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Paolo Rumiz, Appia, Milano, Feltrinelli, 2016. [Recensione]

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Academic year: 2021

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Sinestesieonline

PERIODICO QUADRIMESTRALE DI STUDI SULLA LETTERATURA E LE ARTI SUPPLEMENTO DELLA RIVISTA «SINESTESIE»

ISSN 2280-6849

Sinestesieonline - N. 19 - Anno 6 - Marzo 2017 www.rivistasinestesie.it

Antonio Fusco

Paolo Rumiz, Appia, Milano, Feltrinelli, 2016, pp. 384, € 19

Parole chiave

Italia, racconto, storia, viaggio

Contatti

antonio.fusco1983@gmail.com Di solito sono solo i racconti degli altri a formare il nostro sapere, con Appia si è invece immediatamente dentro un attraente ed affascinante manuale di viaggio, che rac-conta le voci, le storie, le suggestioni della via più antica d’Europa, percorsa a piedi da Roma a Brindisi.

L’autore ci chiama come un “pifferaio magico” a seguirlo con le nostre gambe lun-go una galleria di grandi personaggi memorabili: da Orazio a Spartaco a Federico II il grande, un’avventura immaginata più per “dovere civico e civile, che per letteratura”.

La storia di Appia dunque non è un viaggio ma “quel viaggio, iniziatico compiuto in quella irripetibile cornice di incontri: uno zibaldone, una risma di appunti italiani, dove la ricerca del passato affonda solidamente i piedi nel presente.”

Costeggiando Agrumeti, le tracce di Arabi e di Normanni, i muretti a secco, le donne vestite di nero, la mutevole musicalità della lingua, anticipano l’ingresso alla “por-ta d’Oriente”, inebriandoci con le meraviglie di un paese che muore dalla voglia di mo-strarci il suo lato più autentico e segreto.

A fare da contrappunto a tutto questo, c’è però, il racconto crudo e minuzioso di speculazioni edilizie, di svincoli da aggirare, guardrail invasi da canneti, cementificazio-ni e mostri d’amianto, insomma il paese reale.

Viene da chiedersi allora: “è il nord che ha allontanato il sud o è il sud che ha al-lontanato se stesso dal resto della penisola”?

Questo viaggio veste di un senso nuovo la questione meridionale: Paolo Rumiz ci prende per mano, non guidandoci a sorvolare, a lambire i territori, bensì invitandoci, con lui ed altri amici via via incrociati lungo il cammino a penetrarli, ascoltando con pazienza le ragioni dei popoli che li abitano, senza però mai concedere loro l’alibi del vittimismo.

La modernità ci ha fatto perdere il gusto della scoperta, della sorpresa, dell’umana propensione ad emozionarci: “il navigatore non ha ucciso solo l’orientamento” ma ha inibito la nostra capacità di spiegare, di chiedere e di dare informazioni.

In assenza di mezzi tecnologici, insomma, siamo incapaci di muoverci.

Questo libro è un antidoto a tutto questo: è un invito a tenere duro, per far sì che la nostra voglia d’avventura non si “atrofizzi”.

Calpestare la terra a piede libero ci apre a mondi, a visioni, a sensazioni che altri-menti sarebbe impossibile vivere. Almeno per me è stato così, per questo ritengo che Ap-pia sia un’esperienza unica da sorseggiare un po’ per volta come un buon vino.

Il nostro è un paese incattivito, alla continua ricerca di capri espiatori, proviamo dunque a restituirgli centralità, impariamo ad amarlo e proteggerlo di più.

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Solo così potremmo riannodare quel “filo d’Arianna” che i camminatori di Appia hanno tracciato sulla mappa. Solo se l’esercito dei nomadi continuerà a prevalere su quello dei sedentari, la “chiamata alle armi” di queso libro non sarà stata vana.

Interessante inoltre nel testo il “canto di ringraziamento ai piedi” e la guida com-pleta e dettagliata alle venticinque tappe.

Ci si trova ad essere attori inconsapevoli di un “kolossal che condensa in sé venti-quattro secoli di storia d’Italia”.

Perché quando raccontiamo con passione qualcosa che si conosce e si ama, tutto diventa immediatamente interessante.

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