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Prefazione di Berlino città mediterranea. Il richiamo del Sud.

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Academic year: 2021

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Federico Vercellone

1.Berlino sul Mediterraneo?

Il titolo di questo libro esprime un paradosso evidente, e tutt’altro che casuale. Berlino che si affaccia sul Mediterraneo dice di una vocazione antica nella storia tedesca che è intrisa di nostalgia. Da Winckelmann agli accorati versi di Mignon negli Anni di apprendistato di Guglielmo Meister, “Conosci la terra dove fioriscono i limoni?”, per venire ai romantici e a Hölderlin, sino ai classicissimi paesaggi marini di un biologo come Ernst Haeckel, alla ripresa della mitologia classica da parte di pittori come Anselm Feuerbach, la vicenda culturale tedesca è attraversata da una palpitante nostalgia verso il Sud. E se la nostalgia esprime un’appartenenza reciproca, se apparteniamo in fondo a ciò che ci appartiene, secondo un indissolubile chiasmo, ecco che quello che affiora è un gioco in cui ne va dell’identità soggettiva e

oggettiva, quella nostra e quella del luogo. L’arte diviene in questo senso, e in questo contesto, un esperimento sull’identità. Essa anzi crea l’identità, quella singola e quella collettiva. Quest’arte reca dunque reca e di sé molti elementi extraestetici. Cosa significa dunque Berlino sul Mediterraneo? In prima battuta è evidente un richiamo al nostro presente: chi sta oggi sul Mediterraneo? Chi si prende cura della vocazione del Mare Nostrum a costituire terra di transiti e di incontri1? L’accento su

Berlino sul Mediterraneo ci conduce in questa zona del discorso. La vocazione

mediterranea dell’Europa non è oggi custodita da quei paesi che affacciano su questo mare, l’Italia in primis, ma altrove. Anche, ma non solo a questo proposito, emerge la vocazione politica di questo libro che percorre tutta l’analisi che Bredekamp dedica all’architettura storica del centro di Berlino,

E’ innanzi tutto la storia di Berlino a parlare, quella di una città chesembra sorta dal nulla, e che invece ha contratto un debito profondo con la cultura mediterranea. Questo libro sancisce dunque un debito della memoria che è anche un debito di identità. Scrive Bredekamp nell’Introduzione:

«Menzionata per la prima volta nel tredicesimo secolo, la città ha praticamente cancellato qualsiasi ricordo della sua impressionante storia medioevale allo scopo di rendere plausibile la repentina trasformazione prima in residenza degli Hohenzollern, poi come capitale del regno prussiano. Due filoni hanno condotto Berlino nell’era moderna: il ricorso alle tradizioni mediterranee e anticipazioni formali nell’ambito della cultura industriale e urbanistica. Gli edifici di Karl Friedrich Schinckel

costituiscono il nodo da cui si sono sprigionati questi filoni. […] Il presente saggio ha lo scopo di opporsi alla rimozione della dimensione mediterranea. Berlino non è scaturita dal nulla, bensì dai riflessi di specchi posti al di là delle Alpi»2

1 Il riferimento d’obbligo è naturalmente a : F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo, Torino, Einaudi, 2010. 2 Infra, pp.

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2. Questioni di teologia politica

Va ricordato, in questo contesto, che Bredekamp è un raffinatissimo lettore di Carlo Schmitt3. Non casualmente uno dei temi fondamentali di questo libro è la portata

legittimante dell’arte nei confronti del potere politico. Abbiamo dunque a che fare con un’arte programmatica, che legittima il potere vigente e prefigura il futuro. L’arte per utilizzare le categorie di Carl Schmitt,4 ha qui la funzione del katechon, di sancire

il potere attraverso un doppio simbolico perspicuo e programmaticamente chiaro agli della comunità. E’ un’immane strategia retorica quella che si dispiega in questo libro, in cui l’arte monumentale berlinese esprime la propria vocazione classica. Quella della simbolizzazione “adeguata” è del resto l’unica condizione che rende possibile distinguere un potere legittimo, che non dipende cioè dalla persona fisica del sovrano, da un potere che non può esibire la stessa patente, ed è affidato a quello che si

potrebbe definire un capo carismatico.

Accanto a questo aspetto che ci conduce a un’estetica politica e addirittura a motivi di una politica estetica cui Bredekamp guarda infine positivamente, smentendo, almeno a questo proposito, la condanna benjaminiana dell’estetizzazione della politica, se ne colloca un altro invece propriamente estetico. Si tratta della rivalutazione della

portata estetica moderna dell’arte monumentale.

Entriamo qui in una zona delicatissima e molto sensibile dal punto di vista estetico. Nel caso dell’arte monumentale abbiamo infatti a che fare con un’arte che non richiede una fruizione tematicamente consapevole. In altri termini non è necessario per viverla farne il centro tematico della nostra attenzione. Volendo osare un poco, si potrebbe dire che dell’arte monumentale si ha innanzi tutto una fruizione

atmosferica5, e poi solo successivamente davvero polarizzata sull’oggetto.

L’influenza di questo tipo di arte non avviene a livello inconscio, ma a livello di una sorta di consapevolezza secondaria, come quando, per esempio, ci si dà

appuntamento per un caffè o per un aperitivo in una piazza del centro storico, e si gode dell’ambiente circostante chiacchierando con la persona amica. La portata performativa di quest’arte si esercita per l’appunto a questo livello. Si tratta tuttavia di un’influenza profonda, aggregante, uniforme e uniformante, dunque politicamente significativa. L’arte monumentale, quella che cioè non richiede in primis di essere messa a tema dall’attenzione del fruitore, si rivela qui come un crogiolo dell’identità

3 Cfr: H. Bredekamp, Walter benjamin’s esteem for Carl Schmitt. In J. Meierhenrich, O. Simon. The Oxford Handbook of

Carl Schmitt, Corby, Oxford University Press, 2017.

4 Cfr. a questo proposito innanzi tutto: C. Schmitt, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in ID., Le categorie del politico. Saggi di teoria politica, a cura di G. Miglio, trad. it. di P. Schiera, Bologna, Il Mulino, 1972; ID., Cattolicesimo romano e forma politica. La visibilità della Chiesa, una riflessione scolastica, a cura di C. Galli, Bologna, Il Mulino, 2010; Terra e Mare, Milano, Adelphi, 2003.

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e come suo testimone e baluardo. In altri termini il monumento coniuga l’arte con lo spazio pubblico esercitando una funzione civile che è irrinunziabile per ogni fare artistico. Nella conclusione del suo libro Bredekamp esprime tutto ciò affermando : «I tratti mediterranei di Berlino si sono rivelati da un lato illusori, ma dall’altro queste proiezioni hanno sortito l’effetto di una forza oggettiva: atti iconici che esprimono ambizioni dalle quali non si può retrocedere, per quanto impotenti. Essi indicano il collegamento tra l’avanguardia e il passatismo »6.

3. Modernità classica, o il centro di Berlino nell’arco di un mattino.

Abbiamo a che fare con forme classiche, le quali, anche in quanto modulari, aprono la via in direzione della riproducibilità. Da questo punto di vista, paradossalmente, il classico (il neoclassico) diviene un antesignano del Bauhaus, la premessa di un grande stile moderno e della modernità. Nel suo tratto modulare, sempre di nuovo decontestualizzabile e ricontestualizzabile in altro luogo, il classico – estrapolato dalla sfera del sacro- diviene principio “laico” di una serialità e riproducibilità infinita, di principio indifferente ai luoghi e ai contesti. Per esempio i moduli

palladiani possono essere riprodotti alla Casa Bianca senza di principio venir traditi nel loro significato originario. La modernità dell’arte monumentale costituisce dunque una cifra costante di questo libro il quale ci insegna che l’architettura funzionale può essere anche un’architettura “identitaria” che non subisce l’influsso negativo di tanto anonimo modernismo architettonico che ha devastato il nostro paesaggio nei decenni del dopoguerra. Non è necessario il vernacolo per produrre identificazioni potenti nel caso di Berlino dotate anzi di un significato universale. E’ su queste basi che possiamo avviare -e si viene così al cuore di questo libro – la nostra passeggiata berlinese. Perché questo libro è anche questo: un’eccellente introduzione all’anima, distrutta e ricostruita, nuovamente riconosciuta, di una città, che è la capitale del più potente paese europeo. Il centro di Berlino ci rivela

un’anima, un’anima “analogica” che si effonde ben al di là del suo perimetro. Bredekamp, parla rifacendosi alla contemporaneità, e all’interno di Aldo Rossi nel berliner Forum, di un’architettura analogica.

Il processo di italianizzazione del centro di Berlino si avvia, su impulso del Grande Elettore, in concomitanza con la costruzione di una grande biblioteca di 90000 volumi, particolarmente dedita allo studio dell’antico. In parallelo si sviluppa la necessità di magnificare le conquiste dell’Elettore sulla base di un modello romano. Questo induce, anche grazie all’intervento del figlio, Federico III, ancor più del padre innamorato della cultura classica, alla prima cellula della classicizzazione di Berlino,

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con la creazione di un ponte in Pietra che recava ai lati statue sul modello del pons

Aelius edificato nel 134 d.C.

Si avvia su questa base il processo di mediterraneizzazione della città che prosegue nei secoli sino a ireri, attraverso artisti e architetti come Schinckel e Schlüter sino al proporsi di un modello di Berlino come nuova Firenze che non smette di agire sino alla fine dell’Ottocento. Centrale è poi naturalmente la considerazione di Schinckel , a partire dal Konigliches Schauspielhaus a Gendarmenplatz ove viene citato il

monumento di Trasilio sull’Acropoli, laddove i pilastri vengono tuttavia collocati in alto deviando dalla loro collocazione greca e adotta il modello delle finestre

rettangolari a reticolo come elemento che diviene così costitutivo dell’edificio nel suo complesso. Attraverso queste mosse un elemento dell’edificio viene elevato a motivo caratterizzante di tutta la sua struttura. Egli, rileva Bredekamp, fa ricorso all’antichità per abbandonarla. Mentre l’architettura industriale berlinese si orienta sul clima più oscuro del gotico, quella residenziale si orienta in larga parte sul classico. La

modularità diviene così un elemento che trascorre dall’antico al moderno sino alle produzioni del Bauhaus. Il percorso di Bredekamp si estende poi al capitolo centrale del Castello con il quale Federico III leigittimò la sua autoproclamazione. Berlino diviene idealmente Roma con il castello, mentre il Thesaurus Branderburgicus costituisce il modello di sviluppo di Berlino come metropoli. Si passa quindi nel secondo capitolo dall’Opernplatz, al Lustgarten (1740-1830) dove Venezia, Roma e Atene costituiscono i punti di riferimento. Il Teatro dell’Opera è in gusto palladiano, al Pantheon simbolo di pace, e di una pace polticamente tollerante. Federico II ebbe a dire che nel suo Stato chiunque poteva vivere felicemente a modo suo. Di qui, senza voler esaustivi, si va al Forum Fredricianum e poi alla Porta di Brandeburgo , una sorta di nuovo Partenone che prendeva le distanze dalla Rivoluzione francese e, al tempo stesso, per così dire se ne faceva baluardo e la introiettava proponendosi come un nuovo modello di Stato e di collettività. E’ un gioco polisemico – sottolinea

Bredekamp- che viene fatto proprio dagli edifici di Scinckel lungo la Lindenallee7.

Sullo sfondo sj affaccia l’iderale estetico di Winckelmann che, attraverso la statuaria greca, si combina con la Rivoluzione democratica.

Di qui Bredekamp prosegue con il nuvo eretto da Scinckel dopo il ritentro delle opere classiche sottratte da Napoleone. Si tratta di un museo che è un monumento alla libertà riconquistata. Se le tre colonne dello Stato ( monarchia, esercito, chiesa) erano state rappresentate fino a quel momento dal castello, dall’Arsenale e dal Duomo, col museo di Schinckel l’arte si impose come quarta componente, accomunandosi agli altri pilastri. Si trattava di un museo che, agli occhi di Scinckel, doveva innanzi tutto dilettare e solo in un secondo momento svolgere un ruolo pedagogico. L’arte, propria sulla base dell’eredità classica, si propone così nella sua piena autonomia estetica dalla politica, mentre influenza la politica su base estetica. Anche s emancò poco a che questo sogno si realizzasse. «La Lindenpromenade – osserva Bredekamp- si trasformò

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così da via triumphalis reale a strada di lusso in nome della guerra di liberazione, in ottemperanza a quanto già impostato da Schinckel con la Neue Wache».

Si passa poi, attraverso Hermann Grimm, a riferirsi non più ad Atene ma a Firenze. E il

rinasciemnto viene così a sostituire il mondo antico secondo un movimento che ripete l’idea stessa di rinascenza. Botticelli e rivalutazione del Quattrocento s’impongono contro la pittura accademica del Seicento. Attraverso Hermann Grimm Firenze prende il posto di Atene e incarna gli ideali libertari del Vormaerz. Hermann Grimm, con la sua biografia di Michelangelo, elevò la città sull’Arno a un rango pressoché mitico. Firenze viene così a configurarsi come un’utopia storica. Wilhelm von Bode, sia pure in netta contrapposizione con Grimm, prosegue nelle sale del museo questo culto di Firenze nel sogno di una Berlino che potesse riperterne il successo culturale dopo quello commerciale.

Anche l’edificazione del Reichstag nel 1882,progettato da Wallot, prosegue questa tradizione classica. Il dibatittito sulla cupola del Duomo irbadisce il significato di questa tradizione:

«Il dibattito sulla cupola del duomo, svoltosi nel 1848, in pieno clima rivoluzionario, fece sì che la cupola stessa, form,a architettonica liberale che non consentiva gerarchie – quindi opposta agli interessi di corte- si legasse alle speranze di una riunificazione tedesca sotto il segno della democrazia»8.

Si prosegue con il riflesso weimariano del culto di Firenze. Ne è testimonianza il libro di Baron, La

crisi del primo rinascimento italiano, dove il Rinascimento viene letto alla luce del concetto

schmittiano e benjaminiano dello “ stato di eccezione permamente” che ruiflette la situazione di crisi costante. Per venire poi al culto nazionalsocialista di Alfred e di Hitler per il Rinascimento, di cui viene rammentato la visita a Firenze accompagnato da Ferruccio Bandi Bandinelli. Lo sguardo di Bredekamp è uno sguardo che nasce dal presente, E si riparte dall’esperienza di ricostruzione del castello dopo la sua distruzione tra il criminale e la più cieca ottusità da parte delle autorità della Repubblica Democratica Tedesca, di cui Horst Bredekamp è stato protagonista. Qui il pensiero va alla Berlino della ricostruzione e alrifiuto di una ricostruzione filologica della città. La città viene intesa come un tessuto vivente. Ed e’ su questa base che Bredekamp prende a modello Aldo Rossi e la sua ricostruzione analogica. La città viene intesa come un tessuto vivente, che sviluppa in modo fisiologico, iuxta propria principia, le proprie articolazioni.

«E un compromesso fra le forme antiche e nuovi rapporti di proprietà: a ogni edifcio viene

assegnata una diversa facciata in base all’impressione ricevuta dai resti. In questo consistette la sua idea di compromesso fra forme antiche e nuovi rapporti di proprietà»,9.

La ricostruzione del Castello da parte di Stella, rispettoso dei principi del razionalismo italiano, ragiona sugli equilibri geometrici delle masse senza introdursi modo intrusivo nella compagine dell’edificio. Ancora una volta il classsico e l’ispirazione italiana dell’architettura berlinese si riaffacciano, simboli di una memoria imperitura e sempre ricca di una linfa quantomai feconda sia dal punto di vista artistico sia da quello politico.

8 Infra, 9 Infra

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