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Epidemiologia del virus West Nile in Italia

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Academic year: 2021

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University of Pisa

Department of Experimental Pathology,

Retrovirus Centre and Virology Section

[MED07]

PhD Thesis in

“Fundamental and Clinical Virology”

2009-2011

“Epidemiology of West Nile Virus in Italy”

President

of PhD

Prof. Luca Ceccherini-Nelli

PhD student

Riccardo De Santis

Tutor of PhD student

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RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia il Col. co.sa (me) Florigio Lista per il suo impegno come capo reparto della sezione di Istologia e Biologia molecolare del Centro Studi e Ricerche di Sanità e Veterinaria dell’Esercito Italiano di Roma ed il Dott. Giovanni Faggioni per la costante attività di supporto nel corso di questo dottorato.

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2 INDICE RIASSUNTO ... 4 ABSTRACT ... 6 INTRODUZIONE ... 9 1. Storia ... 10

2. Morfologia ed organizzazione genomica ... 12

3. Epidemiologia ... 16

4. Filogenesi ... 23

5. Ecologia... 24

6. Vie di trasmissione ... 27

7. Diffusione del virus nell’organismo ospite ... 29

8. Risposta immunitaria ... 30

9. Risposta immunitaria adattativa ... 31

10. Patologia ... 32

11. La sorveglianza epidemiologica della malattia da virus West Nile ... 34

12. Diagnosi ... 36

13. Test di laboratorio ... 37

14. Test ELISA ... 38

15. Antigeni impiegati per la sierologia ... 41

16. Trattamento delle infezioni da West Nile virus ... 43

17. Prospettive di vaccinazione ... 44

SCOPO DELLA TESI ... 46

MATERIALI E METODI ... 48

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3 1.1 Sieri equini ... 49 1.2 Sieri umani ... 50 2.Virus ... 50 3.Colture cellulari ... 51 4.Propagazione virale ... 51

5.Dosi Infettanti Tessuto Coltura 50%(TCID50) ... 52

6.Sieroneutralizzazione ... 52

7.Real-Time PCR ... 53

8.Proteine ricombinanti ... 54

8.1 PCR ... 54

8.2 Clonaggio ... 56

8.3 Espressione delle proteine ricombinanti ... 57

9.Western blot ... 58

10. ELISA indiretto ... 59

10.1 Calcolo del cut off ed interpretazione dei dati ... 60

RISULTATI ... 61 DISCUSSIONE ... 73 BIBLIOGRAFIA ... 82 1. Analisi in Real-Time PCR ... 62 2. Proteine Ricombinanti ... 62 3. Test sierologici ... 67 4. Sieroepidemiologia ... 70

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RIASSUNTO

Negli ultimi 10 anni le malattie emergenti o riemergenti hanno destato l’attenzione della comunità internazionale. Il virus West Nile, che si supponeva limitato a determinate aree dell’Africa, si è diffuso in Europa e negli Stati Uniti in seguito a fenomeni come il cambiamento climatico, che ha influito anche sulle rotte degli uccelli migratori, o il fenomeno della globalizzazione, che di fatto ha causato l’abbattimento delle barriere naturali. Il virus West Nile è stato isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda nel distretto del Nilo occidentale. Dopo il primo isolamento, sporadiche epidemie sono state registrate in Africa, Medio oriente ed in alcune zone dell’Asia. La diffusione del virus nell’emisfero occidentale è iniziata nel 1999 a New York, probabilmente in seguito all’introduzione da parte di zanzare o uccelli infetti, propagandosi nell’arco dei successivi dieci anni in tutti gli Stati Uniti. In Italia la prima epidemia si è registrata nel 1998 in Toscana tra i cavalli di alcuni allevamenti. Dopo un silenzio di 10 anni il virus è ricomparso nelle regioni del nord-est, dove si sono registrati casi di malattie neuro-invasive sia nei cavalli che nell’uomo in Veneto ed in Emilia-Romagna. Lo scopo di questo studio era di valutare la circolazione del virus West Nile in Italia, con particolare attenzione per quelle aree attualmente non considerate endemiche per questo agente infettivo. Un altro obiettivo che questo lavoro si è posto è stato quello di valutare differenti antigeni, sia quelli descritti in letteratura, come il dominio DIII della proteina dell’envelope (E), la porzione N-terminale della proteina NS5 e la proteina PrM/M, sia nuovi antigeni come la regione corrispondente ai domini DI e DII della proteina E, allo scopo di valutarne sensibilità e specificità. A tale scopo abbiamo prodotto due proteine ricombinanti corrispondenti al dominio III (DIII), altamente antigenico, e ai domini DI e DII. Inoltre, per aumentare la capacità discriminatoria del nostro sistema, abbiamo

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prodotto altri due antigeni, descritti in letteratura come altamente specifici: le proteine NS5 e PrM/M. Le proteine ricombinanti sono quindi state testate in western blot con un pannello di sieri umani. I risultati mostravano come la proteina PrM/M fosse aspecifica, la proteina NS5 poco sensibile mentre l’antigene DIII mostrava una sensibilità e specificità rispettivamente dell’86% e dell’87%. I sieri umani erano testati anche con la metodica ELISA, ma i risultati con gli antigeni PrM/M e NS5 erano comparabili a quelli ottenuti in western blot mentre la sensibilità e la specificità sia per l’antigene DIII che per l’antigene DI/DII erano rispettivamente del 78,6% e del 93%. Poiché i due antigeni identificavano in modo differente i campioni positivi e negativi, si sono considerati i risultati dei due test non separatamente ma in modo complementare, ottenendo valori di sensibilità e specificità rispettivamente del 100% e dell’87%. Sulla base di questi dati le proteine PrM/M e NS5 non sono state impiegate in questo studio. Allo scopo di studiare la diffusione del WNV in Italia, abbiamo analizzato i cavalli dell’Esercito Italiano che sono dislocati su tutto il territorio nazionale. In questa prima fase del progetto abbiamo analizzato 360 sieri di cavallo raccolti nel 2009 e nel 2011 nel Lazio, nelle Marche ed in Sardegna. Allo scopo di valutare il nostro test immunoenzimatico, abbiamo eseguito il test di sieroneutralizzazione su tutti i campioni. Questo test identificava 11 campioni positivi, nove dei quali erano di soggetti vaccinati mentre due erano effettivamente positivi al virus. I campioni sono stati quindi analizzati con il test ELISA ed i risultati mostravano una maggiore sensibilità e specificità dell’antigene DIII rispetto all’antigene DI/DII. Il risultato dei due antigeni insieme confermava tutti i campioni vaccinati ed uno dei due campioni positivi, mostrando una minore sensibilità e specificità rispetto a quanto osservato con i sieri umani. In conclusione, la scelta di impiegare entrambi gli antigeni ricombinanti dell'envelope nei test sierologici per lo screening dei campioni risulta

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promettente. Per quanto riguarda l’indagine epidemiologica, i dati raccolti indicano l’assenza di circolazione del virus nelle aree esaminate.

ABSTRACT

In the last 10 years special attention has been paid to emerging or reemerging infectious diseases. The West Nile virus was supposed to be confined in Africa but as a result of climate change and the routes of migratory birds, the virus has affected the European continent and USA, causing sporadic outbreaks in humans. The West Nile virus ( WNV) was first isolated in Uganda in 1937 in the district of West Nile from a feverish woman. After the first isolation, the virus has been shown to cause sporadic outbreaks in Africa, Middle East and western Asia. The first introduction of WNV in the Western Hemisphere occurred in 1999 in New York City (NYC), presumably by the transport of infected humans, birds or mosquitoes. WNV amplified and extended its distribution across the USA where it has been declared endemic within ten years. In Italy, the first outbreak of WNV infection was reported in 1998 and occurred among horses in the Tuscany region. The virus re-emerged in 2008, when equine and human cases of West Nile neuroinvasive disease (WNND) were notified in the Veneto and Emilia Romagna regions in north-eastern Italy.

The aim of this study was to evaluate the circulation of the WNV in Italy with particular attention to those areas not currently considered endemic for this infectious agent. We evaluated also different antigens previously described in literature as DIII domain of envelope, the N-terminal portion of NS5 protein and the protein PrM/M. Furthermore we tested a new antigen, the region corresponding to domains DI and DII, in order to evaluate its sensitivity and specificità. The flavivirus envelope (E) protein is the major

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surface protein and represents the dominant antigen, used in diagnostic tests. However we decided to use single regions of the E protein on the basis of results published in the last years that show a higher specificity of single domains than whole protein. We produced two recombinant proteins corresponding respectively to the domain III (DIII), highly antigenic, and to the region corresponding to DI and DII domains. Furthermore, in order to implement the discrimination ability of our system, we produced two other antigens, which are described in the literature as highly specific: the non-structural protein NS5 and protein PrM /M. The recombinant proteins were then tested by western blot with a panel of human sera. With human sera, the PrM/M resulted aspecific, NS5 protein shows weak signal with some positive samples while DIII antigen shows a sensitivity and specificity respectively of 86% and 87,5%. The human sera were also tested by ELISA method. The analysis shows for the PrM/M and NS5 proteins comparable results to those obtained with western blot while the sensitivity and specificity for both DIII and DI/DII antigens were respectively of 78.6% and 93%. As the two serological tests identified different positive and negative samples, we have to consider the results of both tests together, obtaining values of sensitivity and specificity respectively of 100% and 87,5%. On the basis of these results the PrM / M and NS5 proteins were not used in this study.

In order to study the spread of WNV in Italy, we started a serological survey on the horses of the Italian Army, which are located throughout Italy. In this first phase of the project, we analyzed 360 samples of horse serum, collected in 2009 and 2011 in Lazio, Marche and Sardinia. In order to validate our home made immunoassay, we performed the neutralization test on all samples. The serum neutralization test identified 11 positive samples, nine of which were of vaccine recipients while two samples corresponding to two horses belonging to the Lancer of Montebello Regiment. The ELISA performed with

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the antigen DIII showed a higher sensitivity and specificity than the antigen DI/DII. However the results of both antigens confirmed the vaccinated samples and one of the two positive samples. We confirmed the effectiveness of the DIII and DI/DII antigens in serological test, while the results of the screening performed on the equine sera indicate the absence of virus circulation in the localities examined.

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INTRODUZIONE

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1.

Storia

Il West Nile (WN) virus, il cui nome deriva dalla regione dell’Uganda in cui fu isolato nel 1937 per la prima volta dal sangue periferico di una donna in stato febbrile [Smithburn et al. 1940], è l'agente eziologico della malattia del Nilo Occidentale, in inglese West Nile Disease (WND). Il virus appartiene alla famiglia Flaviviridae, genere Flavivirus, comprendente anche i generi Pestivirus ed Hepacivirus. I membri di questa famiglia mostrano proprietà biologiche diverse ma similitudini nella morfologia del virione, nell’organizzazione genomica e nella presunta strategia di replicazione dell’RNA [Monath et al. 1990].

Dei circa 80 virus che costituiscono il genere Flavivirus, 34 sono trasmessi dalle zanzare, 17 dalle zecche e 22 da vettori non conosciuti. Essi causano diverse patologie come febbri, encefaliti e febbri emorragiche [Monath et al. 1990]. Nel corso del diciannovesimo e del ventesimo secolo furono identificate alcune patologie caratterizzate da meningoencefalite che vennero in seguito attribuite ai flavivirus. Tra queste si annoverano la Louping ill (malattia delle pecore trasmessa dalle zecche, presente in Scozia dal 1807), l’encefalite giapponese (Giappone, 1873) e l’encefalite della Murray Valley (Australia, 1917). Tra il 1931 ed il 1937 furono isolati i virus responsabili della Louping ill, dell’encefalite di St. Louis, dell’encefalite giapponese e dell’encefalite causata dalle zecche (TBE). Questi virus presentano caratteristiche comuni quali neurotropismo e trasmissione attraverso insetti vettore, ma inizialmente non erano stati correlati. Verso la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni quaranta venne dimostrata una correlazione tra encefalite giapponese, encefalite di St. Louis e il West Nile virus tramite test di neutralizzazione e test di fissazione del complemento.

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oriente ed Asia occidentale, tutte caratterizzate da leggere febbri virali. A partire dal 1990 il virus si è manifestato con diverse epidemie in Europa e Nord America (Figura 1) ed è stato associato con alti tassi di encefaliti virali e sintomi neurologici. Nel 1999 il virus fu implicato in una moria di centinaia di cavalli ed uccelli in Nord America ed in sette casi mortali tra la popolazione umana. Benché l'agente continuasse a diffondersi negli anni successivi, solo una modesta attività virale fu documentata, ma a partire dal 2002 il numero di casi incrementò in modo drammatico. Il virus West Nile ha continuato a diffondersi nell' emisfero occidentale ed è stato individuato in Canada, Messico e nel siero di volatili in Jamaica, nella Repubblica Domenicana ed in generale nelle isole Caraibiche. Recentemente il virus è stato identificati in America del Sud ma, contrariamente a quanto avvenuto in America del Nord, nessun caso di malattia o decesso è stato riportato tra gli esseri umani e nei cavalli. La ragione di tale fenomeno non è nota ma si ipotizza una protezione acquisita in seguito ad una cross-reattività con altri flavivirus o ad una diminuzione della virulenza del ceppo circolante.

Il potenziale rapido tasso di evoluzione dei flavivirus è oggi fonte di interesse e preoccupazione. I virus trasmessi dalle zanzare si stanno largamente diffondendo e la loro diversità aumenta costantemente. Molti di essi infettano gli esseri umani che diventano così parte del ciclo di trasmissione; quindi si può ipotizzare che con l’aumento demografico la popolazione virale andrà diffondendosi e si evolverà nello stesso tempo. La diminuzione dei controlli sulle zanzare determinatasi durante l’ultima parte del secolo scorso, insieme a fattori sociali quali l’incremento dell’urbanizzazione e la maggiore mobilità e al progressivo innalzamento della temperatura del pianeta, che favorisce la sopravvivenza delle zanzare, hanno contribuito al riemergere e al propagarsi di alcuni flavivirus con conseguenti patologie [Nathanson 1998]. Poiché il virus continua ad

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espandersi nell'emisfero occidentale, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato delle linee guida con l'intento di istituire appropriate misure in termini di maggiore sorveglianza, controllo della diffusione del virus e dei vettori stessi.

Figura 1. Distribuzione geografica del gruppo delle encefaliti giapponesi.

2.

Morfologia ed organizzazione genomica

Il virus West Nile è un membro della famiglia Flaviviridae, genere Flavivirus. Da un punto di vista sierologico il virus è incluso nel gruppo delle encefaliti giapponesi ed è pertanto correlato ad altri patogeni umani come il virus Dengue (DENV), il virus dell'encefalite trasmessa da zecche (TBEV), il virus della febbre gialla (YFV), il virus dell'encefalite della Valle del Murray (MVEV), il virus dell'Encefalite di St. Louis (SLEV), i virus Usutu, Kunjin, Kokobera, Stratford e Alfuy ed il virus dell'Encefalite giapponese (JEV).

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Al microscopio elettronico la particella virale mostra una simmetria icosaedrica con un diametro di circa 50 nm e non presenta proiezioni esterne (Figura 2) [Mukhopadhyay and Kim 2003].

Figura 2. Particella virale del West Nile al microscopio elettronico. Sulla destra è mostrata la

ricostruzione della sezione centrale con foglietti concentrici a diversa densità di massa.

Le particelle mature sono dotate di un envelope che riveste un nucleocapside a simmetria icosaedrica che racchiude un genoma ad RNA a polarità positiva lungo circa 11.000 paia di basi. Esso comprende una regione non tradotta all’estremità 5’ che presenta un CAP, un singolo lungo schema di lettura aperto ed una regione non tradotta all’estremità 3’ (Figura 3).

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Figura 3. Organizzazione genomica del West Nile

Le regioni non codificanti contengono sequenze conservate che consentono la formazione di strutture secondarie dell’RNA utili nel dirigere i processi di amplificazione, traduzione ed impacchettamento del genoma. La parte codificante del genoma viene tradotta in una lunga poliproteina che, durante e dopo la traduzione, viene processata da proteasi sia virali che cellulari in tre proteine strutturali (C, preM ed E) e sette proteine non strutturali (NS1, NS2A, NS2B, NS3, NS4A, NS4B, ed NS5) (Chambers, Hahn et al. 1990). Le proteine strutturali includono: una proteina del capside (C), che ancora l’RNA genomico alla particella virale; le proteine della matrice (M), che si trovano al di sotto dell’envelope e lo ancorano al capside e bloccano la fusione dei virioni non ancora maturi con la cellula ospite; le proteine dell’envelope (E), che mediano l’attacco virale, la fusione della membrana virale con quella dell’ospite e l’assemblaggio dei virioni [Mukhopadhyay and Kuhn 2005].

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organizzazione strutturale a tre domini connessi da cerniere flessibili [Nybakken et al. 2006; Nelson et al., 2008] e sono classificate tra le proteine di fusione di classe II. Il Dominio III (DIII) adotta una configurazione a 10 foglietti simile a quella delle immunoglobuline e comprende probabilmente il sito di legame al recettore cellulare. Il Dominio II (DII) è un lungo dominio contenente 13 residui idrofobici che formano un loop di fusione. DIII e DII sono legati insieme da una struttura β-barrel che comprende il Dominio I (DI), in cui è presente il loop di fusione. La proteina premembrana preM forma degli eterodimeri con la proteina E durante la formazione del virione.

Le proteine virali non strutturali regolano la trascrizione e la replicazione virale ed attenuano la risposta immunitaria dell’ospite. La proteina NS1 si comporta come un cofattore della replicasi virale ed è secreta dalle cellule infettate dal virus, la proteina NS2A inibisce la risposta dell’interferone e potrebbe partecipare all’assemblaggio delle particelle virali, l’NS3 partecipa al processamento della poliproteina virale agendo come proteasi ed ha inoltre attività di NTPasi ed elicasi (Khromykh and Sedlak 2000; Liu et al. 2005). L’NS2B è un cofattore richiesto per l’attività proteolitica dell’NS3, le proteine NS4A e NS4B modulano la trasmissione del segnale dell’interferone, e l’NS5 codifica l’RNA polimerasi RNA dipendente ed è anche una metiltransferasi [Yusof et al. 2000; Egloff et al. 2002; Liu et al. 2005]. Sebbene siano note diverse molecole implicate nell’adesione del West Nile virus alle cellule in vitro, non sono stati identificati i recettori coinvolti nell’adesione a cellule importanti dal punto di vista fisiologico, come i neuroni, in vivo. Dopo il legame, il West Nile virus entra nelle cellule mediante un processo di endocitosi clatrina dipendente mediata da un recettore [Gollins and Porterfield 1985; Chu and Ng 2004]. In seguito ad un cambiamento conformazionale pH dipendente delle proteine dell’ envelope, le membrane virali ed endosomali si fondono, con il rilascio del

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nucleocapside virale nel citoplasma [Gollins and Porterfield 1986; Allison, Schalich et al. 1995; Brinton 2002]. L’RNA genomico si replica nel citoplasma generando un filamento di RNA a polarità negativa che servirà come templato per la sintesi di un nuovo filamento a polarità positiva [Mackenzie and Westaway 2001]. Questo filamento verrà impacchettato nella progenie virale o utilizzato per la traduzione di altre proteine virali. Le particelle virali immature si formano quando i core nucleocapsidici acquistano il loro rivestimento lipidico durante il processo di gemmazione dal lume del reticolo endoplasmatico. A questo rivestimento lipidico sono associate sulla superficie dei virioni immaturi le proteine prM ed E. Seguendo il trasporto attraverso la rete del trans-Golgi, il taglio mediato dalla furina della proteina prM che diventa la proteina M genera virioni maturi ed infettivi che vengono rilasciati per esocitosi [Guirakhoo et al. 1991; Elshuber et al. 2003].

3.

Epidemiologia

Il WNV è endemico in Africa, Asia, Europa ed Australia ed è stato recentemente introdotto in Nord America. Le prime epidemie da WNV erano caratterizzate da una bassa mortalità, anche se gravi forme neurologiche erano state riportate in Israele, Francia e Sud Africa. Storicamente WNV è causa di infezioni nei cavalli, con tassi di mortalità elevati [Murray et al., 2010]. Dal 1937 il West Nile virus è indicato come causa di sporadici focolai di malattie virali in Africa, Asia occidentale ed Australia, qui presente come sottotipo Kunjin [Monath et al. 1990; Hayes 1989]. A partire dal 1990 focolai di West Nile virus sono stati riscontrati anche in Europa e in Nord America, associati ad alti tassi di encefaliti virali ed altri sintomi di carattere neurologico [Marfin and Gubler 2001]. La comparsa del virus in Nord America è stata registrata la prima volta a New York City.

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Infatti, alla fine dell'agosto del 1999, un insolito numero di casi di encefaliti vennero riportati dal Dipartimento della Salute dello stato di New York [Asnis et al., 2000]. Studi condotti su casi umani e su cavalli con malattia a carico del sistema nervoso centrale ed il sequenziamento del genoma virale isolato dal tessuto cerebrale di uccelli colpiti dall'infezione permisero di identificare in WNV l'agente etiologico dell'evento epidemico. Complessivamente nel corso dell’epidemia del 1999 furono 62 gli individui colpiti da WNV, sette dei quali morirono, e centinaia furono i cavalli e gli uccelli che morirono a New York, nel New Jersey e in Connecticut. Studi retrospettivi hanno permesso di stimare in 8200 il numero di soggetti asintomatici e 1700 i soggetti con sintomatologia [Mostashari et al., 2001]. Questa epidemia rappresentò la prima prova della comparsa di WNV nell'emisfero occidentale. Sebbene il virus si sia diffuso a ovest durante i due anni successivi, il numero dei casi di patologie ad esso correlate è rimasto modesto fino al 2002, quando il numero delle infezioni da West Nile è aumentato in modo drammatico. Analisi filogenetiche eseguite sul West Nile virus in Nord America indicano che il ceppo isolato a partire dal 2002 (WN02), ovvero da quando l’attività del virus negli USA è aumentata in maniera significativa, differisce da quello inizialmente ivi introdotto (NY99) per una singola sostituzione aminoacidica nel gene codificante per la proteina dell’envelope che gli ha probabilmente conferito una maggiore virulenza [Ebel et al. 2004]. Anche se dimostrare come il West Nile virus sia giunto in Nord America è piuttosto difficile, i ceppi isolati inizialmente mostravano una omologia del 99,7% nella sequenza nucleotidica a ceppi isolati in Israele, indicando una origine medio-orientale del virus [Lanciotti et al. 1999]. Un'ipotesi inerente l'ingresso del virus negli Stati Uniti potrebbe essere che sia arrivato con gabbie per uccelli contaminate dal Medio Oriente, attraverso vettori all’interno di container o tramite uccelli migratori viremici provenienti

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dall’Africa occidentale attraverso l’Oceano Atlantico. E’ inoltre importante notare che il ceppo di West Nile virus isolato a New York nel 1999 era geneticamente identico ad uno isolato da un’oca domestica in Israele nel 1998 [Lanciotti et al. 2002].

Alla fine del 2003 l'epizoosi si diffuse negli USA in 48 stati su 50 e a metà febbraio del 2004 sono stati riportati 9862 casi di infezioni e 264 decessi come risultato dell'epidemia del 2003, 2539 casi (con 1142 forme neuro-invasive) nel 2004, 3000 casi nel 2005 (con 1294 forme neuro-invasive), 4.262 casi nel 2006 (con 1.459 forme neuro-invasive), 3.630 casi nel 2007 (con 1217 forme neuro-invasive), 1356 casi nel 2008 (con 687 forme neuro-invasive), 720 casi nel 2009 (386 forme neuro-invasive), 1021 casi nel 2010 (629 forme neuro-invasive)e 432 casi a ottobre 2011 (con 289 forme neuro-invasive) [Nash et al. 2001; Centers for Disease Control and Prevention (CDC) 2010; Lindsey et al., 2010]. Nell'arco temporale di 10 anni dalla sua introduzione il WNV è diventato endemico, con nuovi casi di infezione registrati ogni anno [Artsob et al., 2009; Hayes et al. 2005]. Dal 1999 sono stati registrati negli Stati Uniti 25000 casi di WNV, dei quali 12000 sono i casi di meningite/encefalite e 1100 il numero di morti [CDC, 1999-2010]. Nel 2011 sono stati registrati 135 casi di WNV, dei quali il 63% con malattia neuro invasiva ed il 3,7% di mortalità [CDC, 2011] La diffusione del West Nile virus nell’emisfero occidentale ha continuato a progredire ed oltre che negli Stati Uniti è stata riscontrata la presenza del virus in Canada, Messico ed Indie Occidentali. In Canada il West Nile fu isolato per la prima volta nel 2001 dagli uccelli, poi a partire dal 2002 anche dagli esseri umani [Health Canada, 2011]. Nel 2002 anticorpi diretti contro il West Nile virus sono stati isolati da campioni di uccelli in Giamaica [Dupuis et al. 2003], Repubblica Domenicana [Komar et al. 2003] e Guadalupe [Quirin et al. 2004] e da cavalli in Messico [Lorono-Pino et al. , 2003], evidenziando la diffusione del virus anche ai tropici. Ai Caraibi è stato riscontrato

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un solo caso di West Nile nella popolazione, ma la presenza del virus nei cavalli e negli uccelli suggerisce che in quest’area presto potrebbero diventare consueti contagi tra gli esseri umani [Komar and Clark 2006]. Negli Stati Uniti le infezioni tra la popolazione si registrano tra maggio e dicembre, l’85% delle quali concentrate in agosto e in settembre; ai tropici invece la trasmissione del virus avviene in egual misura durante tutto l’anno. Inoltre, poiché la regione caraibica costituisce per molti uccelli migratori una meta per svernare, la presenza stabile del virus in questa zona contribuirebbe alla sua diffusione tra queste specie [Gould and Fikrig 2004]. Recentemente il virus è stato identificato in America del Sud, ma contrariamente a quanto avvenuto in America del Nord nessun caso di malattia o decesso è stato riportato tra gli esseri umani e gli equini [Komar and Clark 2006; ProMED-mail. 2006]. La ragione di tale fenomeno non è nota, ma si ipotizza una protezione acquisita in seguito ad una cross-reattività di altri flavivirus [Yamshchikov, Borisevich et al. 2005] o ad una diminuzione della virulenza del ceppo circolante [LoGiudice et al. 2003].

In Europa occidentale, tra il 1962 ed il 1965, vennero segnalati casi umani ed equini in Camargue (Francia) ed il virus venne isolato da zanzare appartenenti alla specie Culex modestus [Joubert et al., 1970; Hannoun et al., 1964]. Prima del 1970 si registrarono casi di encefalomielite equina epizootica nel Portogallo del sud. Anticorpi neutralizzanti contro WNV furono rilevati nel 29% degli animali sopravvissuti [Filipe and Andrade, 1990]. Nel 1979 si ipotizzò la presenza di WNV nella regione del delta dell'Ebro (Spagna) [Filipe and Andrade, 1990], confermata poi da studi sieroepidemiologici condotti sulla popolazione locale nel 1998 [Lozano and Filipe, 1998]. Nell'estate del 1998 venne evidenziata la presenza di WNV nei cavalli allevati nelle paludi di Fucecchio, nella Val di Nievole, Toscana (Italia) [Cantile et al., 2000]. L'epidemia colpì solamente i cavalli, con il

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decesso di sei animali, ma non venne riportato alcun caso di encefalite nell'uomo. La conseguenza fu l'adozione di un Piano di sorveglianza nazionale (Ordinanza Ministeriale del 4-4-2002) al quale fece seguito l’Ordinanza 13-5-2004 “Piano di sorveglianza nazionale per l’encefalomielite di tipo West Nile” da parte del Ministero della Salute [Autorino et al. 2002]. In Camargue (Francia) tra il settembre ed il novembre del 2000, indagini di laboratorio confermarono l'infezione da WNV in 76 cavalli su 131 animali con disordini neurologici e la morte di 23 animali [Murgue et al., 2001]. Nel 2003 ulteriori casi vennero descritti nell'uomo e nei cavalli [Mailles et al., 2003] e nel 2004 solo nei cavalli [Leblond et al., 2007]. Nello stesso anno un caso di meningite asettica dovuta a WNV fu diagnosticato in Spagna [Kaptoul et al., 2007]. Studi sieroepidemiologici condotti su uccelli migratori come la folaga (Fulica atra) nel parco naturale di Doñana (Andalusia, sud-ovest della Spagna) dal 2003 al 2005, rivelavano la presenza di anticorpi neutralizzanti [Figuerola et al., 2007]. Ulteriori studi condotti su uccelli migratori e stanziali condotti nel 2004 vicino a Siviglia rilevavano la presenza di anticorpi anti-wnv, confermando l'importanza degli uccelli migratori nell'introduzione del virus nel paese e nella circolazione locale [Lopez et al., 2008]. RNA genomico di WNV è stato rilevato in zanzare della specie Culex pipiens e Culexx univittatus raccolte nel Portogallo meridionale. Le indagini filogenetiche dimostravano una stretta relazione con i ceppi di WNV circolanti nel bacino del Mediterraneo (Italia, 1998; Francia, 2000; Marocco, 2003) [Esteves et al., 2005]. Nel 2006 4 casi di infezione da WNV sono stati riportati a Argeles sur mer (Francia) nella regione orientale dei Pirenei. Nell'agosto del 2008, dopo dieci anni di silenzio, una epidemia colpì 8 province di tre regioni del nord Italia (Emilia Romagna, Veneto, Lombardia) [Filipponi et al., 2005] con un totale di 794 casi di infezioni equine da WNV in 251 stalle, sulla base di segni clinici e come risultato di uno screening

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sierologico sui cavalli presenti nell'area. Nove casi umani di WNF, quattro dei quali caratterizzati da sintomi neuro invasivi sono stati rilevati nel 2008 [Rossini et al., 2008; Gobbi et al., 2009]. L'analisi filogenetica degli isolati indica una similitudine del 98,8% con i ceppi isolati in Toscana durante il 1998 [Monaco et al., 2009; Savini et al., 2008] Nel 2009, nelle Regioni Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia si sono verificati un totale di 18 casi di WNND nell’uomo, così distribuiti: 5 casi nella provincia di Ferrara, tra cui 2 decessi, 1 caso nella provincia di Bologna, 3 casi nella provincia di Modena (di cui 1 decesso), 6 casi nella provincia di Rovigo, 1 caso tra la provincia di Rovigo e Venezia (1 decesso), e 2 casi nella provincia di Mantova [Rizzo et al., 2009; Barzon et al., 2009; Calistri et al., 2009].

Nel 2010, per il terzo anno consecutivo, casi umani sono stati registrati nel nord-est dell'Italia, dove la siero-prevalenza varia tra il 3 ed il 33 per 1000: 3 casi di febbre West Nile, segnalati al sistema di sorveglianza regionale del Veneto, 1 caso di meningite in un paziente residente in Veneto e ricoverato in Friuli Venezia Giulia, dove è stata posta la diagnosi e confermata successivamente dal Laboratorio di riferimento nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità, 2 casi di malattia neuro-invasiva da virus West Nile, rispettivamente una mielite in un uomo ricoverato ad Udine e una meningite in un uomo residente nella provincia di Venezia sono stati confermati dal laboratorio centrale della Regione Veneto. Inoltre, in Emilia Romagna è stato confermato 1 caso di meningite da WNV importata in un soggetto che aveva viaggiato in Romania nel periodo di incubazione ed era rientrato in Italia con i sintomi della malattia. La sorveglianza epidemiologica condotta su cavalli, uccelli e insetti ha evidenziato la presenza del virus anche in altre zone come Campobasso e le province di Foggia e Trapani [Istituto G. Caporale, Teramo et al. 2011].

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Nell’estate del 2010, la malattia da virus West Nile ha provocato numerosi focolai epidemici nell’uomo e nei cavalli, in molti Paesi europei ed extra-europei.

In Romania, principalmente nel sud, zona endemica, ma con casi anche nella regione della Transilvania e nel plateau moldavo, sono stati notificati 57 casi con 5 decessi [Sirbu et al., 2011]; in Grecia si è verificata la seconda più grande epidemia da WNV degli ultimi venti anni con 262 casi clinici e 35 decessi [Hellenic Center for Disease Control and Prevention (HCDC) 2011; Papa et al. 2010], in Ungheria 10 casi confermati e 5 sospetti [ProMED-mail. West Nile virus - Eurasia (05)], in Russia 480 casi [ProMED-mail West Nile virus - Eurasia (09)] ed in Turchia 7 casi con 3 decessi [ProMED-mail. West Nile virus - Eurasia (03]. Inoltre sempre nello stesso anno si sono verificate epidemie tra i cavalli in Portogallo, Spagna e Bulgari a[ProMED-mail. West Nile virus - Eurasia (12); ProMED-mail. West Nile virus - Eurasia (13)].

Dall'inizio di luglio 2011 sono stai riportati 2 casi in Albania, 6 casi in Israele, 1 caso in Romania e 11 casi nella Federazione Russa [West Nile Virus Infection (WNV) in Europe]. In Grecia, dopo la prima epidemia del 2010 che ha colpito principalmente la regione della Macedonia centrale, si sono verificati casi sporadici (22 casi) sempre nelle stesse regioni colpite precedentemente ma anche in una nuova regione come l'Attica orientale [Hellenic Centre for Disease Control and Prevention (KEELPNO) 2011]. Il progredire dell'infezione è sicuramente associato alla diffusione di zanzare della specie Aedes e

Culex dovuto alle piogge e alle alte temperature che hanno caratterizzato questo periodo

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4.

Filogenesi

Analisi filogenetiche effettuate sul gene codificante per la glicoproteina dell’envelope del West Nile hanno evidenziato l’esistenza di due diverse linee genetiche o lineages del virus. Il lineage 1, responsabile delle infezioni umane ed equine, comprende ceppi provenienti da diversi continenti ( Europa, Nord America, Africa, Asia e Australia) ed è suddiviso in almeno 3 cluster: 1a, 1b e 1c. Il cluster 1a è suddiviso a sua volta in differenti sottogruppi strettamente correlati, comprendenti ceppi isolati 40-50 anni fa in Europa e Africa, ceppi isolati 20-30 anni fa in Africa, ceppi isolati negli ultimi 10 anni in Europa e Africa e ceppi isolati negli ultimi 5 anni negli Stati Uniti ed in Israele. Il cluster 1b è costituito dal solo ceppo australiano ( Kunjin) mentre il cluster 1c è costituito solamente da ceppi indiani. Il lineage 2 è costituito da ceppi isolati esclusivamente nell'Africa sub sahariana e in Madagascar [Lanciotti et al., 2002]. I virus appartenenti al cluster 1a hanno una omologia nucleotidica del 95.2-99.9% ed aminoacidica del 99,3-100%, i virus appartenenti al cluster 1b hanno una omologia nucleotidica del 86,6-87,8% ed aminoacidica del 97,4-97,7% mentre l'omologia nucleotidica e aminoacidica tra i virus dei lineages 1 e 2 è rispettivamente del 75,7-76,8% e 93,2-94% [Lanciotti et al 2002; Beasley et al., 2004; Kuno et al., 1998].

Recentemente, sono stati proposti altri 2 lineages per virus presenti nell'Europa centrale ed in Russia meridionale strettamente correlati a WNV ma che presentano differenze genetiche rispetto ai ceppi finora descritti. Un ceppo virale, isolato nel 1997 dalla Culex

pipiens nella Repubblica Ceca in prossimità del confine con l’Austria, denominato

Rabensburg (RabV) è stato classificato in un lineage 3, mentre per un unico virus (LEIV-Kmd88-190 Rus98 ), isolato nel Caucaso, è stato ipotizzato un lineage 4 [Hubálek et al., 2010; Bakonyi et al., 2005].

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I virus appartenenti al lineage 2 risultano meno virulenti per l'uomo. E' da sottolineare che la maggiore parte dei virus del lineage 1 sono stati isolati nel corso di epidemie caratterizzate da encefaliti e mortalità. I virus appartenenti a quest'ultimo lineage sono stati anche associati a epizoozie con alti tassi di mortalità tra equini ed uccelli. Al contrario i virus del lineage 2 sono stati isolati da casi umani asintomatici o con lievi febbri o incidentalmente durante ricerche su altri patogeni virali come la febbre gialla o epatiti [Lanciotti et al., 2002].

5.

Ecologia

Il West Nile virus è mantenuto in un ciclo enzootico che coinvolge come ospiti soprattutto gli uccelli e come vettori le zanzare. Gli esseri umani e gli altri mammiferi sono gli ospiti finali del virus e non lo amplificano in maniera sufficiente per la trasmissione alle zanzare (Figura 4).

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Figura 4. Rappresentazione schematica del ciclo enzootico del West Nile e modalità di

trasmissione [Gould and Fikrig 2004]

In Africa, nel Sud dell’Europa e in Asia occidentale il WN è stato isolato da più di 40 specie di zanzare e negli Stati Uniti, a partire dal 1999, da circa 43 specie: in tutti i casi le zanzare appartenenti al genere “Culex” sono risultate i principali vettori del ciclo enzootico [Hayes 1989]. Queste infatti sono i più importanti vettori di mantenimento del virus nel ciclo aviario, mentre altre specie sono state identificate come vettori ponte tra gli uccelli e gli esseri umani o i cavalli. Diverse specie di zanzare in laboratorio si dimostrano vettori competenti del virus, tuttavia la loro capacità di trasmetterlo agli esseri umani è ancora sconosciuta. Il virus West Nile è stato anche isolato dalle zecche; tuttavia la loro capacità di trasmettere il virus in natura in maniera efficiente e significativa non è chiara [Abbassy et al., 1993]. Negli Stati Uniti, in Canada ed in Israele il West Nile virus

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è responsabile in modo significativo della mortalità degli uccelli: in Nord America il virus è stato isolato in 198 specie di uccelli con una mortalità che si approssima al 100% in alcune specie [Komar et al., 2003]. Sebbene il contributo preciso della trasmissione diretta tra uccelli all’attività della malattia non sia stato quantificato, esso ha implicazioni potenzialmente significative per l’epidemiologia della malattia stessa, poiché anche con un efficace controllo del vettore il virus potrebbe amplificarsi e trasmettersi. La trasmissione diretta potrebbe essere agevolata dallo sfruttamento commerciale degli uccelli malati e potrebbe verificarsi sia quando vengono spennati che quando vengono mangiati [Banet-Noach et al. 2003]. L’infezione da West Nile virus è anche stata dimostrata in un certo numero di altre specie di vertebrati sia selvatici come lupi, orsi, coccodrilli, alligatori, pipistrelli, che domestici come cani e gatti. A causa del basso livello di viremia riscontrato in molte di queste specie, è improbabile che contribuiscano all’amplificazione del WNV; servono invece come ospiti finali del virus al pari di esseri umani e cavalli [Miller et al. 2003; Blackburn et al. 1989]. Il principale sistema di perpetuazione del virus nei climi temperati durante le stagioni non favorevoli coinvolge il periodo di quiescenza che attraversano le zanzare adulte [Nasci et al. 2001). Il ciclo di trasmissione può anche iniziare tramite la reintroduzione del virus ad opera degli uccelli migratori provenienti o dai paesi in cui hanno passato l’inverno oppure dai luoghi in cui il virus può essere trasmesso tutto l’anno, o anche in seguito ad una recrudescenza a partire da basse concentrazioni del virus in tessuto aviario [Komar et al. 2003].

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6.

Vie di trasmissione

La maggior parte delle infezioni umane dovute al West Nile virus hanno origine dalla trasmissione del virus da parte di zanzare infette: nonostante ciò, negli Stati Uniti sono state riscontrate diverse nuove vie di trasmissione che, considerate nel loro insieme, suggeriscono una complessa epidemiologia per questa malattia ed hanno importanti implicazioni per il controllo ed il contenimento delle infezioni da West Nile. Data la bassa incidenza del WNV nel mondo fino a poco tempo fa, non è chiaro se questi nuovi modi di trasmissione del virus siano sempre esistiti, seppur verificandosi con bassa frequenza, oppure se l’ epidemiologia del virus stia veramente cambiando. Dal momento che il West Nile virus continua a propagarsi, una conoscenza di questi nuovi modi di trasmissione, che non coinvolgono vettori, è di cruciale importanza per l’effettiva sorveglianza della malattia. Il primo caso di trasmissione intrauterina di West Nile virus è stato riportato nel 2002. Una donna incinta ha contratto il virus durante il secondo trimestre di gravidanza e lo ha trasmesso al feto. Il bambino, nato a termine, mostrava corioretinite bilaterale, gravi anomalie cerebrali ed anticorpi diretti contro il virus sia nel siero che nel fluido cerebrospinale (2002). E’ stata anche accertata la trasmissione del West Nile da madre a figlio attraverso il latte materno: la madre era stata contagiata dal virus durante l’allattamento con una trasfusione di sangue (2002). Nel 2002, 23 persone sono state contagiate dal West Nile virus dopo aver subito una trasfusione di sangue (2002). Nell’agosto dello stesso anno 4 persone sottoposte a trapianto di organi provenienti dallo stesso donatore furono trovate positive al West Nile virus: 3 di queste hanno sviluppato encefalite, nell’altra è stato riscontrato uno stato febbrile prolungato. Il donatore degli organi, trovato a sua volta positivo al virus, lo aveva contratto tramite una trasfusione di sangue [Iwamoto et al. 2003]. In seguito sono stati riportati diversi altri casi di contagio

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con il West Nile virus tramite trapianto di organi [DeSalvo et al. 2004]. Al fine di prevenire la trasmissione del virus causata da trapianti di organi o trasfusioni di sangue, è stato reso obbligatorio un accurato screening dei donatori per escludere quelli infetti utilizzando test in grado di identificare anche livelli di viremia molto bassi. Sono stati inoltre documentati diversi casi di infezione da West Nile dovuti all’esposizione al virus per motivi occupazionali. Alcune persone che lavoravano in laboratorio hanno contratto il virus per un’inoculazione accidentale (2002). Nel 2002 sono stati trovati positivi al West Nile i lavoratori di una fattoria in Wisconsin in cui si allevavano tacchini (2003): gli esami a cui sono stati sottoposti hanno rilevato la presenza di anticorpi diretti contro il virus ed è stata riscontrata un’alta incidenza di stati febbrili. La situazione era analoga anche per il personale di fattorie vicine dedite all’allevamento di tacchini, per gli operai che si occupavano della lavorazione della carne e per gli abitanti delle zone limitrofe. Inoltre la sieroprevalenza del West Nile virus era vicina al 100% tra gli uccelli della zona. Poiché i tacchini non sviluppano una viremia sufficiente da poter servire come ospiti di amplificazione del West Nile virus per trasmetterlo alle zanzare, è possibile che sia stata responsabile della diffusione del virus una via di trasmissione che non prevede la presenza di vettori [Swayne et al. 2000]. Quale sia questa modalità di trasmissione non è chiaro: probabilmente è una conseguenza dell’esposizione al virus per motivi occupazionali, forse dovuta a lesioni cutanee o al contatto con le feci dei tacchini. Questa scoperta ha avuto importanti implicazioni per le persone che lavorano in aree con alte concentrazioni di animali potenzialmente infetti e ha fatto sì che venissero prese precauzioni per prevenire il contagio diretto oltre a quelle già disposte al fine di evitare le punture di zanzare.

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7.

Diffusione del virus nell’organismo ospite

Il meccanismo di diffusione e di patogenesi del West Nile virus è stato studiato utilizzando modelli murini. In seguito all’inoculazione si pensa che il virus inizi la sua replicazione nelle cellule di Langerhans della pelle, da cui poi viene veicolato nei linfonodi provocando una viremia primaria e la conseguente infezione di organi periferici come la milza e i reni [Byrne et al. 2001]. Dopo la prima settimana il West Nile non è più rilevabile nel siero e negli organi periferici, mentre l’infezione è osservabile nel sistema nervoso centrale. I roditori che muoiono in seguito all’infezione sviluppano patologie del sistema nervoso centrale simili a quelle osservate nei casi umani di West Nile virus, con danni al tronco encefalico, ippocampo e neuroni spinali [Eldadah et al. 1967; Shrestha et al. 2003; Fratkin et al. 2004]; invece il virus non è stato rilevato nelle popolazioni cellulari non neuronali del sistema nervoso centrale umano o animale. Nei topi che sopravvivono all’infezione, dopo 2-3 settimane il virus non è più rilevabile in alcun compartimento tissutale, fatta eccezione per quelli deficienti per le cellule CD8+ [Shrestha and Diamond 2004] o per la perforina (Shrestha et al. 2006) e per gli animali immunocompromessi che, al contrario, manifestano un’infezione cerebrale virale persistente. Per quanto riguarda la patogenesi del West Nile negli ospiti aviari, il virus è stato rilevato tramite RT-PCR ed analisi istologiche e virologiche nei tessuti di cervello, fegato, polmoni, cuore e reni di animali infetti [Gibbs et al. 2005; Panella et al. 2001]. Il meccanismo attraverso il quale il West Nile ed altri flavivirus attraversano la barriera encefalica rimane per lo più sconosciuto anche se in parte è legato alla diffusione ematogena in quanto la carica virale è correlata all’infezione del cervello. I meccanismi ipotizzati sono: un aumento della permeabilità dell'endotelio mediante il TNF-α [Wang et al. 2004], un trasporto passivo attraverso l'endotelio [Kramer-Hammerle, Rothenaigner et

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al. 2005], l'infezione di neuroni dell'olfatto e diffusione nel bulbo olfattivo [Monath et al. 1983], un meccanismo “cavallo di Troia” mediante il quale il virus sarebbe trasportato nel SNC da cellule del sistema immunitario infettate [Garcia-Tapia et al. 2006] ed un trasporto lungo i nervi periferici [Hunsperger and Roehrig 2006]. Benchè il meccanismo non sia certo, modelli sperimentali supportano l'ipotesi di una modulazione della permeabilità endoteliale dovuta ad innalzamenti dei livelli di alcune citochine con la concomitante infezione di monociti [Wang et al. 2004; Garcia-Tapia et al. 2006].

8.

Risposta immunitaria

La capacità del West Nile virus di provocare patologie è legata all’abilità del virus di sfuggire al sistema immunitario e di infettare le cellule. Il diverso tropismo del virus permette la sua proliferazione in molteplici tessuti e in diverse specie animali, spiegando l’ampio spettro di manifestazioni cliniche che è in grado di generare [Yim et al. 2004; Hayes et al. 2005]. L’azione del virus è citolitica, l’espressione in vitro della proteina NS3 o delle proteine del capside inducono una rapida attivazione delle caspasi che provoca apoptosi [Yang et al. 2002; Ramanathan et al. 2006]. La virulenza del West Nile è anche influenzata dalla sua variabilità genetica: oltre alle differenze esistenti tra le linee virali I e II, mutazioni nei siti di glicosilazione della proteina E attenuano la replicazione virale e la patogenesi [Beasley et al. 2002; Beasley et al. 2005]. Il West Nile virus ha sviluppato strategie per evadere o modulare la risposta immunitaria dell’ospite, risultando resistente agli effetti antivirali dell’interferone dopo i primi stadi di infezione e generando, data la bassa fedeltà di replicazione dell’RNA polimerasi, una grande variabilità antigenica che contribuisce all’evasione dal sistema immunitario umorale [Jerzak et al. 2005].

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9.

Risposta immunitaria adattativa

L’immunità umorale rappresenta una componente critica delle difese dell'ospite contro l'infezione da flavivirus mediando la protezione tramite funzioni effettrici e mediante la neutralizzazione diretta del virus [Camenga et al. 1974; Samuel and Diamond 2006]. Il target primario per la neutralizzazione anticorpale è la proteina E, sebbene siano stati identificati anticorpi specifici per la prM [Oliphant et al., 2006]. Più di 12 distinti epitopi sono stati identificati sulla superficie della proteina E. La neutralizzazione dell'infezione dei flavivirus è un meccanismo a colpo multiplo nel quale l'inattivazione del virus avviene una volta che il numero di anticorpi legati ad un virione supera un determinato valore soglia ipotizzato essere di 30 mAbs [Nelson et al., 2008]. Un ruolo di primaria importanza viene svolto dalle IgM, prodotte già dopo 4 giorni dall’infezione [Diamond et al. 2003], mentre si hanno a disposizione pochi dati riguardo le IgG che vengono prodotte quando il virus scompare dai tessuti periferici e invade il sistema nervoso centrale [Samuel and Diamond 2006]. La maggior parte degli anticorpi neutralizzanti sono diretti contro i tre domini della proteina E (anche se il più immunogeno risulta il dominio III) [Beasley and Barrett 2002], mentre una piccola parte interviene contro la proteina M [Pincus et al. 1992; Falconar 1999]. Tuttavia da alcuni studi è emerso che anche anticorpi diretti contro la proteina NS1 proteggono il topo dall’infezione da West Nile: sembra che questo antigene abbia la funzione di inibire l’attivazione del complemento dopo l’inizio dell’infezione attraverso il legame con proteine regolatorie: infatti l’NS1 non viene impacchettata nel virione, ma secreta nel siero per poi associarsi alla membrana cellulare mediante un meccanismo non ancora noto [Chung et al. 2006]. Esperimenti su modelli animali hanno dimostrato che i linfociti T sono essenziali sia nella protezione contro il West Nile virus che per sviluppare resistenza ad una eventuale seconda infezione. In

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seguito all’individuazione di cellule presentanti antigeni di West Nile insieme alle molecole MHC I, i linfociti T citotossici proliferano, rilasciano citochine infiammatorie ed inducono direttamente o indirettamente la lisi cellulare [Kesson et al. 1987; Kulkarni et al. 1991].

10.

Patologia

La maggior parte degli individui che viene infettata dal West Nile virus non presenta alcun sintomo. I sintomi si manifestano solo nel 20-40% dei casi dopo un periodo di incubazione che va dai 2 ai 14 giorni [Mostashari et al. 2001]. Molti pazienti presentano sintomi riconducibili a sindromi da raffreddamento (febbre West Nile), altri presentano febbre, malessere, mialgia, affaticamento, eruzioni cutanee, linfoadenopatia, vomito e diarrea [Hayes and Gubler 2006]. Meno dell’1% degli individui infettati sviluppa gravi patologie neurologiche, la maggior parte delle quali possono essere classificate in tre sindromi cliniche: meningite da West Nile, encefalite da West Nile e paralisi flaccida acuta. Le caratteristiche cliniche di queste sindromi possono essere contemporaneamente presenti nello stesso paziente, e non è chiaro se queste ultime costituiscano diversi aspetti di uno spettro clinico continuo o entità distinte. Uno studio recente eseguito su 228 pazienti ha evidenziato che molti di questi manifestano disturbi neuroinvasivi che possono essere classificati sia come meningite che come encefalite, ma alla seconda è associato un più alto tasso di mortalità e complicazioni più gravi: perciò è importante distinguere tra queste sindromi [Bode et al. 2006]. I pazienti che hanno contratto il West Nile virus possono presentare contemporaneamente alle sindromi principali anche altri sintomi, di origine neurologica, come rabdomiolisi, corioretinite, miosite e degenerazione

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del sistema nervoso autonomo, e sintomi non neurologici, come epatite, pancreatite, miocardite, orchite, uveite e vitrite [Kramer et al. 2007]. La meningite causata dal West Nile virus si presenta di solito con febbre e segni di irritazione meningea come mal di testa, collo teso, rigidità nucale e fotofobia [Sejvar et al. 2003]. Quando il processo infettivo coinvolge il parenchima cerebrale, si sviluppa l’encefalite e possono apparire altre caratteristiche cliniche. Questa variabilità nelle manifestazioni cliniche riflette la selettività dell’infezione del West Nile virus per determinati tipi di cellule nervose come la substantia nigra nel midollo allungato, i gangli basali [Sejvar et al. 2003] ed il cervelletto [Fratkin et al. 2004]. Tutti i sintomi che possono essere causati dal West Nile virus sono stati riscontrati anche in pazienti con infezioni causate da altri flavivirus: anche per questo è difficile differenziare tra i diversi tipi di infezione nella fase acuta della malattia [Sejvar et al. 2003]. La maggior parte dei pazienti affetti da febbre da West Nile si riprende completamente dopo un periodo relativamente breve [Klee et al. 2004]. Circa il 10% dei pazienti ricoverati nel 1999 a New York durante l’epidemia di West Nile ha presentato paralisi flaccida acuta: tuttavia la causa di tali paralisi non è stata riconosciuta fino al 2002 [Li et al. 2003]. La lesione selettiva delle corna anteriori del midollo spinale causata dal West Nile virus era già stata documentata decenni fa inoculando il virus per via intramuscolare o intraperitoneale a pazienti affetti da cancro e provocando in essi encefalomielite [Gadoth et al. 1979]. Le autopsie effettuate su questi pazienti avevano evidenziato chiaramente tutte le caratteristiche patologiche della paralisi flaccida poi descritte in alcuni casi di infezione da West Nile virus [Southam and Moore 1954]. Questi studi rappresentano la prima documentazione clinica e patologica delle poliomieliti causate dal WN, ma sono stati del tutto ignorati per molti anni poiché il West Nile non era largamente presente in Nord America. A partire dall’estate 2002 fino al 2005 si sono

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verificati diversi casi di paralisi flaccida acuta provocata dal West Nile virus che si è presentata come paralisi flaccida acuta asimmetrica [Li et al. 2003]. Molti pazienti hanno accusato forti dolori muscolari ed in alcuni di essi si sono verificati disturbi alle funzioni intestinali e respiratorie [Leis et al. 2002]. I pochi studi riguardanti il recupero della funzione motoria dei pazienti affetti da West Nile non sono particolarmente incoraggianti: uno studio del 2002 ha mostrato una notevole differenza di recupero tra i diversi pazienti. Alcuni di essi si sono ripresi totalmente nel giro di alcune settimane, ed è molto interessante rilevare che non è stata riscontrata alcuna connessione tra la gravità iniziale della malattia ed il livello di recupero finale [Weiss et al. 2001]. Sebbene ci siano stati molti casi di pazienti che presentavano paralisi flaccida a cui era stata diagnosticata la sindrome di Guillain-Barre (GBS) o malattie simili, tutti i dati elettrofisiologici hanno poi dimostrato l’assenza di una neuropatia demielinizzante [Al-Shekhlee and Katirji 2004].

11.

La sorveglianza epidemiologica della malattia da virus West Nile

Per quanto riguarda l'aspetto della sorveglianza epidemiologica della malattia, il Centro per la Prevenzione e il Controllo della Malattie (CDC) di Atlanta suddivide l’infezione da West Nile virus in febbre del Nilo Occidentale (West Nile Fever, WNF) e malattia neuro-invasiva da virus West Nile (WNND). WNF è definita dalla presenza di una sintomatogia sistemica, caratterizzata da febbre (>38°C), cefalea, astenia, ed occasionalmente esantema maculo-papulare non pruriginoso, e linfoadenopatia. Un caso di WNND è classificato come possibile, probabile o confermato sulla base di criteri clinici e di laboratorio. Per caso possibile di WNND è richiesta la presenza dei seguenti criteri clinici: febbre ed almeno uno dei seguenti segni o sintomi come documentati alla visita medica: 1) alterazione acuta dello stato di coscienza (ad es: disorientamento temporo-spaziale,

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stupor, coma) o 2) altri segni di alterazioni neurologiche centrali o periferiche (ad es: paralisi, paresi, paralisi dei nervi cranici, deficit della sensibilità, riflessi osteo-tendinei anormali, convulsioni generalizzate o alterazioni del movimento) oppure 3) pleiocitosi liquorale (aumentata concentrazione dei globuli bianchi nel liquor cefalorachidiano) accompagnati da segni o sintomi di localizzazione del virus a livello del sistema nervoso centrale (ad es. cefalea o rigidità nucale).

Per caso confermato si intende un caso che soddisfi i criteri clinici e che sia confermato da almeno uno dei test di laboratorio di seguito indicati: 1) un aumento ≥4 volte del titolo anticorpale contro il virus di West Nile; o 2) isolamento del virus o rilievo di specifici antigeni virali o sequenze genomiche in tessuti, sangue, fluido cerebro-spinale o altri fluidi corporei; o 3) riscontro di anticorpi di tipo IgM specifici nel liquor, attraverso una metodica di saggio immuno-enzimatico (EIA); o 4) riscontro di anticorpi di tipo IgM specifici nel siero con metodica EIA, confermati successivamente dalla dimostrazione di anticorpi di tipo IgG nello stesso campione o in un campione successivo attraverso un’altra metodica sierologia (ad es. neutralizzazione o inibizione dell’emo-agglutinazione). I casi probabili sono caratterizzati da: 1) riscontro di anticorpi a titolo stabile nel siero o 2) anticorpi di tipo IgM nel siero, dimostrati con metodica immuno-enzimatica senza alcuna conferma del virus attraverso il riscontro di anticorpi di tipo IgG nello stesso campione o in un campione ottenuto successivamente. In Italia, a luglio del 2010, è stata pubblicata dal Ministero della Salute una Circolare sulla sorveglianza della malattia da virus West Nile, citata in precedenza, che ha fornito la definizione di caso (possibile, probabile e confermato) per la malattia da virus WNND elaborata dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie di Stoccolma, sulla base della definizione di caso del CDC sopra riportata. Si definisce, pertanto, come caso possibile

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qualsiasi persona che presenti febbre (>38°C), accompagnata da manifestazioni neurologiche riferibili ad encefalite, meningite, meningo-encefalite, paralisi flaccida acuta o polineuro-radicolonevrite (simil sindrome di Guillain-Barré); si definisce caso probabile un caso che soddisfa la definizione sovra-descritta e/o la presenza di uno dei criteri di laboratorio, quali: la presenza di anticorpi di tipo IgM anti-WNV nel siero testato, presenza di anticorpi di tipo IgG anti-WNV nel siero testato, sieroconversione da negativo a positivo o aumento del titolo anticorpale di 4 volte su 2 prelievi consecutivi nel siero; il caso confermato viene definito come ogni paziente che presenti la sintomatologia clinica di forma neuro-invasiva e/o uno dei criteri di laboratorio, quali isolamento del WNV nel sangue e nel liquor, presenza di anticorpi IgM nel liquor, PCR positiva per WNV nel sangue o nel liquor cefalo-rachidiano, identificazione di un titolo elevato di anticorpi IgM e IgG contro il virus WN, confermati con test di neutralizzazione effettuati in un laboratorio di riferimento. I referti devono essere confermati, comunque dal Laboratorio Nazionale di Riferimento dell’Istituto Superiore di Sanità, a Roma.

12.

Diagnosi

La possibilità di infezione da West Nile virus dovrebbe essere considerata ogni volta che si presentano in un paziente sintomi di meningite o encefalite virale e paralisi asimmetrica acuta senza perdita di sensibilità alle parti interessate, soprattutto durante le stagioni in cui generalmente si presentano le patologie trasmesse dalle zanzare. Studi elettrofisiologici e la diagnostica per immagini (risonanza magnetica e TAC del sistema nervoso) possono essere d’aiuto al riguardo [Flaherty et al. 2003], ma una diagnosi definitiva per patologie neuroinvasive di solito richiede un test degli anticorpi IgM positivo del siero o del fluido cerebrospinale del paziente. La certezza di un’infezione recente è messa in dubbio dalla

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possibile presenza di anticorpi IgM a lunga durata: le IgM possono infatti perdurare fino a sedici mesi dopo l’infezione [Southern et al. 1969], perciò bisogna essere cauti nell’interpretare questi risultati di laboratorio.

In pazienti con paralisi flaccida acuta la diagnosi differenziale può includere la sindrome di Guillain-Barre, miopatia, disordini delle giunzioni neuromuscolari ed altri disturbi neuromotori collegati a virus: si può distinguere tra queste patologie esaminando la conduzione nervosa e i disturbi sensoriali presentati dai pazienti. Molti flavivirus, come quelli appartenenti al complesso dell’encefalite giapponese e dell’encefalite trasmessa dalle zecche, l’encefalite di St. Louis e l’encefalite della Murray Valley, possono causare meningiti, encefaliti e paralisi flaccida in tutto simili a quelle provocate dal West Nile virus: perciò una diagnosi differenziale deve essere basata su analisi effettuate sul siero o sul fluido cerebrospinale o tramite PCR [Kramer et al. 2007].

13.

Test di laboratorio

A causa delle strette relazioni antigeniche che intercorrono tra alcuni flavivirus, i risultati degli esami di laboratorio vanno interpretati con cautela: persone recentemente infettate o vaccinate contro un altro flavivirus potrebbero risultare positive al test per le IgM dirette contro il West Nile. Sebbene esistano test che possono aiutare a distinguere tra le diverse infezioni, la possibile persistenza delle IgM per più di 500 giorni dall’infezione ed il riscontro di molti casi asintomatici potrebbero riflettere un precedente contagio con un altro flavivirus o una vaccinazione contro uno di questi, ad esempio contro la febbre gialla [Roehrig et al. 2003]. Il test sierologico gold standard è la Neutralizzazione e Riduzione delle Placche al 90% (PRNT90 ) eseguito secondo le procedure standard. Questa metodica viene utilizzata come metodica di conferma e di titolazione degli anticorpi neutralizzanti WNV (da siero o CSF). A causa della cross reattività tra flavivirus,

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solitamente si dovrebbe testare una batteria di altri flavivirus in parallelo. La specificità della rilevazione può essere confermata dalla dimostrazione di un incremento di 4 volte del titolo degli anticorpi neutralizzanti confrontando sieri prelevati in fase acuta e convalescente. Il test di inibizione dell'emoagglutinazione (HIA) e l'immunofluorescenza IFA) sono effettuati in alcuni laboratori ma anche l'HIA presenta problematiche legate ad inibitori aspecifici [Dauphin and Zientara, 2007]. I saggi immunoenzimatici (ELISA) sono stati sviluppati negli ultimi anni basati su precedenti test sierologici sviluppati per altri flavivirus. I test ELISA possono essere classificati in tre tipi: IgG, MAC-ELISA ed epitope blocking ELISA, anche se i primi due sono i test più diffusi. Comunque uno dei principali limiti dei test ELISA è la difficoltà a differenziare specificatamente WNV da altri flavivirus, in particolare modo quelli dello stesso gruppo antigenico. Per questa ragione una conferma con il test PRNT è necessario per confermare la positività al test ELISA. Protocolli IFA sono stati sviluppati allo scopo di migliorare la sensibilità per il rilevamento degli Abs anti WNV, IgG e IgM [Lindsey et al., 1976]

14.

Test ELISA

Il test di laboratorio più efficiente per diagnosticare un’infezione acuta da West Nile è l’IgM antibody-capture ELISA (MAC-ELISA) che consente di rilevare la presenza degli anticorpi IgM in sieri raccolti tra l'ottavo ed il quarantacinquesimo giorno dopo l'infezione [Petersen and Marfin 2002]. Per effettuare questa analisi i campioni di sangue raccolti tra l’ottavo ed il ventunesimo giorno dopo la comparsa dei sintomi iniziali sono quelli che hanno dato i risultati migliori: le IgM infatti sono rilevabili in qualche paziente solo 8 giorni dopo l’inizio dell’infezione [Hayes et al. 2005], di conseguenza il test effettuato su un campione di sangue prelevato troppo precocemente potrebbe dare esito negativo;

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inoltre dopo il ventunesimo giorno il titolo delle IgM dovrebbe diminuire. Il MAC-ELISA standardizzato utilizza antigeni estratti da tessuto cerebrale di topo infetto, IgM anti-specie commerciali, anticorpi monoclonali (Mabs) anti virali coniugati a perossidasi di rafano (HRP) e siero umano diluito 1:400 [Martin et al., 2000]. Il rapporto Positivo/Negativo (P/N), calcolato dal valore della densità ottica (OD) ottenuto da campioni positivi e negativi, viene utilizzato come cut-off. La sensibilità del test è del 91,7% e la specificità del 99,2% con sieri di cavallo [Long et al., 2006]. La rilevazione di anticorpi indica una probabile infezione da WNV se il titolo osservato aumenta di quattro volte. Per quanto riguarda la diagnosi delle meningiti, delle encefaliti e delle poliomieliti causate dal virus West Nile si può anche ricorrere al test delle IgM su liquido cerebrospinale prelevato da pazienti con sintomi attinenti. Le IgM non superano facilmente la barriera emato-encefalica, quindi la loro presenza nel liquido cerebrospinale indica un’infezione del sistema nervoso centrale [Petersen et al. 2003; Tardei et al., 2000]. Pertanto la diagnosi sierologica basata sia su campioni di siero che su CSF permette di ottenere un alto grado di sensibilità che di specificità del test. Il test presenta comunque due limiti: a) se il siero è prelevato troppo presto rispetto all'infezione gli anticorpi IgM non possono essere rilevati con conseguente risultato negativo b) l'esistenza di casi , per lo più umani, di persistenza degli anticorpi IgM per un periodo superiore ad un anno, rende problematico la distinzione della stagione di infezione. A tale fine è stata messa a punto un IgA capture ELISA e testato con sieri umani ma anche le IgA sono state trovate persistere per settimane se non mesi come le IgM [Prince et al., 2005]. Il protocollo del test IgG-ELISA indiretto è stato standardizzato per i sieri umani dal CDC [Johnson et al., 2000] e adattato per i cavalli [Davis et al., 2001] e per diverse specie di uccelli, utilizzando anticorpi anti-uccello HRP-coniugati [Ebel et al., 2002]. Un anticorpo

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monoclonale (Mab) cattura l'antigene WN positivo. Quindi questo complesso anticorpo-antigene viene incubato con siero umano (1:400) e la reazione viene rilevata con il coniugato anti-uomo HRP coniugato. I limiti di questo test sono dovuti alla cross-reattività caratteristica degli arbovirus, maggiore anche del test MAC-ELISA. Poiché le IgG sono meno specifiche per gli antigeni degli arbovirus rispetto alle IgM [Dauphin et al., 2007] questo test dovrebbe essere utilizzato in tandem con il MAC-ELISA test. La combinazione di questi due test è altamente sensibile e specifico e permette la diagnosi completa del profilo anticorpale. Protocolli ELISA e IFA per la determinazione dell'avidità delle IgG (Euroimmun AG, Luebek, Germany e Panbio, Queensland, Australia) di un siero sono stati proposti per differenziare tra le infezioni recenti e passate [Levett et al., 2005; Fox et al., 2006]. I kit ELISA sviluppati negli Stati Uniti sono per lo più per l’uomo. La Food and Drug Administration (FDA) ha approvato tre kit IgG ELISA e tre kit MAC-ELISA prodotti da tre società, InBios (WA, USA), Focus Diagnostic (Cypress, CA, USA) e PanBIO (MD, USA) con differente specificità a variabilità. La PanBio ha anche commercializzato un kit IFA. Il kit IgM e IgG della Focus, che utilizza come antigene la proteina ricombinante prM/E, presenta una sensibilità e specificità rispettivamente del 99.3% e del 97,6 e 92,1% rispetto al test IgG/IgM messo a punto dalla CDC [Hogrefe et al., 2004]. Per quanto riguarda i test ad uso veterinario, la BioReliance ha messo a punto un kit IgG/IgM ELISA per campioni aviari ed equini. Il test Epitope blocking ELISA presenta il grande vantaggio di essere specie-indipendente, caratteristica importante in caso di infezioni multiple [Blitvich et al., 2003a; Blitvich et al., 2003b]. I sieri da testare vengono dapprima incubati con l'antigene ottenuto da cellule infettate con il virus West Nile e successivamente con gli anticorpi monoclonali specifici per i flavivirus e per WNV, in modo da competere con i sieri nel legame con gli antigeni. La

Figura

Figura 1. Distribuzione geografica del gruppo delle encefaliti giapponesi.
Figura  2.  Particella  virale  del  West  Nile  al  microscopio  elettronico.  Sulla  destra  è  mostrata  la  ricostruzione della sezione centrale con foglietti concentrici a diversa densità di massa.
Figura  4.  Rappresentazione  schematica  del  ciclo  enzootico  del  West  Nile  e  modalità  di  trasmissione [Gould and Fikrig 2004]
Tabella 1. Il pannello mostra i campioni forniti dal Centro Studi e Ricerche di Sanità e Veterinaria  con  i  realtivi  numeri  di  copie  per  ogni  specie  virale
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