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L'art. 81 Cost. come parametro nei giudizi di legittimita costituzionale

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

Corso di dottorato in Scienze giuridiche

CURRICULUM IN GIUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI

Coordinatore: Ch.mo Prof. Roberto Romboli

T

ESI DI DOTTORATO

L’

ART

.

81

C

OST

.

COME PARAMETRO

NEI GIUDIZI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE

Tutor

Ch.mo Prof. Antonio S

AITTA

Candidata

Dott.ssa Loredana M

OLLICA

P

OETA

XXVII ciclo di Dottorato

Anno Accademico 2016/2017

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I

NDICE

Introduzione………5 Capitolo I

La disciplina costituzionale del bilancio: nascita ed evoluzione, dai lavori dell’Assemblea costituente alla riforma costituzionale del 2012

1. Il dibattito in Assemblea costituente……….9 1.1. Segue: la questione della legge di bilancio come legge meramente formale………24 2. Bilancio dello Stato, politica economica e “costituzione economica” nella formulazione originaria dell’art. 81 Cost. ………..27 3. L’attuazione dell’art. 81 Cost. sino alla riforma del 2012………..39

3.1. Segue: prime interpretazioni da parte della Corte costituzionale

sull’originaria formulazione dell’art. 81 Cost…..………...45 4. Evoluzione normativa in materia di bilancio: l’introduzione della “legge finanziaria” e le sue successive modificazioni…...………49

4.1. Segue: l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di bilancio negli anni Novanta del secolo scorso………...………….53

Capitolo II

La riforma dell’art. 81 della Costituzione

1. La riforma costituzionale del 2012 nel contesto del processo di integrazione economica e monetaria europea………..59 1.1. Segue. La prima formalizzazione del principio del pareggio di bilancio: il Patto di stabilità e crescita………...61 1.2. Segue: crisi e riforma del Patto di Stabilità e Crescita……….67 1.3. Segue: la crisi finanziaria del 2007 e gli interventi straordinari a sostegno degli Stati europei……….………...70 1.4. Segue: il c.d. six pack e la seconda modifica del Patto di Stabilità e Crescita………...73 1.5. Segue: il two pack………77 1.6. Segue: il Fiscal compact………..79 2. La novellazione dell’art. 81 Cost.: le proposte di revisione

(3)

Costituzionale……….83

2.1. Le modifiche introdotte con la L. cost. n. 1 del 2012………..88

2.2. Il contenuto della legge n. 243 del 2012………..94

2.3. Segue: la legge n. 243 del 2012 nel sistema delle fonti……….100

3. Considerazioni critiche: la genesi della riforma operata con la L. cost. n. 1 del 2012………..104

3.1. Segue: la nozione di “equilibrio di bilancio”……….109

3.2. Il problema specifico del ciclo economico e delle sue fasi………115

3.3. Segue: la «nuova costituzione economica» risultante dalla l. cost. n. 1 del 2012………...120

3.4. Segue: il ricorso all’indebitamento………121

Capitolo III L’art. 81 Cost. e le trasformazioni del giudizio costituzionale in via principale 1. I nuovi vincoli costituzionali per le Regioni e gli enti locali: verso una contro-riforma del federalismo fiscale? ………..126

1.1. Segue: l’armonizzazione dei bilanci pubblici………131

1.2. Le cause del naufragio del federalismo fiscale, e l’occasione mancata della riforma costituzionale del 2012………133

2. La disciplina attuativa della riforma costituzionale………..136

2.1. Segue: la legge n. 243 del 2012 sotto la lente della Corte costituzionale. La sentenza n. 88 del 2014………...….140

3. La giurisprudenza costituzionale in materia di autonomia finanziaria regionale………144

4. Le trasformazioni del giudizio costituzionale: La “contabilizzazione” del giudizio costituzionale………148

4.1. Gli effetti sulla procedura del giudizio costituzionale………...156

Capitolo IV Le trasformazioni del giudizio costituzionale in via incidentale 1. Il rinvio presidenziale delle leggi: aspetti generali………...165

(4)

1.1. Il ruolo del rinvio presidenziale per mancanza di copertura finanziaria delle leggi di spesa………168 2. Il problema dell’iniziativa del giudizio costituzionale per il controllo sulle violazioni dell’art. 81 Cost. ………..171 3. L’istruttoria sulla salvaguardia dell’equilibrio di bilancio nel processo costituzionale………181 3.1. L’istruttoria nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 10, 70 e 178 del 2015……….………..185 3.2. Critica della condotta della Corte costituzionale in tema di istruttoria economico-finanziaria………..191 4. Salvaguardia degli equilibri di bilancio e tecniche decisorie impiegate dalla Corte costituzionale………202 4.1. L’identificazione dell’interesse da proteggere attraverso la salvaguardia degli equilibri di bilancio in caso di “sentenze di spesa”………..206 4.2. I tipi di dispositivo disponibili e la dottrina dell’equilibrio “dinamico” di bilancio………..209 Conclusioni………..216 Bibliografia………..221

(5)

I

NTRODUZIONE

I nuovi vincoli di bilancio introdotti a livello europeo e sovranazionale successivamente alla sottoscrizione del Trattato di Maastricht hanno comportato un notevole mutamento nel governo della finanza pubblica, determinando, altresì, notevoli trasformazioni sul piano interno nei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali, soprattutto in considerazione della rinnovata centralizzazione della disciplina statale in materia di bilancio.

È fondamentale notare, in merito, come la crisi economico-finanziaria, in atto nel continente europeo dal 2008, sia, in realtà, solo uno dei fattori che hanno comportato tali trasformazioni. Un elemento parimenti determinante, infatti, è dato dall’elevato livello di indebitamento presente nei bilanci regionali e locali, con un eccessivo ricorso da parte degli stessi alla spesa in deficit. In un tale contesto le misure introdotte a livello sovranazionale, recepite nel 2012 a livello costituzionale, si presentano particolarmente incisive sull’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali, rappresentando un freno ai processi di federalizzazione posti in essere nel nostro ordinamento a partire dalla seconda metà degli anni novanta (e culminati con la riforma della Costituzione ad opera della L. cost. n. 3 del 2001), dimostrandosi una vera e propria inversione di marcia in tale ambito.

D’altra parte, i meccanismi di governo della finanza pubblica determinano evidenti riflessi sulle politiche pubbliche, specie nel campo dei sistemi di garanzia e tutela dei diritti sociali. La stessa capacità di sopravvivenza di un ordinamento capace di qualificarsi come “stato sociale” è stata messa in dubbio, nel nome di prospettive di integrale riforma del governo pubblico del sistema economico e sociale.

In questa prospettiva, gli indirizzi della presente ricerca si sono mossi nel senso di tentare di fornire un contributo in questo campo di indagine nella prospettiva del giudizio costituzionale.

Per ciò che concerne la struttura del lavoro, com’è noto la Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ha modificato gli artt. 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, con l’obiettivo di allineare il sistema interno di finanza pubblica ai principi della governance economica europea.

Il lavoro di ricerca esamina in prima battuta i fattori esterni, provenienti in primis dalle Istituzioni europee, dal mercato e dalle istituzioni finanziarie, che hanno inciso

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sull’iniziativa di riforma costituzionale e sul suo esito. Mai come nel caso in esame, infatti, l’esercizio del potere di revisione costituzionale è apparso lontanissimo dalla pura espressione di sovranità che dovrebbe caratterizzarlo, quale forma di potere costituito più somigliante all’esercizio del potere costituente.

In secondo luogo, si tratteggeranno i riflessi che la riforma costituzionale del 2012 ha prodotto su diversi ambiti dell’ordinamento e, in particolare:

a. sul sistema delle regole del bilancio (art. 81, primo e secondo comma, Cost.);

b. sul sistema delle fonti del diritto, specie quanto all’introduzione di un nuovo tipo di legge rinforzata, nonché alla qualificazione, formale o sostanziale, delle leggi di approvazione del bilancio (art. 81, sesto comma, Cost.);

c. sulla forma di governo e sui rapporti tra governo e parlamento (art. 81, secondo comma, Cost., legge n. 243 del 2012, art. 6, comma 3);

d. sull’organizzazione del regionalismo (art. 119, primo e ottavo comma, Cost., legge n. 243 del 2012, capo IV);

e. sui diritti sociali e sul finanziamento dei sistemi di loro tutela (art. 81 Cost.).

In questa prospettiva il lavoro di ricerca muoverà dai fondamenti teorici degli istituti del diritto costituzionale che si occupano del bilancio dello Stato per esaminare il diritto positivo (specie europeo) che ha riformato i vincoli di finanza pubblica imposti al legislatore, per poi valutare gli effetti della riforma sul processo costituzionale.

La struttura del lavoro si snoda in quattro capitoli. Una prima parte è dedicata alla nascita ed evoluzione della disciplina costituzionale del bilancio, dai lavori dell’Assemblea costituente alla riforma operata con la L. cost. n. 1 del 2012: ci si pone, quindi, l’obiettivo di descrivere le dinamiche che hanno portato alla riforma, nonché di comprendere la necessità o meno della stessa in base al tessuto normativo e giurisprudenziale presente, oltre a un’analisi del dibattito dottrinale sulla c.d. “costituzione economica”.

Il secondo capitolo è incentrato sulla riforma costituzionale. Si pone attenzione, in particolare, alla normativa di matrice europea e internazionale che ha introdotto il principio di equilibrio di bilancio a livello sovranazionale, per poi analizzare le

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modifiche operate alla Carta costituzionale con la riforma in oggetto, anche attraverso il vaglio della Legge n. 243 del 2012, e delle pronunce della Corte costituzionale che l’hanno interessata. Una parte del secondo capitolo è specificamente dedicata ai nuovi concetti introdotti in costituzione, quali la nozione di “equilibrio di bilancio”, di “ciclo economico” o di “ricorso all’indebitamento”, al fine di verificare l’impatto interpretativo di detti termini sull’applicazione della riforma stessa e sul concetto di “costituzione economica”.

Il terzo capitolo si occupa dell’applicazione dell’art. 81 Cost. quale parametro di legittimità nei giudizi in via principale. Muovendo dalla considerazione degli indirizzi giurisprudenziali sull’art. 81 Cost. nella formulazione precedente alla riforma, è stato esaminato l’impatto della Legge cost. n. 1 del 2012 sull’autonomia finanziaria di Regioni, Province autonome ed enti locali. In questa parte del lavoro è stato analizzato il problema della sovrapposizione delle regole sostanziali sull’equilibrio di bilancio con quelle sul riparto di competenze tra Stato e Regioni, specie quanto alla materia “coordinamento di finanza pubblica e del sistema tributario” (ex art. 117, terzo comma, Cost.), nonché relativamente alla “armonizzazione dei bilanci pubblici” (ex art. 117, secondo comma, Cost.).

In questa parte, inoltre, vengono approfonditi gli aspetti del Titolo IV della legge n. 243 del 2012, relativamente all’equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali ed il concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico. All’esito di questa disamina è stata proposta una interpretazione delle funzioni sistemiche della Corte costituzionale che ne accentuano la connotazione di giudice “contabile”, custode dell’equilibrio di bilancio.

L’ultimo capitolo del lavoro di ricerca è dedicato all’analisi dell’art. 81 Cost. come parametro e come fattore rilevante nei giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale. Questa parte può essere suddivisa in tre sezioni.

La prima concerne l’incardinazione del giudizio di legittimità costituzionale. Vengono esaminati il problema dell’interesse a prospettare un giudizio per lo sforamento dei vincoli di bilancio e il ruolo della Corte dei conti come remittente nel giudizio di parifica dei bilanci nonché in sede di registrazione degli atti del Governo. La seconda parte del quarto capitolo concerne lo svolgimento del giudizio costituzionale e, in particolare, la fase dell’istruttoria. Prendendo le mosse anche

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dalle vivaci polemiche che hanno colpito l’Avvocatura dello Stato, si esaminano i poteri istruttori della Corte e la necessità di un “pluralismo” delle fonti dei dati sull’eventuale sforamento degli equilibri di bilancio. Si esamina, altresì, il problema dell’ingresso dei dati economici nel processo costituzionale.

Infine, la terza parte del quarto capitolo concerne la fase decisoria del giudizio costituzionale e, in particolare, il problema delle sentenze di spesa. In questo senso vengono esaminati i tre indirizzi della giurisprudenza costituzionale in materia: la decisione meramente additiva (C. cost., sent. n. 70 del 2015), la regolamentazione degli effetti temporali della sentenza (C. cost., sent. n. 10 del 2015), infine la soluzione “mediana”, che investe il legislatore del problema di regolare gli effetti della declaratoria d’illegittimità costituzionale nella salvaguardia degli equilibri di bilancio (C. cost., sent. n. 155 del 2015).

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Capitolo I

La disciplina costituzionale del bilancio: nascita ed

evoluzione, dai lavori dell’Assemblea costituente alla

riforma costituzionale del 2012

* * * * * 1. Il dibattito in Assemblea costituente

La riforma realizzata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, presenta numerosi aspetti da analizzare, per la corretta impostazione dei quali non si può prescindere da un’analisi dei lavori dell’Assemblea costituente, che consenta di rilevare le analogie e le differenze testuali e di sistema con l’originaria formulazione delle previsioni costituzionali e, in particolare, dell’art. 81 Cost.

A tal proposito va ricordato anzitutto che il Costituente, nel formulare le disposizioni in esame, aveva in mente un sistema in cui il bilancio era concepito come mera rappresentazione contabile, indifferente ai condizionamenti di sistemi normativi internazionali o sovranazionali e certamente poco suggestionato dalla natura regionale che la Costituzione avrebbe impresso all’ordinamento. Lo Stato italiano si presentava, infatti, in maniera fortemente accentrata, non disponendo gli enti territoriali di un’autonomia costituzionalmente prevista.

Ci si può allora domandare che cosa disciplinasse, in realtà, l’art. 81 della nostra Carta fondamentale nella sua formulazione originale o, in altri termini, quali esigenze di rango costituzionale tale disposizione sottendesse.

Seguendo l’intenso dibattito nell’Assemblea costituente, la risposta all’interrogativo appena posto è un elenco particolarmente lungo di questioni che è opportuno succintamente ripercorrere al fine di delimitare il campo della presente indagine e fissare alcuni criteri metodologici.

a) Una regola caratterizzante la “forma di governo” parlamentare.

Il punto d’avvio del dibattito in Assemblea costituente è stato il principio del controllo parlamentare nei confronti della gestione delle entrate e delle spese dell’Amministrazione statale.

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Fu Costantino Mortati a ricordare che, nelle esperienze della monarchia costituzionale, «i Deputati influivano nel senso di limitare le spese, anzi la loro funzione storicamente era quella di intervenire, su richiesta del Capo dello Stato, per stabilire l’entità delle contribuzioni e limitarla»1, mentre Luigi Einaudi precisò che la regola della priorità della Camera bassa nell’esame delle leggi finanziarie «trae origine dal fatto che il principe era costretto a chiedere ai contribuenti le somme occorrenti all’erario, e per essi ai loro rappresentanti nella Camera bassa»2.

Durante i lavori, tuttavia, è stato rilevato, altresì, come quel modello non risultasse più attuale, nel senso che «adesso nei regimi parlamentari è il Governo che deve limitare la tendenza eccessiva di iniziativa in materia finanziaria da parte dei Deputati», sicché si avvertiva la necessità di «limitare in qualche modo» il potere discrezionale del Parlamento, il quale, «non avendo nelle mani il funzionamento dell’assetto finanziario» è portato a «eccedere nelle spese senza pensare al modo come farvi fronte»3.

La limitazione della discrezionalità del Parlamento fu tenuta in considerazione non solo per il profilo del rapporto politico-istituzionale del Governo, ma anche per quello del rapporto con le funzioni giurisdizionali. A tal proposito non mancò chi fece osservare che l’Inghilterra, la cui vicenda del controllo parlamentare sulle prerogative del Re in materia di bilancio era considerata paradigmatica, «non ha un istituto che sia simile alla nostra Corte dei conti, in quanto il riscontro contabile-finanziario è considerato una delle prerogative più gelose della Camera bassa»4. In questa prospettiva fu affermato che la previsione del ruolo di controllo della Corte dei conti avrebbe costituito «una ingiustificata innovazione», nel senso di «una marcia a ritroso finanche di fronte allo Statuto albertino, il quale sanciva una

1 C. Mortati, II Sottocomm., 3 settembre 1946, in La Costituzione della repubblica nei lavori

preparatori dell’Assemblea Costituente, (a cura di) Segretariato Generale della Camera dei

Deputati,Roma, 1970, 906.

2

L. Einaudi, II Sottocomm., 24 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 1237.

3 C. Mortati, II Sottocomm., 3 settembre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 906. 4 F. Gullo, Assemblea, 18 settembre 1947, sed. pom., in Atti Ass. Cost., cit., 2916.

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superiorità, sul terreno finanziario, della Camera popolare»5.

b) Una regola concernente la “struttura”6 bicamerale del Parlamento e i rapporti tra le due camere.

Nella prospettiva dei Costituenti, il problema del controllo parlamentare sul bilancio statale si complicava viepiù: la configurazione del rapporto Parlamento-Governo doveva considerarsi non più unidirezionale, bensì bidirezionale. Da una parte l’Amministrazione e la gestione del bilancio continuavano a esigere un controllo parlamentare, dall’altra lo stesso Parlamento necessitava di una forma di “irregimentazione” e di contro-verifica.

A questa esigenza dovevano dunque conformarsi gli strumenti istituzionali di controllo e verifica parlamentare, ma anche gli stessi strumenti di esercizio legislativo che incidono nel governo del bilancio statale, primo tra tutti il potere di iniziativa legislativa. A tal proposito, una delle ipotesi formulate fu quella di scindere il potere di iniziativa sulle leggi di spesa, riservando l’iniziativa parlamentare alla determinazione delle entrate sufficienti a coprire le spese e, per converso, lasciando al Governo la responsabilità di decidere sulle spese necessarie. In questo modo i rappresentanti del popolo avrebbero avuto la possibilità di opporsi agli eccessi di imposizione fiscale mentre, per converso, il Governo avrebbe potuto opporsi agli eccessi di “liberalità irresponsabile” nei confronti della spesa.

In una prospettiva analoga, inoltre, furono disegnate ipotesi di distinzione dei poteri tra le due Camere del Parlamento, nel senso della “riserva” di esame delle leggi finanziarie alla Camera bassa, o di sua “priorità”, in seguito accantonate perché ritenute non giustificabili «di fronte ad una seconda Camera, anch’essa a base

5 F. Gullo, Assemblea, 18 settembre 1947, sed. pom., in Atti Ass. Cost., cit., 2916. 6 G. F

ERRARA, La Forma dei Parlamenti, in Storia d’Italia – Annali, Vol. 17, Torino, 2001, 1162. L’Autore utilizza il lemma “struttura” per definire la composizione mono o bicamerale del parlamento, riservando, invece, il concetto di “forma” dei parlamenti per designare il modo in cui tale istituzione è stata in grado di «costruirsi e modellarsi come canali mediante i quali la società si proietta verso il potere», attraverso una strada «niente affatto lineare» che, «partendo dalla graziosa concessione di sottoporre suppliche al monarca, è giunta al traguardo dell’affermazione dello Stato legislativo parlamentare».

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elettiva e composta di rappresentanti delle regioni»7. In senso analogo fu osservato che la «precedenza nella presentazione di leggi di carattere tributario alla Camera dei deputati» sarebbe ben potuta essere ottenuta tramite «norme di correttezza costituzionale», pur nel rispetto formale del principio della parità delle due Camere8. c) Un presidio di libertà del cittadino contribuente.

Al profilo del controllo del Parlamento sulla gestione del bilancio statale da parte del Governo era strettamente connesso quello della garanzia dei soggetti privati rispetto all’esercizio del potere impositivo dello Stato (e di ciascun ente e amministrazione pubblica).

In questo senso, l’approvazione del bilancio preventivo da parte del Parlamento voleva tutelare la libertà patrimoniale dei cittadini, in quanto rappresentava una condizione di legittimità dell’imposizione fiscale e una forma di controllo sul tetto massimo del prelievo tributario9. A tal proposito, in Assemblea costituente si osservò che il principio della capacità contributiva e della progressività dell’imposizione fiscale avrebbero costituito una garanzia insufficiente per il contribuente, in quanto quest’ultimo avrebbe potuto solamente determinare «come le imposte debbano essere ripartite», ma non potrebbe «fornire un criterio per stabilire l’altezza delle imposte»10. Per questo motivo, il potere d’imposizione avrebbe dovuto essere collegato anche all’approvazione del bilancio statale, affinché il livello della

7

Cfr. gli interventi di L. Einaudi, II Sottocomm., 24 ottobre 1946 e G. Fabbri, II Sottocomm., 24 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 1237 ss.

8 G. Codacci Pisanelli, Assemblea, 17 ottobre 1947, in Atti Ass. Cost., cit., 3355. 9 Cfr. G.F

ERRARA, La Forma dei Parlamenti, cit., 1167, il quale ricorda che nella stessa tradizione storica e costituzionale inglese la rivendicazione del controllo sul bilancio e sulla potestà impositiva del sovrano equivaleva ad una lotta per il riconoscimento tanto di prerogative pubbliche, ovverosia di “poteri”, quanto di libertà private, ovverosia “diritti”.

10 F. De Vita, Assemblea, 17 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 3351; cfr. anche l’intervento di

Codacci Pisanelli, II Sottoccomm., 17 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 3355. I timori dell’On. De Vita erano solo in parte infondati. La giurisprudenza costituzionale, infatti, ha riconosciuto al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. non solo un limite “relativo”, concernente il riparto dell’imposizione fiscale, ma anche un valore di limite “assoluto”, relativo alla possibilità, per il singolo contribuente, di sopportare un certo carico fiscale, per quanto ripartito secondo il criterio di progressività (cfr. Corte cost., sent. n. 258 del 2002, n. 341 del 2000 e n. 155 del 1963). D’altra parte, la Corte costituzionale è stata fin troppo prudente nel dare concreta attuazione alla massima così elaborata, che è sostanzialmente rimasta lettera morta.

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tassazione potesse «mantenere un certo contatto con l’altro aspetto dell’attività dello Stato: quello della spesa»11.

d) La fissazione di un limite alla discrezionalità politica del legislatore.

Nei lavori della II Sottocommissione, più voci ricordarono (come si è visto) che, nelle prime esperienze della monarchia costituzionale, il ruolo del Parlamento era quello di limitare le spese, intervenendo su richiesta del Capo dello Stato per stabilire l’ammontare delle contribuzioni, mentre, nei moderni regimi parlamentari, «è il Governo che deve limitare la tendenza eccessiva di iniziativa in materia finanziaria da parte dei Deputati», sicché sorgeva l’esigenza di «limitare la iniziativa parlamentare alla determinazione delle entrate sufficienti a coprire le spese e precisamente ad inquadrare questa posizione reciproca dei due poteri»12.

In questo senso i Costituenti si mostrarono sensibili alla possibilità di «negare ai deputati delle due Camere il diritto di fare proposte di spesa», oppure di onerare le proposte di spesa «con la proposta correlativa di entrata a copertura […], così che la proposta abbia un’impronta di serietà»13, così recependo nella legge fondamentale dello Stato una «norma già contenuta nella nostra legge sulla contabilità dello Stato»14.

In senso analogo, fu osservato che «il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio» e, in questo senso, fu evocata la disposizione dell’art. 43 del R.D. n. 2240 del 1923, recante la legge di contabilità dello Stato, nel quale si prevedeva che la legge deve “indicare” i mezzi per far fronte alle spese15.

e) Un principio di organizzazione dell’Amministrazione pubblica e dell’apparato statale, nella forma del riparto di competenza tra fonti del diritto. Connesso al tema della discrezionalità del Parlamento nella gestione della spesa e dell’entrata pubblica era quello della possibilità, in sede di approvazione del bilancio

11 De Vita, Assemblea., 17 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 3351. 12 C. Mortati, II Sottocomm., 3 settembre 1946, in Atti Ass. Cost.,cit., 906. 13

L. Einaudi, II Sottocomm. 24 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 1237.

14 E. Vanoni, II Sottocomm. 24 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 1237. 15 E. Vanoni, II Sottocomm. 24 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., cit., 1237.

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preventivo, di introdurre disposizioni di carattere sostanziale in tema di entrate e di spese.

Nel dibattito in Assemblea costituente la questione fu esaminata in rapporto all’ordinamento contabile dello Stato. Meuccio Ruini, nella qualità di Presidente della Commissione per la Costituzione, ricordò che «è una norma di correttezza contabile ammessa nei Paesi più ordinati, che sia tolta la possibilità di varare, confondendoli coi bilanci, omnibus di provvedimenti anche tributari»16. Aggiunse che «la Camera, discutendo i bilanci, potrà aumentare o diminuire le cifre dei capitoli; ma non aumentare o modificare le imposte, che sono regolate da apposite leggi, e neppure alterare le leggi generali di autorizzazione delle spese», in quanto «l’aumento delle spese in bilancio dovrà avvenire nei limiti di tali leggi; se si vuole andare al di là, bisogna modificarle»: il bilancio dello Stato «deve essere un bilancio e non diventare un’altra cosa, né prestarsi a sorprese ed abusi»17.

In questa prospettiva di analisi del problema la riserva di competenza tra legge ordinaria e legge di approvazione del bilancio e, dunque, lo stesso problema teorico di una “legge formale” si comprendeva in ragione della necessità che vi fosse un bilancio, ovverosia un documento contabile nel quale fossero puntualmente indicate e specificate le entrate e le uscite dello Stato.

Tale esigenza era (ed è) anzitutto di natura organizzativa18, prima che politico-istituzionale. È del tutto evidente, infatti, che la funzione di controllo parlamentare è certamente compatibile anche con la possibilità che, in una con la legge di bilancio, siano approvate disposizioni “sostanziali”, che innovano in tema di spese e di entrate

16 M. Ruini, Assemblea, 17 ottobre 1947, in Atti Ass. Cost., cit., 3355. 17 M. Ruini, Assemblea, 17 ottobre 1947, in Atti Ass. Cost., 3355. 18 Si v. S. B

ARTOLE, Art. 81, in Commentario alla costituzione, (a cura di) G. Branca, La Formazione

delle Leggi, Bologna-Roma, 1979, 219. L’Autore afferma che la legge di bilancio rappresenta

«annualmente un vero e proprio atto di organizzazione dell’attività finanziaria dello Stato, le cui singole previsioni non [stanno] ciascuna per proprio conto, quasi che il loro rilievo funzionale si esaurisse nel solo rapporto con i relativi adempimenti (successivi) collegati alle procedure dell’entrata e della spesa». In termini analoghi v. anche S. BUSCEMA, Bilancio dello Stato, in Enc. Dir., V, Milano, 1959, 451 ss.

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pubbliche19. Per converso, l’esigenza che un documento di bilancio vi sia (quale che sia il potere dello Stato che ne redige lo schema, lo approva o lo controlla) è di esclusiva natura burocratico-funzionale. I costituenti si sono voluti assicurare che la Carta costituzionale garantisse l’esistenza e l’insopprimibilità del documento di bilancio e della funzione di programmazione e rendicontazione economica per il tramite di tale documento20, nonché la “differenziazione” della funzione di bilancio rispetto alla (ordinaria) funzione di determinazione delle entrate e delle spese dello Stato21.

f) La definizione della struttura regionale dello Stato e dei necessari raccordi istituzionali. Al problema del riconoscimento dell’iniziativa parlamentare (o della possibilità di presentare emendamenti ai progetti di legge la cui iniziativa è riservata al Governo, con analogo effetto sostanziale sui rapporti tra Governo e Parlamento) in tema di bilancio e di leggi di spesa, nei lavori dell’Assemblea costituente si legò anche quello della forma regionale dello Stato.

In particolare, si osservò che il riconoscimento dell’iniziativa legislativa al Senato si giustificava non solo per la «conseguenza logica del principio della parità» dei due rami del Parlamento, ma anche per il fatto che «la seconda Camera è l’espressione

19 Contra, per la tesi che l’approvazione di bilancio nasce nel senso del conflitto e dell’equilibrio dei

poteri tra esecutivo e parlamenti, A.ALBERTI BARETTONI, Bilanci pubblici, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1987.

20

Si tratta di una sorta di “garanzia di istituto” che attiene all’ambito dell’organizzazione dello Stato, invece che ai diritti dei cittadini. Sul tema della garanzia d’istituto sia sufficiente rinviare a P. RIDOLA,

Diritti fondamentali, in I diritti costituzionali, (a cura di) R. Nania, P. Ridola, Torino, 2001, I, 169 ss.

21 Si potrebbe dire usando lo strumentario della sociologia del diritto luhmanniana: cfr. per tutti: N.

LUHMANN, Potere e complessità sociale, (trad. it. a cura di) R. Schmidt, Milano, 2010; ID., I diritti

fondamentali come istituzione, (trad. it. a cura di) S. Magnolo, Bari, 2002; ID., Introduzione alla teoria della Società, (trad. it. a cura di) G. Corsi, Lecce, 2014. Ciò è tanto vero che l’art. 15 della l. n.

243 del 2012, nel superare definitivamente la concezione meramente formale della legge di bilancio, ha comunque previsto che nel disegno di legge di bilancio debba esservi una seconda sezione, nella quale devono essere definite «le previsioni di entrata e di spesa, espresse in termini di competenza e

di cassa, formate sulla base della legislazione vigente, tenuto conto dei parametri economici indicati nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio e delle proposte di rimodulazioni da introdurre alle condizioni e nei limiti previsti dalla legge dello Stato, apportando a tali previsioni, alle quali viene in ogni caso assicurata autonoma evidenza contabile, le variazioni determinate dalla prima sezione del disegno di legge». Il superamento della “formalità” della legge non ha travolto la

(16)

della vita delle Regioni», alle quali non può «negarsi […] la possibilità di far valere le loro pretese attraverso la seconda Camera, in sede nazionale, nonostante sia per esse prevista l’istituzione di un fondo di solidarietà o di compensazione»22.

La decisione di bilancio, dunque, essendo necessariamente in grado di determinare effetti sulle comunità regionali, doveva consentire il pieno esplicarsi del potere legislativo dei rappresentanti regionali. La stessa garanzia della perequazione territoriale non poteva considerarsi effettiva ove la decisione di bilancio fosse stata sottratta all’influenza politica determinante di quei parlamentari il cui mandato risultava connesso alla volontà delle popolazioni regionali.

g) Uno strumento di gestione delle situazioni d’emergenza.

Non fu secondaria, nella discussione della disciplina costituzionale del bilancio statale, la questione della gestione economico-finanziaria delle emergenze e degli strumenti per un governo democratico e parlamentare delle circostanze straordinarie. In questa prospettiva fu disciplinato l’esercizio provvisorio del bilancio, limitato nel tempo e subordinato all’approvazione con legge ordinaria. In particolare, fu ben valutata l’opzione di indicare in Costituzione la possibilità di consentire più autorizzazioni all’esercizio provvisorio di bilancio, pur nel limite dei quattro mesi, «anziché dare una sola autorizzazione per quattro mesi», giacché in tal modo «si elimina l’incoraggiamento a chiedere autorizzazioni per esercizi provvisori per un tempo più lungo del necessario»23. Tale soluzione avrebbe consentito al Governo di chiedere l’esercizio provvisorio per il tempo strettamente necessario, «sapendo che, in caso di necessità, potrà chiedere un secondo mese» ed escludendo, invece, l’incentivo a «chiedere una volta sola» l’esercizio provvisorio, ma per il massimo periodo possibile, invece di quello ritenuto strettamente necessario24.

Nel dibattito fu contemplato anche il ricorrere di “casi supremi”, tra i quali quello “di scoppio di una guerra”. A tal proposito fu presentata un’apposita proposta

22

S. Mannironi, II Sottocomm. 24 ottobre 1946, in Atti Ass. Cost., 1238.

23 G.B. Bertone, Assemblea, 17 ottobre 1947, in Atti Ass. Cost., 1233. 24 G.B. Bertone, Assemblea, 17 ottobre 1947, in Atti Ass. Cost., 1233.

(17)

emendativa, intesa a specificare che, «in caso di guerra l’esercizio provvisorio sarà regolato con la concessione di maggiori poteri al Governo»25. Proposte di analogo tenore furono rigettate sulla scorta dell’argomento che «in casi supremi – come quello dello scoppio di una guerra – secondo la prassi, le Camere danno al Governo l’autorizzazione ad aumentare il livello massimo delle anticipazioni al Tesoro da parte dell’Istituto di emissione»26, prassi oramai non più attuabile, in ragione dell’intervenuta delega dello Stato italiano all’esercizio della sovranità monetaria all’Unione europea.

h) Il ripudio di un principio di dottrina economica nella Costituzione (o, per converso, l’accettazione di un’altra); la reazione dello Stato a un determinato “fenomeno” economico.

Se si tiene conto non solo della discussione su quello che diventò l’art. 81 Cost. ma anche delle discussioni nelle quali la funzione del bilancio pubblico è stata richiamata quale argomento a favore di o contro una proposta di norma da inserire in Costituzione, emerge che, nella prospettiva dei costituenti, la disciplina del bilancio statale (così come la disciplina dei rapporti economici) non voleva e non poteva essere considerata come l’adesione a una specifica dottrina economica.

Ne è indice il tenore della discussione concernente quello che è diventato l’art. 47 della Costituzione, che assegna alla Repubblica la funzione di «incoraggiare e tutelare il risparmio» e di «disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito».

In quella discussione più deputati illustrarono «la tragedia di tutta la nostra generazione di piccoli risparmiatori, che negli ultimi trenta anni o poco più, ha veduto il potere di acquisto della lira ridotto ad un centoquarantesimo della lira del 1913 o ad un trentacinquesimo della lira che correva nella pausa fra la prima e la

25

G. Fuschini, Assemblea, 17 ottobre 1947, in Atti Ass. Cost. 1235, che osservò che «in caso di guerra non c’è la possibilità di discutere ed approvare bilanci, come avviene in periodo di pace».

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seconda guerra mondiale»27.

A tal proposito, diverse furono le proposte intese a «garantire costituzionalmente il rispetto della “clausola oro”», così da prevedere già nella Costituzione la difesa del risparmio nei confronti della svalutazione della moneta28. Tale garanzia appariva necessaria anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte di cassazione sulla pattuizione della “clausola oro-valore” nei prestiti contratti tanto dai privati quanto dallo Stato29, giurisprudenza che dimostrava la sostanziale impossibilità delle parti di

27 T. Zerbi, Assemblea, 19 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 1120; di «tragedia del risparmiatore

italiano”»parlò anche L. Einaudi, nella medesima seduta, in Atti Ass. Cost., 1123.

28 Cfr. la proposta emendativa di U. Nobile: «La Repubblica tutela il piccolo risparmio; e a tal fine la

legge emana i provvedimenti opportuni per riparare i danni ad esso causati da eventuali inflazioni monetarie»; quella di Q. Quintieri: «[l]a Repubblica tutela il valore della moneta nazionale ed il risparmio», menzionati nel dibattito in Assemblea, 19 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 1122; infine quelle di L. Einaudi: «A tal fine [della tutela del risparmio] è garantito il rispetto della clausola oro».

29 Cfr. sentt. Cass. civ., 2 aprile 1940, n. 1085, e 10 maggio 1940, n. 1515-1518, in Foro It., 1940, I,

465, 672), nonché Cass. civ., S.U. 29 luglio 1950, n. 2156, in Foro It., 1950, I, 993; cfr. T. ASCARELLI, Sulla efficacia della clausola oro, in Foro It., 1951, IV, 9 ss. Cfr. l’intervento di L. Einaudi, Assemblea, 19 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 1123: nell’illustrare l’applicazione e gli effetti dell’art. 31 dello Statuto albertino, a tenor del quale «ogni impegno dello Stato verso i suoi

creditori è inviolabile», ricordò che «i legislatori dei cento anni decorsi avevano cercato […] di dare

un valore preciso alla norma statutaria ed avevano, per esempio, scritto su alcuni dei più importanti titoli di debito pubblico […] che i portatori potevano richiedere che gli interessi fossero pagati in lire sterline, in franchi ed in altre monete allora pregiate. Ma alla norma, la quale cercava di dare un contenuto al principio statutario, ben presto furono trovati gli opportuni espedienti di evasione, dicendo prima che soltanto i creditori residenti all’estero potevano chiedere il pagamento in moneta straniera, e, quando ciò non bastò, perché molti italiani mandavano a Parigi ed a Londra le cedole per la riscossione, si aggiunse che, oltre alle cedole, si dovevano mandare contemporaneamente anche i titoli, aggiungendo così rischi e spese all’esercizio del diritto, sancito senza restrizioni nel titolo. Poi nemmeno ciò bastò più, e si richiese l’attestazione (affidavit) che le persone da cui venivano presentati i titoli risiedessero all’estero, e sempre più restringendo si chiese che solo gli stranieri potessero usare del diritto, ed ancora che soltanto gli stranieri, i quali da un certo lasso di tempo risiedessero all’estero, potessero esercitarlo. A poco a poco si finì che la norma scritta nello Statuto non ebbe applicazione concreta. Alla interpretazione restrittiva diede autorevole suffragio la nostra Corte di Cassazione, ad imitazione dei Tribunali supremi giudiziari di tutti i paesi, dichiarando, in ripetute sentenze, che anche dove era scritto qualcosa di diverso, e là dove i creditori si erano in qualche modo garantiti contro il deprezzamento della lira facendo riferimento alla lira oro, si giudicava che la lira è sempre la lira, il marco sempre marco, il franco sempre franco. Ossia tutti i debitori potevano pagare nel numero nominale convenuto nella moneta che aveva corso nel momento del pagamento. Questa è la ragione giuridica per cui l’articolo dello Statuto il quale dichiarava che tutti gli obblighi dello Stato erano inviolabili, finì per non aver nessun valore concreto. Oggi è pacifica giurisprudenza che lo Stato può allungare o scorciare quanto crede il metro monetario, e quanto più lo scorcia, tanto meno i debitori hanno diritto di pagare per rimborsare i loro creditori. Il riferimento ad una unità monetaria fissa che non sia nominale, ma riferentesi ad un dato peso d’oro, oggi non ha efficacia giuridica, non applicandosi il principio fondamentale dello Statuto contenuto nell’articolo 31, perché questo valore è

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tutelarsi efficacemente nei confronti della svalutazione monetaria.

Le proposte emendative (ivi compresa quella c.d. “permissiva” formulata da Einaudi e intesa a dare copertura costituzionale all’eventuale pattuizione di una “clausola oro-valore”) furono tutte rigettate a seguito della presa di posizione di Meuccio Ruini, il quale osservò che un tale limite/obbligo costituzionale avrebbe potuto essere inattuabile da parte dello Stato al ricorrere – sempre più frequente nell’economia mondializzata del ‘900 – di sconvolgimenti economici di particolare rilievo30. In questo senso, la fissazione nella Carta costituzionale della clausola oro-valore avrebbe potuto impedire «automatici adattamenti per il risanamento del mercato». Più ancora, ad avviso del Presidente della Commissione per la Costituzione, l’accoglimento di tali proposte emendative avrebbe condotto a «sancire costituzionalmente l’impossibile», sicché, «per essere logici – concluse Ruini – dovremmo mettere nella Costituzione: “La Repubblica impedisce, proibisce e severamente punisce la svalutazione della moneta”», dato che «le altre proposte sono eufemismi di questo assurdo enunciato»31.

Come è stato segnalato in dottrina, nel voto sulle menzionate proposte concernenti il futuro art. 47 furono decisive tanto le ragioni del bilancio pubblico (e del debito pubblico) quanto la volontà di seguire il principio politico-metodologico per cui «in

stato distrutto dalla nullità di tutte le clausole oro che dai privati erano state scritte a tutela della buona fede, a tutela degli impegni assunti dai debitori. Di qui l’emendamento da me proposto, il quale tende a non lasciare la promessa di tutela del risparmio come una qualcosa di astratto; ma vuole che a tal fine sia garantito il rispetto della clausola oro».

30 Cfr. M. Ruini, Assemblea, 19 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 1125: «Quale valore può avere una

clausola oro in termini assoluti e senza limite nel tempo? Che si debba far di tutto per rispettarla quando è liberamente assunta, dallo Stato o dai privati, è fuori di dubbio; nessuno lo sente più di me, ed è più di me d’accordo con l’onorevole Einaudi. Ma egli ben sa che possono avvenire frane e sconvolgimenti superiori ad ogni buona volontà. Lo ha sperimentato l’America di Roosevelt. Vi sono casi nei quali lo Stato non può mantenere i suoi impegni, ed allora come fa ad imporre il rispetto della clausola negli impegni privati? È in ogni e qualunque senso utile irrigidire situazioni di disastri, impedendo automatici adattamenti per il risanamento del mercato? Non sono problemi che possano risolversi in sede costituzionale, con una norma che dovrebbe essere immutevole. […] La svalutazione della lira, di cui oggi soffriamo, non dipende soltanto dall’azione italiana, e dalla carta emessa dal nostro Tesoro. Noi oggi sopportiamo le conseguenze anche della lira tedesca, della lira alleata, emesse sul nostro suolo, sul quale è passata la guerra. Avremmo potuto e possiamo, con un articolo di Costituzione, impedire il fatale corso degli avvenimenti?»

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Costituzione non troviamo la pretesa di governare fenomeni economici con norme giuridiche»32: fu così rigettata una proposta che «rispecchia[va] una visione macroeconomica del problema dell’inflazione»33 e che avrebbe connotato di sé la disciplina del bilancio pubblico e, in particolare, lo strumento del finanziamento della spesa in deficit.

i) la determinazione di uno strumento di politica economica e di intervento pubblico nell’economia di mercato. Per comprendere la prospettiva nella quale i costituenti fissarono la disciplina del bilancio dello Stato e degli altri enti pubblici è particolarmente significativa anche la discussione del 9 maggio 1947 sulla opportunità di introdurre nella Carta costituzionale un richiamo a una politica economica di pianificazione (anche integrale). In particolare, la discussione concerneva la proposta di un emendamento, a firma M. Montagnana e altri, a quello che sarebbe diventato l’art. 4 Cost., del seguente tenore testuale: «[a]llo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo Stato interverrà per coordinare e orientare l’attività produttiva, secondo un piano che assicuri il massimo di utilità sociale»34.

Nella presentazione datane dal Gruppo Comunista, l’emendamento si proponeva di istituzionalizzare uno strumento di migliore e più efficiente di intervento dello Stato nell’economia, intervento che si riteneva acquisito e non ostacolato da alcun gruppo

32 F. M

ERUSI, Art. 47, in Commentario alla Costituzione,(a cura di) G. Branca, Bologna-Roma, 1980, 155.

33 S. B

ARONCELLI, Art. 47, in Commentario alla Costituzione, (a cura di) R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino, 2006, ed. inf.

34 La formulazione originale dell’emendamento Montagnana, prima delle correzioni annunciate da G.

Pajetta nella seduta del 9 maggio 1947, era la seguente: «Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività produttiva, secondo un piano che dia il massimo rendimento per la collettività»; cfr. Atti Ass. Cost., 1085.

(21)

politico rappresentato nella Costituente35.

La proposta delle sinistre fu rigettata sulla base di diversi ordini di ragioni.

Il gruppo socialdemocratico si limitò ad osservare che «il concetto del piano economico [era] già compreso» nel progetto di Costituzione, specie ove si affermava il potere della Repubblica di “promuovere” le condizioni per attuare il diritto al lavoro di tutti i cittadini36.

Da parte liberale, per voce di Luigi Einaudi, da un canto fu invocata l’impossibilità teorica dell’aggregazione dell’ordine delle preferenze economiche individuali in una scala delle preferenze economiche sociali37 e dall’altro fu negata l’esigenza di

35

G. Pajetta, Assemblea, 9 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 1085: «l’intervento dello Stato nella vita economica è la prassi di ogni giorno. È la prassi italiana e di altri Paesi, dove l’intervento è più efficace, più coordinato, più diretto. E questo non è solo dei paesi socialisti, ma di tutti i Paesi democratici che hanno sentito e sentono il bisogno di realizzare una politica economica con gli strumenti che sono a disposizione dello Stato, e di non farla giorno per giorno, ma di farla secondo un programma, secondo un piano». Aggiunse, dopo aver citato il c.d. “Piano Beveridge”, che «In quasi tutti i Paesi ci sono piani di ricostruzione, piani periodici di coordinamento, di attività. Noi dovremmo augurarci di seguire i paesi che hanno questi piani e che coordinano le loro azioni economiche, piuttosto che spaventarcene».

36 G. Ghidini, Assemblea, 9 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 1083.

37 L. Einaudi, Assemblea 9 maggio 1947, in Atti Ass. Cost. 1087: «La difficoltà intorno a cui invano si

sono finora travagliate generazioni intere di studiosi è costituita da quello che, in linguaggio abbreviato, si dice essere il ponte fra l’utilità di un individuo e quella di ogni altro individuo. Ebbene, questo ponte non si è ancora trovato. Noi possiamo apprezzare quale sia l’utilità che ogni singolo individuo conferisce al fine che vuole conseguire, ad ogni cosa di cui si vuole appropriare, ma nessuno di noi è riuscito a sapere quale sia il significato che una collettività, anche di sole due persone, può dare all’utilità non dei singoli, ma dell’insieme dei due. Non è possibile fare la somma, né aritmetica, né algebrica, né organica, né di qualsiasi altra maniera, delle utilità di due individui realmente diversi. È questa una difficoltà intorno alla quale si sono travagliate generazioni di studiosi, di uomini di prim’ordine. Ma ancora essa persiste. È una delle tante difficoltà che esistono nello studio della scienza dell’economia politica. […] Tale difficoltà esistendo, io non riesco a comprendere quale possa essere il significato di un piano il quale sia indirizzato a dare il massimo di utilità sociale. Saranno i legislatori i quali diranno a noi quale sia questo piano che dia il massimo di utilità sociale. Ma io credo che sia pericoloso, ed anche un po’ senza contenuto preciso, scrivere nella legislazione una massima della quale nessuno finora, ripeto, in 150 anni di ricerche, sia mai riuscito a trovare il significato preciso». Le osservazioni di Einaudi, come è noto, rappresentano il nodo fondamentale dell’intera disciplina della “scienza delle finanze” (per un approfondimento si rinvia a: P. BOSI, Corso

di Scienza delle Finanze, Bologna, 2001) e hanno avuto la loro costruzione teorica più nota nel c.d. Teorema dell’impossibilità, formulato da K.J. Arrow nel 1951 (cfr. K.J. ARROW, Social Choice and

Individual Valules, 2^ ed., New York, 1963). È interessante notare che nel corso del dibattito del 9

magio 1947 le osservazioni di Einaudi furono contestate da V. Foa (cfr. Atti Ass. Cost., 1088), il quale ribatté che «[q]ueste disquisizioni teoriche, gli stessi economisti che le facevano, ammonivano di non farle sul piano pratico, perché qualunque legislatore, qualunque amministratore avesse voluto portare sul terreno pratico la formula del “no bridge” sarebbe rimasto paralizzato nella sua azione

(22)

«stabilire un principio di piano “generale”, quando il principio dei piani è antico quanto il mondo ed è stato sempre usato: sempre, in tutte le epoche storiche e in tutte le forme di economia, si sono fatti dei piani»38. A tal proposito si aggiunse che «un piano lo presenteranno da qui a pochi giorni gli uomini del governo col bilancio preventivo per il 1947-48. Anche questo è un piano»39.

La “equazione di Einaudi”, in base alla quale il bilancio dello Stato è un piano di intervento pubblico nell’economia non era una constatazione “neutrale”. Al contrario, il significato profondo in termini giuridico-costituzionali di tale asserzione si disvela invertendone i fattori, nel senso che l’intervento pubblico nell’economia può darsi solamente attraverso il bilancio pubblico, ovverosia quale espressione di politica fiscale (e, dunque, con i limiti giuridici ed economici della politica fiscale). In questa prospettiva, l’opzione “dirigistica” della pianificazione estesa anche al capitale (e al lavoro) privato si situava necessariamente al di fuori degli strumenti di politica economica contemplati (e, dunque, ammessi) dalla Costituzione40.

economica». Al contrario, continuò Foa, «quando si tratta di sollevare delle zone depresse o delle categorie depresse […] non c’entra più il problema della non comunicabilità fra la psiche di un soggetto e quella di un altro. Noi sappiamo che quei bisogni ci sono e la coscienza pubblica riconosce che devono essere soddisfatti. Questo è il problema del piano come noi lo poniamo. Non è un contrasto fra il piano e l’iniziativa, è una necessità per mettere ordine e giustizia in queste materie vitali. Questo bisogno è veramente diffuso dappertutto». Le affermazioni di Foa possono essere considerate come un’anticipazione delle riflessioni di A. Sen sul superamento dell’impossibilità della scelta sociale: per tutte v. A. SEN, The possibility of Social Choice, Conferenza per il Premio Nobel, 8 dicembre 1998, in Am. Econ. Rev., 1999, 89.

38 L. Einaudi, Assemblea 9 maggio 1947, in Atti Ass. Cost. 1086. 39 L. Einaudi, Assemblea 9 maggio 1947, in Atti Ass. Cost. 1086.

40 Né può essere recuperata muovendo dal limite dell’utilità sociale di cui all’art. 41 Cost. Sul punto

sia sufficiente rinviare alle indicazioni di R. NIRO,Art. 41, in Commentario alla Costituzione, (a cura

di) R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, cit., ed. inf.: «non può ritenersi che la legge determinativa di programmi e controlli abbia la capacità di far venir meno il principio della libertà dell’iniziativa economica non solo in ragione della unitarietà dell’art. 41 (e dei suoi tre commi), ma anche sulla base delle risultanze dei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, che rivelano che, in sede di dibattito, la scelta dell’introduzione del termine “programmi” - in luogo di “piani” - nonché del termine “controlli” implicasse un regime di libertà dell’iniziativa economica privata, pur soggetta a limiti importanti: in questa chiave, la legge determinativa dei programmi e controlli già si riteneva non potesse far altro che indicare degli obiettivi, dotati di una valenza puramente orientativa o persuasiva o “indicativa” (ad esempio mediante misure di incentivazione), e non autoritativa, senza quindi incidere sulla libertà del privato di determinare le proprie iniziative e di organizzarsi di conseguenza». Cfr. anche V. BACHELET, Legge, attività amministrativa e programmazione economica, in Giur. cost.,

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Tale opzione è stata condivisa dalla maggioranza dell’Assemblea costituente, che – come già detto – rigettò l’emendamento Montagnana proposto dalle sinistre. A tal proposito vanno ricordate le parole del democristiano Paolo Emilio Taviani, il quale, pur non negando il teorema per cui «l’effettiva realizzazione del pieno impiego» potrebbe «implicare la necessità di un’integrale pianificazione dell’economia», asserì che tale strumento non può essere messo nelle mani dello Stato, in quanto «un’economia integralmente pianificata, e quindi collettivizzata, […] lascia troppo facilmente la possibilità di cedere alla tentazione di indirizzarla ad altri scopi, come egemonie imperialistiche o privilegio di ristrette cerchie classistiche o ideologiche», nonché perché «un’economia integralmente pianificata sacrifica di necessità altri diritti della persona, altrettanto naturali ed originari quanto il diritto al lavoro, e, per esempio, il diritto all’appropriazione personale»41.

La discussione sull’emendamento Montagnana illumina la prospettiva (della maggioranza) dei costituenti sulla disciplina in esame42: l’intervento pubblico nell’economia era considerato un dato accettato e indiscutibile pressoché dall’intera Assemblea43. Alla legge fondamentale della Repubblica, di conseguenza, è stato attribuito il compito di definire le condizioni di legittimo impiego del potere di

1961, 918 ss.; R.NANIA, Libertà economiche e libertà d’impresa, in I diritti costituzionali, cit., 74 ss.; F. GALGANO, Art. 41, in Commentario alla Costituzione, (a cura di) G. Branca, cit., 8 ss.

41 P.E. Taviani, Assemblea, 9 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 1085. 42

Sulla centralità del dibattito del 9 maggio 1947, cfr. P. BARUCCI, Economisti alla Costituente, in AA.VV., La cultura economica nel periodo della ricostruzione, (a cura di) G. Mori, Bologna, 1980, 31: l’Autore precisa che «[q]uella e non altre è la discussione alla Costituente da ricordare; la maggioranza che allora si formò fu quella che governò di fatto il paese negli anni successivi; i motivi ideologici ravvisabili in quello schieramento vincente sono rintracciabili nella nostra politica economica di quel periodo che si apriva».

43

E certamente lo era da parte del gruppo democristiano. Sul punto si vedano, oltre alle opere degli “economisti accademici” eletti nelle fila della DC (vedasi almeno P.E. TAVIANI, Prospettive Sociali, 2° ediz., Milano, 1945; A. FANFANI, Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del

capitalismo, 1934, rist. Venezia, 2006; Id., Capitalismo, socialità, partecipazione, 1976, rist. Venezia,

2009; E. VANONI, Scritti di Finanza pubblica e di Politica economica, (a cura di) A. Tarantini, Padova, 1976, le indicazioni di P. BARUCCI, Economisti alla Costituente, cit., passim ma spec. 45 ss.: «[l]a linea culturale proposta da Taviani muoveva da una dura critica alla concezione naturalistica per cui i fenomeni economici si dispiegano secondo leggi naturali e inderogabili, a cui invano l’uomo cercherebbe di opporsi e dalla convinzione che non è il liberismo puro, non l’accettazione supina del cosiddetto ordine naturale economico che possono garantire la democrazia».

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intervento pubblico nell’economia. In questo senso, il bilancio dello Stato voleva rappresentare il principale strumento di pianificazione dell’intervento pubblico nell’economia, con il corollario che tale attività non poteva che essere limitata alla capacità conformativa dell’ordinamento e della società derivante dal bilancio dello Stato e dai suoi effetti istituzionali e sociali.

* * * * *

1.1. Segue: la questione della legge di bilancio come legge meramente formale Come si può agevolmente evincere dall’analisi sin qui condotta, già in Assemblea Costituente erano emerse diverse questioni di rilievo, alcune delle quali si presentano ancora attuali e non pienamente sopite. Di particolare interesse si presenta la problematica relativa alla qualificazione della legge di bilancio come legge in senso sostanziale, idonea ad imporre nuovi tributi o determinare nuove spese, ossia quale provvedimento meramente formale.

Occorre precisare che, ad oggi, la dottrina si presenta ondivaga in merito alla soluzione accolta nella Carta Costituzionale, e ciò nonostante in sede di discussione durante l’approvazione dell’art. 81 in Assemblea costituente fosse emersa una netta prevalenza per l’opzione formale, patrocinata dall’On. Ruini.

In base alle tesi maggioritaria nella metà del XIX secolo, all’epoca dell’approvazione della norma in oggetto in Assemblea costituente, e conformemente agli orientamenti prevalenti all’epoca nella dottrina tedesca e italiana44

, la legge di bilancio sarebbe un chiaro esempio di dissociazione tra titolarità formale ed esercizio sostanziale di un potere45. In base alla prospettazione in parola tale dissociazione sarebbe stata necessaria al fine di giustificare l’eccezione al principio di separazione dei poteri

44 La natura formale della legge di bilancio è stata sostenuta in dottrina, tra gli altri, da V.S

ICA,

Osservazioni sulla «legge del bilancio» (art. 81 della Costituzione), in Rass. dir. pubbl., I, 1960, 55

ss.; P.BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, Napoli, 1962; A.M.SANDULLI, Legge (diritto

costituzionale), in N. Dig. it., vol. IX, Torino, 1963, 650; C.ANELLI, Natura giuridica dei bilanci

pubblici, in Corr. amm., 1965, 20150; P. VIRGA, Diritto costituzionale, Milano, 1967, 229; G. BENTIVENGA, Elementi di contabilità pubblica, vol. I, Milano, 1970, 235 ss.; O. SEPE, Atto

amministrativo e atto normativo generale, in Studi in onore di Ferdinando Carbone, Milano,1971,

261.

45 Cfr. E.C

(25)

rappresentata dall’interferenza delle Camere, organo legislativo, nella gestione economica dello Stato, funzione propria del potere esecutivo. Tale ricostruzione, pertanto, asserisce che la legge di bilancio avrebbe la sostanza propria di un atto amministrativo, indipendentemente dalla forma legislativa. Nell’ambito di tale filone di pensiero è poi possibile distinguere due correnti: secondo un primo orientamento la legge di bilancio avrebbe avuto la natura di atto di approvazione distinto dal bilancio e, in quanto tale, in grado di essere considerato legislativo in senso formale e materiale, diversamente dal bilancio oggetto dell’approvazione, il quale avrebbe avuto natura strettamente amministrativa46. In base ad un’ulteriore prospettazione la legge di bilancio avrebbe invece avuto la natura di «legge di autorizzazione», non distinguibile dal bilancio quale atto amministrativo e, pertanto, solo formalmente ascrivibile al novero degli atti legislativi47.

La teoria della legge di bilancio come legge meramente formale trovò, quantomeno nelle prime pronunce adottate in materia di bilancio, l’avallo della giurisprudenza costituzionale: si fa riferimento, in particolare, all’obiter dictum contenuto nella sentenza n. 7 del 1959, nella quale i Giudici della Consulta affermarono, in maniera esplicita, che «la legge del bilancio – che si tratti dello Stato o che si tratti della Regione – è una legge formale che non può portare nessun innovamento nell’ordine legislativo, sì che da essa non possono derivare né impegni, né diritti della Regione diversi da quelli preesistenti alla legge stessa»48. Nella pronuncia in esame la Corte si soffermò, in particolare, sulla funzione assolta nel nostro ordinamento dall’approvazione parlamentare della legge di bilancio, ritenendo che «questa legge, che è efficace soprattutto nei rapporti fra l’Assemblea e la Giunta regionale, ha la funzione, propria di questo tipo di leggi, d’autorizzare il Governo della Regione ad esercitare le facoltà che già gli competono in ordine alle varie leggi preesistenti,

46 S. R

OMANO, Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, 1898, in ID., Scritti minori. I. Diritto

costituzionale, Milano, 1950, 58.

47

L. BIANCHI D’ESPINOSA, Il Parlamento, in Commentario sistematico della Costituzione italiana, (a cura di) P. Calamandrei, A. Levi, II, Firenze, 1950.

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cioè a riscuotere le entrate e a pagare le spese secondo il programma rappresentato dal bilancio di previsione. In tal modo l’Assemblea regionale esercita un controllo sull’indirizzo politico-amministrativo del Governo regionale».

In tale prospettiva, quindi, veniva confermata non solo la natura formale della legge di bilancio, ma anche la tendenziale esclusività delle funzioni di spesa, riservate al potere esecutivo, e sottoposte al Parlamento solo al fine di consentire l’esercizio della funzione di controllo politico.

La ricostruzione in parola ha trovato l’avallo, altresì, del Giudice contabile, il quale ha affermato che «la nuova Costituzione ha restituito alla legge di approvazione del bilancio il carattere di legge semplicemente formale» 49.

Negli anni successivi, tuttavia, prevalse l’opinione che qualificava la legge di bilancio come legge sostanziale, la quale reputava restrittiva e non condivisibile la concezione della legge di bilancio come semplice rappresentazione statica di entrate e spese determinate con autonome leggi sostanziali. Parte della dottrina, infatti, segnalò come la teoria della dissociazione tra esercizio formale e titolarità sostanziale del potere, di matrice ottocentesca, appariva inconciliabile con il rinnovato quadro costituzionale50; venne sottolineato, inoltre, come il disposto letterale dell’art. 81, terzo comma, Cost., non comportasse necessariamente l’accoglimento della tesi formale, circostanza avallata dalla prassi consolidata già in epoca statutaria e successivamente confermata in età repubblicana, che contemplava la possibilità di inserire nel bilancio un contenuto dispositivo abbastanza ampio, con diversi capitoli di spesa non sorretti da autonome leggi sostanziali, in contraddizione con la presunta natura formale del bilancio stesso51.

* * * * *

49 C

ORTE DEI CONTI, Relazione sul controllo di legittimità sugli atti del Governo e sulla gestione

finanziaria dello Stato nel triennio 1947-1950, in A.C:, I Legislatura, doc. X, n. 1-bis, 1952, I, 2, 131.

50 E. C

HELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, cit., 257 ss. L’Autore segnala che «la teoria formale-sostanziale deve ritenersi oramai anacronistica e pertanto non accoglibile in toto nel nuovo ordinamento a Costituzione rigida, dal momento che la carta costituzionale può configurare in un certo modo i contenuti e la forza attiva e passiva di ogni singolo provvedimento legislativo».

51 S. B

USCEMA, Sugli stanziamenti di spesa non sorretti da norme sostanziali, in Giur. Cost., 1961, 663.

(27)

2. Bilancio dello Stato, politica economica e “costituzione economica” nella formulazione originaria dell’art. 81 Cost.

Dall’esame dei lavori dell’Assemblea costituente si evince, dunque, una straordinaria ricchezza di senso dell’art. 81 della nostra Carta costituzionale52, che è possibile sintetizzare come segue.

La disposizione in commento, per come approvata dall’Assemblea costituente, ha istituzionalizzato la funzione di bilancio quale funzione “differenziata” dello Stato, così disponendo e garantendo che la vita dello Stato e della sua Amministrazione fosse organizzata secondo un principio di strutturazione burocratica che ruotasse (anche) intorno a un documento di bilancio preventivo e consuntivo, da redigere e approvare secondo cicli temporali di durata annuale. La funzione di bilancio, con i suoi effetti e le sue prestazioni sistemiche, poteva essere osservata da una prospettiva interna oppure esterna all’organizzazione statale. Per la prima, le modalità di redazione e approvazione del documento di bilancio riflettevano la forma regionale dello Stato53 e, soprattutto, la forma di governo parlamentare dello Stato. Per la seconda, gli effetti dell’approvazione del bilancio rilevavano per il profilo della legittimazione al prelievo fiscale e tributario e dell’autorizzazione alla spesa pubblica e della pianificazione dell’intervento pubblico nell’economia.

Così definite le coordinate in cui si situava l’originaria formulazione della

52 È del resto noto che «il grande tema del bilancio attraversa contemporaneamente i terreni delle

fonti, della forma di governo, della forma di Stato, addirittura del tipo di Stato» (M. LUCIANI,

L’Equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalità,

Relazione al Convegno “Il principio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, su

www.cortecostituzionale.it, 2013, 2).

53

Quest’ultima, invero, è un dato meramente formale, in ragione della sostanziale inattuazione del principio di cui all’art. 57 della Costituzione, secondo cui l’elezione del Senato avrebbe dovuto essere effettuata «a base regionale». Come è stato ricordato in dottrina, non deve «trarre in inganno la circostanza che il Senato sia “eletto a base regionale”, poiché la “base” in questione corrisponde ad una mera circoscrizione elettorale, senza che ne possa discendere - de jure condito - alcun nesso fra il Senato medesimo e le amministrazioni regionali» (così L. PALADIN, Tipologia e fondamenti

giustificativi del bicameralismo. Il caso italiano, in Quad. cost., 1984, 229; cfr. anche C.FUSARO, Art.

57, in Commentario alla Costituzione, (a cura di) R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino, 2006,

ed. inf.; T. MARTINES, Artt. 56-58, in Commentario alla Costituzione, (a cura di) G. Branca, cit., 43 ss.).

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