione, del trapianto autologo di cellule staminali (ASCT) avvenuto nei primi anni ‘90, al più recente utilizzo di nuove classi di farmaci in primis gli immunomodulatori (IMiDs), come talidomide e lenalidomide, e gli inibitori del proteasoma, quali bortezomib e carfilzomib, con la prospettiva di migliorare ancora l’outcome grazie all’utilizzo dei nuovi anticorpi monoclonali. 5,48

6.1 Razionale d’utilizzo dei nuovi farmaci

La talidomide è stata la prima tra le nuove molecole ad essere approvata per il trattamento del Mieloma Multiplo.49

Le motivazioni dell’iniziale somministrazione empirica di questo farmaco risiedono nella sua attività anti-angiogenetica.50 Tuttavia l’attività della talidomide appare estremamente pleiotropica nell’ambito della malattia mielomatosa: induce il pathway apoptotico caspasi-8 dipendente, inibisce la trascrizione di fattori antiapoptotici, tramite il blocco trascrizionale imposto su NF-κB, ed implementa il killing plasmacellulare da parte dei linfociti NK.51

Gli ottimi risultati ottenuti nei trattamenti con talidomide sono stati uno stimolo per la ricerca di altri immunomodulatori quali lenalidomide, di seconda generazione, e pomalidomide (terza generazione).49

L’introduzione del bortezomib come primo inibitore del proteasoma è stata immediatamente successiva alla talidomide. Questa molecola inibisce reversibilmente il proteasoma, legandosi ad una subunità appartenente al core catalitico del medesimo, così da esporre le cellule mielomatose all’ER (endoplasmic reticulum) stress ed indurre l’attivazione di processi apoptotici.52 L’ingente produzione di immunoglobuline rende le plasmacellule maligne più sensibili all’azione del farmaco.53

Il bortezomib ha un’azione inibitoria sul pathway deputato all’ UPR (unfolded protein response)54 ed attiva un signaling proapoptotico con attività sinergica all’azione degli IMiDs.48

Recenti studi hanno dimostrato il ruolo del bortezomib sul microambiente della nicchia staminale.

L’inibitore del proteasoma riduce l’osteoclastogenesi grazie al blocco imposto sui pathways che la promuovono e stimola, in vitro, la differenziazione in senso osteogenico delle cellule

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mesenchimali stromali (MSCs).55 Inoltre, inibisce direttamente l’angiogenesi mediata dalle MSCs e riduce la produzione di fattori di crescita (quali VEGF) necessari al processo angiogenico ed alla proliferazione tumorale.56 Questi meccanismi incrementano il potenziale terapeutico del farmaco nei confronti della neoplasia e delle sue complicanze.

Le nuove molecole appartenenti alla classe degli inibitori del proteasoma sono il carfilzomib, l’ixozamib, l’oprozomib e il marizomib.49

Il carfilzomib è un inibitore irreversibile del proteasoma approvato dall’EMA per il trattamento delle recidive in pazienti che abbiano ricevuto almeno un trattamento; l’ixozamib è il primo inibitore orale approvato solo dal FDA.57

Le due classi di farmaci di più recente comparsa nello scenario terapeutico del Mieloma Multiplo sono gli anticorpi monoclonali (mAbs) e gli inibitori dell’istone deacetilasi (HDACis). Alla classe dei mAbs appartengono: l’elotuzumab diretto contro SLAMF7 (signaling lymphocytic activation molecule 7) , glicoproteina presente sulle cellule mielomatose e sui linfociti NK, capace di indurre il killing selettivo delle cellule appartenenti al clone neoplastico,57 e il daratumumab, anti-CD38, marca le cellule mielomatose ed ha azione proapoptotica.49

Le due molecole oggetto di studio della famiglia degli HDACis sono il panobinostat ed il vorinostat.57

6.2 Regimi terapeutici di prima linea

La terapia di prima linea ad oggi, pur contemplando l’utilizzo dei moderni farmaci, si diversifica a seconda che il paziente sia o meno candidabile alla procedura auto-trapiantologica. I parametri che condizionano l’elegibilità al trapianto sono la presenza di gravi comorbodità ed il performance status, attualmente l’età (sopra i 65 anni) non rappresenta un limite assoluto.58 Generalmente i pazienti candidabili a trapianto ricevono quattro cicli di terapia di induzione prima di essere sottoposti alla raccolta delle cellule staminali autologhe CD34+ e dunque alla reinfusione in regime di ricovero, dopo preparazione con chemioterapia di condizionamento.59 La scelta della terapia di induzione più idonea deriva dall’analisi del rischio prognostico di ciascun paziente; normalmente è composta da tre farmaci in quanto numerosi trial clinici hanno dimostrato la superiorità di questo tipo di polichemioterapia rispetto alla doppia associazione.48

Lo schema terapeutico maggiormente utilizzato in Europa prevede, appunto, un’associazione di tre farmaci includente bortezomib e steroide con in associazione thalidomide o ciclofosfamide:

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• VTD (bortezomib, thalidomide e desametasone) o VCD (bortezomib, ciclofosfamide e desametasone)

• La procedura trapiantologica segue la terapia di induzione.44

Il regime di condizionamento al trapianto prevede la somministrazione di melphalan alla dose standard (200mg/m2)58 o in dosi ridotte (100mg/m2) in pazienti con comorbidità o di età supeiore ai 65 anni.60,61

I pazienti non candidabili a trapianto autologo, se sufficientemente “fit”, sono comunque sottoposti ad una terapia con 2 o 3 farmaci che comprende la lenalidomide o il bortezomib come:

• Rd, (lenalidomide e desametasone) fino a progressione di malattia per i pazienti con rischio standard. Alcuni studi hanno dimostrato la superiorità di questo regime alle polichemioterapie comprendenti il melphalan.44

• VMP, bortezomib melphalan prednisone. Un recente studio ha dimostrato la superiorità di questo protocollo allo schema Rd offrendo, inoltre, la possibilità di somministrare gli IMiDs in caso di progressione di malattia.62

Gli studi riguardanti la terapia di mantenimento appaiono ancora eterogenei anche se il ruolo positivo del mantenimento nel migliorare il tempo libero da malattia appare ormai dimostrato.63

La lenalidomide sembra essere il farmaco di scelta per i pazienti a rischio standard, trapiantati che non hanno ottenuto una complete response (CR) o una very good partial response (VGPR) dopo il trapianto.44 Purtroppo non è stata dimostrata l’efficacia di questo farmaco in soggetti

con rischio intermedio o alto (sottoposti o meno a trapianto); in tal caso i regimi di mantenimento prevedono l’uso di polichemioterapie che includano bortezomib o carfilzomib.44,63

6.3 Terapia delle recidive

Il mieloma multiplo è una patologia caratterizzata dal susseguirsi di recidive e remissioni, ciascuna delle quali ha una durata inferiore alla precedente.44

Il trattamento delle recidive è complesso, nell’epoca dei nuovi farmaci numerose sono le possibilità terapeutiche a disposizione ed il loro uso è associato alle specifiche caratteristiche del paziente e della malattia.57

Dal punto di vista trapiantologico, un secondo trapianto di cellule staminali autologhe è un’opzione valida per i soggetti ancora candidabili che presentino una recidiva a distanza di almeno 18 mesi dal precedente trapianto.44,57 Il trapianto allogenico, per le potenziali

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complicanze, con rischio di mortalità non trascurabile, rappresenta un’opzione da considerare solo nei pazienti con malattia ad alto rischio e possibilmente inseriti in studi prospettici randomizzati.58

Anche le terapie farmacologiche proposte per il trattamento delle ricadute si basano sull’associazione dei nuove agenti terapeutici.

Oltre a poter riproporre gli schemi usati in induzione, in particolare a base di bortezomib in pazienti che abbiano ottenuto una lunga remissione, un regime ritenuto standard per la seconda linea è l’associazione di lenalidomide e desametasone (Rd), la sua efficacia è stata già dimostrata ed ad oggi numerosi studi stanno vagliando la possibilità di associare un terzo farmaco alla combinazione per implementarne l’outcome. A disposizione invece come terza linea di trattamento vi è la pomalidomide (sempre appartenente agli immunomodulanti). Altri farmaci di più recente approvazione e commercializzazione sono il carfilzomib (appartenente agli inibitori del proteasoma) e gli anticorpi monoclonali come elotuzumab e daratumumab. Tutti questi farmaci di nuovissima generazione sono più spesso somministrati in associazione a lenalidomide. Numerosi sono, infine, gli studi prospettici sperimentali che prevedono nuove combinazioni di farmaci già in commercio o lo sviluppo di nuove molecole, evoluzioni di quelle a disposizione oggi.57

6.4 Terapia di supporto

I pazienti affetti da Mieloma Multiplo richiedono delle terapie di supporto atte a fronteggiare le complicanze della patologia neoplastica.

L’85% dei pazienti sviluppa un danno osseo che necessita di un trattamento con bifosfonati per garantire al soggetto una migliore qualità di vita. L’uso della radioterapia a basse dosi (10-30Gy) è legato al trattamento di lesioni con imminente rischio di rottura, di compressione midollare o a lesioni che si manifestano con dolore osseo incoercibile.

Il trattamento dell’ipercalcemia associato all’osteolisi si giova dell’utilizzo dei bifosfonati e richiede in acuto un’importante idratazione, che contrasti la poliuria, e l’utilizzo di diuretici dell’ansa.

I pazienti anemici richiedono una terapia con eritropoietina o terapia di supporto trasfusionale con emazie.64

I pazienti sottoposti a regimi terapeutici ad alte dosi devono ricevere una profilassi antifungina ed antibiotica, mentre i trattamenti con bortezomib sono associati alla somministrazione di acyclovir per prevenire le riattivazioni herpetiche.44

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7. Risposta alla terapia

I criteri di risposta alla terapia sono stati recentemente aggiornati dall’IMWG (International Myeloma Working Group) con l’inclusione della definizione di malattia minima residua (MRD). La necessità di avere dei criteri che stabiliscano la presenza di malattia nel midollo deriva dall’importante frequenza di recidive anche in pazienti che hanno raggiunto una risposta completa.65

Le quattro categorie di MRD delineate sono:64,65 • Sustained-MRD:

o assenza di MRD a livello midollare dimostrata con le tecniche di NGF (next generation flow) e/o NGS (next generation sequencing);

o assenza di MRD all’imaging, quindi scomparsa delle aree di captazione patologica alla PET/TC o SUV inferiore a quello dei tessuti circostanti o del pool di sangue mediastinico.

I due criteri devono essere confermati e verificati per almeno un anno.

• Flow-MRD negative: assenza di un clone fenotipicamente aberrante a livello midollare rilevato con NGF.

• Sequencing-MRD negative: assenza di un clone plasmacellulare rilevato tramite NSG • Imaging plus MRD-negative: assenza di MRD a livello midollare dimostrata con le

tecniche di NGF o NSG; assenza di MRD all’imaging (valutata come descritto in precedenza).

Le altre classi di risposta alla terapia sono:

➢ Stringent complete response (sCR): criteri di risposta completa, FLC ratio normale, assenza di clonalità cellulare a livello midollare (dimostrata con immunoistochimica). ➢ Complete response (CR): immunofissazione sierica ed urinaria negativa, scomparsa di

ogni plasmacitoma, <5% di infiltrato plasmacellulare midollare.

➢ Very good partial response (VGPR): immunofissazione sierica ed urinaria positiva ma assenza della componente monoclonale in elettroforesi o riduzione del picco M>90% e livelli di proteina M urinari <100mg/24h.

➢ Partial response (PR):

o Riduzione del 50% della proteina M sierica e livelli urinari inferiori a 200mg/24h o riduzione degli stessi di almeno il 90% oppure

o Riduzione di almeno il 50% nella differenza quantitativa tra la catena leggera coinvolta e la non-coinvolta oppure

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o Riduzione di almeno il 50% dell’infiltrato midollare plasmacellulare (con un infiltrato di base ≥30%) e riduzione del volume dei plasmacitomi (se presenti) di almeno il 50%.

o Minimal response: riduzione del picco M sierico compreso tra il 25-49%, riduzione del dosaggio giornaliero della proteina M urinaria compreso tra 50-89%, riduzione del volume dei plasmacitomi (se presenti) di almeno il 50%. ➢ Stable disease: non valuta propriamente la risposta alla terapia ma è definita dall’assenza

dei criteri descritti in precedenza.

➢ Progressive disease: aumento del 25% di

o Proteina M sierica (aumento assoluto ≥0.5g/dL) o Proteina M urinaria (aumento assoluto ≥200mg/24h)

o Differenza tra la catena coinvolta e non coinvolta (aumento assoluto>10mg/dL) o Infiltrato midollare plasmacellulare (aumento assoluto ≥10%).

o Comparsa di nuove lesioni o aumento del ≥50% delle precedenti. o Aumento del numero di plasmacellule circolanti ≥50% 64

I criteri di risposta al trattamento sono fondamentali per stabilire le chances terapeutiche del paziente: è stato dimostrato che l’assenza di MRD (attualmente non sempre valutata) al momento del trapianto si associa ad un outcome migliore,44 così come il raggiungimento di una VGPR o CR dopo la terapia di induzione.64

Gli esami effettuati durante il follow-up di pazienti trattati consentono di definire la presenza di un’eventuale recidiva di malattia sulla base del tipo di risposta ottenuto.64

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CAPITOLO 2: LA NICCHIA STAMINALE EMOPOIETICA 1. ANATOMIA E LOCALIZZAZIONE DELLA NICCHIA

La nicchia staminale emopoietica del midollo osseo è un’unità morfo-funzionale tridimensionale composta da varie tipologie cellulari strettamente interconnesse e gerarchicamente organizzate. La cellula staminale ematopoietica (HSCs, hematopoietic stem cells) rappresenta l’apice di questa struttura gerarchica.66

Stabilire la collocazione anatomica della nicchia nel midollo osseo è estremamente complesso. Recenti studi hanno evidenziato la presenza delle HSCs a livello endostale e perivascolare, portando alla descrizione di “due nicchie” con specifiche peculiarità funzionali, ma strettamente interconnesse.67

La nicchia endostale, collocata all’interfaccia tra la superficie ossea ed il midollo, rappresenta un microambiente ricco di HSCs quiescenti, osteomacs (bone-marrow-resident macrophages CD68+) osteoblasti, osteoclasti ed adipociti.68

L’endostio presenta un’ampia rete di vasi arteriolari e sinusoidali attorno ai quali si dispongono le HSCs definendo la nicchia perivascolare. Alla formazione di questa nicchia contribuiscono numerosi elementi: cellule endoteliali, cellule mesenchimali stromali (MSCs) e fibre appartenenti al sistema nervoso simpatico.

La nicchia, complessivamente considerata, è una struttura dinamica la cui composizione varia in virtù delle condizioni fisiologiche dell’organismo e regola l’auto-rinnovamento, la differenziazione e la quiescenza delle HSCs.66,69

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2. FISIOLOGIA DELLA NICCHIA STAMINALE: REGOLAZIONE DELLE HSCs

I primi a descrivere le cellule staminale emopoietiche furono Till e McCulloch i quali sottolinearono le due caratteristiche fondamentali di queste cellule: l’autorinnovamento (self-renewal) e la multipotenzialità, ovvero la capacità di differenziare in tutte le cellule del sangue.70 Da allora numerosi studi si sono incentrati sul microambiente della nicchia, le interazioni in esso presenti ed il loro impatto sulla regolazione delle HSCs.

2.1 Proliferazione e differenziamento delle HSCs

Le HSCs in fase proliferativa sono collocate a livello perisinusoidale e, in base al tipo di segnali che ricevono, possono andare incontro a differenziamento o continuare a proliferare.71 Queste cellule possono effettuare uno switch dallo stato quiescente verso uno stato proliferativo al fine di garantire un’adeguata emopoiesi laddove necessario.

Due vie di signaling sono fortemente correlate all’attivazione delle HSCs: la via di Notch e la via di Wnt/βcatenina. La prima è attivata dalle cellule endoteliali che esprimono la proteina Jagged-1, mentre la seconda è attivata in condizioni di stress.72

La via di Notch sembra avere una funzione molto più ampia e variegata. Le cellule endoteliali, infatti, esprimono i due ligandi Jagged-1 e Jagged-2 che interagiscono con i recettori Notch-1 e Notch-2 presenti sulla superficie delle HSCs. In particolare, Notch-1 è espresso dai progenitori megacariocitici e linfoidi T-committed e Notch 2 è tipico dei progenitori eritroidi. Il legame Jagged1-Notch induce la proliferazione delle LT-HSC (HSC a emivita più lunga) e quindi il self-renewal, mentre Jagged-2 è coinvolto nell’ espansione delle ST-HSC (HSC a emivita più breve) e nei processi differenziativi. Alla differenziazione dei precursori dei linfociti T concorre un altro ligando di Notch (Dll4) espresso dagli eritroblasti.73

Un altro ruolo cruciale nella regolazione delle HSCs è rivestito dai megacariociti, collocati in posizione perisinusoidale, che producono FGF (fibroblast growth factor) favorendo la proliferazione cellulare a seguito di chemioterapie mieloablative.66 In realtà queste cellule rispondono alle necessità dell’organismo operando un adeguato bilanciamento tra la produzione di fattori necessari allo stato di quiescenza e molecole proliferative, in condizioni di stress.72 Le cellule MSCs sono fondamentali per la formazione della nicchia ed inviano dei segnali differenti alle HSCs: alcune di queste cellule producono SCF (stem cell factor) e CXCL12 (o SDF-1 stem cell derived factor 1) per il mantenimento delle HSCs nel midollo, mentre le cellule mesenchimali stromali periarteriolari regolano lo stato di quiescenza delle cellule staminali emopoietiche.72

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Alcune cellule stromali sembrano coinvolte anche nella differenziazione terminale delle HSCs. I diversi meccanismi molecolari descritti coordinano la proliferazione ed il differenziamento delle HSCs garantendo la permanenza e la funzionalità di queste cellule nel midollo osseo. Ovviamente il bilanciamento di questi processi risente delle condizioni fisiologiche o patologiche dell’organismo.73

2.2 Mantenimento dello stato di quiescenza delle HSCs

Le HSCs quiescenti sono collocate a livello periarteriolare nella nicchia endostale. Allo stato di quiescenza concorrono numerosi elementi: gli osteoblasti, l’ambiente ipossico peri-arteriolare e le cellule di Schwann.71

Gli osteoblasti producono alcuni fattori molecolari come l’osteopontina, l’angiopoietina e la trombopoietina capaci di mantenere lo stato di quiescenza delle HSCs71; inoltre la

sottopopolazione spindle-shaped N-caderina+ (SNO+) svolge un’azione di supporto nei confronti delle HSCs grazie all’adesione diretta. Il ruolo di questo legame appare estremamente controverso.74

Un ulteriore fattore che contribuisce alla quiescenza delle HSC è l’ipossia. L’ipossia sembrerebbe essere associata ad un minor rilascio di ossigeno legato al maggior spessore della parete arteriolare rispetto a quella sinusoidale.71

Le HSCs quiescenti esprimono HIF-1α (Hypoxia-inducible factor 1-alpha) che induce un pathway genico necessario al passaggio da un metabolismo ossidativo ad uno di tipo glicolitico, così da rendere le cellule più resistenti all’ipossia e bloccarne la differenziazione.68

Le fibre del sistema nervoso simpatico che si trovano a livello arteriolare presentano una duplice funzione: le cellule di Schwann producono il TGF-β (transforming growth factor) che coopera al mantenimento dello stato di quiescenza, mentre l’attivazione del recettore adrenergico β3,

delle cellule stromali, sopprime l’espressione della chemochina CXCL12, favorendo la mobilizzazione delle HSCs.66

2.3 Homing e migrazione delle HSCs

I processi di homing e migrazione delle cellule staminali si realizzano nella nicchia vascolare e coinvolgono i sinusoidi, a causa del loro endotelio fenestrato e dell’espressione di alcuni fattori d’adesione come VCAM1, E-selectina e CXCL12.71,75

L’homing delle HSCs avviene nelle fasi finali dello sviluppo embrionale, a seguito della migrazione delle HSCs dal fegato fetale al midollo,71 e nel soggetto adulto sottoposto a

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La prima fase del processo prevede un rallentamento delle cellule staminali trasportate dal torrente ematico (rolling) mediante le interazioni con le cellule endoteliali; successivamente si formano dei legami più stabili. I fattori che mediano questa adesione sono la PSGL-1 (P-selectin glycoprotein ligand 1), CD44 e l’integrina α4β7/ VLA-4 (very late antigen 4) espressi dalle

cellule staminali che legano P-selectina, E-selectina e V-CAM1 (vascular cell adhesion molecule 1) sul versante endoteliale; le selectine sembrano essere coinvolte nei primi legami provvisori.76

Il CXCL12 svolge un ruolo fondamentale nel processo di homing. È espresso dalle cellule endoteliali, dalle stromali perivascolari e dalle CAR (CXCL12-abundant reticular cells) e lega il CXCR4 (chemokine receptor type 4) espresso dalle HSCs; una sua riduzione induce la migrazione delle cellule staminali emopoietiche.66

Molteplici stimoli mediano la migrazione delle HSCs, probabilmente indotta dalla rottura dei legami che ancorano le cellule staminali al microambiente.

La stimolazione β-adrenergica e l’attivazione della via di signaling TLR (toll-like receptor) inducono una riduzione dell’espressione di CXCL12, facilitando la migrazione delle cellule staminali e progenitrici emopoietiche in condizioni di stress.66 Inoltre l’attivazione del sistema nervoso simpatico è guidata dal nucleo ipotalamico sovrachiasmatico, pertanto la migrazione cellulare è soggetta ai ritmi circadiani.77

Il trafficking e la maturazione cellulare all’interno della nicchia sono sottoposti anche a controllo ormonale da parte del PTH (paratormone) e dell’estradiolo. In particolare il PTH svolge un’azione di supporto indiretto mediata dall’effetto stimolatorio sugli osteoblasti ed osteoclasti.

Il G-CSF (granulocyte colony stimulating factor), fattore di crescita molto utilizzato come terapia mobilizzante in ambito trapiantologico, è uno degli elementi che maggiormente concorre alla mobilizzazione delle cellule staminali grazie alla soppressione dell’espressione di CXCL12 da parte delle cellule mesenchimali, endoteliali e CAR.66

L’azione del G-CSF media innumerevoli variazioni nell’ambito della nicchia emopoietica: aumento numerico delle cellule della linea mieloide e degli osteoclasti associato ad una riduzione degli osteoblasti, degli osteociti e delle cellule mesenchimali; l’effetto sulle cellule del lineage osseo sembra essere promosso dalla stimolazione adrenergica. Inoltre, gli osteoclasti ed i neutrofili producono enzimi capaci di degradare la matrice extracellulare ed i legami che favoriscono il mantenimento delle HSCs a livello della nicchia, tuttavia appare poco chiaro il reale ruolo delle proteasi prodotte dai neutrofili. 78

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Figura 4. Nicchia staminale emopoietica. L’immagine illustra i rapporti intercorrenti tra le cellule della nicchia staminale e la cellula staminale emopoietica, necessari ai processi di homing proliferazione e differenziamento delle HSCs (alcune di queste relazioni sono state analizzate nel testo). Immagine tratta da: Colin A Sieff, Overview of hematopoietic stem cells in: UpToDate, Post TW (Ed), UpToDate, Waltham, MA.

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3. LE CELLULE STROMALI MESENCHIMALI (MSCs)

Attualmente la descrizione della nicchia staminale emopoietica non può prescindere dall’analisi del ruolo delle cellule stromali mesenchimali.

Questa popolazione cellulare venne studiata per la prima volta nel 1970 da Friendenstein che individuò delle cellule dall’aspetto simil-fibroblastico (fusiformi) nel midollo osseo.79 Negli anni ‘90 Caplan sottolineò il grande potenziale differenziativo di queste cellule, definendole “mesenchymal stem cells” ed offrendo linfa vitale agli studi nel settore ed al futuro interesse della medicina rigenerativa per queste cellule.80

Infatti, successivi studi hanno condotto all’isolamento delle MSCs anche da altri tessuti quali la placenta, il cordone ombelicale ed il tessuto adiposo. Tuttavia la definizione di queste cellule rimaneva estremamente eterogenea, producendo un’importante discrepanza tra le caratteristiche biologiche cellulari e la loro nomenclatura.79

Recentemente l’International Society for cellular Therapy (ISCT) ha cercato di uniformare la descrizione delle cellule stromali mesenchimali proponendo l’uso del nome “multipotent mesenchymal stromal cells” e chiedendo ai singoli autori di specificare le caratteristiche della popolazione in studio e definita con l’acronimo MSCs.81

Le carattersitiche fondamentali delle MSCs sono:

1. l’aspetto morfologico simil-fibroblastico “spindle-shaped”; (fig.5)

2. l’adesività alla plastica in coltura su terreno minimo supplementato al 20% con siero bovino fetale;82

3. la capacità di differenziare in osteoblasti, condroblasti ed adipociti;

4. l’espressione degli antigeni di superificie CD105 (endoglina), CD73, CD90 (o Thy-1) in almeno il 95% della popolazione cellulare e la negatività per i marcatori HLA-DR, CD79α e CD19 (marcatori dei linfociti B), CD45 (marcatore pan-leucocitario), CD34 (marcatore comune delle cellule endoteliali e delle progenitrici emopoietiche), CD14 e CD11b (espressi da monociti e macrofagi). Gli antigeni normalmente inespressi possono essere positivi in meno del 2% delle cellule. 83

Nel midollo osseo le MSCs occupano una posizione perisinusoidale e si trovano in stretto rapporto con le HSCs le quali presentano dei meccanismi di regolazione reciproca, ad esempio la differenziazione in senso osteogenico delle MSCs concorre allo stato di quiescenza delle cellule staminali emopoietiche.

Le due popolazioni sembrano rispondere ai medesimi stimoli ambientali, particolarmente all’ipossia ed all’attivazione del sistema nervoso simpatico. Infatti le MSCs esprimono il gene HIF-1α che ne garantisce la resistenza all’ipossia, l’attivazione di un pattern metabolico

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glicolitico e la differenziazione osteoblastica. Al contempo anche la stimolazione adrenergica è necessaria per la formazione degli osteoblasti ed il rimodellamento osseo.68

Figura 5. Confronto tra MSCs e MPCs: l’immagine permette un rapido confronto tra le MSCs con morfologia fusiforme (“spindle-shaped”) e le MPCs (descritte in seguito) con forma rotondeggiante, “a uovo fritto” (“fried egg-like shape”).84

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4. MESANGIOGENIC PROGENITOR CELLS (MPCs)

Gli studi condotti nell’ambito della medicina rigenerativa hanno portato all’isolamento di una nuova popolazione cellulare di progenitori mesangiogenici grazie all’utilizzo di specifiche condizioni sperimentali. La crescita e l’espansione di cellule isolate dal midollo osseo è stata effettuata in terreni arricchiti con siero autologo umano o pool di sieri umani AB (hAS o PhABs), al fine di ridurre il rischio di trasmissione di malattie infettive e di reazioni immunologiche, derivante dall’utilizzo di cellule isolate tramite altre metodiche di coltura.85,86 Le cellule così ottenute sono state definite mesodermal progenitor cells (MPCs) in riferimento alla loro capacità di differenziare in cellule mesenchimali ed endoteliali, in specifiche condizioni di coltura. Inoltre questa nuova popolazione dimostrava una maggiore capacità adesiva al materiale idrofobo che le rende tripsina-resistenti permettendo il distacco, delle cellule adese, solo grazie all’uso del TrypLE Select.85

Morfologicamente le cellule MPCs si presentano ampie e rotondeggianti, se osservate al microscopio a contrasto di fase mostrano un aspetto definito “a uovo fritto”, hanno un diametro di 30-50μm e sono dotate di un core centrale ad alta rifrangenza circondato da una regione periferica sfrangiata. Il microscopio elettronico a scansione permette una maggiore definizione di queste cellule: sono convesse con un’area centrale spessa e lamellipodi periferici.

L’analisi citofluorimetrica ha permesso la caratterizzazione dell’immunofenotipo delle MPCs dimostrando l’espressione di CD105dim e di SSEA-4 (stage-specific embryonic antigen 4), ma

non di CD90 e MSCA-1 (mesenchymal stem cell antigen 1, o TNAP fosfatasi alcalina non tessuto specifica) due marcatori tipicamente espressi dalle cellule mesenchimali stromali.84,85 Le cellule progenitrici risultano, inoltre, positive per CD11a (integrina αL), CD11b (integrina

αM), CD11c (integrina αX) e CD18 (integrina β2). Questo specifico pattern integrinico è espresso

sulle strutture podosoma-like (ricche di actina e circondate da molecole di adesione) e si rende responsabile della maggiore capacità adesiva in vitro ed all’endotelio attivato e non.87

L’immunofluorescenza permette di rilevare un altro elemento che contraddistingue le MSCs e le MPCs: si tratta dell’elevata presenza dei filamenti di Nestina che si dimostrano ben organizzati nelle cellule progenitrci.84

Le MPCs presentano un’elevata attività dell’aldeide deidrogenasi (ALDH) che viene persa a seguito del differenziamento in MSCs.85 Queste cellule esprimono, inoltre, numerosi marker

embrionali:

• SSEA-4, rilevato sia in citofluorimetria che in immunofluorescenza, risulta espresso anche da una sottopopolazione di cellule staminali mesenchimali adulte.84 In realtà è un marker che permette di delineare il differenziamento mesenchimale delle cellule: la sua

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espressione si riduce progressivamente fino a scomparire totalmente nelle “late MSCs”.88

• Nanog, rilevato tramite RT-PCR (real time PCR). Sembra essere necessario al mantenimento delle capacità differenziative multipotenti di questa popolazione.

• TRA-1-81, proteoglicano, rilevato in immunofluorescenza; è tipicamente espresso da cellule non differenziate e subisce un’importante dowregulation a seguito del differenziamento cellulare.85

Il fattore fondamentale associato alla pluripotenzialità delle MPCs è Oct-4 capace di sostenere, grazie alla sua isoforma lunga OCT-4A, le caratteristiche di staminalità cellulare.

Il gene Oct-4 presiede a due pathway genici: Oct-4/Sox2 tipico delle cellule embrionali multipotenti e Oct-4/Sox15 espresso dalle cellule adulte e dalle MPCs. L’espressione del pattern molecolare adulto nelle MPCs dipende, probabilmente, dalla necessità di garantire le caratteristiche di immaturità cellulare e contestualemente la possibilità di differenziare, necessaria per l’omeostasi midollare. Inoltre queste cellule offrono la possibilità di effettuare un reprogramming genico capace di favorire l’espressione del circuito Oct-4/Sox2.84

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A B

Figura 6. Caratteristiche morfologiche delle MPCs: al microscopio a contrasto di fase (A) le cellule appaiono rotondeggiati, con un core centrale ad alta rinfragenza ed aspetto “a uovo fritto”. Il microscopio a scansione elettronica (B) rivela una regione centrale spessa circondata da esili strutture microvilloso.85

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Figura 7. Confronto tra MPCs e MSCs in immunofluorescenza: l’immunofluorescenza dimostra l’espressione di Nanog, Oct-4, Sox15 (verde) all’interno dei nuclei (blu) delle MPCs ma non nelle MSCs. Si riscontra anche una diversa organizzazione dei filamenti di F-actina (rosso) e l’espressione, solo nelle MPCs, di filamenti di Nestina (verde) ben organizzati nel citoplasma.84

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4.1 Potenziale differenziativo delle MPCs

Le cellule progenitrici mesangiogeniche presentano un doppio potenziale differenziativo. Poste in opportune condizioni di coltura, queste cellule possono differenziare in MSCs oppure in cellule angiogeniche.

A seguito del differenziamento angiogenico le cellule progenitrici sono coinvolte nelle fasi precoci e tardive dell’angiogenesi. Il ruolo delle MPCs nelle fasi iniziali del processo è dimostrato, in vitro, dalla capacità di sprouting degli sferoidi cellulari formati, mentre nelle fasi successive le cellule angiogeniche producono delle strutture tridimensionali simili a capillari.89 Le cellule ottenute dal differenziamento angiogenico si presentano positive per CD90 (marcatore espresso dalle MSCs) e CD31 (marker delle cellule endoteliali), sono morfologicamente simili a cellule endoteliali e condividono con queste alcune caratteristiche biologiche (tra cui la capacità di invasione tissutale).89

Il differenziamento delle MPCs in cellule mesenchimali stromali si ottiene ponendo le cellule progenitrici in coltura con terreno differenziante mesenchimale. È stato dimostrato che l’arricchimento di una coltura di MPCs con FBS induce il differenziamento in cellule mesenchimali stromali.86

Due vie di signaling differente regolano i due processi differenziativi: la via canonica di Wnt e la via non canonica. Entrambe le vie dipendono dal recettore Fzd1 (Frizzled 1) espresso dalle cellule MPCs, capace di legare con uguale affinità le molecole effettrici della via canonica Wnt3a e β-catenina, ed i ligandi della via non canonica Wnt5a Wnt5b e Wnt7b.

L’attivazione della via canonica Wnt3/β-catenina permette il differenziamento angiogenico delle cellule progenitrici, mentre la via non canonica Wnt5/Calmodulina presiede al differenziamento mesenchimale.88

Il passaggio da MPCs a MSCs prevede due step differenziativi: il primo caratterizzato dalla formazione delle “early MSCs” ed il secondo dalla transizione da “early MSCs” a “late MSCs” (P2).

Le “early MSCs” presentano delle caratteristiche intermedie tra i progenitori mesangiogenici e le cellule mesenchimali. Le P1 hanno un aspetto più allungato (non ancora “spindle-shaped”), esprimono SSEA4 (come le MPCs) e sintetizzano Dkk-1 (Dickkopf-related protein), inibitore della via canonica. Le P2 non esprimono SSEA4, presentano una riduzione dell’espressione di Dkk-1 ed una conseguente maggiore attivazione della via di Wnt3/β-catenina che correla con il loro incremento proliferativo.88

Le vie descritte sono inibite rispettivamente dal calmidazolo (inibitore diretto della calmodulina) che blocca il differenziamento mesenchimale ma non quello angiogenico. Al

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contrario recenti studi, condotti dal laboratorio di Manipolazione Cellulare a scopo terapeutico del dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, hanno dimostrato che il Bortezomib produce un’inibizione dell’angiogenesi MPCs-mediata senza stimolare il differenziamento mesenchimale delle cellule progenitrici.

Figura 8. Il differenziamento mesengenico delle MPCs: Il differenziamento mesengenico consta di due fasi, la prima porta alla formazione delle “early MSCs” grazie all’attivazione del pathway Wnt5/calmodulina tramite il recettore Fzd1. La seconda fase è il differenziamento terminale in “late MSCs” e prevede la down-regulation di Wnt5/calmodulina e di Dkk-1 (inibitore della via canonica di Wnt, la cui attivazione correla con una maggiore proliferazione delle “late MSCs”).88

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