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Proposta di trattamento combinato per la disfagia post-ictus: studio pilota di fattibilità

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Academic year: 2021

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1.DEGLUTIZIONE E MECCANISMI

FISIOLOGICI COINVOLTI

La deglutizione è una complessa attività neuromuscolare che consente il passaggio di materiale dalla bocca allo stomaco senza compromettere le vie aeree. Per far sì che ciò accada è necessaria una complessa integrazione tra controllo centrale e strutture anatomiche.

1.1 DEGLUTIZIONE NORMALE

Il normale processo deglutitorio prevede quattro fasi:

 preparazione orale,

 fase orale,

 fase faringea

 fase esofagea.

La preparazione orale consente di preparare il cibo alla deglutizione con l'azione combinata di guance, labbra, lingua, denti e palato molle che fanno sì che il bolo si muova all'interno della bocca, venga mescolato alla saliva e si modifichi in consistenza. I recettori della lingua, inoltre, ne percepiscono la viscosità inviando a corteccia e midollo allungato le informazioni sull'eventuale necessità di continuare la masticazione.

Durante la fase orale, che in soggetti normali dura 1-2secondi, il bolo viene sospinto verso la parte posteriore della bocca da parte della lingua che vi applica una pressione

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direttamente correlata con il suo spessore. Questa fase termina nel momento in cui si attiva il riflesso faringeo, mediato dal nervo glossofaringeo (IX paio di nervi cranici), che consiste nel rilassamento dello sfintere esofageo superiore e nel sollevamento palato molle, che determinano

la chiusura della nasofaringe in risposta ad uno stimolo

portato sulla superficie mucosa alla base della lingua.

Una volta che il bolo è giunto in faringe, inizia la prima delle due fasi involontarie della deglutizione, la fase faringea. Nonostante duri meno di un secondo questo passaggio è molto complesso prevedendo il coinvolgimento di quattro diverse componenti controllate dai neuroni motori: la valvola velofaringea, la laringe, la base della lingua e la regione cricofaringea.

Nel momento in cui la parte terminale del bolo raggiunge la base della lingua questa si retrae verso la parete posteriore

dell'orofaringe accompagnata dalla contrazione

contemporanea del muscolo glossofaringeo, delle fibre inferiori del muscolo costrittore faringeo inferiore e di parte della stessa parete. Si determina in questo modo un gradiente pressorio che consente l'ingresso del bolo in faringe. Successivamente, la valvola velofaringea ha il compito di indirizzare il bolo attraverso la faringe e prevenirne l'ingresso nelle cavità nasali comprimendolo contro il palato molte e le pareti faringee. A livello della laringe avviene invece un passaggio molto complesso che

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prevede la chiusura delle pieghe aritenoidee, l'ingresso di aria attraverso le false corde e l'inclinazione in avanti della base dell'epiglottide così da far sì che il bolo rimanga in faringe dirigendosi verso l'esofago senza che avvenga l'ingresso di aria. Infine, al termine della fase faringea interviene lo sfintere esofageo superiore (SES) che si apre grazie al rilassamento del muscolo cricofaringeo, allo spostamento in avanti e in alto della laringe a seguito dell'intervento della muscolatura ioidea e alla pressione generata sul bolo dalle componenti precedenti. L'ultima delle quattro fasi è il transito attraverso l'esofago sotto la spinta della muscolatura costrittrice. (Logemann, 2007)

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1.2 FATTORI FISIOLOGICI DI MODIFICA DELLA DEGLUTIZIONE NORMALE

Il meccanismo della deglutizione normalmente dura 2-3 secondi, tuttavia, fisiologicamente subisce delle variazioni di durata sia in base al tipo di cibo deglutito, sia in base a se sia o meno utilizzato il controllo volontario. Con l'aumentare dell'età l'intero meccanismo subisce un allungamento. Già a partire dai 60 anni si può notare come si abbia un aumento del ritardo nella fase faringea, un rallentamento nella risposta allo stimolo della faringe, una diminuzione del tempo di apertura cricofaringeo e una diminuzione dell'ampiezza e della velocità dell'onda peristaltica (Tracy et al., 1989). In soggetti di età superiore agli 80 anni si ha inoltre il passaggio da una deglutizione prevalentemente tipper type, in cui la punta della lingua si posiziona contro gli incisivi e il bolo in posizione sopralinguale, a una deglutizione prevalentemente dipper type nella quale il bolo si va a situare al di sotto della parte anteriore della lingua. Questa differenza fa sì che la lingua per sollevare il bolo debba inserirsi a cucchiaio al di sotto di esso prima di poterlo portare verso la faringe e ciò comporta quasi un raddoppio nella durata della fase orale (Dodds et al., 1989).

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Con l'avanzare dell'età si riduce anche la pressione esercitata dalla lingua durante la fase orale a seguito della fisiologica sarcopenia cui va incontro la muscolatura scheletrica e delle modificazioni a livello neuronale quali la riduzione delle unità motorie e delle sinapsi (Nicosia et al., 2000).

La durata del processo deglutitorio subisce un aumento anche in relazione al volume e alla viscosità dei cibi. È stato dimostrato, infatti, che un aumento delle dimensioni del bolo comporta una riduzione nella durata della fase orale in quanto la sua parte iniziale viene ad essere posizionata più posteriormente ma, al contempo, comporta anche un aumento nella durata della funzione valvolare faringea dato che si mette in atto una chiusura più prolungata della valvola faringea e della laringea e una apertura più prolungata dello sfintere esofageo superiore (Rademaker, Pauloski, Colangelo, & Logemann, 1998)

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1.3 MUSCOLATURA COINVOLTA

La fase orale, interamente volontaria, vede coinvolta la muscolatura scheletrica di guance, labbra e lingua e i muscoli masticatori: temporale, massetere, pterigoideo laterale e pterigoideo mediale. La chiusura della rima orale garantita dal muscolo orbicolare risulta fondamentale per far sì che il cibo non venga espulso dalla bocca durante la masticazione così come risulta essenziale l'azione del muscolo buccinatore che trae posteriormente la rima labiale e fa aderire le guance alle arcate alveolodentali. Lo spostamento delle labbra è invece dato dall'azione di un gruppo muscolare numeroso:

 muscoli grande e piccolo zigomatico e muscoli

elevatori dell'angolo e del labbro superiore sollevano e spostano il labbro superiore e la commessura labiale lateralmente

 muscolo risorio che stira lateralmente la rima

 muscoli depressori dell'angolo della bocca e del labbro

inferiore che portano labbro inferiore e commessura in basso e lateralmente.

Riguardo invece i muscoli masticatori, consentono l'innalzamento e lo spostamento mandibolare ovvero il cardine della masticazione.

L'azione della lingua è anch'essa estremamente importante ed è consentita da muscoli estrinseci ed intrinseci. I muscoli estrinseci sono:

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 genioglosso, in grado di abbassare e retrarre l'apice con i fasci anteriori, protrudere la lingua in avanti con i medi e comprimere la lingua su pavimento e mandibola con l'azione di tutti i fasci nell'insieme

 ioglosso e condroglosso che traggono la lingua indietro

e in basso

 stiloglosso, il quale sposta la lingua superiormente e

dorsalmente

 amigdaloglosso che agisce sulla base sollevandola

verso il velo palatino.

Gli intrinseci, cosiddetti perché hanno sia origine che inserzione nella compagine della lingua, sono quattro:

 longitudinale superiore che contraendosi consente alla

lingua di accorciarsi e formare una concavità superiore

 longitudinale inferiore il quale agisce spostando la

lingua in direzione sagittale e traendo l'apice indietro e in basso

 trasverso che accentua la convessità dorsale

 verticale che appiattisce la lingua.

Questa muscolatura, durante la fase orale, fa sì che la lingua raccolga il cibo in cavità orale, faccia sì che divenga un unico bolo e lo spinga indietro sollevandolo contro il palato duro. Il palato molle, ultimo elemento muscolare coinvolto nella fase orale, è invece costituito dal muscolo glossopalatino. Ha il compito, mantenendosi in basso e in avanti contro la base della lingua, di far sì che il bolo rimanga in cavità orale ma,

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quando il tipo di cibo richiede una masticazione di maggiore forza (come nel caso di un pezzo di mela) si allontana dalla base linguale per garantire al bolo un accesso in faringe graduale. Si parla in questo caso di premature spillage.(Logemann, 2007)

La fase faringea, prima fase involontaria, inizia con la contrazione del muscolo miloioideo contestuale all'inizio della contrazione del ventre anteriore del muscolo digastrico e del muscolo pterigoideo interno e alla contrazione di genioglosso, stiloioideo, muscolatura intrinseca posteriore della lingua, costrittore superiore della faringe, palatoglosso e palatofaringeo i quali nell'insieme costituiscono il leading complex muscolare che dà sempre avvio all'atto deglutitorio. I costrittori faringei medi e inferiori si contraggono in sequenze sovrapposte a cui si associano fenomeni inibitori

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particolarmente intensi a carico della muscolatura laringea. Il costrittore medio si attiva solo a partire dal secondo terzo dell'azione del leading complex con un'attività che aumenta gradualmente fino ad un breve picco a cui segue una riduzione graduale. La muscolatura costrittrice inferiore si attiva invece solo al termine dell'attività del leading complex. Nel momento in cui l'onda peristaltica raggiunge lo sfintere esofageo superiore (SES) ha termine la fase orofaringea. Fisiologicamente, in fase di riposo lo SES è chiuso dal muscolo cricofaringeo tonicamente contratto. L'inibizione della contrazione tonica con conseguente rilassamento e apertura dello SES inizia all'avvio del processo deglutitorio e non termina fino a quando il muscolo cricofaringeo si attiva spingendo il bolo in esofago.

L'attività elettromiografica della muscolatura faringea è rappresentata da scariche fasiche il cui range è in genere compreso tra 200 e 600 ms a seconda del muscolo coinvolto. L'onda di contrazione invece procede a una velocità di 10-20 cm/s prima di arrivare allo SES dando una spinta che arriva fino a 200mmHg in ipofaringe. La durata dell'intera sequenza di contrazione faringea presenta infine una durata compresa tra 0.6 e 1 s.

In aggiunta all'attività di scarica, quando presente un'attività di fondo questa viene bruscamente inibita all'inizio della scarica stessa e l'inibizione è mantenuta fino all'avvio dell'effettiva contrazione muscolare. Analoga inibizione può

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essere riscontrata nel leading complex subito prima che si contragga durante la deglutizione così come una forte inibizione dell'attività di fondo è osservata al termine dell'attività di scarica. Ciò significa che la fase orofaringea comprende una sequenza di attivazione e inibizione della muscolatura coinvolta che deve necessariamente essere sincronizzata durante la sequenza motoria. Si è visto inoltre che la sequenza motoria costituisce un processo motorio di tipo "tutto o nulla" per cui nel momento in cui inizia viene inevitabilmente trasmessa allo SES.

Dal punto di vista del controllo muscolare, la fase esofagea in confronto alla fase faringea risulta essere estremamente più semplice. Si tratta infatti di un'onda di contrazione peristaltica che si propaga attraverso l'esofago consentendo il passaggio del bolo fino allo stomaco. A riposo, la muscolatura esofagea non presenta attività elettromiografica a indicare che non si ha attività né tonica né ritmica. La contrazione peristaltica una volta avviata si porta in senso cranio-caudale con una velocità di 2-4 cm/s (quindi nettamente inferiore alla velocità della sequenza faringea) con un'ampiezza variabile da 35-70 mmHg a 180-200mmHg. La durata complessiva di questa fase è maggiore della fase faringea potendo arrivare anche a 4s.

La fase esofagea termina nel momento in cui l'onda raggiunge lo sfintere esofageo inferiore (SEI). A riposo, lo

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SEII presenta una contrazione tonica modulata da fattori neurali, ormonali e paracrini che impedisce il fenomeno del reflusso gastro-esofageo e viene inibita durante tutta la deglutizione fino all'arrivo di una contrazione fasica. L'onda peristaltica in questo caso è una sequenza di impulsi eccitatori ma prima della contrazione si ha, analogamente a ciò che accade per la faringe, un input inibitorio denominato "inibizione deglutitoria" di cui fa parte il rilassamento dello SEI. (Jean, 2001) (Bosma, 1955)

1.4 CONTROLLO NERVOSO

Storicamente, il controllo della muscolatura e delle vie nervose coinvolte nella deglutizione era considerato sotto l'esclusivo controllo del midollo allungato in cui è situato il centro della deglutizione (lateralmente rispetto alla sostanza

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reticolare e al di sotto del nucleo del tratto solitario) e in cui si situano tutti i centri di controllo delle attività ritmiche, a cui la deglutizione appartiene. Studi di neuroimaging e di tecniche di stimolazione cerebrale hanno però dimostrato come vi sia un ruolo fondamentale anche della corteccia motoria. Il midollo allungato riceve infatti non solo afferenze periferiche dai sensori laringei e faringei, ma anche input dalla corteccia, con la funzione di controllare la deglutizione volontaria e, soprattutto, di innescare l'ingestione e controllare la muscolatura coinvolta nel processo.

La muscolatura deglutitoria è stato evidenziato essere somatotopicamente, bilateralmente e asimmetricamente rappresentata nella corteccia motoria e premotoria. (Hamdy et al., 1996). Tramite risonanza magnetica funzionale (fRMI) è stato possibile osservare come l'attivazione corticale durante la deglutizione sia maggiore nella corteccia motoria primaria e nella corteccia somatosensitiva primaria. E' stato inoltre possibile localizzare il centro di controllo nella corteccia motoria situata al di sopra della porzione laterale medioinferiore del giro precentrale che corrisponde alla regione della faccia, della lingua e del faringe e si situa dunque dorso-caudalmente rispetto alla regione di controllo della mano. (Shaheen Hamdy, 2006)

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La deglutizione volontaria risulta quindi dall'attivazione delle aree coinvolte non solo nell'organizzazione della deglutizione stessa ma anche nel riconoscimento del segnale e nella reazione e pianificazione dell'evento: differenti compiti deglutitori producono mappature corticali differenti.

In particolare, in tutte le tipologie deglutitorie si riconosce l'attivazione prevalentemente del giro laterale precentrale, del giro postcentrale, dell'area motoria supplementare e della corteccia insulare. Il riflesso deglutitorio produce inoltre un'attivazione bilaterale della corteccia motoria e della corteccia somatosensitiva primaria presente in tutti i

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soggetti. Durante la deglutizione volontaria è invece maggiormente attivo il cingolo caudale anteriore rispetto a ciò che si verifica durante la deglutizione riflessa. Altre aree che si evidenziano attive con la fRMI sono il giro pericentrale e la corteccia cingolata anteriore, coinvolte nell'atto deglutitorio, ma anche cuneo e precuneo, coinvolti nel processamento del segnale.

Per identificare le regioni coinvolte nell'atto deglutitorio anziché nella sua pianificazione, gli studi di neuroimaging hanno osservato le aree attivate durante i movimenti linguali. Si è così potuto apprezzare che durante la deglutizione volontaria si attivano la porzione laterale della corteccia pericentrale sinistra e parietale anteriore, la corteccia cingolata anteriore rostrale, il precuneo, il cuneo, il giro medio frontale e l'opercolo parietale destro. Sono state anche evidenziate regioni associate alla chiusura della mandibola, all'arricciamento delle labbra e all'arrotolamento della lingua.

Come detto in precedenza, la rappresentazione è bilaterale ma per alcune aree si ha una dominanza emisferica e dunque l'attivazione è asimmetrica. In particolare, il 63% dei soggetti mostra una dominanza dell'emisfero sinistro e questo spiegherebbe perché nella maggior parte dei pazienti disfagici a seguito di ictus ritroviamo un danno all'emisfero sinistro (vedi oltre).

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postcentrale ma si osserva anche nel giro mediolaterale precentrale, nella corteccia somatosensitiva, nell'area motoria supplementare, nella corteccia prefrontale, nel giro trasverso temporale, nell'insula, nell'opercolo, nel giro del cingolo, nella capsula interna e nella corteccia premotoria. È importante inoltre osservare come, qualora l'emisfero dominante sia il destro, si abbia invece una maggior lateralizzazione in questo senso.

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2.DISFAGIA NELL'ICTUS

2.1 DEFINIZIONE E CAUSE DI DISFAGIA

Si definisce disfagia un'alterazione nella deglutizione che può derivare da anomalie anatomiche a carico di cavità orale, faringe, laringe o esofago o da alterazioni nel controllo di queste strutture. Può essere conseguente ad alterazioni congenite, a traumi, patologie degenerative, chirurgia e

alterazioni neurologiche improvvise o progressive.

(Logemann, 1984)

La classificazione della disfagia può essere eseguita sia basandosi sull'eziologia, sia basandosi sulle strutture danneggiate.

In base alla sede del danno possiamo identificare una disfagia esofagea in cui è alterato il passaggio del bolo dalla faringe all'esofago per cause meccaniche o per cause funzionali e una disfagia orofaringea, caratterizzata da

complicazioni nell'inizio della deglutizione e nel

coordinamento dei riflessi neurologici coinvolti.

Le principali cause della disfagia orofaringea, oggetto principale di questa tesi, sono:

◦ malattie neurologiche quali ictus, morbo di Parkinson, Sclerosi Multipla (SM), Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), traumi cranici

◦ malattie miopatiche quali la Myastenia Gravis e la polimiosite

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Lyme

◦ malattie metaboliche quali la tireotossicosi e l'amiloidosi

◦ cause iatrogene da esiti di chirurgia del distretto testa-collo, radioterapia, chemioterapia.

Il danno conseguente a queste patologie sarà a carico di labbra, lingua, muscolatura del viso e faringe.

Nel momento in cui le labbra non riescono a chiudersi in modo adeguato si verifica caduta di cibo dalla bocca. Se invece si ha una perdita di tono della muscolatura scheletrica del viso si creano anomalie nella masticazione e nella gestione del bolo in cavità orale con conseguente residuo di cibo. La lingua gioca il ruolo fondamentale della fase orale, infatti, qualora ne siano alterati i movimenti il paziente non riesce a masticare efficacemente e il cibo viene portato verso la faringe con difficoltà facendo sì che rimanga una grande quantità di residuo in cavità orale e, qualora sia alterata la capacità della base di porsi a contatto con la parete faringea, determinando ristagno nelle vallecule sopraepiglottiche.

Molti paziente affetti da disfagia orofaringea presentano un ritardo nell'avvio del riflesso faringeo e questo provoca un'inadeguata chiusura delle vie aeree che può provocare residui lungo il muro faringeo. La presenza di questi residui a sua volta può esitare nella loro penetrazione o nella loro aspirazione, le due complicanze principali della disfagia. La penetrazione consiste nel passaggio di materiale in

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laringe che non oltrepassa le corde vocali rimanendovi accumulato al di sopra. L'aspirazione è, invece, il passaggio di materiale al di sotto delle corde vocali con conseguente inalazione nelle vie aeree inferiori.

Una precisa diagnosi eziologica della disfagia risulta pertanto essenziale per programmare la tipologia di trattamento a cui sottoporre il paziente e prevenire le complicanza sopracitate.

2.2 INCIDENZA

Dato il coinvolgimento di tutte queste strutture, disturbi della deglutizione possono dunque verificarsi a seguito di lesioni delle aree encefaliche adibite al controllo della deglutizione volontaria, mediante l'interruzione delle connessioni cortico-bulbari con il centro della deglutizione, i nervi craniali posti nel tronco encefalico, l'innervazione periferica che ne modula il processo, la giunzione neuro-muscolare o la muscolatura stessa. Questo fa sì che la disfagia sia presente come normale processo di invecchiamento in circa il 20 % della popolazione generale ma gli studi mostrano come nei soggetti affetti da ictus la sua incidenza aumenti fino al 40-50% (Kim, Chun, Kim, & Lee, 2011) con picchi del 76% (Khedr, Abo-Elfetoh, & Rothwell, 2009). Da una prospettiva neuroanatomica si ricava in particolare come stroke unilaterali comportino disfagia nel 40%, lesioni bilaterali o emisferiche nel 56%, lesioni midollari nel 67% e lesioni cortico-sottocorticali nell'85% (Broadley et al., 2003).

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2.3 CONSEGUENZE

Come conseguenza si ha un significativo impatto sulla morbilità e sulla mortalità (Cheng, Chan, Wong, & Cheung, 2015; Sharma, Fletcher, Vassallo, & Ross, 2001) oltre che sui costi di gestione del paziente e sulla durata dei ricoveri.(Altman, Yu, & Schaefer, 2010; Bonilha et al., 2014) . Nei pazienti in trattamento riabilitativo per disfagia si osservano, infatti, un aumento di 13 volte del rischio di mortalità e un aumento del 40% della durata del ricovero rispetto a pazienti ictati non disfagici (Altman, Yu, & Schaefer, 2010).

Difficoltà deglutitorie sono responsabili di un aumentato rischio di malnutrizione, disidratazione e complicazioni polmonari quali la polmonite ab ingestis (Foley, Martin, Salter, & Teasell, 2009) che insorge in una percentuale di pazienti che arriva al 20% (Hilker et al., 2003) e che rappresenta un'importante causa di morte in questi pazienti derivando, non solo dall'aspirazione, ma anche da un igiene orale carente e dall'immunosoppressione che si può talvolta riscontrare in questi soggetti.

Difficoltà deglutitorie possono infine essere associate anche un'aumentata incidenza di ansia e depressione (Eslick & Talley, 2008).

2.4 TERAPIE ATTUALI

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attualmente è quello di ridurre l'aspirazione e di gestire le difficoltà deglutitorie piuttosto che riabilitare la deglutizione. Al momento non esistono, infatti, terapie in grado di risolvere il problema della disfagia e fino all'80% dei pazienti disfagici dopo stroke non viene correttamente diagnosticato né riceve un adeguato trattamento. Studi hanno anche dimostrato che gli interventi terapeutici in uso nei pazienti adulti disfagici dopo ictus ottengono scarsi risultati sia sul recupero funzionale sia sulla mortalità (Geeganage C, 2012). La gestione della disfagia attualmente prevede:

 modificazione della consistenza dei cibi e dei liquidi

 aggiustamenti posturali

 cambiamenti nella tecnica deglutitoria grazie a

tecniche riabilitative.

Le tecniche compensatorie supportano la gestione di cibo e bevande e riducono il rischio di aspirazione ma sono comunque accorgimenti a breve termine che non migliorano la fisiologia della deglutizione né promuovono il recupero neuronale.

La modificazione nella consistenza di cibi e liquidi viene individualizzata tenendo conto del rischio di aspirazione e del livello di compromissione della deglutizione. L'addensamento dei liquidi, ad esempio, rallenta la progressione del bolo e ne aumenta la coesione determinando in questo modo la riduzione di penetrazione e aspirazione. La qualità e l'entità della modifica da applicare al cibo sono però estremamente

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soggettive in funzione del fluido di base, della temperatura, della capacità da parte del soggetto di bere e del tipo di

addensante utilizzato e conseguentemente si ha

un'importante variabilità sia intraindividuale che

extraindividuale.

Per quanto riguarda gli aggiustamenti posturali, questi sono usati per indirizzare al meglio il bolo e per modificare le dimensioni faringee così da garantirne un passaggio più agevole. Tra queste una delle manovre più utilizzate, la chin tuck, prevede di portare il mento al petto chinando il capo così da ritardare l'avvio del riflesso deglutitorio e ridurre l'elevazione della laringe.

Le tecniche di riabilitazione come gli esercizi per bocca e lingua si concentrano invece maggiormente sul tentativo di aumentare la forza e la resistenza muscolare. Questo consente di aumentare la pressione isometrica ma sono comunque esercizi rivolti solo a una specifica fase della deglutizione che quindi non permettono di applicarli al processo deglutitorio di tipo funzionale. Inoltre, tutto questo richiede la capacità da parte del paziente di eseguire questi esercizi anche nell'ambito di training intensivi (Burkhead, Sapienza, & Rosenbek, 2007) rendendo difficoltoso il loro utilizzo nei soggetti con alterazioni cognitive e del linguaggio e determinando un importante impatto sulla qualità di vita che può portare anche ad outcome negativi in assenza di compliance.

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Non sono invece ad oggi istituiti dei trattamenti medici nonostante numerosi studi abbiano investigato su varie tecniche comprese la terapia comportamentale, l'agopuntura e alcuni farmaci.

Sebbene dunque ci siano dei riscontri positivi sull'uso di tecniche compensatorie e modifiche posturali, queste tecniche non sono completamente efficaci e sono usate in modo ampio ma anche differenziato quindi risulta difficile individuare un trattamento standard della disfagia. Da qui la necessità di ricercare nuove metodiche. (Cohen et al., 2016)

2.5 NEUROFISIOPATOLOGIA

Un approfondimento con studi neuroanatomici ha evidenziato un'asimmetria nell'organizzazione corticale secondo cui la disfagia risulterebbe essere conseguenza di un danno nella corteccia faringea "dominante". Si è inoltre osservato come soggetti con stroke che coinvolge l'emisfero destro tendano a sviluppare disfagia faringea mentre soggetti con stroke che coinvolge l'emisfero sinistro sviluppino soprattutto disfagia orale. (Robbins & Levin, 1988).Come detto in precedenza, la muscolatura deglutitoria miloioidea, faringea ed esofagea è discretamente e somatotopicamente organizzata nella corteccia motoria e premotoria con una consistente lateralizzazione della muscolatura faringea ed esofagea indipendente dalla lateralizzazione del controllo degli arti. Un'osservazione

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interessante che è stata fatta tramite fMRI è che la disfagia dopo un evento ictale appare essere associata a un'area faringea di dimensioni ridotte nell'emisfero non affetto. La neurostimolazione ha poi confermato ed integrato questo dato. Infatti, il fatto che si tratti di una funzione bilaterale comporta in soggetti con disfagia post-ictus (rispetto a soggetti con ictus non disfagici) una riduzione dell'eccitabilità sia dell'emisfero affetto che di quello non affetto, misurata attraverso i PEM dei muscoli coinvolti nella deglutizione. Il recupero della funzione deglutitoria appare invece legato ad un aumento dell'eccitabilità dell'emisfero sano e, come osservato con fMRI, ad un ingrandimento dell'area faringea corticale dello stesso.

Questo meccanismo neurofisiologico di recupero è diverso da quello che si verifica nel recupero della funzione motoria dell'arto superiore, dove ciò che si osserva è un aumento del volume dell'area corticale

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corrispondente nel lato affetto e ad un concomitante recupero dell'eccitabilità dello stesso (cioè un aumento dell'ampiezza del MEP) (Cohen et al., 2016; Hamdy et al., 1996; Park, Oh, Lee, Yeo, & Ryu, 2013). Ciò fa sì che, come descritto in seguito, l'emisfero non affetto sia considerato da molti autori come il target principale per la stimolazione.

L'asimmetria della rappresentazione corticale spiega inoltre perché lo sviluppo della disfagia dopo uno stroke presenti un'importante variabilità sia in gravità che in durata (Hamdy et al., 1996) e consente di affermare che in ogni fase della deglutizione si ha l'attivazione di un'area specifica della corteccia motoria e che ciascuna di queste aree agisce individualmente sul midollo allungato.

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3.TECNICHE DI NEUROSTIMOLAZIONE

3.1 LE TECNICHE DI NEUROSTIMOLAZIONE

Le tecniche di neurostimolazione si basano sulla capacità degli impulsi elettrici di modulare la trasmissione nervosa e stimolare la neuroplasticità, ovvero la proprietà intrinseca del sistema nervoso di modificare la sua funzionalità e riorganizzarsi dopo una lesione creando nuove connessioni e acquisendo nuove funzionalità per compensare il danno (Pascual-Leone, Amedi, Fregni, & Merabet, 2005). In particolare, le modificazioni che si verificano durante la plasticità possono essere riconducibili sia a un rafforzamento dell'attività sinaptica, noto come Potenziamento a Lungo Termine (Long Term Potentiation, LTP), sia a una plasticità cosiddetta maladattativa, in cui si assiste invece a una riduzione nell'attività sinaptica denominata Depressione a Lungo Termine (Long Term Depression, LTD).

La neurostimolazione viene scoperta già nel 1859 da J.Althaus che la usò per trattare il dolore post-operatorio stimolando i nervi periferici e, con l'avvento della terapia elettroconvulsiva nel 1930, ha iniziato ad essere utilizzata anche per la stimolazione della materia cerebrale.

La più nota storicamente di queste tecniche è la terapia elettroconvulsiva (comunemente detta "elettroshock") che, tramite l'invio di corrente elettrica attraverso l'encefalo, produce delle vere e proprie crisi convulsive ma vi è anche un numero importante di tecniche non convulsivanti. Tra

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queste ultime, le più usate al giorno d'oggi sono la stimolazione transcranica a corrente diretta (Trascranial Direct Current Stimulation, tDCS), che sfrutta l'invio di impulsi elettrici tra un anodo e un catodo posti sulla

superficie cranica provocando depolarizzazione e

iperpolarizzazione corticale, e la stimolazione magnetica transcranica (Transcranial Magnetic Stimulation, TMS), oggetto di questa tesi, in cui viene inviato un impulso magnetico convertito in campo elettrico al raggiungimento dell'encefalo.

L'impiego di queste metodiche è estremamente eterogeneo e si sono rivelate utili sia per la valutazione delle modificazioni neuroplastiche, sia come trattamenti per il recupero funzionale.

3.2 STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA

Con Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) si intende una tecnica sicura e non invasiva che prevede l'utilizzo di un generatore di impulsi ad alta intensità in grado di determinare una scarica di corrente di diversi Ampere che passa attraverso un coil generando un breve impulso magnetico con un campo di diversi Tesla.

Il principio su cui si basa è quello per il quale il campo magnetico di circa 1-3 Tesla originato dal coil appoggiato sul capo del paziente, pur attenuato dai tessuti extracerebrali (scalpo, scatola cranica, meningi

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e liquor), genera un campo elettrico sufficiente a depolarizzare la superficie assonale e ad attivare i network corticali.

Per le sue proprietà la TMS può essere utilizzata con diverse modalità e per diversi scopi. Le modalità di utilizzo vengono classificate in base al numero di impulsi inviati e si parla dunque di single-pulse TMS, paired-pulse TMS e repetitive-TMS.

Nella single-pulse TMS gli impulsi vengono inviati singolarmente. Viene utilizzata essenzialmente a scopo diagnostico con tre possibili differenti quesiti: (I) la valutazione della presenza, della durata, della velocità e dell'ampiezza dei Potenziali Motori Evocati (MEP) (vedi oltre) mediante stimolazione dell'area motoria primaria nell'ottica di una valutazione dell'integrità del tratto cortico-spinale. La paired-pulse TMS può essere utilizzata sia su una singola regione sia su più regioni. Sulla singola regione, tipicamente viene applicata all'area motoria primaria a cui vengono somministrati un impulso sottosoglia e un impulso soprasoglia in modo, sulla base dell'intervallo con cui vengono somministrati, da aumentarne o ridurne la risposta tramite l'ouput cortico-spinale. In questo modo si ricavano informazioni sull'eccitabilità corticale. Si può però utilizzare anche applicando l'impulso su due regioni cerebrali spazialmente distinte quali ad esempio l'area motoria primaria di un emisfero e la sua analoga controlaterale o

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l'area premotoria. Questo consente di fatto la valutazione dei circuiti cortico-corticali e cortico-spinali sia di tipo eccitatorio sia di tipo inibitorio.

La TMS ripetitiva, infine, si ottiene mediante la somministrazione di impulsi ripetuti a frequenza variabile a seconda di ciò che si vuole ottenere. Impulsi somministrati, a bassa frequenza (1Hz) hanno infatti azione inibitoria sulla corteccia in quanto creano una sorta di “lesione virtuale” mentre impulsi somministrati ad alta frequenza (5-20Hz) determinano un aumento dell'eccitabilità. La rTMS è in grado dunque di indurre una serie di modificazioni a lungo termine sia LTP-like sia LTD-like, cioè sia sottoforma di aumento dell'attività sinaptica, sia sottoforma di riduzione (Chisari, Fanciullacci, Lamola, Rossi, & Cohen, 2014). Per questo motivo è utilizzata a scopo terapeutico in diverse condizioni patologiche come ictus, depressione, tinnito, disturbo ossessivo-compulsivo, dolore cronico, emicrania, epilessia refrattaria, distonia, tremore e spasticità.

3.3 FATTORI CHE INFLUENZANO LA TMS

L'azione della densità di corrente dipende tuttavia da diversi fattori sia fisici che biologici:

1. tipo di coil utilizzato 2. orientamento del coil

3. distanza tra il coil e l'encefalo 4. forma dell'onda magnetica

(29)

5. intensità, frequenza e pattern di stimolazione

6. orientamento encefalico delle linee di corrente e di eccitabilità neuronale.

1) Il coil utilizzato può essere diverso in base alle esigenze di trattamento. I principali tipi utilizzati sono:

 circolare --> ad ampio raggio d'azione, tale per cui

ponendolo al vertice del cranio si ottiene una stimolazione bilaterale;

 ad otto --> agisce su zone di stimolazione di pochi

centimetri ed è sensibile alle variazioni di orientamento del manubrio;

 a doppio cono --> usato per raggiungere le regioni

encefaliche più profonde.

2) Ruolo fondamentale, secondo diversi studi effettuati (Sakai et al., 1997) (Di Lazzaro V, 2003), lo ha anche l'orientamento del coil. Stimolando la corteccia motoria primaria, in particolare, si è visto come un coil orientato parallelamente alla linea interemisferica faccia sì che la corteccia attivi il tratto piramidale solo indirettamente attraverso il reclutamento di neuroni corticali, mentre, ponendolo perpendicolarmente alla linea interemisferica stessa, si abbia un'attivazione anche diretta del tratto piramidale con la generazione di onde a livello spinale. Questo dimostra che, nel momento in cui si utilizza un coil a 8, la posizione e l'orientamento rispetto al solco e al giro e la direzione della corrente indotta attraverso l'encefalo giocano

(30)

un ruolo chiave.

3) Il campo magnetico si spegne rapidamente in funzione della distanza del coil: il campo magnetico generato da un coil circolare è inversamente proporzionale al cubo della distanza mentre il campo generato dal coil a 8 è inversamente proporzionale a 4 volte la distanza.

4) In merito alla forma dell'onda magnetica, gli impulsi monofasici, infatti, attivano una sola popolazione di neuroni orientati nella stessa direzione così i loro effetti vengono facilmente sommati mentre gli impulsi bifasici attivano differenti popolazioni neuronali perciò la somma degli impulsi non risulta così netta. L'onda monofasica, che di norma è utilizzata per i trattamenti single-pulse, potrebbe quindi essere utilizzata per ottenere un effetto più prolungato rispetto alla bifasica che determina un pattern di attivazione neuronale più complesso ma è stato dimostrato che l'rTMS con onde bifasiche risulta essere più potente come evidenzia l'ampiezza dello stimolo che, a parità di intensità di stimolazione, è più alta e più lunga. Per l'rTMS generalmente si utilizza dunque l'onda bifasica. (Sommer et al., 2006) (Arai N, 2005; Sommer et al., 2006))

5) L' rTMS viene generalmente utilizzata secondo due regimi di trattamento:

 TMS a bassa frequenza (low-frequency rTMS) in cui

sono utilizzate frequenze pari o inferiori a 1Hz in grado di ridurre l'eccitabilità neuronale

(31)

 TMS ad alta frequenza (high-frequency rTMS) in cui sono utilizzate frequenze pari o superiori a 5Hz in grado di incrementare l'eccitabilità neuronale.

Si tratta di una tecnica completamente non invasiva il cui unico rischio concreto è quello di generare crisi epilettiche in soggetti con storia di epilessia o particolarmente suscettibili. È inoltre potenzialmente dannosa sugli impianti metallici, soprattutto ferromagnetici, la cui presenza rende il soggetto inidoneo all'utilizzo di questa metodica. Il movimento del target, infine, può generare danno tissutale.

L'intensità del campo è minore o uguale a quelle delle moderne RM e non ci sono evidenze che un breve impulso sia più dannoso di un campo statico che sembra, esso stesso, non provocare danno. Il fatto che il campo magnetico si spenga rapidamente in base alla distanza dal target, infine, rende utilizzabile la TMS anche nelle donne in gravidanza. (Bailey, Karhu, & Ilmoniemi, 2001)

Nonostante la sua efficacia e la sua non invasività sono però necessari studi più approfonditi per valutarla anche in combinazione a trattamenti farmacologici. Sono inoltre necessari approfondimenti per stabilire quale sia il meccanismo alla base del suo funzionamento, ad oggi non ancora completamente noto malgrado si pensi che uno dei principali effetti provocati dalla TMS e, conseguentemente, alla base della sua efficacia, sia un cambiamento nella concentrazione dei neurotrasmettitori quali la dopamina

(32)

endogena (Bailey et al., 2001; Chervyakov, Chernyavsky, Sinitsyn, & Piradov, 2015) e il GABA (Park, Oh, Lee, Yeo, & Ryu, 2013).

3.4 TMS NELLO STROKE

L'utilizzo della rTMS nello stroke è relativamente recente: i primi trials risalgono infatti al 2001. L'obiettivo del suo utilizzo è quello di correggere l'alterata plasticità cerebrale indotta dall'ictus o di stimolare la plasticità neuronale adattativa durante la riabilitazione grazie alle modifiche dell'eccitabilità neuronale e ai cambiamenti nelle connessioni neurali che è in grado di determinare.

Il potenziale terapeutico e i meccanismi sottostanti all'azione di stimolazione corticale dipendono dalle dimensioni e dal sito della lesione oltre che dal tempo trascorso tra l'evento e l'inizio del trattamento, dallo stato di attività cerebrale e dalla variabilità interindividuale.

Il tempo trascorso dall'evento in particolare è fondamentale per comprendere lo stato del recupero spontaneo, un meccanismo che si verifica soprattutto nel primo mese dopo lo stroke, a seguito di modificazioni neuronali spontanee quali la risoluzione della diaschisi, quel fenomeno per cui contestualmente al verificarsi di una lesione in una data regione, le aree ad essa connesse anche se spazialmente distinte vanno incontro a riduzione nell'attività metabolica e

(33)

nell'afflusso di sangue. Il razionale di somministrare un trattamento TMS in acuto è pertanto quello di favorire la

plasticità neuronale ribilanciando le connessioni

interemisferiche, prevenendo la plasticità maladattativa e normalizzando l'attività neuronale. Ad oggi infatti i protocolli sperimentali di utilizzo della rTMS nelle disabilità cognitivo-motorie post-ictus sono disegnati basandosi sul principio della competizione interemisferica, che viene ad alterarsi in seguito all’evento ischemico. Secondo tale modello i deficit motori che si verificano in seguito ad un ictus sono determinati da una riduzione dell’output da parte

dell’emisfero leso e da una eccessiva inibizione

interemisferica di quest’ultimo da parte dell’emisfero non colpito. E 'stato proposto che l'utilizzo della stimolazione cerebrale non invasiva possa determinare un miglioramento dei deficit motori attraverso la stimolazione eccitatoria dell’emisfero colpito o attraverso la stimolazione inibitoria dell’emisfero sano (Takeuchi et al., 2005).

Lo stato dell'attività cerebrale si è visto fondamentale per il successo della TMS che dipende moltissimo dallo stato dell'eccitabilità motoria nel momento in cui lo stimolo viene somministrato: tanti più neuroni sono vicini alla soglia motoria, tanti più sono dunque i neuroni reclutati dalla stimolazione.

Come detto, ruolo fondamentale lo ha anche la dimensione della lesione e la sua localizzazione: numerosi studi hanno

(34)

infatti dimostrato come l'azione della TMS sia di fatto meno efficace nei pazienti con stroke corticale rispetto a coloro che presentano danno subcorticale.

Infine, si evidenzia un'importante variabilità interindividuale dovuta a molteplici fattori tra cui la morfologia craniale ed encefalica, oscillazioni cerebrali locali, età, attività fisica, sesso e polimorfismi nei geni che codificano per la dopamina.(Chisari, Fanciullacci, Lamola, Rossi, & Cohen, 2014)

Ad oggi la rTMS è stata utilizzata in diversi trials clinici con risultati incoraggianti, anche se a breve termine, nel trattamento dei disturbi motori ma anche di disordini cognitivi come il neglect o l’afasia. (Lefaucheur et al., 2014)

3.5 rTMS NELLA DISFAGIA

Riguardo la disfagia nello specifico, l'uso della rTMS è ancora più recente e in via di definizione.

La letteratura vede attualmente un esiguo numero di studi in proposito.

Studio importante nella letteratura sull'applicazione della rTMS alla disfagia, è lo studio di Park del 2013 (Park et al., 2013). Lo studio ha utilizzato un campione costituito da 45 soggetti con disfagia orofaringea persistente da oltre un mese.

(35)

mediante scala PAS e Videofluoroscopic Dysphagia Scale (VDS), ripetute, così come la VFSS, al termine della stimolazione e dopo due ulteriori settimane.

Una volta randomizzati in un gruppo real e in un gruppo sham (a cui è stato eseguito il trattamento con il coil ruotato di 90°) i pazienti sono stati sottoposti a stimolazione per 10 minuti al giorno per due settimane consecutive sulla corteccia motoria faringea dell'emisfero sano. Ogni sessione di stimolazione prevedeva 10 treni di impulsi a 5Hz di frequenza e di 10sec ciascuno inviati tramite coil a 8 sull'hot spot faringeo al 90% del valore soglia della muscolatura tenar dello stesso emisfero.

Con le valutazioni finali si è osservato come vi sia stato un netto miglioramento sia della fase faringea della VDS (ulteriormente aumentato a 4 settimane dall'inizio dello studio) sia della PAS.

Verin (Verin & Leroi, 2009) nel 2009 ha eseguito uno studio pilota su 7 pazienti con disfagia provocata da stroke corticali o da stroke subcorticali e persistente da almeno 6 mesi. Dopo la diagnosi, eseguita con VFS e DHI, sono stati ricercati i PEM miloioidei mediante EMG. È stata poi applicata rTMS al 20% del valore soglia con frequenza di 1Hz per 20 minuti al giorno per 5 giorni consecutivi sull'hot spot miloioideo dell'emisfero sano nell'ottica di ridurne

(36)

nuovamente con VFS e DHI, hanno mostrato decisi miglioramenti in tutti i soggetti con riduzione della sintomatologia disfagica e aumento della coordinazione muscolare deglutitoria.

Lo studio di Lim del 2014 (Lim, Lee, Yoo, & Kwon, 2014) eseguito su pazienti con ictus emisferico unilaterale, ha avuto nuovamente come obiettivo l'emisfero controlesionale ma i pazienti arruolati erano in fase subacuta (meno di 3 mesi dall'evento). Lo studio ha utilizzato per le valutazioni 4 scale ricavate tramite VFS ovvero la Functional Dysphagia Scale (FDS), il Pharyngeal Transit Time (PTT) e la Penetration Aspiration Scale (PAS), e l'American

Speech-Language Hearing Association National Outcomes

Measurements (ASHA-NOMS), una scala clinica. Le valutazioni sono state eseguite all'inizio del trattamento, dopo 2 settimane e dopo 4 settimane. Prima di iniziare la somministrazione del trattamento con rTMS sono stati ricercati i PEM del muscolo miloioideo. Il trattamento è stato costituito da 10 sedute di 20 minuti ciascuna (5 giorni di trattamento-2 giorni di pausa-5 giorni di trattamento) con somministrazione di rTMS a 1Hz con intensità del 100% del valore soglia. Il coil è stato appoggiato sull'emisfero controlesionale a livello dell'hot-spot corticale faringeo. Al termine del trattamento e dopo due settimane dal termine stesso, FDS e PAS hanno mostrato un

(37)

significativo miglioramento.

Lo studio di Michou del 2014 (Michou, Mistry, Jefferson, Tyrrell, & Hamdy, 2014) ha visto invece reclutati 18 pazienti con disfagia post-ictus persistente da più di 6 settimane. I pazienti sono stati poi suddivisi in tre gruppi: uno sottoposto a Pharyngeal Electrical Stimulation (PES), uno sottoposto a Paired Associative Stimulation (PAS) e uno sottoposto a rTMS. Riguardo specificatamente quest'ultimo gruppo, la stimolazione è stata eseguita con coil a 8 in un'unica sessione di trattamento, sulla corteccia motoria faringea dell'emisfero sano a frequenza di 5Hz, con intensità pari al 90% del potenziale soglia a riposo dell'eminenza tenar e treni di 250 impulsi suddivisi in 5 blocchi da 50 con 10sec di pausa tra un blocco e il successivo. I risultati, analizzati mediante MEP e VFS eseguiti prima del trattamento, al termine dello stesso e 30 minuti dopo, non hanno evidenziato, tuttavia, significative differenze tra coloro che avevano ricevuto real rTMS e coloro che avevano invece ricevuto stimolazione sham (eseguita con coil ruotato di 90°).

Lo studio di Kim del 2011 (Kim et al., 2011) ha arruolato 30 pazienti con disfagia dopo stroke acuto in fase subacuta e lesione emisferica unilaterale in assenza di lesioni del tronco encefalico e cerebellari. Sono stati considerati disfagici per lo

(38)

studio pazienti con difficoltà a deglutire, con tosse durante o dopo la deglutizione, con riscontro di residui di cibo in cavità orale o in faringe. La diagnosi strumentale è stata quindi

eseguita con videofluoroscopia (VFSS) e prima

dell'esecuzione del trattamento per ogni paziente sono stati registrati i Potenziali Motori Evocati (MEP) nei muscoli miloioidei bilateralmente definendo come valore soglia l'intensità minima in grado di produrre un MEP>100 microVolt di ampiezza in tre di 5 scariche consecutive sul muscolo miloioideo.

Sono state inoltre utilizzate come valutazione preliminare della disfagia la Functional Dysphagia Scale (FDS), la Penetration Aspiration Scale (PAS) e l'American

Speech-Language Hearing Association National Outcomes

Measurements (ASHA NOMS)

I pazienti sono stati quindi suddivisi in tre gruppi: un gruppo che avrebbe ricevuto stimolazione ad alta frequenza, un gruppo che avrebbe ricevuto stimolazione a bassa frequenza e un gruppo sham in cui sarebbe stato applicato il protocollo ad alta frequenza con coil ruotato di 90°.

Il gruppo che ha ricevuto la stimolazione ad alta frequenza è stato sottoposto a trattamento rTMS sull'emisfero affetto a livello dell'hot spot miloioideo a un'intensità del100% del valore soglia del MEP, con impulsi a 5Hz, per 10sec, ripetuti ogni minuto per 20 minuti consecutivi.

(39)

sull'emisfero controlesionale a livello dell'ho spot miloioideo con intensità pari al 100% del valore soglia del MEP con frequenza di 1Hz per 20 minuti consecutivi.

Ciascun protocollo è stato ripetuto per 10 volte (5 giorni a settimana per 2 settimane) e il coil utilizzato è stato per tutti e tre i gruppi, un coil circolare.

Al termine del protocollo, i pazienti sono stati nuovamente valutati con le metodiche utilizzate all'inizio dello stesso. La ASHA NOMS è risultata migliorata sia nel gruppo sham che nel gruppo a bassa frequenza mentre FDS e PAS sono risultate migliori solo nei pazienti del gruppo a bassa frequenza.

Khedr nel 2008 (Khedr et al., 2009) ha reclutato 26 pazienti affetti da ictus non emorragico in fase subacuta nel territorio dell'arteria cerebrale media esitato in emiplegia monolaterale (per l'esattezza, 12 con emiplegia sinistra e 14 con emiplegia destra). La disfagia dei pazienti è stata diagnosticata tramite un questionario e la bedside examination per poi essere quantificata tramite la Disphagic Outcome and Severity Scale (DOSS). Una volta eseguita la valutazione sono stati randomizzati per ricevere una stimolazione real o una stimolazione sham eseguita con coil ruotato di 90°. Il protocollo ha previsto 5 sedute di stimolazione eseguite per 10 minuti al giorno per 5 giorni consecutivi. Ciascuna sessione consisteva in 10 treni di stimoli a 3Hz e con

(40)

intensità 120% della soglia motoria a riposo del primo dorsale interosseo. Ogni treno aveva la durata di 10sec e si ripeteva un treno ogni minuto tramite un coil a 8 appoggiato sull'area corticale esofagea dell'emisfero affetto. È stato poi eseguito un follow up al termine del trattamento, a 30 giorni e a 60 giorni.

La valutazione ha mostrato un significativo miglioramento a 5 giorni della sintomatologia disfagica mantenuto anche a 60 giorni di distanza.

Nuovamente Khedr, nel 2010, (Khedr & Abo-Elfetoh, 2010) ha eseguito un protocollo con rTMS ma eseguendo la

stimolazione bilateralmente per superare l'ostacolo

determinato dalla difficoltà nell'individuazione dell'emisfero dominante e generalizzare così l'effetto della rTMS. I pazienti reclutati sono stati 22 tutti affetti da ictus in fase subacuta con manifestazioni bulbari e ciascuno di loro ha ricevuto per 5 giorni consecutivi rTMS eccitatoria a 3Hz sul locus esofageo in entrambi gli emisferi. La stimolazione è stata data a un'intensità del 130% del valore soglia del muscolo primo dorsale interosseo dell'emisfero non affetto. Al termine del trattamento si era verificato un miglioramento della sintomatologia sia negli 11 pazienti sottoposti a stimolazione real, sia negli 11 pazienti sottoposti a stimolazione sham.

(41)

L'ultimo studio che abbiamo analizzato è stato lo studio di Momosaki del 2014 (Momosaki, Abo, & Kakuda, 2014) in cui la rTMS è stata eseguita su 4 pazienti con ictus cronico bilaterale. Il protocollo prevedeva 6 giorni di trattamento con rTMS eseguita su entrambi gli emisferi nel punto in cui si era registrato il MEP più alto per il muscolo faringeo. Al termine di ciascuno sessione al paziente veniva proposto un trattamento logopedico. All'inizio e alla fine del trattamento sono state inoltre eseguite molteplici valutazioni con la VFS, da cui si sono ricavati la PAS e il valore del Laryngeal Elevation Delay Time (LEDT), la Modified Mann Assesment of Swallowing Ability (MMASA) e il Repetitive Saliva Swallowing Test (RSST).

La stimolazione è stata eseguita due volte al giorno a 3Hz per 20 secondi con 25 secondi di intervallo tra un treno e il successivo, 20 volte per sessione, alternativamente a destra e a sinistra. L'intensità con cui è stata eseguita era del 130% il valore soglia del primo dorsale interosseo dell'emisfero affetto.

Le valutazioni, nuovamente eseguite al termine del trattamento, hanno mostrato un trend di miglioramento generale.

Da una revisione della letteratura si può osservare come gli studi condotti finora siano estremamente eterogenei sia per quanto riguarda i pazienti reclutati sia per quanto riguarda i

(42)

protocolli applicati.

Riguardo, ad esempio, al lato su cui eseguire la stimolazione vi sono sia studi che hanno scelto di stimolare il lato affetto, sia studi che hanno invece stimolato il lato non affetto. Il principio di base è differente: coloro che scelgono di stimolare il lato affetto hanno come scopo quello di bilanciare gli effetti soppressivi provenienti dall'emisfero

controlesionale aumentando l'eccitabilità dell'emisfero

danneggiato. Coloro che stimolano il lato sano partono invece da due presupposti differenti: chi lo stimola con frequenze inibitorie, ha l'obiettivo di ridurne l'azione inibitoria transcallosa sull'emisfero danneggiato mentre chi lo stimola con frequenze eccitatorie parte dal concetto per cui l’aumento dell’eccitabilità di quest’ultimo rappresenterebbe il presupposto al recupero della funzione deglutitoria. Quest’ultima modalità di trattamento appare supportata da un solido razionale neurofisiologico.

(43)

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3.6 OBBIETTIVO DELLO STUDIO

L'obbiettivo di questo studio è quello di verificare la fattibilità di un protocollo sperimentale di trattamento della disfagia post-ictus tramite utilizzo di Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva in pazienti in fase cronica di malattia.

A questo proposito è stata effettuata un'attenta revisione della letteratura riguardante l'utilizzo di tale tecnica nella disfagia post-ictus al fine di disegnare un protocollo ed un setup sperimentale ottimali.

Sono stati quindi reclutati due pazienti al fine di verificare la fattibilità dello studio e la compliance dei pazienti al trattamento. Il protocollo diagnostico-riabilitativo è stato messo a punto ed effettuato in collaborazione con la UO Otorinolaringoiatria Audiologia e Foniatria.

I pazienti sono stati stati sottoposti ad un protocollo riabilitativo combinato, composto da 10 sedute di

trattamento logopedico convenzionale precedute da

applicazione di stimolazione magnetica transranica ripetitiva. All'inizio ed al termine del trattamento sono state effettuate le seguenti valutazioni:

 scale di valutazione cliniche della disfagia (Dysphagia

Handicap Index, Mann Assesment of Swallowing Ability, Swallowing-Quality Of Life)

 FEES-Fiberoptic Endoscopic Examination of

(45)

deglutizione)

 Videofluoroscopia (analisi videoregistrata di tutte le

fasi del processo della deglutizione)

 Valutazioni neurofisiologiche tramite TMS per studio

dell'eccitabilità del tratto corticospinale.

La nostra ipotesi è che tale trattamento combinato (rTMS più trattamento logopedico) risulti ben tollerato dai pazienti e privo di effetti collaterali, e che tramite una futura estensione del campione possa dimostrarsi efficace nel miglioramento della disfagia post-ictus in quanto in grado di sfruttare i meccanismi di plasticità neuronale che sono alla base del recupero spontaneo.

(46)

4.PAZIENTI E METODI

4.1 PROTOCOLLO

Al fine di verificare la fattibilità dello studio sono stati reclutati due pazienti che soddisfacessero i seguenti criteri di inclusione:

 con primo ictus ischemico monolaterale

 almeno 2 mesi trascorsi da evento acuto al fine di

eliminare il bias dato dal recupero spontaneo

 con disfagia diagnosticata mediante FEES e/o VFS e/o

scale cliniche.

Sono stati definiti criteri di esclusione dallo studio i seguenti:

 presenza di pacemaker (controindicazione alla TMS)

 storia di epilessia e crisi epilettiche (controindicazione

alla TMS)

 alterazioni cognitive tali da non permettere una

comprensione delle istruzioni da parte del paziente;

 presenza di concomitanti patologie, neurologiche e

non, che possono essere causa di disfagia.

4.2 PAZIENTI

Paziente 1: donna di 69 anni con ictus nell'anno 2014 in sede cortico-sottocorticale (territorio arteria cerebrale media destra) esitato in emiparesi sinistra e disfagia.

(47)

Paziente 2: uomo di 76 anni con ictus nell'anno 2012 in sede sottocorticale esitato in emiparesi destra e disfagia.

4.3 METODI

Lo studio è stato approvato dal comitato etico e i pazienti hanno firmato il consenso informato al trattamento.

I pazienti sono stati valutati nella settimana precedente al trattamento (t0) ed al termine dello stesso (t1) tramite:

 Scale di valutazione clinica della disfagia

◦ Dysphagia Handicap Index (DHI):

Il Dysphagia Handicap Index (DHI) si basa sul fatto che la disfagia determina un impatto significativo e negativo su tutta la sfera personale del paziente. Raccoglie i principali disturbi lamentati dai soggetti in forma di affermazioni divise in tre sottoscale: (i) emozionale, in cui sono contenute frasi come "sono nervoso a causa dei miei problemi nella deglutizione", "mi sento handicappato a causa dei miei problemi a deglutire"per un totale di 7; (ii) fisica, con affermazioni quali "tossisco quando bevo liquidi", "ho la bocca asciutta" per un totale di 9; (iii) funzionale, dove sono presenti ad esempio "faccio pasti più piccoli più spesso a causa dei miei problemi a deglutire" e "ho cambiato il mio modo di deglutire per renderlo più facile" per un totale di 9.

(48)

items ciascuno con tre diverse possibilità di risposta (mai, a volte, sempre) valide rispettivamente 0, 2 e 4 punti con un punteggio finale che avrà dunque un valore da 0 a 100. dove 100 rappresenta il peggior quadro possibile. Sulla base di ciò la disfagia è classificata come lieve, moderata o grave. In aggiunta a questo, a ciascun paziente è richiesta una valutazione della propria disfagia assegnandole un punteggio da 0 (deglutizione normale) a 7 (deglutizione gravemente compromessa). (Silbergleit, Schultz, Jacobson, Beardsley, & Johnson, 2012)

◦ Mann Assesment of Swallowing Ability (MASA): La MASA-Mann Assesment of Swallowing Ability è invece una valutazione psicometrica usata principalmente per pazienti con esiti di stroke in associazione o in sostituzione rispetto alle valutazioni strumentali. (Antonios et al., 2010) Consente di valutare le attività connesse con l'atto deglutitorio vero o proprio e fornisce un indice predittivo di rischio per i fenomeni di aspirazione. Si avvale di 24 items suddivisi in 3 componenti:

1. valutazione delle componenti motorie e sensoriali e dei prerequisiti del

paziente (collaborazione e

(49)

2. valutazione funzionale della deglutizione come, ad esempio, la preparazione orale del bolo, la clearance e la fase faringea

3. raccomandazioni dietetiche e fattori predittivi di rischio circa l'integrità deglutitoria.

A ciascun item vengono attribuiti diversi punteggi dove quelli più alti indicano la normalità mentre quelli più bassi la più grave situazione possibile per l'item considerato. Il punteggio più alto possibile è 200 ed indica l'integrità dell'atto deglutitorio mentre un punteggio inferiore a 138 indica una condizione di disfagia severa.

Severità MASA Score -

Disfagia MASA Score - Aspirazione

Nessuna anomalia 178-200 170-200

Lieve 168-177 149-169

Moderata 139-167 <148

Severa <138 <140

◦ Swallowing-Quality Of Life (QOL): Lo SWAL-QOL, infine, è uno strumento di valutazione della qualità della vita e del benessere del paziente con disfagia suddiviso in 11 ambiti ciascuno composto da diversi punti a cui viene attribuito un punteggio da 1 a 5.

(50)

AMBITO NUMERO DI ITEMS

RISPOSTE

Impatto personale 2 1: verissimo 5: non

vero

Durata del pasto 2 1: verissimo 5: non

vero

Desiderio di mangiare 3 1: verissimo 5: non

vero

Sintomi 14 1: quasi sempre 5: mai

Scelta del cibo 2 1: pienamente

d'accordo 5: per nulla d'accordo

Comunicazione 2 1: sempre 5: mai

Paure 4 1: quasi sempre 5: mai

Salute mentale 5 1: vero sempre 5: vero

mai

Funzionamento sociale 5 1: del tutto d'accordo 5:

per nulla d'accordo

Fatica 3 1: sempre 5: mai

Sonno 2 1: sempre 5: mai

Al termine del questionario, per ogni ambito vengono sommati i punti delle affermazioni: punteggi più bassi

(51)

indicheranno una qualità di vita peggiore.(McHorney, Bricker, Kramer, et al., 2000; McHorney, Bricker, Robbins, et al., 2000)

◦ Valutazioni strumentali

La videofluoroscopia, anche detta "deglutizione

modificata con bario", è considerata il gold standard per la diagnosi di disfagia. Si basa sulla gestione da parte del paziente di bario liquido radio-opaco e sulla registrazione della deglutizione del liquido stesso ripresa in visione laterale così da visualizzare tutte le fasi deglutitorie ed eventuale passaggio di bario nelle vie aeree. Ha anche il vantaggio di poter somministrare il mezzo di contrasto con consistenza modificata allungandolo con acqua o aggiungendolo a cibi solidi in modo da valutare ogni paziente in base alle sue esigenze. Tuttavia, l'esposizione a radiazioni, seppur a basse dosi, e, soprattutto, il fatto che consenta solo di valutare il paziente nel singolo momento e che non vi siano standardizzazioni sulle consistenze da somministrare, fa sì che non si possa considerare totalmente affidabile nella valutazione del rischio di aspirazione. (Singh & Hamdy, 2006).

(52)

◦ La FEES-Fiberoptic Endoscopic Examination of Swallowing Safety. Sviluppata a partire dalla endoscopia a fibre ottiche, già utilizzata in otorinolaringoiatria per la valutazione routinaria della laringe, consente di dare una visione diretta della regione laringea e ipofaringea durante l'atto deglutitorio. Al contrario della VFS può essere utilizzata per la valutazione dei pazienti UTI allettati, dei pazienti non in grado di posizionarsi correttamente al tavolo fluoroscopico, poco collaboranti, non in grado di sostenere anche solo il rischio dell'aspirazione di una piccola quantità di cibo, oltre che essere impiegata in coloro che richiedono valutazione immediata. (Langmore, Schatz, & Olsen, 1988).

Il paziente viene posizionato nella postura in cui solitamente si alimenta e si procede dunque con

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