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LE PIANTE OFFICINALI DEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE ... 7

CAPITOLO 1: IL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO ... 9

1.1 Note Geologiche ... 10 1.2 Vette ... 11 1.3 Piani ... 11 1.4 Fiumi ... 12 1.5 Flora e vegetazione ... 12 1.5.1 Terofite ... 14 1.5.2 Geofite ... 15 1.5.3 Idrofite ... 15 1.5.4 Emicriptofite... 15 1.5.5 Camefite ... 15 1.5.6 Fanerofite ... 16 1.6 Fasce Altitudinali ... 17 1.6.1 Fascia mediterranea ... 18 1.6.2 Fascia sopramediterranea ... 20 1.6.3 Fascia montana ... 21 1.6.4 Fascia altomontana ... 23 1.7 Il Clima ... 23

CAPITOLO 2: LE PIANTE OFFICINALI ... 25

2.1 Legislazione ... 25

2.2 Storia ... 26

CAPITOLO 3: DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE PIANTE OFFICINALI NEL SETTORE SUD-EST DEL PARCO... 29

Francavilla Marittima (273 metri s.l.m.) : ... 30

Castrovillari (362 metri s.l.m.) : ... 30

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Frascineto (486 metri s.l.m.) : ... 31

Cerchiara di Calabria (650 metri s.l.m.) : ... 32

San Lorenzo Bellizzi (830 metri s.l.m.) : ... 32

Achillea millefolium L. ... 33

Allium neapolitanum Cyr ... 35

Amaranthus retroflexus L. ... 37

Atropa belladonna L. ... 40

Borago officinalis L. ... 43

Capparis spinosa L. ... 46

Centranthus ruber (L.) DC ... 49

Chenopodium bonus- henricus L. ... 52

Cichorium intybus L. ... 54

Crataegus monogyna Jacq. ... 56

Cynara cardunculus L. subsp. Cardunculus ... 59

Glycyrrhiza glabra L. ... 61

Hypericum perforatum L. ... 64

Hyssopus officinalis L. ... 67

Inula viscosa (L.) Aiton ... 69

Laurus nobilis L. ... 71

Lavandula angustifolia Mill. ... 74

Malva sylvestris L. ... 77 Matricaria chamomilla L. ... 80 Myrtus communis L. ... 83 Nastrurtium officinale R. Br. ... 86 Ononis spinosa L. ... 88 Origanum vulgare L. ... 90 Papaver rhoeas L. ... 93

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3 Portulaca oleracea L. ... 95 Rosa canina L. ... 97 Rosmarinus officinalis L. ... 100 Rubus idaeus L. ... 103 Sambucus nigra L. ... 106

Silybum marianum (L.) Gartner ... 109

Tussilago farfara L. ... 112

Urtica dioica L. ... 115

Verbascum thapsus L. ... 118

Viscum album L. ... 121

CAPITOLO 4: ANALISI DEI CAMPIONI ... 124

4.1 Identificazione ... 124

4.1.2 Materiali e metodi ... 124

4.1.3 DPPH test ... 125

4.1.4 β-carotene bleaching test ... 126

4.2 Risultati ... 126

4.3 Conclusioni ... 127

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INTRODUZIONE

Da sempre le piante forniscono la materia prima per soddisfare i principali bisogni umani: l’alimentazione, la terapia o la fabbricazione di strumenti di uso quotidiano.

La conoscenza di questo patrimonio che la natura ci ha donato è trasmessa di generazione in generazione per lo più attraverso testimonianze orali, perché legata alla percezione che gli abitanti di una comunità hanno dell’ambiente in cui vivono; patrimonio così vasto ma tanto fragile, continuamente minacciato dai rapidi mutamenti socio-economici che accompagnano la scomparsa delle società rurali.

È quindi indispensabile conservarne testimonianza, pertanto il presente lavoro, una ricerca a carattere etnobotanico, può fornire da contributo per il recupero e lo studio di queste conoscenze popolari che possono essere anche l’occasione per elaborare nuove attività finalizzate alla valorizzazione e tutela del territorio: l’uso delle piante spontanee per la terapia e l’alimentazione possono diventare anche potenziali fonti di sviluppo economico locale.

La tradizione di raccogliere ed utilizzare piante spontanee è ancora fortemente radicata in molte comunità rurali della Calabria, e di conseguenza anche gli usi popolari, le tradizioni ed i costumi ad esse connessi.

L’indagine è stata svolta all’interno dei confini del Parco Nazionale del Pollino, e più precisamente nel settore geografico di sud-est, fra i comuni di Fracavilla Marittima, Castrovillari, Civita, Frascineto, Cerchiara di Calabria e San Lorenzo Bellizzi.

Non sono presenti schede di rilevamento, per una questione di tempistiche ristrette; tutte le informazioni presenti riguardanti le tradizioni popolari delle piante officinali del Pollino sono frutto di un lavoro svolto porta a porta, trascorso ad ascoltare gli anziani di queste terre e il loro sapere antico. Piante che in passato hanno rappresentato una risorsa per i residenti del luogo, e tante lo sono ancora oggi.

Per ogni specie, oltre al nome scientifico, seguono il nome comune e anche quello italo-albanese (non per tutte), per la presenza di diverse comunità italo-albanesi risiedenti nell’area del Pollino.

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Viene fornita la descrizione botanica di ogni specie censita, il loro uso terapeutico tradizionale (non sempre comprovato scientificamente) e il loro utilizzo a scopo alimurgico.

Inoltre sono stati raccolti quattro campioni, essiccati e identificati nei laboratori dell’Università della Calabria: Borago officinalis L., Laurus nobilis L., Myrtus communis L., Rosmarinus officinalis L. (Tab. 1)

Le piante in analisi sono state identificate da un esperto botanico, Professoressa Liliana Bernardo, Università della Calabria. Un campione di ogni esemplare è stato depositato presso l’erbario (CLU) del Museo di Storia Naturale della Calabria, Università della Calabria.

TABELLA 1 CAMPIONI RACCOLTI

CAMPIONE ALTITUDINE TERRENO ESPOSIZIONE

Borago officinalis

L.

50 m s.l.m. Uliveto, argilloso e ciottoli

Aperta campagna

Laurus nobilis L. 350 m s.l.m. Argilloso Ovest-sud-ovest

Myrtus communis L. 0 m s.l.m. Sabbioso Sottobosco Rosmarinus officinalis L. 350 m s.l.m. Argilloso Ovest-sud-ovest

Le stesse specie, raccolte in altre stazioni della regione Calabria, sono state analizzate dal team della Professoressa Filomena Conforti, Università della Calabria. Sono state fatte diverse analisi sui campioni e ciò che accumuna tutte e quattro le specie è l’attività antiossidante dei principi attivi contenuti in esse.

I test utilizzati per valutare questa attività sono: β-carotene bleaching test e DPPH test. Le restanti specie, per le quali viene comunque proposta una scheda botanica, non è stato possibile reperirle a causa della stagione avversa.

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CAPITOLO 1: IL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO

FIGURA 1 I CONFINI DEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO (PISARRA E.)

Provvedimenti istitutivi: legge 11 merzo 1988 n. 67; legge 28 agosto 1989 n. 305; Decreto

Ministro dell’Ambiente 31dicembre 1990 (perimetrazione provvisoria del Parco); D.P.R. 15 novembre 1993 (perimetrazione definitiva).

Tra gli anni 1993 e 1994 s'insediano gli organismi amministrativi e tecnici: presidenza, consiglio di amministrazione e direzione; la sede dell'ente di gestione è ubicata in Rotonda (PZ).

Il Parco nazionale del Pollino, con i suoi 192.565 ettari, di cui 88.650 nel versante della Basilicata e 103.915 in quello della Calabria, è il parco naturale più grande d'Italia. Prende il suo nome dal Massiccio del Pollino.

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Il Pollino comprende, a cavallo fra il confine geografico e amministrativo delle regioni Calabria e Basilicata, 3 province (Cosenza, Potenza, Matera), 56 comuni (di cui 24 in Basilicata e 32 in Calabria), 9 comunità montane e 4 riserve orientate: Rubbio in Basilicata, Raganello, Lao e Argentino in Calabria.

Il massiccio del Pollino si trova al centro di un articolato sistema di rilievi montani, che si estende dal Tirreno allo Ionio, ed è stato da tempo assunto come confine tra Basilicata e Calabria.

L’area geografica del Parcoconfina ad ovest con il monte Cerviero, a sud con la Piana di Castrovillari, a est con la Falconara e le gole del Raganello, a nord con l’ampio corso del fiume Sinni.

Si tratta di un territorio di eccezionale varietà e di grande rilievo paesaggistico, di un immenso laboratorio che si offre ai cultori di scienze naturali, grazie ad un patrimonio quasi intatto, nonostante gli interventi dell’uomo. Tutto ciò ha suscitato l’idea di farne un Parco nazionale a tutti gli effetti che si aggiungesse a quello della Sila e al Parco nazionale d’Abruzzo.

1.1 Note Geologiche

Il massiccio del Pollino è costituito, nel suo assieme, da masse calcaree del cretaceo sulle quali poggiano terreni posteriori interessati da fenomeni carsici con tracce dell’epoca glaciale; le valli percorse dai torrenti Frido, Mauro e Duglia, sono costituite invece da terreni del pliocenee e del quaternario.

L’intera area presenta caratteristche geomorfoliche peculiari, e può essere considerata come una struttura a sé stante, un anello di congiunzione fra due catene montuose ben differenziate: l’Appennino meridionale a nord e la Sila a sud (Pietro De leo).

La presenza sul massiccio di assise calcareo-dolomitiche e di estesi affioramenti fliscioidi ha prodotto, data la diversa resistenza dei materiali alle sollecitazioni tettoniche, due distinti paesaggi morfologici: da una parte una intensa fratturazione che si riscontra nella Timpa di San Lorenzo e nella Falconara e dall’altra una serie di deformazioni plastiche quali pieghe a piccolo e grande raggio.

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Due paesaggi opposti in una superficie abbastanza ristretta, con una orografia dalle notevoli diversità plasmata dal modellamento superficiale.

1.2 Vette

Le zone più alte del Pollino conservano la loro primordiale bellezza grazie alla sporadica presenza dell’uomo; infatti, le sue cime innevate quasi tutto l’anno, sono frequentate per lo più da pastori e greggi.

Le cime della catena si presentano rigorosamente allineate, da ovest verso est: monte Cerviero (m. 1443), montagna di Grasta (m. 1465), Coppola di Paola (m. 1919), Serra del Prete (m. 2181), monte Pollino (m. 2248), fino alla Serra Dolcedorme (m. 2266).

Successivamente la catena si biforca con la Serra delle Ciavole (m. 2127) a nord e la Manfriana (m. 1981) a sud a formare un unico bastione che, con l’imponenza del Dolcedorme, domina la valle del Crati con un salto quasi perpendicolare.

1.3 Piani

I piani di alta quota sono un fenomeno raro per gli Appennini meridionali.

Queste praterie si estendono tra i 1500 e i 1900 mentri di quota e hanno sempre rappresentato un elemento importantissimo per l’economia della zona: pascoli vastissimi, luminosi, circondati da folti boschi, movimentati da una serie di piani ondulati, spesso orientati con una leggera pendenza verso il centro per la formazione a dolina dovuta a fenomeni carsici.

Durante la stagione estiva, i piani in quota sono stati, e sono in forma ridotta anche oggi, la meta di mandriani e pastori che giungevano con gli armenti e le greggi dalla piana di Metaponto e di Sibari.

I piani del Pollino sono circondati delle cime più elevate, come Serra delle Ciavole, importante per la presenza della stazione più alta e concentrata del pino loricato (Pinus

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heldreichii subsp. Leucodermis), che fa di questa montagna una vera e propria rarità nel

contesto appenninico.

Le nude pareti rocciose sono ricoperte da centinaia di queste piante, che resistono da secoli nonostante le perturbazioni delle alte quote.

Tra la Serra delle Ciavole e la Serra di Crispo, la Grande Porta del Pollino, una sella a 1945 metri, apre l’accesso verso le grandi foreste di faggio misto ad abeti che si estendono a perdita d’occhio, fino al comune di Terranova.

1.4 Fiumi

Il Parco è ricco di numerosi corsi d’acqua e sorgenti, che coprono tutta la sua superficie, dalle quote più basse fino ai 1.800 metri.

Tra questi citiamo il Frida, il più importante dei torrenti sia per lunghezza sia per l’abbondanza delle acque perenni, che hanno favorito il crescere di insediamenti lungo il suo corso, e la presenza di numerosi molini ad acqua è la migliore testimonianza della sua importanza nell’economia locale.

Un secondo torrente di notevole importanza è il Raganello; scorre in una profonda fossa di probabile origine tettonica, le gole del Raganello, gigantesco canyon lungo 7 chilomenti e mezzo.

Ai piedi del baratro su cui è appollaiato il comune di Civita, sotto il ponte del Diavolo, il Raganello si apre nella piana di Sibari assumendo, in questo ultimo tratto, le caratteristiche delle tipiche fiumare calabresi.

E poi ancora la Duglia e il fiume Lao.

1.5 Flora e vegetazione

Nonostante i contributi e le analisi esistenti in letteratura è difficile dare delle cifre sul numero di specie costituenti la flora del territorio in esame,certamente oltre il migliaio.

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Con il termine “flora” si intende il complesso di specie che vivono in una area geografica ben precisa.

Secondo le regole di nomenclatura botanica, specie affini vengono raggruppate in generi e più generi costituiscono una famiglia.

Nell’ambito delle specie si possono individuare unità tassonomiche di rango inferiore quali sottospecie, varietà e forme.

Ogni specie viene identificata mediante due termini in lingua latina, universalmente riconosciuti; il primo termine si riferisce al genere, il secondo alla specie.

Il nome della specie è seguito dal nome, spesso puntato, dell’autore della specie, cioè dello studioso che per primo ha descritto la specie e le ha imposto il nome.

Ad esempio il nome scientifico del pino loricato è Pinus leucodermis Antoine; in esso Pinus è il nome generico, leucodermis è l’aggettivo che qualifica la specie e Antoine è l’autore della specie.

La famiglia di appartenenza è quella delle Pinaceae.

Si risale al nome scientifico delle specie utilizzando le “chiavi analitiche”, dei testi particolari che riportano la descrizione accurata delle piante.

Con tali testi si individuano dapprima le famiglie, al loro interno i generi e quindi le specie.

Esistono elenchi floristici per le varie regioni della terra; ad esempio, per il continente europeo risultano segnalate circa 11.500 specie (Tutin et al., 1964-1980), mentre per l’Italia il Pignatti ne riporta circa 5.600.

Per quanto riguarda il Pollino, attualmente non è disponibile un elenco floristico comprensivo di tutte le specie presenti nel Parco.

Terracciano (1891, 1902) erborizzò lungo il versante Calabrese della Catena del Pollino, sconfinando anche oltre gli attuali limiti del Parco ed elencò in tutto 1486 entità fra specie, sottospecie, varietà e forme.

Secondo Gavioli (1932), il quale erborizzò sul versante Lucano, la flora del Pollino non supera le 1000 unità.

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Successivamente, per il massiccio del Pollino in senso stretto, sono stati indicati 710 taxa (Bonin, 1968)

Bisogna considerare che i limiti del Parco si estendono ben oltre quelli del massiccio del Pollino, includendo aree non studiate dagli autori sopra citati, quali il Monte Alpi nel settore settentrionale, i rilievi che vanno da Civita ad Alessandria del Carretto sul versante orientale e i monti di Verbicaro-Orsomarso nel settore occidentale.

È ipotizzabile che in tutta l’area del Parco siano presenti anche più di 1500 taxa, in relazione alla grande varietà di ambienti in esso presenti; basti pensare che la sola valle dell’Argentino ospita 846 taxa (Maiorca e Spampinato, 1993).

L’assetto floristico di un territorio è profondamente condizionato dalle caratteristiche ambientali alle quali le piante si adeguano, e ciò che maggiormente condiziona la vita delle piante è il clima, in particolare la durata della stagione avversa; in questa fase, tutte le piante devono proteggere le gemme, cioè i tessuti embrionali per mezzo dei quali potranno riprendere a crescere e a riprodursi nella stagione favorevole.

Le piante vascolari possono essere raggruppate in forme biologiche, in base alla disposizione delle gemme nella stagione avversa, evidenziando così la relazione fra flora e clima (Schema Runkiaer,1937).

1.5.1 Terofite

Sono piante annuali che compiono il loro ciclo vitale durante la buona stagione, mentre trascorrono la stagione avversa sotto forma di semi.

Un esempio di terofita è il grano coltivato, i cui semi, interrati in autunno, all’inizio della primavera germogliano e generano delle piantine che crescono e fioriscono rapidamente, e all’inizio dell’estate seccano dopo aver prodotto i nuovi semi.

Questa forma biologica è particolarmente favorita in climi caldi con notevole aridità estiva.

La diffusione di terofite è legata alle pratiche agricole: infatti, molte di esse sono coltivate (ad esempio il grano) ed altre sono infestanti delle colture (papavero).

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1.5.2 Geofite

Geofite sono piante perenni ed erbacee che durante la stagione avversa recano le gemme su organi sotterranei.

Anche le geofite risultano particolarmente adatte a lunghi periodi di aridità, poiché l’organo ipogeo è una modificazione del fusto con funzione di accumulo di acqua e sostanze di riserva.

1.5.3 Idrofite

Sono piante perenni acquatiche con gemme sommerse.

1.5.4 Emicriptofite

Sono piante perenni ed erbacee con gemme svernanti a livello del suolo, protette da resti vegetali o dalla coltre nevosa e tendono a prevalere in alta montagna.

1.5.5 Camefite

Sono piante perenni, legnose almeno in parte, e recano gemme ad una distanza di 20-30 cm dal suolo.

Si adattano a condizioni climatiche estreme, infatti, sono abbondanti nei prati aridi della fascia mediterranea, ma anche in alta montagna.

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1.5.6 Fanerofite

Sono piante perenni e legnose, con gemme poste ad oltre 30 cm dal suolo. Sono le meno adatte a condizioni climatiche estreme.

Infatti, si ha grande varietà di fanerofite nella fascia equatoriale, a clima costantemente caldo e umido.

Gli elementi floristici non si distribuiscono mai a caso, ma tendono a raggrupparsi in formazioni vegetali in equilibrio con l’ambiente fisico e perciò assumono una fisionomia ben precisa.

Se prevalgono, ad esempio, specie erbacee si parla di prato o pascoli; si definiscono boschi, invece, le fitocenosi in cui una o più specie arboree risultano più frequenti, mentre le macchie sono caratterizzate da elementi arbustivi spinosi e/o sempreverdi e da specie lianose.

Con un ulteriore approfondimento si individuano le “associazioni vegetali”, differenziabili sia per caratteri ecologici che per composizione floristica.

“L’associazione vegetale è un raggruppamento vegetale più o meno stabile e in equilibrio con il mezzo ambiente, caratterizzato da una composizione floristica determinata, in cui certi elementi, quasi esclusivi (specie caratteristiche) rivelano con la loro presenza un’ecologia particolare ed autonoma” (Braun – Blanquet, 1915).

Esempio di associazioni vegetali sono le faggete, boschi nei quali gli starti arboreo e arbustivi sono costituiti essenzialmente dal faggio (Fagus sylvatica) al quale si accompagnano poche altre fanerofite che nell’area del Parco possono essere rappresentate da Acer pseudoplatanus, Acer lobelii, Laburnum alpinum, ecc.; quindi le associazioni si individuano per mezzo delle specie caratteristiche o specie guida, che, spesso, danno il nome alla associazione stessa, nome che è sempre seguito dal suffisso –etum.

Sul Pollino, ad esempio, larga estensione hanno le faggete; esse possono essere inquadrate in almeno tre associazioni diverse: quella presente a quote inferiori vede nello strato

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arbustivo l’abbondanza di agrifoglio (Ilex aquifolium); tale associazione, frequente lungo l’Appennino meridionale, è stata appellata Aquifolio-Fagetum (Gentile, 1969).

A quote superiori la composizione floristica delle faggete varia; esse sono state inquadrate nell’Asyneumati-Fagetum (Gentile, 1969)

Per il versante lucano del Pollino è stata indicata un’ulteriore associazione: l’Acer

lobelii-Fagetum che vede fra le specie caratteristiche il già citato acero di Lobel, un endemismo

dell’Appennino meridionale (Aita et al., 1984).

Le associazioni vegetali non sono stabili nel tempo, ma tendono ad evolvere spontaneamente verso stadi più complessi.

Se, ad esempio, si interrompesse, per diversi decenni la pratica del pascolo e tutte le altre attività antropiche su un’estensione prativa, posta a quota non eccessivamente alta e su suolo non molto povero, si passerebbe gradualmente da associazione di specie erbacee a formazioni arbustive, fino a un vero e proprio bosco.

Dopo un certo tempo (dell’ordine di qualche secolo), se non subentrano fattori di disturbo o modificazioni climatiche, la vegetazione non subisce ulteriori processi dinamici: si dice allora che ha raggiunto il suo climax, cioè il suo stadio finale.

Nei casi in cui le condizioni climatiche o edafiche presentino fattori limitanti quali ad esempio l’eccessiva aridità, la costante presenza di acqua, il vento frequente ed intenso oppure su suolo francamente sabbioso o roccioso, la successione vegetale può non culminare con lo stadio in assoluto più evoluto, ma si arresta ad uno stadio detto di subclimax.

Ne sono un esempio le rade formazioni prative che ricoprono le creste ventose, sui monti più alti del Pollino.

1.6 Fasce Altitudinali

L’altitudine influenza fortemente il clima, il quale a sua volta condiziona, come già detto, la vita delle piante, e quindi la copertura vegetale che, sulle catene montuose, si

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distribuisce in “piani e orizzonti altitudinali” oppure secondo la concezione più moderna in “fasce altitudinali” (Pignatti, 1979).

Il Parco del Pollino con i suoi circa 2.000 metri di dislivello, presenta una ripartizione altitudinale della vegetazione che può essere schematizzata come segue:

- Fascia mediterranea, che a partire dalle quote più basse raggiunge i 700-800 metri s.l.m.;

- Fascia sopramediterranea, fino a 1.100 metri s.l.m.;

- Fascia montana, compresa fra 1.100 e 2.000 metri di quota; - Fascia altomontana, oltre i 2.000 metri.

1.6.1 Fascia mediterranea

È caratterizzata da formazioni a sclerofille sempreverdi, cioè da specie con foglie persistenti e rigide, rivestite da uno spesso strato di cutina e/o da una fitta peluria. Il climax potenziale di questa fascia è costututito dalla lecceta, cioè una foresta a leccio (Quercus ilex), ascrivibile al Quercion ilicis.

In essa si distingue uno strato arboreo superiore raggiungente i 15-18 cm di altezza e uno strato arborescente inferiore nel quale vi sono altre sclerofille e alcune caducifoglie, le quali lasciano filtrare pochissima luce al suolo; conseguentemente lo strato erbaceo è molto povero.

Le azioni dell’uomo hanno notevolmente modificato la copertura vegetale e attualmente, anche nell’area del Parco, le leccete mature sono veramente rare; sono invece ben rappresentate le forme di vegetazione arbustiva sempreverde, che vengono appellate come “macchia mediterranea”.

La macchia a leccio è la più complessa e viene definita anche “macchia alta”, la sua altezza è di 4-6 metri.

In essa il leccio è mantenuto ad uno stadio di ceduazione ed è accompagnato dalle altre sclerofille che componevano la foresta originaria, quali mirto (Myrtus communis), lentisco (Pistacia lentiscus), corbezzolo (Arbustus unedo), viburno (Viburnus tinus), da

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caducifoglie quali la roverella (Quercus pubescens) e l’acero minore (Acer

monspessulanum).

A queste specie si associano svariate lianose quali edera (Hedera helix), smilace (Smilax

aspera) e diverse specie di clematidi a lonicere che contribuiscono a intricare e rendere

impenetrabili queste boscaglie.

Esistono diverse varianti rispetto a questo tipo di macchia; ad esempio, nel settore orientale del Parco è frequente il ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus), che in alcuni casi diviene dominante.

In corrispondenza dei limiti orientali del Parco, si hanno le espressioni più termofile della macchia mediterranea, formazioni a lentisco (Pistacia lentiscus) e oleastro (Olea

europaea var. oleaster).

Si tratta di una vegetazione discontinua che colonizza scarpate, margini stradali e confini interpoderali.

Ben localizzata è la macchia ad euforbia arborea (Euphorbia dendroides) che tappezza le pareti rocciose nel tratto finale delle Gole del Raganello.

Presso Civita, ma anche sulle pareti che delimitano la Valle del Saraceno, in corrispondenza di substrati calacrenitici, sono presenti estesi popolamenti a pino d’aleppo (Pinus halpensis), tipica essenza arborea delle pendici litoranee, che si mescola agli elementi della macchia a lentisco.

L’alveo delle diverse fiumare, che dal Pollino si riversano nello Ionio, ospita circoscritte boscaglie a tamerici (Tamarix gallica e T. africana) e popolamenti quasi puri di oleandro (Nerium oleander).

Su suoli detritici, sabbiosi o con elevata percentuale di roccia, si rileva una vegetazione bassa e discontinua a piante sempreverdi suffruticose, comunemente chiamata “gariga”, prendendo a prestito il termine provenzale che originariamente si riferiva esclusivamente ai popolamenti di Quercus coccifera.

Come adattamento all’aridità, le piante della gariga presentano foglie fortemente tomentose, glauche e viscose, spesso aromatiche (Cistus incanus, Thymus capitatus,

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Dalla gariga si passa alla “steppa mediterranea”, formazioni prative dominate da graminacee perenni.

1.6.2 Fascia sopramediterranea

È caratterizzata da boschi a latifoglie decidue ed eliofile, cioè piante con foglie a lamina larga, adattate all’elevata luminosità e caduche nel periodo invernale.

In questa fascia predominano le formazioni inquadrabili nell’ordine di Quercetalia

pubescentis:

- Boschi a roverella (Quercus pubescens),presenti a quote basse (400-600) e pertanto a carattere più termofilo, come testimoniato dalla presenza nel sottoboscodi specie quali Erica arborea, Asparagus acutifolius e Teucrium

siculum.

- Boschi a cerro (Quercus cerris), presenti soprattutto nei settori occidentale e settentrionale del Parco. Il sottobosco ospita specie caratteristiche dei querceti termofili, come ad esempio Vinca minor, Ruscus aculeatus, e specie più mesofile quali Digitalis micrantha, Lathyrus venetus, Melittis melissophyllum e

Physospermun verticillatum.

- Boschi di farnetto (Quercus frainetto). Questo elemento orientale risulta realmente dominante in pochi distretti (Plataci); più spesso si mescola a roverella o a cerro.

Le formazioni forestali più comuni sono i boschi misti, in cui le querce sopra citate sono associate fra loro ad altre caducifoglie.

Non sempre si tratta di veri e propri boschi, ma più spesso di boscaglie; esse possono essere facilmente individuate lungo i costoni che fiancheggiano l’autostrada fra Morano e Campotenese, nel periodo autunnale, quando il verde scuro delle foglie del leccio e della fillirea contrasta con il ghiaccio della chioma della roverella e con i diversi toni di rosso di acero, frassino e carpino nero.

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Il rapido accrescimento e la capacità di adattarsi a suoli molto poveri giustificano la diffusione in tutta l’area del Parco di questo elemento endemico dell’Appennino meridionale, utilizzato anche per interventi servicolturali nel recupero di aree marginali ad elevata erosione.

Ad una pesante azione di disturbo arreacata dall’uomo si deve la presenza nel Parco di arbusteti, derivanti dalla degradazione dei boschi originari.

Sui pendii assolati e con elevata rocciosità affiorante, le formazioni forestali sono sostituite da praterie xeriche, caratterizzate da Bromus erectus accompagnato da Anthyllis

vulneraria, Crepis lacera, Poa bulbosa, Eryngium amethystinum, Polygala major, ecc.

Su substrati particolarmente xerici e francamente rocciosi, questi popolamenti si arricchiscono in camefite quali: Teucrium montanum, Lavandula angustifolia, Salvia

officinalis, Satureja montana, Thymus striatus e Scabiosa crenata.

Queste formazioni, si estendono dai 700 metri in su e sono largamente diffuse anche nella fascia mediterranea fino ai 1500 metri di quota.

1.6.3 Fascia montana

Detta anche fascia subatlantica, è caratterizzata da foreste di faggete che rappresentano le formazioni predominanti fra i 1.100 e i 1.800-1.900 metri; sul versante tirrenico, più fresco, non sono rare formazioni anche miste al di sotto di tale fascia, fino agli 800 metri e eccezionalmente, in ambienti di forra, anche a quota 500 metri.

Al di sotto dei 1.400 metri si rinviene un tipo di faggeta definita “termofila”, inquadrabile nell’Aquifolium-fagetum che si caratterizza per la frequenza di Ilex aquifolium e Daphne

laureola e, in pochi distretti, di Taxus baccata.

L’agrifoglio, sebbene specie caratteristica di queste faggete, si può associare anche alle querce, nei casi in cui si ha un innalzamento della fascia sopramediterranea; ad esempio nei comuni di Terranova del Pollino e di San Paolo Albanese è possibile ammirare consistenti nuclei di agrifoglio allo stato arboreo, intercalati alle cerrete.

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Al di sopra dei 1.500-1.600 metri si ha una variazione nella composizione floristica delle faggete, che possono essere inquadrate nella Asyneumati-Fagetum.

Nello strato arboreo scompaiono le caducifoglie più termofili e compare il maggiociondolo (Laburnum alpinum).

L’elemento più caratteristico delle alte montagne del Pollino è il Pino loricato (Pinus

leucodermis), che forma delle pinete aperte in stazioni sfavorevoli al faggio, come ad

esempio sui pendii xerotermici rivestiti da praterie a Sesleria tenuifolia (Monte La Caccia, Montea, Serra di Crispo ecc.); frequenti sono gli esemplari isolati, anche di notevoli dimensioni, su costoni rocciosi, cenge rupestri (Pollinello, Colle Dragone).

Grazie alle notevoli capacità di adattamento all’aridità del suolo, questo elemento balcanico riesce a vivere anche al di sopra del limite del faggio; infatti, lungo il versante meridionale della Catena del Pollino, diversi sono gli alberi vetusti attorno ai 2.100 metri su rupi inaccessibili.

Formazioni a pino nero (Pinus nigra) si osservano in pochi distretti del Parco (pendici del Dolcedorme, Pollinello e Valle dell’Argentino).

Esse sono presenti al di sotto dei 1.700 metri e sono in continuità con le formazioni a pino loricato, alle quali somigliano fisionomicamente.

In corrispondenza dei tanti piani carsici presenti all’interno del Parco, si rinvengono formazioni prative, originate dal disboscamento e adibite al pascolo, caratterizzate da una notevole diversità biologica.

In condizioni più xerofile predominano specie dei Brometalia, frequenti nei prati della fascia inferiore.

Su suolo profondo e umido, per molti mesi all’anno, prevalgono delle Arrhenatheretalia, quali Achillea millefolium, Trifolium pratense e Meum athamanticum; quest’ultimo invade copiosamente i pianori insieme alla Gentiana lutea e Asphodelus albus var.

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1.6.4 Fascia altomontana

Man mano che si sale di quota le rigide temperature, protratte per molti mesi all’anno, e il vento insistente impediscono lo sviluppo della faggeta che, al di sopra dei 1.900 metri, cede spazio alle cosiddette praterie d’altitudine.

Tali praterie sono una diretta testimonianza delle antiche vicende floristiche di questi monti, infatti si presentano assieme specie medio-europee, orofite sud-europee, balcaniche, mediterraneo montane, ed endemiche dell’Appennino.

Sulle cime la vegetazione si fa quanto mai rada, anche se non sono poche le specie che riescono a sopravvivere in un ambiente tanto ostile Paronychia kapela, Edraianthus

graminifolius, Draba aizoides e occasionalmente Galium palaeoitalicum, pregevole

endemismo appenninico ad areale frammentato.

Lungo gli impluvi, dove il suolo è discretamente acidificato, con periodico ristagno d’acqua, compaiono formazioni a nardo (Nardus stricta).

Sono poche le specie che provvedono alla colonizzazione dei ghiaioni e dei macereti posti alla base delle pareti rocciose: fra esse ricordiamo Linaria purpurea, Drypis spinosa e

Laserpitium latifolium.

1.7 Il Clima

Il clima, quale elemento più importante nella distribuzione delle specie vegetali nel territorio del Parco (come in qualsiasi altro ambiente terrestre), risente in modo particolare delle seguenti condizioni:

- Diversità altimetrica nei vari settori del parco; - Esposizione dei versanti;

- Contiguità con i due mari, il Tirreno e lo Ionio, per il comparto calabrese dell’area protetta;

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- Continuità con la piattaforma lucana interna, nella rimanente parte.

Nei versanti che si affacciano verso il mare si riscontra il clima tipicamente mediterraneo con inverno mite ed estate calda e torrida. La divisione in due versanti dell'estensione del sistema orografico fa si che la fascia ionica sia esposta alle influenze africane e quindi riscontriamo temperature più elevate e precipitazioni brevi ma molto intense, mentre la fascia tirrenica è soggetta alle correnti occidentali e dunque troviamo temperature meno elevate e piogge molto frequenti.

Con l'aumentare dell'altitudine e nelle zone più interne il clima può definirsi montano mediterraneo con inverni più freddi e piovosi ed estati meno calde e con qualche precipitazione.

Il massiccio del Pollino saldandosi ad ovest con la Catena Costiera Calabrese costituisce una barriera bene organizzata nei confronti delle perturbazioni atlantiche provenienti da nord-est che, nella stagione invernale in assenza dell'anticiclone delle Azzorre, si susseguono con notevole frequenza.

Dovunque è tuttavia riscontrabile la caratteristica alternanza climatica delle regioni mediterranee, con estati calde ed aride ed inverni miti e piovosi.

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CAPITOLO 2: LE PIANTE OFFICINALI

2.1 Legislazione

Per potersi districare dal punto di vista normativo è necessario fare un breve excursus storico:

 Legge 6.1.1931, n. 99, disciplina la coltivazione la raccolta e il commercio delle piante officinali;

 Regio Decreto 19.11.1931, n. 1793, regolamento di esecuzione della Legge sopraelencata, modicata con RD 30.3.1933, n. 675;

 Regio Decreto 26.5.1932, n. 772, approva l’elenco delle piante medicinali, aromatiche e da profumo ai sensi e per gli effetti della legge n. 99/31;

 Legge 30.10.1940, n. 1724, disciplina la raccolta e la vendita della camomilla;  Legge 9.10.1942, n. 1421, disciplina la raccolta e il commercio della digitale;  Circolare 8.1.1981, n. 1, emanata dalla Direzione Generale del Servizio

Farmaceutico Divisione VII (detta “Circolare Aniasi”) in cui vengono distinte le specie commercializzabili dal farmacista (allegato A) e dall’erborista (allegato B);  Decreto Legislativo 169/2004, recepimento della Direttiva 2002/46/CE relativa

agli integratori alimentari;

 Decreto Legislativo 219 del 24 Aprile 2006 in cui vengono fornite le nuove definizioni per i prodotti e i preparati di origine vegetale;

 DDL 57/2008, regolamentaione del settore erboristico;  DDL 502/2008, disciplina della fitoterapia.

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FIGURA 2 MANUALE DI LEGISLAZIONE FARMACEUTICA (BRUSA P.)

Le definizioni della FU XII e del Dlgs 219/2006 sono equiparabili.

2.2 Storia

Il termine “officinale” deriva dal latino officina, che vuole dire bottega, ovvero il luogo in cui le piante venivano opportunamente trattate prima di essere utilizzate.

In base alle notizie storiche, databili a circa 500 anni fa, cinesi ed indiani sono stati i primi ad utilizzare le piante officinali per scopi aromatici e terapeutici.

In cina lo studio di varie piante aromatiche e medicinali, per verificarne le proprietà farmacologiche, risale all’epoca dell’imperatore Shen Nun (2738 a.C. – 2698 a.C.). Anche dall’India abbiamo documentazioni risalenti ad oltre 5000 anni fa.

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Inoltre abbiamo notizie certe sull’uso delle piante officinali da parte delle civiltà Egiziane, Assiro-Babilonesi, Greche, Arabe, Ebraiche, Romane ed Americane pre Colombiane, per scopi terapeutici, religiosi e cosmetici.

Gli estratti grezzi venivano ottenuti sia dalla pianta intera che da parti di essa come rizomi, fusti, cortecce, foglie, fiori, frutti, bacche, semi.

L’isolamento del principio attivo o dei principi attivi di questi estratti grezzi, rispetto a 5000 anni di storia, appartiene ad un periodo molto recente.

Nel 1876 l’egittologo tedesco G. Ebers, durante la decifrazione di alcuni rotoli di papiro, risalenti alla VI dinastia, cioè al 2400 a.C. circa, restò colpito dalla seguente frase: “Qui

inizia il libro che descrive la preparazione dei rimedi per il corpo umano”.

Tra le piante maggiormente utilizzate in quel lontano periodo sono citati i semi di lino, l’acero, il cardamomo, il ginepro, l’aglio, il giglio, il ricino, il papavero, ecc.

Catone il Vecchio (II secolo a.C.), nel suo trattato De re rustica, cita 120 piante medicinali che egli stesso coltivava nel suo orto.

Antichi Greci e Romani facevano largo uso di aromi e spezie che importavano e lavoravano nelle loro botteghe. Gli addetti alla lavorazione degli aromi erano gli “aromata”.

Fino al Medioevo le erbe erano l’unica fonte per la cura delle malattie.

Ad alcune piante venivano attribuite proprietà magiche, ad esempio la mandragora o lo stramonio, utilizzati per preparare filtri e pozioni; in realtà queste piante contengono sostanze allucinogene ed ipnotiche, e per questo erano definite erbe delle streghe.

Putroppo la conoscenza delle propietà medicinali di molte piante e il loro utilizzo in vari campi è piuttosto limitato.

La raccolta di piante medicinali richiede una preparazione adeguata ed una conoscenza specifica delle diverse specie, a causa dell’esistenza di piante tossiche o addirittura mortali con caratteristiche botaniche simili.

Insomma fin dall’antichità l’uomo ha esplorato l’ambiente in cerca di piante che potessero essere utili a soddisfare i proprio bisogni primari.

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Il numero delle specie vegetali esistenti non è noto; in base a dati di cui disponiamo si ritiene che le piante utilizzate a scopo terapeutico sono circa 70000.

Attualmente le piante medicinali con i loro derivati forniscono circa il 20% dei medicinali nei paesi industrializzati e circa l’80% in quelli in via di sviluppo.

Le sostanze, gli estratti purificati e standardizzati, sono di importanza sempre crescente. Per quanto riguarda la Calabria, e soprattutto l’area del Pollino, vi è la presenza di una flora spontanea estremamente varia e ricca, tanto da esser stata meta di numerosissime esplorazioni botaniche, che hanno portato alla publicazione di testi quali “Synopsis

plantarum vascularum Montis Pollini” (Nicola Terracciano, 1890), integrata pochi anni

dopo da altre pubblicazioni:

“Addenda ad Synopsidem plantarum vascularum Montis Pollini” (Nicola Terracciano, 1900) e “Intorno alla flora del Monte Pollino e terre adiacenti” (Nicola Terracciano, 1896).

Il Pollino può essere considerato l’ambiente ideale per la crescita delle piante medicinali. Il Parco pullula di erbe officinali che nascono spontaneamente nei pianori ad alta quota. Queste piante offrono uno spettacolo sublime in virtù delle loro fioriture dai colori svariati e rilasciano nell’aria un intenso profumo.

Le erbe officinali più comuni sono: l’Aneto, l’Assenzio, la Bardana, la Belladonna, la Borraggine, la Camomilla, la Carota selvatica, l’Edera, la Gramigna, l’Ortica, il Cardo mariano, la Carlina, la Coda cavallina, la Farfana, la Genzianella, la Lavanda, la Malva, la Menta, l’Origano, il Pungitopo, la Rosa canina, la Salvia, la Saponaria, il Timo e per ultimo ma non il minore il Verbasco.

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CAPITOLO 3: DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE PIANTE

OFFICINALI NEL SETTORE SUD-EST DEL PARCO

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Francavilla Marittima (273 metri s.l.m.) :

Capparis spinosa L. - (Cappero comune)

Hypericum perforatum L. - (Erba di San Giovanni comune) Glycyrrhiza glabra L. - (Liquirizia comune)

Silybum marianum (L.) Gartner - (Cardo della Madonna) Tussilago farfara L. – (Tussilagine comune)

Portulaca oleracea L. – (Porcellana comune)

Castrovillari (362 metri s.l.m.) :

Allium neapolitanum Cyr – (Aglio napoletano) Atropa belladonna L. – (Belladonna)

Borrago officinalis L. – (Borragine) Laurus nobilis L. – (Alloro)

Lavandula angustifolia Mill. – (Lavanda vera)

Thymus capitatus (L.) Hofm. Et Lk. – (Timo capitato) Urtica dioica L. – (Ortica comune)

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Civita (450 metri s.l.m.) :

Amaranthus retroflexus L. – (Amaranto comune) Centrathus ruber (L.) DC – (Valeriana rossa) Myrtus communis L. – (Mirto)

Origanum vulgare L. – (Origano) Rosa canina L. – (Rosa selvatica) Rosmarinus officinalis L. – (Rosmarino) Sambucus nigra L. – (Sambuco nero) Verbascum thapsus L. – (Verbasco)

Frascineto (486 metri s.l.m.) :

Cichorium intybus L. – (Cicoria) Malva sylvestris L. – (Malva selvatica)

Nasturtium officinale R. Br. – (Crescione d’acqua) Rubus idaeus L. – (Lampone)

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Cerchiara di Calabria (650 metri s.l.m.) :

Achillea millefolium L. – (Millefoglio montano) Chenopodium bonus-enricus L. (Spinacio comune) Crataegus monogyna Jacq. – (Biancospino comune) Matricaria chamomilla L. – (Camomilla comune) Papaver rhosea L. – (Papavero)

Viscum album L. – (Vischio comune)

San Lorenzo Bellizzi (830 metri s.l.m.) :

Cynara cardunculus L. subsp. Cardunculus – (Carciofino) Hyssopus officinalis L. – (Issopo)

Inula viscosa (L.) Aiton – (Enula) Ononis spinosa L. – (Ononide spinosa)

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Achillea millefolium L.

Figura 4 Achillea millefolium L.

Famiglia: Asteraceae Nome comune: Achillea

Descrizione botanica: Pianta erbacea, aromatica, cespitosa, perenne, più o meno tormentosa con rizoma strisciante da cui si originano i fusti eretti, striati e pubescenti, semplici e ramosi alla sommità, che raggiungono fino a 40-90 cm di altezza. Le foglie sono alterne, pelose, molto frastagliate e molli, a contorno lanceolato, due-tre pennatosette. I fiori sono piccoli e dotati di 4-6 ligule di

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colore variabile dal bianco al rosa intenso, con capolini riuniti assieme a formare dei corimbi compatti terminali. Il frutto è un achenio.

Habitat: Tipica di pascoli montani, abbondante sui Piani. Parti usate: Fiori e foglie.

Tempo balsamico: Maggio-settembre.

Princi attivi: achilleina (glucoside), acido achilleico, azulene, acido valerianico, tannini, asparagina, fitosterolo, mucillagini, resine e olio essenziale.

Attività: astringente, decongestionante, cicatrizzante, tonicizzante, carminativa, antipiretica, antispasmodica, stomachica, ipotensiva, emostatica.

Usi tradizionali: In medicina popolare è usato come tonico per la circolazione sanguigna. In cosmetica vengono utilizzati l’estratto e l’olio essenziale di tale pianta a scopo calmante e lenitivo e nella preparazione di creme e shampoo. Studi scientifici suggeriscono che l’estratto metanolico di achillea può giocare un ruolo importante nella protezione dei tessuti normali contro danno genetico indotto da IR (Shahani S., 2015). L’uso più tradizionale è quello di emostatico e cicatrizzante; vengono utilizzate le foglie fresce e contuse sulle ferite (tradizione tramandataci da Plinio il Vecchio, secondo la quale Achille, istruito da Chirone, scoprì la capacità dell’achillea di guarire le ferite e con essa fece guarire Telefo). Nelle nostre aree ne viene fatto un decotto (infiorescenze complete di fusto e foglie) per la calcolosi renale e renella, ferite, ascessi ed edemei; utilizzata come infuso (fiori) per combattere cistite e ulcera dello stomaco, herpes e infiammazioni gengivali, infiammazioni vaginali, leucorrea, menopausa, mestruazioni assenti, irregolari e dolorose, ovaie infiammate o cistiche, splenomegalia, insufficienza circolatoria, prurito e punture di insetti, raffreddore.

Usi alimentari: Le foglie vengono unite ad insalate e minestroni per la loro capacità aromatizzante. Con fiori e foglie si preparano liquori tonificanti e digestivi.

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Allium neapolitanum Cyr

FIGURA 5ALLIUM NEAPOLITANUM CYR.

Famiglia: Liliaceae

Nome comune: Aglio napoletano Nome italo-albanese: Hudher

Descrizione botanica: Pianta erbacea perenne, bulbosa con bulbo contornato da numerosi bulbilli generalmente rossastri e con steli fiorali alti 20-50 cm, privi di foglie, con sezione trasversale a contorno triangolare con due angoli acuti ed uno ottuso. Le foglie nastriformi, in numero di 2 o 3 sono lunghe fino a 35 cm, inguainano le stelo per un quarto della sua lunghezza e sono carenate nella pagina inferiore. L’infiorescenza è un’ombrella senza bulbilli, densa, larga fino a 9 cm, a forma più o meno emisferica che inizialmente è avvolta da una spata papiracea ad una sola valva che ha forma ovata e acuminata, persistente anche dopo la fioritura. I

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fiori bianchi, profumati, ermafroditi, con 6 petali smussati e antere scure che ingialliscono con l’età, hanno forma di stella della dimensione massima di due cm, e sono portati da peduncoli fiorali tutti più o meno della stessa lunghezza che sono più lunghi della spata e tre volte più lunghi dei fiori. Sono impollinati da api ed altri insetti. Il frutto è una capsula circondata dai tepali disseccati. Habitat: Terreni ombrosi e umidi, prati, parchi, vigne, bordi stradali, giardini, radure

boschive, dal piano fino a 800 m. di altezza. Parti usate: Bulbi e parte aerea.

Tempo balsamico: Maggio-Giugno.

Principi attivi: allicina, flavonoidi glicosidi, alcaloidi.

Attività: Antidiabetico, diuretico, ipotensivo, vermifugo e antibatterico.

Usi tradizionali: È stato dimostrato che l’effetto antiipertensivo dell’estratto acquoso dei bulbi di aglio potrebbe essere associato all’interazione con i recettori adrenergici antagonisti β₂ coinvolti nella regolazione della pressione sanguigna (Nencini C., 2007). Nella nostra tradizione popolare l’aglio è usato sotto forma di alcolito (bulbo) nell’arteriosclerosi e diminuzione della concentrazione; come decotto (bulbo) nelle infiammazioni intestinali e delle vie urinarie; viene usato per il mal di denti mettendo direttamente una fettina di aglio sul dente dolorante; come spremuta insieme al succo di due limoni nelle affezioni asmatiche; pestato e applicato su calli e duroni; bollito e pestato nella prevenzione della carie; pestato e amalgamato con un pizzico di sale nelle discromie; consumato direttamente crudo per disturbi bronchiali e polmonari, per l’ipertensione e parassitosi intestinali.

Usi alimentari: In cucina può essere consumato in svariati modi, crudo in insalata, cotto per aromatizzare le pietanze.

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Amaranthus retroflexus L.

FIGURA 6AMARANTHUS RETROFLEXUS L.

Famiglia: Amaranthaceae

Nome comune: Amaranto comune. Nome italo-albanese: Nènesi.

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Descrizione botanica: Pianta erbacea annua monoica alta 20 - 300 cm. Fusto eretto legnoso nella parte inferiore, di colore verde chiaro e rossastro alla base, semplice o ramoso e pubescente nella parte distale formata da una grossa e densa infiorescenza. Anche i rami e i gambi sono rossicci alla base. Foglie lungamente picciolate (1,5 - 5,5 cm) con lamina intera, ovato romboide o ellittica con apice acuto, ottuso o piano, margine lievemente ondulato con nervature della pagina inferiore marcate e pubescenti 2-10 (15) x 1-5(7) cm. L'infiorescenza è una pannocchia compatta con spiga terminale ± uguale alle laterali con cima retroflessa o eretta, di colore verde o talvolta argentea o

rossastra o giallastra.

Tepali spatolato-obovati o lanceolato-spatolati con apice troncato o smarginato

e ± pari agli stimmi (2)2,5 - 3,5(4) mm.

Brattee dei fiori femminili lanceolate o subulate, con mucrone terminale rigido e pungente e superanti i tepali ((2,5) 3,5 - 5 (6) mm. Fiori unisessuali, pentameri con petali bianchicci. Stami 5 più lunghi del perianzio, stimmi 3 o raramente 2. Il frutto e un pissidio ellissoidale ± quanto il perianzio e deiscente orizzontalmente. Semi di colore marrone scuro o rossastro, di forma lenticolare a superficie rugosa e lucida (1)1,1 - 1,3(1,4) mm di Ø.

Habitat: Campi, posti ghiaiosi, incolti, ruderi, macerie e lungo il greto del fiume; da 0 a 900 m. di altitudine.

Parti usate: Foglie.

Tempo balsamico: Giugno-Ottobre.

Principi attivi: Acido linoleico, vitamina A e C, Sali di calcio e ferro. Attività: Astringenti e tonicizzanti.

Usi tradizionali: L'amaranto veniva usavato dagli indiani d'America come erba cerimoniale religiosa, come astringente, per un ciclo femminile troppo abbondante e medicamento ginecologico. Gli riconoscevano proprietà curative per l'apparato gastrointestinale, ne facevano un infuso per il mal di gola e ne ricavavano pane e dolci. Ai giorni nostri viene utilizzato solo nei rimedi omeopatici. È una pianta molto tossica per uso domestico. In foglie, steli e radici

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contiene nefrotossine, ossalati e nitrati che possono causare problemi respiratori, tremori, debolezza, possibile aborto, coma. È stata appurata la sua attività antinfiammatoria dovuta al suo alto contenuto di acido linoleico (Conforti F., 2011).

Usi alimentari: Le foglie più giovani sono utilizzate come minestra insieme ad altre piante. Nel paese di Civita una delle ricette più tradizionali è l’utilizzo di questa pianta come condimento di primi piatti. Altri piatti tipici della tradizione sono i nidi di amaranto (foglie lessate e soffritte insieme ad aglio, cipolla, pomodorini e salsiccia sbriciolata, e poi servite in cestini di formaggio grattugiato) e l’amaranto filante (foglie di amaranto lessate e servite insieme a formaggio tenero fuso).

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Atropa belladonna L.

FIGURA 7ATROPA BELLADONNA L.

Famiglia: Solonaceae Nome comune: Belladonna

Descrizione botanica: Pianta perenne, erbacea, caratterizzata da un grosso rizoma cilindrico, fusti eretti, sottilmente scanalati, con rami allargati. Altezza sino a 160 cm. Le foglie, picciolate, sono ovali, acuminate all'apice, alterne nella parte inferiore del fusto, mentre nella parte superiore sono inserite a 2 a 2 dallo stesso lato, una è molto più piccola dell'altra. I fiori che nascono all'ascella delle foglie, sono solitari, penduli e portati da lunghi peduncoli. Il calice è formato da 5 sepali, la corolla campanulata, si separa alla fauce in 5 lobi triangolari rivolti all'infuori e arrotondati all'apice; è di colore porporino-violaceo con base bianco-verdastra. I frutti sono bacche sferiche, di 13-18 mm di Ø, dapprima verdi poi nere e lucide a maturazione. Semi reniformi, subreniformi, lunati o avati, alveolati brunastri, di 1,3-1,8 mm.

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Habitat: Boschi e radure. Predilige terreni sabbiosi e argilllosi, ricchi di calcio, dalla pianura sino a 1.400 m.

Parti usate: Radice e foglie.

Tempo balsamico: Giugno-Settembre.

Principi attivi: Flavonoidi, tannini e alcaloidi quali atropina, josciamina e scopolamina Attività: Narcotica, spasmolitica, midriatica, analgesica, antiasmatica, antiparassitaria. Usi tradizionali: L’alcaloide che se ne estrae, l’altropina , viene impiegato nelle cure

cardiologiche e in oculistica. Studi scientifici appurano l’effetto antimicrobico dell’estratto etanolico della pianta contro batteri quali Staphilococcus aureus, metre l’estratto metanolico ha altissima attività antiossidante, comparato all’estratto etanolico (Munir N., 2014). Altri studi dimostrano il miglioramento dell’asma associato a malattia da reflusso gastroesofageo (consolidata negli adulti e meno forte in età pediatrica) tramite l’utilizzo di Pulvis stomachicus

cum Belladonna, farmaco usato nella medicina antroposofica contenente Atropa Bellabonna, Matricaria recutita, bismuto e antimonio. È ben noto l’effetto

grastroprotettore di Matricaria recutita e bismuto, mentre l’Atropa belladonna contiene agenti anticolinergici con effetto broncodilatatore (Von Schoen-Angerer T., 2016). Ancora studi scientifici stabiliscono che l'estratto ottenuto dalle parti aeree di A. belladonna è tossica per le zecche e la tossicità è direttamente proporzionale alla concentrazione dell'estratto. L'estratto metanolico ad una concentrazione del 20% ha causato 100% di mortalità nella specie Rhipicephalus (Boophilus) microplus, zecca tropicale; quindi viene comprovata anche la sua azione antiparassitaria (Godara R., 2014). Nella pianta vivente è assente l’atropina, è presente solo la josciamina. Dopo il raccolto la josciamina viene racemizzata, , protraendo a lungo il processo di essiccazione, e si forma l’atropina. L’atropina è un vagolitico perché blocca l’effetto colinergico postgangliare, in quanto si sostituisce all’acetilcolina sugli effettori colinergici, quindi agisce sul sistema parasimpatico. Provoca midriasi, diminuisce le secrezioni salivare, gastrica e sudorifera. Aumenta il numero delle pulsazioni cardiache nell’unità di tempo, deprima l’attività motoria del tubo gastro-intestinale. Risolve gli spasmi tonici dovuti a vagotonia. Usata con successo

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nella cura sintomatica del Parkinsonismo post-encefalitico (cura bulgara), nell’avvelenamento da funghi a contenuto muscarinico, da pilocarpina, da nicotina e da eserina (FU XII). A. belladonna importantissima per le popolazioni locali, soprattutto in ere passate, perché raccolta annualmente nelle montagne del gruppo del Pellegrino e venduta alle industrie farmaceutiche. Pianta tradizionalmente usata sia nel campo fitochimico che nel campo omeopatico, ma sempre con le dovute precauzioni perché pianta tossica.

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Borago officinalis L.

FIGURA 8BORAGO OFFICINALIS L.

Famiglia: Boraginaceae Nome comune: Borragine Nome italo-albanese: Verrajn

Descrizione botanica: Pianta erbacea annuale con fusti eretti, ramificati, alti fino a 50 cm. Le foglie sono opposte, spicciolate ovato-bislunghe, a volte bollose. I fiori generalmente bianchi (o rosei) sono riuniti in spighe suddivise in singoli verticilli. È marcatamente ispida in tutte le sue parti per la presenza di peli ispidi e pungenti.

Habitat: È presente negli incolti e nei coltivi, ma più frequentemente negli orti e vicino ai luoghi abitati.

Parti usate: Fiori, parti aeree e semi Tempo balsamico: Aprile-Agosto.

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Principi attivi: Acidi grassi polinsaturi, ovvero acido γ-linoleico. Discreto apporto di vitamina A, C e PP e di sali minerali quali ferro, fosforo, potassio e sodio. Attività: Diuretica, depurativa, emolliente, lenitiva della pelle e delle mucose arrossate,

antiossidante.

Usi tradizionali: La pianta è ben nota per la sua importanza terapeutica sulla salute umana, rinomata come antispasmodico, antipertensivo, antipiretico, afrodisiaco, emolliente, diuretico, ed è anche considerato utile per il trattamento di asma, bronchite, crampi, diarrea, palpitazioni, disturbi renali. Il decotto di borragine come neurotonico e cardiotonico e come rimedio casalingo per la purificazione del sangue. Studi scientifici suggeriscono che l’olio di borragine è di grande interesse sia nel campo medico che nel campo nutrizionale per via del suo alto contenuto di acido linoleico ed è anche noto per avere specie di ossigeno reattive e antiossidanti (ROS) con proprietà antiradicaliche (Bandonien e Murkovic 2002, Huang et al. 1995). Un recente studio ha portato alla sintesi di nanoparticelle di argento utilizzando un estratto di foglie secche di borragine, mostrando l’efficacia di queste AgNPs contro linee cellulari di cancro al polmone e cancro al collo dell’utero (Singh H., 2016). Recenti studi in doppio cieco hanno dimostrato qualche beneficio dell’olio di borragine nel trattamento dell’artrite reumatoide, essendo questa pianta ricca di acido γ-linoleico, considerato un forte soppressore del TNF-α, mediatore centrale di processi distruttivi e infiammatori nell’artrite reumatoide (Ghasemian M., 2016). E ancora è stata testata la sicurezza sul consumo di B. officinalis e dei suoi componenti fenolici nonché il suo utilizzo come pianta nutraceutica per la prevenzione del cancro, mostrando effetti antigenotossici (Lozano-Baena M.D., 2016). Studi preclinici e clinici suggeriscono l’uso della borragine come potenziale antidepressivo (Szafrański T., 2014). I popoli di queste terre ne facevano un decotto (stelo) da utilizzare contro il morso delle vipere, per la sua azione diaforetica.

Usi alimentari: Le foglie lessate vengono utilizzate come verdura cotta o per minestre con aggiunta di fagioli e condite con aglio e olio; come condimento di risotti o pasta fatta in casa, soffritte con aglio olio e peperoncino; come ripieno per ravioli o

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nelle frittate; le parti giovanili ed i fiori crudi vengono impiegati anche nelle insalate miste o aromatizzanti per infusi.

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Capparis spinosa L.

FIGURA 9CAPPARIS SPINOSA L.

Famiglia: Capparidaceae Nome comune: Cappero Nome italo-albanese: Qapar

Descrizione botanica: Pianta perenne suffruticosa, piccolo arbusto alto fino a 80 cm; presenta rami molto allungati, da decombenti ad ascendenti, legnosi nella porzione basale, sulla quale si formano ogni anno nuovi germogli che restano erbacei. Contrariamente a quanto si pensa, la parte edibile più conosciuta, che viene volgarmente detta "cappero", non è il frutto, bensì il bocciolo fiorale non ancora schiuso, che va raccolto presto perchè sboccerebbe nell'arco delle 24-48 ore successive alla sua comparsa. Anche il frutto è, comunque, commestibile. Le foglie sono alterne, carnose, con breve picciolo portato all’ascella di due stipole spinescenti; lamina intera, verde-lucida su entrambe le facce, obovato-tondeggiante, apice da ottuso a leggermente smarginato, base

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variabile. I fiori, intensamente profumati, sono ermafroditi, inseriti singolarmente con un lungo peduncolo all’ascella delle foglie superiori. Essi hanno 4 sepali cocleariformi verdi-arrossati, caduchi, e 4 petali obovati, molto grandi, di colore bianco o bianco-roseo. Stami numerosi di colore violaceo verso l'apice, biancastri alla base; l’ovario è portato da un lungo ginoforo e contiene numerosi ovuli, lo stigma è sessile. La fioritura può protrarsi per diversi mesi: da maggio a settembre si formano bottoni floreali ad ogni ascella fogliare. I frutti, detti cucunci, sono delle bacche ovoidali-allungate o, più di rado, piriformi, dapprima verdi, e poi, a maturazione, rossicce; contengono molti semi reniformi di colore nerastro, immersi in una polpa appiccicosa. Habitat: Cresce sui muri a secco, negli anfratti, sulle rocce, preferibilmente in vicinanza

del mare, su suolo calcareo, dal piano fino a 1000 m di quota.

Parti usate: Boccioli fiorali immaturi (comunemente chiamati capperi), radici e scorza Tempo balsamico: Appena prima della fioritura, giugno-luglio.

Principi attivi: Alcaloidi, flavonoidi, glucosinolati, acidi fenolici, terpenoidi, steroli e olio essenziale.

Attività: Ha proprietà diuretiche, antiossidanti, antinfiammatorie, antilipemiche.

Usi tradizionali: È stato segnalato che le parti aeree e le radici sono state utilizzati per il trattamento di reumatismi, problemi gastrointestinali, mal di testa, malattie renali e malattie del fegato, così come mal di denti (Esiyok et al., 2004; Mishra et al., 2007; Sher and Alyemeni, 2010; Zhou et al., 2010; Lansky et al., 2013). Ci è stato suggerito dalla medicina tradizionale araba l’uso di foglie radici e germogli per il trattamento di malattie della milza, problemi di stomaco, malattie della pelle, malattie renali, otiti e malattie epatiche (Al-Qura’n, 2009; Sher and Alyemeni, 2010; Tlili et al., 2011). I suoi frutti sono stati tradizionalmente utilizzati per il trattamento del diabete, mal di testa, febbre e reumatismi (Rivera et al., 2003; Jiang et al., 2007; Tlili et al., 2011). È stato anche riportato che le radici, i frutti e la corteccia sono stati utilizzati come diuretico, tonico e agenti antimalarici nella medicina tradizionale iraniana (Miraldi et al., 2001; Ahvazi et al., 2011; Mosaddegh et al., 2012). Soprattutto le foglie sono state tradizionalmente usate come analgensico, antireumatico, agente

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emorroidario (Tlili et al., 2011). Molti studi fino ad oggi hanno anche dimostrato che C. spinosa ha effetti antiossidanti e antitumorali (Mishra et al, 2007;. Tesoriere et al, 2007;. Lam e Ng, 2009; Aghel et al., 2010; Tlili et al., 2010). Infatti nelle zone di nostro interesse viene utilizzato come decotto (corteccia di radice) per infiammazioni cutanee facendo degli impacchi; come infuso (corteccia di radice) per gotta e infiammazioni delle vie biliari; come oleolito (corte di radice) per le emorroidi; come polvere (corteccia secca) per ascessi e mastiti miscelandola con dell’olio extra vergine di oliva; come vino medicinale (corteccia di radice) per inappetenza; viene addirittura utilizzato il frutto fresco pestato per lenire il mal di denti.

Usi alimentari: I boccioli, raccolti prima della fioritura, vengono conservati sotto sale o sotto aceto e usati per aromatizzare numerosi piatti. I frutti, chiamati “cucungi”, dopo essere stati tenuti alcuni giorni sotto sale, posso essere conservati con acqua e aceto. I giovani getti, privati delle spinule, si possono conservare sotto aceto, dopo esser stati bolliti in acqua e sale.

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Centranthus ruber (L.) DC

FIGURA 10CENTRANTHUS RUBER (L.)DC

Famiglia: Valerianaceae

Nome comune: Valeriana rossa

Descrizione botanica: Cespuglio perenne, alto 30-70 cm, legnoso alla base, glabro, glauco grassetto, con fusti eretti o ascendenti e ramosi che spuntano da un rizoma sotterraneo assai sviluppato. Le foglie sono opposte, intere o le cauline a volte appena dentate, ovato-lanceolate, le maggiori 2-3 volte più lunghe che larghe,

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lisce e acuminate all’apice, di colore verde azzurrognolo, le superiori sessili e generalmente amplessicauli con base arrotondatam le inferiori brevemente picciolate o cuneate. I fiori zigomorfi, ermafroditi, profumati, di 9 -10 mm, sono raccolti in densi corimbi, hanno la corolla gamopetala di colore rosa più o meno carico, rosso-violaceo e talvolta bianco, formata da un tubo conico con lembo diviso in 5 lobi ineguali, munita alla base di uno sperone lineare 2-3 volte più lungo dell’ovario infero; stami con filamento glabro, a volte di colore rosa carico, antere giallastre o rosate; stilo sporgente, stimma a tre lobi. Il frutto è un achenio sormontato da un pappo piumoso e persistente.

Habitat: Vecchi muri, rupi, terreni rocciosi di natura calcarea, bordo strade dal piano fino a 1300 m.

Perti usate: Radice e rizoma

Tempo balsamico: Maggio-Settembre.

Principi attivi: Tannini, resine, olii essenziali, alcaloidi e iridoidi (valepotriati, soprattutto valtrato).

Attività: Sedativa, antispasmodica e antinevralgica.

Usi tradizionali: È meno tossica della valeriana, anche se rizoma e radici hanno le stesse proprietà. Sono stati condotti studi farmacologici su valtrato, isolato da C.ruber, che hanno dimostrato la sua attività neurotropica, caratteristica degli psicolettici; quindi il valtrato contenuto nella valeriana rossa può essere incluso in quel gruppo di sostanze ad azione sedativa e più specificatamente nel gruppo degli ansiolitici (Manolov P., 1981). Nella nostra tradizione popolare la valeriana rossa viene utilizzata come decotto (radice) o alcolito (radice) per i disturbi d’insonnia; come macerato freddo (parte aerea) per ansia, asma, depressione, tachiardia, obesità e anche come afrodisiaco; l’infuso (radice) viene adoperato per cefalea e parassitosi intestinale. Grazie al suo odore pungente e alla sua crescita, quasi in forma infestante, le popolazioni di queste terre se ne sono servite per combattere in cattivi odori provenienti dai pollai.

Usi alimentari: Le foglie possono anche essere consumate in insalata nonostante il loro odore pungente.

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Chenopodium bonus- henricus L.

FIGURA 11CHENOPODIUM BONUS-HENRICUS L.

Famiglia: Chenopodiaceae

Nome comune: Farinello buon enrico, spinacio comune.

Descrizione botanica: Pianta erbacea perenne di aspetto farinoso e colloso dovuto alla presenza di numerosi peli vescicolosi, dotata di uno spesso rizoma. Ha un fusto eretto o ascendente, striato e foglioso, ramificato dalla base, alto 20-70 cm. Le

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foglie basali dotate di un lungo picciolo (10 - 20 cm), sono triangolari ed astate alla base con due angoli rivolti verso il basso, il margine è intero e leggermente ondulato, e la pagina superiore di colore verde scuro, mentre quella inferiore è chiara e farinosa. Brattee intere da ovate a lanceolate. Infiorescenza a spiga terminale allungata, bratteata e ramificata nella parte basale, a volte reflessa, rosso brunastra alla fruttificazione, formata da glomeruli di piccoli fiori bruno-verdastri, poco appariscenti e dimorfi: i terminali ermafroditi con 5 tepali e 5 stami, i laterali ermafroditi o femminili con 3-5 tepali e 2-4 stami, tutti i tepali sono saldati alla base e arrotondati nel dorso. Ovario supero uniloculare con un solo ovulo e sormontato da uno stimma bifido. I frutti sono acheni con semi neri e lucenti.

Habitat: Vegeta tra le macerie, stalle, lungo i recinti erbosi dove sosta il bestiame, nei pressi delle abitazioni, delle malghe, dalla zona collinare alla montagna da 500 a 2.100 m.

Parti usate: Foglie e rizoma.

Tempo balsamico: Luglio-Settembre.

Principi attivi: Olio essenziale noto come “essenza di chenopodio”, betalaine, ferro, vitamina B1, saponine e acido ossalico.

Attività: Emolliente, lassativa, vermifuga e epatoprotettiva.

Usi tradizionali: Per l'alto contenuto di ferro e altri sali e vitamine, è un ottimo demineralizzante ed è quindi un buon ricostituente, antianemico, lassativo e depurativo, però per il suo contenuto di acido ossalico è sconsigliato il consumo ai sofferenti di calcoli, artrite e reumatismi. Le sue foglie per il loro effetto emolliente sono indicate per far maturare foruncoli e ascessi e cotte brevemente in olio di oliva per impacchi su scottature e piaghe. Studi scientifici condotti sulle parti aeree di questa pianta hanno dimostrato la presenza di 3 nuovi flavonidi glicosidi con effetto epatoprotettivo (Kokanova-Nedialkova Z., 2017). Usi alimentari: Si consumano le foglie come per lo spinacio selvatico.

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Cichorium intybus L.

FIGURA 12CICHORIUM INTYBUS L.

Famiglia: Asteraceae Nome comune: Cicoria Nome italo-albanese: Shkӧjr

Descrizione botanica: Pianta erbacea, alta anche oltre un metro, facilmente riconoscibile da inizio estate fino ad ottobre per i capolini azzurro-cielo. Questi si schiudono all’alba e, nel richiudersi a sera, subiscono una decolorazione grazie a un particolare enzima che, attivato nelle ore più calde della giornata, agisce sui pigmenti contenuti nelle ligule fiorali. E’ specie perenne, ma proprio per la sua variabilità, a seconda del clima e dei terreni, può anche essere biennale o annuale. Le foglie della rosetta, sono irregolari, roncinate, dotate di una consistente nervatura centrale e aderenti al terreno. Le foglie del caule diventano invece progressivamente più piccole, lanceolate, a margine intero e sessili man mano che si sale.

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