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Tiocfaidh ar la - Il nostro giorno arriverà. Nascita, sviluppo e declino del fascismo irlandese (1932-1935)

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INDICE

INTRODUZIONE ... 2

1. IL FASCISMO UNIVERSALE ... 6

1.1 IFASCI ITALIANI ALL’ESTERO ... 6

1.2 UN PASSO AVANTI: IL CINEF DI LOSANNA ... 12

1.3 DECLINO DEL CINEF ... 19

1.4 DAL DIBATTITO PANEUROPEO AI CAUR ... 21

1.5 IL PATTO A QUATTRO E IL FRONTE DI MONTREUX ... 32

1.6 INTERLUDIO: VELENI, INVIDIE E CONGIURE ALLA CORTE DEI CAUR ... 36

1.7 REQUIEM DELL’INTERNAZIONALISMO FASCISTA ... 40

2. IL NOSTRO GIORNO ARRIVERÀ ... 43

2.1. LA PRIMAVERA IRLANDESE ... 43

2.2. LA FONDAZIONE DELL’ARMY COMRADES ASSOCIATION ... 59

2.3. L’AZZARDO DI DE VALERA -LE ELEZIONI DEL 1933... 68

2.4. L’ACA SI RIORGANIZZA ... 74

2.5. IL FIORE DELLA GIOVENTÙ IRLANDESE ... 79

3. L’EVOLUZIONE DELL’ARMY COMRADES ASSOCIATION ... 89

3.1. IL CAMBIO DELLA GUARDIA ... 89

3.2 I PRODROMI DEL FASCISMO IRLANDESE ... 93

3.3 LA PRESIDENZA O’DUFFY ... 99

3.4 LA GENESI DEL FINE GAEL ... 108

3.5 O’DUFFY ASSUME IL COMANDO ... 111

3.6 BATTAGLIE A COLPI DI AVVOCATI ... 118

3.7 O’DUFFY ESCE DI SCENA ... 124

4. EPILOGO ... 133

4.1 IL NATIONAL CORPORATE PARTY ... 133

4.2 I“SAN PATRICIOS” TORNANO A CASA ... 137

4.3 LA RIVOLUZIONE TRADITA ... 143

4.4 REQUIEM AETERNAM ... 148

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Introduzione

Parlare del fascismo, aggiungere qualche nuovo elemento alla sterminata bibliografia che durante i decenni passati si è stratificata sull’argomento, è oggettivamente difficile. Studiosi di grande levatura – non ultimo Renzo De Felice, cui si deve una delle opere più esaustive e complete sulla figura di Mussolini e sul regime da lui instaurato – hanno esplorato in profondità le peculiarità del fenomeno fascista, assurto al potere in Italia nel 1922.

Parlare dell’internazional-fascismo, pone egualmente problemi, seppur d’ordine diverso.

Il fascismo, sviluppatosi all’interno del Regno d’Italia come fenomeno esclusivamente nazionale, sul volgere degli anni Trenta compì una “svolta internazionalista”, puntando a raccordare i movimenti e i partiti direttamente o indirettamente ispirati alla propria dottrina. Un’operazione per compiere la quale era stato costituito, in Svizzera, il Cinef, un “centro studi” che doveva fungere da organo di propaganda della dottrina fascista all’estero.

Fallita l’esperienza inaugurata dal Cinef, l’esperimento venne ritentato, in seguito, con la fondazione dei CAUR, i Comitati d’Azione per l’Universalità di Roma.

Nondimeno, già prima dell’avvento di Mussolini al potere, v’era stata la costituzione di sezioni di “fasci” all’estero – i FIE – in ogni luogo ove erano presenti immigrati italiani: nel bacino mediterraneo, negli Stati Uniti d’America, in Gran Bretagna e nelle sue colonie e, ovviamente, in Irlanda.

La suddetta premessa è necessaria per introdurre, a sua volta, lo scopo di questo lavoro, il quale si propone di disvelare al lettore – ché la storiografia italiana spesso ignora gli emuli esteri della fenomenologia fascista, non ricordandone che pochi esempi, quali la Spagna franchista o il Portogallo di Salazar – quante e quali furono le implicazioni della fase internazionalista del fascismo in Irlanda, un Paese che ai più appare trascurabile sullo scacchiere geopolitico europeo. L’apparente “secondarietà” dell’Irlanda non deve trarre in inganno. Seppur piccola, la seconda delle Isole di Smeraldo è stata, attraverso i secoli, una costante spina nel fianco per il suo più potente vicino, il Regno d’Inghilterra.

Sin dalla conquista normanna dell’isola – iniziata in pieno Medioevo – il popolo irlandese soffrì l’ingerenza e la dominazione straniera, che si protrasse fino al ventesimo secolo.

La lotta per l’indipendenza entrò in una fase più radicale a seguito dell’approvazione dell’Atto di Supremazia da parte di Enrico VIII nel 1534, un provvedimento che di fatto sanciva l’autocefalia religiosa del Regno di Inghilterra e d’Irlanda da Roma. Generalmente accettato in Inghilterra, lo scisma anglicano trovò ostinata resistenza nel resto del regno.

La nobiltà terriera di origine normanna – oramai da tempo amalgamatasi con la popolazione autoctona, e quindi divenuta a pieno titolo “irlandese” – unitamente alla maggioranza della popolazione rimase fedele alla dottrina cattolica, e per tutta risposta il governo inglese diede l’avvio a vaste campagne persecutorie contro la popolazione di religione cattolica.

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I due episodi fondamentali, in questo senso, sono riferibili alla “fuga dei conti” del 1607, in cui i detentori dei titoli comitali di Tyrone e Tyrconnell, l’attuale Donegal, con 90 seguaci fuggirono dall’Irlanda rifugiandosi sul continente, in Francia, Spagna e Italia, ed al “volo delle oche selvatiche”, avvenuto nel 1691, al termine della guerra guglielmita. In quest’occasione, l’esercito arruolato in Irlanda a sostegno di Giacomo Stuart, pretendente cattolico al trono inglese a seguito della Gloriosa Rivoluzione, si disperse tra Francia, Spagna, Svezia e Italia, servendo come unità militare mercenaria in quei Paesi.

Seguirono anni duri, in cui l’identità “irlandese” autoctona fu messa a durissima prova. Le autorità inglesi cercarono di soffocare in tutto e per tutto ogni anelito irlandese di libertà: era bandito l’uso della lingua gaelica, i cattolici erano discriminati, e ogni atto che incideva sulla vita politica e sociale irlandese era emanato direttamente dal parlamento di Westminster. Sul volgere del secolo diciottesimo, tuttavia, riprese vita il desiderio indipendentista, attraverso la fondazione della Society of United Irishmen, costituita da cattolici e da protestanti con tendenze liberali.

L’associazione, che inizialmente si proponeva di ottenere la riforma del parlamento di Dublino, minor ingerenza inglese negli affari interni irlandesi, e maggiori diritti – tra cui quello di voto – per i non appartenenti alla chiesa anglicana, ovvero cattolici e presbiteriani, si evolse in un’organizzazione repubblicana, ispirata dalla Rivoluzione americana e naturalmente alleata con la Francia rivoluzionaria. Furono gli United Irishmen che ispirarono la ribellione del 1798, in cui il proprio capo carismatico, Theobald Wolfe Tone, trovò la morte in carcere. Il conflitto tra i ribelli e le forze britanniche si protrasse fino al 1804, concludendosi con arresti e pesanti condanne.

Successivamente alla battuta d’arresto seguita al fallimento della sollevazione del 1798, coloro che anelavano all’indipendenza dell’Irlanda assunsero un “profilo basso”, in attesa di tempi migliori, e per circa trent’anni non si registrarono ulteriori tentativi di sovvertire la dominazione inglese. Infatti, fu solo a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, quando venne fondata l’associazione della “Giovane Irlanda” (Young Ireland), che i patrioti irlandesi tornarono, per così dire, “alla ribalta”. Agli affiliati della Young Ireland si deve l’aver ispirato l’ennesima – fallita – sollevazione, avvenuta nel 1848, lo stesso anno in cui tutta Europa fu attraversata da rivolgimenti rivoluzionari, un’effimera stagione definita “Primavera dei popoli”.

Frustrato l’ennesimo tentativo di liberarsi dal giogo inglese, i patrioti irlandesi furono costretti a sospendere la propria attività alla luce del sole, limitandosi a cospirare nell’ombra, spesso lontano dalla madrepatria. Infatti, contemporaneamente all’insurrezione del ‘48, sull’Irlanda si abbatté la “piaga delle patate”, provocata da un bacillo, la peronospora, che distrusse la quasi totalità dei raccolti nel triennio 1845-1848. La carestia che ne seguì condusse alla morte centinaia di migliaia di persone, obbligando i sopravvissuti ad una vita di stenti in patria o all’emigrazione in altri lidi. A questo scopo, centinaia di migliaia di irlandesi abbandonarono la propria patria, rifugiandosi in Gran Bretagna e nelle sue colonie oppure negli Stati Uniti d’America.

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In questi luoghi lontani, gli espatriati irlandesi costituirono associazioni, quali la Fenian Society o Società Feniana, o la Irish Republican Brotherhood, la Fratellanza Repubblicana Irlandese, che funsero da strumento convogliatore delle rimesse che i migranti – spesso padri di famiglia – inviavano in patria a sostegno dei propri congiunti. La situazione di sostanziale stallo sul fronte della Home Rule, ovvero della concessione di una certa autonomia amministrativa si trascinò anche nel ventesimo secolo, sino allo scoppio del Primo conflitto mondiale, avvenuto nel 1914.

Nel corso del secondo anno di guerra, con le armate anglo-francesi impegnate sul continente, i patrioti irlandesi ritennero giunto il momento principe della propria secolare lotta, e diedero l’avvio allo sforzo supremo, culminato nella Sollevazione di Pasqua che ebbe luogo tra il 24 e il 30 aprile 1916. La rivolta – che provocò scontri generalizzati dappertutto in Irlanda – venne rapidamente domata dall’esercito britannico, grazie alla superiorità di uomini e mezzi, e risultò – al solito – in arresti di massa e condanne.

Il fallimento della sollevazione, col suo seguito di condanne al carcere ed esecuzioni capitali, tuttavia, non sancì la fine della lotta per l’indipendenza: al contrario, servì come sprone per gli anni successivi – 1917 e 1918 – affinché gli sforzi intrapresi dai patrioti giungessero a compimento. In particolare, nel 1917 il Sinn Féin – il partito indipendentista irlandese, fondato nel 1905 – aumentò le proprie affiliazioni, e l’allargato consenso popolare venne formalizzato il 25 ottobre 1917 in occasione del congresso del partito.

Il sostegno così ottenuto permise al Sinn Féin, nelle successive elezioni generali per il rinnovo del parlamento di Londra tenutesi nel 1918, di occupare 73 seggi contro i 22 degli Unionisti e i 6 del Partito Parlamentare Irlandese, guidato da John Dillon. I deputati eletti, tuttavia, si rifiutarono di sedere a Westminster, convocando invece a Dublino un’assemblea indipendente, il “primo Dáil”. Detta assemblea proclamò, come primo atto ufficiale, l’indipendenza irlandese e la forma repubblicana dell’isola. Naturalmente, il distacco da Londra non fu accettato all’unanimità da tutta la popolazione e dalla classe dirigente isolana, sfociando nella guerra civile, che per tre anni devastò la già insanguinata terra irlandese, concludendosi nel 1921, con la vittoria delle forze favorevoli alla soluzione negoziata con i britannici.

Il decennio successivo alla stipula del Trattato vide, oltre all’intensificazione della violenza dell’IRA, l’associazione indipendentista che mai aveva accettato il negoziato con la controparte britannica, la comparsa di un’altra associazione, di segno diametralmente opposto, cioè l’Army Comrades Association. Quest’ultima, nata per riunire i reduci della guerra di indipendenza, nella sua parabola subì varie trasformazioni. In un primo tempo, l’ACA servì come milizia al servizio del Cumann na nGaedheal, assumendo il nome per il quale è generalmente nota, ovvero Blueshirts; in seguito diventò il “braccio armato” del Fine Gael, il partito nato dalle ceneri del Cumann na nGaedheal. Sin dalla sua fondazione, tuttavia, l’ACA attrasse su di sé le attenzioni sia dell’IRA che del governo. L’associazione indipendentista rimproverava all’ACA la sconfessione della guerra di indipendenza; il governo, guidato da Eamon de Valera, per parte sua accusava la stessa ACA di

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voler emulare “gli omologhi continentali” (il fascismo italiano in prima battuta, a cui seguì la fascinazione, dovuta ad un viaggio del leader delle Blueshirts in Germania, per il regime hitleriano), e di voler sovvertire l’ordine costituzionale. A seguito delle accuse, l’esecutivo si prodigò, agendo per vie legali, e a volte sfiorando il limite con l’illegalità, a contrastare l’ACA, la cui guida era stata assunta dall’ex Commissario capo della Garda Síochána, Eoin O’Duffy, una figura di primo piano nella vita politica nazionale sin dai tempi della guerra di indipendenza. Lo scopo che questo lavoro si propone, come già affermato, è quello di provare a restituire un resoconto quanto più obiettivo dell’influenza che il fascismo italiano – in competizione con l’omologo nazista tedesco – esercitò nella vita politica e sociale irlandese, avendo come figura di riferimento il capo delle Blueshirts e in seguito del Fine Gael, la cui figura e la parabola umana, sin dagli esordi come semplice militante dell’IRA, riassumono tutte le contraddizioni – invero dolorose – dell’ethos nazionalista gaelico.

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1. Il fascismo universale

1.1 I Fasci italiani all’estero

Gli anni Venti e Trenta, in Europa, segnarono una decisa svolta autoritaria in diversi Stati: capofila della conversione all’autoritarismo fu l’Italia, che nel giro di pochi anni, dalla presa del potere da parte di Benito Mussolini nel 1922, iniziò la trasformazione in un regime dittatoriale.

Il processo, iniziato nel biennio 1925-261 con l’approvazione di una serie di leggi conosciute come fascistissime o anche leggi eccezionali del fascismo, conobbe una ulteriore svolta “totalitaria” nella seconda metà degli anni Trenta. L’esempio italiano fu seguito da numerosi altri Paesi, tra i più importanti dei quali si annoverano Spagna, Jugoslavia, Grecia, Portogallo, Austria e Germania. L’evoluzione di sistemi parlamentari in senso autoritario è ben spiegata da Stanley Payne, il quale

1 Cfr. Discorso del 3 gennaio 1925, in B. Mussolini (a cura di E. e D. Susmel), Opera Omnia, La Fenice,

Firenze 1956, vol. XXI, pp. 235-241. Il discorso, pronunciato alla Camera dei Deputati nella seduta pomeridiana, a giudizio di Renzo De Felice rappresentò l’atto costitutivo del regime autoritario. Secondo l’opinione del massimo storico italiano sulla fenomenologia fascista, infatti, “risulta chiarissimo come con il 3 gennaio 1925 la lotta politica e con essa la nostra stessa storia nazionale entrarono in una nuova fase. Col 3 gennaio, infatti, lo Stato liberale e le forze politiche che ad esso si richiamavano e lo sostanziavano entrarono nell’ultima fase della loro crisi; parallelamente a ciò cominciò a prendere progressivamente corpo quel nuovo assetto politico (e indirettamente sociale e morale) che è comunemente noto come regime fascista”. R. De Felice, Mussolini il fascista, vol. 2, L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, p. 3. Infatti a cominciare dal biennio 1925-26, il Parlamento approvò una serie di leggi che stravolse l’architettura istituzionale e giuridica del Regno d’Italia. Il primo di questi provvedimenti, adottato nel novembre 1925 – e che prendeva spunto dal discorso pronunciato da Mussolini alla Camera dei deputati il 16 maggio precedente – prevedeva la mappatura di tutte le associazioni politiche e sindacali attive sul territorio italiano, le quali dovevano consegnare, a richiesta delle autorità di pubblica sicurezza, i propri statuti, atti costitutivi, elenchi degli affiliati, dei dirigenti e così via, sotto pena di pesanti sanzioni. Per questo, cfr. Contro la massoneria, in B. Mussolini, Opera Omnia, cit., vol. XXI, pp. 309-311. Nel dicembre successivo furono approvati altri provvedimenti legislativi, tra cui spiccava quello che modificava radicalmente le prerogative e le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, che diveniva “Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato”, sancendone la posizione preminente e responsabile solamente nei confronti del Capo dello Stato; per effetto di tale provvedimento i ministri e i sottosegretari divenivano responsabili sia di fronte al Capo del Governo che al sovrano. Un altro provvedimento, approvato nella medesima data stabiliva l’allontanamento di tutti i funzionari pubblici che non giuravano fedeltà al regime, per il quale si consulti Sulla dispensa dal servizio dei funzionari dello Stato, in B. Mussolini, Opera Omnia, cit., vol. XXI, pp. 347-350. Nel gennaio 1926 una nuova e importante legge attribuì al governo la facoltà di emanare norme giuridiche, e in febbraio un ulteriore provvedimento stravolgeva l’ordinamento municipale, eliminando sindaci e consigli comunali, sostituiti dalla figura del podestà. Con l’approvazione del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza nel novembre 1926, poi, si accordavano ai prefetti poteri molto ampi: essi potevano sciogliere associazioni, enti, istituti, partiti, gruppi e organizzazioni politiche, e si istituiva il confino come sanzione principale nei confronti dei soggetti contrari al regime. Sempre nel novembre 1926, d’iniziativa del Ministro della Giustizia, Alfredo Rocco, vide la luce il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. La sanzione ufficiale del nuovo corso si ebbe con la legge elettorale approvata nel 1928, che sottoponeva all’elettorato una lista nazionale bloccata di 409 nomi, scelti dal Gran Consiglio del Fascismo. Da allora in poi le elezioni assunsero carattere plebiscitario fino all’istituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939, che eliminò qualsiasi residuale parvenza di democraticità nell’ordinamento statale italiano.

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ha affermato che allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, vi erano in Europa più regimi autoritari che democratici2, mancanti però di un organismo di coordinamento internazionale, contrariamente a quanto esisteva in Unione Sovietica, dove il Comintern, fondato nel 1919, era preposto alle attività di coordinamento dei partiti comunisti a livello mondiale, oltre che incaricato di diffondere l’ideologia comunista rivoluzionaria all’estero.

Un’iniziativa simile a quella condotta in Unione Sovietica, ma dai risvolti e di ispirazione diversa, fu quella relativa alla costituzione dei Fasci Italiani all’Estero (d’ora in poi FIE), la cui genesi può essere fatta risalire al convegno di Milano del 1922, anche se in realtà sezioni estere dei Fasci di combattimento, in Europa e nel bacino mediterraneo, esistevano già dall’inverno 1920-213. L’iniziativa faceva seguito al censimento condotto nel 1921, nel quale si quantificavano in otto milioni gli italiani residenti al di fuori d’Italia, e a prescindere da considerazioni di natura ideologica, la costituzione dei FIE rispondeva anche alla necessità di “preservare l’italianità” in contesti spesso lontanissimi e mal collegati con la madrepatria. Sul piano cronologico, il primo Fascio fondato al di fuori dell’area euro-mediterranea fu quello costituito a New York nel maggio del 1921, e come gli omologhi fondati nel Vecchio Continente – ad esempio quello di Londra, fondato nello stesso anno da Camillo Pellizzi – poteva contare soltanto su poche decine di affiliati, nel caso londinese soltanto una ventina, e delle venti affiliazioni, per ammissione dello stesso Pellizzi, circa la metà erano puramente fittizie4.

Quanto al ruolo che i FIE avrebbero dovuto svolgere, un articolo pubblicato su “Il Popolo d’Italia” il 19 maggio 1921, a firma Nicola Bonservizi, segretario del Fascio di Parigi, spiegava: “Cosa debbono essere i Fasci all’estero? Da una parte debbono trovare i maggiori contatti possibili tra gli italiani, cementare, fare un blocco degli italiani, tener alto in essi il sentimento della patria, difendere i loro interessi sia personali che collettivi, indirizzarli, aiutarli, proteggerli valorizzarli, dall’altra difendere il nome e gli interessi superiori dell’Italia di fronte agli stranieri, diffonderne l’arte e la scienza, esaltarne il lavoro, la forza, il genio”5. Nonostante l’accorato appello di Bonservizi, l’appoggio ufficiale di Mussolini all’iniziativa restò marginale per tutto il 1921, e nel congresso tenutosi in novembre nessun cenno fu fatto in merito alle sezioni del PNF situate al di fuori dei confini nazionali.

2 Cfr. S. G. Payne, A History of Fascism 1914 – 1945, University of Wisconsin, Madison 1995, p. 295. 3 Cfr. R. Santinon, I Fasci Italiani all’Estero, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1991, pp. 13-16; analogamente,

E. Franzina-M. Sanfilippo (a cura di), Il fascismo e gli emigrati, Laterza, Bari 2003, p. 3. La costituzione di sezioni dei Fasci all’estero è da mettere in stretta correlazione all’esplosione del fenomeno squadrista in Italia. In proposito, Santinon ha riportato l’opinione di Guido Sollazzo, vicesegretario dei FIE, per il quale la storia dei Fasci esteri ebbe inizio nel febbraio 1923. I prodromi, comunque, sono da ricercarsi nell’azione della “Lega italiana per la tutela degli interessi nazionali”, che nel quadriennio 1919-1923 funse da strumento di raccordo tra quella che Santinon ha definito “fase nazionalistica” e la “fase fascista” nell’iter organizzativo degli italiani all’estero.

4 Cfr. E. Franzina – M. Sanfilippo, op. cit., p. 3. 5 R. Santinon, op. cit., p. 15.

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Il progetto internazionalista del fascismo non sarebbe stato più preso in considerazione fino alla presa del potere, nel 1922, e una volta ottenuta la nomina di Mussolini a capo del governo, la necessità di diffondere il fascismo tra gli italiani sparsi ai quattro angoli del globo ritornò prepotentemente nell’agenda del duce. Così, allo scopo di indirizzare, consolidare e controllare la crescita delle sezioni dei Fasci esteri (che adesso contavano sedi anche a Salonicco, Alessandria, Berlino, il Cairo e Smirne), Mussolini istituì una commissione che avrebbe dovuto “organizzare un ufficio speciale per guidare i membri del Partito all’estero”, realizzando una struttura centrale di controllo e guida politica. Della commissione facevano parte – oltre a Giuseppe Bottai, che aveva caldeggiato l’adozione per le sezioni estere di una direzione più efficace – Piero Bolzon e soprattutto Giuseppe Bastianini, un giovane dirigente del fascio provinciale di Perugia, che poco tempo dopo divenne capo dell’organizzazione6. Bastianini, peraltro, in qualità di vicesegretario del PNF, aveva già avuto modo, nel corso della sesta riunione del Gran Consiglio del Fascismo, tenutasi il 14 febbraio 1923, di riferire circa l’attività dei FIE, allora quantificati in 1507 e così distribuiti: Austria, Anatolia, Argentina, Albania, Bulgaria, Belgio, Canada, Egitto, Francia, Inghilterra, Irlanda, Panama, Romania, Spagna e Stati Uniti d’America. Il numero delle sezioni gradualmente aumentò per tutto il triennio 1922-1925, e già nel 1923 aveva raggiunto le oltre quattromila affiliazioni, registrate nei Fasci all’estero e nelle colonie. Nell’aprile 1924 furono inaugurati i nuovi uffici della Segreteria Generale dei FIE8, e in proposito Bastianini osservò – in un memorandum diretto a tutte le delegazioni estere – che i FIE erano pronti a passare dalla “fase organizzativa alla fase politica”. Restava però uno scoglio da superare, ovvero la diplomazia

6 Cfr. E. Franzina – M. Sanfilippo, op. cit., p. 5.

7 Cfr. 6° Riunione del Gran Consiglio del Fascismo in B. Mussolini, Opera Omnia, cit., pp. 140-142. Nel

resoconto si legge: “Si è passati, poi, al tema del fascismo all’estero. La discussione di questo argomento è stata interessantissima e ha occupato circa tre ore. Relatore dell’importante tema è stato il dott. Giuseppe Bastianini, segretario politico del P.N.F. […]. Dalla relazione Bastianini è risultato che all’estero sono già costituiti oltre centocinquanta Fasci, raggruppati in ventisei delegazioni […]. È stata approvata la seguente mozione presentata da Bastianini alla fine della sua relazione: ‘Il Gran Consiglio nazionale del fascismo ritiene di grande importanza la costituzione dei Fasci italiani all’estero, ai quali vuole assegnare, oltre che un’alta funzione di coesione fra tutti gli italiani emigrati, anche una purissima azione tendente a tenere accesa la fiamma dell’amore patrio in tutti i figli d’Italia. A tale scopo delibera: 1 – che a capo dei Fasci all’estero debbono essere poste persone sotto ogni riguardo insospettabili e inattaccabili. 2 – questi Fasci debbono essere lo specchio superbo e immacolato del fascismo italiano; 3 – che i fasci all’estero debbono evitare tutto ciò che può turbare i rapporti tra l’Italia e gli Stati che li ospitano e tutto quello che può, in un certo senso, dare l’impressione di qualche caso di equivoco; 4 – che tali Fasci debbono evitare di immischiarsi nelle questioni interne che riguardano i paesi che li ospitano e debbono dimostrare in ogni paese ed in ogni occasione, col rispetto rigido delle leggi e delle volontà di tutti i paesi, l’alto spirito di disciplina degli italiani; 5 – i Fasci debbono curare la costituzione di corporazioni e sindacati per l’assistenza e la tutela dei lavoratori italiani secondo i criteri ed i metodi della Confederazione delle corporazioni fasciste, che è il più grande e disciplinato organismo sindacale del lavoro italiano.’ Il Gran Consiglio delibera di fondare in seno alla segreteria generale un ufficio centrale per i Fasci italiani all’estero che disciplini e regga il movimento fascista italiano nel mondo. Tale ufficio sarà diviso in cinque sezioni: America settentrionale, America meridionale, Asia, Africa e Europa”.

8 Cfr. R. Santinon, op. cit., p. 21. Nello stesso 1924, in febbraio, era stato assassinato il segretario del Fascio

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italiana che, schierata nella sua quasi totalità sulle posizioni del nazionalismo monarchico conservatore, rimase sempre ostile alla costituzione di una “rete estera parallela”, emanazione del PNF. Le sedi crebbero rapidamente in numero, passando dalle tredici dell’agosto 1922 alle “oltre 296” dell’estate 19239; in seguito la crescita rallentò fino ad arrestarsi del tutto nel 1924. Nel dicembre di quell’anno Mussolini riferì l’esistenza di 315 sezioni dei Fasci, e nel 1925, superato lo stallo dell’anno precedente, le sezioni ripresero a crescere10. Quanto a Giuseppe Bastianini, già dal 1923 si proponeva di conferire al fascismo un respiro internazionale e universalistico, avendolo concepito come “episodio nazionale” di una rivoluzione di portata mondiale, la cui missione era quella di costruire un nuovo patriottismo, che avrebbe trasceso il nazionalismo tradizionalista. Per Bastianini, il fascismo costituiva il punto di origine di una nuova civiltà, e gli italiani all’estero, inquadrati nei FIE, erano gli avanguardisti di questa ondata rivoluzionaria. L’internazionalismo fascista avrebbe posto in essere un’intesa tra “le correnti politiche delle più grandi nazioni del mondo che tendono a costituire un baluardo alla marea montante del sovversivismo universale”11, intesa che, sempre a giudizio di Bastianini, pur non ancora “tradotta in un programma di azione”, era “già viva e operante”. Tuttavia, hanno osservato Franzina e Sanfilippo, esisteva un problema di fondo nel ragionamento di Bastianini: come poteva un movimento prettamente nazionalista quale era il fascismo, sostenere una svolta “internazionalista”?

La risposta giunse in occasione della sessantacinquesima riunione del Gran Consiglio del Fascismo, il 29 aprile 192512, in cui la portata dell’iniziativa universalistica propugnata da Bastianini fu ridimensionata. Nella seduta, dopo che il segretario dei FIE ebbe presentato la sua relazione sui quaranta e più movimenti che si ispiravano in vario modo al fascismo, egli auspicò la possibilità di forgiare alleanze con i suddetti gruppi, ma il progetto fu bloccato da Mussolini, che vietò qualsivoglia contatto o proposta di alleanza con movimenti stranieri, decretando il temporaneo accantonamento delle velleità “internazionaliste” del fascismo. Il divieto imposto dal duce all’attività internazionalista dei FIE si inquadra nella volontà dello stesso Mussolini di accreditare le organizzazioni cui facevano capo gli italiani all’estero come associazioni nate spontaneamente e a carattere non eversivo; il capo del governo, in proposito, l’11 dicembre 1924 aveva tenuto un discorso in Senato nel quale aveva sostenuto, riguardo ai FIE, che fossero così ben integrati nella struttura sociale e politica della nazione ospitante da ricevere l’apprezzamento tanto delle autorità civili che di quelle religiose13. Volutamente limitata, quindi, per ordine del duce,

9 Cfr. 28° Riunione del Gran Consiglio del Fascismo, in B. Mussolini, Opera Omnia, XIX, cit., pp. 337-341. 10 L’interruzione del processo di crescita dei FIE nel 1924 era da imputare in massima parte alla paralisi

seguita al delitto Matteotti ed alle divisioni interne al PNF, che obbligarono Mussolini a tenere, per così dire, un “profilo basso” in attesa di un clima politico più favorevole.

11 Cfr. E. Franzina – M. Sanfilippo, op. cit., pp. 11-12.

12 Cfr. 65° Riunione del Gran Consiglio del Fascismo, in B. Mussolini, Opera Omnia, cit., XXI, p. 293. 13 Cfr. ibidem, p. 229. Nel discorso, Mussolini riprendeva quanto affermato dall'ambasciatore statunitense

Fletcher, il quale aveva espresso apprezzamento per le finalità civili e patriottiche dei FIE, e anche l'atteggiamento del primate belga, cardinale Mercier, che ne aveva benedetto i gagliardetti: “ma un episodio

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l’azione dei FIE era rigidamente regolata da un apposito statuto in nove punti14, che all’articolo 3 così recitava:

“I fascisti all’estero debbono obbedire alle seguenti direttive:

1. I Fascisti che sono all’estero debbono essere ossequianti delle leggi del paese che li ospita. Devono dare esempio quotidiano di questo ossequio alle leggi, e dare, se necessario tale esempio agli stessi cittadini.

2. Non partecipare a quella che è la politica interna dei paesi dove i fascisti sono ospitati. 3. Non suscitare dissidi nelle colonie, ma piuttosto sanarli, all’ombra del Littorio. 4. Dare esempio di probità pubblica e privata.

5. Rispettare i rappresentanti dell’Italia all’estero e obbedire alle loro direttive e istruzioni. 6. Difendere l’italianità nel passato e nel presente.

7. Fare opera di assistenza fra gli italiani che si trovano in stato di bisogno.

8. Essere disciplinati all’estero come si esige e si impone che gli italiani siano disciplinati all’interno.

9. Comprendere la vita come dovere, elevazione, conquista ed avere sempre presente il comandamento del Duce: “Credere, Obbedire, Combattere”.

Durante la prima fase dell’esistenza dei FIE, i loro iscritti non cercarono mai contatti e collegamenti con movimenti o organizzazioni di estrema destra locali, per accreditare l’immagine che li voleva leali cittadini dei paesi d’adozione, integrati nelle società ospitanti, a dispetto dell’appartenenza ad un’organizzazione che era diretta emanazione dello Stato italiano15. Un atteggiamento cauto, che rifletteva la prudenza del governo anche nell’ambito della politica estera, specialmente dopo la crisi di Corfù del 192316, atteggiamento che fu mantenuto ribadendo singolare è questo. A New York, i fascisti in camicia nera hanno scortato il carro funebre del presidente Harding, e sono stati ammessi dalla famiglia alla tumulazione della salma”.

14 I compiti dei Fasci all’estero, in B. Mussolini, Opera Omnia, cit., XXI, p. 430. Nella riunione, in cui venne

discussa la questione relativa allo statuto, si ripresero quasi in toto le deliberazioni della sesta e della ventottesima convocazione del Gran Consiglio, in cui erano state abbozzate, per sommi capi, le regole a cui i fascisti all’estero avrebbero dovuto conformarsi.

15 Cfr. E. Franzina, M. Sanfilippo, op. cit., pp. 12-13. Anche in Italia, come già in Unione Sovietica, vi fu un

dibattito piuttosto acceso riguardante l’esportabilità o meno della “rivoluzione”, che se per alcuni poteva (e financo doveva) avere un carattere internazionalista, per altri doveva restare un fenomeno tipicamente “nazionale”. Si vedrà in seguito come l’impostazione italo-centrica del fascismo gradualmente decadrà, fino alla completa devozione alla causa internazionalista tra la fine degli anni Venti e il decennio successivo.

16 La crisi di Corfù fu originata dal massacro, per mano di ignoti, avvenuto il 27 agosto 1923 sul confine

greco - albanese, della missione militare italiana che nel 1921 era stata incaricata della determinazione dei confini tra Grecia e Albania. A seguito dell’eccidio, il governo italiano inviò un ultimatum all'omologo ellenico, pretendendo da questo le scuse formali, l'arresto e l'esecuzione dei colpevoli, e un indennizzo pari a cinquanta milioni di lire. A tali richieste il governo ellenico ottemperò parzialmente, e per tutta risposta l’Italia inviò nell'area una divisione navale e procedette poi al bombardamento di Corfù il 29 agosto, occupando l'isola per circa un mese, fino al 27 settembre 1923. La crisi si risolse dopo che la Conferenza

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l’indisponibilità, da parte del governo fascista, ad allacciare rapporti e relazioni con movimenti esteri, considerati “brutte copie, male organizzate e poco attraenti”17 dell’originale italiano, qualora non ve ne fosse stata chiara necessità d’ordine strategico.

degli Ambasciatori ebbe riconosciuto la validità delle ragioni italiane nella contesa, per effetto delle quali la Grecia pagò cinquanta milioni d'indennizzo e rese ufficialmente gli onori alla bandiera italiana in uno dei porti ateniesi, il Falero. Ritenendo soddisfatte le proprie richieste, il governo italiano richiamò in patria la squadra navale inviata a Corfù, che giunse a Taranto il 30 settembre successivo. Cfr. 49°, 50°, 51° e 52° riunione del Consiglio dei Ministri, in B. Mussolini, Opera Omnia, cit., XX, pp. 5-7. Analogamente, Le ragioni dell’azione italiana e Il conflitto italo-greco, in ibidem, pp. 7-9 e 11-12.

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1.2 Un passo avanti: il Cinef di Losanna

Con il consolidamento del regime, avvenuto sul volgere degli anni Venti, l’attività di propaganda dei FIE era divenuta insufficiente, dato il sempre più evidente affermarsi di soluzioni autoritarie all’interno di diversi Stati che, in Europa e altrove nel resto del mondo, s’ispiravano all’Italia fascista direttamente o per via indiretta. Come già ricordato in precedenza, l’attività dei FIE era volutamente limitata, e puntava principalmente alla presenza di elementi fascisti nella società ospite, senza peraltro permettere loro di incidere nella vita politica del Paese d’adozione. Fu quindi necessario, allo scopo di propagandare più efficacemente l’idea “fascista”, provvedere alla creazione di strumenti più adeguati, come tale fu ritenuto il Cinef - Centro internazionale di studi sul fascismo - attivo nel triennio 1928 – 1930, sotto la direzione del professore svizzero-olandese J. Hermann de Vries de Heekelingen, con il decisivo contributo del giornalista inglese J. Starchey Barnes18.

La costituzione di un centro studi sul fascismo conferiva una dimensione internazionale e universale ad un fenomeno che nei suoi aspetti storici, politici, programmatici e ideologici stava travalicando i confini nazionali. Al riguardo, Cuzzi ha osservato che “parallelamente alla ‘politica segreta’ che vide il fascismo intessere oscuri rapporti di tipo eversivo con forze politiche balcanico-danubiane, si ebbe un’impennata dell’attività propagandista vista però non tanto come iniziativa di agenti italiani all’estero, quanto di collaboratori stranieri favorevoli al fascismo e fautori magari di un fascismo a casa propria legato a Roma”19.

La prima menzione ufficiale del Cinef è contenuta nel telegramma inviato il 18 settembre 1926 alle ambasciate di Washington, Berlino e Budapest, in cui il capo Ufficio stampa del Ministero degli Esteri, Capasso Torre, informava le regie legazioni interessate che “Su iniziativa privata, appoggiata ufficiosamente da Governo Nazionale verrà fondato in Isvizzera [sic!] istituto per ricerche documentazione circa fascismo. Istituto sarà diretto da Comitato membri principali paesi. Prego telegrafarmi nomi et indirizzi personalità codesto Stato che le risultassero particolarmente adatte assumere tale incarico”20.

18 Barnes, nato in Italia da genitori cattolici inglesi, vi aveva vissuto i primi dieci anni della propria vita, e vi

era tornato in qualità di agente di collegamento britannico col grado di maggiore del Royal Army nel corso del Primo conflitto mondiale. Rientratovi stabilmente nel 1920, si era avvicinato alle posizioni del Partito socialista; rimasto deluso dall’incontro avuto con Anna Kuliscioff, nello stesso periodo fu conquistato dal fascismo e dalla figura di Mussolini. Durante tutto il percorso che portò poi Mussolini ad assumere il potere nel 1922, Barnes lavorò come corrispondente per alcuni quotidiani britannici, oltre a rivestire un ruolo nelle trattative precedenti alla Conciliazione, nel 1929. Cfr. M. Cuzzi, Antieuropa, cit., pp. 60-61.

19 Ibidem.

20 Ministero degli Affari esteri, Ufficio stampa; telegramma n.4903 pr indirizzato a ambasciata Washington,

legazione Budapest, ambasciata Berlino; Roma, 18 settembre 1926, conservato in m, Dep. Minculpop, b. 68 “Propaganda italiana all’estero”, F. 1930 “Centro internazionale di studi sul Fascismo sett. 26 – luglio 27”, citato in M. Cuzzi, Antieuropa, cit., pp. 62-63.

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Nel telegramma si faceva riferimento ad una riunione, tenutasi a Parigi nelle settimane precedenti, di un “Comitato costitutivo del centro di studi internazionale sul fascismo”, composto da accademici e intellettuali di varie nazionalità21. Mussolini accolse l’iniziativa con particolare interesse, affascinato dalle tesi “universaliste” proposte dal giornalista inglese, e il comitato fu materialmente sostenuto dall’ufficio stampa del Ministero degli Esteri.

Il risultato delle deliberazioni del comitato si concretizzò con la fondazione del Centro internazionale di studi sul fascismo (Cinef): costituito nella neutrale Svizzera, a Losanna, per molteplici ragioni, tra le quali la facilità di accesso, essendo la Svizzera crocevia tra Italia, Francia e Mitteleuropa, il Cinef nasceva anche per “affiancare” e al contempo “smarcarsi” dalle società di cultura italiana operanti all’estero, molte delle quali, come la Dante Alighieri, erano restie all’equiparazione tra “cultura italiana” e “cultura fascista”, atteggiamento, questo, che indisponeva non poco i dirigenti del regime a Roma. Un’altra motivazione – sicuramente strumentale - alla base della fondazione del Cinef era quella di costituire un centro studi, che fosse “gestito in modo apparentemente obbiettivo [sic] e distaccato da parte di esponenti del mondo della cultura internazionale, che illustrasse con iniziative e atti pubblicati i principali aspetti storici, politici, programmatici e ideologici di un fenomeno che ormai stava assumendo dimensioni transnazionali”22.

Tralasciando le lungaggini burocratiche e organizzative che De Vries dovette sopportare affinché la sua idea del Cinef prendesse definitivamente quota e divenisse operativa, solo nell’ottobre 1927 il Centro si dotò di un organigramma definitivo, che, come riportato da Cuzzi, era così composto23: Presidente del consiglio: J. Hermann de Vries de Heekelingen;

Vicepresidenti: Marcel Boulenger, Giovanni Gentile;

Membri del consiglio: Prof. A. Andréadès (Università di Atene), prof. Antonio Aunós (Università di Barcellona, rettore dell’Istituto di Scienze Sociali, direttore delle pubblicazioni della Commissione dei datori di lavoro e dei lavoratori in Catalogna), Conte Thadeusz Dzieduszucki (sociologo di Varsavia), prof. István Ethen Ereky (Università di Szeged, Ungheria), C. Fougner (“intellettuale”[sic], Oslo, Norvegia), prof. Edmund Gardner (Università di Londra, membro della British Academy), prof. Albert Geouffre de Lapradelle (Institut des Hautes Etudes internationales, Parigi, Francia), prof. John L. Gerig (Columbia University, New York)24, Jonkheer J.W. Godin de Beaufort (intellettuale, Olanda), prof. Nael Ionescu (Università di Bucarest), Senatore Ladislas Jablonowski (senatore, Varsavia), prof. Johannes W. Mannhardt (Università di Marburg), J. Renkin

21 Cuzzi afferma che di tale sedicente “Comitato” non si trova riscontro nella documentazione ufficiale, ma

soltanto nella documentazione circa il Cinef.

22 M. Cuzzi, Antieuropa, cit., p. 30.

23 Ibidem, pp. 74-75. L'elenco è citato verbatim, pertanto ne sono stati mantenuti anche eventuali errori

ortografici o di trascrizione.

24 La Columbia University già dal 1925 ospitava un Istituto di cultura italiano, ed era quindi più ben disposta

e ricettiva verso le idee propugnate dal fascismo, anche solo allo scopo di studiarle sotto il profilo accademico.

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(Ministro di Stato belga), Barone Rolin Jaequemyns (già Ministro dell’Interno belga), prof. Walter Starkie (Trinity College, Dublino), Lord Sydenham of Combe (già governatore di Bombay, membro della Royal Society, Londra), conte Paul Teleki (già ministro degli Esteri ungherese, Università di Budapest)25, prof. M.W.F. Treub (già ministro delle Finanze olandese, Università di Amsterdam). A completamento dell’organigramma, nel ruolo di segretario generale, era indicato il già citato James S. Barnes, che vedeva così compiuto il suo progetto, iniziato nel 192626.

Tramite il Cinef, cui partecipavano personalità di caratura internazionale e d’indubbio prestigio personale (Lord Combe, Gardner, Lapradelle), il fascismo internazionale conosceva una decisiva trasformazione, e non soltanto per l’alto livello intellettuale delle personalità coinvolte, quanto per l’effetto che questa presenza avrebbe prodotto. In altre parole, erano le stesse personalità coinvolte nel progetto che avrebbero diffuso la fenomenologia fascista all’estero, non più attraverso i FIE o tramite la propaganda d’origine italiana, da un lato dando l’idea che il regime non fosse direttamente coinvolto nell’iniziativa ed evitando così al Cinef facili accuse di etero- direzione, dall’altro conferendo alle idee propagandate dal “fascismo internazionale” un crisma di autorevolezza mai ottenuto fino a quel momento.

Una volta costituitosi il Centro, questo cominciò a pubblicare articoli e rapporti su qualsiasi argomento fosse anche vagamente attinente col fascismo27, inclusi i suoi organi e meccanismi di funzionamento all’interno dello Stato, e le sue posizioni di politica estera e interna.

Le pubblicazioni del Cinef, ha notato Cuzzi, riguardavano “i principali organi di Governo del regime (il ‘parlamento corporativo’ e il Gran consiglio), e al contempo ampio spazio era lasciato all’esercizio del potere nelle realtà locali (prefetti e podestà)”28; inoltre, in apposite sottocartelle era raccolta la documentazione che riguardava l’organizzazione della Milizia, del Pnf, del dopolavoro e delle Opere Nazionali Balilla29. In un rapporto30, stilato da un ispettore della Presidenza del Consiglio, si evidenziava che “al Cinef affluiscono i libri che parlano del Fascismo. Ogni libro viene letto e, secondo la sua importanza, vengono compilate una o più schede. Se la scheda è unica, essa comprende il titolo e le altre indicazioni bibliografiche, con un brevissimo sommario. Se le

25 La dizione corretta e completa è Pál Teleki de Szék (1879-1941).

26 Centre international d'études sur le fascisme (Cinef), Yearbook, Lausanne 1928 pp. 5-7, citato in M. Cuzzi,

Antieuropa, cit., p. 75.

27 Il Cinef pubblicava rapporti sotto diciassette diverse categorizzazioni, a loro volta divise in sottogruppi,

qualora ritenuto necessario. Tra le tante classificazioni di materiale, spiccava quella riguardante il fenomeno fascista estero, la prima raccolta organica di materiale mai pubblicata sul fascismo in Europa, con pubblicazioni riguardanti diverse realtà europee, quali Spagna, Olanda, Cecoslovacchia, Germania, Ungheria, Francia, Belgio, Gran Bretagna, Lettonia, Irlanda, Romania, Svizzera, Bulgaria, Polonia, Portogallo e Russia.

28 M. Cuzzi, Antieuropa, cit., p. 76. 29 Cfr. ibidem.

30 Rapporto a S. E. il Capo del Governo sulla visita al Cinef di Losanna, s. d. (giugno 1930) in ASMAE,

Dep. Minculpop, Busta 401, Direzione generale per il servizio della stampa estera, Fascicolo “De Vries de Heekelingen”.

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schede sono diverse, ciascuna di esse comprende l’indicazione di uno speciale argomento trattato nel libro e il rinvio al capitolo e alla pagina del libro stesso dove l’argomento è svolto”31.

Quanto all’attività pubblicistica del Centro, Cuzzi ha affermato:

“Leggendo l’indice dello schedario, risulta evidente il duplice scopo dell’attività del Cinef: essere un collegamento tra Roma e il resto d’Europa, soprattutto di quell’Europa più seducibile dal fascismo, e produrre una cospicua quantità di materiale informativo sulla “nuova Italia” di Mussolini, quasi una sorta di ufficio di promozione ad alto livello”32.

E i compiti del Cinef non si esaurivano qui: man mano che la sua attività progrediva, e la mole di documentazione raccolta e catalogata cresceva, appariva chiaro che oltre ai compiti statutari, cioè a quelli di centro di documentazione, il Cinef stava assolvendo anche a una funzione di tipo pedagogico. Grazie all’attività svolta, difatti, il centro fondato da De Vries si proponeva informalmente come “scuola” di fascismo, dando la possibilità a determinati lettori di ottenere informazioni molto dettagliate e soprattutto di studiare il fenomeno fascista in tutte le sue sfaccettature, così da poterne valutare l’adattabilità nei contesti esteri. Naturalmente, benché il Centro fosse finanziato direttamente dal regime, molti sforzi furono profusi in modo che la “sudditanza” di Losanna nei confronti di Roma non apparisse alla luce del sole, sicché il Cinef diede di sé un’immagine il più possibile obiettiva e neutrale, allo scopo di allontanare anche il più minimo dubbio circa la sua indipendenza e parimenti fugare qualsiasi preoccupazione riguardante la volontà, vera o presunta che fosse, di De Vries, Barnes e del vasto panorama di collaboratori afferenti al Centro, di voler propagandare e diffondere la dottrina fascista all’estero, in Europa e nel resto del mondo33. Nell’annuario del 1928 era dichiarata la missione che il Cinef si proponeva di compiere: “[il Centro] intende astenersi dall’espressione di qualunque opinione propria sul fascismo. Esso si propone […] di fornire i mezzi con cui chi vorrà studiare l’argomento sarà messo in grado di metter mano su tutto ciò che d’importante è stato pubblicato in proposito […]”34. Ancora più emblematico quanto scritto in una delle prime pagine dell’annuario del 1930, a riaffermazione dell’indipendenza, neutralità e terzietà del Cinef rispetto a condizionamenti esogeni: “Les opinions émises dans ces articles publiés n’engagent que leur auteur”35.

E De Vries stesso, scrivendo l’introduzione all’annuario del 1928, ribadì ancora una volta quali fossero le linee guida del “suo” Centro. In primo luogo, l’istituto intendeva offrire una guida bibliografica sul fascismo a tutti gli studiosi interessati. De Vries aggiungeva inoltre che “rien n’est

31 Rapporto inviato alla Presidenza del Consiglio, in ASMAE, Dep. Minculpop, Busta 401, Direzione

generale per il servizio della stampa estera, Fascicolo “De Vries de Heekelingen”.

32 M. Cuzzi, Antieuropa, cit., p. 77. 33 Cfr. ibidem.

34 Centre international d’études sur le fascisme (Cinef), Yearbook, Lausanne 1928, p. 9, citato in M.A.

Ledeen, L’internazionale fascista, Laterza, Bari 1973, p. 118.

35 “Le opinioni riportate negli articoli pubblicati non impegnano che il proprio autore”. In francese nel testo.

Centre international d’études sur le fascisme (Cinef), Etudes – Troisième année 1930, Editions Albert Mechelinck, Paris 1930, p. 7, citato in M. Cuzzi, cit., p. 78.

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plus nécessaire que de le connaître et de l’apprécier à sa juste valeur”36, intendendo che gli interlocutori del Cinef sarebbero stati coloro che nei confronti del fascismo “ne se contentent pas de licommuns de partisans fougueux et d’adversaires passionnés”, ma “veulent se faire eux-mêmes leur opinion”37. Sempre nell’annuario del 1928, De Vries trovò spazio per ribadire, se ce ne fosse stato il bisogno, la neutralità e l’imparzialità dell’organismo da lui presieduto nel trattare i diversi argomenti: “Le Cinef n’est en rien un organe de propagande. Adversaires et amis du fascisme peuvent y trouver leur compte. Le caractère international de son comité et les opinions politiques très divergentes de ses membres sont des garanties de rigoureuse impartialité”38.

Affermazioni che appaiono, anche alla luce del successivo “smascheramento” dell’iniziativa, del quale si parlerà in seguito, piuttosto disinvolte e se si vuole impudenti, poiché la cospicua dotazione finanziaria del Centro proveniva direttamente da Palazzo Chigi39.

Inoltre, scorrendo i titoli e gli autori citati nell’annuario del 1928, non è scorretto affermare che “è dunque chiaro che il Centro era quanto meno sostenuto dalla produzione intellettuale di alcuni fra i più importanti membri della gerarchia fascista italiana”40. La produzione e la pubblicistica del Cinef riscossero una vasta eco sulla stampa europea: testate quali “Suisse libérale” di Neuchâtel, i tedeschi “Hamburger Nachrichten” e “Nationalwirtschaft”, il parigino “Le Figaro”, come pure la testata antifascista in lingua italiana “Avvenire del lavoratore” di Zurigo, prestarono grande attenzione all’opera di pubblicazione condotta dal centro, e un articolo sull’“Avvenire del lavoratore”, in particolare, descriveva il funzionamento del Cinef in questi termini: “Esempi di questo fenomeno di penetrazione fascista non mancano. Non c’è che da scegliere. La creazione di quel tale Comitato di studi sul fascismo… al quale hanno aderito eminenti personalità della scienza e della cultura di tutto il mondo, ne è uno. E non si tratta di personalità reazionarie innamorate del

36 “Niente è più necessario di conoscerlo e apprezzarne il suo giusto valore”. In francese nel testo.

37 “Non si accontentano dei luoghi comuni di ardenti partigiani o di appassionati avversari, vogliono farsi

un’opinione propria”. In francese nel testo.

38 “Il Cinef non è in alcun modo un organo di propaganda. Avversari e amici del fascismo possono

rendersene conto. Il carattere internazionale del suo comitato, e le opinioni politiche divergenti dei suoi membri sono la garanzia della più rigorosa imparzialità”. In francese nel testo. Centre international d’études sur le fascisme (Cinef), Yearbook, Lausanne 1928, pp. 9-10, citato in F. Mornati, Gli intellettuali, il partito e il fascismo italiano a Losanna, in “Storia contemporanea” n. 6, anno XXVI, dicembre 1995, p. 102.

39 Nel corso di un’intervista concessa da J. S. Barnes nel 1928 al settimanale londinese “Time and Tide”, al

segretario del Cinef furono chieste delucidazioni riguardo chi pagava “il considerevole esercito di segretari, dattilografe ecc.” del centro, e “fino a qual punto il suo istituto dipendeva dal governo fascista”. Barnes rispose con sdegno all’insinuazione, ma “non rese mai di pubblica ragione alcun dato finanziario che indicasse la provenienza delle entrate e delle spese dell’istituto né pubblicò i nomi delle persone che sovvenzionavano e fornivano gli stipendi per i suoi impiegati e le pubblicazioni del Centro”, in G. Salvemini, Mussolini diplomatico, De Luigi, Roma 1945, p. 403.

40 M. A. Ledeen, L’internazionale fascista, cit., p. 118. I nomi di Rossoni, De Stefani, Bianchi, Turati

ricorsero spesso nel catalogo delle pubblicazioni per l’anno 1928, e, in genere, per tutto il ciclo d’esistenza del Cinef.

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fascismo… ma di uomini insigni della democrazia che si propongono di studiare il fascismo sulla scorta dei documenti che il fascismo stesso fornisce”41.

La ricezione quasi generalmente entusiastica o quantomeno non ostile dei lavori del Centro sembrò accreditare il “grande inganno” ordito da De Vries e Mussolini: non una voce si levò a smascherare l’attività del Centro quale emanazione del regime fascista italiano, e la stampa internazionale credette (o finse di credere) alla versione imbastita dai vertici del Cinef circa la sua indipendenza e autonomia di giudizio. L’iniziativa, in particolare, fu definita “un interessante compendio di studi”42, una “lettura consigliabile anche a chi era lontano dalle idee espresse”43, oltremodo utile poiché non si limitava a descrivere il fascismo come fenomenologia solamente italiana, ma ne indicava i possibili sviluppi anche in altri Paesi europei. La definizione più calzante del Cinef spettò al quotidiano “Le Figaro”, il quale si espresse così nei confronti del Centro e delle sue pubblicazioni: “Lecture très attachante, et bien utile pour tant d’étourdis qui condamnent ce régime politique sans le connaître”44.

L’ultima pubblicazione in ordine di tempo a esprimere apprezzamento per l’iniziativa portata avanti dal Cinef fu il “Popolo d’Italia”, che seppur “stridente nel suo distacco”, individuò senza indugi la “vera” missione del Centro, cioè l’azione pedagogica: “Dipende da quest’opera una conoscenza vera, sincera, obiettiva, del Fascismo nel mondo internazionale; in quel mondo di politici, di diplomatici, di studiosi che oggi diminuisce la propria diffidenza e di altrettanto accresce la propria curiosità. La prima attraverso la quale lo si possa conquistare”45.

Il Cinef si qualificò così come il campione riconosciuto del nuovo corso imposto alla propaganda fascista da parte dello stesso Mussolini, e Asvero Gravelli, ideatore della rivista “Antieuropa”, riconobbe la bontà dell’azione del centro nel far conoscere “i benefici che il fascismo apporta al mondo”46. Tale affermazione, esagerata, trovò rapida smentita allorquando il Cinef entrò in crisi ed esaurì il proprio ruolo propulsivo nell’ambito della propaganda fascista all’estero. Per il momento il Cinef godeva della simpatia del duce, atteggiamento benevolo che si estendeva a De Vries e a tutti i suoi collaboratori, e che si sublimò nella redazione, da parte di Mussolini stesso, della prefazione all’ultima fatica letteraria del segretario generale dell’ente, James Starchey Barnes47. Questi, oltre a

41 M. Cuzzi, Antieuropa, cit., p. 81. 42 Ibidem, p. 82.

43 Ibidem.

44 “Una lettura molto utile per coloro che condannano aprioristicamente questo regime senza conoscerlo”, in

francese nel testo.

45 A. Carena, Il Fascismo all’estero, ne “Il Popolo d’Italia”, 28 dicembre 1928, citato in M. Cuzzi,

Antieuropa, cit., p. 82.

46 A. Gravelli, Poche notizie sull’attività e le pubblicazioni del Centro Internazionale di Studi sul fascismo

(Cinef) di Losanna, in “Antieuropa”, anno I, n. 6, 25 settembre 1929, p. 495.

47 Barnes, britannico di formazione cattolica e di frequentazioni, più che cattoliche, vaticane (secondo la

definizione che nel volume dedicato ad Antieuropa ne traccia il Cuzzi), ben introdotto oltre Tevere e negli ambienti dell’aristocrazia nera, propose un corso d’azione che preludeva ad un’alleanza tra la Chiesa di Roma e il Fascismo. La tesi di Barnes, condivisa da De Vries e dal consesso di intellettuali afferenti al Cinef, si rifaceva ad un tema sempre molto caro alla Chiesa, ovvero all’avversione per il materialismo, che covando

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teorizzare una possibile “alleanza” tra Chiesa Cattolica e Fascismo, delineava la funzione storica del movimento fascista in questi termini: “Nei riguardi dell’Europa, esso è diritto sul crocevia della storia, fisso lo sguardo alle due Rome, l’imperiale e la cattolica, che formarono la civiltà d’Europa ed additando questa come sola via sicura per progredire. La sua funzione storica, la sua missione è semplicemente questa: preparare il terreno per una nuova politica e sintesi sociale europea, fondate sulle sicure tradizioni del passato, passato in cui l’Europa era ancora una”48.

per secoli era infine esploso in tutta la sua virulenza nel 1919, a seguito della Rivoluzione d’ottobre. Nelle intenzioni di Barnes e dei collaboratori del Centro, tale alleanza avrebbero fatto sì che il Fascismo sarebbe divenuto il braccio armato dell’anti-materialismo cattolico, mentre la Chiesa si sarebbe dischiusa alla modernità attraverso il Fascismo. Secondo il pensiero reazionario di Barnes, quest’alleanza avrebbe dovuto abbattere una serie di “nemici”, quali la Rivoluzione industriale con tutto il suo portato (capitalismo e marxismo), la Rivoluzione francese, la riforma protestante e financo il Rinascimento, che Barnes definiva “Rinascenza pagana”.

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1.3 Declino del Cinef

Il protagonismo e l’attivismo di Barnes su questo sentiero, definito “cattolico-fascista”, portarono a due risultati che, seppur non completamente interdipendenti, condussero alla chiusura del Cinef. Da un lato, la decisione del duce di scrivere la prefazione dell’ultimo libro del giornalista inglese alienò a quest’ultimo la simpatia e il sostegno del direttore del Centro, De Vries, che si sentì, a torto o a ragione, oscurato dall’iperattività del “suo” segretario generale. Dall’altro, De Vries suggerì una riorganizzazione dell’organigramma del Centro, proponendo l’abolizione dell’ufficio di segretario generale. Non è chiaro se le due vicende fossero collegate: vero è che l’ufficio di segretario generale fu abolito, e Barnes non figurò più nell’organigramma del Cinef. Molto probabilmente non fu estraneo, all’estromissione del vulcanico giornalista inglese, il suo smaccato cattolicesimo, che gli alienò non poche simpatie all’interno del vasto corpus di collaboratori del Centro, tanto che il norvegese Fougner e l’olandese Godin de Beaufort abbandonarono le attività del Cinef in disaccordo con Barnes, e furono sostituiti dagli ultracattolici Othmar Spann, dell’Università di Vienna, e José de Yanguas Messia, dell’Università di Madrid, già ministro degli Esteri del Regno di Spagna e presidente dell’assemblea nazionale spagnola.

Nondimeno, l’avvicendamento di Godin e Fougner con Spann e Yanguas Messia, il defenestramento di Barnes e la riorganizzazione del Cinef non servirono ad arrestare la crisi in corso, oltre che per i motivi anzidetti, soprattutto per lo smascheramento del Centro in quanto “organizzazione di propaganda fascista”, avvenuto circa due anni dopo l’inizio dell’attività dell’organismo guidato da De Vries. La crisi, già manifesta all’atto dell’allontanamento di Barnes, si aggravò, per poi divenire irreversibile poco tempo dopo il licenziamento del giornalista inglese. I sospetti di malamministrazione e di frode ingenerati dalle ingenti richieste di sovvenzioni che giungevano a Roma da parte di De Vries portarono a un’ispezione, dalla quale emerse che la sede del Centro “appariva più ad uso di abitazione che di ufficio”, unitamente al fatto che “dei tre redattori […], nessuna traccia”, tanto da far sospettare ch’essi esistessero solo in quanto voci di spesa da addebitare al ministero competente. Scarse peraltro le sottoscrizioni (poche centinaia: tra gli abbonati si trovavano la Camera dei deputati belga, l’Università di Lisbona e due istituti di cultura austriaci, dei quali uno ubicato a Vienna e l’altro ad Innsbruck), ed essendo i costi maggiori dei benefici, le retribuzioni sproporzionate rispetto al tenore di vita svizzero e soprattutto la neutralità (presunta e propagandata) del Centro messa alla berlina, tanto che la totalità degli uffici consolari di Losanna oramai sapeva che il Cinef “è un’emanazione del Fascismo”, l’ispettore ne proponeva la liquidazione e il trasferimento delle relative competenze all’Istituto nazionale fascista di cultura di Roma, oppure alla Commissione Propaganda del Ministero delle Corporazioni. Il rapporto così concludeva: “l’unico vantaggio che potrebbe presentare il Cinef (creduta imparzialità della fonte) non esiste, per quanto si è detto. Facendo lo stesso lavoro da Roma, si spenderebbero tutti i denari stanziati allo scopo, ai fini reali della propaganda della cultura

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e delle idee fasciste, e non se ne sacrificherebbe la maggior parte a vantaggio del Sig. De Vries e dei suoi collaboratori”49. I finanziamenti al Cinef, una volta che il rapporto giunse a Roma, furono rapidamente interrotti: De Vries, però, non si diede per vinto, e contattò Alfredo Rocco, allora a Ginevra, affinché perorasse la sua causa di fronte al duce. Intervenne allora il ministro d’Italia a Berna, il quale in una comunicazione personale e riservata a Lando Ferretti, capo ufficio stampa del ministero degli Esteri, si esprimeva in questi termini nei riguardi del professore svizzero-olandese: “Il lavoro del De Vries non vale…un soldo e anche un ragazzo può farlo da Roma. Politicamente, dato il suo lussuoso tenore di vita, in contrasto col precedente, è un uomo…scoperto. Mentre si lesinano i ‘centesimi’ alle scuole, alle case degli italiani, al giornale fascista, sarebbe immorale far sbafare questo… […]. Per tua norma il De Vries è suddito olandese, ha sposato una belga, si è naturalizzato svizzero e fa il…fascista italiano! ”50 Di conseguenza, i finanziamenti al Centro, prima interrotti e poi ripristinati, cessarono del tutto, e il professor De Vries de Heekelingen, amareggiato per il trattamento ricevuto, scrisse un’ultima missiva ad Alfredo Rocco, in cui sostenne accoratamente che la chiusura del Cinef avrebbe comportato la perdita di molto materiale bibliografico accumulato, oltre alla fine delle relazioni instaurate con alcune realtà accademiche e politiche51. Per l’ultima volta Rocco intercedette presso il Capo del Governo, ottenendo un’elargizione di seimila franchi svizzeri che il Cuzzi definisce “una sorta di abbonamento”52, ma in realtà destinata esclusivamente a De Vries come indennizzo, ricevuta la quale il professore interruppe definitivamente l’attività. Negli anni successivi De Vries ebbe modo di osservare da vicino l’astro nascente del nazismo, recandosi più volte in Germania. Egli rimase comunque in contatto con il governo italiano, e quando questi varò le leggi razziali, nel 1938, divenne il capofila della campagna razzista e antisemita condotta dal regime in Europa. Che i rapporti tra l’ex Presidente del Cinef e il governo italiano fossero tornati distesi, lo si può dedurre dal fatto che alla sua morte53, le sue carte e la sua biblioteca di testi riguardanti l’antisemitismo fu lasciata come legato in eredità all’Italia. L’esperienza del Cinef, seppur fallimentare, costituì un’ulteriore tappa di avvicinamento alla stagione “internazionalista” del regime mussoliniano, che nonostante il disastro dell’iniziativa, ripropose molto presto l’idea di espandere oltre il confine delle Alpi il portato ideologico fascista.

49 Rapporto a S. E. il Capo del Governo sulla visita al Cinef di Losanna, conservato in ASMAE, Dep. Minculpop, Busta 401, Direzione generale per il servizio della stampa estera, Fascicolo “De Vries de Heekelingen”.

50 Il ministro d’Italia a Berna a Lando Ferretti, 26 luglio 1930, conservato in ASMAE, Dep. Minculpop,

busta 401, Direzione Generale per il servizio della stampa estera, Fascicolo “De Vries de Heekelingen”.

51 M. Cuzzi, Antieuropa, cit., pp. 86-87. In particolare, il professor De Vries segnalava che il Cinef aveva

instaurato buoni rapporti con le biblioteche universitarie di Lione, Würzburg, Freiburg e Wettingen, con alcune sedi universitarie in cui si erano discusse tesi riguardanti il fascismo, con un professore dell’università di Breslau (Breslavia) che era interessato ad aprire un ciclo di lezioni sull’argomento. Inoltre, erano stati stabiliti contatti con altre realtà universitarie, quali Zurigo, Heidelberg e Berlino; ad un esponente dello “Heimwehr” austriaco era poi stata fornita, tramite il Cinef, completa documentazione attinente al fascismo.

52 M. Cuzzi, Antieuropa, cit., p. 87.

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1.4 Dal dibattito paneuropeo ai CAUR

A complemento dell’attività svolta dal Cinef in Svizzera, già dal 1929, in Italia, Asvero Gravelli, giovane squadrista bresciano ed ex legionario nell’impresa fiumana organizzata da D’Annunzio, aveva sottoposto al duce, tramite il segretario Chiavolini, l’idea di pubblicare un “bollettino dal respiro politico internazionale”, indirizzato “contro la vecchia Europa plutocratica e liberale cui si opponeva un’Europa giovane” idealmente rappresentata dai movimenti fascisti. Il titolo della pubblicazione, evocativo e probabilmente suggerito dallo stesso duce, era “Antieuropa”54, ed era corredato da un sottotitolo egualmente significativo: “rivista mensile di azione e di pensiero della Giovinezza Rivoluzionaria Fascista”. Il foglio si contraddistingueva per la marcata impostazione “euro-fascista” tanto cara al suo fondatore, e nelle sue pagine richiamava uno “scenario dinamico”, di “innovazione continentale”, a guida mussoliniana55.

Secondo Gravelli, il continente europeo aveva quattro possibili scenari davanti a sé: l’Europa di Parigi e dei Briand, democratica, plutocratica, massonica; un’Europa anglosassone, sottomessa al capitalismo statunitense; una orientata verso la Germania, divisa tra “misticismo slavo e latinità” e comunque, a causa di una radicata cultura protestante-luterana, troppo individualista per condurre un ragionamento unitario. L’ultimo scenario tracciato nell’analisi di Gravelli era ritenuto il peggiore di tutti: quello di un’Europa conquistata dai vessilliferi del materialismo storico ottocentesco56, cioè da coloro che propagandavano “un’evoluzione creatrice della ragione”, comunisti e socialisti, che “tendevano a sostituire allo stabilismo di una concezione del mondo, la teoria della civilizzazione dinamica”.

Era opinione di Asvero Gravelli che l’Europa, “terra vacante tra gli imprenditori dell’ovest e i rivoluzionari dell’est”, avesse una sola strada da seguire: quella incarnata dal fascismo italiano, definito come “una forza pura, questa della nuova Italia, è una forza pura che ridesta i popoli dell’occidente e rialza dalle sorti il nome di Roma”57. Roma che, sempre secondo Gravelli, rappresentava il punto d’incontro tra la Chiesa cattolica, in contrapposizione al protestantesimo anglosassone e all’ateismo sovietico, e il fascismo: “Se l’occidente si vuole salvare dall’ovest e dall’est, la fatalità degli eventi storici gli impone il ritorno a quelle fedi che da sole possono salvare la nostra civiltà occidentale; il ritorno ai principi da cui nacque questa civiltà. L’occidente deve andare a Roma, all’idea che da essa sorge”58.

Risalta, dal ragionamento sopra esposto, l’idea secondo la quale il fascismo, assurto a strumento della “civiltà universale romana e cristiana”, sarebbe stato l’ancora di salvezza dell’Europa di

54 Cfr. M. Cuzzi, L’Internazionale delle camicie nere, p. 38. Nel testo si riporta che già dal mese precedente

alla presentazione del progetto di Gravelli, Mussolini avesse in mente questo slogan di sicuro effetto.

55 Ibidem. 56 Ibidem.

57 A. Gravelli, L'idea storica fascista. Difesa dall'Europa e funzione antieuropea, in “Antieuropa”, anno I,

n.1, aprile 1929, p. 4.

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