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Modellazione e Applicazione a Missioni Interplanetarie a Bassa Spinta di un Sistema Propulsivo a Effetto Hall

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(1)

A mia nonna,

in memoria di mio nonno

(2)

Elenco dei simboli V

1 Introduzione 1

1.1 Presentazione del problema . . . 1

1.2 Scopo del lavoro . . . 3

1.3 Organizzazione della Tesi . . . 3

2 Modellazione del propulsore 7 2.1 Introduzione . . . 7

2.2 Nozioni di base della propulsione elettrica . . . 8

2.3 La potenza nella propulsione elettrica . . . 9

2.4 Classificazione dei vari tipi di propulsore . . . 10

2.4.1 La propulsione chimica . . . 11

2.4.2 La propulsione elettrica . . . 11

2.5 Evoluzione del motore a effetto Hall . . . 13

2.5.1 Funzionamento di un propulsore a effetto Hall . . . 14

2.6 Scelta del modello di riferimento . . . 17

2.7 Vantaggi nell’impiego di un motore a effetto Hall . . . 22

2.8 Schematizzazione del modello . . . 22 2.8.1 Espressioni di spinta e portata di massa ai fini

(3)

3.1 Introduzione . . . 33

3.2 Missione di riferimento . . . 34

3.3 Calcolo delle masse del sistema . . . 41

3.4 Tipologia scelta di celle solari . . . 42

3.4.1 Dimensionamento dei pannelli fotovoltaici . . . 44

3.5 Calcolo delle masse al lancio . . . 46

4 Analisi di missione 49 4.1 Introduzione . . . 49

4.2 Studio di missione . . . 50

4.2.1 Missione verso Marte . . . 51

4.2.2 Missione verso Venere . . . 53

4.3 Modello di Alfano . . . 54

5 Simulazione di traiettorie interplanetarie 57 5.1 Introduzione . . . 57

5.2 Ipotesi di spinta continua . . . 58

5.3 Equazioni del moto . . . 59

5.4 Ipotesi di spinta tangenziale . . . 59

5.5 Definizione del modello . . . 61

5.5.1 Unit`a canoniche . . . 61

5.5.2 Descrizione della routine . . . 63

5.6 Risultati per il trasferimento Terra-Marte . . . 64

5.7 Risultati per il trasferimento Terra-Venere . . . 67

5.8 Confronto tra i trasferimenti Terra-Marte e Terra-Venere . . . 69

5.8.1 Sensibilit`a del trasferimento Terra-Marte alla massa al lancio . . . 70

5.8.2 Sensibilit`a del trasferimento Terra-Venere alla massa al lancio . . . 74

5.9 Selezione del massimo payload imbarcabile . . . 77

5.9.1 Impostazione del problema . . . 78

5.9.2 Traiettoria selezionata verso Marte . . . 79

(4)

propulsivo elettrico e di quello chimico . . . 92

5.10.1 Manovra di Hohmann . . . 93

5.10.2 Confronto per la missione Terra-Marte . . . 94

5.10.3 Confronto per la missione Terra-Venere . . . 96

6 Conclusioni 97 A Modello di Edelbaum 100 A.1 Ipotesi su cui si basa il modello . . . 100

A.1.1 Analisi di Edelbaum . . . 101

Bibliografia 107

Elenco degli acronimi 109

Elenco delle figure 111

Elenco delle tabelle 115

(5)

a semiasse maggiore

aT vettore accelerazione propulsiva

aTθ componente del vettore accelerazione propulsiva in direzione tangente

all’orbita

aTr componente del vettore accelerazione propulsiva in direzione normale

all’orbita

aTh componente del vettore accelerazione propulsiva normale al piano

dell’or-bita

aT modulo del vettore accelerazione propulsiva

a1...e1 coefficienti polinomiali dell’espressione della portata di massa di un

motore a effetto Hall

a2...e2 coefficienti polinomiali dell’espressione della spinta di un motore a

effetto Hall e eccentricit`a e− elettrone

f finale

g0 accelerazione gravitazionale terrestre

(6)

j densit`a di corrente

k rapporto tra la massa di propellente e quella al lancio

m massa

˙

m portata di massa del propellente mp massa di propellente

msp massa specifica del sistema di generazione di potenza

max massimo min minimo

n moto medio

psp potenza specifica delle celle solari

q carica

r distanza dal centro di attrazione r vettore posizione

rL raggio di Larmor

t tempo

u componente di velocit`a radiale

ue velocit`a effettiva di scarico della massa di propellente

v componente di velocit`a tangenziale v vettore velocit`a

(7)

ASA superficie delle celle solari B campo magnetico E campo elettrico F forza ˜ I funzionale

IB corrente disponibile per il propulsore

Id corrente di scarica

Isp impulso specifico

Itot impulso totale

˜

J vincolo di integrale ˜

K condizione da imporre per ottenere una soluzione stazionaria dell’in-tegrale

L posizione angolare media M anomalia media

NT numero di propulsori operativi

P potenza

PE potenza disponibile per il sistema propulsivo

PSA potenza in uscita dai pannelli solari

PSEP potenza in ingresso al propulsore

T spinta

V voltaggio

VA voltaggio in uscita dai pannelli solari

(8)

W peso

α angolo di spinta η rendimento di spinta

ηSA efficienza dei pannelli solari

θ anomalia

˜

θ anomalia vera

λ moltiplicatore di Lagrange associato all’equazione di vincolo µ paramentro gravitazionale

σ coefficiente strutturale

τ funzione di accensione del propulsore

φ angolo compreso tra la direzione di incidenza dei raggi solari e il piano su cui giacciono i pannelli fotovoltaici

ω argomento del perigeo ωc frequenza di ciclotrone

∆ variazione

∆PSC differenza tra la potenza del veicolo spaziale e quella dei soli propulsori

Γ sistema di riferimento polare

Ω ascensione retta del nodo ascendente 0 iniziale

⊕ Terra

(9)

1

Introduzione

1.1

Presentazione del problema

L’esplorazione del Sistema Solare, con la possibilit`a di scoprire pianeti abi-tabili, nuove forme di vita e risorse energetiche alternative, ha da sempre affascinato l’uomo e coinvolto la comunit`a scientifica. In particolare, negli ultimi decenni `e stato registrato un crescente interesse verso lo studio e l’ap-profondimento della conoscenza dei corpi celesti.

Le missioni di esplorazione dello spazio profondo richiedono elevati incre-menti di velocit`a, quindi `e necessario poter disporre di tecnologie sempre pi`u sofisticate ed efficienti.

Per realizzare tali missioni, possono essere seguite due strade diverse.

La prima si basa sull’utilizzo di sistemi propulsivi ad alta spinta, capaci di impartire al veicolo spaziale un’accelerazione non trascurabile rispetto a quel-la di gravit`a locale e funzionanti per un intervallo di tempo molto piccolo in confronto ai tempi caratteristici di missione. `E inoltre prevista l’applicazione di eventuali manovre a00effetto fionda00. Tuttavia questo tipo di soluzione pu`o risultare complesso e difficilmente realizzabile.

L’altra via da percorrere prevede l’impiego di sistemi propulsivi a bassa spin-ta, capaci di impartire al veicolo spaziale un’accelerazione propulsiva di pic-cola entit`a se paragonata all’attrazione gravitazionale locale e funzionanti per un periodo di tempo molto lungo, quasi fino a coprire la totalit`a della missione. Tali sistemi permettono di realizzare i trasferimenti col vantaggio

(10)

di un utilizzo pi`u efficiente del propellente: riducendo il consumo di quest’ul-timo, diventa possibile aumentare il carico utile o diminuire il volume del veicolo spaziale.

Gli intervalli di tempo in cui la spinta `e attiva comportano una complicazione maggiore nella scelta dei parametri di controllo, come l’entit`a e la direzione della spinta, aspetto che ha reso lo studio delle traiettorie a bassa spinta particolarmente interessante da un punto di vista analitico e numerico. La possibilit`a di raggiungere i corpi celesti attraverso dei veicoli spaziali `e attualmente condizionata, oltre che dalla potenza disponibile del sistema propulsivo, dal vincolo dovuto all’imbarco di un quantitativo finito di pro-pellente.

Tuttavia il problema del consumo di propellente non `e l’unico ostacolo al successo di una missione spaziale, poich´e deve essere considerato anche il tempo richiesto per trasferire il veicolo dalla Terra al pianeta di arrivo. Se infatti lo scopo della missione `e esplorare ed eventualmente porre le basi per una futura colonizzazione di altri pianeti, `e necessario effettuare il trasfe-rimento in intervalli di tempo non troppo lunghi e trasportare una quantit`a di materiale sufficiente per le analisi scientifiche. Quindi risulta interessante individuare le traiettorie che consentano di coprire grandi distanze in tempi ragionevoli e con un consumo di propellente contenuto.

Il problema del consumo di propellente `e maggiormente sentito per missio-ni ad ampio raggio, come quelle interplanetarie. Per effettuare uno studio sistematico dei pianeti, risulta quindi indispensabile individuare dei sistemi propulsivi e determinare delle traiettorie che permettano di risparmiare il maggior quantitativo possibile di propellente per effettuare una missione as-segnata.

Il tentativo di rispondere a queste problematiche ha portato alla nascita e allo sviluppo dei propulsori elettrici, la cui fonte energetica primaria `e costituita dalla luce solare. Quest’ultima `e infatti sfruttata per generare energia elet-trica nei comuni veicoli spaziali attraverso l’utilizzo dei pannelli fotovoltaici. Tale energia pu`o essere convertita in potenza utile per generare la spinta necessaria ad accelerare il veicolo stesso.

(11)

1.2

Scopo del lavoro

Gli scopi principali del presente lavoro sono:

• sviluppare un modello per la valutazione delle espressioni di spinta e portata di massa di un veicolo spaziale per trasferimenti interplane-tari, utilizzante propulsori elettrici per generare la spinta e pannelli fotovoltaici per generare la potenza necessaria;

• valutare le prestazioni ottenibili in termini di frazione di propellente necessario e di carico utile trasferibile verso i pianeti prossimi alla Terra; • indagare le traiettorie di trasferimento nell’ipotesi di spinta tangen-ziale e osservare come queste si modificano all’aumentare della massa al lancio;

• affrontare lo studio delle prestazioni quasi ottime rispetto alla variabile massa, fissando la massa al lancio e individuando le condizioni in cui la somma della massa di propellente e di quella del sistema di generazione di potenza `e minima, massimizzando quindi il quantitativo di carico utile trasportabile.

1.3

Organizzazione della Tesi

Questo lavoro `e stato articolato nel seguente modo:

• Nel Capitolo 1 si indicano le motivazioni che hanno portato ad affron-tare questo studio e gli obiettivi che questo si prefigge.

• Nel Capitolo 2 vengono illustati alcuni concetti fondamentali della pro-pulsione elettrica. In particolare sono messe in evidenza le caratteristi-che salienti relative ai propulsori a effetto Hall, categoria di cui fa parte il propulsore oggetto di studio.

`

E inoltre presentato il modello di motore scelto come riferimento. Si tratta del NASA-103M.XL, un modello sperimentale di propulsore a effetto Hall realizzato dalla NASA negli ultimi anni. Dopo averne de-lineate le caratteristiche e le prestazioni, si passa alla modellazione del sistema propulsivo, per poi arrivare a definire delle espressioni di tipo

(12)

sperimentale per la spinta e la portata di massa. Si considera un sis-tema propulsivo elettrico che porta al suo interno il fluido di lavoro e in cui la fonte energetica necessaria per la propulsione `e esterna e tras-ferita al propulsore mediante l’impiego di pannelli solari. Al termine di una serie di osservazioni riportate all’interno del capitolo, spinta e portata di massa vengono modellate in funzione di potenza e voltaggio. • Nel Capitolo 3 si introduce la missione presa come riferimento. La scelta `e ricaduta sulla missione Dawn, basata su una sonda senza equi-paggio sviluppata dalla NASA per raggiungere ed esplorare gli asteroidi Vesta e Ceres, iniziata il 27 settembre 2007 e attualmente in corso. Le informazioni inerenti a questa missione sono poi sfruttate, insieme a quelle note da letteratura relative a un propulsore a effetto Hall, per effettuare il calcolo delle masse al lancio. All’interno del capitolo si ri-portano anche il dimensionamento dei pannelli fotovoltaici e un’attenta descrizione della tipologia di celle impiegate. La potenza in ingresso al propulsore, da cui dipendono le espressioni di spinta e portata di mas-sa, `e infatti funzione della potenza in uscita dai pannelli fotovoltaici. Occorre quindi assicurarsi di poter disporre di potenza sufficiente per riuscire a operare efficientemente durante l’intero trasferimento previ-sto.

Le masse dei principali elementi che costituiscono un sistema propul-sivo a effetto Hall sono reperite da letteratura, mentre per stimare le altre masse a secco che vanno a costituire il veicolo spaziale, escludendo il carico pagante, assunto essere una variabile, vengono presi in conside-razione i dati noti per la missione Dawn. Il sistema propulsivo elettrico si dimensiona invece in base alla massima distanza dal Sole prevista dall’analisi di missione. La massa al lancio `e quindi espressa come una funzione della massa di propellente e di quella pagante.

• Il Capitolo 4 presenta l’analisi, sulla base del modello di Edelbaum, dei due trasferimenti:

(13)

Per entrambi i trasferimenti vengono simulate un certo numero di mis-sioni al variare del valore della massa al lancio.

Dopo aver calcolato le velocit`a dell’orbita di partenza e di arrivo e stabilito una variazione di inclinazione plausibile tra le due orbite, ap-plicando le relazioni relative al modello di Edelbaum si riesce a calcolare il valore iniziale dell’angolo di spinta. La conoscenza di quest’ultimo permette di risalire alla variazione di velocit`a di missione, da cui, noto l’impulso specifico, si calcola il rapporto tra la massa di propellente e quella al lancio. Per entrambe le missioni si mostrano l’andamento di tale rapporto in funzione dell’impulso specifico e della massa al lancio in funzione di quella pagante.

Il capitolo si conclude proponendo il metodo di Alfano, un modello alternativo a quello di Edelbaum, tuttavia non applicato nel presente lavoro perch`e il modello di propulsore scelto non ne verificava intera-mente le ipotesi alla base.

• Il Capitolo 5 contiene una stima delle prestazioni e dei costi relativi alle due missioni scelte, nell’ipotesi che la spinta sia tangenziale e che sia nota la massa al lancio del veicolo spaziale. Noti il raggio dell’orbita di partenza e di quella di arrivo, la massa del veicolo a inizio missione, scelta in base a informazioni reperite da letteratura, la potenza e il voltaggio, `e possibile valutare la massa di propellente da imbarcare e il tempo necessario per completare la missione.

Per entrambe le missioni si riportano il valore assunto dai parametri fondamentali in corrispondenza dell’arrivo sul pianeta obiettivo, l’an-damento della massa totale in funzione della distanza percorsa e del tempo, e la traiettoria. Si propone inoltre un’analisi finalizzata a evi-denziare come la traiettoria si modifica all’aumentare della massa ini-ziale.

Per entrambi i trasferimenti vengono individuate le traiettorie quasi ot-time in termini di massa, ovvero tali per cui, fissata la massa al lancio, `

e minima la somma della massa di propellente e di quella del sistema di generazione di potenza, permettendo quindi di imbarcare il massimo quantitativo possibile di carico pagante.

(14)

base agli intervalli all’interno dei quali i due parametri possono variare e, per ogni coppia selezionata, si calcolano tutti i valori dei parametri necessari per valutare la massa di propellente e quella del sistema di ge-nerazione di potenza. Si calcola la somma di queste due masse per ogni coppia di potenza e voltaggio in ingresso e si individuano le condizioni in cui essa risulta minima. Lo studio `e effettuato assicurandosi che i risultati siano compatibili con il tempo di vita del sistema propulsivo e con le prestazioni del motore di riferimento.

• Il Capitolo 6 riassume le conclusioni.

• L’Appendice A fornisce infine una descrizione di alcuni interessanti risultati proposti da Edelbaum per affrontare il problema del trasferi-mento a bassa spinta tra due orbite circolari inclinate e la trattazione analitica del modello relativo.

(15)

2

Modellazione del propulsore

2.1

Introduzione

Nel presente capitolo vengono riportati alcuni concetti base della propulsione elettrica e vengono classificate le varie tipologie di propulsore.

All’interno della famiglia dei propulsori elettrici, l’attenzione viene poi posta sui motori a effetto Hall, che negli ultimi anni hanno trovato grandi spazi ap-plicativi in campo spaziale. Questo `e stato possibile grazie all’intenso lavoro svolto dalla ricerca, nel tentativo di sviluppare una nuova classe di propul-sori in grado di fornire un elevato impulso specifico, che possano lavorare con potenze limitate e non vadano a incidere significativamente sul computo ponderale.

Nonostante l’ampio lavoro di studio e progettazione effettuato su molti mo-delli di motore a effetto Hall in diversi laboratori del mondo, i meccanismi fisici che ne regolano il funzionamento non possono dirsi completamente noti; lo stesso vale per le complesse interazioni tra il sistema propulsivo e il veicolo spaziale, che possono essere predette solo in maniera approssimativa. Quindi questi motori sono ancora oggetto di studio, per cercare di comprenderne a fondo tutti gli aspetti fisici connessi.

Nel presente lavoro si `e scelto come modello di riferimento un motore a effet-to Hall sviluppaeffet-to dalla NASA, di cui si riporta una descrizione dettagliata e se ne elencano le prestazioni.

(16)

attraverso uno schema a blocchi, in modo da evidenziare gli elementi fonda-mentali che lo costituiscono e arrivare a ottenere le espressioni di spinta e portata di massa, necessarie per affrontare poi l’analisi di missione.

2.2

Nozioni di base della propulsione

elettrica

In un motore a reazione, la spinta `e generata per mezzo dell’espulsione di un fluido di lavoro. Poich´e il volo spaziale avviene in assenza di forze esterne aerodinamiche rilevanti, si pu`o assumere che la propulsione si riduca ad un bilancio di quantit`a di moto tra il sistema e il propellente rilasciato:

m ˙v = ˙mue (2.1)

dove:

• m: massa del veicolo; • ˙v: accelerazione del veicolo;

• ˙m: portata di massa del propellente che fuoriesce dal motore;

• ue: velocit`a effettiva di scarico della massa di propellente, relativa al

veicolo, nella direzione della spinta.

Il termine m ˙v rappresenta la spinta T prodotta dal propulsore, il cui inte-grale nel tempo costituisce l’impulso totale Itot.

Il rapporto della spinta con la portata in peso di propellente `e noto in-vece come impulso specifico, parametro che indica la capacit`a del motore di utilizzare propellente ai fini della spinta:

Isp = T ˙ mg0 = ue g0 (2.2) con g0 = 9.80665 m/s−2 modulo dell’accelerazione terrestre gravitazionale a

(17)

L’equazione del moto, integrata tra l’istante iniziale e quello finale, rispet-tivamente corrispondenti all’accensione e allo spegnimento del propulsore, fornisce l’ equazione di Tsiolkowsky:

∆v = ueln

m0

mf

(2.3) dove:

• ∆v: variazione di velocit`a del veicolo;

• m0: massa del veicolo all’inizio del periodo di spinta;

• mf: massa del veicolo al termine del periodo di spinta.

Si nota quindi come il veicolo spaziale sia soggetto ad un incremento di velo-cit`a dipendente linearmente dalla velocit`a di scarico, nell’ipotesi che quest’ul-tima rimanga costante durante tutto il tempo di spinta, e in modo logaritmico dalla massa di propellente espulsa.

Le operazioni spaziali vengono generalmente definite in termini di variazione di velocit`a durante la manovra: missioni interplanetarie richiedono valori ele-vati di ∆v, dell’ordine di 104 m/s, e questo comporta un rapporto elevato

tra la massa iniziale e finale del veicolo.

A parit`a di massa iniziale, un propulsore che consuma meno propellente per una determinata manovra permette al sistema di estendere la sua vita utile. L’incremento di velocit`a richiesto per effettuare una missione `e quindi un indice del suo costo dal punto di vista energetico.

La propulsione elettrica trova un’applicazione vantaggiosa nelle missioni che richiedono tempi lunghi o ampi raggi, come i trasferimenti interplanetari, perch´e consente un notevole risparmio sulla massa di propellente imbarcata, con conseguenti vantaggi economici.

2.3

La potenza nella propulsione elettrica

La propulsione elettrica offre i vantaggi, precedentemente evidenziati, di un alto impulso specifico, ma presenta anche uno svantaggio: la potenza necessa-ria per accelerare il propellente deve essere fornita da un apposito

(18)

sottosiste-ma, chiamato generatore. L’esigenza di separare il propulsore e il sistema di generazione di potenza conduce a valori di spinte disponibili piuttosto limi-tati, tipicamente compresi tra 1 µN e qualche N.

Si pu`o assumere che la massa del sistema di generazione dipenda linearmente dalla potenza erogata dal generatore, secondo la relazione [1]:

mEP S = mspPSEP (2.4)

dove:

• mEP S: massa del generatore di potenza;

• msp: massa specifica del sistema di generazione di potenza (massa/unit`a

di potenza);

• PSEP: potenza in ingresso al propulsore.

Definendo l’efficienza di spinta come il rapporto tra la potenza fornita in termini di spinta e quella elettrica assorbita

η = T ue 2PSEP

(2.5) `

e possibile esprimere PSEP come:

PSEP =

T ue

2η =

g0T Isp

2η (2.6)

2.4

Classificazione dei vari tipi di propulsore

I sistemi propulsivi a uso spaziale possono essere classificati in base al pro-cesso accelerativo utilizzato e al tipo di energia trasformata in spinta. I processi accelerativi si dividono in:

• gasdinamico: un gas, ad alta pressione e temperatura, viene accelerato attraverso un’espansione in un ugello;

(19)

appli-• elettromagnetico: un fluido ionizzato, ma globalmente neutro, indicato con il nome di plasma, viene accelerato per mezzo di forze elettromagne-tiche, derivanti dall’interazione tra una corrente e un campo magnetico a questa ortogonale.

Le forme di energia utilizzate sono:

• chimica: liberata in seguito ad una reazione nucleare esotermica; • nucleare: liberata in seguito a fusione o fissione nucleare;

• elettrica: utilizzata per generare campi elettrici e magnetici, necessari per ionizzare e accelerare il propellente.

2.4.1

La propulsione chimica

Il meccanismo fondamentale su cui si basa la propulsione chimica `e legato allo sviluppo di calore in camera di combustione, in seguito a reazioni chi-miche esoterchi-miche, e alla successiva espansione e accelerazione in un ugello dei prodotti di reazione ad alto contenuto entalpico.

L’energia utilizzata `e contenuta nei propellenti stessi, sotto forma di legami chimici a livello molecolare: a differenza dei motori elettrici, in quelli chimici non sono quindi necessari sottosistemi per generare energia.

I propulsori chimici presentano tuttavia alcuni inconvenienti, che ne limitano le prestazioni, come la presenza di prodotti di reazione indesiderati che van-no a sottrarre energia al processo accelerativo. Un’ulteriore quota di energia non pu`o essere sfruttata, perch´e resta congelata nei moti vibrazionali delle molecole o perch´e viene dissipata.

2.4.2

La propulsione elettrica

La propulsione elettrica racchiude una grande variet`a di dispositivi che sfrut-tano tecnologie diverse per ottenere il comune risultato di trasformare l’ener-gia elettrica, fornita da un opportuno sistema di alimentazione, nell’enerl’ener-gia cinetica di un flusso di massa ad alta velocit`a di scarico. Essa si `e affermata, a partire dagli anni ’90, come una valida alternativa alla propulsione chimica in molti campi di applicazione.

(20)

I vantaggi, che hanno reso questo tipo di motori preferibili rispetto a quelli che sfruttano energia nucleare o chimica, sono la semplicit`a realizzativa ri-spetto ai primi e il ridotto consumo di propellente riri-spetto ai secondi. Tuttavia, presentano lo svantaggio di necessitare di energia che deve essere fornita al propellente dall’esterno, quindi sono vincolati alla presenza a bordo di alimentatori, circuiti magnetici, ecc. Questi dispositivi sono relativamente pesanti e pongono quindi un limite al livello di spinta effettivamente realiz-zabile con la propulsione elettrica e, quindi, al suo impiego in generale. Nella famiglia dei propulsori elettrici sono compresi tutti quei dispositivi che creano spinta accelerando un gas:

• propulsori elettrotermici : l’energia elettrica viene usata per scaldare un gas che viene fatto espandere in un ugello (ue∼ 3 km/s, T ∼ 1 N);

• propulsori elettrostatici : un gas ionizzato viene accelerato solo da forze elettrostatiche (ue= 4 ÷ 100 km/s, T = 1 µN÷0.1 N );

• propulsori elettromagnetici : un gas ionizzato viene accelerato da forze elettrostatiche e magnetiche, generate dai campi magnetici presenti all’interno del motore stesso (ue = 2 ÷ 10 km/s, T = 1 mN÷0.1 N).

Si concentra l’attenzione su quest’ultima categoria di motori.

I propulsori elettromagnetici

I propulsori elettromagnetici si basano sull’interazione di una corrente elet-trica, guidata attraverso un propellente conduttore, con un campo magnetico indotto o applicato dall’esterno, al fine di produrre una forza per accelerare il propellente stesso. Questi sistemi possono produrre velocit`a di scarico molto pi`u alte dei propulsori elettrotermici, e densit`a di spinta pi`u elevate di quelli elettrostatici, ma coinvolgono fenomeni pi`u complessi e analiticamente meno trattabili.

Un fluido elettricamente conduttivo, di solito un gas altamente ionizzato, `e soggetto ad un campo elettrico ~E e a un campo magnetico ~B,

(21)

perpendico-Il processo pu`o essere rappresentato anche da un punto di vista particellare, in termini di traiettoria media degli elettroni portatori di corrente, i quali, seguendo il campo elettrico, sono ruotati a valle dal campo magnetico, tra-smettendo la loro quantit`a di moto agli ioni per collisione.

In entrambe le rappresentazioni, il fluido di lavoro `e altamente ionizzato, ma macroscopicamente neutro (plasma), e non presenta quindi vincoli di limitazione di carica spaziale, a cui sono invece soggetti i propulsori elettrici.

2.5

Evoluzione del motore a effetto Hall

I motori a effetto Hall emergono tra le varie soluzioni studiate nell’ambito della propulsione elettromagnetica. Il loro sviluppo ha inizio nei primi anni sessanta, in maniera indipendente negli Stati Uniti e nell’ex Unione Sovietica. Tuttavia il concetto di propulsore a effetto Hall fu sviluppato in termini pi`u concreti nell’ URSS, dove l’attivit`a di ricerca port`o allo sviluppo di due tipologie di questa categoria di motori:

• SPT (Stationary Plasma Thruster ), con la particolarit`a di avere una estesa zona di accelerazione;

• TAL (Thruster with Anode Layer ), avente il canale di accelerazione pi`u corto.

La modellazione dell’SPT `e stato gran parte lavoro di A.I.Morozov.

I motori SPT sono usati dal 1972 e venivano impiegati principalmente per lo station keeping nelle direzioni Nord-Sud ed Est-Ovest: il primo prototipo a volare fu l’SPT-60 sul satellite Meteor-18 e funzion`o per circa 170 ore. L’interesse per questo tipo di propulsori dall’inizio degli anni novanta ad oggi `

e rapidamente aumentato e lo sviluppo di questi dispositivi rappresenta una parte importante di tutti i programmi spaziali delle principali aziende che si occupano di propulsione spaziale in tutto il mondo.

(22)

Figura 2.1: Immagine di un propulsore a effetto Hall in funzione

La ricerca attuale sui propulsori a effetto Hall `e concentrata su:

• estendere il loro campo di funzionamento a potenze pi`u elevate (da 50 a 100 kW) o pi`u piccole (da 50 a 100 W);

• affermare la possibilit`a di utilizzo a impulso specifico pi`u alto e varia-bile;

• estendere la durata operativa per l’uso delle missioni scientifiche nello spazio profondo.

Un propulsore Hall opera tipicamente al 50÷60% dell’efficienza di spinta, fornisce un impulso specifico da 1200 a 1800 s e rapporti di spinta su potenza di 50÷70 mN/kW.

2.5.1

Funzionamento di un propulsore a effetto Hall

I propulsori a effetto Hall [2] sono generalmente a simmetria cilindrica e ba-sano il loro funzionamento sull’accelerazione di un fluido di lavoro, grazie all’azione combinata di un campo magnetico, diretto radialmente, e un cam-po elettrico assiale, a esso perpendicolare.

(23)

bo-tra l’anodo, interno al motore, e il catodo esterno.

Per una corretta comprensione del funzionamento del motore, si precisa che la configurazione a cui si fa riferimento `e quella SPT, in cui il gas viene im-messo in un canale, detto di accelerazione, all’interno del quale esso viene prima ionizzato, poi accelerato verso l’esterno; nella tipologia di motore TAL i due fenomeni avvengono invece in un’unica zona, esterna al motore.

Figura 2.2: Schema di un propulsore SPT

Il catodo emette elettroni, in parte spinti verso l’anodo, grazie al campo elettrico applicato, in parte invece sfruttati per neutralizzare il fascio ionico all’uscita della camera di accelerazione.

Entrando nella zona in cui `e presente il campo magnetico, l’elettrone presenta un moto complessivo dato dalla composizione di un moto di ciclotrone e uno di deriva. Il moto di ciclotrone (o moto di Larmor) `e costituito dalla rotazione della particella su un’orbita circolare, disposta ortogonalmente al campo magnetico applicato, avente raggio:

(24)

dove:

• v⊥ `e la componente di velocit`a della particella nel piano ortogonale al

campo magnetico; • ωc =

|q|B

me−, con q e me− rispettivamente carica e massa dell’elettrone, `e

la frequenza di ciclotrone.

Il moto di deriva `e una traslazione della particella, perpendicolmente sia al campo elettrico che magnetico, con velocit`a:

~ vE =

~ E ∧ ~B

B2 (2.8)

Gli elettroni risultano quindi intrappolati in un moto azimutale, che pu`o es-sere rappresentato come quello di un cicloide lungo un anello.

Figura 2.3: Vista schematica di un propulsore a effetto Hall

All’interno del canale viene introdotto anche il propellente: generalmente `

e scelto lo Xenon, per le sue caratteristiche favorevoli di elevata massa ato-mica (131 u.m.a.) e basso potenziale di prima ionizzazione.

(25)

azimutale: il moto macroscopico dell’elettrone `e descrivibile come una spirale verso l’anodo. Infatti gli elettroni interni al canale alla fine raggiungeranno l’anodo, chiudendo il circuito elettrico. Gli elettroni prodotti dalla ionizza-zione seguono la stessa sorte e contribuiscono alla ionizzaionizza-zione del fluido di lavoro, che pu`o essere espressa come:

Xe + e−  Xe++ 2e− (2.9)

Gli ioni, invece, non risentono della presenza del campo magnetico, a causa dell’elevato valore del raggio di ciclotrone, e vengono accelerati in maniera rettilinea dal potenziale elettrico.

Poich`e gli ioni risentono solo della presenza del campo elettrico, il processo accelerativo `e di tipo elettrostatico e il valore della velocit`a di scarico segue la legge:

ue =

r 2qVd

mi+

(2.10) dove Vd`e il valore del potenziale elettrostatico di scarico, che rappresenta la

caduta potenziale che si crea nella zona magnetizzata a seguito della mag-giore resistivit`a del plasma in direzione assiale, mentre mi+ `e la massa dello

ione.

2.6

Scelta del modello di riferimento

Il propulsore utilizzato come modello di riferimento nel presente lavoro `e il NASA-103M.XL [3], un modello sperimentale di propulsore a effetto Hall, realizzato dalla NASA nel tentativo di migliorare le prestazioni e abbassare i costi del sistema propulsivo nelle missioni spaziali.

La NASA, gi`a a partire dagli anni ’60, ha riconosciuto i vantaggi della pro-pulsione elettrica, rispetto a quella chimica, per alcuni tipi di applicazioni; essa ha poi concentrato l’interesse nella propulsione elettrica per il suo im-piego nelle missioni di ricerca, volte a investigare l’origine e l’evoluzione dei corpi minori all’interno del sistema solare, non in prossimit`a della Terra.

(26)

Figura 2.4: Fotografia del NASA-103M.XL.

Queste attivit`a di ricerca fanno parte dell’ In-Space Propulsion Techno-logy Program(ISTP ), il cui recente obiettivo primario `e stato completare lo sviluppo del sistema propulsivo NEXT (NASA Evolutionary Thruster ), un sistema propulsivo a ioni con massima potenza operativa di 7 kW e massimo impulso specifico di 4000 s, reso operativo alla fine del 2007.

Nonostante l’idoneit`a del sistema propulsivo NEXT a essere impiegato nelle missioni di scoperta spaziale, la NASA ha considerato parallelamente un nuovo sistema propulsivo elettrico, basato sull’effetto Hall, con caratteris-tiche operative fatte su misura per questo tipo di applicazioni, finalizzato a ottenere benefici in termini di prestazioni e costi, rispetto ai sistemi a ioni. Questo ha portato alla creazione dell’High Voltage Hall Accelerator (HIVHAC ), la cui prima versione, il NASA-94M, aveva un tempo di vita di 7500 ore in regime di piena potenza.

Studi successivi hanno portato al motore NASA-103M.XL, che raggiunge tempi di vita di 15000 ore ed `e stato progettato per una potenza massima operativa di 3.5 kW.

(27)

Prestazioni e caratteristiche del motore selezionato

L’obiettivo tecnico legato allo sviluppo dell’HIVHAC era ottenere un motore a effetto Hall capace di operare su un range di potenze in ingresso da 0.3 a 3.5 kW, a impulsi specifici tra 1000 e 2800 s, e che potesse processare 300 kg di Xenon, operando a piena potenza.

A 3.5 kW, il NASA-103M.XL ha mostrato prestazioni con un’efficienza totale del 55%, impulso specifico totale di 2780 s e un tempo di vita superiore a 15000 ore.

Le prestazioni del motore in questione sono state valutate all’interno del NASA Glenn Research Center (GRC): in particolare, si `e fatto uso di una struttura a vuoto (Vacuum Facility 8 ), dal diametro di 1.5 m, lunga 4.7 m, con una velocit`a di pompaggio di 160000 litri di aria al secondo.

Figura 2.5: Fotografia della struttura a vuoto VF-8

L’apparato di cui si `e fatto uso prevedeva: un sistema di fornitura di po-tenza, capace di produrre un voltaggio costante in uscita nel range di 0÷100 V, a livelli di corrente di 0÷6 A, per una potenza totale in uscita di 6 kW; un sistema di acquisizione dei dati e uno di controllo.

Per la valutazione del motore, come propellente `e stato impiegato Xenon pu-ro al 99.999%.

(28)

Le prestazioni del NASA-103M.XL sono state inizialmente misurate per in-dividuare quando avveniva una loro caduta e valutare quali potevano essere le modifiche da apportare nel disegno del motore, per aumentarne la vita e incrementarne le capacit`a di potenza. La portata di massa del flusso di propellente richiesta al catodo `e stata introdotta in punti diversi, in modo da effettuare uno studio di ottimizzazione sul catodo.

Le prestazioni del motore sono state misurate nel caso di portata di massa all’anodo tra 1.92 e 5.08 mg/s e voltaggio di scarica tra 200 e 700 V.

Si `e osservato che l’efficienza aumentava con l’impulso specifico per tutte le portate di massa del propellente, eccetto che per quella pi`u bassa: con una portata di massa di 1.92 mg/s, l’efficienza dell’anodo raggiungeva un massimo per un impulso specifico di 1800 s e decresceva all’aumentare del voltaggio di scarico, comportamento associato con un decremento dell’effi-cienza di utilizzazione del propellente.

L’efficienza massima, del 55%, `e stata misurata a 700 V e per una portata di massa di 5 mg/s; l’efficienza minima `e del 33% e si manifesta a 200 V e per una portata di massa di 1.92 mg/s.

Le prestazioni del NASA-103M.XL sono state valutate attraverso test di lun-ga durata: la spinta `e stata normalizzata rispetto al valore iniziale (T /T0),

per evidenziare la caduta di prestazioni nel tempo e confrontare i risultati con quelli relativi a precedenti motori a effetto Hall. Si `e visto come le presta-zioni rimanevano le stesse per le prime 125 ore, poi iniziavano a decrescere: dopo 600 ore raggiungevano il 94% del loro valore iniziale.

La caratterizzazione del motore ha dimostrato 2100 ore di funzionamento a piena potenza e la possibilit`a di raggiungere tempi di vita di 15000 ore o maggiori.

(29)

Voltaggio Corrente Potenza Portata Portata Voltaggio Spinta Impulso Efficienza di scarica di scarica totale di massa di massa al catodo [mN] specifico all’anodo

(Vd)[V ] (Id)[A] [kW] all’anodo al catodo [V] all’anodo

[mg/s] [mg/s] (Isp)[s] 200 1.62 0.38 1.92 0.37 -9.77 23.9 1062 33% 300 1.60 0.54 1.92 0.37 -10.77 30.9 1376 39% 400 1.70 0.74 1.92 0.37 -10.5 36.1 1604 38% 500 1.69 0.92 1.92 0.37 -10.5 42.1 1877 42% 600 1.73 1.13 1.92 0.36 -10.7 46.3 2068 42% 700 1.71 1.31 1.92 0.36 -9.74 48.5 2165 39% 200 2.08 0.46 2.41 0.37 -9.65 30.6 1121 36% 300 2.09 0.68 2.41 0.37 -10.3 39.7 1453 41% 400 2.17 0.93 2.41 0.37 -10.9 47.2 1733 43% 500 2.23 1.18 2.41 0.36 -11.4 54.5 2004 46% 600 2.20 1.41 2.41 0.36 -11.23 60.5 2222 47% 700 2.19 1.61 2.41 0.36 -10.6 64.3 2364 46% 200 2.55 0.56 2.90 0.36 -9.6 37.2 1162 38% 300 2.53 0.81 2.90 0.36 -10.4 48.3 1510 44% 400 2.67 1.13 2.90 0.36 -10.9 57.9 1809 45% 500 2.74 1.43 2.90 0.36 -11.5 66.0 2060 47% 600 2.61 1.65 2.90 0.36 -11.5 72.1 2252 48% 700 2.69 1.98 2.90 0.37 -11.5 78.8 2454 48% 200 3.00 0.64 3.39 0.36 -9.5 44.1 1197 40% 300 2.96 0.94 3.39 0.37 -10.8 56.9 1542 46% 400 3.19 1.35 3.39 0.37 -11 67.4 1826 45% 500 3.27 1.71 3.39 0.36 -11.5 77.8 2114 47% 600 3.22 2.01 3.39 0.36 -11.3 86.6 2352 50% 700 3.22 2.43 3.39 0.37 -11.6 93.6 2535 48% 200 3.48 0.74 3.88 0.36 -9.6 51.1 1227 42% 300 3.47 1.09 3.88 0.36 -10.9 65.5 1572 46% 400 3.68 1.55 3.88 0.38 -11.2 78.3 1870 46% 500 3.78 1.96 3.88 0.37 -11.37 90.3 2164 49% 600 3.71 2.33 3.88 0.38 -11.5 99.7 2386 50% 700 3.74 2.72 3.88 0.39 -12 108.2 2582 50% 200 4.02 0.85 4.37 0.36 -9.6 58.8 1266 43% 300 4.00 1.25 4.37 0.38 -10.8 75.3 1616 48% 400 4.25 1.78 4.37 0.41 -11 90.5 1928 48% 500 4.23 2.21 4.37 0.39 -12.13 103.8 2222 51% 600 4.28 2.68 4.37 0.40 -12.07 113.9 2433 51% 700 4.27 3.10 4.37 0.42 -11.35 125.6 2673 53% 200 4.59 0.95 4.86 0.42 -10 66.0 1273 43% 300 4.53 1.42 4.86 0.43 -10.7 85.4 1644 48% 400 4.84 2.02 4.86 0.43 -11.6 102.4 1972 49% 500 4.76 2.49 4.86 0.43 -12.5 119.1 2292 54% 600 4.80 2.98 4.86 0.43 -11.5 131.4 2529 55% 700 4.85 3.51 4.86 0.43 -11.52 142.2 2737 54% 200 5.65 1.17 5.84 0.44 -10.4 80.8 1312 45% 300 5.05 1.58 5.35 0.43 -11.7 95.0 1674 49% 400 5.06 2.14 5.23 0.46 -12 111.8 2002 51% 600 5.00 3.10 5.01 0.43 -11.9 136.2 2550 55% 700 5.04 3.63 4.98 0.43 -11.7 147.6 2779 55%

(30)

2.7

Vantaggi nell’impiego di un motore a

effetto Hall

La propulsione a effetto Hall presenta, rispetto a quella elettrotermica ed elettrostatica, alcuni punti di forza e una maggiore maturit`a tecnologica: per questo motivo i motori SPT si trovano in una posizione privilegiata per l’impiego nelle future applicazioni.

I vantaggi principali che si manifestano usando un propulsore a effetto Hall sono:

• processo di ionizzazione del propellente efficace, prodotto dalla cor-rente di scarica, senza la necessit`a di aggiungere uno specifico elemento ionizzante, che ridurrebbe il rendimento del motore;

• assenza di limitazioni di carica spaziale, nonostante si utilizzi un pro-cesso accelerativo di natura elettrostatica, poich´e il fluido di lavoro impiegato `e una miscela globalmente neutra (plasma);

• rendimento di spinta dell’ordine del 50 ÷ 60%, valore piuttosto elevato e che permette di raggiungere impulsi specifici considerati ottimali, per molte missioni in cui `e vantaggioso l’uso della propulsione elettrica; • assenza di fenomeni di erosione degli elettrodi, non essendo questi

immersi nel plasma.

Questo tipo di propulsore, sebbene fino a pochi anni fa avesse carattere preva-lentemente sperimentale, ha ormai raggiunto la maturit`a necessaria per l’ap-plicazione in volo, rappresentando il miglior candidato per alcune tipologie di missione.

2.8

Schematizzazione del modello

Il modello propulsivo studiato `e stato schematizzato in maniera semplificata attraverso uno schema a blocchi, in grado tuttavia di fornire gli strumenti

(31)

accelerato fornisce spinta, mentre la fonte energetica utile alla propulsione `e esterna e fornita al propulsore attraverso l’impiego di pannelli solari.

PROPELLENTE CONTENIMENTO DEL PROPELLENTE ALIMENTAZIONE DEL PROPELLENTE FONTE DI ENERGIA CONVERSIONE ENERGIA ACCELERAZIONE

Figura 2.6: Generico schema di un sistema propulsivo

Si sottolinea come, nonostante i parametri che caratterizzano il sistema propulsivo siano l’impulso specifico e l’efficienza, le variabili impiegate nelle equazioni del moto sono la spinta totale e la portata di massa del propel-lente: quindi, l’uscita dello schema deve essere rappresentata da opportune espressioni di tali variabili fondamentali.

Per determinare le prestazioni del sistema propulsivo, si `e deciso, al termine di una serie di osservazioni riportate in seguito, di modellare la spinta e la portata di massa come funzioni del voltaggio e della potenza.

(32)

PPU SOLAR ARRAY r, α THRUSTER T=f(P,V) ṁ=g(P,V) PAYLOAD & INSTRUMENTS TSU XENON FLOW CONTROL XENON PRESSURE REGULATOR XENON TANK PSEP,VB,IB PSA,VA

(33)

Note la distanza dal Sole r e l’angolo di spinta α, `e possibile determinare la potenza PSA e il voltaggio VA in uscita dai pannelli solari.

Per molti anni la potenza PSA `e stata modellata come una funzione

polino-miale della distanza dal Sole [4]: come `e facilmente intuibile, allontanandosi dal Sole, la potenza totale fornita dai pannelli diminuisce. Nonostante le prestazioni dei pannelli solari possano essere valutate includendo termini di ordine superiore, `e possibile considerare una formulazione approssimata pi`u semplice:

PSA/P0 = ηSA/r2 (2.11)

dove:

• ηSA rappresenta l’efficienza dei pannelli solari;

• P0 `e una potenza di riferimento, presa come potenza all’inizio della

vita, con fattore di degradazione tra il 15 e il 20%.

Occorre evidenziare come parte dell’energia elettrica prodotta dai pannelli solari debba essere fornita agli strumenti che costituiscono in carico utile, per permettere il loro funzionamento.

La PPU (Power Processing Unit ) sfrutta i valori di PSA e VA per valutare il

voltaggio VB e la corrente IB disponibili per il propulsore. Essa ha quindi la

funzione di trasformare il voltaggio mantenuto dal satellite in quello richiesto dal propulsore.

La potenza disponibile per il sistema propulsivo `e data da [4]:

PE = (PSA− ∆PSC)/NT (2.12)

dove:

• ∆PSC `e la differenza tra la potenza del veicolo spaziale e quella dei soli

propulsori;

• NT `e il numero di propulsori operativi.

Nel caso in esame si `e considerato il caso pi`u semplice, di NT = 1. La PPU si

occupa quindi anche di determinare la corrente IB in ingresso al propulsore,

a partire dalla potenza PE.

(34)

massa ˙m da utilizzare nelle equazioni del moto. Esso converte la potenza che riceve in ingresso in spinta, attraverso la relazione:

T = 2ηPSEP Ispg0

(2.13)

Si `e anche inserita una TSU (Thruster Switch Unit ), attraverso la quale si introduce un parametro di controllo τ = (0,1), che permette di schematizzare la condizione di propulsore acceso (τ = 1) o spento (τ = 0).

Il propellente `e contenuto all’interno di un serbatoio ad alta pressione e, prima di raggiungere il propulsore, deve attraversare un dispositivo che per-metta di regolare a bassa pressione (attorno a 2 bar) lo Xenon in uscita, e uno che provveda al controllo del flusso di massa verso l’anodo. Si considera che la pressione possa subire delle fluttuazioni regolari e, ogni volta che la sua misurazione d`a luogo a un valore minore o maggiore di quello desiderato, delle valvole vengono attivate per riportarsi alla normalit`a.

2.8.1

Espressioni di spinta e portata di massa ai fini

dell’analisi di missione

Facendo riferimento al procedimento seguito in alcuni articoli [5][6], si `e, in un primo momento, utilizzato un modello che esprimesse spinta e portata di massa come una funzione polinomiale della potenza in ingresso alla PPU:

˙

m = a1PSA4 + b1PSA3 + c1PSA2 + d1PSA+ e1 (2.14)

T = a2PSA4 + b2PSA3 + c2PSA2 + d2PSA+ e2 (2.15)

dove PSA `e in kW e i coefficienti, nel caso di motore a effetto Hall, derivano

dalla teoria e non da un processo sperimentale, come precisato in [5]. In Tabella 2.2 si riassumono i valori assunti da questi coefficienti:

(35)

Coefficiente Valore Unit`a di misura a1 −3.766 · 10−8 kg/(skW4) b1 3.296 · 10−7 kg/(skW3) c1 −1.166 · 10−6 kg/(skW2) d1 2.952 · 10−6 kg/(skW) e1 4.972 · 10−7 kg/s a2 −3.178 · 10−4 N/kW4 b2 2.852 · 10−3 N/kW3 c2 −1.066 · 10−2 N/kW2 d2 5.542 · 10−2 N/kW e2 3.079 · 10−3 N

Tabella 2.2: Coefficienti teorici [5] che definiscono le prestazioni di un motore a effetto Hall

Si sono andati quindi a confrontare i risultati teorici, ottenuti calcolando spinta e portata di massa con le precedenti relazioni, con quelli sperimentali, relativi ai dati di prestazione del motore di riferimento.

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 5.5 6 P [kW] dm/dt [mg/s] Eq. (2.15) Dato sperimentale

Figura 2.8: Confronto tra l’andamento teorico [5] e sperimentale [3] della portata di massa in funzione della potenza

(36)

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 0 50 100 150 P [kW] T [mN] Eq. (2.15) Dato sperimentale

Figura 2.9: Confronto tra l’andamento teorico [5] e sperimentale [3] della spinta in funzione della potenza

Si precisa che, per questione di semplicit`a, d’ora in poi PSA e VAverranno

indicati come P e V .

Osservando i due grafici, `e evidente la netta discrepanza tra l’andamento relativo ai dati teorici, rispetto a quello relativo ai dati sperimentali. Si `e quindi dedotto come probabilmente non fosse idoneo il modello impiegato, basato sulle (2.14) e (2.15), in cui spinta e portata di massa erano espresse in funzione di un’unica variabile, ma fosse necessario un modello pi`u raffinato, che facesse uso di due variabili indipendenti.

Si `e dunque scelto di procedere affrontando due diversi casi, in cui nel primo i risultati fossero espressi in funzione di potenza e voltaggio, nel secondo in funzione di potenza e rendimento.

(37)

2.8.2

Interpolazione risultati e curve di livello

Dovendo valutare la dipendenza di spinta e portata di massa da due variabi-li, `e stato necessario implementare un codice di calcolo in ambiente Matlab adatto a risolvere il problema.

Dopo aver caricato i dati relativi alle prestazioni del motore di riferimento, si definisce attraverso due vettori il dominio operativo della potenza P e del voltaggio V . Quindi, mediante il comando meshgrid, vengono create due matrici. La prima `e costituita dal vettore relativo al dominio operativo di V , ripetuto per tante righe quanti sono gli elementi che costituiscono il dominio operativo di P . La seconda matrice `e creata ripetendo invece il vettore rela-tivo al dominio operarela-tivo di P su tante colonne quanti sono gli elementi che costituiscono il dominio operativo di V . Tali matrici vengono poi utilizzate per interpolare la superficie nei punti (P,V ) specificati, utilizzando il coman-do griddata.

Quindi per ottenere in uscita la spinta T e la portata di massa ˙m, si vanno a interpolare due superfici della forma T = f (P,V ) e ˙m = g(P,V ), nei punti specificati dal dominio. Questo algoritmo di calcolo `e stato creato in modo che, dando in ingresso un valore plausibile di P e V , in uscita si avessero i corrispondenti valori di T e ˙m.

Si riporta la superficie che esprime la dipendenza P = f1( ˙m,V ), a partire

dalla quale si sono poi tracciate le curve di livello a potenza costante. Da queste ultime curve, si osserva come, a parit`a di potenza, si possa registrare una dipendenza approssimativamente inversa tra portata di massa e voltag-gio; all’aumentare della potenza, ci si sposta verso curve caratterizzate da valori di portata di massa e voltaggio maggiori.

(38)

Figura 2.10: Superficie P = f1( ˙m,V ) 0.5 1 1 1 1 1.5 1.5 1.5 1.5 2 2 2 2.5 2.5 3 3.5 V [V] dm/dt [mg/s] 200 300 400 500 600 700 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 5.5

Figura 2.11: Curve di livello a potenza costante riferite alla superficie P = f1( ˙m,V )

(39)

Nel caso in cui spinta e portata di massa siano espressi in funzione della portata P e rendimento η, si procede in modo analogo: si definisce il dominio operativo di queste ultime due variabili e si interpolano due superfici della forma T = ˜f (P,η) e ˙m = ˜g(P,η), nei punti specificati dal dominio stesso. Anche in questo caso, dando in ingresso un valore plausibile di P e η, l’algo-ritmo produce in uscita i corrispondenti valori di T e ˙m.

Si riporta la superficie che esprime la dipendenza η = f2(P,V ), a partire

dalla quale si sono poi tracciate le curve di livello a rendimento costante. Da queste ultime curve si osserva come, a parit`a di rendimento, sia difficile stimare una legge di dipendenza tra potenza e voltaggio; si pu`o solo osser-vare chiaramente come all’aumentare del rendimento, ci si sposti verso curve caratterizzate da valori di potenza e voltaggio maggiori.

Per questo motivo, nel seguito del lavoro si `e scelto di adottare la dipendenza T = f (P,V ) e ˙m = g(P,V ) ai fini dell’analisi di missione.

(40)

0.38 0.4 0.4 0.42 0.42 0.42 0.44 0.44 0.44 0.44 0.46 0.46 0.46 0.46 0.48 0.48 0.4 8 0.5 0.5 0.5 0.52 0.52 0.54 0.54 V [V] P[kW] 200 300 400 500 600 700 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5

Figura 2.13: Curve di livello a rendimento costante riferite alla superficie η = f2(P,V )

(41)

3

Analisi preliminare dei sistemi

3.1

Introduzione

Il presente capitolo si apre con una descrizione dettagliata della missione scelta come riferimento. L’attenzione `e ricaduta sulla missione Dawn, fina-lizzata a raccogliere informazioni sulle fasi iniziali del Sistema solare, ovvero sui primi milioni di anni della sua evoluzione e dei processi allora in atto, per poter quindi caratterizzare le prime fasi di formazione dei pianeti. La domanda principale alla quale essa `e volta a rispondere `e il ruolo assunto dalla presenza di acqua nell’evoluzione di un pianeta. La missione ha l’obiet-tivo di studiare due asteroidi: Vesta e Ceres, la cui crescita, secondo le teorie correnti, fu interrotta dalla formazione di Giove.

Segue il calcolo delle masse del sistema, sfruttando sia le informazioni note da letteratura per un propulsore a effetto Hall, che quelle relative alla missione di riferimento.

Si riporta quindi, dopo aver descritto la tipologia di celle impiegate, la proce-dura seguita per dimensionare i pannelli fotovoltaici. Nelle missioni spaziali `

e infatti importante assicurarsi di poter disporre di potenza sufficiente per poter operare efficientemente anche a grande distanza dal Sole.

Il capitolo si conclude con il calcolo delle masse al lancio, necessario per ef-fettuare poi, nel seguito della tesi, l’analisi di missione.

(42)

3.2

Missione di riferimento

Nel presente lavoro si `e presa come riferimento la missione Dawn [7][8][9][10], nona missione del Discovery Program della NASA, finalizzata a raggiungere ed esaminare i due principali asteroidi Vesta e Ceres, rispettivamente distanti 2.5 e 2.8 AU dal Sole.

Dawn, lanciata il 27 settembre 2007 dalla base di Cape Canaveral, in Florida, `

e la prima missione che orbiter`a attorno a due corpi celesti che non siano la Terra e la Luna.

Figura 3.1: Immagine di Dawn che si sta allontanando dalla Terra

L’obiettivo della missione `e migliorare la comprensione e la conoscenza dei processi che portarono alla formazione del Sistema solare. Per questo motivo, si `e deciso di studiare i due pi`u grandi asteroidi rimasti quasi intatti dalla formazione del Sistema solare, che presentano molte caratteristiche op-poste, a causa dei processi molto diversi che hanno operato su di loro e della zona in cui si sono formati.

Vesta si dovrebbe essere originato in un ambiente caldo e asciutto: l’inter-no dovrebbe mostrare segni stratificati, all’esterl’inter-no dovrebbero essere visibili tracce di vulcanismo.

(43)

Dalle osservazioni effettuate, sembra sia composto da roccia Basaltica (lava congelata).

Ceres si pensa invece si sia formato in una situazione fredda e bagnata, quin-di potrebbe presentare acqua nel sottosuolo.

`

E stato il primo asteroide scoperto, nel 1801; ha un periodo di rotazione di circa 9 ore e ruota intorno al Sole in 4.6 anni.

`

E uno dei pochi asteroidi conosciuti, di dimensioni maggiori, a forma sferica. Si pensa che sia composto da un 25% di ghiaccio, in considerazione della sua bassa densit`a.

I due corpi celesti si trovano tra Marte e Giove, in una zona popolata da centinaia di migliaia di asteroidi, che prende il nome di Fascia Principale degli asteroidi.

Figura 3.2: Asteroidi della Fascia Principale

Il piano della missione [8] prevede il seguente ordine cronologico: • manovra gravitazionale su Marte nel marzo 2009;

• arrivo a Vesta nell’ottobre 2011;

• partenza da Vesta nel febbraio o maggio 2012, a seconda che si scelga di privilegiare rispettivamente l’analisi di Ceres o di Vesta;

(44)

• arrivo a Ceres nell’agosto (partenza da Vesta nel febbraio 2012) o settembre 2015 (partenza da Vesta nel maggio 2012);

• fine missione nel gennaio 2016.

Launch Jun - Jul 2006 (1) Ceres arrival Aug 2015 (4) Vesta arrival Oct 2011 (4) Vesta departure May 2012 Mars gravity assist Mar 2009 End of mission Jan2016 (1) Ceres arrival Sep 2015 (4) Vesta departure Feb 2012 Baseline mission Minimum mission Launch Jun - Jul 2006 (1) Ceres arrival Aug 2015 (4) Vesta arrival Oct 2011 (4) Vesta departure May 2012 Mars gravity assist Mar 2009 End of mission Jan2016 (1) Ceres arrival Sep 2015 (4) Vesta departure Feb 2012 Baseline mission Minimum mission

Figura 3.3: Descrizione della missione Dawn

Per viaggiare, Dawn utilizza tre motori a ioni, derivanti da quelli utiliz-zati dalla sonda Deep Space 1 [11]. I motori funzioneranno alternandosi e la sonda proceder`a a spirale, lungo una traiettoria a bassa spinta.

L’utilizzo della propulsione ionica permette una notevole flessibilit`a nella scel-ta della traiettoria di volo della sonda: grazie al suo impiego, il riscel-tardo nel lancio, previsto inizialmente a giugno 2007 e poi spostato al settembre dello stesso anno, non ha determinato cambiamenti negli obiettivi scientifici della missione, n´e ha modificato in modo significativo le date di arrivo previste verso i due asteroidi.

Tale sistema propulsivo fornisce un ∆v di approssimativamente 11 km/s.

Sistema propulsivo e sottosistemi

(45)

Figura 3.4: Rappresentazione della traiettoria a bassa spinta della missione Dawn

• tre propulsori a ioni dal diametro di 30 cm, precedentemente sottoposti a test e operazioni in volo per la durata di 58000 ore. Essi sono stati progettati in modo che, se a inizio missione se ne fosse danneggiato uno, gli altri due sarebbero stati in grado di realizzare l’intera missione e processare tutto il quantitativo di Xenon;

• due PPUs (Power Processing Units) del tipo sviluppato all’interno del progetto NSTAR (NASA Solar electric propulsion Technology Applica-tions Readiness) e testato in volo nella missione Deep Space 1. Esse hanno il compito di convertire la potenza e il voltaggio in uscita dai pannelli solari in quelli con cui possono operare i propulsori. La loro efficienza di conversione `e ≥ 90%;

• due DCIUs (Digital Control & Interface Units), inizialmente previste dello stesso tipo di quelle impiegate nel progetto NSTAR, poi finite per essere un nuovo modello sperimentale, a seguito degli estesi requisiti

(46)

funzionali richiesti dalla missione Dawn. Le DCIUs sono il centro di controllo del sistema propulsivo e hanno il compito di monitorare tutti gli altri sottosistemi;

• un sistema di alimentazione per il propellente;

• un sistema per consentire la rotazione dei propulsori. Analisi delle masse

Il veicolo spaziale di cui fa uso la missione Dawn ha una massa a secco di 725 kg e una massa complessiva al lancio di 1240 kg.

(47)

La massa a secco della missione `e cos`ı suddivisa:

Sistema Massa (kg)

Mechanical/structure 108

IPS (Ion Propulsion System) 129

EPS (Electric Propulsion System) 204

ACS (Attitude Control System) 37

RCS (Reaction Control System) 14

TCS (Thermal Control System) 44

Harness 82

CDHS (Command and Data Handling System) 21

TS (Telecommunication System) 28

Balance 13

Payload 45

Totale 725

Tabella 3.1: Massa dei vari elementi costituenti la massa a secco della missione Dawn

Si definisce la funzione svolta dai vari sistemi presenti all’interno del vei-colo spaziale.

L’EPS deve fornire all’ IPS potenza sufficiente da permettergli di operare quando il sistema di volo `e alla massima distanza dal Sole prevista dalla mis-sione.

L’ACS ha il compito di controllare l’assetto quando il sistema propulsivo `e attivo e quindi di determinare l’orientamento del velivolo nello spazio; in-clude due interfaccia elettroniche e due PPUs, non funzionanti contempora-neamente: durante le varie fasi di missione occorre selezionare quella che si vuole rendere operativa.

Il RCS funziona a Idrazina ed `e utilizzato dall’ACS per il diretto controllo dell’assetto o per la desaturazione delle ruote di reazione.

Il TCS ha il compito di mantenere le temperature di tutti i componenti del veicolo spaziale dentro limiti accettabili durante le varie operazioni; eccetto l’IPS, `e il sistema che richiede il maggior quantitativo di potenza in ingresso per il suo funzionamento, valore che raggiunge i 200 W alla distanza di 3 AU dal Sole.

Il CDHS si occupa di mantenere sincronizzati i vari sottosistemi; inoltre im-magazzina informazioni temporanee, per consentire di inviare i dati verso la

(48)

Terra. Per svolgere questa funzione `e provvisto di una memoria di massa di 8 Gb.

Il TS serve per trasmettere i segnali a distanza, attraverso l’impiego di an-tenne, e permettere di mantenere la comunicazione con la Terra.

Si riporta una rappresentazione grafica indicativa delle percentuali in massa dei vari costituenti del veicolo spaziale:

9% 10% 16% 3% 1% 4% 2%2% 7% 1% 4% 4% 2% 36%

(49)

Oltre alle masse a secco, la missione impiega 450 kg di Xenon e 45 kg di Idrazina. Sono inoltre previsti 20 kg aggiuntivi di propellente, per cautelarsi nei confronti di possibili fonti di incertezza.

3.3

Calcolo delle masse del sistema

Sistema propulsivo

Le masse dei principali elementi che vanno a costituire un sistema propulsivo a effetto Hall sono il risultato del lavoro di tecnologi, risalente al settembre 2004, e sono state reperite da letteratura [5][6].

Si riporta in tabella il valore assunto da tali masse:

Componente Valore della massa Unit`a di misura

Thruster 3.60 kg

PPU 8.40 kg

DCIU 0.00 kg

Gimbal 4.64 kg

Gimbal Drive Electronics 2.0 kg

Feed System Fixed 4.00 kg

Feed System Per Thruster 1.00 kg

Xenon Tank Mass Fraction 4.5 %

System Contingency 30 %

Tabella 3.2: Masse principali di un sistema propulsivo a effetto Hall

Alla massa effettiva del sistema propulsivo `e aggiunto un margine per cautelarsi nei confronti di eventuali imprevisti, che nel caso di un sistema a effetto Hall `e del 30%.

La massa del serbatoio di Xenon `e calcolata come una frazione della massa di propellente. Si `e aggiunto anche un margine su quest’ultima massa per tenere conto di possibili residui nel serbatoio e nel sistema di alimentazione; una contingenza aggiuntiva sul propellente pu`o essere inclusa per considerare errori di navigazione e di traiettoria.

(50)

comandi e regolare la velocit`a del flusso di Xenon, quello a effetto Hall non le richiede, incorporando le funzioni di controllo del flusso nella PPU: questo va a incidere positivamente sulla massa del sistema e sui costi.

Utilizzando propulsori a ioni, il sistema di controllo del flusso regola separa-tamente il catodo di scarica e quello di neutralizzazione: questo richiede l’uso di sensori di pressione ridondanti e rende la logica di controllo relativamente complessa. Con i propulsori a effetto Hall, invece, il sistema di controllo del flusso regola solo un catodo, permettendo di inglobare facilmente la logica di controllo nella PPU.

A differenza del sistema propulsivo a ioni, in quello a effetto Hall il siste-ma per consentire la rotazione dei propulsori necessita di un’elettronica di controllo: questo incrementa la massa e il costo del sistema di controllo, pe-nalizzazione che `e inclusa in questa analisi.

Masse a secco

Occorre poi stimare le altre masse a secco che, oltre al sistema propulsivo, vanno a costituire il veicolo spaziale: per fare questo si sono presi in consi-derazione i dati noti per la missione Dawn, riportati in tabella 3.1.

L’EPS, all’interno del quale sono compresi i pannelli solari, deve essere oppor-tunamente dimensionato in relazione alla massima distanza dal Sole prevista dall’analisi di missione.

Per definire quantitativamente le masse a secco restanti, escludendo il pay-load, che si `e imposto essere una variabile, si `e ammesso che, in prima ap-prossimazione, il loro valore potesse essere assunto uguale a quello relativo alla missione Dawn.

3.4

Tipologia scelta di celle solari

Storicamente, la necessit`a di potenza nello spazio `e stata dominata dall’im-piego di celle solari al Silicio (Si). Successivamente l’affermazione delle celle

(51)

Rispetto alle celle al Silicio, quelle multi-giunzione sono pi`u resistenti nei confronti delle radiazioni e hanno maggiore efficienza nella conversione dell’ener-gia, ma sono anche pi`u pesanti e pi`u costose. Esse offrono inoltre prestazioni migliori sia a inizio (BOL) che a fine vita (EOL).

Nelle celle multi-giunzione si impiegano frequentemente substrati in Ger-manio (Ge), perch`e presentano due vantaggi rispetto a quelli in composti semiconduttori, come l’Arseniuro di Gallio (GaAs): costi pi`u bassi e pi`u alta resistenza a rottura. Entrambi questi sottostrati hanno densit`a maggiore di quelli in Silicio, di un fattore di circa 1.8: tipicamente, quindi, le celle al Silicio sono pi`u leggere.

Esse sono anche pi`u sottili di quelle in Germanio: questo `e dovuto al fatto che i substrati in Silicio sono meno friabili e hanno il vantaggio di poter essere realizzati in tutta sicurezza a valori di spessore dell’ordine di 75 µN. Invece le celle in Germanio hanno spessori nell’intervallo 140÷180 µm e, conseguen-temente, alti rapporti di massa per unit`a di area.

Nel presente lavoro si `e scelto di impiegare celle solari a doppia giunzione (2J), di cui si riportano in tabella alcuni parametri caratteristici [12]:

Parametro prestazionale Valore Unit`a di misura

BOL Minimum Average η 23.5 %

EOL Temperature Coefficient -0.030 %/◦C

Thickness 140 µm

Mass per Unit Area 0.85 kg/m2

Tabella 3.3: Prestazioni principali di una cella solare a doppia giunzione (2J)

Si riportano anche alcune prestazioni [12], tutte relative alla condizione di EOL, valutate per le condizioni caratteristiche di un’orbita LEO (Low Earth Orbit ) (80◦C):

(52)

Parametro prestazionale Valore Unit`a di misura

Efficiency on Orbit 18.1 %

Power per Unit Area 245 W/m2

Power per Unit Mass 288 W/kg

Normalized Cost 1.29 $/W

Tabella 3.4: Prestazioni di una cella solare 2J valutate nelle condizioni caratteristiche di un’orbita LEO

3.4.1

Dimensionamento dei pannelli fotovoltaici

La potenza in uscita dai pannelli fotovoltaici PSApu`o essere posta in relazione

alla superficie delle celle solari ASA, attraverso la potenza specifica psp, che

rappresenta la potenza generata per metro quadrato a una distanza di 1 AU dal Sole (quindi in vicinanza alla Terra):

PSA = pspASA (3.1)

Questa relazione deve essere corretta per poter valutare la potenza PSA ad

una generica distanza, poich`e, come precedentemente ribadito, tale potenza diminuisce con il quadrato della distanza r dal Sole. Si `e inoltre supposto implicitamente che i pannelli fotovoltaici siano diretti sempre in maniera ot-timale, quindi in modo che la loro superficie sia perpendicolare alla direzione di incidenza dei raggi solari. In caso contrario si deve tener conto dell’an-golo di incidenza dei raggi solari sulla superficie dei pannelli. La precedente relazione si modifica quindi nel seguente modo:

PSA= pspASAcos φ

r r

2

(3.2) dove φ `e l’angolo compreso tra la direzione di incidenza dei raggi del Sole e il piano su cui giaciono i pannelli e r⊕ `e la distanza Terra-Sole.

Si ammette, per effettuare un dimensionamento dei pannelli di prima ap-prossimazione, che la potenza disponibile per la PPU sia una frazione della potenza in uscita dai pannelli fotovoltaici:

(53)

dove ηSA, che si assume pari a 0.9, rappresenta la percentuale di potenza

in uscita dai pannelli solari fornita alla PPU. La percentuale rimanente `e fornita agli strumenti che costituiscono il carico utile, affinch´e sia possibile il loro funzionamento.

La potenza in ingresso alla PPU del motore di riferimento appartiene ad un preciso intervallo:

PE  [PEmin, PEmax] = [0.3, 3.5] kW

Si suppone che questo intervallo di variazione ammissibile di potenza sia sempre disponibile durante l’intera traiettoria di missione. Occorre quindi dimensionare opportunamente i pannelli solari per assicurare di avere almeno una potenza usufruibile pari a PEmax.

L’espressione della potenza massima in ingresso alla PPU risulta quindi:

PEmax = ηSApspASAcos φ

r r

2

(3.4) Per stimare la superficie delle celle solari dalla precedente relazione, occorre porsi nel caso pi`u conservativo, imponendo che alla massima distanza dal Sole prevista dalla missione si abbia una potenza disponibile almeno pari a 3.5 kW.

Nel seguito del lavoro sono previste un’analisi di missione verso Marte e una verso Venere, rispettivamente distanti dal Sole 1.524 e 0.723 AU: si sceglie quindi di valutare la superficie delle celle solari in corrispondenza della distanza r♂, che rappresenta la distanza media tra Marte e il Sole. Si pone φ = 0, poich´e, per ottenere la massima potenza, i pannelli devono essere rivolti sempre verso il Sole, attraverso l’uso di un adeguato sistema di controllo.

Come valore di potenza specifica psp generata a distanza 1 AU dal Sole in

condizioni di EOL si assume quello riportato in Tabella 3.3. Dalla relazione: ASA = PEmax ηSApsp(r⊕/r♂)2 (3.5) si ottiene ASA= 33.0 m2.

(54)

pannelli fotovoltaici. Per fare questo si richiamano ancora le informazioni note per la missione di riferimento.

La missione Dawn presenta 10 pannelli solari, ognuno di area 3.64 m2 [13]; la loro area complessiva risulta quindi di 36.4 m2. Tali pannelli vanno a cos-tituire due strutture identiche, dal singolo peso di circa 63 kg: si ha quindi un peso totale di 126 kg.

Si `e quindi calcolato il rapporto peso su area per i pannelli di cui fa uso Dawn e si `e mantenuto valido anche per quelli oggetto di studio, che risultano cos`ı avere un peso complessivo di 114.2 kg.

A questo punto, si `e potuta stimare la massa dell’intero EPS, prendendo la stessa proporzione tra la massa di tale sistema e quella dei pannelli fotovol-taici della missione di riferimento; si ottiene un EPS di 171.3 kg.

3.5

Calcolo delle masse al lancio

La massa al lancio `e stata espressa come una funzione della massa di pro-pellente e di quella di payload. Queste ultime verranno poi quantificate attraverso l’analisi di missione.

La massa del sistema propulsivo `e valutata come:

mP S= mSubsystemDry + mXenonResiduals+ mSystemContingency (3.6)

dove:

mSubsystemDry = mT hruster+ mP P U + mGimbal+ mGimbalDriveElectronics+

+ mXenonF eedSystem+ mXenonT ank

(3.7) Si precisa il valore delle singole masse:

(55)

Massa Valore [kg] mT hruster 3.60 mP P U 8.40 mGimbal 4.64 mGimbalDriveElectronics 2.0 mXenonF eedSystem 5.00

mXenonT ank 4.5mXenon

Tabella 3.5: Valore delle masse degli elementi costituenti il sistema propulsivo

Inoltre:

mXenonResiduals = 0.1mXenon (3.8)

rappresenta la quantit`a aggiuntiva di propellente da inserire in modo da cautelarsi nei confronti di possibili errori di traiettoria.

Mentre:

mSystemContingency = 0.3mSubsystemDry (3.9)

costituisce un margine per cautelarsi verso gli imprevisti.

La massa dei sistemi a secco, escludendo il sistema propulsivo e il payload, `e data da:

mDry = mEP S+ mM echanicalStructure+ mACS+ mRCS + mT CS+ mCDHS+

+ mHarness+ mT S+ mBalance

(3.10) Si riporta anche il valore di queste masse:

(56)

Massa Valore [kg] mEP S 171.3 mM echanicalStructure 108 mACS 37 mRCS 14 mT CS 44 mCDHS 21 mHarness 82 mT S 28 mBalance 13

Tabella 3.6: Valore delle masse dei sistemi a secco

Per ottenere la massa al lancio, occorre sommare a mP S e mDry, non solo

mXenon e mP ayload, ma anche un certo quantitativo di Idrazina, necessaria

per il funzionamento del sistema di reazione. La sua massa `e assunta uguale a quella della missione Dawn: mHydrazine= 45 kg.

In conclusione:

mLaunch = mP S+ mDry+ mHydrazine+ mXenon+ mP ayload (3.11)

Sostituendo i valori numerici assunti dalle singole masse, si ottiene:

mLaunch =

1

1 − 1.1585k(587.48 + mP ayload) (3.12) dove k = mXenon/mLaunch.

Figura

Tabella 2.1: Dati relativi alle prestazioni del motore NASA-103M.XL
Figura 2.8: Confronto tra l’andamento teorico [5] e sperimentale [3] della portata di massa in funzione della potenza
Figura 2.9: Confronto tra l’andamento teorico [5] e sperimentale [3] della spinta in funzione della potenza
Figura 2.10: Superficie P = f 1 ( ˙ m,V ) 0.5 11111.51.5 1.5 1.52222.52.53 3.5 V [V]dm/dt [mg/s]200300400 500 600 70022.533.544.555.5
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